Tassazione
dei redditi
Tassazione in Italia dei canoni
di “leasing” corrisposti a società
concedenti non residenti
di Antonio Della Carità e Marco Piazza
L’approfondimento
Una società di “leasing” non residente che
percepisce canoni per la locazione anche
finanziaria di beni situati in Italia deve affrontare non poche difficoltà interpretative
per comprendere il corretto trattamento
fiscale a cui far fronte, posto che: nel caso
in cui svolga la propria attività in Italia per
il tramite di una stabile organizzazione, i
canoni concorreranno a formare il reddito
complessivo della stabile organizzazione
secondo le regole del reddito d’impresa;
diversamente, occorrerà verificare, caso
per caso, se sussistano i presupposti di
imposizione di carattere territoriale di cui
all’art. 23 del Testo Unico e quelli di applicazione della ritenuta alla fonte di cui
all’ultimo comma dell’art. 25 del D.P.R.
n. 600/19731.
agevole considerato che detta società potrebbe
limitarsi ad avere nel territorio dello Stato un
mero ufficio di rappresentanza o, più genericamente, una sede d’affari di carattere preparatorio o ausiliario.
Per meglio comprendere la tematica, si rende
opportuno distinguere le ipotesi di “locazione
finanziaria” (leasing finanziario) dalle altre
ipotesi in cui beni materiali o immateriali sono
concessi in uso a vario titolo (in licenza, a
noleggio, ecc.).
A tal fine, si ricorda che l’attività di locazione
finanziaria può essere svolta in Italia da
parte di banche e società finanziarie con sede
nell’Unione Europea attraverso una propria
Antonio Della Carità - BDC - Avvocato - Studio Legale Tributario Associato
Marco Piazza - Professore di Economia e tecnica degli scambi
internazionali - Università Cattolica del Sacro Cuore
Nota:
Canoni corrisposti alla stabile
organizzazione in Italia della società
di “leasing”
In generale, i canoni corrisposti alla stabile organizzazione in Italia della società di leasing
non residente non scontano alcuna ritenuta alla
fonte ex art. 25, ultimo comma, del D.P.R. n.
600/1973. Si pone quindi il problema per il soggetto pagatore - che opera in qualità di sostituto
d’imposta - di accertarsi dell’effettiva esistenza
in Italia di una stabile organizzazione della società di leasing, circostanza questa non sempre
14
n. 11/2014 1 L’art. 25, ultimo comma, del D.P.R. n. 600/1973 dispone:
“È operata, altresì, una ritenuta del 30% a titolo di imposta
sull’ammontare dei compensi corrisposti a non residenti per
l’uso o la concessione in uso di attrezzature industriali, commerciali o scientifiche che si trovano nel territorio dello Stato. Ne sono esclusi i compensi corrisposti a stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti” Si
ricorda, peraltro, che l’art. 26-quater del D.P.R. n. 600/1973
prevede, a determinate condizioni, l’esenzione da imposizione dei canoni (fra i quali quelli percepiti per l’uso o la
concessione in uso di attrezzature industriali, commerciali
o scientifiche) pagati da società ed enti residenti in Italia,
nonché da stabili organizzazioni situate nel territorio dello
Stato, a società o enti residenti in Stati membri diversi ed
appartenenti allo stesso gruppo, comprese le stabili organizzazioni. L’art. 26-quater citato recepisce in Italia la Direttiva
n. 2003/49/CE del 3 giugno 2003, (c.d. Direttiva interessi e
royalties).
Tassazione
dei redditi
succursale o in regime di libera prestazione
di servizi2 con l’osservanza della procedura
di comunicazione di cui alla circolare della
Banca d’Italia n. 285 del 17 dicembre 2013,
Parte Prima, Titolo I, Capitolo 3, Sezione V3.
Anche le banche extracomunitarie autorizzate
ad operare in Italia mediante succursale4 o in
libera prestazione di servizi5 possono svolgere
attività di leasing6.
L’esercizio dell’attività mediante stabile organizzazione in Italia da parte di intermediari
finanziari comunitari ed extracomunitari non
bancari richiede inoltre l’iscrizione nell’elenco degli intermediari finanziari di cui
Note:
2 Art. 34 della Direttiva n. 2013/36/UE (CRD IV).
3 In particolare, presentano alla Banca d’Italia la stessa tipologia di comunicazione che deve essere presentata dalle banche
comunitarie che intendano esercitare attività bancaria in Italia mediante succursale oppure in libera prestazione di servizi,
senza stabilimento. La comunicazione è accompagnata da un
attestato delle autorità competenti dello Stato d’origine che
certifica la sussistenza di tutte le condizioni, di seguito elencate,
per l’applicazione del mutuo riconoscimento:
- la o le imprese madri della società finanziaria sono autorizzate come banche nello Stato d’origine;
- la o le imprese madri detengono almeno il 90% dei diritti
di voto connessi con la detenzione di quote o azioni della
società finanziaria;
- la o le imprese madri soddisfano le autorità competenti circa
la prudente gestione della società finanziaria e si sono dichiarate garanti in solido degli impegni presi dalla società stessa,
con l’assenso delle autorità competenti dello Stato d’origine;
- la società finanziaria è inclusa effettivamente, in particolare
per le attività che intende svolgere in Italia, nella vigilanza
su base consolidata alla quale è sottoposta l’impresa madre
o ciascuna delle imprese madri;
- lo statuto della società finanziaria consente l’esercizio delle attività che essa intende svolgere in Italia;
- le attività in questione sono già effettivamente esercitate
dalla società finanziaria nello Stato d’origine.
Le società finanziarie sono soggette alle disposizioni di interesse generale che regolano in Italia i rispettivi settori di
attività, secondo le stesse modalità previste per le banche
comunitarie. In particolare, sono soggette al regime antiriciclaggio di cui al D.Lgs. n. 231/2007 e alle disposizioni
concernenti l’invio di dati e informazioni nonché quelle
riguardanti la conduzione di accertamenti ispettivi.
Non si applicano ovviamente le norme in materia di vigilanza prudenziale in quanto sono soggette alla vigilanza
delle autorità dello Stato d’origine.
4 Artt. 14 e 15 del T.U.B.
5 Art. 16 del T.U.B.
6 Art. 33 della Direttiva n. 2013/36/UE (CRD IV).
all’art. 106 del T.U.B.7. L’esercizio di attività
che presuppongono la concessione in uso
di beni materiali o immateriali - a titolo
di licenza, di noleggio anche a lungo termine
- non è invece soggetta a particolari condizioni nel caso in cui sia inquadrabile come locazione finanziaria.
Accade così che, nel caso di leasing finanziario,
l’accertamento dell’esistenza in Italia di una stabile organizzazione sia relativamente semplice,
proprio per il fatto che questa attività può essere esercitata in Italia solo da intermediari
soggetti a vigilanza, iscritti in albi o elenchi
ufficiali in Italia o all’estero, dai quali si può facilmente desumere se questi soggetti operino in
Italia con una succursale oppure no.
Nota:
7 Cfr. artt. 20 e 21 del Decreto MEF 17 febbraio 2009, n. 29
e provvedimento della Banca d’Italia del 14 maggio 2009.
In base all’art. 20 citato, l’iscrizione nell’elenco generale di
intermediari finanziari comunitari è subordinata al ricorrere
delle seguenti condizioni:
a) svolgimento effettivo dell’attività finanziaria nel Paese di
provenienza;
b) esercizio in Italia dell’attività finanziaria in via esclusiva;
c) costituzione di un fondo di dotazione di importo almeno
pari al capitale sociale richiesto, dall’art. 106, comma 3, del
Testo Unico, agli intermediari finanziari aventi sede legale in
Italia. Il fondo di dotazione deve essere investito per almeno
euro 1, 5 milioni in attività liquide o in titoli di pronta liquidabilità, entrambi depositati su un unico conto costituito
presso una succursale operante in Italia di una banca nazionale, comunitaria o extracomunitaria;
d) sussistenza dei requisiti di professionalità, indipendenza ed
onorabilità previsti dell’art. 109 del Testo Unico in capo ai
soggetti che svolgono la funzione di direzione dell’organizzazione stabile operante in Italia;
e) sussistenza dei requisiti di onorabilità in capo ai titolari
di partecipazioni rilevanti nell’intermediario finanziario comunitario che ha chiesto l’iscrizione della stabile organizzazione operante in Italia.
Nel caso in cui sussista nel Paese di origine dell’intermediario finanziario comunitario una regolamentazione di settore
equivalente a quella prevista dal titolo V del Testo Unico,
l’iscrizione nell’elenco generale è subordinata al verificarsi
della sola condizione dello svolgimento effettivo dell’attività
finanziaria nel Paese di provenienza.
Per gli intermediari extracomunitari è inoltre richiesto il
rilascio da parte del rappresentante legale della società di dichiarazione attestante l’osservanza dei principi e delle cautele di cui alle raccomandazioni emesse dal Gruppo di Azione
Finanziaria Internazionale (GAFI) in tema di riciclaggio di
denaro proveniente da attività illecite.
n. 11/2014
15
Tassazione
dei redditi
Se il cliente riscontra che l’intermediario estero
ha una succursale in Italia, che i propri contatti
con l’intermediario estero sono gestiti da tale
succursale e i canoni sono ad essa corrisposti, ha
elementi di giudizio sufficienti per escludere di
dover applicare la ritenuta.
Anche quando il locatore non rientra fra quelli
esercenti attività finanziaria, il cliente dovrebbe
essere sufficientemente tutelato dal riscontro
presso il registro delle imprese del fatto che il
locatore abbia denunciato la detenzione in Italia
di una sede secondaria con rappresentanza stabile. Difficilmente, infatti, una sede secondaria
con rappresentanza stabile non presenta gli elementi costitutivi di una stabile organizzazione.
Il soggetto con maggiori problemi in questo caso
è il locatore, in quanto accade frequentemente
che operi in Italia mediante strutture minime
denunciate al registro delle imprese come meri
“uffici di rappresentanza”, anziché come sedi
secondarie. In queste ipotesi, infatti, qualora
l’Amministrazione finanziaria ritenesse tali
uffici aventi i requisiti costitutivi di una stabile
organizzazione, la società estera locatrice si
vedrebbe contestare l’omessa presentazione della
dichiarazione dei redditi in Italia, con conseguente
evasione di IRES e IRAP sull’imponibile della
branch accertata.
Ricordiamo che, in questi casi, l’indagine passa
attraverso l’applicazione dei criteri contenuti
nell’art. 162 del Testo Unico e nell’articolo
dell’eventuale trattato contro le doppie imposizioni che definisce la stabile organizzazione (in
genere conforme all’art. 5 del Modello di Convenzione OCSE) vigente con lo Stato estero in
cui risiede il locatore.
In base al par. 8 del Commentario OCSE all’art.
5 del Modello di Convenzione, quando beni
materiali (come attrezzature, apparecchiature
commerciali, industriali o scientifiche, fabbricati) o beni immateriali (come brevetti, procedure o attività similari) sono concessi in uso
o locazione a terzi per mezzo di una sede fissa
d’affari situata in uno Stato contraente, queste
attività renderanno, di norma, la sede fissa una
“stabile organizzazione”. Se le stesse attività
16
n. 11/2014 sono svolte senza l’impiego di una base fissa, la
presenza delle attività locate nel territorio dello
Stato non costituirà di per sé stabile organizzazione, sempreché il contratto preveda
esclusivamente la loro locazione.
Non vi è stabile organizzazione neppure nel
caso in cui il locatore fornisca personale, dopo
l’istallazione, per far funzionare o per provvedere
alla manutenzione dei beni locati, purché tale
personale agisca sotto la direzione, responsabilità
e controllo dell’utilizzatore. Nel caso in cui,
invece, al personale siano riservate responsabilità
più ampie (per esempio, partecipi alle decisioni
relative al lavoro per il quale sono utilizzate le
apparecchiature) o il personale stesso agisca
sotto la direzione responsabilità o controllo
del locatore, l’attività di quest’ultimo travalica
la mera locazione è può costituire attività
d’impresa. In questo caso si può presumere che la
sede fissa costituisca una stabile organizzazione,
se è verificato il criterio della “permanenza”.
Se l’attività è connessa o è simile a quelle
menzionate nel par. 3 dell’art. 5, Modello
OCSE (cantiere di costruzione, montaggio o
istallazione, attività di supervisione), il criterio di
permanenza è verificato se ha durata superiore
a tre mesi, secondo l’art. 162 del Testo Unico,
oppure, se è in vigore una Convenzione con
lo Stato di residenza del locatore, la maggiore
durata prevista dal trattato; altrimenti la verifica
andrà fatta caso per caso8.
Tuttavia, la sede d’affari non costituisce stabile
organizzazione quando viene utilizzata ai soli
fini di svolgere, per l’impresa, un’attività che
abbia carattere preparatorio o ausiliario.
Stabilire quando un’attività abbia carattere preparatorio o ausiliario non è comunque sempre
agevole, anche perché capita spesso che un’attività inizialmente impostata come “preparatoria
o ausiliaria”, si modifichi gradualmente fino a
divenire attività principale.
In base al par. 23 del Commentario all’art. 5
del Modello OCSE in alcuni casi una sede fissa
d’affari, pur contribuendo all’attività produttiva
dell’impresa, fornisce servizi così scarsamente
idonei a produrre utili da rendere difficile
Nota:
8 La locazione dei container è un caso particolare illustrato diffusamente in un rapporto OCSE intitolato “The Taxation of
Income Derived from the Leasing of Containers”.
Tassazione
dei redditi
quantificare il reddito che dovrebbe esserle imputato.Viene fatto l’esempio delle sedi utilizzate
al solo scopo di pubblicità o per fornire informazioni o fare ricerca scientifica o nell’ambito
dell’esecuzione di un contratto di licenza di un
brevetto o di un contratto di sfruttamento di
know how.
Il par. 25 precisa, invece, che se, ad esempio, una
sede fissa non si limita a fornire informazioni,
ma anche progetti personalizzati per il singolo
cliente oppure una sede di ricerca fosse impegnata nella fabbricazione dei prodotti, sarebbe
considerata “stabile organizzazione”. La materia è in costante evoluzione. Nel documento
OCSE, attualmente in bozza, intitolato “Interpretation and Application of Article 5 (Permanent
Establishment) of the OECD Model Tax Convention” del 19 ottobre 2012, si propone di chiarire9
nel Commentario che la nozione di “stabile
organizzazione personale” definita nell’art. 5,
par. 5 del Modello OCSE10 non riguarda solo
i contratti di vendita di beni, ma anche quelli
di vendita di servizi, fra i quali vengono citati, a
titolo esemplificativo, i contratti di leasing.
La questione 24 dello stesso documento affronta
un quesito sull’interpretazione del par. 8 del
Commentario, sopra illustrato.
Con riferimento alle attività di leasing, viene
chiesto di chiarire se vi sia stabile organizzazione
solo quando vi sia un ufficio in cui sono firmati
i relativi contratti o sono immagazzinate le
attrezzature destinate al noleggio. A questo
proposito il Comitato Affari fiscali OCSE ritiene
che si possano utilizzare i criteri indicati nei
paragrafi da 42.7 a 42.9 del Commentario,
relativi alla stabile organizzazione nel commercio
elettronico, prevalentemente incentrati sulla
definizione di parametri in base ai quali si
può stabilire se l’attività svolta impiegando
attrezzatura localizzata in un dato Paese (nel caso
si tratta del server in cui sono immagazzinati i
dati) sia “principale” o meramente preparatoria
o ausiliaria.
L’esistenza in Italia di una stabile organizzazione
comporta la necessità di determinare il relativo reddito e valore della produzione imponibili ai fini IRES e IRAP. La mancanza
di una autonoma soggettività giuridica ed indipendenza economica e gestionale della stabile
organizzazione comporta particolari difficoltà
nell’individuazione dei costi e ricavi ad essa imputabili. Soccorrono, a questi fini, i criteri descritti nell’art. 7 del Modello di Convenzione
OCSE e nel relativo Commentario, meglio
dettagliati nel rapporto OCSE Attribution of Profits to Permanent Establishments, di cui esiste una
versione del 2008 riferita alla vecchia versione
dell’art. 7 del Modello (quella adottata nelle
convenzioni stipulate dall’Italia) e una versione
del 2010 riferita alla nuova versione dell’art. 7.
I canoni concorreranno alla formazione del
reddito imponibile della stabile organizzazione,
che andrà dichiarato in Italia da parte del locatore.
Attività di “leasing” svolta senza
una stabile organizzazione
Si è detto nel paragrafo precedente che se il locatore non residente si avvale di una stabile organizzazione in Italia nei termini sopra descritti
il locatario italiano non è tenuto ad operare la
ritenuta di cui all’art. 25, ultimo comma, del
D.P.R. n. 600/1973. La norma, infatti esclude
esplicitamente “i compensi corrisposti a
stabili organizzazioni nel territorio dello
Stato di soggetti non residenti”.
Se invece, i canoni non sono corrisposti alla stabile organizzazione in Italia di una società non
residente, occorre approfondire la procedura
di applicazione della ritenuta di cui all’ultimo
comma dell’art. 25, D.P.R. n. 600/1973. Gli
aspetti da considerare sono i seguenti:
Note:
9 Cfr. la questione 20.
10 Il base all’art. 5, par. 5 del Modello OCSE, una persona che
agisce in uno Stato contraente per conto di un’impresa
dell’altro Stato contraente - diversa da un agente che goda
di uno status indipendente - è considerata stabile organizzazione nel primo Stato se dispone nello Stato stesso di poteri
che esercita abitualmente e che le permettano di concludere
contratti a nome dell’impresa, salvo il caso in cui l’attività di
detta persona sia limitata alle attività preparatorie e ausiliarie che, in base al par. 4 dell’art. 5, non costituiscono stabile
organizzazione.
n. 11/2014
17
Tassazione
dei redditi
- presupposto;
- territorialità;
- applicazione delle convenzioni contro le
doppie imposizioni;
- adempimenti.
Presupposto
La ritenuta del 30% a titolo d’imposta di cui
all’art. 25 del D.P.R. n. 600/1973 deve essere applicata sull’ammontare dei compensi corrisposti
a non residenti per l’uso o la concessione in
uso di attrezzature industriali, commerciali o scientifiche che si trovano nel territorio dello Stato.
La circolare n. 47/E del 2005 precisa al par. 2.1
che “sono stati ricondotti nell’ambito applicativo della tassazione alla fonte a titolo definitivo
anche i canoni derivanti dallo sfruttamento dei
predetti beni mobili. Quest’ultima specificazione della norma comporta, quindi, il venir
meno degli obblighi dichiarativi da parte
del percettore non residente, essendo stata
introdotta una tassazione alla fonte a titolo definitivo anche per i predetti redditi derivanti dallo
sfruttamento di beni mobili”.
La norma va letta in collegamento con l’art. 67,
comma 1, lett. h) del Testo Unico che annovera,
appunto, fra i redditi diversi i proventi non conseguiti nell’attività d’impresa e derivanti dall’affitto, locazione, noleggio o concessione in uso
di veicoli, macchine ed altri beni mobili.
Sarebbe stato meglio se vi fosse stata coincidenza
fra il presupposto di tassazione di cui all’art. 67,
comma 1, lett. h) e quello di applicazione della
ritenuta di cui all’art. 25, ultimo comma, del
D.P.R. n. 600/1973. Il campo di applicazione
dell’art. 67 del Testo Unico, infatti, pare più ampio di quello di applicazione della ritenuta. La
circolare n. 47/E del 2005, par. 2.1.1., comunque,
afferma che l’espressione “attrezzature” debba ricomprendere i beni destinati allo svolgimento di
un’attività d’impresa (industriale, commerciale o
di servizi). Ad esempio i macchinari per la produzione di manufatti (ad esempio, i robot industriali),
18
n. 11/2014 container, macchine per l’edilizia (ad esempio, le
gru e le betoniere), macchine per l’agricoltura
(ad esempio, i trattori e le trebbiatrici) e veicoli
per il trasporto di beni e persone per terra, aria e
mare (ad esempio, automobili, treni, aerei e navi).
Quanto alla definizione del concetto di “uso o
concessione in uso” dell’attrezzatura, la circolare
n. 47/E del 2005, par. 6.2 precisa che questa circostanza si verifica quando il contratto vincola
la controparte non alla prestazione di un servizio (facere) ma alla cessione in uso (dare) della
predetta attrezzatura.
La circolare n. 47/E del 2005, par. 6.2 precisa che
non rientra nella definizione di uso o concessione
in uso il contratto denominato “voyage charter”
- in cui il noleggiante è obbligato a compiere con
una nave determinata uno o più viaggi prestabiliti
- né quello denominato “time charter”, in cui il
noleggiante è obbligato a compiere i viaggi per
un determinato periodo di tempo. In entrambi i
casi, infatti, l’oggetto del contratto non è il mezzo
di trasporto, bensì una complessa prestazione
di servizi in cui il veicolo costituisce solo lo
strumento per l’esecuzione della prestazione da
parte del vettore.
In questo senso si esprime anche il par. 5 del
Commentario all’art. 8 del Modello OCSE il
quale precisa che “i redditi ottenuti dalla concessione in affitto di navi od aerei in charter,
pienamente attrezzati, equipaggiati e riforniti
devono essere trattati quali utili derivanti dal trasporto di passeggeri o merci”, e, quindi, assoggettati a tassazione esclusivamente nello Stato di
residenza del beneficiario.
Il par. 5 citato, inoltre precisa che i redditi derivanti dalla locazione di una nave o di un aereo, cosiddetta “a scafo nudo” non rientrano nel
campo di applicazione dell’art. 8 (riferito alle
imprese di navigazione marittima ed aerea),
bensì nell’art. 7 (“Redditi derivanti da attività
commerciali”) a meno che non si tratti di attività meramente accessorie di quella di navigazione marittima ed aerea.
Il Commentario non considera la terza ipotesi
che i redditi di locazione rientrino fra i “canoni”
assoggettabili a ritenuta nello Stato della fonte,
Tassazione
dei redditi
semplicemente per il fatto che, dall’edizione
1977 del Modello OCSE, i compensi per l’uso
o la concessione in uso di attrezzature industriali
commerciali o scientifiche sono stati espunti dalla
definizione di royalties, proprio allo scopo di rendere certo che siano suscettibili di produrre esclusivamente redditi d’impresa tassabili nello Stato
della fonte solo se relativi ad una stabile organizzazione11. Ma sotto questo aspetto le convenzioni
italiane sono conformi al Modello OCSE del
1963 che invece comprendeva nella definizione
di canone anche tali compensi i quali sono ora
assimilati alle royalties anche dalla normativa nazionale. Per questo la circolare n. 47/E del 2005 al
par. 6.2. precisa che “rientrano fra i contratti di uso
o concessione in uso soggetti alla predetta ritenuta
quelli (denominati “bare boat charter” o “demise
charter”), in cui l’oggetto del contratto è costituito
dalla nave e dalle sue pertinenze”. La circolare n.
47/E contiene inoltre una precisazione che può
ingenerare difficoltà operative per il locatario. Secondo la circolare, infatti, non vanno assoggettati a
ritenuta i canoni derivanti dalla locazione di navi
o aeromobili a scafo nudo qualora rappresentino
fonti occasionali di reddito per le imprese operanti in traffici internazionali. Il motivo sarebbe
che in tal caso i canoni rientrerebbero nell’ambito
degli utili d’impresa assoggettabili a tassazione
nello Stato in cui è situata l’effettiva direzione
dell’impresa di navigazione, ai sensi dell’art. 8 del
Modello OCSE di Convenzione. Di conseguenza
- secondo l’Agenzia - limitatamente ai Paesi con
i quali è in vigore una Convenzione contro le
doppie imposizioni, che abbia recepito l’art. 8 del
Modello OCSE, la ritenuta di cui all’art. 25, ultimo comma, del D.P.R. n. 600/1973 non si
applica a tali proventi purché rappresentino una
fonte occasionale di reddito.
Territorialità
L’art. 23, comma 2, lett. f), del Testo Unico assoggetta a tassazione in Italia i “redditi diversi
(...) derivanti da attività svolte nel territorio
dello Stato o relative a beni che si trovano nel
territorio stesso”. Coerentemente, la circolare
2 novembre 2005, n. 47/E precisa che “i canoni per la locazione di veicoli, macchine ed
altri beni mobili, rientrando nell’ambito generico dei redditi diversi, sono imponibili in Italia
alla condizione che derivino da attività svolte
nel territorio dello Stato o da beni che si trovano nel territorio stesso a norma della lett. f)
del comma 1 del medesimo art. 23 del T.U.I.R.”
(cfr. § 1), e che tali canoni sono tassabili in Italia solo se costituenti redditi diversi contemplati
nell’art. 67, comma 1, lett. h), del T.U. (cfr. § 6.1).
Per i beni mobili utilizzati parte in Italia e
parte all’estero (autoveicoli, navi aeromobili,
containers, ecc.) si ritengono tutt’ora validi i criteri suggeriti con la C.M. 12 dicembre 1981, n.
42, par. 7: dovrebbe, cioè, rilevare il luogo di utilizzo prevalente. Il par. 8 della C.M. n. 42 precisa
che “potrà essere rilevante redigere un apposito
elenco in cui, per ciascun mezzo, siano riportati i dati riguardanti gli estremi del contratto
di utilizzo, la durata, il relativo importo,
nonché gli elementi di individuazione (…).
Relativamente all’elemento temporale, l’elenco
di cui sopra dovrebbe contenere la specifica
della destinazione e della durata di utilizzazione
del bene o del mezzo sul territorio nazionale
nell’accezione giuridica che ad esso viene data
dalla normativa nazionale regolante lo specifico
settore dei trasporti”. Osserviamo che l’attuale
definizione del presupposto territoriale rischia
di riprodurre quella stessa “lacuna normativa”
che negli anni ‘80 ha causato numerose controversie in tema di applicabilità della ritenuta
alla fonte sulle royalties corrisposte a società non
residenti prive di stabile organizzazione in Italia culminate con la sentenza della Cassazione,
Sezioni Unite, del 7 luglio 1983, n. 718412, che
Note:
11 V. Commentario all’art. 12 del Modello OCSE, par. 9.
12 Recentemente ribadita in altro campo dalla sentenza n. 9197
del 21 aprile 2011 (udienza del 10 febbraio 2011), alla quale,
peraltro, la risoluzione n. 89/E del 2012 ha chiaramente mostrato di non dare acquiescenza.
n. 11/2014
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Tassazione
dei redditi
aveva definitivamente chiarito che i redditi relativi allo sfruttamento di beni immateriali non
erano imponibili in Italia se corrisposti a imprese non residenti senza stabile organizzazione
nel territorio dello Stato. In mancanza di una
specifica disposizione impositiva, infatti, i canoni erano stati considerati quali componenti
dell’unitario reddito d’impresa che, in quanto
tale, non era imponibile in Italia in mancanza
dell’esercizio di un’attività d’impresa attraverso
una stabile organizzazione.
Per le royalties la questione è stata risolta legislativamente nel 1982 introducendo nell’allora
vigente art. 19 del D.P.R. n. 597/1973 (sulla territorialità dei rediti prodotti da non residenti) il
nuovo n. 9) in base al quale si consideravano comunque prodotti nel territorio dello Stato
i canoni corrisposti a soggetti non residenti, indipendentemente dall’esistenza in Italia
di una base fissa o di una stabile organizzazione.
Tale norma è ora recepita nell’art. 23, comma
2, lett. c) del Testo Unico in base al quale i
compensi per l’utilizzazione di opere dell’ingegno, di brevetti industriali e di marchi
d’impresa nonché di processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel
campo industriale, commerciale o scientifico si
considerano prodotti nel territorio dello Stato,
se corrisposti dallo Stato, da soggetti residenti
nel territorio dello Stato o da stabili organizzazioni nel territorio stesso di soggetti non residenti, indipendentemente dalle condizioni di
cui alle lett. c), d), e) e f) del comma 1 e quindi fra l’altro - indipendentemente dalla circostanza
che derivino da attività esercitate nel territorio dello Stato mediante stabili organizzazioni.
In altri termini, non essendo menzionati in
detta disposizione, per i compensi per l’uso o
la concessione in uso di attrezzature industriali,
commerciali o scientifiche, mancherebbe il
presupposto di territorialità volto ad attrarli a
tassazione in Italia se percepiti da soggetti esteri
nell’esercizio di un’attività di impresa, senza
stabile organizzazione nel territorio nazionale.
20
n. 11/2014 Tale circostanza indurrebbe quindi a ritenere
che l’effetto della modifica apportata dal D.Lgs.
n. 143/2005 all’art. 25 del D.P.R. n. 600/1973
sia (solo) quello di avere introdotto una tassazione alla fonte a titolo d’imposta sui compensi
per l’uso o la concessione in uso di attrezzature industriali, commerciali o scientifiche che
si trovano nel territorio dello Stato, percepiti da
soggetti non residenti al di fuori di un’attività
d’impresa e (naturalmente) senza stabile organizzazione in Italia.
Sempre sulla base di una interpretazione letterale delle norme citate - e in linea con la decisione delle Sezioni Unite della Cassazione
- resterebbero esclusi da imposizione in Italia,
i compensi per l’uso o la concessione in uso
di attrezzature industriali, commerciali o
scientifiche che si trovano nel territorio dello
Stato, percepiti da soggetti non residenti nell’esercizio di un’attività di impresa, senza stabile
organizzazione in Italia.
A sostegno di tale impostazione si potrebbe, altresì, dire che, se il legislatore avesse voluto rendere
(nuovamente) imponibili questi canoni anche nei
confronti degli imprenditori esteri li avrebbe ricollocati nella lett. c) dell’art. 23, comma 2, del
T.U., così come lo erano fino al 1988 [lett. c) che
corrisponde all’art. 19, comma 1, n. 9), del D.P.R.
n. 597/1973] da cui sono stati tolti.
Tuttavia, non si può fare a meno di notare che
in tal modo detti canoni sfuggirebbero sempre
ad imposizione in Italia se percepiti da soggetti
esteri imprenditori senza stabile organizzazione
nel territorio dello Stato, rendendo peraltro
superflua l’esenzione prevista (sul pagamento
degli stessi) all’art. 26-quater del D.P.R. n.
600/1973.
Questa disposizione, com’è noto, prevede, a
determinate condizioni, l’esenzione da imposizione degli interessi e dei canoni (compresi
quelli di cui si tratta) pagati da società ed enti residenti in Italia, nonché da stabili organizzazioni
situate nel territorio dello Stato, a società o enti
- e quindi a soggetti imprenditori - residenti in
Tassazione
dei redditi
Stati membri diversi ed appartenenti allo stesso
gruppo, comprese le stabili organizzazioni.
Ci si chiede, allora, che senso avrebbe avuto prevedere l’esenzione in parola nell’ambito dell’art.
26-quater del D.P.R. n. 600/1973, se tali compensi, qualora percepiti da imprenditori non
residenti (comunitari e non) senza stabile organizzazione in Italia, non sarebbero comunque imponibili per mancanza del presupposto
impositivo?
Al riguardo, la circolare n. 47/E del 2005, § 1,
precisa che l’introduzione della ritenuta del
30% sui compensi corrisposti per l’uso, o la
concessione in uso, di attrezzature industriali,
commerciali o scientifiche che si trovano nel
territorio dello Stato comporta “il venir meno
degli obblighi dichiarativi da parte del percettore non residente, essendo stata introdotta una
tassazione alla fonte a titolo definitivo anche per
i predetti redditi derivanti dallo sfruttamento di
beni mobili”. La stessa circolare precisa inoltre
che “l’applicazione di tale ritenuta è esclusa
nei casi in cui si rende applicabile il nuovo
regime di esenzione introdotto per effetto
della Direttiva”.
Posto che il nuovo regime introdotto dalla Direttiva - e codificato nell’art. 26-quater del D.P.R.
n. 600/1973 - si rende (soggettivamente) applicabile alle società ed enti non residenti, sembrerebbe che, per l’Amministrazione finanziaria, la
ritenuta di cui all’art. 26 del D.P.R. n. 600/1973,
trovi applicazione anche nei confronti dei canoni
percepiti da soggetti esteri imprenditori senza
stabile organizzazione in Italia, salvo l’esenzione
prevista dall’art. 26-quater. A ben vedere, l’estensione dell’applicazione della ritenuta del 30% ai
soggetti esteri imprenditori senza stabile
organizzazione in Italia troverebbe conferma
anche nelle istruzioni alla dichiarazione dei redditi, “UNICO - Enti non commerciali ed equiparati”, nella parte in cui si precisa che “per gli
enti non residenti l’esame dell’oggetto principale dell’attività deve essere, in ogni caso, svolto
sulla base dell’attività effettivamente esercitata
nel territorio dello Stato. Pertanto, ai fini della
qualificazione dell’ente non residente, occorre
aver riguardo soltanto alla natura dell’attività
svolta in Italia, prescindendo dalla connotazione
che l’ente medesimo assume nell’ordinamento
del paese di appartenenza”. Posto che un soggetto non residente può esercitare attività d’impresa in Italia soltanto per mezzo di una stabile
organizzazione, dalla istruzioni alla dichiarazione
dei redditi sembra desumersi che, in assenza di
stabile organizzazione, un non residente non potrà mai essere considerato come imprenditore in
Italia, a prescindere dalla veste giuridica che questi ha nel proprio Paese di residenza. In tal modo,
non essendo percepiti nell’esercizio di un’attività d’impresa - per il Fisco italiano - i compensi percepiti da soggetti non residenti anche
imprenditori (ma senza stabile organizzazione),
relativi all’uso o la concessione in uso di attrezzature industriali, commerciali o scientifiche costituirebbero sempre redditi diversi13, risultando
così imponibili in Italia ex art. 23, comma 1, lett.
f) del T.U., e tassati con ritenuta a titolo d’imposta del 30% di cui all’art. 26, ultimo comma,
del D.P.R. n. 600/1973. Inoltre, il tenore letterale
dell’art. 25, ultimo comma, ultimo periodo del
D.P.R. n. 600/1973 appare idoneo ad escludere
dalla ritenuta i soli compensi corrisposti a stabili
organizzazioni in Italia di soggetti non residenti.
Applicazione delle convenzioni
contro le doppie imposizioni
Nei casi in cui non siano applicabili le esenzioni
previste per i canoni infragruppo, di cui all’art.
26-quater del D.P.R. n. 600/1973 (norma che
ha recepito in Italia la Direttiva n. 2003/49/CE
“interessi e royalties”) o all’art. 15 dell’Accordo
Nota:
13 A conferma di ciò, le stesse istruzioni alla dichiarazione dei
redditi, prevedono la compilazione del quadro RL, redditi
diversi, anche per gli enti non commerciali non residenti
e le società ed enti commerciali non residenti senza stabile
organizzazione in Italia, ammettendo l’applicabilità dell’art.
67, con le relative previsioni in materia di presupposto imponibile.
n. 11/2014
21
Tassazione
dei redditi
tra la Comunità europea e la Confederazione
svizzera sui redditi da risparmio14, che stabilisce, tra l’altro, l’estensione alla Confederazione
elvetica del regime di tassazione previsto dalla
Direttiva n. 2003/49/CE, si deve verificare se il
beneficiario del canone possa ottenere le riduzioni ed esenzioni previste dalle convenzioni
contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia.
Infatti, le convenzioni stipulate dall’Italia15 prevedono, di norma all’art. 12, che con il termine
“canoni” si intendono anche i compensi per
l’uso o la concessione in uso di attrezzature industriali, commerciali o scientifiche.
Ricordiamo, in proposito, alcune regole generali
per l’applicazione delle convenzioni.
Il Modello OCSE prevede che i canoni siano
assoggettati ad imposizione soltanto nello Stato
di residenza del percipiente se il percipiente
stesso è l’effettivo beneficiario dei canoni. La
condizione che il percipiente debba anche essere
l’effettivo beneficiario è contenuta in tutti trattati
stipulati dall’Italia tranne quello con Belgio,
Islanda e Siria, i quali stabiliscono che i benefici
del trattato si applicano alla sola condizione che
l’effettivo beneficiario del reddito sia residente
nell’altro Stato contraente. Pertanto, nel caso in
cui il canone sia percepito mediante un soggetto
interposto (agente senza rappresentanza,
fiduciaria, o una società o ente fiscalmente
“trasparente”) è bene, prudenzialmente, astenersi
dall’applicare la Convenzione16.
Nell’edizione 2014 del Commentario OCSE, la
questione è stata definitivamente chiarita: il par.
4.6 del Commentario all’art. 12 afferma, infatti,
che l’esenzione da tassazione nello stato della
fonte (per l’Italia normalmente si tratta di uno
sgravio parziale) permane nel caso in cui un intermediario, un mandatario o un fiduciario localizzato in uno Stato contraente o in un terzo Stato è
interposto fra il debitore e il beneficiario effettivo
del reddito, qualora il beneficiario effettivo del
reddito sia residente dell’altro Stato contraente.
Il Commentario precisa questo orientamento è
condiviso dagli Stati OCSE sin dal 1997.
Sempre con l’edizione del 2014, il Commentario OCSE ha fornito ulteriori precisazioni in
ordine al concetto di beneficiario effettivo.
22
n. 11/2014 In particolare:
1) la nota 1 al par. 4 precisa che quando il trustee
di un trust discrezionale non distribuisce le
royalties percepite durante un determinato
periodo d’imposta, il trust, se riconosciuto
come un autonomo soggetto d’imposta,
può essere considerato beneficiario effettivo
secondo l’art. 12, anche se non è titolare
effettivo secondo la Legge sui trust applicabile;
2) nel par. 4.1 e nel par 4.2 è confermato che
un fiduciario o un mandatario o una conduit
company17 non sono beneficiari effettivi;
nel par. 4.3 viene chiarito che ciò accade in
quanto il loro diritto di uso e godimento dei
canoni è limitato da un’obbligazione legale
o contrattuale di trasferire i proventi incassati
ad un’altra persona. Questa obbligazione di
norma deriva da documentazione legale, ma
può anche derivare da circostanze di fatto che
mostrano, come, in sostanza, il percettore non
ha il diritto d’uso e godimento delle royalties
avendo l’obbligo di trasferirle a terzi. Questa
obbligazione (formale o implicita) deve
però riguardare i pagamenti ricevuti. Non
comprende le obbligazioni legali o contrattuali
che non hanno per oggetto i pagamenti
ricevuti, come ad esempio, l’obbligazione che
il percettore del reddito abbia assunto come
debitore di un terzo o parte di un contratto
finanziario o la tipica obbligazione di erogare
redditi assunta da uno schema pensionistico o
da un fondo comune d’investimento18;
Note:
14 Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’UE n. L 385 del 29
dicembre 2004.
15Le convenzioni sono consultabili sul sito del Dipartimento
delle Finanze all’indirizzo: http://www.finanze.it/export/
finanze/Per_conoscere_il_fisco/fiscalita_Comunitaria_Inter
nazionale/convenzioni_e_accordi/convenzioni_stipulate.htm.
16 Un’interpretazione estensiva delle convenzioni è contenuta
in alcuni documenti di prassi (R.M. n. 12/431 del 7 maggio
1987, risoluzione n. 17/E del 27 gennaio 2006, e soprattutto
la risoluzione 21 aprile 2008, n. 167/E). Tuttavia, una lettura “restrittiva” del tenore letterale delle convenzioni è stata
data, ad esempio, dalla Cassazione nella sentenza n. 4600 del
26 febbraio 2009.
17Una conduit company è un’entità che pur risultando proprietaria formale del bene immateriale ha, di fatto, poteri
talmente limitati da renderla, con riferimento ai redditi in
esame, quale una mera fiduciaria o amministratrice del bene
per conto del proprietario effettivo.
18 Concetto che viene meglio chiarito nel corrispondente par.
12.4 del Commentario all’art. 10 sui dividendi, non è quindi
rilevante la circostanza che, di fatto, il percettore del reddito impieghi i fondi ricevuti per adempiere ad una propria
obbligazione autonoma rispetto alla percezione del reddito
(cioè - riteniamo - che non sorga per effetto della stessa
percezione del reddito).
Tassazione
dei redditi
3) il par. 4.3 chiarisce anche che il beneficiario
effettivo della royalties può essere un soggetto
diverso dal proprietario del bene immateriale
che l’ha prodotta. E il par. 4.5 chiarisce che i
significato del termine “beneficiario effettivo”
deve essere tenuto distinto da quello che
lo stesso termine può avere in legislazioni
non fiscali, quali quella “antiriciclaggio” in
cui la locuzione è utilizzata per individuare
il soggetto che in ultima analisi esercita il
controllo su una determina entità. Questo
è un aspetto che spesso non viene preso in
considerazione in sede di verifica fiscale;
4) il par. 4.4, in ogni caso, esclude che
l’interpretazione della nozione di beneficiario
effettivo possa essere utilizzata per porre in
essere comportamenti che costituiscano “abuso
dei trattati contro le doppie imposizioni”.
Per quanto riguarda le aliquote delle ritenute
applicabili in base alla Convenzione, se sono
aliquote maggiori di quelle previste dalla legislazione interna (non capita, per l’Italia essendo
la ritenta convenzionale del 30%) si applica
l’aliquota nazionale. La locuzione “... tuttavia tali canoni possono essere tassati nello Stato
contraente dal quale essi provengono” va intesa
nel senso che è lo Stato (titolare del potere impositivo) che può applicare o meno l’imposta.
Pertanto se la normativa interna prevede l’applicazione di una ritenuta, il sostituto d’imposta è sempre obbligato ad operarla benché nei
limiti fissati dalla Convenzione19.
Se il percettore dei canoni ha nell’altro Stato
contraente una stabile organizzazione e i diritti
o beni generatori dei canoni si ricollegano effettivamente ad essa, le limitazioni previste dalla
Convenzione all’imposta dovuta in quest’ultimo Stato non sono applicabili. Alcune convenzioni, tuttavia, prevedono che le limitazioni
non operino anche quando la stabile organizzazione non abbia alcuna connessione con i diritti
o beni generatori dei canoni. Si vedano in particolare i trattati con Irlanda e Svizzera.
Adempimenti
Per poter beneficiare dell’applicazione diretta della Convenzione, il non residente deve
farne apposita richiesta al debitore dei canoni.
La richiesta deve contenere: l’attestazione di residenza ai fini tributari nel Paese estero, rilasciata
dalla competente Autorità fiscale; la dichiarazione di esistenza o meno di una stabile
organizzazione (se si tratta di impresa) o di
base fissa (se si tratta di professionista) in Italia,
cui siano riconducibili i redditi in relazione ai
quali si chiede il rimborso dell’imposta; dichiarazione di esistenza di eventuali altre specifiche
condizioni previste dalla Convenzione. Con alcuni Stati esistono modelli ufficiali (Germania, Portogallo, Regno Unito, Svizzera, Svezia
e, anche se limitato all’attestazione di residenza,
Stati Uniti)20.
Nei casi in cui non sia stata approvata una specifica modulistica si utilizza quella standard
approvata con il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate 10 luglio
201321. Dalla risoluzione n. 167/E del 2008 si
desume indirettamente che non è necessario che
la certificazione dello Stato estero sia prodotta in
occasione di ogni pagamento; è sufficiente che
sia prodotta prima del pagamento inziale
e - in seguito - almeno una volta all’anno, mantenendo validità fino al 31 marzo dell’anno
successivo, in analogia a quanto disposto dall’art.
27-ter del D.P.R. n. 600/1973 con riferimento
all’applicazione delle convenzioni agli utili distribuiti da società con azioni dematerializzate
accentrate in Monte Titoli.
La ritenuta del 30% deve essere operata sull’intero ammontare del canone di locazione; salvo
Note:
19 Cfr. anche R.M. 18 marzo 1984, n. 12/1503 e n. 412/E del
2008; in giurisprudenza, fra le altre, Cass. n. 3214 del 14
dicembre 2004 - 21 febbraio 2005; Cass. 5 gennaio 2005, n.
143.
20I Modelli sono prelevabili dal sito dell’Agenzia delle
entrate all’indirizzo: http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/
content/Nsilib/Nsi/Documentazione/Fiscalita+inter
nazionale/Convenzioni+per+evitare+le+doppie+imposizi
oni+Modulistica/.
21Consultabile sul sito dell’Agenzia delle entrate all’indirizzo: http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/wcm/connect/
87571980404df8639e97ffd8b569725f/TOTALE_Provve
dimento+approvazione+Mod.+del+Direttore_allegati_
1_10_07_2013.pdf?MOD=AJPERES&CACHEID=8
7571980404df8639e97ffd8b569725f.
n. 11/2014
23
Tassazione
dei redditi
l’applicazione delle ipotesi di esenzione o riduzione sopra descritte. Deve essere operata all’atto
del pagamento del canone e deve essere versata
con il Mod. F24 con il codice 1040.
Nel Mod. 770 semplificato, nel punto 18 della
Comunicazioni dati certificazioni lavoro autonomo, provvigioni e redditi diversi deve essere
usato il codice P.
Canoni corrisposti a soggetti “black
list”. Separata indicazione della
spesa nel quadro RF del Mod. UNICO
L’art. 110, comma 10 del Testo Unico dispone
che non sono ammessi in deduzione le
spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti ed imprese domiciliate
fiscalmente in Stati o territori non appartenenti all’Unione Europea aventi regimi fiscali
privilegiati. L’elenco di questi Stati o territori
è contenuto nel D.M. 23 gennaio 2002. In base
al successivo comma 11, il divieto di deduzione
24
n. 11/2014 non si applica quando le imprese residenti in
Italia forniscano la prova che le imprese estere
svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in
essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta
esecuzione22.
Inoltre viene disposto che le spese e gli altri
componenti negativi deducibili siano separatamente indicati nella dichiarazione dei redditi, il
che avviene - per le società di capitali - indicandole come “variazione in aumento” nel rigo
RF30 e come “variazione in diminuzione” nel
rigo RF52.
Nota:
22 L’Amministrazione, prima di procedere all’emissione dell’avviso di accertamento d’imposta o di maggiore imposta, deve
notificare all’interessato un apposito avviso con il quale viene concessa al medesimo la possibilità di fornire, nel termine
di novanta giorni, le prove predette. Ove l’Amministrazione
non ritenga idonee le prove addotte, dovrà darne specifica
motivazione nell’avviso di accertamento.
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