Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei Grande Progetto Pompei Fortificazioni a Pompei e nel golfo di Napoli tra età arcaica ed età romana Incontro di Studio Pompei, Auditorium, 6-7 Giugno 2013 Abstracts Indice B. d’Agostino (Università “L’Orientale” di Napoli), Le fortificazioni di Cuma nel quadro della Campania pre-romana. D. Giampaola (Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei), Le mura di Neapolis: tracciato, tecniche costruttive e cronologia. T. Budetta (Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei), Le mura di Sorrento alla luce dei dati di scavo. G. Stefani, I. Bergamasco, L. Scaroina (Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei), Le mura di Pompei dall’incisione al digitale. F. Pesando (Università “L’Orientale” di Napoli), Le mura di Pompei: un’introduzione. L. Anniboletti, M. Fabbri (Università di Roma “Tor Vergata”), Nuove ricerche per una rilettura delle mura di Pompei. La storia delle mura dalla loro riscoperta ad oggi - Un progetto di archeologia dell’architettura sulle mura di Pompei. U. Pappalardo, M. Grimaldi (Università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli), Le case sulle mura dell'Insula Occidentalis di Pompei. Nuove scoperte e ricerche in corso dell'Università degli Studi “Suor Orsola Benincasa” di Napoli. C. Brasse (Brandenburgische Technische Universität Cottbus), The fortification walls of Pompeii - First results of an architectural research project. J. P. Brun (Centre Jean Bérard), Il muro in pappamonte nella conceria I 5, 2: un tratto delle mura? J. Uroz Sáez, V. Gasparini, C. Costantino (Universidad de Alicante), Proyecto murallas de Pompeya: los cortes estratigráficos efectuados por la Universidad de Alicante entre Porta Nocera y la Torre IV - 2009/2010. S. Ellis (Cincinnati University), Attività religiose e industriali sui muri di Pompei: le prove da Porta Stabia. S. Sakai (Doshisha University), L’iscrizione CIL I² 1629 e la sua relazione con una possibilità di restauro della cinta muraria presso la Torre IX. LE FORTIFICAZIONI DI CUMA NEL QUADRO DELLA CAMPANIA PRE-ROMANA 1 Bruno d'Agostino, Università “L’Orientale” di Napoli Abstract: Alla cara memoria di M. Frederiksen Con l'intervento di scavo denominato Kyme III, svoltosi negli anni 2004-2006, si è concluso un ambizioso programma di ricerche iniziato nell'ormai lontano 1994. Il programma, fortemente voluto da Stefano De Caro, prima come Soprintendente poi come Direttore Regionale, si inquadrava in un progetto di rilancio della ricerca e della tutela della prima colonia greca in Occidente 2 ; questa per il visitatore colto coincideva con la rupe dell'acropoli e per il resto era stata completamente trascurata dalla ricerca archeologica dalla costituzione dello Stato unitario ai nostri giorni 3 . Il circuito murario, riconoscibile per grandi linee sulla base del suo rapporto con la situazione orografica, era praticamente scomparso 4 , se si eccettua il monumentale assetto dell'Arco Felice, la porta incassata nel Monte Grillo, che consentiva l'ingresso della via Domiziana 5 . Di fronte a questo stato di fatto, il programma si proponeva in primis una finalità di tutela attiva: la conoscenza del percorso delle mura avrebbe restituito la necessaria visibilità alla città antica, definendo i limiti naturali del parco archeologico. In questa prospettiva, un ruolo preminente veniva riconosciuto alle mura settentrionali, sempre destinate a sostenere l'assalto del nemico, a partire dalla data fatidica del 524 a.C. 6 , quando arrivò alle sue porte un possente esercito formato da una coalizione di popoli, dagli Etruschi agli Umbri e ai Dauni, ad Annibale (215 a.C.), al bellum sociale, fino al 552 d.C., quando le truppe bizantine conquistarono la città ponendo fine alla guerra gotica. Si confidava nel fatto che le mura urbiche, ritornate alla luce, avrebbero costituito ancora una volta una valida difesa, formando un argine contro il dilagare della espansione edilizia. L'operazione si è rivelata più complessa del previsto: alla ricerca di un muro, abbiamo rimesso in luce un complesso sistema difensivo, che nel corso del tempo mantiene nelle grandi linee invariato il tracciato e viene tuttavia rimodellato di La presente relazione attinge largamente alle pubblicazioni apparse di recente, ed in particolare a D'AGOSTINO 2009 e Cuma 3. Una bibliografia più ampia può trovarsi in calce a quest'ultimo volume. Ancora una volta il mio pensiero grato va ai miei collaboratori, ai quali tanto si deve per questo nostro lavoro comune. 2 Cuma 3, pp. 14 ss. 3 Luminosa eccezione, l'opera preziosa di GABRICI 1913. 4 Sul circuito delle fortificazioni, essenziale il contributo di FRATTA 2002. Cfr. Cuma 1, tav.1 (a colori). 5 Per l'esistenza di una porta o postierla in questa posizione in epoca arcaica, intuita da W. Johannowsky, cfr. Cuma. Nuove forme, p. 138 nota 26. 6 Sulla storia di Cuma, cfr. MELE 2009. 1 continuo per fare fronte al crescente potenziale offensivo degli eserciti aggressori e al progresso delle tecniche poliorcetiche. L'individuazione di numerose fasi ha permesso di constatare la ricorrente preoccupazione di potenziare lo spessore delle mura, corredandole di apparati difensivi supplementari, come le torri o i bastioni ai lati della porta; si è ricostruita in tal modo una sorta di archeologia della paura, che ha permesso di riconoscere nelle mura il riflesso delle tormentate vicende della città antica. Cuma, con la sua rupe di roccia vulcanica dalla quale era possibile controllare un vasto arco di orizzonte, da Gaeta a Miseno, si è confermata come un solido baluardo, mai espugnato dagli eserciti nemici, conservando fino al VI sec. d.C. la sua funzione di unica roccaforte sul litorale campano. Come si è accennato, la città antica ebbe fin dalla sua fondazione un assetto che rimase invariato nel tempo: verso occidente le mura sormontavano la linea di costa correndo lungo il ciglio di un sistema collinare che culminava a nord nella rupe dell'acropoli, mentre a sud formava una seconda minore prominenza, corrispondente al famoso fondo Valentino, sede di un santuario risalente ai primordi della città 7 . Verso est e il lago d'Averno le mura correvano lungo la cresta del sistema collinare di Monte Grillo, discendendo sui lati sud e nord lungo la costa di due valloni, per planare in un'area pianeggiante proseguendo verso ovest fino a saldarsi con la cinta di mura dell'acropoli. Questi tratti in pianura erano naturalmente i più vulnerabili. Tuttavia l'accesso da nord era protetto dalla presenza della Silva Gallinaria, che iniziava subito dopo Liternum, e del Lago di Licola, che proseguiva in un'area paludosa fin quasi a toccare le mura; anche l'accesso da sud era condizionato da uno specchio d'acqua: la palude Acherusia (lago Fusaro) 8 , che si estendeva tra la città e Capo Miseno, caposaldo dell'epica almeno dalla seconda metà del VII sec. 9 . I saggi praticati all'interno della cinta muraria e quelli che in seguito sono stati condotti nell'area dell'abitato antico, tra le mura e il Foro 10 , hanno riaperto il dossier relativo all'impianto della colonia euboica. La sua data di fondazione non è tramandata dalle fonti, ma viene tradizionalmente riportata al 725 a.C.; i risultati delle recenti ricerche mostrano tuttavia una presenza stanziale greca nell'area già nel terzo quarto dell'VIII sec., e pertanto pressoché coeva all'insediamento greco a Pithecusae 11 . Tuttavia la notizia di una cinta dell'acropoli risalente all'VIII sec. è frutto di un miraggio 12 ; l'impianto delle fortificazioni, nella fase più antica finora rinvenuta (fase 7L A ROCCA-RESCIGNO-SORICELLI 1995. Str. V.4.4. Il dato emerge chiaramente anche dalla descrizione della battaglia di Cuma del 524 a.C. Cfr. D.H. VII.4. 9 LLOYD-JONES 1991. 10 Cfr. D'ACUNTO 2009a, 2009b. 11 Sull'argomento, cfr. D'AGOSTINO 2011. 12 La notizia è in FREDERIKSEN 2011, sia pur espressa in forma dubitativa. Il Frederiksen, che pure pubblica una diligente scheda sugli scavi dell'Orientale alle cumane (FREDERIKSEN 2011, pp. 156-158), non conosceva JANNELLI 1999; più comprensibile è invece che egli non conoscesse la fase più antica (Ib1), di cui si dà notizia la prima volta nel 2009. 8 Ib1), risale soltanto ad un momento di transizione dal VII al VI sec. a.C. 13 . Resti ancora molto esigui delle mura di questa fase sono stati rinvenuti nei saggi stratigrafici condotti all'interno del lungo tratto delle fortificazioni settentrionali rimesso in luce in corrispondenza della porta mediana. Fin da questa fase le mura presentano la medesima struttura che avranno nelle due fasi successive di età arcaica: esse consistono di due paramenti in ortostati, con profilo esterno a scarpa e fodere interne di scaglie che contengono un terrapieno mediano; la larghezza complessiva del sistema è di m 2,60 ca. in corrispondenza della sua rasatura. Il breve tratto finora rinvenuto, comprendente entrambe le cortine, è stato rimesso in luce in un saggio in profondità all'interno del tribunal dello stadio che in età ellenistica venne addossato al paramento interno della fortificazione antica 14 . Di questa fase “alto-arcaica” si era già intuita l'esistenza approfondendo lo scavo ad oriente della porta mediana. È questo il tratto delle mura settentrionali in cui è meglio conservata la sequenza delle due fasi successive della fortificazione: quella arcaica (fase Ib2), databile intorno alla metà del VI sec., e quella tardo-arcaica, o “di Aristodemo” (fase Ic), riferibile al volgere del VI sec. a.C. Occorre premettere che la guancia della porta arcaica (fase Ib2) risulta spostata di m 3 ca. ad oriente rispetto alla corrispettiva guancia della fase tardo-arcaica (fase Ic), che corrisponde alla posizione che la porta conserverà fino a quando rimarranno in uso le mura. Il passaggio da ciascuna fase alla seguente è segnato da un innalzamento del piano di campagna antico, determinato probabilmente da un progressivo affioramento della falda freatica, fenomeno che ha continuato a verificarsi fino ai nostri giorni, condizionando in maniera pesante la strategia di scavo. Nello spazio tra le due guance, al disotto della risega di fondazione della fase arcaica ed obliterate intenzionalmente all'atto della sua costruzione, giacevano alcune strutture interpretabili come la guancia di una porta più antica, che ora può ritenersi riferibile al muro della fase Ib1. Sulla forma originaria della porta agli inizi del VI sec. l'esiguità dei resti superstiti non permette di fare chiarezza; essa poteva presentarsi come un semplice varco chiuso verso l'esterno da due denti aggettanti, ma è anche possibile immaginare che invece vi fossero due avancorpi muniti di denti che precludevano l'accesso alla città dall'esterno. Un primo potenziamento delle fortificazioni è successivo di pochi decenni alla costruzione del primo impianto, datandosi - come si è già dimostrato - intorno alla metà del VI sec. 15 (fase Ib2). Le mura più antiche vennero incamerate in una Cuma 3, pp. 42-43, 114-116, 286 ss. (S. Savelli). La tematizzazione cronologica delle diverse fasi può seguirsi agevolmente su Cuma 3, tav. 1. Purtroppo non è stato possibile pubblicare una pianta a colori in questa sede. 14 Non ci si sofferma su questo importante monumento che pure è stata una delle più importanti scoperte delle campagne di scavo 2004-2006 perché esso esorbita dal tema qui considerato; esso è stato del resto già esaminato, entro i limiti delle attuali conoscenze, da M. Giglio in Cuma 2009, pp. 615-634; Cuma 3, pp. 195-263. 15 Cuma 2, pp. 133 ss., 291 ss. (S. Savelli). La datazione al 560 a.C., allora avanzata, deve essere probabilmente ribassata di circa un decennio. 13 nuova struttura larga m 5 ca. 16 , eseguita con grande accuratezza: le facce a vista degli ortostati sono riquadrate da una “specchiatura”: una fascia liscia che corre lungo i margini superiore e inferiore e la superficie di contatto dei blocchi è arretrata con una marcata anathyrosis concava. Brevi briglie collegano le cortine alle retrostanti fodere in scaglie. La struttura delle mura di questa fase è ben visibile per tutto il tratto di ca. m 15 esplorato ad oriente della porta. Quale fosse il loro andamento a occidente della porta medesima, non è chiaro 17 : le si ritrova con sicurezza circa 90 m più ad ovest, arretrate rispetto all'andamento riscontrato ad oriente, e quasi addossate alla cortina interna tardo-arcaica. Nell'unico tratto in cui si sono rimessi in luce entrambi i paramenti, lo spessore della fortificazione risulta di m 3,20, notevolmente inferiore a quello di m 4,90, riscontrato ad est della porta mediana. La creazione di questa nuova cinta, che incamerò le strutture precedenti, comportò un lieve spostamento verso est della porta, che doveva consistere in un semplice varco; ne è stata rimessa in luce la guancia orientale, della quale rimaneva in posto solo lo zoccolo dell'elevato, costruito con blocchi disposti in assise piane. Il nuovo impianto fu condizionato da un notevole innalzamento della falda freatica. Si rese necessaria pertanto la costruzione di un imponente collettore fognario 18 , del quale è emersa una parte della copertura al disotto della fodera interna della guancia tardo-arcaica. Per la costruzione del collettore venne praticato un cavo che asportò gran parte delle strutture pertinenti alla fase precedente. Dopo la messa in opera del collettore ed il riempimento del cavo ad esso pertinente, il varco delle mura venne pavimentato con lastre di tufo. Fu davanti a queste mura che si svolse la battaglia del 524 a.C. 19 : qui il lago di Licola, oggi prosciugato, arrivava fin quasi a lambire le mura della città, e l'enorme esercito “barbarico” si impantanò nel suolo melmoso, consentendo all'esiguo stuolo dei difensori di avere la meglio sul disordinato assalto degli aggressori. Si tratta, come è noto, di un topos caro agli storici greci, e tuttavia in questo caso esso sembra rispecchiare la realtà. In questo periodo, come si è visto, la pressione esercitata dalle città etrusche sulla colonia euboica era giunta ad un momento critico. Al volgere del VI sec., non sappiamo se prima o subito dopo la battaglia di Aricia (504 a.C.) 20 , la cinta fu irrobustita fino ad assumere lo spessore formidabile di circa m 7, comparabile con Come si è già detto, l'inclusione della fase Ib1 all'interno di quella Ib2 si è potuta rimettere in luce solo nell'approfondimento operato presso il tribunal dello stadio. 17 In Cuma 1, pp. 29 ss. si era avanzata l'ipotesi che la cortina esterna della fase Ib2 fosse sottoposta a quella corrispondente della fase Ic. Il proseguimento degli scavi non ha fornito l'attesa conferma di questa ipotesi, che è stata pertanto abbandonata. 18 Quest'opera era stata attribuita, nel corso dello scavo, all'intervento di Aristodemo, cfr. D'AGOSTINO 2009. Una riconsiderazione dei dati di scavo e delle correlazioni altimetriche tra i diversi manufatti rinvenuti tra le guance di età arcaica ha indotto a rettificare la primitiva ipotesi: cfr. Cuma 3, pp. 43 ss. 19 D.H. VII.3-4.1-3. 20 Come è noto, la forma ceramica più recente presente nel terrapieno di questa fase è la coppa kleine schale C, databile all’ultimo decennio del VI secolo o ai primi anni del secolo successivo: cfr. Cuma 2, p. 153. 16 quello della porta scavata da P. Orsi a Megara Hyblaea 21 . Anche la cinta di Aristodemo fu costruita con fondazioni in assise piane ed elevato interamente in ortostati, o anche in tecnica pseudo-isodoma 22 . La creazione di questa nuova cinta, che incamerò le strutture precedenti, fu condizionata da un nuovo innalzamento della falda freatica. Probabilmente in conseguenza di questo, e in seguito alla definitiva sistemazione del tracciato della la strada che entrava in città dalla porta mediana, la futura Domiziana 23 , si rese necessario spostare la porta di m 3 più ad occidente e modificare il drenaggio delle acque di superficie con la costruzione di un nuovo possente collettore 24 “a doppia corsia”. Le acque così raccolte defluivano in un ampio fossato, che proprio ora venne scavato almeno davanti a parte del tratto in pianura delle mura settentrionali. Lo scavo del fossato intercettò le tombe dei primi anni della colonia, e il terreno di risulta venne scaricato tra le due cortine, a formare il terrapieno. Per questo motivo vi si trova abbondante ceramica residuale, risalente fino al terzo quarto dell'VIII sec. a.C., insieme a qualche frustulo di ossa combuste e a qualche scarabeo di tipo egiziano 25 . A ca. m 76,55 a occidente della porta, la cortina interna del muro di Aristodemo arretra di m 2,82 verso sud, formando un gomito e determinando un incremento nello spessore delle fortificazioni, che raggiunge ora m 9,60. Non è escluso che questo nuovo allineamento sia stato condizionato da un analogo andamento del muro arcaico (fase Ib2). Come si è già accennato, esso si ritrova solo in alcuni saggi praticati ad occidente di questo gomito, e qui esso corre addossato al nuovo allineamento della cortina meridionale di Aristodemo. È probabile che un analogo andamento avesse anche la fortificazione più antica (della fase Ib1), di cui - come si è detto - si è rinvenuto solo un breve tratto - inglobato dalla fortificazione arcaica - sotto il pulpitum dello stadio ellenistico. Nel gomito formato dalla cortina interna tardo-arcaica si inserisce una scala di accesso al cammino di ronda ed una scala analoga aderisce alla cortina tardoarcaica ad oriente della porta. La fortificazione di Aristodemo è stata seguita per una complessiva lunghezza, dalla porta al limite occidentale dello scavo, di ca. m 200. Con il proseguire dello scavo, ci si rese conto che il progetto dell'intervento non aveva considerato con la necessaria attenzione che il piano antico declinava, con duplice pendenza, verso nord e verso ovest, con analogo andamento delle strutture antiche. Di conseguenza, procedendo in direzione della costa alla ricerca di una seconda porta più prossima ai piedi dell'acropoli ed al mare 26 , il ORSI 1889 tav. II; Cuma 1, pp. 10-11 fig. 2. L'uso della tecnica pseudo-isodoma si trova già nelle mura di Focea, della metà del VI sec. a.C., cfr. FREDERIKSEN 2011, pp. 182 s. 23 Della porta, di cui non si conosce la guancia orientale, si può indicare solo la larghezza approssimativa di m 9,50 ca., come dimostra la scoperta di un breve tratto della guancia occidentale, sotto il piedritto della porta di epoca imperiale (cfr. Cuma 3, p. 49). 24 Su questo collettore, che passava sotto le mura ad occidente della porta, cfr. Cuma 1, pp. 35 ss. fig. 21. 25 Cfr. D'AGOSTINO 1999. 26 Il Fiorelli ricorda la presenza di tre porte nelle mura settentrionali. Oltre alla porta mediana, una porta più ad est è stata sfiorata dallo scavo nel fondo Ortolani (cfr. Cuma 1, pp. 179-206). «Una 21 22 livello della falda freatica s'innalzava progressivamente, giungendo a coprire la rasatura delle strutture antiche. La circostanza venne verificata con una serie di carotaggi, che permise di stabilire la buona conservazione delle strutture, ed il proseguimento delle fortificazioni arcaiche delle fasi Ib2 e Ic con lo stesso andamento rilevato nel tratto mediano. In vista della sistemazione dell'area nell'ambito del parco archeologico, si decise di risparmiare un tratto di ca. m 47, al fine di consentire l'accesso dal sentiero che costeggia le mura da sud a una vecchia masseria destinata a punto di sosta e area espositiva del corredo informativo relativo allo scavo. Nel tentativo di intercettare la porta orientale, l'esplorazione a cielo aperto venne invece ripresa, per un tratto di circa m 30, pur consapevoli della impossibilità di conservare a vista lo scavo. Infatti l'esplorazione di questo ulteriore tratto fu resa possibile dall'impianto di un sistema di well point; al termine dello scavo l'area medesima venne ricoperta con reti di protezione e una coltre di brecciolino puro fino al livello della falda. La porta marina non fu rinvenuta, e tuttavia lo scavo di quest'ultimo tratto si rivelò di grande interesse ai fini conoscitivi, poiché condusse fra l'altro alla scoperta dello stadio, il più antico monumento del genere rinvenuto in Occidente, considerato che il suo impianto può datarsi al II sec. a.C. Inoltre le particolari condizioni dello scavo, grazie all'abbassamento della falda freatica, hanno consentito di esporre per un breve tratto il piano di campagna coevo alle fortificazioni di Aristodemo 27 . Grazie alla determinazione e all'impegno della dr.ssa A. Lupia, che curava questa parte dello scavo, è stato possibile procedere ad un'altra scoperta di grande interesse storico: si è potuto verificare che fuori dalle mura giaceva sul suolo antico un ingente accumulo di ossa animali. Da questo accumulo, che purtroppo non si poté scavare per intero per l'improvviso riaffiorare della falda, sono emersi - grazie alla preziosa competenza di A .Carannante - i resti di almeno quattro cavalli, che recano evidenti tracce di fendenti di arma bianca e di ferite inferte da frecce. Associate ai resti faunistici sono state inoltre rinvenute due cuspidi di freccia piramidali in bronzo, alle quali sono ascrivibili le ferite riscontrate sui resti dei cavalli medesimi. È questo il caso in cui l'evidenza archeologica irrompe senza alcuna discrezione sullo scenario della storia imponendo con la sua materialità le proprie certezze. Non sono questi i cavalli della battaglia di Cuma, poiché la loro datazione è di un paio di decenni più recente: essi evidenziano tuttavia, aldilà delle querelles storiche, il ruolo che la cavalleria aveva nel mondo tirrenico, e nel mondo euboico in particolare 28 . Essi confermano tra l'altro che aveva visto bene il compianto M. Frederiksen, in un articolo ormai memorabile apparso nell’ormai lontano 1968 29 . Per la fase classica, gli scavi hanno completato la definizione degli avancorpi a doppia cortina, con briglie trasversali di collegamento, databili all'ultimo quarto del V sec. 30 ; si è potuto poi constatare che verso la fine del IV sec. l'aulé antistante terza strada ... usciva dalla città poco lungi dal mare, ed era a simil guisa decorata di sepolcri» (cfr. Cuma 3, p. 15). 27 Cfr. LUPIA 2008-2009 (le frasi tra virgolette sono tratte dal testo di A. Carannante) e ora Cuma 3, pp. 332-341. 28 Cfr. LUBTCHANSKY 2005. 29 FREDERIKSEN 1968. 30 SCOPPETTA 2002-2003; Cuma 1, pp. 44-49; Cuma 3, pp. 50-59. la porta venne adeguata alle nuove tecniche militari: l'avancorpo occidentale venne infatti completato con l'aggiunta di una torre con dispositivo interno a croce 31 , adatta a sostenere un pesante macchinario bellico. Torri come questa furono addossate alla cortina esterna di Aristodemo: se ne conoscono almeno due, sporgenti di ca. m 4, e situate alla distanza di m 120 e 180 ca. ad occidente della porta mediana. Nella prima metà del III sec. a. C. le fortificazioni vennero ulteriormente potenziate, con l’aggiunta di una nuova cortina esterna in blocchi 32 disposti in assise piane, appoggiata a quella di età tardo-arcaica attraverso briglie della lunghezza di circa m 3,5, ad intervalli regolari di circa m 2, creando concamerazioni rettangolari, riempite da livelli di terra e scaglie di tufo. Questa sarà la cortina esterna definitiva delle fortificazioni fino ad età tardoantica. Essa terminava a ridosso delle cortine esterne dei due avancorpi, potenziando così la struttura della porta delineatasi alla fine del V sec. a.C. Le torri erette nel IV sec. a.C. furono riassorbite all'interno di questa nuova struttura, sporgendo rispetto al paramento ellenistico di ca. m 0,30. Furono queste le mura che ressero all'assedio di Annibale del 215 a.C., nonostante l'impiego di possenti macchine belliche da parte del generale cartaginese 33 . In avanzata età ellenistica (II sec. a.C.) l'aulé venne chiusa verso l'esterno dotando l'avancorpo orientale di una testata rettangolare, asimmetrica rispetto all'estremità a torre dell'avancorpo occidentale. La creazione di un possente piedritto in posizione centrale rispetto al nuovo assetto dimostra che l'aulé in questa fase venne dotata, anche verso l'esterno, di una porta. In seguito, un significativo intervento di ripristino della cortina interna 34 è riferibile al momento in cui Cuma divenne roccaforte sillana. Nello stesso momento, si sentì il bisogno di rinnovare la sistemazione del deflusso delle acque di superficie. Il problema aveva un'importanza vitale in considerazione del fatto che la strada che attraversava la porta mediana, la futura via Domiziana, saliva con forte pendenza dalla città verso la campagna, convogliando l'acqua verso l'area urbana. Per far fronte a questo forte inconveniente, venne creato un collettore in opera reticolata, munito di una grata, che scaricava l'acqua nel grande collettore di età tardo-arcaica, ancora funzionante 35 . L'aulé antistante la porta ricevette una sistemazione in età augustea. Nel corso del I sec. d.C. assunse un aspetto monumentale anche la porta 36 , a doppio fornice, costruita in opera cementizia con paramenti in opera reticolata inquadrati alle estremità da ammorsature prima in laterizio e quindi in blocchetti di tufo. L'attuale assetto della porta, almeno per quel che concerne i paramenti, è il risultato di Cuma 3, pp. 54-55, 158-160. Non sappiamo se un analogo dispositivo fosse stato aggiunto anche all'avancorpo orientale, profondamente trasformato in avanzata età ellenistica. Sul tipo di torre, cfr. KARLSSON 1992. 32 Cuma 1, pp. 49-52; Cuma 3, pp. 53-55, 160-165. 33 LIV. XXIII.36-37.1-9. 34 Cuma 1, pp. 59 ss. 35 Cuma 3, pp. 55 s. 36 Cuma 3, pp. 57-61. 31 due interventi costruttivi ravvicinati nel tempo, dei quali il secondo sembra conseguente alla pavimentazione con basoli della via Domiziana 37 . Molti dati convergono a dimostrare che le fortificazioni persero di interesse già dal II sec., sorte non condivisa dalla città bassa che - come oggi sappiamo - conservò una sua vitalità fino alla guerra gotica 38 . A questo periodo risalgono anche alcuni interventi intesi a restituire funzionalità alle fortificazioni, il più importante dei quali consiste nel rifacimento della testata dell'avancorpo orientale, già ristrutturata in età ellenistica 39 . La direttrice di traffico che attraversava la porta rimase in uso fino ad età medievale, subendo una serie di ripristini e restauri, che scandiscono le ultime pagine della storia del sito, e sono stati amorevolmente registrati da V. Malpede, che ne ha diretto lo scavo. . . . Mi sembra utile far seguire a questa cronistoria alcune considerazioni, riferibili quasi esclusivamente al periodo arcaico, che in parte riprendono, in parte integrano quanto esposto nelle precedenti pubblicazioni su Cuma 40 . Le vicende costruttive riscontrate nello scavo delle fortificazioni settentrionali ai lati della porta mediana trovano puntuale riscontro nei risultati degli interventi più limitati a suo tempo condotti sullo stesso lato delle mura presso la porta orientale 41 , e in prossimità della porta corrispondente delle mura meridionali 42 . In tutti questi interventi sono ritornate in luce le mura della metà del VI sec. (fase Ib2) e quelle del periodo tardo-arcaico (fase Ic), permettendo in tal modo di poter riconoscere una stabilità nella perimetrazione dell'area urbana e un notevole impegno da parte della comunità cittadina. Giustamente L. Cerchiai ha riconosciuto nel grandioso progetto di Aristodemo, che comprende il potenziamento delle mura, il fossato e il grande collettore fognario, la traccia di quel programma di opere pubbliche di cui ha tramandato il ricordo Plutarco, che ne travisò il significato rispecchiando una fonte avversa al tiranno 43 . Non sappiamo se le mura più antiche (fase Ib1) di cui si è finora trovato traccia solo nello scavo che include la porta mediana, databili ai primi anni del VI sec. 44 , siano state precedute da fasi più antiche: sembra tuttavia certo che comunque, almeno sul lato settentrionale, sia rimasto stabile nel tempo il limite dell'area urbana, come dimostra il fatto che il fossato tardo-arcaico intercettò e distrusse alcune tombe riferibili al momento stesso della fondazione della città antica 45 . Come si è accennato, ciò che colpisce, nello studio delle mura arcaiche, è il fatto che fin dal principio viene adottato uno schema complesso, consistente di due paramenti in blocchi con fodere interne di scaglie e terrapieno mediano. Si STAT., Silvae IV.3. Cfr. MALPEDE 2005. 39 Cuma 3, pp. 62-65. 40 Cuma 1, pp. 7 ss.; Cuma 3, pp. 30-33. 41 Cuma 1, pp. 179-206. 42 Cuma 1, pp. 207-249. 43 CERCHIAI 2000. 44 Cuma 3, pp. 42-43, 114-116. 45 D'AGOSTINO 1999, già sopra ricordato. 37 38 potrebbe riconoscervi il segno di una tradizione costruttiva ibrida, di frontiera, che sembra contaminare la concezione di un murus terreus, un aggere come quelli documentati ad esempio nelle città latine 46 , con un sistema a doppia cortina, documentato ad esempio nella prima fase della fortificazione di Selinunte 47 . E tuttavia lo stesso sistema è documentato, in forme altrettanto monumentali di quelle del muro di Aristodemo, nel grande bastione, scavato da P. Orsi, della porta occidentale di Megara Hyblaea. Nel recente volume dedicato a questa città, si è ritenuto di dover riconoscere nella struttura del bastione l'esito di due diverse fasi costruttive 48 . Tuttavia, come ho già avuto modo di osservare, l’evidenza su cui si basa questa ipotesi è piuttosto tenue, e inoltre «sembra difficile ammettere che la sostanziale analogia tra la struttura del bastione megarese e quella delle mura cumane possa essere frutto del caso» 49 . In Campania, i confronti più significativi vengono da Neapolis e da Pompei. A Neapolis, gli scavi esemplari diretti da D. Giampaola hanno permesso di stabilire su salde basi stratigrafiche la cronologia di numerosi tratti di mura, chiarendo in maniera esauriente le trasformazioni intervenute nelle diverse fasi. I tratti maggiormente indagati sono quelli che difendono il prospetto della città verso il mare e verso occidente; le mura seguono i contorni del basso tavolato collinare, inciso in più punti da marcati canaloni; quelle databili al V sec. consistono pertanto di un paramento in blocchi di tufo con fondazione in assise piane ed elevato in ortostati, raccordate al banco naturale da briglie. Nel settore orientale delle fortificazioni, in vico Sopramuro, si è rimesso in luce un lungo tratto di muro in ortostati, con le relative briglie. Come sempre, «tra la cortina e il banco, all'interno delle briglie, è gettato l'emplekton, costituito da grandi scaglie di tufo giallo ... alternate a livelli di terra». Dai materiali rinvenuti nell'emplekton si è potuta fissare la cronologia della cinta più antica, tra la fine del VI sec. e l'inizio del V sec. a.C. 50 , quindi negli stessi anni in cui veniva costruita la fortificazione di Aristodemo a Cuma. In occasione delle ricerche intervenute nella seconda metà degli anni ’50 dello scorso secolo, lo Johannowsky documenta l'esistenza di una fortificazione del V sec. a.C. che presenta una doppia cortina in ortostati con concamerazioni e briglie 51 . Sulle fortificazioni di Roma e del Lazio, cfr. QUILICI 1994; CIFANI 2008. Inutile ricordare che in quest'area le fortificazioni sono costantemente del tipo ad aggere con fossato e le opere murarie hanno la funzione di appoggio o di controscarpa dell'aggere, si tratta dunque di una concezione totalmente diversa da quella cumana. 47 Cuma 1, pp. 9 ss.; Cuma 3, pp. 30-33. 48 Mégara Hyblaea, pp. 248 s., 294 ss. 49 Cuma 3, p. 31. 50GIAMPAOLA-D'AGOSTINO 2005. La bibliografia sul tratto in questione, di Vico Sopramuro, è riportata a p. 51 nota 7. La retrodatazione della fondazione di Neapolis a un momento tra la fine del VI e gli inizi del V sec. è stata accolta da MELE 2007, p. 256; MELE 2009b, p. 184. 51 JOHANNOWSKY 1960, p. 490 figg. 12, 13, 15. Sul tratto in corrispondenza di via Settembrini è ritornata di recente D. Giampaola, riuscendo a localizzare la posizione topografica delle diverse cinte e della sezione pubblicata dallo Johannowsky alla fig. 15 (BUCCARO-GIAMPAOLA 2012, figg. 2-3). Sull'argomento la nota 75 a p. 31 di Cuma 3, dove si riporta una osservazione da me attribuita alla Giampaola, è imprecisa. 46 Non si può escludere che alla fase più antica appartenesse anche il tratto rimesso in luce nel corso della esplorazione in largo S. Aniello e a Villa Chiara 52 . Esso presentava un paramento in ortostati, con fascia marginale ribassata, trattamento che si riscontra nella fortificazione cumana della metà del VI sec. (fase Ib2) 53 , che ha blocchi della stessa altezza di quelli di S. Aniello (m 0,70), e un analogo andamento a scarpa. Che quella di S. Aniello sia una cortina esterna è dimostrato dalla presenza di ortostati disposti “per testa”, in filari alterni: è evidente che si tratta dell'innesto di briglie; purtroppo non si poté verificare l'esistenza di una cortina interna, poiché le mura erano parzialmente ricoperte da una strada moderna, né fu possibile indagare l'emplekton: va comunque osservato - per quel che vale - che dallo scavo provengono frammenti arcaici, tra i quali spicca una testina tardo-arcaica 54 . Nel confronto tra le mura tardo-arcaiche di Cuma e quelle napoletane coeve o di poco più recenti, colpisce la profonda differenza fra i due sistemi: la concezione delle briglie come veri e propri setti murari, che si osserva in vico Sopramuro e in altri tratti della fortificazione napoletana riferibili al V sec., è destinata a formare concamerazioni piene, nella logica dei compartment walls 55 , e si giustifica solo postulando l'esistenza di un sistema a doppia cortina. Lì dove esso fodera la scarpata collinare il sistema si presenta nella sua forma semplificata, con un solo paramento e briglie. Nelle mura cumane arcaiche, non di briglie si tratta ma di diatoni, costituiti non da un setto murario ma da singoli blocchi con l'estremità inserita a corsi alterni nel paramento murario; essi hanno l'unica funzione di rinsaldare l'adesione dei paramenti alle fodere in scaglie retrostanti. La teoria che ritiene il compartment wall non anteriore alla seconda metà del IV sec. 56 è manifestamente infondata. Come chiarisce R. Frederiksen, già nel VII sec. a.C. a Corinto è dimostrata l'esistenza di un compartment socle 57 . Le difficoltà che l'A. incontra nell'interpretare questo dato nascono dalla posizione consolidata nella storia degli studi, e nel fatto che dei muri con questo tipo di zoccolo non si conoscono gli elevati in pietra. Al VI sec., e probabilmente alla prima metà di esso, si data comunque il muro di Amatunte 58 . La proposta di far risalire il “sistema napoletano” alla transizione dal VI al V sec. non deve quindi sorprendere; in Campania esso trova sostegno nel confronto con le fortificazioni pompeiane: come ho già avuto modo di osservare, un confronto puntuale è fornito dalle mura a doppia cortina ad ortostati in calcare di Sarno che, pur nell'assenza di contesti datanti, possono essere assegnate ai primi D'ONOFRIO-D'AGOSTINO 1987, pp. 11, 206 s. Cuma 1, pp. 23 ss., 80 ss. 54 Napoli Antica, pp. 147 ss., p. 154 nr. 24.14. 55 Sull'argomento, cfr. Cuma 3, pp. 31 ss., dove, sul caso Napoli, si cita TRÉZINY 1999, p. 254. 56 Cfr. WINTER 1971, p. 310; KARLSSON 1992, pp. 73 ss.; HELLMANN 2010, p. 310 nota 63, cfr. Cuma 3 p. 31 nota 76: si sa che queste cronologie hanno un limite nella scarsità di datazioni basate su contesti sicuri. 57 FREDERIKSEN 2011, pp. 78, 92-93, 134 s. 58 FREDERIKSEN 2011, p. 128. 52 53 decenni del V sec. 59 . Un elemento di affinità con Cuma potrebbe vedersi nella adozione anche a Pompei della tecnica “pseudo-isodoma”, presente qui come nelle mura di Aristodemo 60 , dove essa si affianca alla normale tecnica isodoma. Del resto, che il compartment wall sia anteriore alla data finora invalsa è dimostrato dalla sua adozione nei due avancorpi che delimitano l'aulé della porta mediana 61 . Come ho già avuto modo di osservare, il sistema costruttivo degli avancorpi trova un preciso confronto a Neapolis, nella complessa struttura della porta Ercolanese a piazza Calenda 62 . Nel bastione meridionale è impiegato lo schema a doppia cortina con briglie di collegamento. Sulla base dei frammenti rinvenuti nell'emplekton, il bastione risulta all'incirca coevo con quello cumano 63 . Lo schema a doppia cortina, “napoletano”, si impone anche a Cuma quando il sistema di fortificazione raggiunge il massimo della sua consistenza, con l'aggiunta, nella prima metà del III sec., della nuova cortina esterna raccordata al muro tardo-arcaico da briglie 64 . Ma la convergenza tra le due città, per la concezione delle fortificazioni, deve piuttosto porsi alla fine del V sec. a.C., ed è dimostrata, come si è già visto, dalla impostazione degli avancorpi; essa potrebbe indicare l'integrazione di Cuma nell'orbita napoletana, con una netta inversione dei rapporti riconoscibile fino alla “conquista campana” di Capua e Cuma. Ma l'argomento è troppo impegnativo per essere affrontato da questo solo indizio. Bibliografia sulle mura di Cuma Cuma. Nuove forme, B. d'Agostino-A. D'Andrea (a cura di), Cuma. Nuove forme d'intervento per lo studio del sito antico, in AIONArchStAnt Quad. 14, Napoli 2002. Cuma 1, B. d'Agostino-F. Fratta-V. Malpede, Cuma. Le fortificazioni 1. Lo scavo 1994-2002, in AIONArchStAnt Quad. 15, Napoli 2005. Cuma 2, M. Cuozzo-B. d'Agostino-L. Del Verme, Cuma. Le fortificazioni 2. I materiali dai terrapieni arcaici, in AIONArchStAnt Quad. 16, Napoli 2006. Cuma 3, B. d'Agostino-M. Giglio (a cura di), Cuma. Le fortificazioni 3. Lo scavo 2004-2006, in AIONArchStAnt Quad. 19, Napoli 2012. DE CARO 1985, pp. 105-106. Purtroppo nemmeno negli interventi più recenti è stato possibile fondare su basi stratigrafiche una cronologia più precisa, anche se la cronologia alta è fortemente indiziata da dati relazionali, come mi conferma cortesemente il collega F. Pesando, che mi segnala la prossima pubblicazione - sulla rivista Vesuviana da lui diretta - dell'articolo di GASPARINIUROZ SÁEZ c.s. su scavi recenti a porta Nocera che coinvolgono le fortificazioni di questo periodo. 60 DE CARO 1985, p. 96 nota 67. Cfr. Cuma 3, pp. 45 ss.: l'impiego della tecnica pseudo-isodoma nelle fortificazioni tardo arcaiche di Cuma è stata osservata per prima da F. Fratta. 61 Vedi supra nota 29. 62 Cfr. da ultima, con nuovi dati, GIAMPAOLA 1996, pp. 59 ss. Sull'esistenza di almeno un avancorpo analogo nelle mura di piazza Bellini, cfr. Cuma 3, p. 32 nota 85. 63 GIAMPAOLA 1996, p. 91, data l'opera tra la fine del V e gli inizi del IV sec. a.C. 64 In quegli stessi anni il sistema del compartment wall viene anche adottato per le mura di Poseidonia-Paestum, cfr. CIPRIANI-PONTRANDOLFO 2010, pp. 369 ss. 59 Cuma 2009, Cuma, Atti del XLVIII Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto 2008, Taranto 2009. Mégara Hyblaea, M. Gras-H. Tréziny-H. Broise, Mégara Hyblaea 5. La ville archaïque, Rome 2004. Napoli antica, AA.VV., Napoli Antica (Catalogo della mostra), pp. 147-156 (d'Onofrio-d'Agostino). BUCCARO-GIAMPAOLA 2012, A. Buccaro-D. 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La condizione delle evidenze, inserite nel tessuto della città storica ed indagate in rapporto ad interventi di trasformazione delle aree in cui ricadono, rende frammentari i dati che quindi sono sottoposti alla discussione. Particolarmente significativo appare il confronto con le mura di Cuma che si afferma soprattutto nella fase dell’avanzato V secolo a.C. LE MURA DI SORRENTO ALLA LUCE DEI DATI DI SCAVO Tommasina Budetta, Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei Abstract: La comunicazione verterà sulla problematica ancora aperta della datazione degli unici tratti ancora a vista della fortificazione antica di Sorrento relativi a due porte, quella meridionale, c.d. Porta Parsano Nuova, e l’altra di Marina Grande, unico accesso della città sul lato mare. Grazie ai risultati di piccoli saggi archeologici effettuati dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei nei pressi delle antiche porte si portano all’attenzione degli studiosi gli elementi di datazione emersi e le possibili ipotesi sul tracciato murario antico. I saggi archeologici, infatti, rappresentano l’unico aggiornamento a nostra disposizione dopo la pubblicazione del Mingazzini-Pfister nel libro Surrentum pubblicato nella serie della Forma Italiae nel 1946. LE MURA DI POMPEI DALL’INCISIONE AL DIGITALE Grete Stefani, Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei Immacolata Bergamasco, Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei Luigi Scaroina, Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei Abstract: Lo scopo di questo intervento è quello di mostrare, attraverso un percorso prettamente topografico e non cronologico, lo sviluppo del percorso murario di Pompei, partendo da Porta Marina e proseguendo in direzione ovest, fino ad arrivare all’area posta al di sotto del Tempio di Venere. Questo percorso, che sarà presentato attraverso la proiezione di antica documentazione cartografica, di foto d’epoca e in generale di documenti relativi ai vecchi interventi di scavo e restauro, mostrerà inoltre l’evoluzione delle tecniche di documentazione dell’antica città di Pompei, e delle mura in particolare, con splendide stampe ottocentesche, rare documentazioni fotografiche degli scavi, fino alle più recenti immagini contenute nell’Archivio della Soprintendenza. Verranno inoltre mostrati i dati provenienti da indagini, ancora in corso, eseguite dalla Soprintendenza nella parte sottostante il Tempio di Venere, che hanno portato in luce un tratto delle fortificazioni, dove l’andamento e la tipologia della cinta muraria non sono ancora del tutto chiariti. LE MURA DI POMPEI: UN’INTRODUZIONE Fabrizio Pesando, Università “L’Orientale” di Napoli Abstract: Il dibattito sulla funzione, sequenza e cronologia delle diverse fasi delle mura di Pompei si è recentemente arricchito sia attraverso nuovi studi e attività di scavo, sia, più in generale, in seguito a nuove riflessioni sullo sviluppo urbanistico della città stimolate da un’intensa attività di ricerca estesa su gran parte delle aree pubbliche e private. Una sintesi su tali problematiche costituirà il preambolo alle relazioni che si soffermeranno sulle ultime acquisizioni e sugli studi ancora in corso. NUOVE RICERCHE PER UNA RILETTURA DELLE MURA DI POMPEI La storia delle mura dalla loro riscoperta ad oggi Lara Anniboletti, Università di Roma “Tor Vergata” Un progetto di archeologia dell’architettura sulle mura di Pompei Marco Fabbri, Università di Roma “Tor Vergata” Abstract: Dalla prima notizia certa sulla riscoperta delle mura di Pompei - il 15 ottobre 1763 ad oggi, sono stati portati alla luce quasi due terzi del perimetro murario lungo 3,235 chilometri. Un circuito che, presentandosi come uno straordinario palinsesto di tecniche e fasi edilizie, rappresenta una fonte unica per la definizione della storia urbana di Pompei. La distinzione delle diverse fasi edilizie si basa prevalentemente sulle indagini condotte a più riprese tra gli anni Trenta e Cinquanta del secolo scorso da Amedeo Maiuri. L’allora direttore degli scavi di Pompei ed Ercolano in un articolo del 1930 identificò cinque fasi costruttive principali, quasi tutte ricollegabili ad altrettante sostanziali trasformazioni del sistema difensivo. In anni più recenti tale articolazione è stata integrata con una fase originaria delle mura contraddistinta dalla presenza di blocchi in pappamonte. La maggioranza degli studiosi che si sono occupati delle mura e dello sviluppo urbano di Pompei hanno di fatto accettato tale ricostruzione, mentre numerose sono state le divergenze sulla definizione cronologica di ciascuna fase. Sulla base di tali premesse da alcuni anni l’Università di Roma “Tor Vergata”, in accordo con la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei e con altri enti di ricerca nazionali e internazionali, ha dato avvio a un progetto di ricerca finalizzato a recuperare nuove informazioni attraverso la sistematizzazione dei dati acquisiti in passato e la lettura stratigrafica dei tratti conservati. L’applicazione delle più recenti metodologie di indagine adottate nell’ambito dell’archeologia dell’architettura ha consentito di rilevare che la definizione delle sei diverse fasi edilizie fatta in precedenza non fosse sufficientemente rappresentativa delle numerose attività costruttive e distruttive che hanno caratterizzato la lunga storia del sistema difensivo pompeiano. Le ricerche sono state supportate dall’adozione di tecniche di documentazione informatizzate e dall’utilizzo di data-base alfanumerici e cartografici, strumenti imprescindibili nelle indagini che riguardano, come nel caso delle mura di Pompei, superfici murarie estese alcune migliaia di metri quadrati. I due interventi presentati nella giornata di studio sulle mura prevista il 7 Giugno, illustreranno il percorso fin qui fatto sperando che possa essere oggetto di confronto e dibattito con le altre ricerche in corso. Mura di Pompei: sezione ricostruttiva delle fasi edilizie di un tratto di mura in prossimità della torre 11 secondo Amedeo Maiuri (Maiuri 1930, fig. 12). Fotogrammetria del paramento esterno di un tratto di mura compreso tra Porta Ercolano e la torre 12. LE CASE SULLE MURA DELL'INSULA OCCIDENTALIS DI POMPEI. NUOVE SCOPERTE E RICERCHE IN CORSO DELL'UNIVERSITÀ DEGLI STUDI “SUOR ORSOLA BENINCASA” DI NAPOLI Umberto Pappalardo, Università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli Mario Grimaldi, Università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli Abstract: Introduzione Il complesso della Casa di Marco Fabio Rufo rappresenta uno degli esempi più insigni nel panorama architettonico di Pompei. Il giardino, di complessivi mq 1.581, è situato ad ovest della casa, a ridosso delle mura urbane, realizzate in opera quadrata in calcare del Sarno e qui visibili in parte. L’area appare delimitata da muri differenti per epoche e tecniche di realizzazione. Il lato nord è costituito nel tratto ovest da un muro in opera incerta, con scaglie di lava, mentre nel tratto est è visibile un bell’esempio di opera reticolata in tufo giallo napoletano. In questo tratto è presente l’attacco per l’imposta di una volta a botte, non rinvenuta nei primi scavi degli anni ’60 e ’70, ad opera rispettivamente del Maiuri e della Cerulli Irelli. Il lato est è delimitato da un muro di rivestimento in opera reticolata, in tufo giallo, scandito da tre nicchie rettangolari poste a m 18,5 l’una dall’altra. Anche su questo lato, sia nell’angolo a nord che in quello a sud, sono visibili gli attacchi per l’imposta di una volta conservatasi per intero solo a sud. Il lato sud è chiuso da un muro in opera reticolata di tufo giallo napoletano mal conservato nel tratto ovest. Il giardino è poi delimitato ad ovest da un muro in opera incerta, in scaglie di tufo, con orientamento nord-sud. Come attività preliminari allo scavo si sono avviate indagini geoelettriche con il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università “Federico II” di Napoli. Durante i nove anni di campagne di scavo condotte fino ad oggi sono stati aperti otto saggi posizionati nell’area del giardino. Dallo studio dei dati sin qui raccolti è stato possibile definire preliminarmente i seguenti periodi di utilizzo dell’area. Fortificazione Nell’area è visibile un lungo tratto delle mura in opera quadrata di calcare del Sarno databile alla prima fase sannitica tra IV e III secolo a.C., conservato per 10 filari nel punto di massima visibilità (altri 5 filari in basso si vedono all’interno dello stipite delle edicole). Osservando la loro disposizione è possibile notare come questa sia nel centro il risultato di due differenti “cantieri” che in questo punto andavano a incontrarsi. L’andamento dei filari da nord a sud dipende anche da un dislivello della fondazione dovuto ad una diversa morfologia, così come evidenziato nell’approfondimento condotto a nord nel SG 3D e a sud nel SG 2. Le mura infatti appaiono fondate direttamente entro il banco naturale di origine vulcanica, intercettato nell’approfondimento del SG 3D ad una quota di m 22,26 slm. Il nono filare, partendo dal piano superiore, mostra tracce di scalpellature effettuate in antico per una maggiore adesione della volta nel braccio est del portico. Nel tratto centrale al di sopra dell’edicola 2, all’altezza del decimo filare, appaiono i segni della messa in opera della piattabanda in opera vittata di tufo della copertura del portico. Sulle mura sono visibili degli incavi per accogliere dei tubuli circolari in terracotta, utili al deflusso delle acque dal giardino pensile, viridarium (56), del II livello della casa. Un altro tratto di mura è visibile sul lato orientale dell’ambiente (84), e continua verso sud, al di là del muro di fondo, nella proprietà della Casa di Maio Castricio (Ins. Occ. Reg. VII 16,17). Originariamente le mura dovevano arrivare sino all’altezza ancora visibile nel tratto a sud della Casa di Maio Castricio, ma evidentemente la costruzione del grande complesso architettonico della Casa di Marco Fabio Rufo con la sua apertura scenografica verso ovest ne provocò l’abbattimento di un grande tratto. L’area a giardino L’area del giardino appare delimitata, a nord, ad ovest e a sud, da muri in opera incerta con scaglie di lava, che segnavano i limiti di proprietà fra la Casa di Marco Fabio Rufo e i giardini della Casa del Bracciale d’Oro (a nord) e delle case di Maio Castricio e Umbricio Scauro (a sud) durante l’ultima fase abitativa ovvero quella precedente l’eruzione del 79 d.C. Dai dati emersi durante le campagne di scavo sin qui condotte si è portata alla luce la continuazione del transetto sud del portico ben oltre i limiti dell’area. Infatti l’USM 6 copre l’USM 22 (appartenente al portico) che continua il suo andamento verso ovest. Ciò comproverebbe un’estensione del giardino, durante la fase di vita del portico in reticolato di tufo giallo, maggiore rispetto a quella immediatamente prima dell’eruzione. L’intera area, infatti, subì un restringimento planimetrico sul lato ovest conseguente anche alla nuova destinazione d’uso come hortus produttivo della casa. Furono così rasate le strutture non più utilizzabili del portico e avviati i lavori di innalzamento del livello di calpestio con l’apporto di grandi quantità di materiale di risulta, dai lavori di restauro eseguiti all’interno della casa. All’interno di questo strato, US 3009, sono stati rinvenuti grandi quantità di materiali appartenenti alle precedenti fasi decorative della dimora. Un esempio degno di nota è il rinvenimento di alcuni grandi lacerti di pavimentazione in opus tessellatum di II stile appartenenti ad ambienti dei piani superiori. Di questi appaiono degni di nota gli RP 137, 147 e 150, riferibili a due pavimenti di età tardo repubblicana con tappeto a meandri (RP 147, 150) e cubi prospettici. Ciò che appare particolarmente interessante notare è l’esistenza di una sinopia di preparazione sia del disegno che del colore, attraverso la realizzazione di un reticolo ortogonale regolare utile per un disegno in scala e la presenza di tracce di colore diverse per spessore ad indicare il quantitativo di tessere da impiegare per ogni singolo meandro da realizzare. Le indagini condotte nel SG 5 hanno rivelato una diversa sistemazione dell’ingresso ovest della casa e del giardino con portico. Infatti l’accesso avveniva, nel primo tratto verso est, mediante una rampa (45) che, all’altezza dell’ingresso del giardino, conduceva ad una serie di quattro gradini. Da questi, attraverso un altro tratto di rampa, si giungeva allo scalone d’accesso, agli ambienti della casa e al solarium sul portico. Portico in opus reticulatum Da uno studio preliminare dei materiali associati ai rinvenimenti monetari all’interno della sequenza stratigrafica si desume che, tra il 40 d.C. ed il 62 d.C., venne avviata la costruzione di un portico in opera reticolata di tufo giallo; la tecnica costruttiva infatti appare quella largamente utilizzata anche all’interno della Casa di Marco Fabio Rufo negli ambienti del II livello (ad es. oecus 62). Il portico appariva completato nella sua volumetria e planimetria e attendeva le ultime fasi di rifinitura nella decorazione delle pareti, dove era già stato steso lo stucco di preparazione, e nel piano pavimentale. All’interno del SG 3 (settori A, D ed F) si è infatti rinvenuto in crollo un tratto della volta (USM 3006) facente parte della copertura del portico e occupante quasi centralmente, con andamento nord-sud, l’intera area dei saggi per circa m 15. Tale crollo appare anche oltre i limiti dei settori di scavo sia a nord che a sud. Il portico, con il terremoto del 62 d.C., che ne causò il disuso e il successivo crollo, appariva così completato in planimetria e coperto da una volta a botte ribassata al di sopra della quale era un pavimento in cocciopesto di ottima fattura, rinvenuto anch’esso in fase di crollo ed interpretabile quale solarium dal confronto con quello della Villa Imperiale posto al di sopra dello xystus. I risultati emersi dall’indagine nel SG 4 hanno portato ad una revisione della planimetria e ad un ripensamento sull’estensione originaria del portico. Questo infatti appare continuare al di sotto del successivo muro di recinzione ovest del giardino, dando così la possibilità di ipotizzare un portico a quattro bracci, secondo una tipologia accertata nell’area (Insula Occidentalis Casa VI 17, 32-36) e nell’area suburbana occupata dalla ville di Diomede e dei Misteri. Il muro a nord del portico, con direzione est-ovest, appare realizzato nel tratto ovest in opera incerta con scaglie di lava ed è leggermente avanzato verso sud rispetto al tratto est, dov’è realizzato in opera reticolata di tufo giallo. Al centro del muro è presente l’accesso posto sulla stessa linea del tratto est e raccordato al muro in opera incerta del tratto ovest mediante un ricorso di blocchetti di tufo. In questo tratto nuovi dati sono stati apportati dall’indagine condotta nel SG 5, che ha documentato livelli differenti di frequentazione rappresentati dai piani relativi all’utilizzo del portico. Questi, infatti, costituiscono le prime tracce di strutture murarie precedenti la costruzione del portico e riutilizzate per la sua realizzazione. Tali strutture si riferiscono ad un probabile sistema di smaltimento idrico precedente al portico, riconosciuto anche nel SG 3 con il rinvenimento di vasche per la raccolta e l’uso di acqua. Il muro perimetrale est del portico infatti, nelle sue fasi di realizzazione e riuso, è stato oggetto dell’indagine condotta nel SG 3 nei settori A, D-F-G-H, per la relazione dei quali si rimanda alla seguente relazione della dott.ssa Ilaria Picillo. Esso appare infatti realizzato da un lato secondo un sapiente riutilizzo di strutture preesistenti e dall’altro di livellamenti del banco naturale piroclastico. L’opus reticulatum infatti si imposta (SG 3A-B-D-F-G-H) sulla rasatura di strutture murarie precedenti. Il muro sud presenta le medesime caratteristiche di quello nord. Infatti entrambi, a differenza del muro est, presentano una fondazione a sacco con risega al di sopra della quale comincia l’alzato del muro in opera reticolata. All’interno il portico presenta un esteso rivestimento di intonaco grezzo, dalla volta sino all’imposta del piano pavimentale, dove restano tracce dell’uso della cordicella per gli allineamenti ma che non fu mai decorato dal pictor imaginarius. Risulta invece assente la preparazione pavimentale per i piani di frequentazione. Verso il lato centrale del giardino il portico risultava aperto tramite l’utilizzo di pilastri in vittato di tufo successivamente smantellati e di cui restano tracce visibili nel SG 3E-B-I. L’area esterna al portico è stata indagata nelle indagini condotte nel SG 3E-B-I, per la relazione dei quali si rimanda al testo seguente del dott. Alessandro Russo. Ne sono emersi l’utilizzo dell’area con piani di lavorazione riferibili al completamento dei lavori del portico e il rinvenimento di una fossa con andamento nord-sud parallela alla precedente USM 3145 e in fase con la realizzazione dell’USM 3110. Dallo svuotamento della fossa sono emerse quattro olle forate relative ad una prima disposizione a giardino dell’area esterna al portico. Per tali indagini si è instaurata una stretta collaborazione tra il Laboratorio di Bioarcheologia della SANP e il Laboratorio di Scienze e Tecniche applicate all’archeologia dell’USOB. Vasche L’indagine condotta nelle ultime campagne di scavo ha accertato l’esistenza di strutture murarie precedenti alla costruzione del portico in tufo (SG 3 settori A, D, F, G, H). Tali strutture, realizzate in opera incerta con blocchi di lava legati con malta e rivestite internamente con cocciopesto idraulico, sono probabilmente da attribuire ad un utilizzo privato dell’area esterna delle case gravitanti in quest’area tra la fine del I sec. a.C. e i primi anni del I sec. d.C. Esse infatti dipendono da un precedente utilizzo dell’area esterna alla Casa di Marco Fabio Rufo in periodo tardo-repubblicano e di prima età augustea, cioè tra l’ultimo quarto del I sec. a.C. e il primo decennio del I sec. d.C., stando all’esame dei materiali rinvenuti nella loro fossa di fondazione, US 3265. Le strutture appartenevano alla casa precedente (quella di II-III stile) al momento della ridistribuzione degli spazi e di rifacimento delle decorazioni, momento caratterizzato dalla realizzazione di tutti gli ambienti in opus reticulatum e del portico esterno, esse furono rasate per la costruzione e l’imposta del nuovo portico in tufo. Conclusioni La ricerca condotta sinora permette di riassumere quattro fasi principali di occupazione dell’area sottoposta ad indagine. • (III-II sec. a.C.) Nella fase più antica, si registra la presenza di un grande salto di quota del banco tufaceo in cui è edificata la cinta muraria, caratterizzato dalla presenza di canalizzazioni per lo smaltimento di acqua e dalle tracce residue della costruzione della cinta stessa. • (fine I sec. a.C.) Segue l’occupazione attraverso la costruzione delle vascheserbatoi e il conseguente riempimento del dislivello attraverso un grande scarico di materiali in cui confluiscono i resti di una struttura sacra distrutta. • (prima metà I sec. d.C.) Viene costruito un portico annesso agli ambienti della casa, crollato a seguito del terremoto del 62 d.C. • (dal 62 al 79 d.C.) Nell’ultima fase di occupazione l’intera area, dismessa, viene utilizzata come discarica per i materiali edilizi prodotti dalla ristrutturazione e, nell’ultimissimo periodo di vita, per la realizzazione di un hortus. M.G. Il nuovo progetto di ricerca A fronte delle ricerche complessivamente presentate al punto 1. e dei risultati fino a oggi raggiunti, la richiesta della concessione di scavo si inserisce in un programma scientifico complesso, sintetizzabile nei seguenti punti salienti: A. Studio e analisi tecnico scientifica delle stratigrafie murarie in alzato e degli apparati decorativi di tre complessi adiacenti quali la Casa del Bracciale d’Oro, la Casa di Marco Fabio Rufo e la Casa di M. Castricio. Contemporaneamente si procederà ad un’indagine di tipo stratigrafico nelle aree esterne dei giardini corrispondenti alle suddette case allo scopo di meglio comprendere le fasi di realizzazione urbanistica della città con le mura del tratto occidentale, nonché con la creazione delle case in quest’area. Le indagini condotte si qui nell’area del giardino della Casa di Marco Fabio Rufo hanno infatti dimostrato la presenza di particolari realtà di enorme valore conoscitivo per la conoscenza delle fasi di vita della città di Pompei. Tali elementi appaiono confermati anche dalla iniziale fase di indagine stratigrafica condotta in quest’anno solare anche nel giardino della Casa del Bracciale d’Oro a nord della precedente. B. In aggiunta e parallelamente all'azione di scavo è previsto quindi un intenso programma di rilevazione con metodologia scanner (laser e a luce strutturata) delle testimonianze murarie presenti oggi nonché del sistema di canalizzazione individuato nell’area già oggetto di indagine. L'elaborazione di tali modelli permetterà uno studio definitivo della tipologia e delle caratteristiche strutturali dei moduli abitativi di questo particolare tratto della città. C. Parallelamente alle operazioni sul campo è previsto un intenso programma di attività di laboratorio. Queste si svolgeranno presso i Laboratori di Scienze Applicate all'Archeologia (certificati UNI EN ISO 9001:2008) situati all'ultimo piano della Facoltà di Lettere, nell'edificio di S.ta Caterina da Siena e presso il Laboratorio Vallet collocato nell'area della Rampa Storica del plesso universitario storico-monumentale. Tali attività toccheranno diversi aspetti imprescindibili per l'elaborazione di una idonea documentazione delle peculiarità del sito. D. Ultimo punto è la possibilità di sperimentare e vagliare nuove soluzioni di tutela e immagazzinamento dati degli apparati decorativi e delle strutture murarie al fine di creare un valido supporto tecnico scientifico alla conservazione e restauro di queste abitazioni. THE FORTIFICATION WALLS OF POMPEII FIRST RESULTS OF AN ARCHITECTURAL RESEARCH PROJECT Christiane Brasse, Brandenburgische Technische Universität Cottbus Abstract: Devoted to the fortification walls of Pompeii from an architectural point of view and supported by the Gerda Henkel Foundation, a new research project was carried out over the last two years. The detailed investigation supervised by Prof. Dr.-Ing. Klaus Rheidt and Dipl.-Ing. Christiane Brasse (Institute for the History of Architecture at Brandenburg University of Technology in Cottbus) forms part of the larger Pompeii project entitled “Le mura urbiche di Pompei”. During four campaigns all visible remains of the city walls including their topographical situation have been mapped comprehensively, using a highly effective combination of different measuring and documentation methods. Apart from the overall plan, detailed scale-up drawings and photogrammetric recordings of all relevant gates, towers and curtains have been created leading to the possibility to set up a three-dimensional digital mockup of the whole structure. The analysis of the collected data is still ongoing, but some highly interesting observations concerning constructional details, building techniques, manufacturing process and, last but not least, the undeniable course of the walls have already been made. To sum up, information obtained yields significant importance for the evaluation of certain chronological sequences respectively the various building phases of the defensive walls. The paper aims to give an overview on fieldwork carried out but will as well present first results concerning the fortification system but as well the urban development of the city. IL MURO IN PAPPAMONTE NELLA CONCERIA I 5, 2: UN TRATTO DELLE MURA? Jean Pierre Brun, Centre Jean Bérard Abstract: Nel corso degli scavi eseguiti nella conceria I 5, 2 presso la Porta Stabia, è stato scoperto un tratto di muro in pappamonte parallelo alle mura sannitiche. In alcuni punti, tre filari di blocchi sono conservati. Malgrado perturbazioni stratigrafiche dovute a costruzioni successive, è preservata una parte della trincea di fondazione nella quale è stato scoperto un pezzo di ceramica della fine del VI sec. a.C. Se questo muro fa parte dello stesso sistema di mura visibile a Porta Nocera, si pone la questione della sua datazione. IL PROGETTO “LE MURA URBICHE DI POMPEI”. I SAGGI STRATIGRAFICI EFFETTUATI DALL’UNIVERSITÀ DI ALICANTE TRA PORTA NOCERA E LA TORRE IV (2009-2010) José Uroz Sáez, Universidad de Alicante Valentino Gasparini, Universität Erfurt Claudia Costantino, Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Umbria Abstract: I cinque saggi stratigrafici effettuati dall’Università di Alicante (con il patrocinio del Ministero della Cultura di Spagna) nell’autunno del 2009 e del 2010 tra Porta Nocera e la Torre IV (in seno al Progetto Internazionale “Le mura urbiche di Pompei. Un approccio globale per la ricostruzione della fisionomia urbanistica della città”) riaprono il dibattito scientifico relativo a vari temi di estrema importanza storico-archeologica: la frequentazione dell’area almeno a partire dall’Età del Bronzo, i depositi vulcanici conseguenti alle eruzioni sub-pliniane del 1700-700 a.C., la cronologia delle differenti fasi architettoniche della fortificazione, le rispettive caratteristiche topografiche ed edilizie, le tecniche di poliorcetica e, infine, eventuali riti di fondazione. La cortina muraria che circondò la città di Pompei tra la prima metà del VI secolo a.C. e il 79 d.C. (attraverso le sue fasi di età arcaica, classica, sannitica e romana) costituisce l’elemento centrale per la comprensione delle dinamiche che determinarono l’origine dell’abitato e il suo sviluppo urbanistico. E l’area di Porta Nocera conserva un’eccezionale sovrapposizione delle strutture edificate a difesa della città nel corso di sei secoli di storia. La singolarità di questi due fattori rende prioritarie un’attenta lettura del registro stratigrafico evidenziato dai recenti scavi alicantini, la sua cauta contestualizzazione nel quadro nella micro - e macro - storia pompeiana, la rianalisi di alcune interpretazioni topografiche consolidatesi nei decenni e, infine, la stesura di nuove questioni che possano indirizzare le indagini future. ATTIVITÀ RELIGIOSE E INDUSTRIALI SUI MURI DI POMPEI: LE PROVE DA PORTA STABIA Steven Ellis, Cincinnati University Abstract: Questa presentazione esamina la recente scoperta di attività religiose e industriali costruite nel muro presso la Porta Stabia. Recenti scavi da parte dell'Università di Cincinnati hanno scoperto tre santuari, due che sono stati tagliati nel muro e conservano resti di sacrifici, e un terzo, molto più grande, adiacente al muro. Queste strutture dovevano essere presenti già a partire dal III secolo a.C. Associato a questi santuari è un forno per la ceramica che ha prodotto piccoli vasi che sono stati utilizzati nel grande santuario. Questa presentazione si propone di delineare la storia e il contesto di queste ultime scoperte in relazione alle mura di Pompei. L’ISCRIZIONE CIL I² 1629 E LA SUA RELAZIONE CON UNA POSSIBILITÀ DI RESTAURO DELLA CINTA MURARIA PRESSO LA TORRE IX Satoshi Sakai, Doshisha University Abstract: L’iscrizione CIL I² 1629 fu trovata negli anni ’60 dell’Ottocento in cinque frammenti a Pompei nella Casa detta di “Marte e Venere” (VII I, 40) ed il suo contenuto è stato interpretato in diverse maniere. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che si riferisca ad un restauro di una parte della cinta muraria per la presenza in essa della parola murus, mentre altri l’hanno messa in relazione ad una costruzione meno importante. Il problema fondamentale per un’identificazione di carattere costruttivo di questa iscrizione si trova nell’interpretazione della parola pluma, che potrebbe riferirsi ad un elemento architettonico, ma il suo esatto significato non è stato chiarito fino ad oggi. Per quanto riguarda la datazione, il Nissen la datava alla fine dell’epoca repubblicana, ma oggi la maggior parte degli studiosi la collocano alla prima epoca della colonia, poiché in essa sono riportati i nomi dei duoviri. Comunque il Nissen affermava anche che l’iscrizione stessa provava che la cinta muraria pompeiana si sviluppò anche in epoca tardo repubblicana. Durante gli scavi dell’ex Japan Institute of Paleological Studies di Kyoto, che si è concentrato sulla cinta muraria di Pompei nella zona della c.d. Porta Capua dal 1993 fino al 2003, è stata individuata una torre, la c.d. Torre IX, che aveva un particolare carattere architettonico molto differente dalle altre torri di Pompei. Accanto alla torre, ad ovest, si nota anche una costruzione molto caratteristica, forse unica struttura di tal genere presente lungo la cinta muraria pompeiana. Infatti, questa struttura è stata identificata come la torre stessa negli studi dell’Ottocento. La particolarità architettonica dipende soprattutto dal fatto che la cinta muraria in questa zona subì una totale distruzione e fu poi ricostruita, ma non si può precisare quando. Nella relazione che si presenta, chi parla tenterà di identificare il periodo del restauro della cinta muraria in base alla cronologia della tecnica costruttiva per poter poi verificare la possibilità che la suddetta iscrizione possa riferirsi al restauro della Torre IX e a quello della struttura ad ovest della torre stessa, che è stata ricostruita contemporaneamente ad essa, e sopratutto tenterà di definire il significato della parola pluma in relazione ad un elemento architettonico.