Confessiones 3, 7-8 397-401 4. 7. Fu in tale compagnia che trascorsi quell'età ancora malferma, studiando i testi di eloquenza. Qui bramavo distinguermi, per uno scopo deplorevole e frivolo quale quello di soddisfare la vanità umana; e fu appunto il corso normale degli studi che mi condusse al libro di un tal Cicerone, ammirato dai più per la lingua, non altrettanto per il cuore. Quel suo libro contiene un incitamento alla filosofia e s'intitola Ortensio. Quel libro, devo ammetterlo, mutò il mio modo di sentire, mutò le preghiere stesse che rivolgevo a te, Signore, suscitò in me nuove aspirazioni e nuovi desideri, svilì d'un tratto ai miei occhi ogni vana speranza e mi fece bramare la sapienza immortale con incredibile ardore di cuore. Così cominciavo ad alzarmi per tornare a te . Non usavo più per affilarmi la lingua, per il frutto cioè che apparentemente ottenevo con il denaro di mia madre: avevo allora diciotto anni e mio padre era morto da due; non per affilarmi la lingua dunque usavo quel libro, che mi aveva del resto conquistato non per il modo di esporre, ma per ciò che esponeva. 4. 8. Come ardevo, Dio mio, come ardevo di rivolare dalle cose terrene a te, pur ignorando cosa tu volessi fare di me. La sapienza sta presso di te, ma amore di sapienza ha un nome greco, filosofia. Del suo fuoco mi accendevo in quella lettura. Taluno seduce il prossimo mediante la filosofia, colorando e truccando con quel nome grande, fascinoso e onesto i propri errori. Ebbene, quasi tutti coloro che sia al suo tempo, sia prima agirono in tal modo, vengono bollati e denunciati in quel libro. Così vi è illustrato l'ammonimento salutare che ci diede il tuo spirito per bocca del tuo servitore buono e pio: Attenti che nessuno v'inganni mediante la filosofia e la vana seduzione propria della tradizione umana, propria dei princìpi di questo mondo, ma non propria di Cristo, perché in Cristo sussiste tutta la pienezza della divinità corporeamente. A quel tempo, lo sai tu, lume della mia mente, io ignoravo ancora queste parole dell'Apostolo; pure, una cosa sola bastava a incantarmi in quell'incitamento alla filosofia: le sue parole mi stimolavano, mi accendevano, m'infiammavano ad amare, a cercare, a seguire, a raggiungere, ad abbracciare vigorosamente non già l'una o l'altra setta filosofica, ma la sapienza in sé e per sé là dov'era. Così una sola circostanza mi mortificava, entro un incendio tanto grande: l'assenza fra quelle pagine del nome di Cristo. Quel nome per tua misericordia, Signore, quel nome del salvatore mio, del Figlio tuo, nel latte stesso della madre, tenero ancora il mio cuore aveva devotamente succhiato e conservava nel suo profondo. Così qualsiasi opera ne mancasse, fosse pure dotta e forbita e veritiera, non poteva conquistarmi totalmente. 4. 7. Inter hos ego imbecilla tunc aetate discebam libros eloquentiae, in qua eminere cupiebam fine damnabili et ventoso per gaudia vanitatis humanae, et usitato iam discendi ordine perveneram in librum cuiusdam Ciceronis, cuius linguam fere omnes mirantur, pectus non ita. Sed liber ille ipsius exhortationem continet ad philosophiam et vocatur Hortensius. Ille vero liber mutavit affectum meum et ad te ipsum, Domine, mutavit preces meas et vota ac desideria mea fecit alia. Viluit mihi repente omnis vana spes et immortalitatem sapientiae concupiscebam aestu cordis incredibili et surgere coeperam, ut ad te redirem. Non enim ad acuendam linguam, quod videbar emere maternis mercedibus, cum agerem annum aetatis undevicesimum iam defuncto patre ante biennium, non ergo ad acuendam linguam referebam illum librum neque mihi locutionem, sed quod loquebatur persuaserat. 4. 8. Quomodo ardebam, deus meus, quomodo ardebam revolare a terrenis ad te, et nesciebam quid ageres mecum! Apud te est enim sapientia. Amor autem sapientiae nomen graecum habet philosophiam, quo me accendebant illae litterae. Sunt qui seducant per philosophiam magno et blando et honesto nomine colorantes et fucantes errores suos, et prope omnes, qui ex illis et supra temporibus tales erant, notantur in eo libro et demonstrantur, et manifestatur ibi salutifera illa admonitio spiritus tui per seruum tuum bonum et pium: Videte, ne quis vos decipiat per philosophiam et inanem seductionem secundum traditionem hominum, secundum elementa huius mundi et non secundum Christum quia in ipso inhabitat omnis plenitudo divinitatis corporaliter. Et ego illo tempore, scis tu, lumen cordis mei, quoniam nondum mihi haec apostolica nota erant, hoc tamen solo delectabar in illa exhortatione, quod non illam aut illam sectam, sed ipsam quaecumque esset sapientiam ut diligerem et quaererem et assequerer et tenerem atque amplexarem fortiter, excitabar sermone illo et accendebar et ardebam, et hoc solum me in tanta flagrantia refrangebat, quod nomen Christi non erat ibi, quoniam hoc nomen secundum misericordiam tuam, Domine, hoc nomen salvatoris mei, Filii tui, in ipso adhuc lacte matris tenerum cor meum pie biberat et alte retinebat, et quidquid sine hoc nomine fuisset quamvis litteratum et expolitum et veridicum non me totum rapiebat. Confessiones 3, 7, 12 397-401 7. 12. Ignaro infatti dell'altra realtà, la vera, ero indotto ad approvare quelle che sembravano acute obiezioni dei miei stolti seduttori, quando mi chiedevano quale fosse l'origine del male, se Dio fosse circoscritto da una forma corporea e avesse capelli e unghie, se si dovesse stimare giusto chi teneva contemporaneamente più mogli, uccideva uomini e sacrificava animali. Io, ignorante in materia, ne rimanevo scosso. 1. Mentre mi allontanavo dalla verità, credevo di camminare verso di lei, senza sapere che il male non è se non privazione del bene fino al nulla assoluto. 2. Dove, per altro, avrei potuto vedere la verità, se i miei occhi non vedevano oltre i corpi, l'intelletto oltre i fantasmi? E non sapevo che Dio è spirito, non un essere dotato di membra estese in lunghezza e larghezza, e di massa: perché le parti di una massa sono ciascuna minore dell'insieme, e se pure la massa sia infinita, è minore nelle parti definite entro un certo spazio che nell'insieme infinito, né una massa è tutta intiera dovunque, come lo spirito, come Dio. 3. Cosa poi vi sia in noi che ci fa essere e ci fa dire giustamente nella Scrittura fatti a immagine di Dio , lo ignoravo totalmente. 7. 12. Nesciebam enim aliud, vere quod est, et quasi acutule movebar, ut suffragarer stultis deceptoribus, cum a me quaererent, unde malum et utrum forma corporea Deus finiretur et haberet capillos et ungues et utrum iusti existimandi essent qui haberent uxores multas simul et occiderent homines et sacrificarent de animalibus. 1. Quibus rerum ignarus perturbabar et recedens a veritate ire in eam mihi videbar, quia non noveram malum non esse nisi privationem boni usque ad quod omnino non est. 2. Quod unde viderem, cuius videre usque ad corpus erat oculis et animo usque ad phantasma? Et non noveram Deum esse spiritum, non cui membra essent per longum et latum nec cui esse moles esset, quia moles in parte minor est quam in toto suo, et si infinita sit, minor est in aliqua parte certo spatio definita quam per infinitum et non est tota ubique sicut spiritus, sicut Deus. 3. Et quid in nobis esset, secundum quod essemus, et recte in Scriptura diceremur ad imaginem Dei , prorsus ignorabam. Confessiones 5, 10, 19 397-401 Mi era nata infatti anche l'idea che i più accorti di tutti i filosofi fossero stati i cosiddetti accademici, in quanto avevano affermato che bisogna dubitare di ogni cosa, e avevano sentenziato che all'uomo la verità è totalmente inconoscibile. Allora mi sembrava che la loro dottrina fosse proprio quella che gli si attribuisce comunemente, poiché non capivo ancora il loro vero intento. Così rintuzzai apertamente l'esagerata fiducia che, mi avvidi, il mio ospite riponeva nelle favole di cui sono pieni i libri manichei. Tuttavia mantenevo rapporti di amicizia più con questi che con gli altri uomini alieni dalla loro eresia; e se non la sostenevo con l'ardore di un tempo, però la familiarità con i suoi seguaci, occultati in grande numero a Roma, mi rendeva meno solerte nella ricerca di altro, tanto più che non speravo di trovare nella tua Chiesa, Signore del cielo e della terra , creatore di tutte le cose visibili e invisibili, la verità, da cui essi mi avevano allontanato. Mi sembrava sconvenientissimo credere che tu hai la figura della carne umana e sei circoscritto nei limiti materiali delle nostre membra. L'incapacità di pensare, volendo pensare il mio Dio, a cosa diversa da una massa corporea, poiché mi pareva che nulla esistesse senza un corpo, era la suprema e quasi unica ragione del mio inevitabile errore. 10. 19. Etenim suborta est etiam mihi cogitatio, prudentiores illos ceteris fuisse philosophos, quos Academicos appellant, quod de omnibus dubitandum esse censuerant nec aliquid veri ab homine comprehendi posse decreverant. Ita enim et mihi liquido sensisse videbantur, ut vulgo habentur, etiam illorum intentionem nondum intellegenti. Nec dissimulavi eumdem hospitem meum reprimere a nimia fiducia, quam sensi eum habere de rebus fabulosis, quibus Manichaei libri pleni sunt. Amicitia tamen eorum familiarius utebar quam ceterorum hominum, qui in illa haeresi non fuissent. Nec eam defendebam pristina animositate, sed tamen familiaritas eorum (plures enim eos Roma occultat) pigrius me faciebat aliud quaerere praesertim desperantem in Ecclesia tua Domine caeli et terrae , Creator omnium visibilium et invisibilium posse inveniri verum, unde me illi averterant, multumque mihi turpe videbatur credere figuram te habere humanae carnis et membrorum nostrorum lineamentis corporalibus terminari. Et quoniam cum de Deo meo cogitare vellem, cogitare nisi moles corporum non noveram (neque enim videbatur mihi esse quidquam, quod tale non esset) ea maxima et prope sola causa erat inevitabilis erroris mei Confessiones 5, 11, 21 397-401 Esistevano poi le critiche dei manichei alle tue Scritture, che mi sembravano irrefutabili. Eppure a volte avrei desiderato davvero sottoporre alcuni singoli passi a qualche profondo conoscitore dei libri sacri per sondare la sua opinione. C'era ad esempio un certo Elpidio, che soleva discutere pubblicamente proprio con i manichei e che già a Cartagine mi aveva impressionato con i suoi discorsi, poiché citava certi passi scritturali difficilmente contrastabili. Le risposte degli avversari mi sembravano deboli; per di più preferivano darcele in segreto, anziché esporle in pubblico. Sostenevano che gli scritti del Nuovo Testamento erano stati falsati, chissà poi da chi, col proposito d'innestare la legge dei giudei sulla fede cristiana, senza presentare dal canto loro alcun esemplare integro di quel testo. Ma io, incapace di raffigurarmi un essere incorporeo, rimanevo soprattutto schiacciato, per così dire, dalle masse famose: prigioniero e soffocato sotto il loro peso, anelavo a respirare l'aria limpida e pura della tua verità, ma invano 11. 21. Deinde quae illi in Scripturis tuis reprehenderant defendi posse non existimabam, sed aliquando sane cupiebam cum aliquo illorum librorum doctissimo conferre singula et experiri, quid inde sentiret. Iam enim Elpidii cuiusdam adversus eosdem Manichaeos coram loquentis et disserentis sermones etiam apud Carthaginem movere me coeperant, cum talia de Scripturis proferret, quibus resisti non facile posset. Et imbecilla mihi responsio videbatur istorum; quam quidem non facile palam promebant, sed nobis secretius, cum dicerent Scripturas Novi Testamenti falsatas fuisse a nescio quibus, qui Iudaeorum legem inserere christianae fidei voluerunt, atque ipsi incorrupta exemplaria nulla proferrent. Sed me maxime captum et offocatum quodam modo deprimebant corporalia cogitantem moles illae, sub quibus anhelans in auram tuae veritatis liquidam et simplicem respirare non poteram. Confessiones 5, 14, 25 397-401 Allora però tesi tutte le forze del mio spirito nella ricerca di un argomento inconfutabile, con cui dimostrare la falsità delle dottrine manichee. Se solo avessi potuto pensare a una sostanza spirituale, tutte le loro macchinose costruzioni si sarebbero istantaneamente sfasciate e dileguate dalla mia mente. Ma non riuscivo. Riguardo alla struttura del mondo, tuttavia, e all'intera natura soggetta ai nostri sensi fisici, le mie considerazioni e i miei raffronti mi persuasero sempre meglio che le teorie della maggioranza dei filosofi erano molto più attendibili. Nel mio dubitare di tutto, secondo il costume degli accademici quale è immaginato comunemente, e nel fluttuare fra tutte le dottrine, risolsi di abbandonare davvero i manichei. Giudicai che proprio in quella fase d'incertezza non dovessi rimanere in una setta che ormai ponevo più in basso di parecchi filosofi, sebbene poi mi rifiutassi assolutamente di affidare alle loro cure la debolezza della mia anima , poiché ignoravano il nome di Cristo. Decisi dunque di rimanere come catecumeno nella Chiesa cattolica, raccomandatami dai miei genitori, in attesa che si accendesse una luce di certezza, su cui dirigere la mia rotta 14. 25. Tum vero fortiter intendi animum, si quo modo possem certis aliquibus documentis Manichaeos convincere falsitatis. Quod si possem spiritalem substantiam cogitare, statim machinamenta illa omnia solverentur et abicerentur ex animo meo: sed non poteram. Verum tamen de ipso mundi huius corpore omnique natura, quam sensus carnis attingeret, multo probabiliora plerosque sensisse philosophos magis magisque considerans atque comparans iudicabam. Itaque Academicorum more, sicut existimantur, dubitans de omnibus atque inter omnia fluctuans Manichaeos quidem relinquendos esse decrevi, non arbitrans eo ipso tempore dubitationis meae in illa secta mihi permanendum esse cui iam nonnullos philosophos praeponebam; quibus tamen philosophis, quod sine salutari nomine Christi essent, curationem languoris animae meae committere omnino recusabam. Statui ergo tandiu esse catechumenus in catholica Ecclesia mihi a parentibus commendata, donec aliquid certi eluceret, quo cursum dirigerem. Confessiones 7, 13-23 (estratti) 397-401 9. 13. Anzitutto volesti mostrarmi come tu resista ai superbi, mentre agli umili accordi favore ; e con quanta misericordia tu abbia indicato agli uomini la via dell'umiltà, dal momento che il tuo Verbo si è fatto carne e abitò in mezzo agli uomini. Per il tramite dunque di un uomo gonfio d'orgoglio smisurato mi provvedesti alcuni libri dei filosofi platonici tradotti dal greco in latino. […] 10. 16. Ammonito da quegli scritti a tornare in me stesso, entrai nell'intimo del mio cuore sotto la tua guida; e lo potei, perché divenisti il mio soccorritore. Vi entrai e scorsi con l'occhio della mia anima, per quanto torbido fosse, sopra l'occhio medesimo della mia anima, sopra la mia intelligenza, una luce immutabile. Non questa luce comune, visibile a ogni carne, né della stessa specie ma di potenza superiore, quale sarebbe la luce comune se splendesse molto, molto più splendida e penetrasse con la sua grandezza l'universo. Non così era quella, ma cosa diversa, molto diversa da tutte le luci di questa terra. Neppure sovrastava la mia intelligenza al modo che l'olio sovrasta l'acqua, e il cielo la terra, bensì era più in alto di me, poiché fu lei a crearmi, e io più in basso, poiché fui da lei creato. Chi conosce la verità, la conosce, e chi la conosce, conosce l'eternità. La carità la conosce. […] 9. 13. Et primo uolens ostendere mihi, quam resistas superbis, humilibus autem des gratiam et quanta misericordia tua demonstrata sit hominibus via humilitatis, quod Verbum tuum caro factum est et habitavit inter homines , procurasti mihi per quemdam hominem immanissimo typho turgidum quosdam Platonicorum libros ex Graeca lingua in Latinam versos […] 10. 16. Et inde admonitus redire ad memet ipsum intravi in intima mea duce te et potui, quoniam factus es adiutor meus. Intravi et vidi qualicumque oculo animae meae supra eumdem oculum animae meae, supra mentem meam lucem incommutabilem, non hanc vulgarem et conspicuam omni carni nec quasi ex eodem genere grandior erat, tamquam si ista multo multoque clarius claresceret totumque occuparet magnitudine. Non hoc illa erat, sed aliud, aliud valde ab istis omnibus. Nec ita erat supra mentem meam, sicut oleum super aquam nec sicut caelum super terram, sed superior, quia ipsa fecit me, et ego inferior, quia factus ab ea. Qui novit veritatem, novit eam, et qui novit eam, novit aeternitatem. Caritas novit eam. […] Chiesi: "La verità è dunque un nulla, poiché non si estende nello spazio sia finito sia infinito?"; e tu mi gridasti da lontano : "Anzi, io sono colui che sono ". Queste parole udii con l'udito del cuore. Ora non avevo più motivo di dubitare. Mi sarebbe stato più facile dubitare della mia esistenza, che dell'esistenza della verità, la quale si scorge comprendendola attraverso il creato . et dixi: "Numquid nihil est veritas, quoniam neque per finita neque per infinita locorum spatia diffusa est?". Et clamasti de longinquo : "Immo uero ego sum qui sum ". Et audivi, sicut auditur in corde, et non erat prorsus, unde dubitarem faciliusque dubitarem vivere me quam non esse veritatem, quae per ea, quae facta sunt, intellecta conspicitur . 11. 17. Osservando poi tutte le altre cose poste al di sotto di te, scoprii che né esistono del tutto, né non esistono del tutto. Esistono, poiché derivano da te; e non esistono, poiché non sono ciò che tu sei, e davvero esiste soltanto ciò che esiste immutabilmente. 11. 17. Et inspexi cetera infra te et vidi nec omnino esse nec omnino non esse: esse quidem, quoniam abs te sunt, non esse autem, quoniam id quod es non sunt. Id enim vere est, quod incommutabiliter manet. […] […] 12. 18. Mi si rivelò anche nettamente la bontà delle cose corruttibili, che non potrebbero corrompersi né se fossero beni sommi, né se non fossero beni. Essendo beni sommi, sarebbero incorruttibili; essendo nessun bene, non avrebbero nulla in se stesse di corruttibile. La corruzione è infatti un danno, ma non vi è danno senza una diminuzione di bene. Dunque o la corruzione non è danno, il che non può essere, o, com'è invece certissimo, tutte le cose che si corrompono subiscono una privazione di bene. Private però di tutto il bene non esisteranno del tutto. Infatti, se sussisteranno senza potersi più corrompere, saranno migliori di prima, permanendo senza corruzione; ma può esservi asserzione più mostruosa di questa, che una cosa è divenuta migliore dopo la perdita di tutto il bene? Dunque, private di tutto il bene, non esisteranno del tutto; dunque, finché sono, sono bene. Dunque tutto ciò che esiste è bene, e il male, di cui cercavo l'origine, non è una sostanza, perché, se fosse tale, sarebbe bene: infatti o 12. 18. Et manifestatum est mihi, quoniam bona sunt, quae corrumpuntur, quae neque si summa bona essent, neque nisi bona essent, corrumpi possent, quia, si summa bona essent, incorruptibilia essent, si autem nulla bona essent, quid in eis corrumperetur, non esset. Nocet enim corruptio et, nisi bonum minueret, non noceret. Aut igitur nihil nocet corruptio, quod fieri non potest, aut, quod certissimum est, omnia, quae corrumpuntur, privantur bono. Si autem omni bono privabuntur, omnino non erunt. Si enim erunt et corrumpi iam non poterunt, meliora erunt, quia incorruptibiliter permanebunt. Et quid monstrosius quam ea dicere omni bono amisso facta meliora? Ergo si omni bono privabuntur, omnino nulla erunt; ergo quandiu sunt, bona sunt. Ergo quaecumque sunt, bona sunt, malumque illud, quod quaerebam unde esset, non est substantia, quia, si sarebbe una sostanza incorruttibile, e allora sarebbe inevitabilmente un grande bene; o una sostanza corruttibile, ma questa non potrebbe corrompersi senza essere buona. Così vidi, così mi si rivelò chiaramente che tu hai fatto tutte le cose buone e non esiste nessuna sostanza che non sia stata fatta da te; e poiché non hai fatto tutte le cose uguali, tutte esistono in quanto buone ciascuna per sé e assai buone tutte insieme, avendo il nostro Dio fatto tutte le cose buone assai . […] 17. 23. […] Nel ricercare infatti la ragione per cui apprezzavo la bellezza dei corpi sia celesti sia terrestri, e i mezzi di cui dovevo disporre per formulare giudizi equi su cose mutevoli, allorché dicevo: "Questa cosa dev'essere così, quella no"; nel ricercare dunque la spiegazione dei giudizi che formulavo giudicando così, scoprii al di sopra della mia mente mutabile l'eternità immutabile e vera della verità. E così salii per gradi dai corpi all'anima, che sente attraverso il corpo, dall'anima alla sua potenza interna, cui i sensi del corpo comunicano la realtà esterna, e che è la massima facoltà delle bestie. Di qui poi salii ulteriormente all'attività razionale, al cui giudizio sono sottoposte le percezioni dei sensi corporei; ma poiché anche quest'ultima mia attività si riconobbe mutevole, ascese alla comprensione di se medesima. Distolse dunque il pensiero dalle sue abitudini, sottraendosi alle contradizioni della fantasia turbinosa, per rintracciare sia il lume da cui era pervasa quando proclamava senza alcuna esitazione che è preferibile ciò che non muta a ciò che muta, sia la fonte da cui derivava il concetto stesso d'immutabilità, concetto che in qualche modo doveva possedere, altrimenti non avrebbe potuto anteporre con certezza ciò che non muta a ciò che muta. Così giunse, in un impeto della visione trepida, all'Essere stesso. Allora finalmente scorsi quanto in te è invisibile, comprendendolo attraverso il creato; ma non fui capace di fissarvi lo sguardo. Quando, rintuzzata la mia debolezza, tornai fra gli oggetti consueti, non riportavo con me che un ricordo amoroso e il rimpianto, per così dire, dei profumi di una vivanda che non potevo ancora gustare. substantia esset, bonum esset. Aut enim esset incorruptibilis substantia, magnum utique bonum, aut substantia corruptibilis esset, quae nisi bona esset, corrumpi non posset. Itaque vidi et manifestatum est mihi, quia omnia bona tu fecisti et prorsus nullae substantiae sunt, quas tu non fecisti. Et quoniam non aequalia omnia fecisti, ideo sunt omnia, quia singula bona sunt et simul omnia valde bona, quoniam fecit Deus noster omnia bona valde […]. 17. 23. […]. Quaerens enim, unde approbarem pulchritudinem corporum sive caelestium sive terrestrium et quid mihi praesto esset integre de mutabilibus iudicanti et dicenti: "Hoc ita esse debet, illud non ita", hoc ergo quaerens, unde iudicarem, cum ita iudicarem, inveneram incommutabilem et veram veritatis aeternitatem supra mentem meam commutabilem. Atque ita gradatim a corporibus ad sentientem per corpus animam atque inde ad eius interiorem vim, cui sensus corporis exteriora nuntiaret, et quousque possunt bestiae, atque inde rursus ad ratiocinantem potentiam, ad quam refertur iudicandum, quod sumitur a sensibus corporis; quae se quoque in me comperiens mutabilem erexit se ad intellegentiam suam et abduxit cogitationem a consuetudine, subtrahens se contradicentibus turbis phantasmatum, ut inveniret quo lumine aspergeretur, cum sine ulla dubitatione clamaret incommutabile praeferendum esse mutabili, unde nosset ipsum incommutabile (quod nisi aliquo modo nosset, nullo modo illud mutabili certa praeponeret) et pervenit ad id, quod est in ictu trepidantis aspectus. Tunc vero invisibilia tua per ea quae facta sunt intellecta conspexi, sed aciem figere non evalui et repercussa infirmitate redditus solitis non mecum ferebam nisi amantem memoriam et quasi olefacta desiderantem, quae comedere nondum possem. Confessiones 9 (estratti) 397-401 2. 2. Decisi davanti ai tuoi occhi di non troncare clamorosamente, ma di ritirare pianamente l'attività della mia lingua dal mercato delle ciance. Non volevo che mai più i fanciulli cercassero, anziché la tua legge e la tua pace, i fallaci furori e gli scontri forensi comprando dalla mia bocca le armi alla loro ira. Per una fortunata coincidenza mancavano ormai pochissimi giorni alle vacanze vendemmiali. Perciò decisi di pazientare quel poco. Mi sarei poi congedato come sempre, ma, da te riscattato, non sarei ritornato più a vendermi. Questo il nostro piano, noto a te, ignoto invece agli uomini, eccetto gli amici intimi. Si era convenuto fra noi di non parlarne in giro ad alcuno, sebbene durante la nostra ascesa dalla valle del pianto, mentre cantavamo il cantico dei gradini, ci avessi dato frecce acuminate e carboni devastatori per difenderci dalle lingue perfide, che sotto veste di consigliere contraddicono e sotto veste d'amiche divorano, come si fa col cibo. […] 4. 7. E venne il giorno della liberazione anche materiale dalla professione di retore, da cui ero spiritualmente già libero. Così fu: sottraesti la mia lingua da un'attività, cui avevi già sottratto il mio cuore. Partito per la campagna [di Cassiciacum] con tutti i miei familiari, ti benedicevo gioioso. L'attività letteraria da me esplicata laggiù interamente al tuo servizio, benché sbuffante ancora, come nelle pause della lotta, di alterigia scolastica, è testimoniata nei libri ricavati dalle discussioni che ebbi con i presenti, e con me solo davanti a te; mentre quelle che ebbi con Nebridio assente sono testimoniate nel mio epistolario. […] 2. 2. Et placuit mihi in conspectu tuo non tumultuose abripere, sed leniter subtrahere ministerium linguae meae nundinis loquacitatis, ne ulterius pueri meditantes non legem tuam, non pacem tuam, sed insanias mendaces et bella forensia mercarentur ex ore meo arma furori suo. Et opportune iam paucissimi dies supererant ad vindemiales ferias, et statui tolerare illos, ut sollemniter abscederem et redemptus a te iam non redirem venalis. Consilium ergo nostrum erat coram te, coram hominibus autem nisi nostris non erat et convenerat inter nos, ne passim cuiquam effunderetur, quamquam tu nobis a convalle plorationis ascendentibus et cantantibus canticum graduum dederas sagittas acutas et carbones vastatores adversus linguam subdolam velut consulendo contradicentem et, sicut cibum assolet, amando consumentem. 4. 7. Et venit dies, quo etiam actu solverer a professione rhetorica, unde iam cogitatu solutus eram. Et factum est, eruisti linguam meam, unde iam erueras cor meum, et benedicebam tibi gaudens profectus in uillam cum meis omnibus. Ibi quid egerim in litteris iam quidem servientibus tibi, sed adhuc superbiae scholam tamquam in pausatione anhelantibus testantur libri disputati cum praesentibus et cum ipso me solo coram te; quae autem cum absente Nebridio, testantur epistulae. Contra Academicos 2, 9, 23 386 9. 23. E tu non dovresti ignorare che non ho mai raggiunto alcun principio da ammettere con certezza e che ne sono stato impedito dalle argomentazioni e dispute degli accademici. Neanche io so come hanno potuto incutere nel mio animo l'accettazione probabile, tanto per stare alla loro terminologia, che l'uomo non può trovare il vero. 9. 23. Tunc ergo nescis, nihil me certum adhuc habere quod sentiam, sed ab eo quaerendo Academicorum argumentis atque disputationibus impediri? Nescio enim quomodo fecerunt in animo quamdam probabilitatem (ut ab eorum verbo nondum recedam), quod homo verum invenire non possit: Ero divenuto del tutto pigro e indolente né osavo cercare quanto non è stato dato di raggiungere ad uomini assai dotti e perspicaci. Se io prima non otterrò per me la persuasione di poter raggiungere il vero nella misura con cui essi raggiunsero la persuasione opposta, non oserò iniziare la ricerca. Poi non ho una dottrina da difendere. Quindi ritira la tua domanda, per favore, e discutiamo piuttosto fra noi con tutta la possibile avvedutezza sulla possibilità di raggiungere il vero. Da parte mia, mi pare di avere già molti argomenti con cui intendo far forza contro la tesi degli accademici. Frattanto non c'è differenza fra loro e me, se non che a loro sembrò probabile l'impossibilità di raggiungere il vero e per me è probabile la possibilità. Difatti l'ignoranza del vero o è una mia particolare situazione se essi fingevano, ovvero è comune a me e a loro". unde piger et prorsus segnis effectus eram, nec quaerere audebam, quod acutissimis ac doctissimis viris invenire non licuit. Nisi ergo prius tam mihi persuasero verum posse inveniri, quam sibi illi non posse persuaserunt; non audebo quaerere, nec habeo aliquid quod defendam. Itaque istam interrogationem remove, si placet, et potius discutiamus inter nos, quam sagaciter possumus, utrumnam possit verum inveniri. Et pro parte mea videor mihi habere iam multa, quibus contra rationem Academicorum niti molior: inter quos et me modo interim nihil distat, nisi quod illis probabile visum est, non posse inveniri veritatem; mihi autem inveniri posse probabile est. Nam ignoratio veri, aut mihi, si illi fingebant, peculiaris est, aut certe utrisque communis. Contra Academicos 3, 19, 42 386 19. 42. Oggi quasi non notiamo più filosofi se si eccettuano cinici, peripatetici e platonici. I cinici sono coloro che hanno materialistica ed edonistica della vita. una concezione Per quanto riguarda la concezione intellettualistica e quella spiritualistica dell'anima, non sono mancati uomini assai perspicaci e studiosi, i quali hanno affermato che Aristotele e Platone, nell'esposizione della loro dottrina, sono stati così concordi che soltanto agli ignoranti e meno perspicaci possono sembrare discordi. Quindi attraverso molti secoli e molte controversie è stato, a mio avviso, configurato un comune insegnamento della vera filosofia. Essa infatti non è filosofia del mondo sensibile, che le nostre sacre Scritture giustamente detestano, ma di un mondo sovrasensibile. Ma ad esso questa profonda speculazione non richiamerebbe le anime, accecate dalle multiformi tenebre dell'errore e rese dimentiche da un cumulo di scorie corporee, se il sommo Dio per benevolenza verso la massa, non avesse abbassato e calato l'autorità dell'intelligenza divina all'umana sensibilità. Le anime, mosse non solo dal suo insegnamento ma anche dalle sue opere, sono potute tornare in sé e ricordarsi della patria anche senza il concerto delle filosofie. 19. 42. Itaque nunc philosophos non fere videmus, nisi aut Cynicos aut Peripateticos aut Platonicos: et Cynicos quidem, quia eos vitae quaedam delectat libertas atque licentia. Quod autem ad eruditionem doctrinamque attinet, et mores quibus consulitur animae, quia non defuerunt acutissimi et solertissimi viri, qui docerent disputationibus suis Aristotelem ac Platonem ita sibi concinere, ut imperitis minusque attentis dissentire videantur; multis quidem saeculis multisque contentionibus, sed tamen eliquata est, ut opinor, una verissimae philosophiae disciplina. Non enim est ista huius mundi philosophia, quam sacra nostra meritissime detestantur, sed alterius intellegibilis; cui animas multiformibus erroris tenebris caecatas, et altissimis a corpore sordibus oblitas, nunquam ista ratio subtilissima revocaret, nisi summus Deus populari quadam clementia divini intellectus auctoritatem usque ad ipsum corpus humanum declinaret, atque submitteret; cuius non solum praeceptis, sed etiam factis excitatae animae redire in semetipsas, et resipiscere patriam, etiam sine disputationum concertatione potuissent. De Beata Vita 1, 4 386 1. 4. Stando così le cose, ascolta, o mio Teodoro, poiché a te solo mi rivolgo e te ritengo capace di comprendere il mio intento, ascolta dunque quale delle tre categorie di persone mi ha fatto rivolgere a te, in quale luogo ritengo di essere e quale aiuto mi attendo da te. Fin dal diciannovesimo anno della mia vita, dopo aver letto, nella scuola del retore, il libro di Cicerone, dal titolo L'Ortensio, fui preso da tanto amore per la filosofia che subito decisi di dedicarmi ad essa. Ma non mancarono nebbie per cui il mio navigare fu senza mèta e a lungo, lo confesso, ebbi fisso lo sguardo su stelle che tramontavano nell'oceano e che inducevano nell'errore. Difatti una falsa e puerile interpretazione della religione mi distoglieva dall'indagine. Reso più maturo, mi allontanai dalla foschia e mi creai la persuasione che ci si dovesse affidare più a coloro che usano la ragione che a coloro che usano l'autorità. M'incontrai allora con individui i quali ritenevano che la luce sensibile si deve venerare fra le cose altamente divine. Non ero d'accordo, ma supponevo che intendessero celare una nobile dottrina in concetti arcani. In seguito me li avrebbero svelati. Ma quando, dopo averli esaminati attentamente, li abbandonai soprattutto con la traversata di questo mare, a lungo gli accademici tennero il mio timone fra i marosi in lotta con tutti i venti. Alfine giunsi in questa regione e qui conobbi la stella polare cui affidarmi. Avvertii infatti spesso, nei discorsi del nostro vescovo e talora nei tuoi, che all'idea di Dio non si deve associare col pensiero nulla di materiale e neanche all'idea dell'anima che nel mondo è il solo essere assai vicino a Dio. Ma, lo confesso, ero trattenuto dal volare in seno alla filosofia dagli allettamenti della donna e dell'onore con questa mira che, una volta conseguitili, sorte che è toccata a pochi fortunati, alfine a vele spiegate e con tutta la forza dei remi sarei potuto rifugiarmi nel seno della filosofia e ottenervi la quiete. E letti assai pochi libri di Plotino, di cui so che sei grande ammiratore, e, per quanto mi fu possibile, messa a confronto con essi anche l'autorità che ci ha trasmesso la sacra dottrina, m'infiammai talmente da voler levare subitamente tutte le ancore. Mi trattenne l'apprezzamento di alcune persone. Che altro mancava se non che venisse in aiuto a me, che stavo gingillandomi in problemi di poco conto, una tempesta che può sembrare contraria? E proprio a proposito mi assalì un così grave mal di petto che non avendo forze per sostenere il peso della professione, con la quale avrei forse volto le vele verso le Sirene, ho abbandonato tutto e ho ricondotto la nave, sia pure tutta squassata, alla desiderata quiete. 1. 4. Quae cum ita sint, accipe, mi Theodore, namque ad id quod desidero, te unum intueor, teque aptissimum semper admiror; accipe, inquam, et quod illorum trium genus hominum me tibi dederit, et quo loco mihi esse videar, et abs te cuiusmodi auxilium certus exspectem. Ego ab usque undevigesimo anno aetatis meae, postquam in schola rhetoris librum illum Ciceronis, qui Hortensius vocatur, accepi, tanto amore philosophiae succensus sum, ut statim ad eam me ferre meditarer. Sed neque mihi nebulae defuerunt, quibus confunderetur cursus meus; et diu, fateor, quibus in errorem ducerer, labentia in oceanum astra suspexi. Nam et superstitio quaedam puerilis me ab ipsa inquisitione terrebat: et ubi factus erectior, illam caliginem dispuli, mihique persuasi docentibus potius quam iubentibus esse credendum; incidi in homines quibus lux ista quae oculis cernitur, inter summe divina colenda videretur. Non assentiebar, sed putabam eos magnum aliquid tegere illis involucris, quod essent aliquando aperturi. At ubi discussos eos evasi, maxime traiecto isto mari, diu gubernacula mea repugnantia omnibus ventis in mediis fluctibus Academici tenuerunt. Deinde veni in has terras; hic septentrionem cui me crederem didici. Animadverti enim et saepe in sacerdotis nostri, et aliquando in sermonibus tuis, cum de Deo cogitaretur, nihil omnino corporis esse cogitandum, neque cum de anima: nam id est unum in rebus proximum Deo. Sed ne in philosophiae gremium celeriter advolarem, fateor, uxoris honorisque illecebra detinebar; ut cum haec essem consecutus, tum demum me, quod paucis felicissimis licuit, totis velis omnibusque remis in illum sinum raperem, ibique conquiescerem. Lectis autem Plotini paucissimis libris, cuius te esse studiosissimum accepi, collataque cum eis, quantum potui, etiam illorum auctoritate qui divina mysteria tradiderunt, sic exarsi, ut omnes illas vellem anchoras rumpere, nisi me nonnullorum hominum existimatio commoveret. Quid ergo restabat aliud, nisi ut immoranti mihi superfluis, tempestas quae putatur adversa, succurreret? Itaque tantus me arripuit pectoris dolor, ut illius professionis onus sustinere non valens, qua mihi velificabam fortasse ad Sirenas, abicerem omnia, et optatae tranquillitati vel quassatam navem fessamque perducerem. De Doctrina Christiana 4, 12, 27 426/7 Un personaggio celebre per la sua eloquenza ha detto - e diceva la verità - che l'oratore deve parlare in modo da istruire, da piacere e da convincere. E 1 aggiungeva: Istruire è necessità; piacere, dolcezza; convincere, vittoria . Di queste tre cose - quella che è stata segnalata al primo posto, cioè la necessità di istruire, appartiene all'essenza stessa delle cose che diciamo, - mentre le altre due riguardano il modo come le diciamo. Chi dunque parla allo scopo di istruire, finché non è stato compreso non ritenga di aver comunicato il suo sapere a colui che si proponeva di istruire. In effetti, sebbene abbia detto le cose che egli personalmente comprende, non deve ritenere di averle dette a colui dal quale non è stato compreso. Se al contrario è stato compreso, in qualunque modo le abbia dette le ha dette bene. Se invece vuol dilettare o convincere colui a cui parla, ciò otterrà non parlando come gli viene sulla lingua ma ricercando anche il modo di porgere. Pertanto come si deve piacere all'uditore per cattivarsene l'ascolto così lo si deve convincere per farlo passare all'azione; e come gli si piace parlando con gradevolezza, così lo si convince se si riuscirà - a fargli amare quel che gli si promette, - a temere ciò che gli si minaccia, - a odiare ciò che gli si rimprovera, - ad accettare ciò che gli si raccomanda, a - dolersi di ciò che a fosche tinte gli si descrive come spiacevole. Così quando predichi che goda di ciò che procura gioia, che abbia compassione di coloro che a parole gli dipingi come persone meritevoli d'essere compatite, che eviti coloro che spaventandolo gli proponi di dover fuggire. Lo stesso si dica di ogni altra cosa che con l'eloquenza solenne può conseguirsi in ordine all'eccitare gli animi degli uditori non a conoscere ciò che si deve fare, ma a fare ciò che già conoscono come necessario a farsi. 1 Cf. Cicerono, De orat. 1, 69. 12. 27. Dixit ergo quidam eloquens, et verum dixit, ita dicere debere eloquentem ut doceat, ut delectet, ut flectat. Deinde addidit: Docere necessitatis est, delectare suavitatis, flectere victoriae. Horum trium quod primo loco positum est, hoc est docendi necessitas, in rebus est constituta quas dicimus, reliqua duo in modo quo dicimus. Qui ergo dicit cum docere vult, quamdiu non intellegitur, nondum se existimet dixisse quod vult ei quem vult docere; quia etsi dixit quod ipse intellegit, nondum illi dixisse putandus est a quo intellectus non est; si vero intellectus est, quocumque modo dixerit, dixit. Quod si etiam delectare vult eum cui dicit, aut flectere, non quocumque modo dixerit faciet, sed interest quomodo dicat, ut faciat. Sicut est autem ut teneatur ad audiendum, delectandus auditor; ita flectendus, ut moveatur ad agendum. Et sicut delectatur si suaviter loqueris, ita flectitur si amet quod polliceris, timeat quod minaris, oderit quod arguis, quod commendas amplectatur, quod dolendum exaggeras doleat, cum quid laetandum praedicas gaudeat, misereatur eorum quos miserandos ante oculos dicendo constituis, fugiat eos quos caven dos terrendo proponis; et quidquid aliud grandi eloquentia fieri potest ad commovendos animos auditorum, non quid agendum sit ut sciant, sed ut agant quod agendum esse iam sciunt. De Magistro 14, 45 389 14. 45. E i maestri dichiarano forse che siano ritenuti per l'apprendimento i loro pensieri anziché le stesse discipline che pensano di trasmettere con la parola? E chi è cosi scioccamente amante del sapere da mandare a scuola il proprio figlio perché apprenda ciò che pensa il maestro? Piuttosto, quando hanno esposto con parole tutte le discipline che dichiarano d'insegnare, comprese quelle della morale e della filosofia, allora i così detti discepoli considerano nella loro interiorità se le nozioni sono vere, sforzandosi, cioè, d'intuire la verità ideale. Soltanto allora apprendono e quando scopriranno nell'interiorità che le nozioni sono vere, lodano, senza pensare che non lodano i docenti ma i dotti se, tuttavia, anche costoro sanno quel che dicono. S'ingannano dunque gli uomini nel chiamare maestri quelli che non lo sono perché il più delle volte fra il momento del discorso e quello della conoscenza non v'è discontinuità; e poiché dopo l'esposizione dell'insegnante immediatamente apprendono nell'interiorità, suppongono di avere appreso da colui che ha esposto dall'esterno.” 14. Num hoc magistri profitentur, ut cogitata eorum, ac non ipsae disciplinae quas loquendo se tradere putant, percipiantur atque teneantur? Nam quis tam stulte curiosus est, qui filium suum mittat in scholam, ut quid magister cogitet discat? At istas omnes disciplinas quas se docere profitentur, ipsiusque virtutis atque sapientiae, cum verbis explicaverint; tum illi qui discipuli vocantur, utrum vera dicta sint, apud semetipsos considerant, interiorem scilicet illam veritatem pro viribus intuentes. Tunc ergo discunt: et cum vera dicta esse intus invenerint, laudant, nescientes non se doctores potius laudare quam doctos; si tamen et illi quod loquuntur sciunt. Falluntur autem homines, ut eos qui non sunt magistros vocent, quia plerumque inter tempus locutionis et tempus cognitionis, nulla mora interponitur; et quoniam post admonitionem sermocinantis cito intus discunt, foris se ab eo qui admonuit, didicisse arbitrantur De Trinitate 14, 26 dopo il 420 19. 26. È questa sapienza contemplativa che, a mio parere, le Scritture chiamano propriamente sapienza, distinguendola dalla scienza; sapienza dell’uomo certamente, ma che egli non possiede, a meno che non la riceva da Colui che, per partecipazione, può rendere veramente sapiente lo spirito razionale e intelligente. 19. 26. Hanc contemplativam sapientiam, quam proprie puto in Litteris sanctis a scientia distinctam sapientiam nuncupari, dumtaxat hominis, quae quidem illi non est, nisi ab illo cuius participatione vere sapiens fieri mens rationalis et intellectualis potest, È di essa che Cicerone fa l’elogio alla fine del dialogo "Ortensio": Quae nobis, inquit, dies noctesque considerantibus, acuentibusque intellegentiam, quae est mentis acies, caventibusque ne quando illa hebescat, id est, in philosophia viventibus magna spes est, Noi che giorno e notte meditiamo queste cose ed aguzziamo la nostra intelligenza, che è la punta viva dello spirito e che stiamo attenti a non lasciarla ottundersi, cioè noi che viviamo da filosofi, abbiamo una grande speranza: • • • ciò che pensiamo e gustiamo spiritualmente è mortale e caduco, ed allora, compiuti i doveri umani, la morte ci sarà dolce e ci estingueremo senza rimpianto, e sarà come il riposo della vita; o se, come hanno pensato gli antichi filosofi e fra essi i più grandi e di gran lunga più illustri, abbiamo un’anima eterna e divina, allora dobbiamo ritenere che quanto più un uomo avrà agito senza distogliersi dalla sua via, cioè in conformità alla ragione ed al desiderio di sapere e quanto meno si sarà mescolato e avrà preso parte ai vizi e agli errori degli uomini, tanto più l’ascesa e il ritorno al cielo gli saranno facili . Poi riprendendo e completando il suo ragionamento aggiunge: Per questo, per por fine a questa discussione, se vogliamo estinguerci tranquillamente, dopo esserci dedicati durante la nostra vita a queste discipline, o se vogliamo passare senza alcun intervallo di tempo da questa dimora in un’altra infinitamente migliore, dobbiamo dedicare a questi studi tutti i nostri sforzi e tutta la nostra attenzione . Mi meraviglio che un uomo di tanto ingegno a degli uomini dediti alla filosofia, che li rende beati con la contemplazione della verità, prometta, una volta compiuti i loro doveri umani, una morte dolce, se ciò che pensiamo e gustiamo spiritualmente è mortale e caduco, come se morisse e si estinguesse qualcosa che non amiamo, anzi ciò che odiavamo di tutto cuore al punto di vederlo scomparire con gioia. In verità ciò non lo aveva appreso dai filosofi, che esalta con grandi elogi, ma è un’opinione in cui si avverte l’ispirazione della Nuova Accademia, da cui apprese a dubitare anche delle cose più evidenti. Dai filosofi invece, che egli stesso riconosce come i più grandi e di gran lunga più illustri, aveva appreso che le anime sono immortali. Certo non è male che con questi incoraggiamenti le anime immortali vengano esortate a farsi trovare nella loro via, quando verrà il termine di questa vita, cioè a vivere in conformità alla ragione e al desiderio di ricerca, e a mescolarsi Cicero commendans in fine dialogi Hortensii: aut si hoc quod sentimus et sapimus mortale et caducum est, iucundum nobis perfunctis muneribus humanis occasum, neque molestam exstinctionem, et quasi quietem vitae fore: aut si, ut antiquis philosophis hisque maximis longeque clarissimis placuit, aeternos animos ac divinos habemus, sic existimandum est, quo magis hi fuerint semper in suo cursu, id est, in ratione et investigandi cupiditate, et quo minus se admiscuerint atque implicaverint hominum vitiis et erroribus, hoc his faciliorem ascensum et reditum in caelum fore. Deinde addens hanc ipsam clausulam, repetendoque sermonem finiens: Quapropter, inquit, ut aliquando terminetur oratio, si aut exstingui tranquille volumus, cum in his artibus vixerimus, aut si ex hac in aliam haud paulo meliorem domum sine mora demigrare, in his studiis nobis omnis opera et cura ponenda est . Hic miror hominem tanti ingenii, perfunctis muneribus humanis, hominibus in philosophia viventibus, quae contemplatione veritatis beatos facit, iucundum promittere occasum, si hoc quod sentimus et sapimus mortale et caducum est: quasi hoc moriatur et intercidat quod non diligebamus, vel potius quod atrociter oderamus, ut iucundus nobis sit eius occasus. Verum hoc non didicerat a philosophis, quos magnis laudibus praedicat; sed ex illa nova Academia, ubi ei dubitare etiam de rebus manifestissimis placuit, ista sententia redolebat. A philosophis autem, sicut ipse confitetur, maximis longeque clarissimis, aeternos animos esse acceperat. Aeterni quippe animi non inconvenienter hac exhortatione excitantur, ut in suo cursu reperiantur, cum venerit vitae huius extremum, id est, in ratione et investigandi cupiditate, minusque se admisceant atque implicent hominum vitiis et erroribus, ut eis facilior sit regressus ad Deum. Sed iste cursus qui constituitur in amore atque investigatione veritatis, non sufficit miseris, id est, e invischiarsi il meno possibile ai vizi e agli errori degli uomini, affinché sia loro più facile il ritorno a Dio. Ma questa via che consiste nell’amore e nella ricerca della verità non basta agli infelici, cioè a tutti i mortali che hanno solo la ragione, senza la fede del Mediatore. È ciò che nei libri precedenti di quest’opera, soprattutto nel quarto e nel tredicesimo, mi sono sforzato di mostrare, per quanto ho potuto omnibus cum ista sola ratione mortalibus sine fide Mediatoris: quod in libris superioribus huius operis, maxime in quarto et tertio decimo, quantum potui, demonstrare curavi De vera religione 4, 6 390-391 4. 6. Chi, dunque, reputa cosa inutile o dannoso 4. 6. Qui ergo il disprezzo di questo mondo sensibile sensibilem istum mundum contemnere e la purificazione dell'anima con la virtù, sottomettendola al sommo Dio, et animam virtute purgandam, summo Deo subicere atque subiungere, deve essere confutato con altri argomenti, se mai vale la pena di discutere con lui. Chi invece ammette che è cosa buona e desiderabile, cerchi di conoscere Dio e si sottometta a Lui per mezzo del quale ormai tutti i popoli si sono persuasi che queste verità vanno credute. Di certo, lo farebbero anche i filosofi, se ne fossero capaci; oppure, se non lo facessero, non potrebbero evitare l'accusa di essere invidiosi. Prendano atto della loro inferiorità rispetto a chi è stato capace di farlo; la curiosità e la vana presunzione non impediscano loro di riconoscere la differenza che c'è tra le timide congetture di pochi e la manifesta salvezza e rigenerazione dei popoli. Se infatti ritornassero in vita quegli illustri uomini dei cui nomi costoro si gloriano e trovassero le chiese gremite e i templi deserti, e il genere umano che, non più attratto dalla cupidigia dei beni temporali e caduchi, corre verso la speranza della vita eterna e verso i beni dello spirito e dell'intelletto, forse direbbero (se fossero tali quali si tramanda che siano stati): "Queste sono le verità di cui non abbiamo osato persuadere i popoli; abbiamo ceduto ai loro costumi di vita invece di condurli alle nostre convinzioni e ai nostri propositi". vanum aut malum putant, alia ratione refellendi sunt: si tamen cum his dignum est disputare. Qui autem bonum et appetendum fatentur, cognoscant Deum et cedant Deo, per quem populis iam omnibus haec credenda persuasa sunt. Quod utique ab ipsis fieret, si tantum valerent: aut si non fieret, crimen invidentiae vitare non possent. Ergo cedant ei a quo factum est, nec curiositate aut inani iactantia impediantur quominus agnoscant, quid intersit inter paucorum timidas coniecturas, et manifestam salutem correptionemque populorum. Illi enim si reviviscerent, quorum isti nominibus gloriantur, et invenirent refertas ecclesias, templaque deserta, et a cupiditate bonorum temporalium atque affluentium ad spem vitae aeternae et bona spiritalia et intellegibilia vocari et currere humanum genus; dicerent fortasse (si tales essent, quales fuisse memorantur): Haec sunt quae nos persuadere populis non ausi sumus, et eorum potius consuetudini cessimus, quam illos in nostram fidem voluntatemque traduximus. Epistola 18, 2 389-390 2. Comunque, poiché d'importante e di breve. ti conosco, eccoti qualcosa 2. Sane quoniam te novi, accipe hoc quiddam grande et breve. V'è una natura mutabile per quanto concerne il luogo e il tempo, cioè il corpo. Est natura per locos et tempora mutabilis, ut corpus. E vi è una natura per nulla mutevole riguardo al luogo ma, solo per quanto concerne il tempo, anch'essa mutevole, cioè l'anima. Et est natura per locos nullo modo, sed tantum per tempora etiam ipsa mutabilis, ut anima. E vi è una natura che è immutabile sia per il luogo che per il tempo, cioè Dio. Et est natura quae nec per locos, nec per tempora mutari potest; hoc Deus est. Ciò che qui ho indicato come mutevole sotto qualunque aspetto si chiama creatura; ciò che è immutabile, Creatore. Ora, poiché qualsiasi cosa noi diciamo esistente, la diciamo tale in quanto sussiste e in quanto costituisce un'unità e, d'altra parte, l'unità è il principio d'ogni bellezza, tu vedi certamente che cosa, nelle predette categorie di nature, possegga l'esistenza in grado sommo; che cosa la possegga in grado infimo, e pure esista; che cosa la possegga in grado medio e sia superiore all'essere infimo e inferiore all'essere sommo. Quod hic insinuavi quoque modo mutabile, creatura dicitur; quod immutabile, Creator. Cum autem omne quod esse dicimus, in quantum manet dicamus, et in quantum unum est, omnis porro pulchritudinis forma unitas sit: vides profecto in ista distributione naturarum, quid summe sit, quid infime, et tamen sit; qui medie, maiusque infimo, et minus summo sit. Summum illud est ipsa beatitas: infimum, quod nec beatum esse potest, nec miserum: quod vero medium, vivit inclinatione ad infimum, misere; conversione ad summum, beate vivit. L'essere sommo è la beatitudine stessa; l'essere infimo quello che non può essere né felice né infelice; l'essere intermedio, se tende a ciò che è infimo, ha una vita infelice, se si volge all'essere sommo, vive felice. Chi crede in Cristo, non si abbandona all'amore di ciò che è infimo, non insuperbisce nello stato intermedio e così diviene capace di unirsi all'essere sommo. E questo è tutto ciò che ci viene ordinato e consigliato di fare e di cui ci viene instillato l'amore. Qui Christo credit, non diligit infimum, non superbit in medio, atque ita summo inhaerere fitidoneus: et hoc est totum quod agere iubemur, monemur, accendimur.