Classe 1° A, scuola media Ferri, Sala Bolognese: Il gatto centenario In una cesta davanti al fuoco scoppiettante ho notato un piccolo gatto (goccia di leopardo) dormire. Con il suo mantello maculato da antico re feudale, la pettorina bianca e le movenze leggere, ha un’aria pensierosa da anziano notaio. Quegli occhi esploratori da vecchio commissario, come guardano il fuoco lucente! (Cascini Valentina e Gallo Carlotta) Il cane vagabondo In mezzo ai campi ho visto un povero cane (piccolo orso spelacchiato) vagabondare. Con le sue orecchie mozzate come due montagne in rovina, le zampe da lupo e il nero pelo, ha un’aria solitaria da soldato sconfitto. Quegli occhi lucidi da perdente, come guardano il mondo ingiusto. (Dennis Pacchiega e Savastano Valeria Pia) Il gatto cacciatore Sul tetto di una casa abbandonata ho visto un grosso gatto (goccia di leone) cacciare. Con la sua giallastra pelliccia da indigeno affamato, le unghie affilate e il portamento traballante, ha un’aria solitaria da vecchio barbone. Quegli occhi socchiusi da esperto guerriero, come osservano i topolini ignari! (L.Gilli e M.Casoni) Il cane abbandonato Sul ciglio della strada ho visto un cane speranzoso (ombra di lupo) aspettare. Col suo abito bianco, da medico insicuro, la pelliccia spelacchiata, e l’andatura stanca, ha un’espressione confusa da bambino sperduto. Quello sguardo triste, da vagabondo innocente, come guarda il sole morente! (Clarissa M. – Linda C. – Lorenzo Z.) L’amico abbandonato In mezzo a una lunga strada ho visto un bellissimo cucciolone (goccia di lupo) guaire. Con il suo vestito marrone da frate francescano, gli occhi umidi, il portamento barcollante, ha uno sguardo malinconico da bambino impaurito. Quegli occhi da pittore fallito, come guardano la notte stellata! (Verdiana, Giulia e Roberta) Il gatto abbandonato Sull’asfalto grigio ho visto un gatto malandato, (goccia di leone) soffrire. Con il suo manto spelacchiato, da guerriero veterano, le zampe malconce e il portamento affaticato, ha un’aria selvatica da vecchio albero spoglio. Quegli occhi tristi, da compagno tradito, come fissano l’orizzonte lontano! (Cecilia – Francesca) Il cane vagabondo In un quartiere di periferia ho visto un cane solitario (goccia di lupo) vagabondare. Con il pelo arruffato, da bambino spettinato, le orecchie abbassate, la sua andatura insicura, ha un’aria pensierosa da vecchio marinaio. Quegli occhi pieni di solitudine da anziano vagabondo, come guardano la gente indifferente! (Stefania e Alice) Il cane abbandonato Sulla strada deserta ho visto un vecchio cane randagio, (goccia di pony) abbaiare. Con la sua pelliccia marrone, calda coperta, le orecchie abbassate, il portamento stanco, ha un’aria sconfitta da giocatore fallito. I suoi occhio tristi, da bambino trascurato, come guarda il sole morente! (M.Pacchiega) Il gatto abbandonato Sulla strada affollata ho visto un gatto malandato (goccia di leopardo), vagare nella notte. Con il suo manto maculato, come un foglio macchiato di inchiostro, il portamento barcollante, ha un’aria dispersa da vecchio eremita. Quegli occhi lucenti da attenta sentinella, come guardano la notte infinita! (Prinzi – Cavallini) Il cane abbandonato In un’infinita distesa di fiori ho visto un tenero cagnolino (piccola stellina) riposare all’ombra di un albero. Con il suo mantello arruffato da bianco batuffolo, con il muso infantile, il movimento veloce ma sconsolato, ha un’aria sofferente da bambino trascurato. Con quello sguardo perso, da vecchio vagabondo. Come guarda il sole scomparire! (B.Guazzaloca, G.Cremonini, R.Tangerini) La lucertola vecchia Sul sentiero bruciato ho visto il buon lucertolone (goccia di coccodrillo) meditare. Con la sua verde sottana di abate del diavolo, il colletto inamidato e il portamento corrette, ha un’aria triste da vecchio professore. Quegli occhi rinsecchiti da artista fallito, come guardano la sera morente! (F.G.Lorca) Ed io sono… Un baffo e una coda ed un artiglio in una fredda giornata d’inverno. Un gomitolo di peli, uno sbadiglio o due. Il tepore di un camino, le urla gioiose di un bambino. Ed io sono un gatto. (L.Gilli) Ed io sono… Due zampe, due orecchie e un cuore in una tiepida giornata di primavera. Un pugno di coccole, una grattatina o due, una carezza. Una corsa in mezzo ai campi. Ed io sono un cane. (L.Zini) Ed io sono… Un muso e un corpo e una coda in un deserto vicoletto di periferia. Un essere solitario, un osso o due. Un po’ di tristezza una felicità svanita. Ed io sono un cane abbandonato. (F.Roncarati) Ed io sono… Quattro zampe ed una coda e due orecchie in una triste strada di città, qualche scatolone, un gatto o due. Una fabbrica. Un rombo in mezzo ai grattacieli. Ed io sono un cane randagio. (C.Saracino) Ed io sono… Il manto, le orecchie e il muso in un comune mattino d’inverno. Un forte vento e una goccia di pioggia. Un fiocco di neve. Una lunga corsa. Ed io sono un cane. (G.Campomori) Ed io sono… Una coda ed un baffo e due occhietti, in un grande prato verde alle prime luci del mattino. Una coccola d’amore, un topo o due. Una scintilla, una corsa sopra i tetti. Ed io sono un gatto. (M.Casoni) Ed io sono… Un muso ed una pelliccia e un osso in un comune mattino d’estate. Una corsa e tanto amore. Una brezza leggera, una trottola nel giardino. Ed io sono un cane. (V.Vignoli) Ed io sono… Quattro zampe, ed una coda e due occhi. In un comune mattino d’inverno. Un venti gelido e una mosca fastidiosa. Un po’ di pioggia. Un miagolio ai bordi della strada, ed io sono un gatto Ed io sono… Un cuore, un musetto buffo e quattro zampette. In una splendente giornata di sole, una piccola vita, una tenera piuma. Un sogno. Un animale in mezzo al traffico. Ed io sono un cucciolo abbandonato. (B.Guazzaloca) Ed io sono… I baffi e due orecchie e quattro zampe in una comune strada di città. Una brezza leggera, una mosca ronzante, steli d’erba appassiti, un miagolio nel traffico. Ed io sono un gatto. (C.Gallo) Ed io sono… Un cuore, una coda e l’innocenza in una qualunque mattina. Una macchina, il traffico e poi il silenzio, un po’ di vento, il profumo della solitudine e una forte brezza in mezzo ai fiori, ed io sono un cane. (G.Cremonini) Ed io sono… Un sepalo ed un petalo e una spina in un comune mattino d’estate. Un fiasco di rugiada un’ape o due. Una brezza un frullo in mezzo agli alberi. Ed io sono una rosa. (E.Dikinson) SCUOLA MEDIA G. PASCOLI – ANZOLA EMILIA BO – CLASSE 2 A VITA DA RANDAGIO Ciao, mi presento a tutti i cani del vicinato. Mi chiamo Selly, sono una cagnetta di grande nobiltà, provengo dalla dinastia del Selly. Selly I era una cagna con un carattere aggressivo, ma sempre di nobili parole: Selly II (mia madre) una cagnolina eccezionale, piena di grinta e di talento. Pensare che tutti i cani del quartiere le facevano le fusa, e tutte le notti non riuscivo mai a dormire perché facevano le loro serenate d’amore. Ed ora passiamo a me, Selly III, sono docile tenera, espansiva e anche riservata, con tutti gli altri del vicinato. La mia storia è molto triste, perché, prima di ritrovarmi sulla strada, vivevo con la mia padrona. Era ormai tanto vecchia, e pensare che aveva fatto un testamento, nel quale lasciava tutto a me. Poi però le cose non furono tutte rose e fiori, così che un giorno il mio dog-sitter, invece di portarmi a fare il solito giretto nel parco, mi abbandonò sotto un ponte. Ero ancora tanto giovane e inesperta, e avevo anche paura della mia stessa ombra. Incontrai per fortuna, un tipo strano, un vagabondo, alto, magro e anche molto affascinante. Lui si chiamava Bart e da allora siamo diventati amici, e siamo sempre insieme. A forza di parlare mi è venuta fame, e dove potrei andare? Mrs. Murder, è la pescivendola più gentile del quartiere e dà da mangiare a tutti i cani e i gatti randagi delle case vicine. Dopo aver mangiato, vado a cercare il mio amico, ma di lui non c’è traccia. Stamattina non è ancora arrivato, lo cerco dappertutto, ma è sparito. Allora decido di andare al parco molto sconsolata, ma eccolo, tra i cespugli a fare il gattamorto con una cagnetta. Le passo vicino, mi abbasso e……(le faccio pipì in testa). Per fortuna mi sono sbarazzata di quella cagnolina così invadente. Bart fa finta di niente, insieme passeggiamo sopra il ponte. Vedo una vecchietta passarci vicina. Porta degli occhiali scuri, e viene trasportata in una “poltrona” con le ruote. Ci fermiamo a guardare il suo volto, è triste come il mio. Mi vede, e io rimango immobile, non so perché, le mie zampe vorrebbero correre ma sono attratta da questa persona così “simile a me”. Mi prende in braccio e sento quel profumo, odore della sua pelle intenso che da tanti anni non sentivo, le sue mani morbide che mi accarezzavano, il mio corpo. Ma si, è lei la mia padrona. La lecco devotamente, e lei mi riconosce. Dal viso le scendono due lacrime di gioia. Bart cerca di scappare, ma quando, mi vede felice, resta e si avvicina. La mia padrona lo accoglie fra le sue braccia, e tutti e due cominciamo a riempirla di baci. Torniamo a casa, ricordo la vecchia strada e soprattutto la mia dolce casa accogliente. Io e Bart cominciamo a correre da tutte le parti, siamo così contenti, che ci sembra di sognare. La padrona ci chiama, e come due fulmini arriviamo. E’ da tanto tempo che non mangio i miei croccantini di carne, e li divoro tutti. La padrona ci guida per le scale, saliamo e troviamo una camera gigantesca, con un lettone enorme, con una coperta di seta rossa. Ci sdraiamo, e la padroncina ci accarezza. Dopo il nostro sonnellino pomeridiano, andiamo a giocare fuori in cortile. Beh, che dire: questa si che è vita da cani. L’INTRUSO I miei mi avevano sempre vietato di tenere un animale, in particolar modo un cane; probabilmente perchè mia madre da piccola era stata morsa da un cane e da allora ha il terrore. Mi chiamavo Claudia ed ero figlia unica, avevo molte amiche, frequentavo la scuola media e mi reputavo una persona molto fortunata. Proprio quella mattina, mentre tornavo da scuola, incontrai per strada un cucciolo di “labrador”. Era tutto sporco, ma mi faceva tanta tenerezza!!! Così decisi di tenerlo, non sapevo ancora come comportarmi con lui, decisi così di nasconderlo giù in cantina dove gli portai del latte e polpettine avanzate dal giorno prima. Il primo a cui comunicai la notizia fu mio padre, lui amava gli animali, ma per la storia della mamma si era praticamente rassegnato all’idea di non averne uno. Mio padre aveva detto che era stupendo, anche se sapeva che le possibilità che lo tenessimo erano minime. Il giorno dopo, Randagio (era il nome che gli avevo assegnato) era nascosto in cantina. Mio padre intanto si dava da fare attaccando manifesti albero per albero: “Cucciolo di labrador color marroncino chiaro trovato il … per eventuali informazioni telefonare allo ….”Mia madre ormai stava per tornare a casa e non avendo la macchina, cammina sempre a piedi o in corriera, ma che quel giorno purtroppo aveva perduto. Camminando, camminando vide il manifesto attaccato all’albero e continuando a leggere trova scritto il nostro numero telefonico, ma con il sole che le batteva in faccia e con l’interesse che aveva per i cani proseguì senza farci caso. Arrivò a casa prima di me, andò in cantina a prendere i vino e incontrò Randagio. Incominciò a gridare presa dal soprassalto, senza far allarmare il vicinato. Le spiegai tutto, anche se lei rimanendo della sua idea decise di spedir il cane immediatamente fuori casa nonostante fosse solo un cucciolo. Il cane probabilmente terrorizzato, scappò fuori da casa , sbattendo contro uno scooter. Io e mia madre subito gli andammo incontro per vedere le sue condizioni; convinsi mia madre a trasportarlo dal veterinario. Arrivata dal dottore questo stabilì che le possibilità erano davvero poche che tornasse a camminare ( per quanto riguardava le zampe posteriori). Ci domandò se il cane era nostro, io risposi di no, al contrario mia madre rispose: Si, si il cane è nostro, lo curi bene, la prego matta tutto a spese nostre. Rimasi sbalordita, il dottore disse di aspettare fuori. Mia madre mi rivelò un’importante verità, cioè che lei no era mai stata morsa da un cane, anzi l’aveva anche avuto solo che dopo la sua morte era rimasta talmente sconvolta che non mi voleva far passare una simile tristezza. Arrivò di corsa anche mio padre, avvisato immediatamente da mamma anche lui venne a conoscenza di questa verità, rimanendone sorpreso. Il cane aveva riportato gravi lesioni alla zampa anteriore. Diventò il nostro migliore amico e trascorremmo con lui grn parte del nostro tempo facendolo così riabilitare e facendolo tornare come prima. AMICO PULCIUS Era il secondo anno che andavo in vacanza in ferie in Corsica. Io e i miei genitori affittavamo una metà di una villetta a due piani, come in Inghilterra. Da una parte c’ero io e dall’altra Andrea, mio amico e compagno di classe. Pulcius era un cane randagio un pastore tedesco, ma non era di razza pura, aveva il muso un po’ più lungo del solito: Napoleon, il nome con cui molta gente diceva di conoscerlo. L’avevamo visto per la prima volta perché a mezzo giorno lui faceva molti giri in varie case per avere da mangiare. Pulcius però era malato, aveva una ferita che si grattava continuamente sulla gamba posteriore dovuta alle pulci, per questo lo chiamavamo Pulcius. Pulcius penso fosse il cane più buono che esistesse. Era molto obbediente, se gli dicevi di non fare qualcosa, lui subito obbediva e non infrangeva le regole, sapeva anche riconoscere quando e come (a seconda di ogni persona) doveva giocare, ad esempio con mia madre che aveva un po’ paura si lasciava solo accarezzare, ma con mio padre arrivava anche fino a mordergli il braccio. Pulcius era anche protettivo, ad esempio una volta c’era un altro cane randagio che si divertiva a rubare in spiaggia , un giorno si azzarda a rubare una boccia ad Andrea, allora Pulcius lo inseguì riuscì a restituirgliela, anche se bucata dai denti del cane randagio. Pulcius ci accompagnava ovunque, a fare la spesa, in spiaggia, ma non si azzardava a salire in macchina quando alcuni giorni partivamo per fare delle escursioni. L’unica paura era l’acqua del mare, non si immergeva mai oltre la pancia. Pulcius è sempre stato buono e cortese, ma c’è una sola persona che ha fatto arrabbiare sul serio, la persona che puliva le strade del campeggio la mattina presto; abbassava le orecchie e gli ringhiava contro, nei suoi occhi si scorgeva rabbia e cattiveria; per me dato che Pulcius era un randagio, forse la persona che puliva le strade l’aveva picchiato qualche volta, perché non desse fastidio ai turisti. Quando quella persona si allontanava subito tornava come prima. Per noi alla fine della vacanza è stato difficile lasciarlo, si poteva curare e poi portarlo a casa, ma non c’era posto in macchina e poi volevamo lasciarlo nell’ambiente in cui era cresciuto. Se io avessi un cane lo vorrei come lui, perché era furbo, intelligente e buono. L’INTRUSO Era una mattina come tutte le altre, io e i miei genitori eravamo seduti a fare colazione. Quando guardai l’orologio, erano già le 7,40, mio padre si alzò dalla sedia e mi chiamò per andare a scuola, salutai mia madre, mi misi la giacca, la cartella sulle spalle e via a scuola. Trovai là tutte le mie amiche, non fu una giornate pesante, anzi quella mattina non so perché ero tanto allegra. Suona la campanella di “fine giornata”, mio padre mi venne a prendere subito, fece bene perché avevo una fame da lupi. Mangiai in fretta e furia e poi andai subito in camera mia ad ascoltare la radio, soltanto che ad un certo punto sentii uno strano rumore come lo sbattere di una coda, contro qualcosa, ma no, è impossibile, la casa era sempre stata chiusa e….cosa vado a pensare. Ritornai in camera ad ascoltare la radio e a fare i compiti per il giorno dopo. Ci impiegai tutto il pomeriggio per farli, quando furono le 6,00 e mia madre tornò a casa, la salutai, e andai in camera a finire i compiti. Dopo un po’ esclamai “Finiti!”. In quello stesso momento arrivò a casa anche mio padre e così eravamo già tutti pronti per andare a tavola, quando sentii un’altra volta quel rumore. Mia madre chiese: “cos’è?” io risposi: “ anche oggi mentre facevo i compiti, mi è capitato di sentire lo stesso rumore, proveniva proprio dalla vostra stanza, ma quando sono andata a vedere non c’era niente”. Dopo aver mangiato ritornai incuriosita nella camera dei miei genitori, sentii ancora quel rumore, mi chinai, guardai sotto il letto e vidi che c’era un piccolo micino, non ti dico che carino che era! Senza dire niente ai miei genitori, preparai una cuccia molto morbida al mio gattino; lui si mise dentro e lo accarezzai per un po’: Era ora di andare a letto, nascosi la cesta e mi misi a dormire. La mattina seguente mentre ero a scuola, mia madre mentre faceva le pulizie, trovò la cesta con il micino dentro, quando arrivai a casa ne presi tante e poi alla sera ne presi anche da mio padre. Loro il gatto non lo volevano tenere, così decisero di portarlo via e non ti dico quanto mi lamentai, ogni giorno lo andavo a trovare. “E’ così che finisce la storia nonna?” “ E ….sì cara” “ E adesso il gatto dove si trova?” “Su in cielo, lì sono sicura che si troverà tanto bene.” “Ma adesso raccontamene un’altra dai!” “Va bene: c’era una volta….” “ No nonna, non fantastica, vera!” “Ah ah” Feci una gran risata e poi mi misi a raccontarne un’altra ma…. “Che cos’è questo rumore?” “ Guarda nonna” “ Oh no” “Miaoo” VITA DA RANDAGIO Ero stata abbandonata a 6 mesi perché il mio padrone era allergico ai peli; perciò mi mandò al canile. Arrivata al canile pensavo che la mia vita fosse finita. Poi arrivò un signore che mi prese e lì capii che avevo ancora una speranza. Mi ero molto affezionata a lui, ma purtroppo morì. Da quel giorno ero senza padrone, abbandonata in mezzo ad una strada. Ero un cane con gli occhi grandi, zampe normali e di taglia media. Mi avevano dato dei nomi, ma nessuno era fisso. Non avevo neanche un collare. Eppure quando un bambino mi vedeva, mi accarezzava e a volte mi portava a casa con l’intenzione di adottarmi, però tutte le volte, quando i genitori mi vedevano dicevano: “No, è troppo grande”, “No, non possiamo tenerlo!” oppure “Non vedi Che si gratta sempre, potrebbe avere pulci zecche o altri animali che in casa non possono stare!” Insomma no di qua, no di là: conducevo proprio una vita da cane! Cercai anche di unirmi ad un gruppo di cani o di gatti, se era necessario, ma nessuno mi voleva, anzi mi mordevano, mi ringhiavano contro, così giravo da sola. Mi innamorai anche di un bel cagnolino che abitava in un quartiere di città: era forte , sicuro di sé, in gamba eppure lui aveva occhi solo per Sophie , la cagna dei vicini. Aveva un nome brutto, era arrogante, vanitosa e.. ed io l’invidiavo a matti. Bella casa, tutta ben pulita e cibo tutti i giorni: quella si che era vita! Ma anch’io avevo del buon cibo; non tutti i giorni, ma l’avevo. Tempo fa conobbi un uomo che lavorava in un ristorante di lusso e lui mi voleva bene, ma non mi poteva adottare perché dove abitava lui no erano ammessi animali. Avevo anche un posto in cui andare a vivere, anche se era sotto un ponte al freddo con solo un cartone per coprirmi. Ma un giorno, il giorno più brutto della mia vita, mi prese l’accalappiacani e al canile ci rimasi a lungo. Non si stava male, però preferivo la mia vita di prima. Almeno lì ero libera. Conobbi molti amici al canile, ma pian piano se ne andarono perché erano stati adottati. Ero felice per loro, ma io rimanevo da sola. In un tardo pomeriggio il padrone del canile ci portò fuori a fare una passeggiata. Ad un certo punto il cane che era con noi riuscì a scappare, così dimenticandosi di noi il padrone ci lasciò il guinzaglio e inseguì l’altro. Vista l’occasione scappai e corsi il più veloce possibile. Un po’ mi dispiaceva lasciare i miei amici, ma adesso ero libera. Mentre camminavo vidi una bambina giocare sull’argine di un fiume e sapevo che forse per una bambina così piccola non andava bene giocare così vicino al fiume, dato che poteva anche cadere; così mi avvicinai a lei, ma prima che potessi prenderla cadde nel fiume. Lei non sapeva nuotare, perciò mi buttai giù anch’io e la presi. La riportai su, ma non riprendeva più conoscenza. Poi arrivò la madre con un altro signore che la salvarono. Da quel giorno diventammo molto amiche e tutti i giorni ci incontravamo anche se lei purtroppo dovette cambiare casa e così adesso ho 9 anni e sono senza padrone e faccio la vita da cane randagio. VITA DA RANDAGIO Dovete sapere, cari lettori, che la nostra vita è molto dura. Noi cani randagi, se ogni giorno non troviamo cibo siamo finiti. Il mio nome è Black, sono uno dei tanti cani randagi, fin dall’infanzia girovaghiamo tra i quartieri, a cercare cibo per sopravvivere. Sono un lupo, non di razza, ho il pelo nero, una lunga coda, sono di corporatura media perché non mangio molto, ma quando mangio, quello che metto sotto i denti è sempre di prima qualità. Nella città in cui vivo della quale non so il nome, ogni giorno vedo molta gente. Di notte dormo dentro degli scatoloni, vicino ai bidoni pubblici, dopo essermi svegliato, vado a bere nella fontanella della piazza, dove la gente mi sta lontano, perché credono che posso attaccare la rabbia o le pulci, ma invece io sono sempre pulito, perché vari giorni della settimana, mi lavo nel canale che attraversa la città. Dopo essere andato a bere alla fontana, faccio un giro e molto spesso, mi incanto davanti al negozio di televisioni a guardare dei film. Lì accanto, proprio a due passi, si trova un noto ristorante, il padrone mi conosce e mi dà sempre i resti dei cibi, per me è un posto da re. Dopo aver pranzato vado a fare un giro davanti alla scuola, molti ragazzi mi fanno i complimenti, mi hanno perfino regalato un collare blu, per far risaltare il colore del mio pelo nero. Dopo la scuola di solito ritorno davanti al negozio di televisioni, ma ultimamente mi piace andare a caccia di topi nelle vecchie fabbriche. Certi giorni nelle fabbriche abbandonate si possono trovare dei gustosi piccioni. Alla sera per cenare torno al ristorante, ma devo aspettare molto tempo prima di ricevere qualche avanzo. Per dormire cerco sempre degli scatoloni, che per me sono molto comodi. Questa mattina , non c’era il sole e avevo dei brutti presentimenti. Inizio il mio solito giro e mentre bevo alla fontana sento qualcuno avvicinarsi molto velocemente, mi volto e…..purtroppo la persona che non avrei mai voluto incontrare questa volta mi ha preso. L’accalappiacani mi ha catturato, ormai il destino è quella gabbia di ferro, da cui non puoi più scappare. Vivo ormai in quella gabbia da mesi, non so quanti precisamente, mangio pane secco, croccantini e acqua, le mie ossa hanno bisogno di muoversi, ogni tanto perfino mi fanno visitare dal veterinario, che mi fa sempre molte punture. Oggi è un giorno come tanti altri. Penso fra me e me, ma mi sbaglio, una famiglia quanto pare, è venuta a cercare un cane da compagnia. Tutti abbaiano per attirare la famiglia. Sembrano molto indecisi, ma…. La bambina mi sta osservando, mi sento scoppiare dalla gioia perché tornerò alla libertà. Usci da quella bolgia inferocita, al guinzaglio della mia padrona. La mia padrona è una bambina con i riccioli biondi. Lei ama molto coccolarmi e giocare con me. Vivo in una grande cuccia in un giardino dove posso fare corse e buchi. Ora il passato è passato, penso solo a fare compagnia alla mia padrona. Io non credevo alla fortuna, ma da quando ho lasciato il canile ci credo, eccome. L’INTRUSO Ricordo ancora quella mattina, sentivo il forte odore di caffè che si spandeva per tutta la casa e udivo anche il tintinnio dei piattini del servizio buono, perché quel giorno doveva essere speciale, speciale come il giorno del proprio compleanno. Mi ero alzata verso le 9.00 con il sorriso sulle labbra. Ero felice di avere un anno in più, di essere grande. Ora mi era permesso di stare fuori una mezz’oretta di più, quando uscivo con i miei amici nelle sere d’estate, mi era permesso prendere il caffè, perché come si dice a casa mia, è una cosa da grandi. Compivo sedici anni. Avevo analizzato il problema della mia età effettiva ed ero arrivata alla conclusione che il numero sedici era proprio un bel numero. Dopo essermi lavata mi recai, ancora in camicia da notte, nella cucina dove mio padre e i miei fratelli stavano bevendo il caffè. Alcuni di loro leggevano e commentavano insieme gli articoli che “Il Guerriero” (un piccolo giornale locale) esponeva, altri parlavano fra loro. In famiglia siamo in sei: mia madre, mio padre, io, Claudia, Daniela e Thomas. In questa numerosa famiglia io sono la più piccola, sono sempre stata coccolata e se devo dire la verità anche un po’ viziata. Li salutai e mi sedetti con loro, feci per prendere la caffettiera, ma mio padre mi bloccò la mano. Gli ricordai che era il mio compleanno e che compivo sedici anni. Lui mi disse che la tradizione del bere il caffè a sedici anni era finita con l’arrivo di una determinata persona. Mi disse di accomodarmi in salotto, dove con mia enorme felicità trovai mio zio, che aveva in mano quello che poteva essere il regalo del mio compleanno. E non mi sbagliavo perché appena ci sedemmo sul divano lui me lo consegnò con fare gentile. Era una scatola piuttosto grande, avvolta da una graziosissima carta velina azzurra e decorata con un grande fiocco blu e argento. La scartai piano piano, per gustarmi tutto il sapore che comporta l’apertura del primo regalo. Sollevai il coperchio bianco della scatola, guardai dentro e… due grandi occhi azzurro-verdi mi stavano guardando; dentro la scatola vedevo solo quei buffi occhi perché il morbido pelo bianco si confondeva con essa. Lo tirai su, era un bellissimo gattino persiano. Mio zio mi spiegò che la sua gatta aveva avuto i gattini e tra i sei della cucciolata me ne aveva portato uno come regalo. Capii che questa era la nuova prova che la famiglia Mannoni aveva messo in piedi; dovevo riuscire a badare al gattino, se non ci fossi riuscita la mia maturità sarebbe passata all’anno successivo. Appena lo presi in braccio mi scappò via per andarsi a rifugiare sotto il tavolo. La chiamai Briciola perché stava sempre sotto al tavolo come le briciole. Nei giorni successivi fu un vero e proprio calvario. Briciola scappava da tutte le parti, non voleva mangiare e neppure bere. Ma la cosa che mi dava più fastidio era che tutti avevano occhi solo per lei; la pettinavano, la facevano giocare, e soprattutto, quando le provavano a dare da mangiare, lei mangiava!! Mi convinsi che non le piacevo, e più glielo facevo notare, più lei rincarava la dose con fusa e miagolii verso gli altri componenti della famiglia. In più c’erano anche i compiti, la scuola, la danza e il corso facoltativo di latino. Mi sentivo trascurata dai miei genitori, dalle mie sorelle, e tutto per colpa di un gatto. Briciola per me era come una rivale, come quelle dive bellissime e altissime ma senza cuore. Era proprio un’intrusa!! Decisi che sarei andata per un po’ da mia nonna. Per andare ad Alberobello, il paese in cui vive, dovevo attraversare una cittadina con una chiesetta e quattro case. Senza dirlo a nessuno, misi due vestiti, della biancheria intima e poche altre cose dentro uno zaino. Aprii piano piano la porta e corsi nella notte. A metà strada decisi di prendere una scorciatoia che si immetteva in fitto boschetto, mi sembrava di essere seguita da qualcuno, ma prosegui il cammino. Non ero ancora sicura, così cominciai a correre più che potevo. Successe tutto in quell’istante, una macchina, che proveniva nel senso opposto mi investì senza poi portarmi soccorso. So solo una cosa, mi ritrovai in ospedale con i miei attorno. Quando chiesi chi fosse stato a trovarmi mi dissero una cosa inaspettata: Briciola. Lei mi aveva seguito ed appena successo l’incidente lei aveva miagolato a più non posso. Però non era stata ccolta bene, molte persone svegliandosi nella notte l’avevano presa a calci, l’avevano picchiata. Adesso si trovava dal veterinario. Era grave. Morì dopo due settimane. L’ero andata a trovare dopo poco tempo. Lei aveva accennato un flebile “miao” e aveva chiuso gli occhi. La seppellimmo nel giardino. Ero piena di sensi di colpa, se non mi fossi arrabbiata, se non fossi scappata, se non fossi stata così egoista e viziata, lei non sarebbe morta. Si era sacrificata per me, mi voleva bene e io ne volevo a lei. Non avevamo passato molto tempo a conoscerci perché era come se ci fossimo conosciute da una vita. Comunque, ne ero certa, in cielo o in terra, avrebbe saputo che le volevo bene. L’INTRUSO Melissa è la nostra cagnolina da ormai sei anni. E’ un incrocio fra San Bernardo e Pastore Tedesco. E’ molto affettuosa, le piacciono le coccole, per me e mio marito è come una figlia. Fra tre mesi avremo un maschietto e sono un po’ preoccupata per Melissa. E se quando arriva Luca (il nome che daremo al bambino) lei fosse gelosa? Come ci dovremmo comportare? Già da ora dedichiamo meno tempo a lei, perché incominci ad abituarsi. E’ passata una settimana e Melissa è sempre più triste. Forse è perché io e mio marito le dedichiamo troppo poco tempo. Ne ho parlato a mio marito, anche lui dice che stiamo sbagliando; così entrambi abbiamo preso una decisione: d’ora in poi (fino alla nascita di Luca) tutto il nostro tempo libero lo dedicheremo a lei. Melissa ha ritrovato il buon umore. Quando mio marito torna a casa dal lavoro, lei gli va incontro e incomincia ad abbaiare. Mio marito non sa se dirle di no, così dopo cena si mettono entrambi in salotto e incominciano a giocare come farebbero un padre e una figlia. Mancano due settimane all’arrivo di Luca, finora nulla è cambiato. Melissa sembra entusiasta dell’arrivo di questo bambino, come d’altronde anche io e mio marito. Questi ultimi giorni sono pieni di tensione. Melissa è molto agitata, credo che sia per l’arrivo di Luca. Sono da poco tornata dall’ospedale, Luca è bellissimo. Tutti i nostri cari sono venuti a vederlo. Melissa non sembra molto contenta. Quando sono venuti tutti parenti a casa, Melissa li accoglieva proprio come fa con mio marito quando torna dal lavoro, ma in cambio non ha avuto quello che si aspettava. Lo so, Luca ha cambiato molte cose in questa casa, soprattutto le nostre attenzioni nei confronti di Melissa. Adesso che sono a casa in maternità non ho molto tempo fra le poppate, i pannolini, i sonnellini pomeridiani, solo quando Luca dorme ho un attimo di tranquillità. Melissa viene ogni volta vicino a me, ma non la coccolo tanto perché sono stanca. Melissa è gelosa. Me lo sento. In fondo è questione solo di un paio d’anni, fino a quando Luca non diventa grande, sarà li che Melissa riceverà tutte le sue attenzioni. E’ come se ormai Melissa non volesse Luca in casa. Quando piange lei ringhia. Sono passati due anni, si Luca ha imparato a camminare e a dire qualche parola. Quando si avvicina a Melissa per giocare lei ringhia e gli abbaia contro, così devo per forza sgridarla e tutto ciò mi rende triste. Io e mio marito cerchiamo di dedicare più tempo libero a Melissa, ma lei è come indifferente. Abbiamo mandato Luca in montagna con i nonni, così avremo più tempo da dedicare a Melissa. Ora che lei ha capito che Luca non è in casa, ha ricominciato ad essere affettuosa e coccolona. Io e mio marito le dedichiamo tutto il nostro tempo libero. Io la coccolo quasi tutto il giorno, mentre mio marito solo la sera. Quando Luca è tornato dalla montagna, Melissa ha incominciato a leccarlo per tutta la faccia e Luca non poteva essere più felice. Ora sono inseparabili. L’INTRUSO Era il 15 agosto ed i miei padroni avevano deciso di andare in vacanza. Io ero molto ansioso perché non avevo mai visto il mare, ma nello stesso tempo anche un po’ agitato per paura di avere troppo caldo nel tragitto. La mattina dopo era tutto pronto. Uscimmo di casa e la mia padrona chiuse a chiave la porta. Poi successe un fatto strano: la mia padrona salì, il mio padrone salì, i miei padroncini salirono ed anch’io ero pronto salire quando mi chiusero gli sportelli in faccia (o forse sul muso) e partirono senza di me. Io li rincorsi per un po’, ma poi capii che non c’era più niente da fare. E così ora mi ritrovo in mezzo a degli sporchi bidoni della spazzatura. Ogni giorno torno a casa per vedere se per caso i miei padroni fossero tornati. Ormai sono passati dieci giorni dalla loro partenza e mi sto abituando a questa vita da randagio. In fondo non è poi così male dormi tutto il giorno, ti puoi rotolare in mezzo ai bidoni della spazzatura senza che nessuno ti rimproveri, rincorri gatti e topi, puoi inseguire cagnoline senza che nessuno ti strozzi con quel filo che hai attaccato al collo che gli uomini chiamano “guinzaglio”. L’unica cosa piacevole che manca quando non si hanno dei padroni è l’affetto che tu hai per loro e che loro hanno per te. Una cosa, invece, un po’ più sgradevole è forse scappare dagli accalappiacani, ma mi tiro su di morale pensando che così mi tengo in ottima forma. Ogni sera vado nei bidoni della spazzatura, vicino al ristorante che io e il mio gruppo chiamiamo il “fai da te”. E’ un ristorantino niente male. C’è una vasta scelta di menù: bucce di banane, carne già rosicchiata, ossa in quantità e altro. In quel ristorante ho conosciuto una cagnolina niente male; anche lei ha avuto una storia simile alla mia. Quasi tutti i giorni usciamo insieme. E’ molto simpatica e ha un odore così buono che non saprei definire: un misto fra pollo e pesce fritto. L’altro giorno mi ha fatto vedere dove abitava: è una casa molto grande con due o addirittura tre piani e un giardino molto grande. Al parco ho fatto amicizia con tanti bambini con i quali mi trovo tutte le mattine. Speravo che ai loro genitori venisse in mente di adottarmi, ma a quanto pare non gli passa neanche per la testa. Altri genitori dicono ai loro bambini di non toccarmi perché porto malattie infettive e ho le pulci. Ma che colpa ne ho io se nessuno mi lava e mi porta dal veterinario? Ieri, quando ero andato al mio solito ristorante “fai da te” per mangiarmi quattro belle cosciotte di pollo, ho incontrato il mio vecchio amico Baldo. E’ più vecchio di me: alto, bello, tutto nero e imprevedibile. Quando era cucciolo era stato buttato in un sacchetto nel bidone del rusco. Due suoi fratelli erano già morti soffocati quando l’uomo che pulisce la strada li liberò dal sacchetto. Lui si è salvato mangiando gli avanzi del nostro solito ristorantino “fai da te”. Stamattina quando ero andato al solito appuntamento al parco con i miei amici, ho visto la mia adorabile, dolce, affettuosa cagnolina con un bel cane di razza che gironzolavano qua e là. E così mi era passata la voglia di giocare. Mi era venuta la nostalgia dei miei padroni; era ormai passato più di un mese da quando erano andati via. Ora, però mi sembrava di sentire le loro voci. Mi feci coraggio e piano piano, senza fretta arrivai a casa e con mio massimo stupore li vidi scaricare le valigie. Subito i miei padroncini mi vennero incontro e sentivo che farfugliavano delle frasi come: “Mi sei mancato!” o “ho avuto tanta nostalgia di te!”. La mia padrona mi fece il bagno, mi tolse le pulci e mi diede una bella scodella di latte. Ora vi devo salutare, devo andare a fare la mia solita passeggiata al parco, ma con un particolare in più: ora sono con i miei padroni!. L’INTRUSO “Io voglio un animale vero, non quei brutti pupazzi!”, ripetevo sempre a mio padre e a mia madre. Ma loro non mi ascoltavano mai, fino a quando un bel giorno mi trovai davanti alla porta di casa un tenero e piccolo cagnolino. Era abbastanza paffutello e il suo pelo era tutto arruffato e di colore marrone. Appena lo vidi, chiesi immediatamente a mia madre se potevo tenerlo. Lei subito si mostrò incerta ma quando glielo feci vedere cambiò subito umore e disse: “Si lo puoi tenere”. Dopo aver sentito quelle parole diventai allegra e felice. Poi disse: “Se vuoi tenerlo devi occupartene tu e soprattutto devi trovargli una cuccia”, io risposi di si e siccome oggi la scuola è chiusa, sono andata a con la mamma a comprare l’occorrente per Fuffy (il nome del cagnolino). Acquistiamo la cuccia, il mangime, il collare ed anche la ciotola per il cibo. Torniamo a casa e appena apriamo lo sportello della macchina sentiamo gli urli di mio padre che a quanto pare si lamenta del cucciolo. Così prendiamo le borse piene e ci dirigiamo subito in casa. Quando arrivo in cucina trovo Fuffy tutto spaventato e papà molto agitato. La mamma a quel punto mi chiede di andare in camera e di portarmi con me Fuffy. Io obbedisco, ma lascio la porta aperta per sentire cosa papà volesse fare. Mio padre incomincia: “Come hai potuto permettere a nostra figlia di tenere in casa quel cagnaccio?”, e mia madre: “E’ da tanto che voleva un animale vero e adesso si è presentata l’occasione, davanti ad un animale così buffo non sono riuscita a dirle di no”. Mio padre risponde: “Noi non abbiamo il tempo di occuparci di un cane, se però lei penserà a tutto e il cane non farà disastri possiamo tenerlo”. Per fortuna che non ti hanno mandato via, ma ora devi stare alle regole e non combinare guai. Secondo me non mi ha neppure ascoltato, ma speriamo bene. Il giorno dopo, prima di andare a scuola, metto Fuffy nella cuccia al guinzaglio e davanti a lui la ciotola di cibo. Mentre sono in macchina chiedo a mia madre perché papà non voleva avere un cane che invece è la cosa più bella che ci può essere, mia madre mi risponde: “Tesoro, a papà farebbe piacere avere un animale, ma né io né lui abbiamo la possibilità di occuparcene, ora però scendi che siamo arrivate”. Così vado a scuola, la giornata passa in fretta e quando esco vado a casa più in fretta che posso perché voglio rivedere Fuffy. Quando arrivo trovo una cosa che certamente non pensavo potesse succedere: mio padre e Fuffy che giocano insieme! Riapro gli occhi, mi do’ un pizzicotto per vedere se è realtà o fantasia, ma alla fine capisco che è realtà. Subito mi dirigo verso mio padre e gli chiedo come mai ha cambiato idea e lui mi risponde che ha capito che è importante e bello avere un animale. Finalmente mio padre ha accettato Fuffy e mia madre mi ha appena dato una bellissima notizia: tra poco avrò una sorellina. Adesso sì che sono completamente felice. IL DOLORE DEGLI ANIMALI La sofferenza degli animali che ci circonda alcune volte la possiamo vedere da molto vicino, come quando andiamo a visitare un canile municipale. In questi posti vengono portati decine a volte centinaia di poveri cani abbandonati che vengono poi rinchiusi in piccoli recinti da dove difficilmente usciranno. La sofferenza che loro provano è notevole: vengono privati della loro libertà, vengono nutriti con cibo scadente e costretti a muoversi in uno spazio poco pulito e piccolissimo. A me è capitato di visitare il canile di Bologna, c’erano delle piccole cellette con dei cagnolini rinchiusi forse da molto tempo, mi colpirono i loro occhi tristi senza più voglia di vivere. Posso anche immaginare tutto il dolore che provano gli animali allevati per la nostra tavola: polli costretti a vivere sotto forti luci in modo che non possano mai dormire, ma solo mangiare, vitellini che vengono subito allontanati dalla loro mamma e gonfiati con mangimi ingrassanti e dopo qualche mese soppressi, senza voler immaginare il momento della macellazione che deve essere davvero drammatica per il povero animale. C’è anche il terribile dramma dei cani da combattimento che vengono addestrati ad essere cattivi a forza di torture e violenze di ogni tipo. Durante i combattimenti che sono sempre molto violenti i cani subiscono profonde lacerazioni che vengono cucite frettolosamente da veterinari senza sensibilità. Ho visto in TV che in Cina e in Giappone vengono allevati i San Bernardo perché in alcuni ristoranti è il cibo della casa. L’uomo sa essere molto crudele nei confronti degli animali e non tiene conto delle gravi sofferenze che a volte gli provoca. Ignora che invece queste creature sensibili ed intelligenti soffrono come noi. …Un animale per amico… Quando cammino per le strade di città sono impaurita solo dagli animali che non conosco e che incontro per puro caso o vedo che sono poco distanti da me, forse perché credo che siano randagi oppure, perché credo che abbiano delle malattie o addirittura che siano cattivi di carattere. In fondo però, che cos’è un animale, è solamente una creatura innocente che ha bisogno di affetto e di qualcuno da cui possa farsi veramente amare. Un cane, per esempio, anche se ci dà l’idea che abbia un brutto aspetto o ci fa pensare al suo tipo di carattere o ai suoi piccoli problemi, non dobbiamo riferirci a questi suoi aspetti, perché magari ci dà solamente un’idea negativa, ma in fondo è un cane buono, capace di farsi amare e bisognoso di affetto profondo. Io penso che ogni animale, soprattutto il cane, riesca a capire cose che noi neanche immaginiamo perché crediamo che non ne sia all’altezza, ma invece ci sbagliamo perché, secondo me quando noi disprezziamo un animale, lui ti guarda perplesso, ma con un viso dolce, ma triste e poi abbassa immediatamente la testa, io penso sempre che stia male e che nel suo cuore ci sia la tristezza e l’odio, ma non l’amore e l’affetto. Nonostante che io abiti in campagna e abbia tanti animali, ho sempre cercato di voler bene nel miglior modo possibile ad ogni tipo di animale, perché se lo sgridavo mi sentivo immediatamente in colpa. In particolare il cane, è un animale a cui cerco di dare affetto e comprensione. Alcuni anni fa avevo, in particolare due cani di razza maremmana a cui tenevo molto e a cui volevo molto bene. Erano fratello e sorella e andavano abbastanza d’accordo l’uno con l’altro, siccome quando erano piccoli, stavo quasi tutto il pomeriggio con loro, crescendo si erano affezionati a me. Io li accudivo nel migliore dei modi e li facevo divertire e sfogare anche se a volte fare un po’ male, resistevo, tanto erano solo dei cuccioli. Si divertivano molto a giocare insieme a me e anch’io se devo dire la verità mi divertivo tantissimo. Io credo che per far crescere dei cuccioli bene, bisogna farli divertire il giusto e insegnargli a distinguere una cosa giusta da una sbagliata e una cosa da fare e una da non fare. Questa era la loro vita da piccoli, e quando, invece, furono cresciuti, ci giocavo un po’ meno, ma cercavo di farli crescere nel modo più giusto e lasciargli un po’ più di libertà in mezzo alla verde campagna. A tutti e due ero affezionatissima, e quando li vedevo correre tra verdi e rigogliosi prati il mio cuore era pieno di gioia e sorrideva contento. Ormai erano già cresciuti abbastanza, perciò decisi che era già ora di dargli finalmente un nome. Diana e Ful. A questi nomi si abituarono abbastanza in fretta, e di questo ne fui pienamente soddisfatta. Diana e Ful erano già adulti, avevano già più di un anno, quando, dopo qualche mese se ne andarono via dalla verde campagna. Una sera d’inverno, Diana e Ful non erano presenti nel cortile, come sempre davanti alla casa. La mia famiglia si chiese perplessa dove potevano essere andati, mio padre controllò intorno alla casa e nel cortile, ma non c’era traccia dei due cani scomparsi. Ma quando mio padre salì sull’argine, la mattina seguente, e in fondo c’era Ful sdraiato, non c’era niente da fare, già era deceduto. Quando invece mio padre controllò nel ricovero attrezzi, lì in terra era distesa Diana, e anche per lei non c’era più niente da fare. A me, mi fu riferita la notizia, ed io reagii con un profondo e doloroso pianto. In loro ricordo feci un disegno su un foglio quadrettato e lo appesi al muro. Questa tristezza rimane ancora oggi nel mio cuore, ma conservo ancora adesso un posticino profondo che riflette la loro immagine con quel loro visino dolce e spensierato. (Serenella Santi) L’intruso: Durante le vacanze di Natale vado, con la mia famiglia, in montagna. Vicino alla mia casa c’è un boschetto. Un giorno, quando ero ancora piccola vidi un cane che stava cercando qualcosa da mangiare, io avevo in mano un pezzetto di pane, glielo porsi e lui lo prese con molta delicatezza. Il giorno dopo il cane tornò, però mi accorsi che era strano, non sembrava un vero cane, aveva il pelo bianco e folto, gli occhi di un azzurro intenso, con sfumature blu e viola. Era grande, più grande di qualsiasi altro cane che abbia mai visto, aveva anche dei lunghi canini, ma non mi importava, era il mio amico! Tutti i giorni mi veniva a trovare ed io portavo sempre un pezzetto di pane anche per lui. I miei genitori non capivano perché prendevo con me sempre più pane del solito. “Ma avrà solo più fame qui in montagna!” rispondeva mio padre alle continue domande di mia madre sul perché portassi con me più pane. I miei genitori mi dicevano sempre di stare nelle vicinanze della casa, ma un giorno il mio cane mi tirò per la manica fino all’inizio del bosco e poi lui si inoltrò nella vegetazione, quando fu lontano si girò abbaiando e scodinzolando la sua folta coda come per dire: vieni con me, perché stai lì impalata? Disubbidendo ai miei genitori lo seguii, mi portò in una radura dove sopra ad un cumulo di rocce, sulla più alta(che formava come una piccola piattaforma), c’era un grosso cane bianco e nero, che mi guardò mostrando i denti ferocemente come per dire: vattene via, intrusa!, ma il mio amico si piazzò davanti a me e si mise a ringhiare e ad abbaiare, i suoi occhi erano diventati cattivi verso quel cane. Il cane mi difendeva dall’altro cane. Poi un cucciolo uscito dalla tana vicino a me, mi fece cadere girandomi intorno mentre camminavo per tenere a bada il mio amico. Inciampai in una radice per evitare il cucciolo, che nel frattempo mi saltò addosso e incominciò a leccarmi, allora io lo accarezzai teneramente. Si rannicchiò tra le mie braccia e si addormentò, poi anche gli altri cani piano piano si avvicinarono. Iniziò a nevicare. La neve fitta incominciò a coprirmi, sentivo un gran freddo, il mio cane si era rannicchiato vicino a me, mi appoggiai su di lui e misi il cucciolo vicino al mio corpo per riscaldarmi, poi pian piano i cani si avvicinarono e si accucciarono vicino a me. Il mio amico aveva appoggiato la testa sul mio braccio e io avevo il capo sulla sua pancia. Intanto i miei genitori erano preoccupati visto che non mi trovavano da nessuna parte. Non dovevo lasciarla uscire, ora sarebbe ancora a casa! La mia piccola, dove sarà? Mia madre piangeva intanto mio padre cercava di consolarla: dai, vedrai che la troveremo. Poi videro arrivare un lupo dal bosco, mia madre aveva molta paura, il lupo si avvicinava e intanto mio padre muoveva il bastone(che aveva trovato vicino a se). Il lupo prese il bastone prese il bastone e cominciò a tirare come per dire: Seguitemi! Mio padre incitò mio padre a seguire il lupo, intanto io mi ero addormentata e un leggero strato di neve mi copriva. I miei genitori arrivarono, i lupi alzarono la testa e ringhiarono alla loro vista. Il mio amico pian piano si spostò e delicatamente mi fece appoggiare la testa per terra, si avvicinò a mia madre che tremava come una foglia, sentì il suo odore e abbaiò contro gli altri lupi, come per dire: queste persone sono i suoi genitori! I cani si spostarono e i miei mi videro tra loro, papà spostò il cucciolotto che tenevo tra le braccia, mi tirò su e mi portò fino a casa. Durante il tragitto io mi svegliai, i miei mi sgridarono perché mi ero allontanata, ma poi mi strinsero forte a se ed erano felicissimi di aver trovato la loro bambina. Io e mio padre abbiamo portato il cibo al mio amico e agli altri lupi ogni giorno. Le vacanze finirono, io dovetti salutare i miei amici animali, mi dispiaceva lasciarli ma partii. Questa esperienza rimarrà nel mio cuore per sempre. (Alessandra Tazzari) Una vita da randagio: Estate. L’asfalto brucia sulle strade. Caldo, caldo torrido, speranza, tanta speranza, ma nel profondo sapevo che la mia tomba sarebbe stata lì. Iniziavo ad essere anziano, il mio pelo, sempre stato irto e arruffato, ultimamente era anche più rado e le mie zampe incominciavano ad essere stanche dopo nove anni trascorsi per le vie di New York. Sono un incrocio, ho il pelo bianco sporco, la coda lunga e le orecchie cadenti. I miei occhi sono neri come il carbone e il mio naso, nero anch’esso, ha qualche macchiolina rossa sulla punta. Sono molto magro e mi si vedono le costole. All’altezza del collo, c’è un’enorme cicatrice sulla quale non c’è nemmeno un pelo. Non ho mai avuto una casa o una famiglia, l’unica amica che ho è la solitudine. Quando gli adulti mi guardano assumono un’aria distaccata e superiore, talvolta fanno smorfie disgustate, come se volessero rinfacciarmi la situazione in cui mi trovo. Gli unici che si avvicinano sono i bambini, con i loro grandi occhioni scintillanti, tendendo la mano per accarezzarmi, fino a che i genitori non li strattonano verso di loro e gli ripetono facendo ondeggiare l’indice in segno di proibizione, che i cani come me non sono da accarezzare perché sono cattivi, sporchi e mordono tutto e tutti. Ormai però non gli faccio più caso, anche se, ogni volta che un bambino mi si avvicina mi alzo in fretta e inizio a scodinzolare affannosamente cercando di farmi portare via da quella vita. Alcune volte però la gente si ferma ad osservarmi, certe volte con gli occhi pieni di pietà e certe volte assumono espressioni, come per dire:- se ti avessero soppresso ora non avresti questa tua orrenda visione qui davanti a me -. Ora sono sdraiato sotto l’unico albero di tutta New York. Non che la sua ombra mi ripari più di tanto dal sole, ma è meglio che niente. Guardo il passaggio: tanta, troppa gente, molti non mi notavano neanche, ma a me non importa, i miei occhi sono languidi e pieni di tristezza. Penso, penso a quella vita che non ho mai vissuto, penso a quella vita che mi è stata sottratta, penso come potrei essere ora se qualcuno mi avesse amato e io avessi potuto amare qualcuno. Ricordo di quando ero ancora un cucciolo , una palla di pelo bianco che non faceva altro che guaire, giravo tra la folla sperando che qualcuno mi notasse e mi portasse via da quell’inferno di palazzi; magari in una di quelle belle villette di periferia con qualche metro di giardino. Ma non fu così. E solo dopo nove anni mi rendo conto che le mie speranze erano ridicole… Ho fame, mi alzo e inizio a camminare lentamente sulla parte interna del marciapiede, strusciandomi contro il muretto che lo delimita, avvicinandomi sempre più ad un bidone dell’immondizia traboccante di rifiuti. Prendo un paio di costolette “fresche”, si fa per dire. Considero appetitoso tutto quello che non è ammuffito o putrefatto. Le porto via con me e faccio il mio percorso a ritroso, questa volta però fermandomi prima, sotto la tettoia esterna di un fast- food. Sono le tre, l’asfalto brucia sulle strade e le mie zampe non sopportano più quel calore. Mi sdraio e inizio a gustarmi le mie costolette. Dopo poco esce il gestore con una scopa in mano, sbraitando: vattene via lurido cagnaccio, o chiamo l’accalappiacani! Sempre la stessa storia, la stessa frase, la stessa minaccia: la stessa vita. Dopo alcuni giorni, però, successe l’irreparabile; le minacce diventarono fatti e venni catturato dall’accalappiacani. Dopo essere stato trasportato in un camioncino mi ritrovai in una gabbia grande più o meno tre metri per tre. Ero in gabbia con altri due cani, dei quali, uno dei due, dopo quattro giorni venne scelto da una famiglia, ma lui era un cucciolo e si sa che le famiglie vogliono solo cuccioli, e non dei brutti cani di nove anni. Lì c’erano tanti altri cani, che guaivano o abbaiavano in continuazione. Ogni tanto qualcuno se ne andava o con una famiglia o con una puntura. Una volta alla settimana ci lavavano e ci mettevano delle polveri nel pelo probabilmente per evitare delle epidemie di pulci. Il cibo era pessimo(non che prima mangiassi caviale) ma non ci si poteva lamentare perché se no sarebbe arrivato uno degli inservienti con una scopa in mano. Ora la mia vita era proprio un orrore. Ero passato dalla padella nella brace, almeno, prima ero libero, ora invece sono prigioniero, prigioniero di una vita che non avrei mai voluto conoscere. (Alessia Ferri) Classe 2° media A Istituto M.Pie dell’addolorata, Bologna La pietracanigattifilosofale Era una mattina di primavera, soleggiata, Fuffi si svegliò, si sgranchì le zampe e balzò giù dalla cuccia. Fuffi era un gattino molto piccolo, tigrato, dal pelo arancione intenso, molto giocherellone; viveva nell’allevamento di Refside dove i gattini appena nati venivano venduti. Era domenica e la gente veniva per adottare i piccoli. Fuffi, come del resto gli altri cuccioli, cercava di farsi notare nella speranza che una qualche famiglia lo scegliesse. Quel giorno ebbe fortuna; una bambina di circa otto anni gli si era avvicinata guardandolo con occhi “giganteschi”. Fuffi era già venduto, la bambina lo stava portando a casa con i suoi genitori. Passarono tre anni e Fuffi visse come un re ricevendo tutte le attenzioni possibili; finchè non si accorse… di essere un po’ trascurato. Ora la bambina passava più tempo davanti alla televisione che con lui. Un bel giorno d’estate, mentre Fuffi e la sua padroncina facevano una passeggiata, quest’ultima s’allontanò. Fuffi si guardò intorno con aria smarrita, ma non vide nessuno. In quel momento il giovane gattino si rese conto di essere stato abbandonato. Cominciò a vagare sui marciapiedi fino a notte fonda: la luce della luna era spettrale, e a Fuffi sembrava di intravedere sagome che si muovevano sotto le ombre dei grattacieli. Ad un certo punto il gattino sentì alle sue spalle un rumore metallico che lo fece sobbalzare. Dal vicolo che aveva appena oltrepassato spuntò il muso grigio e rincagnato di un bulldog. Fuff si mise a tremare ma il cane gli disse: non avere paura, sono allergico al pelo del gatto! Fuffi non proferì parola, allora il bulldog continuò: sei stato abbandonato? Sì, rispose Fuffi in un soffio. Il cane scosse la testa: Questi umani…, e aggiunse, sono il capo della Associazione per gli animali abbandonati, se hai bisogno di aiuto, seguimi. Il bulldog si incamminò versoil vicolo da dove era spuntato e Fuffi lo seguì esitante. Oh! A proposito, disse il cane, mi chiamo Spike, e tu come ti chiami? Fuffi, disse il gattino. Giunto vicino ad un cassonetto, Spike girò una manovella nascosta e si aprì un varco nel muro. I due entrarono. Davanti agli occhi di Fuffi c’era un piccolo monolocale ed al centro, seduto su un divano, c’era un porcellino d’India intento a guardare la tv. Sono tornato Doghy, disse Spike, ho qui il terzo ed ultimo membro dell’Associazione, continuò allegramente. Doghy, questo è Fuffi, Fuffi questo è Doghy. Molto piacere! Dissero all’unisono. Il porcellino si alzò dal divano: era grassottello, con la pancia bianca e il dorso nero, disse: tanto tempo fa un criceto sanguinario e crudele di nome Geppodeath rubò la pietra Canigattifilosofale, questa pietra ha il potere di impedire l’abbandono da parte dell’uomo degli animali domestici. Da quando è stata rubata, il fenomeno dell’abbandono è aumentato moltissimo. Spike lo interruppe: la nostra missione è ritrovare la pietra e riportarla al suo posto nel cratere del vulcano Firestorme. Vuoi aiutarci in questa impresa? Fuffi si mise a pensare: non aveva nulla da perdere e poi loro lo avevano aiutato. Accetto! Disse stringendo la zampa ai suoi nuovi amici. Spike allora disse:Domani mattina ci metteremo in marcia per raggiungere il gran consiglio dei maghiche ci ha affidato questa missione e ci dirà dove trovare Geppodeath; ora è meglio se prendi questo, e porse a Fuffi un costume verde. Noi siamo supereroi, disse Doghy, non tanto super, ma eroi; questo costume ti darà poteri straordinari e potenti armi, il tuo nome quando lo indosserai sarà Fuffimon, e noi saremo Doghymon e Spikemon. Ora è meglio che andiamo a dormire. Fuffi si coricò su dei cuscini e si addormentò di colpo. Giunse finalmente il giorno. I tre amici, indossati i costumi da supereroi, partirono alla volta del palazzo del gran consiglio. Attraversarono la valle Sempreverde, guardarono il fiumeSenzafondo, scalarono i monti della Vita ed arrivarono alla capitale del regno di Animalopolis dove sorgeva il palazzo. Entrato in città, Fuffimon rimase sbalordito dalla grandiosa bellezza degli edifici, dai colori sgargianti e luminosi con cui erano costruiti e dalla armonia in cui gli abitanti(cani, gatti, conigli, criceti…)vivevano felici. Tra questi riconobbe, in un gattino persiano intento a comprare un prelibato pranzetto in scatola, un suo ex compagno di Refside. Felix!! Sei proprio tu? Gridò Fuffimon. Il piccolo persiano si girò, sgranò gli occhi e riconobbe il suo amico Fuffi: gli corse incontro e lo abbracciò. Ciao Fuffi, come mai sei qui? Purtroppo la mia padrooncina mi ha abbandonato, ma ho avuto la fortuna di incontrare due amici coi quali sono arrivato fin qua. Anche a me, come a tutti gli altri randagiche si trovano in questa città, è capitata la tua stessa disgrazia; ma noi abbiamo avuto la fortuna di essere raccolti dai Maghibuoni che hanno costruito per noi questa fantastica città. Salutato l’amico ritrovato, Fuffimon, insieme a Doghymon e Spikemon, si diresse al palazzo del gran consiglio. Arrivati al cospetto del grande saggio Orsettus Lavatorius II, un procione dal pelo candido e dalla folta coda, si inchinarono con riverenza. Con espressione grave, Orsettus Lavatorius II si rivolse a Spikemon: Ben fatto, caro Spike! Hai eseguito i miei ordini alla lettera, ma ora viene per voi la parte più difficile. Dovete raggiungere il castello delle Tenebre, in cima al monte della Paura, che si trova al di là della foresta del Nonritorno e del mare della Disperazione, per riconquistare la pietra rubata dal traditore Geppodeath; sarà un’impresa ardua e difficile perché dovrete anche sconfiggere orde di conogli assassini che lo proteggono. Grazie ai costumi che i Maghibuoni di questo palazzo hanno realizzato per voi dotandoli di superpoteri, sono certo che riuscirete in questa impresa. Utilizzando gli incantesimi ed i superpoteri di cui erano dotati i loro costumi, Spikemon, Fuffimon e Doghymon giunsero finalmente in vista del castello delle Tenebre. Era un castello di granito nero, avvolto in una fitta foschia, circondato da un profondo fossato dentro il quale ribolliva il sangue delle vittime di Geppodeath. L’unico accesso era un portone rivestito di punte di acciaio protetto da un massiccio ponte levatoio. Mentre Fuffimon con sgomento con sgomento contemplava il macabro spettacolo, Doghymon esclamò: ho un’idea, amici, state a vedere! Battè tra loro per tre volte i suoi calzari magici dai quali spuntarono dei cuscinetti che lo sollevarono da terra fino a raggiungere le catene che sostenevano il ponte levatoio. Estratto dal cinturone lo Shùryken, lama capace di tranciare in un sol colpo qualunque tipo di metallo, tagliò le catene riuscendo a far calare i ponte levatoio. A questo punto Spikemon estrasse il Fuocomagico: una fiamma blu che lanciò contro il portone incenerendolo all’istante. I tre amici entrarono con circospezione nel castello: l’interno era illuminato da torce piantate nelle orbite di grandi teschi di animali misteriosi che pendevano dal soffitto; il pavimento era costituito da ossa tritate rivestite da lastre di ambra; le pareti erano tappezzate di pelli insanguinate. Percorrendo lunghi e tortuosi corridoi, arrivarono infine alla sala Magna avvolta nell’ombra. All’improvviso nel buio si accesero verdi occhi famelici e sui tre eroi piombarono una schiera di conigli assassini. Combattendo con tutte le armi magiche in loro possesso ed utilizzando gli incantesimi preparati per loro dai Maghibuoni, riuscirono a decimare e mettere in fuga i nemici. Dopo l’orrenda carneficina che erano stati costretti a compiere, salirono in tutta fretta le scale della torre del Teschio giungendo alla sala Alta dove viveva Geppodeath. Qui, posta su un tavolini riccamente intagliato, videro la pietra Canigattifilosofale. Ah! ah! ah! Sghignazzò una voce gelida, che cosa credete di fare contro di me? Poveri illusi! Era Geppodeath: un piccolo e tozzo criceto, con gli occhi iniettati di sangue ed il pelo ispido: vestiva una toga nera e brandiva uno scettro. Senza preavviso scagliò contro Spikemon un raggio rosso che lo fece sbattere contro una colonna facendolo svenire. Poi, estratta da sotto la toga una sfera luminosa, disse: ora che mi sono sbarazzato di questo stupido cane, con questa sfera mortale vi distruggerò! E la lanciò contro Fuffimon che rimase immobilizzato dal terrore. Fuffimon pensò che per lui fosse la fine e chiuse gli occhi. Doghymon raccolto tutto il suo coraggio si buttò contro la sfera… Un gran bagliore verde si sprigionò in tutta la sala… Fuffimon aprì gli occhi e non vide più il suo amico Doghymon. Preso dall’ira e dalla disperazione, corse verso il tavolino riuscendo ad afferrare la pietra magica che all’improvviso sprigionò una saetta che si diresse verso Geppodeath avvolgendolo in una spirale di luce abbagliante. Fuffimon udì urla terrificanti che lo fecero rabbrividire, poi un lungo stridulo lamento, infine il silenzio. La luce scomparve e dove prima si trovava il crudele criceto, rimase solo un mucchietto di cenere. Tutto era finito…!!! Il pensiero di Fuffimon corse subito all’amico Doghy che si era sacrificato per lui e l’esito felice della missione e cadde in ginocchio disperato, piangendo per l’amico morto. Poi sentì una zampa sulla spalla: era Spikemon, che ancora un po’ stordito gli disse: non piangere! Doghymon è morto da eroe ed il suo sacrificio non sarà vano. Prendiamo la Pietra e portiamola al vulcano Firestorme per completare la nostra missione. Uscirono così dal castello dirigendosi ad ovest verso il vulcano. Dopo tutte le avventure che avevano passato, raggiungere il cratere del vulcano fu per i due molto semplice. All’interno dell’immenso cratere c’era una piccola roccia, che sembrava cristallo, con una piccola nicchia della stessa forma della pietra Canigattifilosofale. E’ questo il posto della pietra, esclamò Spikemon, ponila nella nicchia e andiamo. Appena Fuffimon ebbe deposto la Pietra nella nicchia il vulcano eruttò una grande nube azzurra che avvolse i due eroi… Ogni anno ad Animalopolis, l’impresa di Spike, Doghy e Fuffi viene ricordata con una grande festa a cui partecipano tutti gli animali che grazie a loro sono stati riadottati. (Guido Maria Amorati) Lilì: E’ la mattina di Natale e fuori la neve scende a piccoli fiocchi; in una casa calda e accogliente una bambina stava per scartare i regali che erano sotto l’albero; impaziente scarta il primo e dentro trova un’adorabile, piccola micetta, appena la vede dice: che bella, grazie, Papy, grazie Mamy, la chiamerò Lilì!. I Genitori felici di vederla contenta le chiesero: ti piace?, e lei rispose: si, ma ora devo aprire gli altri regali. Nel giro di una settimana la micetta era stata completamente dimenticata. Quando il padre vide questo fatto, si vestì, prese una cesta di vimini, vi mise dentro Lilì e uscì di casa non facendosi sentire. Quando fu abbastanza lontano da casa, aprì la portiera dell’auto e scaricò la povera micetta che, infreddolita miagolava con tutta la vocina che gli restava in corpo; così il padrone, meravigliato davanti a quella scena, le lasciò un biberon di latte perché non morisse. Tornato a casa l’uomo si rese conto che la figlia non si era neanche accorta che la gattina mancava, così con il cuore in pace si tranquillizzò e scordò tutta l questione. Ma la gattina era là fuori, soffriva la fame e pativa il freddo, lasciò la cesta e iniziò a vagare per quello strano posto che lei non aveva mai visto; trovò dei gatti più grandi di lei che la accolsero e se ne presero cura. Poi Lilì crebbe e divenne una gatta adulta capace di badare a sé, ma anche tanto affezionata ai suoi simili, che rimase a far parte della compagnia. Un giorno che i gatti stavano passeggiando nel parco videro dei ragazzini che facevano un picnic e si avvicinarono per vedere di racimolare un po’ di cibo. Ma Lilì si avvicinò un po’ troppo e un umano la prese in braccio; e lei, ricordandosi di quando era piccola, cominciò a dimenarsi e, dopo qualche graffietto sulle mani del povero malcapitato, riuscì a liberarsi. Non c’era proprio nulla da fare, Lilì aveva una paura matta degli umani poiché non si era dimenticata ciò che le avevano fatto. Lilì vagava sola per i vicoli della città ripensando a ciò che le era successo, quando all’improvviso da un angolo della strada apparvero due grossi e feroci cani, che le fecero subito capire che erano intenzionati ad ucciderla; così lei scappò più forte che poteva e si nascose in un posto a lei sconosciuto. Passò di lì una bambina di nome Stella, che , vedendola così affannata, si preoccupò, e, dopo una piccola lotta riuscì a calmarla e a prenderla in braccio. Quando Stella portò a casa Lilì, sua madre, fu molto felice che la figlia avesse trovato un interesse, e, quando Stella le chiese di tenerla, la madre fu subito contenta. Qui si conclude una storia iniziata male, ma finita nel miglior modo si possa immaginare. (Chiara Succini) Cani, gatti e noi: Son qui venuta ad adottare uno splendido esemplare cane o gatto io non so prima o poi deciderò. Quando arrivi fa le fusa e anche quando sei delusa lui ti fa tornar sereno come un dolce arcobaleno. Dorme soave sul suo cuscino dolcemente supino avete capito? Si tratta del gatto, l’avrete intuito! Quando arrivi ti fa festa agita la coda e alza la testa di qualsiasi razza sia avrà tutta l’amicizia mia. Mai lo potrò abbandonare poiché è lui l’animale da amare avete capito? Si tratta del cane l’avrete intuito! Tra baci, coccole e carezze io ho molte incertezze… Ora so che cosa fare, tutti e due da adottare. (Chiara Succini e Gaia Lolli) Billy e la sua delusione: Il nostro protagonista Billy, è un ragazzo che vive in un bosco magico, dove tutti gli abitanti del suo villaggio vivono sereni con i propri cani e gatti, dando loro sempre da mangiare in abbondanza tutti i giorni, coccolandoli e curandoli, e gli animali contraccambiano offrendo al loro padrone affetto, compagnia e amicizia. In quel luogo non ci sono abbandoni e non è presente il fenomeno del randagismo. Grazie a queste condizioni, tra gli abitanti di quel villaggio e i loro cani e gatti si è instaurato un bellissimo rapporto di amicizia. Un giorno Billy, intenzionato a vedere come si comportavano gli uomini del mondo reale nei confronti degli animali, prese il suo scettro magico e in un baleno si trovò in una città molto affollata, proprio di fronte a un canile. Riuscendo a passare attraverso un buco nella rete, Billy entrò e, quando vide tutti quei poveri animali in piccole gabbie, quasi svenne. Turbato da quello che aveva appena visto, si lanciò fuori da quel posto orribile e, bloccata la prima persona che passava da quelle parti, chiese: scusi, mi sa dire perché quei poveri animali si trovano in piccolissime gabbie? E il signore “catturato” rispose: si trovano lì perché sono stati abbandonati o perché sono semplicemente senza padrone. E chi potrà mai avere avuto il coraggio di abbandonare questi poveri animali? Coloro che li prendono e poi si accorgono di non avere la possibilità di accudirli. A volte molte persone buone, prima di acquistare un cane pensano se potranno occuparsene, perché altrimenti lo farebbero soffrire, rispose il gentili e paziente signore, mentre si allontanava avendo finito il tempo a disposizione. Poi Billy incontrò un bambino e gli chiese: tu hai un animale? No, perché a casa mia purtroppo io, mia madre e mio padre siamo sempre impegnati e non avremmo la possibilità di tenerlo, rispose il bambino mentre veniva tirato dalla madre che aveva molta fretta. Così Billy se ne andò, pensando che lui era fortunato perché nel suo paese tutti avevano la possibilità di tenere cani e gatti con loro. Proseguendo il suo cammino per esplorare la città, Billy arrivò ad un’autostrada e vide un automobilista scaricare un cane e proseguire per la propria strada. Ricordando ciò che gli aveva detto quel signore, capì che quello sarebbe diventato un cane randagio perché non avrebbe più avuto il suo padrone e provò molta compassione. Riutilizzando il suo scettro magico, Billy fece ritorno al suo villaggio, nel bosco fatato, là dove uomini, cani e gatti convivono in armonia, e dove non esistono abbandoni e randagismo. Billy ebbe il tempo di riflettere e capì che il mondo degli uomini dal punto di vista della convivenza con cani e gatti è deplorevole perché gli animali vengono abbandonati e fatti soffrire, mentre invece nel suo villaggio è tutto l’opposto. Sì, è vero, gli uomini del mondo reale hanno più tecnologie, più impegni e più invenzioni, ma hanno molte cose da imparare su come si può vivere tutti insieme rispettandosi. (Luca De Lorenzi) Storia di Lula: Era il 1943, una calda giornata d’agosto e Lula, un meticcio dal pelo color oro, si crogiolava nel giardinetto fiorito davanti alla casa dei Bekers, ovvero i suoi padroni. I Bekers erano buoni con Lula e la viziavano continuamente anche se la loro famiglia aveva già abbastanza bocche da sfamare: Sarah, Miky, Meggy, Maria e il giovane Tommy, quest’ultimo aveva diciott’anni e voleva a Lula un bene dell’anima. La loro convivenza era pacifica e facevano tutto insieme: mangiavano, dormivano e giocavano; quest’ultima attività era la prferita di Lula. Correvano insieme anche per delle ore senza mai stancarsi, ma oggi a casa non c’era nessuno, molto strano perché di solito almeno una o due persone rimanevano in casa, ma oggi no… nessuno. Quando ad un certo punto tornò Tommy seguito dalla fila delle sue quattro sorelle e di sua madre: quest’ultima in lacrime. Tommy aveva in mano una valigia. Lula si avvicinò furtiva per strappare una carezza da Tommy. Appena gli andò vicino lo sentì dire: devo andare…i caccia hanno bisogno di uomini. Dopo queste parole tutte si misero a piangere: io e papà torneremo…lo prometto. Si rivolse poi al cane: addio Lula, disse partendo velocemente. Quella sera stessa Lula sentì litigare tutte le donne della casa: deve andarsene…!, no lei rimane…!, no…! Ad un certo punto intervenne la signora Bekers: non abbiamo più cibo per sfamare un cane da salotto! E così dicendo prese per la collottola Lula e uscì di casa in direzione del bosco. Una volta arrivata la donna ordinò al cane di non tornare mai più a casa loro. Lula non capiva, aveva la coda tra le zampe e tremava come una foglia, già non capiva… era disorientata, tanto affetto per tanti anni, svanito nell’arco di pochi secondi. Era ora abbandonata, sola, impaurita e cacciata di casa dai suoi padroni, la sua famiglia. Intanto la signora Bekers era scomparsa tra gli alberi e i cespugli del bosco lasciando sola la povera Lula. Quasi per miracolo il cane riuscì a sopravvivere per due anni. Quando Lula camminava lungo le strade distrutte dalle bombe e dalle pallottole nemiche nessuno la accarezzava, coccolava e sfamava come faceva il suo padrone Tommy: vedeva solo gente disperata che neanche si accorgeva della sua presenza. Un giorno d’agosto si ritrovò davanti alla casa ormai cambiata dei Bekers, con un po’ di paura si avvicinò alla porta e ad un certo punto vide una sagoma zoppicante che riconobbe subito: era Tommy! Quando i due si incontrarono si fecero una gran festa e, solo dopo, Lula si accorse che a Tommy mancava una gamba(evidentemente persa in guerra), ma a Lula non importava: aveva ritrovato il suo migliore amico. (Silvia Rossini) Cani, gatti e noi: C’era una volta un gatto che viveva in una villa, aveva sempre da mangiare e poteva giocare con quello che voleva. Si guadagnava la fiducia dei suoi padroni cacciando topi e facendosi strapazzare dai figli dei padroni e in cambio aveva un abbondante colazione, pranzo e cena, aveva un morbido cestino imbottito davanti al camino e un intero giardino a sua disposizione. I padroni erano contenti: Avere un gatto è comodo, pensavano, caccia i topi, gioca con i bambini e non è troppo impegnativo. Un giorno il padrone decise di andare in vacanza: e il gatto dove lo mettiamo?, chiese la moglie, possiamo portarlo con noi, rispose il marito, stai scherzando?! Disse la moglie, un posto in più in aereo, non può stare in albergo e perdere peli! Esclamò indicando un ciuffo di peli rossicci abbandonati sulla moquette. Dai, lo metteremo nel porta bagagli dell’aereo e potremmo informarci su uno di quegli alberghi in cui possono stare anche gli animali, rispose il marito. E i peli? Dove li metti i peli, eh? Continuò la moglie. E’ primavera, sta cambiando i peli, abbi pazienza. Nossignore, ne ho già avuta troppa di pazienza, o se ne va o il divorzio! E chi lo dice ai bambini? Ribadì il marito, oh, ne prenderemo un altro al ritorno, eventualmente! E detto questo se ne andò sbattendo la porta. Il marito fu costretto ad abbandonarlo ed andò sull’autostrada con il gatto. Quest’ultimo intanto pensava: dove mi starà portando? A mangiare fuori? IL padrone entrò in una piazzola e si fermò. Prese il gatto, lo appoggiò sulla strada, legò un biglietto alla sua zampa e andò via. Il gatto, che non capiva cosa stava succedendo, iniziò a camminare. Dopo aver provocato due tamponamenti a catena con quattro morti e dieci feriti, aver fatto uscire di strada quattro macchine, due camion e un pulmino di scolari che stava andando in gita, arrivò in città e cominciò a vagare. Un cane che stava passando si avvicinò cautamente per non spaventarlo, il gatto non si mosse, non aveva mai visto un cane. Scusa, sei un randagio? chiese il cane. Un che cosa? Rispose il gatto. Un randagio, uno che non ha una famiglia? No, io ce l’ho, il mio padrone mi ha portato stamattina in una strada e mi ha lasciato questo, e mostrò il biglietto al cane. Allora ti hanno abbandonato, disse il cane. Probabile, rispose il gatto, ho una certa fame. Andiamo, affermò il cane, ho un amico che lavora in un ristorante. Andarono in un ristorante e il padrone di esso disse: Oh, ecco il mio amico con un suo amico, e offrì loro due piatti di tagliatelle al ragù. Il cane porse al padrone il biglietto del gatto e lui lesse: Sono un gatto affamato, non ho casa e non ho nome, vi prego aiutatemi. Che faccia tosta, abbandonare questo gattino, e aggiunse, io non posso adottarvi, ma forse c’è qualcuno che può farlo, tornate domani e vi farò sapere. Chiuse la porta e li lasciò soli. Davvero non hai un nome? Chiese il cane. Non lo so, non mi chiamavano mai, dicevano semplicemente: gatto, vieni qui. Rispose il gatto, e tu ce l’hai un nome?, chiese. Sì, ma non lo ricordo, è da tanti anni che sono randagio, rispose e aggiunse, se vuoi ti faccio fare un giro della città. Ok, cane, rispose il gatto. Visitarono tutta la città, i ristoranti, le pasticcerie, i fornai, ma provocarono un morto e due incidenti d’auto quando tentarono di raggiungere una pizzeria. La sera andarono a dormire in un comodo cassonetto e si appisolarono. Dopo qualche ora il gatto si svegliò e disse: ho sentito un rumore cane, vieni con me a vedere. Il cane lo seguì barcollando. Videro due occhi rossi dietro ad un cespuglio, impauriti si allontanarono, ma spuntarono due grossi cani con la bava alla bocca e gli occhi iniettati di sangue: questo è il nostro territorio, dissero con voce gelida, e ora vi uccideremo. Detto questo corsero verso il cane e il gatto che si divisero. Il gatto si portò in salvo su un albero e cominciò a tirare addosso al cane delle mele. Il cane scappò e il gatto andò a vedere se il suo amico stava bene. Lo vide passare in mezzo a un buco dove il suo inseguitore rimase incastrato. Il gatto raggiunse il suo amico e insieme scapparono via lontano da quei due cani. il sole era appena spuntato da dietro le colline, si stava facendo giorno, il gatto e il cane correvano a più non posso. Il vento accarezzava i loro peli, rossi quelli del gatto e marroni e bianchi quelli del cane. La bandana rossa che il cane aveva al collo sventolava come una bandiera e le lunghe orecchie scoprivano gli occhi neri e furbi. Il gatto precedeva il cane, aveva gli occhi di chi aveva passato una parte della sua vita a dormire, erano felici, quegli occhi. Arrivarono dal padrone del ristorante in tempo per la colazione, ma stavolta il loro amico non era solo: un signore dall'aria gentile, vestito con cura, parlava con il padrone del ristorante. Il cane e il gatto guardavano incuriositi. Il loro amico si avvicinò e disse felice: avete una casa, ora. Cosa?! Si chiesero il cane e il gatto. Il loro amico e il loro nuovo padrone si salutarono e, mentre andavano via con l’uomo gentile udirono una voce che il gatto non aveva mai sentito e che non scorderà mai: addio, amici, VI VOGLIO BENE! (Evamaria Lanzarini) Mibi e Coleman: Questa è la storia di un uomo di circa 55 anni di nome Mark. Mark era una persona scaltra, opportunista e molto avida, abitava in una casina in campagna e il suo lavoro era fare il falegname ma, visto che nel paese no c’era tanta gente, la sua professione non rendeva molto. Un giorno decise di comprare due animali: un cane di nome Coleman ed un gatto di nome Mibi. Egli andò in un posto che si chiamava: ANIMALI: VENDESI e lì li comprò. Dentro al negozio vi era anche una bellissima ragazza di nome Michela che abitava lì vicino in una villa stupenda ed anche lei, era in cerca di due animali. Visto che lei era veterinaria, non vedeva l’ora di avere due animali tutti suoi, ma alla fine non comprò niente. Ora però vi devo comunicare l’aspetto dei due personaggi principali: Coleman era un cane labrador, aveva tre anni e il suo hobby preferito era mangiare. Mibi era un gatto di colore rossiccio, aveva due anni e il suo hobby preferito era dormire. Dalla descrizione sembrano due animali comunissimi(a parte il fatto che sono moltom pigri) ma in realtà hanno poteri super magici!! Coleman parla(come se fosse una cosa normale!) ed ha il potere di leggere nel pensiero, mentre Mibi parla ed ha il potere di guidare la macchina(però no ha la patente!). Adesso, però, ritorniamo alla nostra storia: Mark appena li vide li comprò ed il negoziante gli spiegò tutta la loro storia: erano stati abbandonati(tutti e due poiché si compravano insieme) ben venti volte. Arrivati a casa Mark, già stufo di avere tra i piedi i due poveri cucciolotti, mangiò una bistecca sugosa e, a Mibi e Coleman, non diede niente, ma poi i due animali si consultarono e Coleman disse: stavolta ci è capitato uno che non ci dà neppure da mangiare! Mibi rispose: sì, infatti, si va di male in peggio, quindi io proporrei di scappare però mi sono affezionato a luui anche se è cattivo con noi! Coleman disse: facciamo una cosa, vediamo se migliora andando avanti nel tempo, buonanotte. Passarono mesi e mesi e Mark non dava niente da mangiare ai due animali, ormai moribondi. Un giorno qualcuno bussò alla porta di Mark e dietro la porta c’era… Michela!!! I due animali le si attaccarono alle gambe, visto il loro aspetto lei disse con Mark: Ma lei a queste povere bestiolini dà da mangiare? Mark rispose: cara signorina, lei non si deve permettere di dare ordini a me e quindi… fuori! Michela scappò da quella casa per poi ritornarci il giorno dopo e quando Mark le aprì lei chiese: dove sono i cuccioli? Mark rispose: mi erano di impiccio, non sapevano cacciare, stavano per morire quindi… li ho abbandonati al confine del paese! Michela senza perdere un istante chiuse la porta dietro di se e si precipitò al confine del paese, lì li trovò svenuti e se li portò a casa. Dopo varie cure i due animali si risvegliarono e Coleman adottando il suo potere riferì a Mibi ciò che Michela pensava: stavolta Mibi abbiamo trovato la padrona giusta, sta pensando che ci terrà con lei per sempre e… non finì di parlare che Michela disse: voi sapete parlare! E’ magnifico! Però non lo dovrà sapere nessuno! E’ un nostro segreto. I due animali si guardarono poi risero ed ora tutti e tre sono a Flowi(nella loro città) a giocare, parlare e divertirsi. MORALE: PRIMA DI COMPRARE QUALSIASI TIPO DI ANIMALE RIFLETTICI SU E, UNA VOLTA CHE HAI CAPITO DI ESSERGLI SIMPATICO, COMPRALO PER NON ABBANDONARLO MAI PIÙ PERCHÉ… CHI TROVA UN ANIMALE TROVA UN TESORO!!!!! (G.LOLLI) IL RAGAZZO CHE SI PENTÌ: Ferdinand era un ragazzo normale, amava andare in bicicletta, ascoltava musica rock e praticava la boxe, aveva tutto, gli mancava un amico, così chiese alla mamma un cane, comprarono un pittbull, e lo chiamarono Pitt. Con il suo Pitt giocava tutto il giorno, e poi Pitt era un esserino piccolo e curioso, passò un anno, i compiti aumentarono e solo poche volte Ferdinand poteva giocare con Pitt; così la mamma di Ferdinand iniziò ad arrabbiarsi: perché questo “coso” è in casa? Lascialo fuori! Diceva, quando Pitt per scaricare la sua indole giocosa le mordeva le scarpe; cosa che non fece più perché in cambio riceveva sonori scapaccioni. Passò ancora del tempo e secondo la madre di Ferd, Pitt are troppo grande, troppo sporco, troppo brutto… insomma aveva tutte le disgrazie del mondo. Il povero Pitt fu portato in autostrada e lì sbattuto su un guard rail e quindi abbandonato. Ferdinand quella sera pensava a Pitt quando si addormentò, un brivido lo percorse, si alzò per chiudere la finestra ma era sull’asfalto. Sono Pitt?!!? Pensò Ferd, non è possibile!!!? Si guardò intorno, mise un piede in strada e… Bip Biiip, un camion sbandò, ma fortunatamente non andò a sbattere. E adesso? Si chiese Ferd, cosa faccio? Dopo aver vagato per dieci minuti trovò uno scatolone, ci si coricò dentro e iniziò a pensare: sigh! Me tapino…, quando tornerò uomo ricercherò Pitt per tutta la città, poi dopo un pochino Ferd cominciò a sentire i morsi della fame; così si aggirò per Bologna alla ricerca di qualcosa da mangiare, vide un bidone e ci si avvinghiò subito, tenendolo stretto e mangiucchiando tutto quello che si poteva mordere, ma un altro cane l’attaccò, Ferd saltò, schivò. Lo morse sul collo, ma come il randagio si avvicinò, in un attimo Ferd si accorse che era idrofobo! Ecco, pensò, questo sarebbe potuto accadere a Pitt per via delle brutte condizioni sanitarie. Questo era il secondo comandamento per i randagi: sopravvivi e basta. Ferd stava per andarsene ma il cane rabbioso se ne andò con fretta e facendo un verso strano: cai! Cai! Cai! Cai! Cai! Ferd si girò, c’era un uomo ubriaco con un retino in mano che catturò il nostro Ferd, lo portò al canile e lo mise in una gabbia comune, una gabbia dove si trovavano tantissimi cani che si mordevano a vicenda. Passati due mesi Ferd non veniva adottato e dopo un abbondante e gustoso piatto di fegato fu condotto a morire… Non voglio che Pitt faccia la stessa fine!!! Si accorse di urlare, aprì gli occhi, era nel letto ed erano le sette del mattino, Ferd si alzò e corse subito dal babbo, che era già in piedi, si fece portare in autostrada e ritrovò il suo Pitt, sano, salvo e bagnato come sempre. (Andrea Orlandini)