Tassazione dei redditi Tassazione in Italia dei canoni di “leasing” corrisposti a società concedenti non residenti di Antonio Della Carità e Marco Piazza L’approfondimento Una società di “leasing” non residente che percepisce canoni per la locazione anche finanziaria di beni situati in Italia deve affrontare non poche difficoltà interpretative per comprendere il corretto trattamento fiscale a cui far fronte, posto che: nel caso in cui svolga la propria attività in Italia per il tramite di una stabile organizzazione, i canoni concorreranno a formare il reddito complessivo della stabile organizzazione secondo le regole del reddito d’impresa; diversamente, occorrerà verificare, caso per caso, se sussistano i presupposti di imposizione di carattere territoriale di cui all’art. 23 del Testo Unico e quelli di applicazione della ritenuta alla fonte di cui all’ultimo comma dell’art. 25 del D.P.R. n. 600/19731. agevole considerato che detta società potrebbe limitarsi ad avere nel territorio dello Stato un mero ufficio di rappresentanza o, più genericamente, una sede d’affari di carattere preparatorio o ausiliario. Per meglio comprendere la tematica, si rende opportuno distinguere le ipotesi di “locazione finanziaria” (leasing finanziario) dalle altre ipotesi in cui beni materiali o immateriali sono concessi in uso a vario titolo (in licenza, a noleggio, ecc.). A tal fine, si ricorda che l’attività di locazione finanziaria può essere svolta in Italia da parte di banche e società finanziarie con sede nell’Unione Europea attraverso una propria Antonio Della Carità - BDC - Avvocato - Studio Legale Tributario Associato Marco Piazza - Professore di Economia e tecnica degli scambi internazionali - Università Cattolica del Sacro Cuore Nota: Canoni corrisposti alla stabile organizzazione in Italia della società di “leasing” In generale, i canoni corrisposti alla stabile organizzazione in Italia della società di leasing non residente non scontano alcuna ritenuta alla fonte ex art. 25, ultimo comma, del D.P.R. n. 600/1973. Si pone quindi il problema per il soggetto pagatore - che opera in qualità di sostituto d’imposta - di accertarsi dell’effettiva esistenza in Italia di una stabile organizzazione della società di leasing, circostanza questa non sempre 14 n. 11/2014 1 L’art. 25, ultimo comma, del D.P.R. n. 600/1973 dispone: “È operata, altresì, una ritenuta del 30% a titolo di imposta sull’ammontare dei compensi corrisposti a non residenti per l’uso o la concessione in uso di attrezzature industriali, commerciali o scientifiche che si trovano nel territorio dello Stato. Ne sono esclusi i compensi corrisposti a stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti” Si ricorda, peraltro, che l’art. 26-quater del D.P.R. n. 600/1973 prevede, a determinate condizioni, l’esenzione da imposizione dei canoni (fra i quali quelli percepiti per l’uso o la concessione in uso di attrezzature industriali, commerciali o scientifiche) pagati da società ed enti residenti in Italia, nonché da stabili organizzazioni situate nel territorio dello Stato, a società o enti residenti in Stati membri diversi ed appartenenti allo stesso gruppo, comprese le stabili organizzazioni. L’art. 26-quater citato recepisce in Italia la Direttiva n. 2003/49/CE del 3 giugno 2003, (c.d. Direttiva interessi e royalties). Tassazione dei redditi succursale o in regime di libera prestazione di servizi2 con l’osservanza della procedura di comunicazione di cui alla circolare della Banca d’Italia n. 285 del 17 dicembre 2013, Parte Prima, Titolo I, Capitolo 3, Sezione V3. Anche le banche extracomunitarie autorizzate ad operare in Italia mediante succursale4 o in libera prestazione di servizi5 possono svolgere attività di leasing6. L’esercizio dell’attività mediante stabile organizzazione in Italia da parte di intermediari finanziari comunitari ed extracomunitari non bancari richiede inoltre l’iscrizione nell’elenco degli intermediari finanziari di cui Note: 2 Art. 34 della Direttiva n. 2013/36/UE (CRD IV). 3 In particolare, presentano alla Banca d’Italia la stessa tipologia di comunicazione che deve essere presentata dalle banche comunitarie che intendano esercitare attività bancaria in Italia mediante succursale oppure in libera prestazione di servizi, senza stabilimento. La comunicazione è accompagnata da un attestato delle autorità competenti dello Stato d’origine che certifica la sussistenza di tutte le condizioni, di seguito elencate, per l’applicazione del mutuo riconoscimento: - la o le imprese madri della società finanziaria sono autorizzate come banche nello Stato d’origine; - la o le imprese madri detengono almeno il 90% dei diritti di voto connessi con la detenzione di quote o azioni della società finanziaria; - la o le imprese madri soddisfano le autorità competenti circa la prudente gestione della società finanziaria e si sono dichiarate garanti in solido degli impegni presi dalla società stessa, con l’assenso delle autorità competenti dello Stato d’origine; - la società finanziaria è inclusa effettivamente, in particolare per le attività che intende svolgere in Italia, nella vigilanza su base consolidata alla quale è sottoposta l’impresa madre o ciascuna delle imprese madri; - lo statuto della società finanziaria consente l’esercizio delle attività che essa intende svolgere in Italia; - le attività in questione sono già effettivamente esercitate dalla società finanziaria nello Stato d’origine. Le società finanziarie sono soggette alle disposizioni di interesse generale che regolano in Italia i rispettivi settori di attività, secondo le stesse modalità previste per le banche comunitarie. In particolare, sono soggette al regime antiriciclaggio di cui al D.Lgs. n. 231/2007 e alle disposizioni concernenti l’invio di dati e informazioni nonché quelle riguardanti la conduzione di accertamenti ispettivi. Non si applicano ovviamente le norme in materia di vigilanza prudenziale in quanto sono soggette alla vigilanza delle autorità dello Stato d’origine. 4 Artt. 14 e 15 del T.U.B. 5 Art. 16 del T.U.B. 6 Art. 33 della Direttiva n. 2013/36/UE (CRD IV). all’art. 106 del T.U.B.7. L’esercizio di attività che presuppongono la concessione in uso di beni materiali o immateriali - a titolo di licenza, di noleggio anche a lungo termine - non è invece soggetta a particolari condizioni nel caso in cui sia inquadrabile come locazione finanziaria. Accade così che, nel caso di leasing finanziario, l’accertamento dell’esistenza in Italia di una stabile organizzazione sia relativamente semplice, proprio per il fatto che questa attività può essere esercitata in Italia solo da intermediari soggetti a vigilanza, iscritti in albi o elenchi ufficiali in Italia o all’estero, dai quali si può facilmente desumere se questi soggetti operino in Italia con una succursale oppure no. Nota: 7 Cfr. artt. 20 e 21 del Decreto MEF 17 febbraio 2009, n. 29 e provvedimento della Banca d’Italia del 14 maggio 2009. In base all’art. 20 citato, l’iscrizione nell’elenco generale di intermediari finanziari comunitari è subordinata al ricorrere delle seguenti condizioni: a) svolgimento effettivo dell’attività finanziaria nel Paese di provenienza; b) esercizio in Italia dell’attività finanziaria in via esclusiva; c) costituzione di un fondo di dotazione di importo almeno pari al capitale sociale richiesto, dall’art. 106, comma 3, del Testo Unico, agli intermediari finanziari aventi sede legale in Italia. Il fondo di dotazione deve essere investito per almeno euro 1, 5 milioni in attività liquide o in titoli di pronta liquidabilità, entrambi depositati su un unico conto costituito presso una succursale operante in Italia di una banca nazionale, comunitaria o extracomunitaria; d) sussistenza dei requisiti di professionalità, indipendenza ed onorabilità previsti dell’art. 109 del Testo Unico in capo ai soggetti che svolgono la funzione di direzione dell’organizzazione stabile operante in Italia; e) sussistenza dei requisiti di onorabilità in capo ai titolari di partecipazioni rilevanti nell’intermediario finanziario comunitario che ha chiesto l’iscrizione della stabile organizzazione operante in Italia. Nel caso in cui sussista nel Paese di origine dell’intermediario finanziario comunitario una regolamentazione di settore equivalente a quella prevista dal titolo V del Testo Unico, l’iscrizione nell’elenco generale è subordinata al verificarsi della sola condizione dello svolgimento effettivo dell’attività finanziaria nel Paese di provenienza. Per gli intermediari extracomunitari è inoltre richiesto il rilascio da parte del rappresentante legale della società di dichiarazione attestante l’osservanza dei principi e delle cautele di cui alle raccomandazioni emesse dal Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale (GAFI) in tema di riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite. n. 11/2014 15 Tassazione dei redditi Se il cliente riscontra che l’intermediario estero ha una succursale in Italia, che i propri contatti con l’intermediario estero sono gestiti da tale succursale e i canoni sono ad essa corrisposti, ha elementi di giudizio sufficienti per escludere di dover applicare la ritenuta. Anche quando il locatore non rientra fra quelli esercenti attività finanziaria, il cliente dovrebbe essere sufficientemente tutelato dal riscontro presso il registro delle imprese del fatto che il locatore abbia denunciato la detenzione in Italia di una sede secondaria con rappresentanza stabile. Difficilmente, infatti, una sede secondaria con rappresentanza stabile non presenta gli elementi costitutivi di una stabile organizzazione. Il soggetto con maggiori problemi in questo caso è il locatore, in quanto accade frequentemente che operi in Italia mediante strutture minime denunciate al registro delle imprese come meri “uffici di rappresentanza”, anziché come sedi secondarie. In queste ipotesi, infatti, qualora l’Amministrazione finanziaria ritenesse tali uffici aventi i requisiti costitutivi di una stabile organizzazione, la società estera locatrice si vedrebbe contestare l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi in Italia, con conseguente evasione di IRES e IRAP sull’imponibile della branch accertata. Ricordiamo che, in questi casi, l’indagine passa attraverso l’applicazione dei criteri contenuti nell’art. 162 del Testo Unico e nell’articolo dell’eventuale trattato contro le doppie imposizioni che definisce la stabile organizzazione (in genere conforme all’art. 5 del Modello di Convenzione OCSE) vigente con lo Stato estero in cui risiede il locatore. In base al par. 8 del Commentario OCSE all’art. 5 del Modello di Convenzione, quando beni materiali (come attrezzature, apparecchiature commerciali, industriali o scientifiche, fabbricati) o beni immateriali (come brevetti, procedure o attività similari) sono concessi in uso o locazione a terzi per mezzo di una sede fissa d’affari situata in uno Stato contraente, queste attività renderanno, di norma, la sede fissa una “stabile organizzazione”. Se le stesse attività 16 n. 11/2014 sono svolte senza l’impiego di una base fissa, la presenza delle attività locate nel territorio dello Stato non costituirà di per sé stabile organizzazione, sempreché il contratto preveda esclusivamente la loro locazione. Non vi è stabile organizzazione neppure nel caso in cui il locatore fornisca personale, dopo l’istallazione, per far funzionare o per provvedere alla manutenzione dei beni locati, purché tale personale agisca sotto la direzione, responsabilità e controllo dell’utilizzatore. Nel caso in cui, invece, al personale siano riservate responsabilità più ampie (per esempio, partecipi alle decisioni relative al lavoro per il quale sono utilizzate le apparecchiature) o il personale stesso agisca sotto la direzione responsabilità o controllo del locatore, l’attività di quest’ultimo travalica la mera locazione è può costituire attività d’impresa. In questo caso si può presumere che la sede fissa costituisca una stabile organizzazione, se è verificato il criterio della “permanenza”. Se l’attività è connessa o è simile a quelle menzionate nel par. 3 dell’art. 5, Modello OCSE (cantiere di costruzione, montaggio o istallazione, attività di supervisione), il criterio di permanenza è verificato se ha durata superiore a tre mesi, secondo l’art. 162 del Testo Unico, oppure, se è in vigore una Convenzione con lo Stato di residenza del locatore, la maggiore durata prevista dal trattato; altrimenti la verifica andrà fatta caso per caso8. Tuttavia, la sede d’affari non costituisce stabile organizzazione quando viene utilizzata ai soli fini di svolgere, per l’impresa, un’attività che abbia carattere preparatorio o ausiliario. Stabilire quando un’attività abbia carattere preparatorio o ausiliario non è comunque sempre agevole, anche perché capita spesso che un’attività inizialmente impostata come “preparatoria o ausiliaria”, si modifichi gradualmente fino a divenire attività principale. In base al par. 23 del Commentario all’art. 5 del Modello OCSE in alcuni casi una sede fissa d’affari, pur contribuendo all’attività produttiva dell’impresa, fornisce servizi così scarsamente idonei a produrre utili da rendere difficile Nota: 8 La locazione dei container è un caso particolare illustrato diffusamente in un rapporto OCSE intitolato “The Taxation of Income Derived from the Leasing of Containers”. Tassazione dei redditi quantificare il reddito che dovrebbe esserle imputato.Viene fatto l’esempio delle sedi utilizzate al solo scopo di pubblicità o per fornire informazioni o fare ricerca scientifica o nell’ambito dell’esecuzione di un contratto di licenza di un brevetto o di un contratto di sfruttamento di know how. Il par. 25 precisa, invece, che se, ad esempio, una sede fissa non si limita a fornire informazioni, ma anche progetti personalizzati per il singolo cliente oppure una sede di ricerca fosse impegnata nella fabbricazione dei prodotti, sarebbe considerata “stabile organizzazione”. La materia è in costante evoluzione. Nel documento OCSE, attualmente in bozza, intitolato “Interpretation and Application of Article 5 (Permanent Establishment) of the OECD Model Tax Convention” del 19 ottobre 2012, si propone di chiarire9 nel Commentario che la nozione di “stabile organizzazione personale” definita nell’art. 5, par. 5 del Modello OCSE10 non riguarda solo i contratti di vendita di beni, ma anche quelli di vendita di servizi, fra i quali vengono citati, a titolo esemplificativo, i contratti di leasing. La questione 24 dello stesso documento affronta un quesito sull’interpretazione del par. 8 del Commentario, sopra illustrato. Con riferimento alle attività di leasing, viene chiesto di chiarire se vi sia stabile organizzazione solo quando vi sia un ufficio in cui sono firmati i relativi contratti o sono immagazzinate le attrezzature destinate al noleggio. A questo proposito il Comitato Affari fiscali OCSE ritiene che si possano utilizzare i criteri indicati nei paragrafi da 42.7 a 42.9 del Commentario, relativi alla stabile organizzazione nel commercio elettronico, prevalentemente incentrati sulla definizione di parametri in base ai quali si può stabilire se l’attività svolta impiegando attrezzatura localizzata in un dato Paese (nel caso si tratta del server in cui sono immagazzinati i dati) sia “principale” o meramente preparatoria o ausiliaria. L’esistenza in Italia di una stabile organizzazione comporta la necessità di determinare il relativo reddito e valore della produzione imponibili ai fini IRES e IRAP. La mancanza di una autonoma soggettività giuridica ed indipendenza economica e gestionale della stabile organizzazione comporta particolari difficoltà nell’individuazione dei costi e ricavi ad essa imputabili. Soccorrono, a questi fini, i criteri descritti nell’art. 7 del Modello di Convenzione OCSE e nel relativo Commentario, meglio dettagliati nel rapporto OCSE Attribution of Profits to Permanent Establishments, di cui esiste una versione del 2008 riferita alla vecchia versione dell’art. 7 del Modello (quella adottata nelle convenzioni stipulate dall’Italia) e una versione del 2010 riferita alla nuova versione dell’art. 7. I canoni concorreranno alla formazione del reddito imponibile della stabile organizzazione, che andrà dichiarato in Italia da parte del locatore. Attività di “leasing” svolta senza una stabile organizzazione Si è detto nel paragrafo precedente che se il locatore non residente si avvale di una stabile organizzazione in Italia nei termini sopra descritti il locatario italiano non è tenuto ad operare la ritenuta di cui all’art. 25, ultimo comma, del D.P.R. n. 600/1973. La norma, infatti esclude esplicitamente “i compensi corrisposti a stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti”. Se invece, i canoni non sono corrisposti alla stabile organizzazione in Italia di una società non residente, occorre approfondire la procedura di applicazione della ritenuta di cui all’ultimo comma dell’art. 25, D.P.R. n. 600/1973. Gli aspetti da considerare sono i seguenti: Note: 9 Cfr. la questione 20. 10 Il base all’art. 5, par. 5 del Modello OCSE, una persona che agisce in uno Stato contraente per conto di un’impresa dell’altro Stato contraente - diversa da un agente che goda di uno status indipendente - è considerata stabile organizzazione nel primo Stato se dispone nello Stato stesso di poteri che esercita abitualmente e che le permettano di concludere contratti a nome dell’impresa, salvo il caso in cui l’attività di detta persona sia limitata alle attività preparatorie e ausiliarie che, in base al par. 4 dell’art. 5, non costituiscono stabile organizzazione. n. 11/2014 17 Tassazione dei redditi - presupposto; - territorialità; - applicazione delle convenzioni contro le doppie imposizioni; - adempimenti. Presupposto La ritenuta del 30% a titolo d’imposta di cui all’art. 25 del D.P.R. n. 600/1973 deve essere applicata sull’ammontare dei compensi corrisposti a non residenti per l’uso o la concessione in uso di attrezzature industriali, commerciali o scientifiche che si trovano nel territorio dello Stato. La circolare n. 47/E del 2005 precisa al par. 2.1 che “sono stati ricondotti nell’ambito applicativo della tassazione alla fonte a titolo definitivo anche i canoni derivanti dallo sfruttamento dei predetti beni mobili. Quest’ultima specificazione della norma comporta, quindi, il venir meno degli obblighi dichiarativi da parte del percettore non residente, essendo stata introdotta una tassazione alla fonte a titolo definitivo anche per i predetti redditi derivanti dallo sfruttamento di beni mobili”. La norma va letta in collegamento con l’art. 67, comma 1, lett. h) del Testo Unico che annovera, appunto, fra i redditi diversi i proventi non conseguiti nell’attività d’impresa e derivanti dall’affitto, locazione, noleggio o concessione in uso di veicoli, macchine ed altri beni mobili. Sarebbe stato meglio se vi fosse stata coincidenza fra il presupposto di tassazione di cui all’art. 67, comma 1, lett. h) e quello di applicazione della ritenuta di cui all’art. 25, ultimo comma, del D.P.R. n. 600/1973. Il campo di applicazione dell’art. 67 del Testo Unico, infatti, pare più ampio di quello di applicazione della ritenuta. La circolare n. 47/E del 2005, par. 2.1.1., comunque, afferma che l’espressione “attrezzature” debba ricomprendere i beni destinati allo svolgimento di un’attività d’impresa (industriale, commerciale o di servizi). Ad esempio i macchinari per la produzione di manufatti (ad esempio, i robot industriali), 18 n. 11/2014 container, macchine per l’edilizia (ad esempio, le gru e le betoniere), macchine per l’agricoltura (ad esempio, i trattori e le trebbiatrici) e veicoli per il trasporto di beni e persone per terra, aria e mare (ad esempio, automobili, treni, aerei e navi). Quanto alla definizione del concetto di “uso o concessione in uso” dell’attrezzatura, la circolare n. 47/E del 2005, par. 6.2 precisa che questa circostanza si verifica quando il contratto vincola la controparte non alla prestazione di un servizio (facere) ma alla cessione in uso (dare) della predetta attrezzatura. La circolare n. 47/E del 2005, par. 6.2 precisa che non rientra nella definizione di uso o concessione in uso il contratto denominato “voyage charter” - in cui il noleggiante è obbligato a compiere con una nave determinata uno o più viaggi prestabiliti - né quello denominato “time charter”, in cui il noleggiante è obbligato a compiere i viaggi per un determinato periodo di tempo. In entrambi i casi, infatti, l’oggetto del contratto non è il mezzo di trasporto, bensì una complessa prestazione di servizi in cui il veicolo costituisce solo lo strumento per l’esecuzione della prestazione da parte del vettore. In questo senso si esprime anche il par. 5 del Commentario all’art. 8 del Modello OCSE il quale precisa che “i redditi ottenuti dalla concessione in affitto di navi od aerei in charter, pienamente attrezzati, equipaggiati e riforniti devono essere trattati quali utili derivanti dal trasporto di passeggeri o merci”, e, quindi, assoggettati a tassazione esclusivamente nello Stato di residenza del beneficiario. Il par. 5 citato, inoltre precisa che i redditi derivanti dalla locazione di una nave o di un aereo, cosiddetta “a scafo nudo” non rientrano nel campo di applicazione dell’art. 8 (riferito alle imprese di navigazione marittima ed aerea), bensì nell’art. 7 (“Redditi derivanti da attività commerciali”) a meno che non si tratti di attività meramente accessorie di quella di navigazione marittima ed aerea. Il Commentario non considera la terza ipotesi che i redditi di locazione rientrino fra i “canoni” assoggettabili a ritenuta nello Stato della fonte, Tassazione dei redditi semplicemente per il fatto che, dall’edizione 1977 del Modello OCSE, i compensi per l’uso o la concessione in uso di attrezzature industriali commerciali o scientifiche sono stati espunti dalla definizione di royalties, proprio allo scopo di rendere certo che siano suscettibili di produrre esclusivamente redditi d’impresa tassabili nello Stato della fonte solo se relativi ad una stabile organizzazione11. Ma sotto questo aspetto le convenzioni italiane sono conformi al Modello OCSE del 1963 che invece comprendeva nella definizione di canone anche tali compensi i quali sono ora assimilati alle royalties anche dalla normativa nazionale. Per questo la circolare n. 47/E del 2005 al par. 6.2. precisa che “rientrano fra i contratti di uso o concessione in uso soggetti alla predetta ritenuta quelli (denominati “bare boat charter” o “demise charter”), in cui l’oggetto del contratto è costituito dalla nave e dalle sue pertinenze”. La circolare n. 47/E contiene inoltre una precisazione che può ingenerare difficoltà operative per il locatario. Secondo la circolare, infatti, non vanno assoggettati a ritenuta i canoni derivanti dalla locazione di navi o aeromobili a scafo nudo qualora rappresentino fonti occasionali di reddito per le imprese operanti in traffici internazionali. Il motivo sarebbe che in tal caso i canoni rientrerebbero nell’ambito degli utili d’impresa assoggettabili a tassazione nello Stato in cui è situata l’effettiva direzione dell’impresa di navigazione, ai sensi dell’art. 8 del Modello OCSE di Convenzione. Di conseguenza - secondo l’Agenzia - limitatamente ai Paesi con i quali è in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni, che abbia recepito l’art. 8 del Modello OCSE, la ritenuta di cui all’art. 25, ultimo comma, del D.P.R. n. 600/1973 non si applica a tali proventi purché rappresentino una fonte occasionale di reddito. Territorialità L’art. 23, comma 2, lett. f), del Testo Unico assoggetta a tassazione in Italia i “redditi diversi (...) derivanti da attività svolte nel territorio dello Stato o relative a beni che si trovano nel territorio stesso”. Coerentemente, la circolare 2 novembre 2005, n. 47/E precisa che “i canoni per la locazione di veicoli, macchine ed altri beni mobili, rientrando nell’ambito generico dei redditi diversi, sono imponibili in Italia alla condizione che derivino da attività svolte nel territorio dello Stato o da beni che si trovano nel territorio stesso a norma della lett. f) del comma 1 del medesimo art. 23 del T.U.I.R.” (cfr. § 1), e che tali canoni sono tassabili in Italia solo se costituenti redditi diversi contemplati nell’art. 67, comma 1, lett. h), del T.U. (cfr. § 6.1). Per i beni mobili utilizzati parte in Italia e parte all’estero (autoveicoli, navi aeromobili, containers, ecc.) si ritengono tutt’ora validi i criteri suggeriti con la C.M. 12 dicembre 1981, n. 42, par. 7: dovrebbe, cioè, rilevare il luogo di utilizzo prevalente. Il par. 8 della C.M. n. 42 precisa che “potrà essere rilevante redigere un apposito elenco in cui, per ciascun mezzo, siano riportati i dati riguardanti gli estremi del contratto di utilizzo, la durata, il relativo importo, nonché gli elementi di individuazione (…). Relativamente all’elemento temporale, l’elenco di cui sopra dovrebbe contenere la specifica della destinazione e della durata di utilizzazione del bene o del mezzo sul territorio nazionale nell’accezione giuridica che ad esso viene data dalla normativa nazionale regolante lo specifico settore dei trasporti”. Osserviamo che l’attuale definizione del presupposto territoriale rischia di riprodurre quella stessa “lacuna normativa” che negli anni ‘80 ha causato numerose controversie in tema di applicabilità della ritenuta alla fonte sulle royalties corrisposte a società non residenti prive di stabile organizzazione in Italia culminate con la sentenza della Cassazione, Sezioni Unite, del 7 luglio 1983, n. 718412, che Note: 11 V. Commentario all’art. 12 del Modello OCSE, par. 9. 12 Recentemente ribadita in altro campo dalla sentenza n. 9197 del 21 aprile 2011 (udienza del 10 febbraio 2011), alla quale, peraltro, la risoluzione n. 89/E del 2012 ha chiaramente mostrato di non dare acquiescenza. n. 11/2014 19 Tassazione dei redditi aveva definitivamente chiarito che i redditi relativi allo sfruttamento di beni immateriali non erano imponibili in Italia se corrisposti a imprese non residenti senza stabile organizzazione nel territorio dello Stato. In mancanza di una specifica disposizione impositiva, infatti, i canoni erano stati considerati quali componenti dell’unitario reddito d’impresa che, in quanto tale, non era imponibile in Italia in mancanza dell’esercizio di un’attività d’impresa attraverso una stabile organizzazione. Per le royalties la questione è stata risolta legislativamente nel 1982 introducendo nell’allora vigente art. 19 del D.P.R. n. 597/1973 (sulla territorialità dei rediti prodotti da non residenti) il nuovo n. 9) in base al quale si consideravano comunque prodotti nel territorio dello Stato i canoni corrisposti a soggetti non residenti, indipendentemente dall’esistenza in Italia di una base fissa o di una stabile organizzazione. Tale norma è ora recepita nell’art. 23, comma 2, lett. c) del Testo Unico in base al quale i compensi per l’utilizzazione di opere dell’ingegno, di brevetti industriali e di marchi d’impresa nonché di processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico si considerano prodotti nel territorio dello Stato, se corrisposti dallo Stato, da soggetti residenti nel territorio dello Stato o da stabili organizzazioni nel territorio stesso di soggetti non residenti, indipendentemente dalle condizioni di cui alle lett. c), d), e) e f) del comma 1 e quindi fra l’altro - indipendentemente dalla circostanza che derivino da attività esercitate nel territorio dello Stato mediante stabili organizzazioni. In altri termini, non essendo menzionati in detta disposizione, per i compensi per l’uso o la concessione in uso di attrezzature industriali, commerciali o scientifiche, mancherebbe il presupposto di territorialità volto ad attrarli a tassazione in Italia se percepiti da soggetti esteri nell’esercizio di un’attività di impresa, senza stabile organizzazione nel territorio nazionale. 20 n. 11/2014 Tale circostanza indurrebbe quindi a ritenere che l’effetto della modifica apportata dal D.Lgs. n. 143/2005 all’art. 25 del D.P.R. n. 600/1973 sia (solo) quello di avere introdotto una tassazione alla fonte a titolo d’imposta sui compensi per l’uso o la concessione in uso di attrezzature industriali, commerciali o scientifiche che si trovano nel territorio dello Stato, percepiti da soggetti non residenti al di fuori di un’attività d’impresa e (naturalmente) senza stabile organizzazione in Italia. Sempre sulla base di una interpretazione letterale delle norme citate - e in linea con la decisione delle Sezioni Unite della Cassazione - resterebbero esclusi da imposizione in Italia, i compensi per l’uso o la concessione in uso di attrezzature industriali, commerciali o scientifiche che si trovano nel territorio dello Stato, percepiti da soggetti non residenti nell’esercizio di un’attività di impresa, senza stabile organizzazione in Italia. A sostegno di tale impostazione si potrebbe, altresì, dire che, se il legislatore avesse voluto rendere (nuovamente) imponibili questi canoni anche nei confronti degli imprenditori esteri li avrebbe ricollocati nella lett. c) dell’art. 23, comma 2, del T.U., così come lo erano fino al 1988 [lett. c) che corrisponde all’art. 19, comma 1, n. 9), del D.P.R. n. 597/1973] da cui sono stati tolti. Tuttavia, non si può fare a meno di notare che in tal modo detti canoni sfuggirebbero sempre ad imposizione in Italia se percepiti da soggetti esteri imprenditori senza stabile organizzazione nel territorio dello Stato, rendendo peraltro superflua l’esenzione prevista (sul pagamento degli stessi) all’art. 26-quater del D.P.R. n. 600/1973. Questa disposizione, com’è noto, prevede, a determinate condizioni, l’esenzione da imposizione degli interessi e dei canoni (compresi quelli di cui si tratta) pagati da società ed enti residenti in Italia, nonché da stabili organizzazioni situate nel territorio dello Stato, a società o enti - e quindi a soggetti imprenditori - residenti in Tassazione dei redditi Stati membri diversi ed appartenenti allo stesso gruppo, comprese le stabili organizzazioni. Ci si chiede, allora, che senso avrebbe avuto prevedere l’esenzione in parola nell’ambito dell’art. 26-quater del D.P.R. n. 600/1973, se tali compensi, qualora percepiti da imprenditori non residenti (comunitari e non) senza stabile organizzazione in Italia, non sarebbero comunque imponibili per mancanza del presupposto impositivo? Al riguardo, la circolare n. 47/E del 2005, § 1, precisa che l’introduzione della ritenuta del 30% sui compensi corrisposti per l’uso, o la concessione in uso, di attrezzature industriali, commerciali o scientifiche che si trovano nel territorio dello Stato comporta “il venir meno degli obblighi dichiarativi da parte del percettore non residente, essendo stata introdotta una tassazione alla fonte a titolo definitivo anche per i predetti redditi derivanti dallo sfruttamento di beni mobili”. La stessa circolare precisa inoltre che “l’applicazione di tale ritenuta è esclusa nei casi in cui si rende applicabile il nuovo regime di esenzione introdotto per effetto della Direttiva”. Posto che il nuovo regime introdotto dalla Direttiva - e codificato nell’art. 26-quater del D.P.R. n. 600/1973 - si rende (soggettivamente) applicabile alle società ed enti non residenti, sembrerebbe che, per l’Amministrazione finanziaria, la ritenuta di cui all’art. 26 del D.P.R. n. 600/1973, trovi applicazione anche nei confronti dei canoni percepiti da soggetti esteri imprenditori senza stabile organizzazione in Italia, salvo l’esenzione prevista dall’art. 26-quater. A ben vedere, l’estensione dell’applicazione della ritenuta del 30% ai soggetti esteri imprenditori senza stabile organizzazione in Italia troverebbe conferma anche nelle istruzioni alla dichiarazione dei redditi, “UNICO - Enti non commerciali ed equiparati”, nella parte in cui si precisa che “per gli enti non residenti l’esame dell’oggetto principale dell’attività deve essere, in ogni caso, svolto sulla base dell’attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato. Pertanto, ai fini della qualificazione dell’ente non residente, occorre aver riguardo soltanto alla natura dell’attività svolta in Italia, prescindendo dalla connotazione che l’ente medesimo assume nell’ordinamento del paese di appartenenza”. Posto che un soggetto non residente può esercitare attività d’impresa in Italia soltanto per mezzo di una stabile organizzazione, dalla istruzioni alla dichiarazione dei redditi sembra desumersi che, in assenza di stabile organizzazione, un non residente non potrà mai essere considerato come imprenditore in Italia, a prescindere dalla veste giuridica che questi ha nel proprio Paese di residenza. In tal modo, non essendo percepiti nell’esercizio di un’attività d’impresa - per il Fisco italiano - i compensi percepiti da soggetti non residenti anche imprenditori (ma senza stabile organizzazione), relativi all’uso o la concessione in uso di attrezzature industriali, commerciali o scientifiche costituirebbero sempre redditi diversi13, risultando così imponibili in Italia ex art. 23, comma 1, lett. f) del T.U., e tassati con ritenuta a titolo d’imposta del 30% di cui all’art. 26, ultimo comma, del D.P.R. n. 600/1973. Inoltre, il tenore letterale dell’art. 25, ultimo comma, ultimo periodo del D.P.R. n. 600/1973 appare idoneo ad escludere dalla ritenuta i soli compensi corrisposti a stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti. Applicazione delle convenzioni contro le doppie imposizioni Nei casi in cui non siano applicabili le esenzioni previste per i canoni infragruppo, di cui all’art. 26-quater del D.P.R. n. 600/1973 (norma che ha recepito in Italia la Direttiva n. 2003/49/CE “interessi e royalties”) o all’art. 15 dell’Accordo Nota: 13 A conferma di ciò, le stesse istruzioni alla dichiarazione dei redditi, prevedono la compilazione del quadro RL, redditi diversi, anche per gli enti non commerciali non residenti e le società ed enti commerciali non residenti senza stabile organizzazione in Italia, ammettendo l’applicabilità dell’art. 67, con le relative previsioni in materia di presupposto imponibile. n. 11/2014 21 Tassazione dei redditi tra la Comunità europea e la Confederazione svizzera sui redditi da risparmio14, che stabilisce, tra l’altro, l’estensione alla Confederazione elvetica del regime di tassazione previsto dalla Direttiva n. 2003/49/CE, si deve verificare se il beneficiario del canone possa ottenere le riduzioni ed esenzioni previste dalle convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia. Infatti, le convenzioni stipulate dall’Italia15 prevedono, di norma all’art. 12, che con il termine “canoni” si intendono anche i compensi per l’uso o la concessione in uso di attrezzature industriali, commerciali o scientifiche. Ricordiamo, in proposito, alcune regole generali per l’applicazione delle convenzioni. Il Modello OCSE prevede che i canoni siano assoggettati ad imposizione soltanto nello Stato di residenza del percipiente se il percipiente stesso è l’effettivo beneficiario dei canoni. La condizione che il percipiente debba anche essere l’effettivo beneficiario è contenuta in tutti trattati stipulati dall’Italia tranne quello con Belgio, Islanda e Siria, i quali stabiliscono che i benefici del trattato si applicano alla sola condizione che l’effettivo beneficiario del reddito sia residente nell’altro Stato contraente. Pertanto, nel caso in cui il canone sia percepito mediante un soggetto interposto (agente senza rappresentanza, fiduciaria, o una società o ente fiscalmente “trasparente”) è bene, prudenzialmente, astenersi dall’applicare la Convenzione16. Nell’edizione 2014 del Commentario OCSE, la questione è stata definitivamente chiarita: il par. 4.6 del Commentario all’art. 12 afferma, infatti, che l’esenzione da tassazione nello stato della fonte (per l’Italia normalmente si tratta di uno sgravio parziale) permane nel caso in cui un intermediario, un mandatario o un fiduciario localizzato in uno Stato contraente o in un terzo Stato è interposto fra il debitore e il beneficiario effettivo del reddito, qualora il beneficiario effettivo del reddito sia residente dell’altro Stato contraente. Il Commentario precisa questo orientamento è condiviso dagli Stati OCSE sin dal 1997. Sempre con l’edizione del 2014, il Commentario OCSE ha fornito ulteriori precisazioni in ordine al concetto di beneficiario effettivo. 22 n. 11/2014 In particolare: 1) la nota 1 al par. 4 precisa che quando il trustee di un trust discrezionale non distribuisce le royalties percepite durante un determinato periodo d’imposta, il trust, se riconosciuto come un autonomo soggetto d’imposta, può essere considerato beneficiario effettivo secondo l’art. 12, anche se non è titolare effettivo secondo la Legge sui trust applicabile; 2) nel par. 4.1 e nel par 4.2 è confermato che un fiduciario o un mandatario o una conduit company17 non sono beneficiari effettivi; nel par. 4.3 viene chiarito che ciò accade in quanto il loro diritto di uso e godimento dei canoni è limitato da un’obbligazione legale o contrattuale di trasferire i proventi incassati ad un’altra persona. Questa obbligazione di norma deriva da documentazione legale, ma può anche derivare da circostanze di fatto che mostrano, come, in sostanza, il percettore non ha il diritto d’uso e godimento delle royalties avendo l’obbligo di trasferirle a terzi. Questa obbligazione (formale o implicita) deve però riguardare i pagamenti ricevuti. Non comprende le obbligazioni legali o contrattuali che non hanno per oggetto i pagamenti ricevuti, come ad esempio, l’obbligazione che il percettore del reddito abbia assunto come debitore di un terzo o parte di un contratto finanziario o la tipica obbligazione di erogare redditi assunta da uno schema pensionistico o da un fondo comune d’investimento18; Note: 14 Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’UE n. L 385 del 29 dicembre 2004. 15Le convenzioni sono consultabili sul sito del Dipartimento delle Finanze all’indirizzo: http://www.finanze.it/export/ finanze/Per_conoscere_il_fisco/fiscalita_Comunitaria_Inter nazionale/convenzioni_e_accordi/convenzioni_stipulate.htm. 16 Un’interpretazione estensiva delle convenzioni è contenuta in alcuni documenti di prassi (R.M. n. 12/431 del 7 maggio 1987, risoluzione n. 17/E del 27 gennaio 2006, e soprattutto la risoluzione 21 aprile 2008, n. 167/E). Tuttavia, una lettura “restrittiva” del tenore letterale delle convenzioni è stata data, ad esempio, dalla Cassazione nella sentenza n. 4600 del 26 febbraio 2009. 17Una conduit company è un’entità che pur risultando proprietaria formale del bene immateriale ha, di fatto, poteri talmente limitati da renderla, con riferimento ai redditi in esame, quale una mera fiduciaria o amministratrice del bene per conto del proprietario effettivo. 18 Concetto che viene meglio chiarito nel corrispondente par. 12.4 del Commentario all’art. 10 sui dividendi, non è quindi rilevante la circostanza che, di fatto, il percettore del reddito impieghi i fondi ricevuti per adempiere ad una propria obbligazione autonoma rispetto alla percezione del reddito (cioè - riteniamo - che non sorga per effetto della stessa percezione del reddito). Tassazione dei redditi 3) il par. 4.3 chiarisce anche che il beneficiario effettivo della royalties può essere un soggetto diverso dal proprietario del bene immateriale che l’ha prodotta. E il par. 4.5 chiarisce che i significato del termine “beneficiario effettivo” deve essere tenuto distinto da quello che lo stesso termine può avere in legislazioni non fiscali, quali quella “antiriciclaggio” in cui la locuzione è utilizzata per individuare il soggetto che in ultima analisi esercita il controllo su una determina entità. Questo è un aspetto che spesso non viene preso in considerazione in sede di verifica fiscale; 4) il par. 4.4, in ogni caso, esclude che l’interpretazione della nozione di beneficiario effettivo possa essere utilizzata per porre in essere comportamenti che costituiscano “abuso dei trattati contro le doppie imposizioni”. Per quanto riguarda le aliquote delle ritenute applicabili in base alla Convenzione, se sono aliquote maggiori di quelle previste dalla legislazione interna (non capita, per l’Italia essendo la ritenta convenzionale del 30%) si applica l’aliquota nazionale. La locuzione “... tuttavia tali canoni possono essere tassati nello Stato contraente dal quale essi provengono” va intesa nel senso che è lo Stato (titolare del potere impositivo) che può applicare o meno l’imposta. Pertanto se la normativa interna prevede l’applicazione di una ritenuta, il sostituto d’imposta è sempre obbligato ad operarla benché nei limiti fissati dalla Convenzione19. Se il percettore dei canoni ha nell’altro Stato contraente una stabile organizzazione e i diritti o beni generatori dei canoni si ricollegano effettivamente ad essa, le limitazioni previste dalla Convenzione all’imposta dovuta in quest’ultimo Stato non sono applicabili. Alcune convenzioni, tuttavia, prevedono che le limitazioni non operino anche quando la stabile organizzazione non abbia alcuna connessione con i diritti o beni generatori dei canoni. Si vedano in particolare i trattati con Irlanda e Svizzera. Adempimenti Per poter beneficiare dell’applicazione diretta della Convenzione, il non residente deve farne apposita richiesta al debitore dei canoni. La richiesta deve contenere: l’attestazione di residenza ai fini tributari nel Paese estero, rilasciata dalla competente Autorità fiscale; la dichiarazione di esistenza o meno di una stabile organizzazione (se si tratta di impresa) o di base fissa (se si tratta di professionista) in Italia, cui siano riconducibili i redditi in relazione ai quali si chiede il rimborso dell’imposta; dichiarazione di esistenza di eventuali altre specifiche condizioni previste dalla Convenzione. Con alcuni Stati esistono modelli ufficiali (Germania, Portogallo, Regno Unito, Svizzera, Svezia e, anche se limitato all’attestazione di residenza, Stati Uniti)20. Nei casi in cui non sia stata approvata una specifica modulistica si utilizza quella standard approvata con il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate 10 luglio 201321. Dalla risoluzione n. 167/E del 2008 si desume indirettamente che non è necessario che la certificazione dello Stato estero sia prodotta in occasione di ogni pagamento; è sufficiente che sia prodotta prima del pagamento inziale e - in seguito - almeno una volta all’anno, mantenendo validità fino al 31 marzo dell’anno successivo, in analogia a quanto disposto dall’art. 27-ter del D.P.R. n. 600/1973 con riferimento all’applicazione delle convenzioni agli utili distribuiti da società con azioni dematerializzate accentrate in Monte Titoli. La ritenuta del 30% deve essere operata sull’intero ammontare del canone di locazione; salvo Note: 19 Cfr. anche R.M. 18 marzo 1984, n. 12/1503 e n. 412/E del 2008; in giurisprudenza, fra le altre, Cass. n. 3214 del 14 dicembre 2004 - 21 febbraio 2005; Cass. 5 gennaio 2005, n. 143. 20I Modelli sono prelevabili dal sito dell’Agenzia delle entrate all’indirizzo: http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/ content/Nsilib/Nsi/Documentazione/Fiscalita+inter nazionale/Convenzioni+per+evitare+le+doppie+imposizi oni+Modulistica/. 21Consultabile sul sito dell’Agenzia delle entrate all’indirizzo: http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/wcm/connect/ 87571980404df8639e97ffd8b569725f/TOTALE_Provve dimento+approvazione+Mod.+del+Direttore_allegati_ 1_10_07_2013.pdf?MOD=AJPERES&CACHEID=8 7571980404df8639e97ffd8b569725f. n. 11/2014 23 Tassazione dei redditi l’applicazione delle ipotesi di esenzione o riduzione sopra descritte. Deve essere operata all’atto del pagamento del canone e deve essere versata con il Mod. F24 con il codice 1040. Nel Mod. 770 semplificato, nel punto 18 della Comunicazioni dati certificazioni lavoro autonomo, provvigioni e redditi diversi deve essere usato il codice P. Canoni corrisposti a soggetti “black list”. Separata indicazione della spesa nel quadro RF del Mod. UNICO L’art. 110, comma 10 del Testo Unico dispone che non sono ammessi in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti ed imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori non appartenenti all’Unione Europea aventi regimi fiscali privilegiati. L’elenco di questi Stati o territori è contenuto nel D.M. 23 gennaio 2002. In base al successivo comma 11, il divieto di deduzione 24 n. 11/2014 non si applica quando le imprese residenti in Italia forniscano la prova che le imprese estere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione22. Inoltre viene disposto che le spese e gli altri componenti negativi deducibili siano separatamente indicati nella dichiarazione dei redditi, il che avviene - per le società di capitali - indicandole come “variazione in aumento” nel rigo RF30 e come “variazione in diminuzione” nel rigo RF52. Nota: 22 L’Amministrazione, prima di procedere all’emissione dell’avviso di accertamento d’imposta o di maggiore imposta, deve notificare all’interessato un apposito avviso con il quale viene concessa al medesimo la possibilità di fornire, nel termine di novanta giorni, le prove predette. Ove l’Amministrazione non ritenga idonee le prove addotte, dovrà darne specifica motivazione nell’avviso di accertamento.