Confessiones 3, 7-8
397-401
4. 7. Fu in tale compagnia che trascorsi quell'età
ancora malferma, studiando i testi di eloquenza. Qui bramavo
distinguermi, per uno scopo deplorevole e frivolo quale quello
di soddisfare la vanità umana; e fu appunto il corso normale
degli studi che mi condusse al libro di un tal Cicerone,
ammirato dai più per la lingua, non altrettanto per il cuore.
Quel suo libro contiene un incitamento alla filosofia e
s'intitola Ortensio. Quel libro, devo ammetterlo, mutò il mio
modo di sentire, mutò le preghiere stesse che rivolgevo a te,
Signore, suscitò in me nuove aspirazioni e nuovi desideri, svilì
d'un tratto ai miei occhi ogni vana speranza e mi fece bramare
la sapienza immortale con incredibile ardore di cuore. Così
cominciavo ad alzarmi per tornare a te . Non usavo più per
affilarmi la lingua, per il frutto cioè che apparentemente
ottenevo con il denaro di mia madre: avevo allora diciotto anni
e mio padre era morto da due; non per affilarmi la lingua
dunque usavo quel libro, che mi aveva del resto conquistato
non per il modo di esporre, ma per ciò che esponeva.
4. 8. Come ardevo, Dio mio, come ardevo di rivolare dalle
cose terrene a te, pur ignorando cosa tu volessi fare di me. La
sapienza sta presso di te, ma amore di sapienza ha un nome
greco, filosofia. Del suo fuoco mi accendevo in quella
lettura. Taluno seduce il prossimo mediante la filosofia,
colorando e truccando con quel nome grande, fascinoso e
onesto i propri errori. Ebbene, quasi tutti coloro che sia al suo
tempo, sia prima agirono in tal modo, vengono bollati e
denunciati in quel libro. Così vi è illustrato l'ammonimento
salutare che ci diede il tuo spirito per bocca del tuo servitore
buono e pio: Attenti che nessuno v'inganni mediante la
filosofia e la vana seduzione propria della tradizione umana,
propria dei princìpi di questo mondo, ma non propria di Cristo,
perché in Cristo sussiste tutta la pienezza della divinità
corporeamente. A quel tempo, lo sai tu, lume della mia mente,
io ignoravo ancora queste parole dell'Apostolo; pure, una cosa
sola bastava a incantarmi in quell'incitamento alla filosofia: le
sue parole mi stimolavano, mi accendevano, m'infiammavano
ad amare, a cercare, a seguire, a raggiungere, ad abbracciare
vigorosamente non già l'una o l'altra setta filosofica, ma la
sapienza in sé e per sé là dov'era. Così una sola circostanza
mi mortificava, entro un incendio tanto grande: l'assenza fra
quelle pagine del nome di Cristo. Quel nome per tua
misericordia, Signore, quel nome del salvatore mio, del Figlio
tuo, nel latte stesso della madre, tenero ancora il mio cuore
aveva devotamente succhiato e conservava nel suo profondo.
Così qualsiasi opera ne mancasse, fosse pure dotta e forbita e
veritiera, non poteva conquistarmi totalmente.
4. 7. Inter hos ego imbecilla tunc aetate discebam
libros eloquentiae, in qua eminere cupiebam fine
damnabili et ventoso per gaudia vanitatis humanae, et
usitato iam discendi ordine perveneram in librum
cuiusdam Ciceronis, cuius linguam fere omnes
mirantur, pectus non ita.
Sed liber ille ipsius exhortationem continet ad
philosophiam et vocatur Hortensius. Ille vero liber
mutavit affectum meum et ad te ipsum, Domine,
mutavit preces meas et vota ac desideria mea fecit
alia. Viluit mihi repente omnis vana spes et
immortalitatem sapientiae concupiscebam aestu cordis
incredibili et surgere coeperam, ut ad te redirem. Non
enim ad acuendam linguam, quod videbar emere
maternis mercedibus, cum agerem annum aetatis
undevicesimum iam defuncto patre ante biennium, non
ergo ad acuendam linguam referebam illum librum
neque mihi locutionem, sed quod loquebatur
persuaserat.
4. 8. Quomodo ardebam, deus meus, quomodo
ardebam revolare a terrenis ad te, et nesciebam quid
ageres mecum! Apud te est enim sapientia. Amor
autem sapientiae nomen graecum habet philosophiam,
quo me accendebant illae litterae. Sunt qui seducant
per philosophiam magno et blando et honesto nomine
colorantes et fucantes errores suos, et prope omnes,
qui ex illis et supra temporibus tales erant, notantur in
eo libro et demonstrantur, et manifestatur ibi salutifera
illa admonitio spiritus tui per seruum tuum bonum et
pium: Videte, ne quis vos decipiat per philosophiam et
inanem seductionem secundum traditionem hominum,
secundum elementa huius mundi et non secundum
Christum quia in ipso inhabitat omnis plenitudo
divinitatis corporaliter. Et ego illo tempore, scis tu,
lumen cordis mei, quoniam nondum mihi haec
apostolica nota erant, hoc tamen solo delectabar in illa
exhortatione, quod non illam aut illam sectam, sed
ipsam quaecumque esset sapientiam ut diligerem et
quaererem et assequerer et tenerem atque
amplexarem fortiter, excitabar sermone illo et
accendebar et ardebam, et hoc solum me in tanta
flagrantia refrangebat, quod nomen Christi non erat ibi,
quoniam hoc nomen secundum misericordiam tuam,
Domine, hoc nomen salvatoris mei, Filii tui, in ipso
adhuc lacte matris tenerum cor meum pie biberat et
alte retinebat, et quidquid sine hoc nomine fuisset
quamvis litteratum et expolitum et veridicum non me
totum rapiebat.
Confessiones 3, 7, 12
397-401
7. 12. Ignaro infatti dell'altra realtà, la vera, ero indotto ad
approvare quelle che sembravano acute obiezioni dei miei
stolti seduttori, quando mi chiedevano

quale fosse l'origine del male,

se Dio fosse circoscritto da una forma corporea
e avesse capelli e unghie,

se si dovesse stimare giusto chi teneva
contemporaneamente più mogli, uccideva uomini
e sacrificava animali. Io, ignorante in materia, ne
rimanevo scosso.
1. Mentre mi allontanavo dalla verità, credevo di camminare
verso di lei, senza sapere che il male non è se non
privazione del bene fino al nulla assoluto.
2. Dove, per altro, avrei potuto vedere la verità, se i miei
occhi non vedevano oltre i corpi, l'intelletto oltre i
fantasmi? E non sapevo che Dio è spirito, non un essere
dotato di membra estese in lunghezza e larghezza, e di
massa: perché le parti di una massa sono ciascuna
minore dell'insieme, e se pure la massa sia infinita, è
minore nelle parti definite entro un certo spazio che
nell'insieme infinito, né una massa è tutta intiera
dovunque, come lo spirito, come Dio.
3. Cosa poi vi sia in noi che ci fa essere e ci fa dire
giustamente nella Scrittura fatti a immagine di Dio , lo
ignoravo totalmente.
7. 12. Nesciebam enim aliud, vere quod est, et quasi
acutule movebar, ut suffragarer stultis deceptoribus,
cum a me quaererent,

unde malum

et utrum forma corporea Deus finiretur et
haberet capillos et ungues

et utrum iusti existimandi essent qui
haberent uxores multas simul et
occiderent homines et sacrificarent de
animalibus.
1.
Quibus rerum ignarus perturbabar et recedens a
veritate ire in eam mihi videbar, quia non
noveram malum non esse nisi privationem boni
usque ad quod omnino non est.
2.
Quod unde viderem, cuius videre usque ad
corpus erat oculis et animo usque ad
phantasma? Et non noveram Deum esse
spiritum, non cui membra essent per longum et
latum nec cui esse moles esset, quia moles in
parte minor est quam in toto suo, et si infinita sit,
minor est in aliqua parte certo spatio definita
quam per infinitum et non est tota ubique sicut
spiritus, sicut Deus.
3.
Et quid in nobis esset, secundum quod essemus,
et recte in Scriptura diceremur ad imaginem Dei ,
prorsus ignorabam.
Confessiones 5, 10, 19
397-401
Mi era nata infatti anche l'idea che i più accorti di tutti i
filosofi fossero stati i cosiddetti accademici, in quanto avevano
affermato che bisogna dubitare di ogni cosa, e avevano
sentenziato che all'uomo la verità è totalmente inconoscibile.
Allora mi sembrava che la loro dottrina fosse proprio quella
che gli si attribuisce comunemente, poiché non capivo ancora
il loro vero intento.
Così rintuzzai apertamente l'esagerata fiducia che, mi
avvidi, il mio ospite riponeva nelle favole di cui sono pieni i libri
manichei. Tuttavia mantenevo rapporti di amicizia più con
questi che con gli altri uomini alieni dalla loro eresia; e se non
la sostenevo con l'ardore di un tempo, però la familiarità con i
suoi seguaci, occultati in grande numero a Roma, mi rendeva
meno solerte nella ricerca di altro, tanto più che non speravo
di trovare nella tua Chiesa, Signore del cielo e della terra ,
creatore di tutte le cose visibili e invisibili, la verità, da cui essi
mi avevano allontanato.
Mi sembrava sconvenientissimo credere


che tu hai la figura della carne umana e sei
circoscritto nei limiti materiali delle nostre
membra.
L'incapacità di pensare, volendo pensare il mio
Dio, a cosa diversa da una massa corporea,
poiché mi pareva che nulla esistesse senza un
corpo, era la suprema e quasi unica ragione del
mio inevitabile errore.
10. 19. Etenim suborta est etiam mihi cogitatio,
prudentiores illos ceteris fuisse philosophos, quos
Academicos appellant, quod de omnibus dubitandum
esse censuerant nec aliquid veri ab homine
comprehendi posse decreverant.
Ita enim et mihi liquido sensisse videbantur, ut vulgo
habentur, etiam illorum intentionem nondum
intellegenti.
Nec dissimulavi eumdem hospitem meum reprimere a
nimia fiducia, quam sensi eum habere de rebus
fabulosis, quibus Manichaei libri pleni sunt. Amicitia
tamen eorum familiarius utebar quam ceterorum
hominum, qui in illa haeresi non fuissent. Nec eam
defendebam pristina animositate, sed tamen
familiaritas eorum (plures enim eos Roma occultat)
pigrius me faciebat aliud quaerere praesertim
desperantem in Ecclesia tua Domine caeli et terrae ,
Creator omnium visibilium et invisibilium posse
inveniri verum, unde me illi averterant, multumque
mihi turpe videbatur

credere figuram te habere humanae
carnis et membrorum nostrorum
lineamentis corporalibus terminari.

Et quoniam cum de Deo meo cogitare
vellem, cogitare nisi moles corporum non
noveram (neque enim videbatur mihi
esse quidquam, quod tale non esset) ea
maxima et prope sola causa erat
inevitabilis erroris mei
Confessiones 5, 11, 21
397-401
Esistevano poi le critiche dei manichei alle tue Scritture,
che mi sembravano irrefutabili. Eppure a volte avrei desiderato
davvero sottoporre alcuni singoli passi a qualche profondo
conoscitore dei libri sacri per sondare la sua opinione. C'era
ad esempio un certo Elpidio, che soleva discutere
pubblicamente proprio con i manichei e che già a Cartagine mi
aveva impressionato con i suoi discorsi, poiché citava certi
passi scritturali difficilmente contrastabili. Le risposte degli
avversari mi sembravano deboli; per di più preferivano darcele
in segreto, anziché esporle in pubblico.
Sostenevano che gli scritti del Nuovo Testamento erano
stati falsati, chissà poi da chi, col proposito d'innestare la
legge dei giudei sulla fede cristiana, senza presentare dal
canto loro alcun esemplare integro di quel testo. Ma io,
incapace di raffigurarmi un essere incorporeo, rimanevo
soprattutto schiacciato, per così dire, dalle masse famose:
prigioniero e soffocato sotto il loro peso, anelavo a respirare
l'aria limpida e pura della tua verità, ma invano
11. 21. Deinde quae illi in Scripturis tuis
reprehenderant defendi posse non existimabam, sed
aliquando sane cupiebam cum aliquo illorum librorum
doctissimo conferre singula et experiri, quid inde
sentiret. Iam enim Elpidii cuiusdam adversus eosdem
Manichaeos coram loquentis et disserentis sermones
etiam apud Carthaginem movere me coeperant, cum
talia de Scripturis proferret, quibus resisti non facile
posset. Et imbecilla mihi responsio videbatur istorum;
quam quidem non facile palam promebant, sed nobis
secretius, cum dicerent Scripturas Novi Testamenti
falsatas fuisse a nescio quibus, qui Iudaeorum legem
inserere christianae fidei voluerunt, atque ipsi
incorrupta exemplaria nulla proferrent. Sed me
maxime captum et offocatum quodam modo
deprimebant corporalia cogitantem moles illae, sub
quibus anhelans in auram tuae veritatis liquidam et
simplicem respirare non poteram.
Confessiones 5, 14, 25
397-401
Allora però tesi tutte le forze del mio spirito nella ricerca di
un argomento inconfutabile, con cui dimostrare la falsità delle
dottrine manichee. Se solo avessi potuto pensare a una
sostanza spirituale, tutte le loro macchinose costruzioni si
sarebbero istantaneamente sfasciate e dileguate dalla mia
mente. Ma non riuscivo. Riguardo alla struttura del mondo,
tuttavia, e all'intera natura soggetta ai nostri sensi fisici, le mie
considerazioni e i miei raffronti mi persuasero sempre meglio
che le teorie della maggioranza dei filosofi erano molto più
attendibili.
Nel mio dubitare di tutto, secondo il costume degli
accademici quale è immaginato comunemente, e nel fluttuare
fra tutte le dottrine, risolsi di abbandonare davvero i manichei.
Giudicai che proprio in quella fase d'incertezza non dovessi
rimanere in una setta che ormai ponevo più in basso di
parecchi filosofi, sebbene poi mi rifiutassi assolutamente di
affidare alle loro cure la debolezza della mia anima , poiché
ignoravano il nome di Cristo. Decisi dunque di rimanere come
catecumeno nella Chiesa cattolica, raccomandatami dai miei
genitori, in attesa che si accendesse una luce di certezza, su
cui dirigere la mia rotta
14. 25. Tum vero fortiter intendi animum, si quo modo
possem certis aliquibus documentis Manichaeos
convincere falsitatis. Quod si possem spiritalem
substantiam cogitare, statim machinamenta illa omnia
solverentur et abicerentur ex animo meo: sed non
poteram. Verum tamen de ipso mundi huius corpore
omnique natura, quam sensus carnis attingeret, multo
probabiliora plerosque sensisse philosophos magis
magisque considerans atque comparans iudicabam.
Itaque Academicorum more, sicut existimantur,
dubitans de omnibus atque inter omnia fluctuans
Manichaeos quidem relinquendos esse decrevi, non
arbitrans eo ipso tempore dubitationis meae in illa
secta mihi permanendum esse cui iam nonnullos
philosophos praeponebam; quibus tamen philosophis,
quod sine salutari nomine Christi essent, curationem
languoris animae meae
committere omnino
recusabam. Statui ergo tandiu esse catechumenus in
catholica Ecclesia mihi a parentibus commendata,
donec aliquid certi eluceret, quo cursum dirigerem.
Confessiones 7, 13-23 (estratti)
397-401
9. 13. Anzitutto volesti mostrarmi come tu resista ai
superbi, mentre agli umili accordi favore ; e con quanta
misericordia tu abbia indicato agli uomini la via dell'umiltà, dal
momento che il tuo Verbo si è fatto carne e abitò in mezzo agli
uomini. Per il tramite dunque di un uomo gonfio d'orgoglio
smisurato mi provvedesti alcuni libri dei filosofi platonici
tradotti dal greco in latino.
[…]
10. 16. Ammonito da quegli scritti a tornare in me stesso,
entrai nell'intimo del mio cuore sotto la tua guida; e lo potei,
perché divenisti il mio soccorritore.
Vi entrai e scorsi con l'occhio della mia anima, per quanto
torbido fosse, sopra l'occhio medesimo della mia anima, sopra
la mia intelligenza, una luce immutabile. Non questa luce
comune, visibile a ogni carne, né della stessa specie ma di
potenza superiore, quale sarebbe la luce comune se
splendesse molto, molto più splendida e penetrasse con la
sua grandezza l'universo. Non così era quella, ma cosa
diversa, molto diversa da tutte le luci di questa terra. Neppure
sovrastava la mia intelligenza al modo che l'olio sovrasta
l'acqua, e il cielo la terra, bensì era più in alto di me, poiché fu
lei a crearmi, e io più in basso, poiché fui da lei creato. Chi
conosce la verità, la conosce, e chi la conosce, conosce
l'eternità. La carità la conosce.
[…]
9. 13. Et primo uolens ostendere mihi, quam resistas
superbis, humilibus autem des gratiam et quanta
misericordia tua demonstrata sit hominibus via
humilitatis, quod Verbum tuum caro factum est et
habitavit inter homines , procurasti mihi per quemdam
hominem immanissimo typho turgidum quosdam
Platonicorum libros ex Graeca lingua in Latinam
versos
[…]
10. 16. Et inde admonitus redire ad memet ipsum
intravi in intima mea duce te et potui, quoniam factus
es adiutor meus.
Intravi et vidi qualicumque oculo animae meae supra
eumdem oculum animae meae, supra mentem meam
lucem incommutabilem, non hanc vulgarem et
conspicuam omni carni nec quasi ex eodem genere
grandior erat, tamquam si ista multo multoque clarius
claresceret totumque occuparet magnitudine. Non
hoc illa erat, sed aliud, aliud valde ab istis omnibus.
Nec ita erat supra mentem meam, sicut oleum super
aquam nec sicut caelum super terram, sed superior,
quia ipsa fecit me, et ego inferior, quia factus ab ea.
Qui novit veritatem, novit eam, et qui novit eam, novit
aeternitatem. Caritas novit eam.
[…]
Chiesi: "La verità è dunque un nulla, poiché non si estende
nello spazio sia finito sia infinito?"; e tu mi gridasti da lontano :
"Anzi, io sono colui che sono ". Queste parole udii con l'udito
del cuore. Ora non avevo più motivo di dubitare. Mi sarebbe
stato più facile dubitare della mia esistenza, che dell'esistenza
della verità, la quale si scorge comprendendola attraverso il
creato .
et dixi: "Numquid nihil est veritas, quoniam neque per
finita neque per infinita locorum spatia diffusa est?".
Et clamasti de longinquo : "Immo uero ego sum qui
sum ". Et audivi, sicut auditur in corde, et non erat
prorsus, unde dubitarem faciliusque dubitarem vivere
me quam non esse veritatem, quae per ea, quae
facta sunt, intellecta conspicitur .
11. 17. Osservando poi tutte le altre cose poste al di sotto
di te, scoprii che né esistono del tutto, né non esistono del
tutto. Esistono, poiché derivano da te; e non esistono, poiché
non sono ciò che tu sei, e davvero esiste soltanto ciò che
esiste immutabilmente.
11. 17. Et inspexi cetera infra te et vidi nec omnino
esse nec omnino non esse: esse quidem, quoniam
abs te sunt, non esse autem, quoniam id quod es non
sunt. Id enim vere est, quod incommutabiliter manet.
[…]
[…]
12. 18. Mi si rivelò anche nettamente la bontà delle cose
corruttibili, che non potrebbero corrompersi né se fossero beni
sommi, né se non fossero beni. Essendo beni sommi,
sarebbero incorruttibili; essendo nessun bene, non avrebbero
nulla in se stesse di corruttibile. La corruzione è infatti un
danno, ma non vi è danno senza una diminuzione di bene.
Dunque o la corruzione non è danno, il che non può essere, o,
com'è invece certissimo, tutte le cose che si corrompono
subiscono una privazione di bene. Private però di tutto il bene
non esisteranno del tutto. Infatti, se sussisteranno senza
potersi più corrompere, saranno migliori di prima, permanendo
senza corruzione; ma può esservi asserzione più mostruosa di
questa, che una cosa è divenuta migliore dopo la perdita di
tutto il bene? Dunque, private di tutto il bene, non esisteranno
del tutto; dunque, finché sono, sono bene. Dunque tutto ciò
che esiste è bene, e il male, di cui cercavo l'origine, non è una
sostanza, perché, se fosse tale, sarebbe bene: infatti o
12. 18. Et manifestatum est mihi, quoniam bona sunt,
quae corrumpuntur, quae neque si summa bona
essent, neque nisi bona essent, corrumpi possent,
quia, si summa bona essent, incorruptibilia essent, si
autem nulla bona essent, quid in eis corrumperetur,
non esset. Nocet enim corruptio et, nisi bonum
minueret, non noceret. Aut igitur nihil nocet corruptio,
quod fieri non potest, aut, quod certissimum est,
omnia, quae corrumpuntur, privantur bono. Si autem
omni bono privabuntur, omnino non erunt. Si enim
erunt et corrumpi iam non poterunt, meliora erunt,
quia incorruptibiliter permanebunt. Et quid
monstrosius quam ea dicere omni bono amisso facta
meliora? Ergo si omni bono privabuntur, omnino nulla
erunt; ergo quandiu sunt, bona sunt. Ergo
quaecumque sunt, bona sunt, malumque illud, quod
quaerebam unde esset, non est substantia, quia, si
sarebbe una sostanza incorruttibile, e allora sarebbe
inevitabilmente un grande bene; o una sostanza corruttibile,
ma questa non potrebbe corrompersi senza essere buona.
Così vidi, così mi si rivelò chiaramente che tu hai fatto tutte le
cose buone e non esiste nessuna sostanza che non sia stata
fatta da te; e poiché non hai fatto tutte le cose uguali, tutte
esistono in quanto buone ciascuna per sé e assai buone tutte
insieme, avendo il nostro Dio fatto tutte le cose buone assai .
[…]
17. 23. […] Nel ricercare infatti la ragione per cui
apprezzavo la bellezza dei corpi sia celesti sia terrestri, e i
mezzi di cui dovevo disporre per formulare giudizi equi su
cose mutevoli, allorché dicevo: "Questa cosa dev'essere così,
quella no"; nel ricercare dunque la spiegazione dei giudizi che
formulavo giudicando così, scoprii al di sopra della mia mente
mutabile l'eternità immutabile e vera della verità.



E così salii per gradi dai corpi all'anima, che
sente attraverso il corpo, dall'anima alla sua
potenza interna, cui i sensi del corpo
comunicano la realtà esterna, e che è la
massima facoltà delle bestie.
Di qui poi salii ulteriormente all'attività razionale,
al cui giudizio sono sottoposte le percezioni dei
sensi corporei;
ma poiché anche quest'ultima mia attività si
riconobbe mutevole, ascese alla comprensione
di se medesima. Distolse dunque il pensiero
dalle sue abitudini, sottraendosi alle contradizioni
della fantasia turbinosa, per rintracciare sia il
lume da cui era pervasa quando proclamava
senza alcuna esitazione che è preferibile ciò che
non muta a ciò che muta, sia la fonte da cui
derivava il concetto stesso d'immutabilità,
concetto che in qualche modo doveva
possedere, altrimenti non avrebbe potuto
anteporre con certezza ciò che non muta a ciò
che muta.

Così giunse, in un impeto della visione trepida,
all'Essere stesso. Allora finalmente scorsi quanto
in te è invisibile, comprendendolo attraverso il
creato;

ma non fui capace di fissarvi lo sguardo.
Quando, rintuzzata la mia debolezza, tornai fra
gli oggetti consueti, non riportavo con me che un
ricordo amoroso e il rimpianto, per così dire, dei
profumi di una vivanda che non potevo ancora
gustare.
substantia esset, bonum esset. Aut enim esset
incorruptibilis substantia, magnum utique bonum, aut
substantia corruptibilis esset, quae nisi bona esset,
corrumpi non posset. Itaque vidi et manifestatum est
mihi, quia omnia bona tu fecisti et prorsus nullae
substantiae sunt, quas tu non fecisti. Et quoniam non
aequalia omnia fecisti, ideo sunt omnia, quia singula
bona sunt et simul omnia valde bona, quoniam fecit
Deus noster omnia bona valde
[…].
17. 23. […]. Quaerens enim, unde approbarem
pulchritudinem corporum sive caelestium sive
terrestrium et quid mihi praesto esset integre de
mutabilibus iudicanti et dicenti: "Hoc ita esse debet,
illud non ita", hoc ergo quaerens, unde iudicarem,
cum ita iudicarem, inveneram incommutabilem et
veram veritatis aeternitatem supra mentem meam
commutabilem.

Atque ita gradatim a corporibus ad sentientem
per corpus animam atque inde ad eius interiorem
vim, cui sensus corporis exteriora nuntiaret, et
quousque possunt bestiae,

atque inde rursus ad ratiocinantem potentiam, ad
quam refertur iudicandum, quod sumitur a
sensibus corporis;

quae se quoque in me comperiens mutabilem
erexit se ad intellegentiam suam et abduxit
cogitationem a consuetudine, subtrahens se
contradicentibus turbis phantasmatum, ut
inveniret quo lumine aspergeretur, cum sine ulla
dubitatione
clamaret
incommutabile
praeferendum esse mutabili, unde nosset ipsum
incommutabile (quod nisi aliquo modo nosset,
nullo modo illud mutabili certa praeponeret)

et pervenit ad id, quod est in ictu trepidantis
aspectus. Tunc vero invisibilia tua per ea quae
facta sunt intellecta conspexi,

sed aciem figere non evalui et repercussa
infirmitate redditus solitis non mecum ferebam
nisi amantem memoriam et quasi olefacta
desiderantem, quae comedere nondum possem.
Confessiones 9 (estratti)
397-401
2. 2. Decisi davanti ai tuoi occhi di non troncare
clamorosamente, ma di ritirare pianamente l'attività della mia
lingua dal mercato delle ciance. Non volevo che mai più i
fanciulli cercassero, anziché la tua legge e la tua pace, i fallaci
furori e gli scontri forensi comprando dalla mia bocca le armi
alla loro ira. Per una fortunata coincidenza mancavano ormai
pochissimi giorni alle vacanze vendemmiali. Perciò decisi di
pazientare quel poco. Mi sarei poi congedato come sempre,
ma, da te riscattato, non sarei ritornato più a vendermi. Questo
il nostro piano, noto a te, ignoto invece agli uomini, eccetto gli
amici intimi. Si era convenuto fra noi di non parlarne in giro ad
alcuno, sebbene durante la nostra ascesa dalla valle del
pianto, mentre cantavamo il cantico dei gradini, ci avessi dato
frecce acuminate e carboni devastatori per difenderci dalle
lingue perfide, che sotto veste di consigliere contraddicono e
sotto veste d'amiche divorano, come si fa col cibo.
[…]
4. 7. E venne il giorno della liberazione anche materiale
dalla professione di retore, da cui ero spiritualmente già libero.
Così fu: sottraesti la mia lingua da un'attività, cui avevi già
sottratto il mio cuore. Partito per la campagna [di Cassiciacum]
con tutti i miei familiari, ti benedicevo gioioso.
L'attività letteraria da me esplicata laggiù interamente al tuo
servizio, benché sbuffante ancora, come nelle pause della
lotta, di alterigia scolastica, è testimoniata nei libri ricavati dalle
discussioni che ebbi con i presenti, e con me solo davanti a te;
mentre quelle che ebbi con Nebridio assente sono
testimoniate nel mio epistolario. […]
2. 2. Et placuit mihi in conspectu tuo non tumultuose
abripere, sed leniter subtrahere ministerium linguae
meae nundinis loquacitatis, ne ulterius pueri
meditantes non legem tuam, non pacem tuam, sed
insanias mendaces et bella forensia mercarentur ex
ore meo arma furori suo. Et opportune iam paucissimi
dies supererant ad vindemiales ferias, et statui
tolerare illos, ut sollemniter abscederem et redemptus
a te iam non redirem venalis. Consilium ergo nostrum
erat coram te, coram hominibus autem nisi nostris
non erat et convenerat inter nos, ne passim cuiquam
effunderetur, quamquam tu nobis a convalle
plorationis ascendentibus et cantantibus canticum
graduum dederas sagittas acutas et carbones
vastatores adversus linguam subdolam velut
consulendo contradicentem et, sicut cibum assolet,
amando consumentem.
4. 7. Et venit dies, quo etiam actu solverer a
professione rhetorica, unde iam cogitatu solutus
eram. Et factum est, eruisti linguam meam, unde iam
erueras cor meum, et benedicebam tibi gaudens
profectus in uillam cum meis omnibus.
Ibi quid egerim in litteris iam quidem servientibus tibi,
sed adhuc superbiae scholam tamquam in
pausatione anhelantibus testantur libri disputati cum
praesentibus et cum ipso me solo coram te; quae
autem cum absente Nebridio, testantur epistulae.
Contra Academicos 2, 9, 23
386
9. 23. E tu non dovresti ignorare che non ho mai raggiunto
alcun principio da ammettere con certezza e che ne sono stato
impedito dalle argomentazioni e dispute degli accademici.
Neanche io so come hanno potuto incutere nel mio animo
l'accettazione probabile, tanto per stare alla loro terminologia,
che l'uomo non può trovare il vero.
9. 23. Tunc ergo nescis, nihil me certum adhuc habere
quod sentiam, sed ab eo quaerendo Academicorum
argumentis atque disputationibus impediri? Nescio
enim quomodo fecerunt in animo quamdam
probabilitatem (ut ab eorum verbo nondum recedam),
quod homo verum invenire non possit:
Ero divenuto del tutto pigro e indolente né osavo cercare
quanto non è stato dato di raggiungere ad uomini assai dotti e
perspicaci. Se io prima non otterrò per me la persuasione di
poter raggiungere il vero nella misura con cui essi raggiunsero
la persuasione opposta, non oserò iniziare la ricerca. Poi non
ho una dottrina da difendere. Quindi ritira la tua domanda, per
favore, e discutiamo piuttosto fra noi con tutta la possibile
avvedutezza sulla possibilità di raggiungere il vero. Da parte
mia, mi pare di avere già molti argomenti con cui intendo far
forza contro la tesi degli accademici. Frattanto non c'è
differenza fra loro e me, se non che a loro sembrò probabile
l'impossibilità di raggiungere il vero e per me è probabile la
possibilità. Difatti l'ignoranza del vero o è una mia particolare
situazione se essi fingevano, ovvero è comune a me e a loro".
unde piger et prorsus segnis effectus eram, nec
quaerere audebam, quod acutissimis ac doctissimis
viris invenire non licuit. Nisi ergo prius tam mihi
persuasero verum posse inveniri, quam sibi illi non
posse persuaserunt; non audebo quaerere, nec habeo
aliquid quod defendam. Itaque istam interrogationem
remove, si placet, et potius discutiamus inter nos,
quam sagaciter possumus, utrumnam possit verum
inveniri. Et pro parte mea videor mihi habere iam
multa, quibus contra rationem Academicorum niti
molior: inter quos et me modo interim nihil distat, nisi
quod illis probabile visum est, non posse inveniri
veritatem; mihi autem inveniri posse probabile est.
Nam ignoratio veri, aut mihi, si illi fingebant, peculiaris
est, aut certe utrisque communis.
Contra Academicos 3, 19, 42
386
19. 42. Oggi quasi non notiamo più filosofi se si eccettuano
cinici, peripatetici e platonici.
I cinici sono coloro che hanno
materialistica ed edonistica della vita.
una
concezione
Per quanto riguarda la concezione intellettualistica e quella
spiritualistica dell'anima, non sono mancati uomini assai
perspicaci e studiosi, i quali hanno affermato che Aristotele e
Platone, nell'esposizione della loro dottrina, sono stati così
concordi che soltanto agli ignoranti e meno perspicaci
possono sembrare discordi.
Quindi attraverso molti secoli e molte controversie è stato,
a mio avviso, configurato un comune insegnamento della vera
filosofia.
Essa infatti non è filosofia del mondo sensibile, che le
nostre sacre Scritture giustamente detestano, ma di un mondo
sovrasensibile.
Ma ad esso questa profonda speculazione non
richiamerebbe le anime, accecate dalle multiformi tenebre
dell'errore e rese dimentiche da un cumulo di scorie corporee,
se il sommo Dio per benevolenza verso la massa, non avesse
abbassato e calato l'autorità dell'intelligenza divina all'umana
sensibilità. Le anime, mosse non solo dal suo insegnamento
ma anche dalle sue opere, sono potute tornare in sé e
ricordarsi della patria anche senza il concerto delle filosofie.
19. 42. Itaque nunc philosophos non fere videmus,
nisi aut Cynicos aut Peripateticos aut Platonicos: et
Cynicos quidem, quia eos vitae quaedam delectat
libertas atque licentia.
Quod autem ad eruditionem doctrinamque attinet, et
mores quibus consulitur animae, quia non defuerunt
acutissimi et solertissimi viri, qui docerent
disputationibus suis Aristotelem ac Platonem ita sibi
concinere, ut imperitis minusque attentis dissentire
videantur;
multis quidem saeculis multisque contentionibus, sed
tamen eliquata est, ut opinor, una verissimae
philosophiae disciplina.
Non enim est ista huius mundi philosophia, quam
sacra nostra meritissime detestantur, sed alterius
intellegibilis;
cui animas multiformibus erroris tenebris caecatas, et
altissimis a corpore sordibus oblitas, nunquam ista
ratio subtilissima revocaret, nisi summus Deus
populari quadam clementia divini intellectus
auctoritatem usque ad ipsum corpus humanum
declinaret, atque submitteret; cuius non solum
praeceptis, sed etiam factis excitatae animae redire in
semetipsas, et resipiscere patriam, etiam sine
disputationum concertatione potuissent.
De Beata Vita 1, 4
386
1. 4. Stando così le cose, ascolta, o mio Teodoro, poiché a
te solo mi rivolgo e te ritengo capace di comprendere il mio
intento, ascolta dunque quale delle tre categorie di persone mi
ha fatto rivolgere a te, in quale luogo ritengo di essere e quale
aiuto mi attendo da te.
Fin dal diciannovesimo anno della mia vita, dopo aver letto,
nella scuola del retore, il libro di Cicerone, dal
titolo L'Ortensio, fui preso da tanto amore per la filosofia che
subito decisi di dedicarmi ad essa.
Ma non mancarono nebbie per cui il mio navigare fu senza
mèta e a lungo, lo confesso, ebbi fisso lo sguardo su stelle che
tramontavano nell'oceano e che inducevano nell'errore. Difatti
una falsa e puerile interpretazione della religione mi
distoglieva dall'indagine. Reso più maturo, mi allontanai dalla
foschia e mi creai la persuasione che ci si dovesse affidare più
a coloro che usano la ragione che a coloro che usano
l'autorità.
M'incontrai allora con individui i quali ritenevano che la luce
sensibile si deve venerare fra le cose altamente divine. Non
ero d'accordo, ma supponevo che intendessero celare una
nobile dottrina in concetti arcani. In seguito me li avrebbero
svelati. Ma quando, dopo averli esaminati attentamente, li
abbandonai soprattutto con la traversata di questo mare, a
lungo gli accademici tennero il mio timone fra i marosi in lotta
con tutti i venti.
Alfine giunsi in questa regione e qui conobbi la stella polare
cui affidarmi. Avvertii infatti spesso, nei discorsi del nostro
vescovo e talora nei tuoi, che all'idea di Dio non si deve
associare col pensiero nulla di materiale e neanche all'idea
dell'anima che nel mondo è il solo essere assai vicino a Dio.
Ma, lo confesso, ero trattenuto dal volare in seno alla
filosofia dagli allettamenti della donna e dell'onore con questa
mira che, una volta conseguitili, sorte che è toccata a pochi
fortunati, alfine a vele spiegate e con tutta la forza dei remi
sarei potuto rifugiarmi nel seno della filosofia e ottenervi la
quiete.
E letti assai pochi libri di Plotino, di cui so che sei grande
ammiratore, e, per quanto mi fu possibile, messa a confronto
con essi anche l'autorità che ci ha trasmesso la sacra dottrina,
m'infiammai talmente da voler levare subitamente tutte le
ancore. Mi trattenne l'apprezzamento di alcune persone. Che
altro mancava se non che venisse in aiuto a me, che stavo
gingillandomi in problemi di poco conto, una tempesta che può
sembrare contraria? E proprio a proposito mi assalì un così
grave mal di petto che non avendo forze per sostenere il peso
della professione, con la quale avrei forse volto le vele verso le
Sirene, ho abbandonato tutto e ho ricondotto la nave, sia pure
tutta squassata, alla desiderata quiete.
1. 4. Quae cum ita sint, accipe, mi Theodore, namque
ad id quod desidero, te unum intueor, teque
aptissimum semper admiror; accipe, inquam, et quod
illorum trium genus hominum me tibi dederit, et quo
loco mihi esse videar, et abs te cuiusmodi auxilium
certus exspectem.
Ego ab usque undevigesimo anno aetatis meae,
postquam in schola rhetoris librum illum Ciceronis, qui
Hortensius vocatur, accepi, tanto amore philosophiae
succensus sum, ut statim ad eam me ferre meditarer.
Sed neque mihi nebulae defuerunt, quibus
confunderetur cursus meus; et diu, fateor, quibus in
errorem ducerer, labentia in oceanum astra suspexi.
Nam et superstitio quaedam puerilis me ab ipsa
inquisitione terrebat: et ubi factus erectior, illam
caliginem dispuli, mihique persuasi docentibus potius
quam iubentibus esse credendum;
incidi in homines quibus lux ista quae oculis cernitur,
inter summe divina colenda videretur. Non
assentiebar, sed putabam eos magnum aliquid tegere
illis involucris, quod essent aliquando aperturi. At ubi
discussos eos evasi, maxime traiecto isto mari, diu
gubernacula mea repugnantia omnibus ventis in
mediis fluctibus Academici tenuerunt.
Deinde veni in has terras; hic septentrionem cui me
crederem didici. Animadverti enim et saepe in
sacerdotis nostri, et aliquando in sermonibus tuis, cum
de Deo cogitaretur, nihil omnino corporis esse
cogitandum, neque cum de anima: nam id est unum in
rebus proximum Deo.
Sed ne in philosophiae gremium celeriter advolarem,
fateor, uxoris honorisque illecebra detinebar; ut cum
haec essem consecutus, tum demum me, quod paucis
felicissimis licuit, totis velis omnibusque remis in illum
sinum raperem, ibique conquiescerem.
Lectis autem Plotini paucissimis libris, cuius te esse
studiosissimum accepi, collataque cum eis, quantum
potui, etiam illorum auctoritate qui divina mysteria
tradiderunt, sic exarsi, ut omnes illas vellem anchoras
rumpere, nisi me nonnullorum hominum existimatio
commoveret. Quid ergo restabat aliud, nisi ut
immoranti mihi superfluis, tempestas quae putatur
adversa, succurreret? Itaque tantus me arripuit
pectoris dolor, ut illius professionis onus sustinere non
valens, qua mihi velificabam fortasse ad Sirenas,
abicerem omnia, et optatae tranquillitati vel quassatam
navem fessamque perducerem.
De Doctrina Christiana 4, 12, 27
426/7
Un personaggio celebre per la sua eloquenza ha detto - e diceva la verità - che
l'oratore deve parlare in modo da istruire, da piacere e da convincere. E
1
aggiungeva: Istruire è necessità; piacere, dolcezza; convincere, vittoria .
Di queste tre cose
-
quella che è stata segnalata al primo posto, cioè la necessità di
istruire, appartiene all'essenza stessa delle cose che diciamo,
-
mentre le altre due riguardano il modo come le diciamo.
Chi dunque parla allo scopo di istruire, finché non è stato compreso non ritenga
di aver comunicato il suo sapere a colui che si proponeva di istruire. In effetti,
sebbene abbia detto le cose che egli personalmente comprende, non deve ritenere
di averle dette a colui dal quale non è stato compreso. Se al contrario è stato
compreso, in qualunque modo le abbia dette le ha dette bene.
Se invece vuol dilettare o convincere colui a cui parla, ciò otterrà non parlando
come gli viene sulla lingua ma ricercando anche il modo di porgere.
Pertanto come si deve piacere all'uditore per cattivarsene l'ascolto così lo si
deve convincere per farlo passare all'azione; e come gli si piace parlando con
gradevolezza, così lo si convince se si riuscirà
-
a fargli amare quel che gli si promette,
-
a temere ciò che gli si minaccia,
-
a odiare ciò che gli si rimprovera,
-
ad accettare ciò che gli si raccomanda, a
-
dolersi di ciò che a fosche tinte gli si descrive come spiacevole.
Così quando predichi che goda di ciò che procura gioia, che abbia compassione
di coloro che a parole gli dipingi come persone meritevoli d'essere compatite, che
eviti coloro che spaventandolo gli proponi di dover fuggire. Lo stesso si dica di ogni
altra cosa che con l'eloquenza solenne può conseguirsi in ordine all'eccitare gli
animi degli uditori non a conoscere ciò che si deve fare, ma a fare ciò che già
conoscono come necessario a farsi.
1
Cf. Cicerono, De orat. 1, 69.
12. 27. Dixit ergo quidam
eloquens, et verum dixit, ita
dicere debere eloquentem ut
doceat, ut delectet, ut
flectat.
Deinde
addidit: Docere necessitatis
est, delectare suavitatis,
flectere victoriae. Horum
trium quod primo loco
positum est, hoc est docendi
necessitas, in rebus est
constituta quas dicimus,
reliqua duo in modo quo
dicimus. Qui ergo dicit cum
docere vult, quamdiu non
intellegitur,
nondum
se
existimet dixisse quod vult ei
quem vult docere; quia etsi
dixit quod ipse intellegit,
nondum illi dixisse putandus
est a quo intellectus non est;
si vero intellectus est,
quocumque modo dixerit,
dixit. Quod si etiam delectare
vult eum cui dicit, aut
flectere, non quocumque
modo dixerit faciet, sed
interest quomodo dicat, ut
faciat. Sicut est autem ut
teneatur ad audiendum,
delectandus auditor; ita
flectendus, ut moveatur ad
agendum. Et sicut delectatur
si suaviter loqueris, ita
flectitur si amet quod
polliceris,
timeat
quod
minaris, oderit quod arguis,
quod
commendas
amplectatur, quod dolendum
exaggeras doleat, cum quid
laetandum
praedicas
gaudeat, misereatur eorum
quos miserandos ante oculos
dicendo constituis, fugiat eos
quos caven dos terrendo
proponis; et quidquid aliud
grandi eloquentia fieri potest
ad commovendos animos
auditorum,
non
quid
agendum sit ut sciant, sed ut
agant quod agendum esse
iam sciunt.
De Magistro 14, 45
389
14. 45. E i maestri dichiarano forse che siano ritenuti per l'apprendimento i
loro pensieri anziché le stesse discipline che pensano di trasmettere con la
parola? E chi è cosi scioccamente amante del sapere da mandare a scuola
il proprio figlio perché apprenda ciò che pensa il maestro? Piuttosto,
quando hanno esposto con parole tutte le discipline che dichiarano d'insegnare,
comprese quelle della morale e della filosofia, allora i così detti discepoli
considerano nella loro interiorità se le nozioni sono vere, sforzandosi, cioè,
d'intuire la verità ideale. Soltanto allora apprendono e quando scopriranno
nell'interiorità che le nozioni sono vere, lodano, senza pensare che non lodano i
docenti ma i dotti se, tuttavia, anche costoro sanno quel che dicono.
S'ingannano dunque gli uomini nel chiamare maestri quelli che non lo sono
perché il più delle volte fra il momento del discorso e quello della conoscenza
non v'è discontinuità; e poiché dopo l'esposizione dell'insegnante
immediatamente apprendono nell'interiorità, suppongono di avere
appreso da colui che ha esposto dall'esterno.”
14. Num
hoc
magistri
profitentur, ut cogitata eorum, ac
non ipsae disciplinae quas
loquendo se tradere putant,
percipiantur atque teneantur?
Nam quis tam stulte curiosus
est, qui filium suum mittat in
scholam, ut quid magister
cogitet discat? At istas omnes
disciplinas quas se docere
profitentur, ipsiusque virtutis
atque sapientiae, cum verbis
explicaverint; tum illi qui discipuli
vocantur, utrum vera dicta sint,
apud semetipsos considerant,
interiorem
scilicet
illam
veritatem pro viribus intuentes.
Tunc ergo discunt: et cum vera
dicta esse intus invenerint,
laudant, nescientes non se
doctores potius laudare quam
doctos; si tamen et illi quod
loquuntur sciunt. Falluntur
autem homines, ut eos qui non
sunt magistros vocent, quia
plerumque
inter
tempus
locutionis et tempus cognitionis,
nulla mora interponitur; et
quoniam post admonitionem
sermocinantis cito intus discunt,
foris se ab eo qui admonuit,
didicisse arbitrantur
De Trinitate 14, 26
dopo il 420
19. 26. È questa sapienza contemplativa che, a mio parere,
le Scritture chiamano propriamente sapienza, distinguendola
dalla scienza; sapienza dell’uomo certamente, ma che egli non
possiede, a meno che non la riceva da Colui che, per
partecipazione, può rendere veramente sapiente lo spirito
razionale e intelligente.
19. 26. Hanc contemplativam sapientiam, quam
proprie puto in Litteris sanctis a scientia distinctam
sapientiam nuncupari, dumtaxat hominis, quae quidem
illi non est, nisi ab illo cuius participatione vere sapiens
fieri mens rationalis et intellectualis potest,
È di essa che Cicerone fa l’elogio alla fine del dialogo
"Ortensio":
Quae nobis, inquit, dies noctesque considerantibus,
acuentibusque intellegentiam, quae est mentis acies,
caventibusque ne quando illa hebescat, id est, in
philosophia viventibus magna spes est,
Noi che giorno e notte meditiamo queste cose ed
aguzziamo la nostra intelligenza, che è la punta viva dello
spirito e che stiamo attenti a non lasciarla ottundersi, cioè noi
che viviamo da filosofi, abbiamo una grande speranza:
•
•
•
ciò che pensiamo e gustiamo spiritualmente è
mortale e caduco, ed allora, compiuti i doveri
umani, la morte ci sarà dolce e ci
estingueremo senza rimpianto, e sarà come
il riposo della vita;
o se, come hanno pensato gli antichi filosofi e
fra essi i più grandi e di gran lunga più illustri,
abbiamo un’anima eterna e divina, allora
dobbiamo ritenere che quanto più un uomo
avrà agito senza distogliersi dalla sua via,
cioè in conformità alla ragione ed al desiderio
di sapere e quanto meno si sarà mescolato e
avrà preso parte ai vizi e agli errori degli
uomini, tanto più l’ascesa e il ritorno al cielo
gli saranno facili .
Poi riprendendo e completando il suo
ragionamento aggiunge: Per questo, per por
fine a questa discussione, se vogliamo
estinguerci tranquillamente, dopo esserci
dedicati durante la nostra vita a queste
discipline, o se vogliamo passare senza
alcun intervallo di tempo da questa dimora in
un’altra infinitamente migliore, dobbiamo
dedicare a questi studi tutti i nostri sforzi e
tutta la nostra attenzione .
Mi meraviglio che un uomo di tanto ingegno a degli uomini
dediti alla filosofia, che li rende beati con la contemplazione
della verità, prometta, una volta compiuti i loro doveri umani,
una morte dolce, se ciò che pensiamo e gustiamo
spiritualmente è mortale e caduco, come se morisse e si
estinguesse qualcosa che non amiamo, anzi ciò che odiavamo
di tutto cuore al punto di vederlo scomparire con gioia.
In verità ciò non lo aveva appreso dai filosofi, che esalta con
grandi elogi, ma è un’opinione in cui si avverte l’ispirazione
della Nuova Accademia, da cui apprese a dubitare anche delle
cose più evidenti.
Dai filosofi invece, che egli stesso riconosce come i più grandi
e di gran lunga più illustri, aveva appreso che le anime sono
immortali.
Certo non è male che con questi incoraggiamenti le anime
immortali vengano esortate a farsi trovare nella loro via,
quando verrà il termine di questa vita, cioè a vivere in
conformità alla ragione e al desiderio di ricerca, e a mescolarsi
Cicero commendans in fine dialogi Hortensii:

aut si hoc quod sentimus et sapimus
mortale et caducum est, iucundum nobis
perfunctis muneribus humanis occasum,
neque molestam exstinctionem, et quasi
quietem vitae fore:

aut si, ut antiquis philosophis hisque
maximis longeque clarissimis placuit,
aeternos animos ac divinos habemus, sic
existimandum est, quo magis hi fuerint
semper in suo cursu, id est, in ratione et
investigandi cupiditate, et quo minus se
admiscuerint atque implicaverint hominum
vitiis et erroribus, hoc his faciliorem
ascensum et reditum in caelum fore.

Deinde addens hanc ipsam clausulam,
repetendoque
sermonem
finiens:
Quapropter,
inquit,
ut
aliquando
terminetur oratio, si aut exstingui
tranquille volumus, cum in his artibus
vixerimus, aut si ex hac in aliam haud
paulo meliorem domum sine mora
demigrare, in his studiis nobis omnis
opera et cura ponenda est .
Hic miror hominem tanti ingenii, perfunctis muneribus
humanis, hominibus in philosophia viventibus, quae
contemplatione veritatis beatos facit, iucundum
promittere occasum, si hoc quod sentimus et sapimus
mortale et caducum est: quasi hoc moriatur et
intercidat quod non diligebamus, vel potius quod
atrociter oderamus, ut iucundus nobis sit eius occasus.
Verum hoc non didicerat a philosophis, quos magnis
laudibus praedicat; sed ex illa nova Academia, ubi ei
dubitare etiam de rebus manifestissimis placuit, ista
sententia redolebat.
A philosophis autem, sicut ipse confitetur, maximis
longeque clarissimis, aeternos animos esse acceperat.
Aeterni quippe animi non inconvenienter hac
exhortatione excitantur, ut in suo cursu reperiantur,
cum venerit vitae huius extremum, id est, in ratione et
investigandi cupiditate, minusque se admisceant atque
implicent hominum vitiis et erroribus, ut eis facilior sit
regressus ad Deum.
Sed iste cursus qui constituitur in amore atque
investigatione veritatis, non sufficit miseris, id est,
e invischiarsi il meno possibile ai vizi e agli errori degli uomini,
affinché sia loro più facile il ritorno a Dio.
Ma questa via che consiste nell’amore e nella ricerca della
verità non basta agli infelici, cioè a tutti i mortali che hanno
solo la ragione, senza la fede del Mediatore. È ciò che nei libri
precedenti di quest’opera, soprattutto nel quarto e nel
tredicesimo, mi sono sforzato di mostrare, per quanto ho
potuto
omnibus cum ista sola ratione mortalibus sine fide
Mediatoris: quod in libris superioribus huius operis,
maxime in quarto et tertio decimo, quantum potui,
demonstrare curavi
De vera religione 4, 6
390-391
4. 6. Chi, dunque, reputa cosa inutile o dannoso
4. 6. Qui ergo

il disprezzo di questo mondo sensibile

sensibilem istum mundum contemnere

e la purificazione dell'anima con la virtù,
sottomettendola al sommo Dio,

et animam virtute purgandam, summo
Deo subicere atque subiungere,
deve essere confutato con altri argomenti, se mai vale la
pena di discutere con lui. Chi invece ammette che è cosa
buona e desiderabile, cerchi di conoscere Dio e si
sottometta a Lui per mezzo del quale ormai tutti i popoli si
sono persuasi che queste verità vanno credute. Di certo, lo
farebbero anche i filosofi, se ne fossero capaci; oppure, se
non lo facessero, non potrebbero evitare l'accusa di essere
invidiosi. Prendano atto della loro inferiorità rispetto a chi è
stato capace di farlo; la curiosità e la vana presunzione non
impediscano loro di riconoscere la differenza che c'è tra le
timide congetture di pochi e la manifesta salvezza e
rigenerazione dei popoli.
Se infatti ritornassero in vita quegli illustri uomini dei cui
nomi costoro si gloriano e trovassero le chiese gremite e i
templi deserti, e il genere umano che, non più attratto dalla
cupidigia dei beni temporali e caduchi, corre verso la
speranza della vita eterna e verso i beni dello spirito e
dell'intelletto, forse direbbero (se fossero tali quali si
tramanda che siano stati): "Queste sono le verità di cui non
abbiamo osato persuadere i popoli; abbiamo ceduto ai loro
costumi di vita invece di condurli alle nostre convinzioni e ai
nostri propositi".
vanum aut malum putant, alia ratione refellendi sunt:
si tamen cum his dignum est disputare. Qui autem
bonum et appetendum fatentur, cognoscant Deum et
cedant Deo, per quem populis iam omnibus haec
credenda persuasa sunt. Quod utique ab ipsis fieret,
si tantum valerent: aut si non fieret, crimen invidentiae
vitare non possent. Ergo cedant ei a quo factum est,
nec curiositate aut inani iactantia impediantur
quominus agnoscant, quid intersit inter paucorum
timidas coniecturas, et manifestam salutem
correptionemque populorum.
Illi enim si reviviscerent, quorum isti nominibus
gloriantur, et invenirent refertas ecclesias, templaque
deserta, et a cupiditate bonorum temporalium atque
affluentium ad spem vitae aeternae et bona spiritalia
et intellegibilia vocari et currere humanum genus;
dicerent fortasse (si tales essent, quales fuisse
memorantur): Haec sunt quae nos persuadere
populis non ausi sumus, et eorum potius consuetudini
cessimus, quam illos in nostram fidem voluntatemque
traduximus.
Epistola 18, 2
389-390
2. Comunque, poiché
d'importante e di breve.
ti
conosco,
eccoti
qualcosa
2. Sane quoniam te novi, accipe hoc quiddam grande
et breve.

V'è una natura mutabile per quanto concerne il
luogo e il tempo, cioè il corpo.

Est natura per locos et tempora
mutabilis, ut corpus.

E vi è una natura per nulla mutevole riguardo al
luogo ma, solo per quanto concerne il tempo,
anch'essa mutevole, cioè l'anima.

Et est natura per locos nullo modo, sed
tantum per tempora etiam ipsa mutabilis,
ut anima.

E vi è una natura che è immutabile sia per il
luogo che per il tempo, cioè Dio.

Et est natura quae nec per locos, nec
per tempora mutari potest; hoc Deus est.
Ciò che qui ho indicato come mutevole sotto qualunque
aspetto si chiama creatura; ciò che è immutabile, Creatore.
Ora, poiché qualsiasi cosa noi diciamo esistente, la diciamo
tale in quanto sussiste e in quanto costituisce un'unità e,
d'altra parte, l'unità è il principio d'ogni bellezza, tu vedi
certamente

che cosa, nelle predette categorie di nature,
possegga l'esistenza in grado sommo;

che cosa la possegga in grado infimo, e pure
esista;

che cosa la possegga in grado medio e sia
superiore all'essere infimo e inferiore all'essere
sommo.

Quod hic insinuavi quoque modo mutabile, creatura
dicitur; quod immutabile, Creator. Cum autem omne
quod esse dicimus, in quantum manet dicamus, et in
quantum unum est, omnis porro pulchritudinis forma
unitas sit: vides profecto in ista distributione
naturarum,

quid summe sit,

quid infime, et tamen sit;

qui medie, maiusque infimo, et minus
summo sit.

Summum illud est ipsa beatitas:

infimum, quod nec beatum esse potest,
nec miserum:

quod vero medium, vivit inclinatione ad
infimum, misere; conversione ad
summum, beate vivit.
L'essere sommo è la beatitudine stessa;

l'essere infimo quello che non può essere né
felice né infelice;

l'essere intermedio, se tende a ciò che è infimo,
ha una vita infelice, se si volge all'essere
sommo, vive felice.
Chi crede in Cristo, non si abbandona all'amore di ciò che è
infimo, non insuperbisce nello stato intermedio e così diviene
capace di unirsi all'essere sommo. E questo è tutto ciò che ci
viene ordinato e consigliato di fare e di cui ci viene instillato
l'amore.
Qui Christo credit, non diligit infimum, non superbit in
medio, atque ita summo inhaerere fitidoneus: et hoc
est totum quod agere iubemur, monemur,
accendimur.
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