CIVILTÁDELLO STRETTO
QUADERNI BAGNARESI
Bagnara: Storia, Cultura, Società, Civiltà del Lavoro
Anno 1 – nr. 1 (Giugno 2011)
TITO PUNTILLO
BAGNARA 1799-1815
PATRIOTI E BRIGANTI DURANTE L’OCCUPAZIONE FRANCESE
Il sacrificio e il coraggio di un popolo, vittima delle lotte senza quartiere
fra le truppe di occupazione da Championnet a Gioacchino Murat
e la resistenza dei contadini, levatisi a massa in difesa di Re Ferdinando
PARTE PRIMA – IL 1799 A BAGNARA
A.S.F.B.
ARCHIVIO STORICO FOTOGRAFICO BAGNARESE EDIZIONI
BAGNARA CALABRA
Giugno 2011
QUADERNI BAGNARESI
Anno I– nr. 1/Giugno 2011
LA FORZA
DALL'AMORE
LA FEDELTA'
PER SEMPRE
T.P.
QUADERNI BAGNARESI
Redazione: Tito Puntillo, Piazza Rivoli, 7- 10139 Torino
[email protected] – 338.75.87.681
Periodico pubblicato dall’Archivio
ll’Archivio Storico Fotografico Bagnarese destinato ai Soci.
Vi è l’obbligo di citare la fonte, nel caso di utilizzo del materiale documentario.
Gli eventuali contributi si possono
poss
inviare per file a uno dei due indirizzi indicati.
---ARCHIVIO STORICO FOTOGRAFICO BAGNARESE
Sito internet: Bagnaracalabra.biz
Corrispondenza: [email protected]
Direttore: Gianni Saffioti
Pag. I
QUADERNI BAGNARESI
Anno I– nr. 1/Giugno 2011
DEDICA
“le Donne di Calabria
si riassumono in sintesi concettuale
nella Bagnarota,
perché alle Bagnarote
mancò la fortuna
non la forza e l’onore”.
Tito Puntillo
Pag. II
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Anno I– nr. 1/Giugno 2011
PATRIOTI E BRIGANTI DURANTE L’OCCUPAZIONE FRANCESE
PARTE PRIMA
IL 1799 A BAGNARA
1.- UNA BREVE INTRODUZIONE
Presento qui un Saggio che ancora una volta ho scelto di non pubblicare sotto forma di libro, ma
veicolarlo attraverso Internet e questo per due motivi:
a) Considero Internet il futuro prossimo dell’Editoria, circostanza che consentirà di poter
recepire una massa di informazioni maggiore di quelle offerte da una libreria tradizionale;
b) Il costo del Saggio è zero per coloro che vorranno consultarlo, e questo è in linea con una
ormai consolidata consuetudine mia e di Archivio Storico Fotografico Bagnarese.
Il lavoro è la parte introduttiva di un’ampia ricerca sugli Anni 1799-1815 a Bagnara e in generale
nella Calabria rivoluzionaria. Spero che esso possa vedere la luce per la metà dell’Autunno
prossimo.
Molti fatti sono esposti con la crudezza che li ha realmente contraddistinti ed è questa una scelta
che ritengo consona per rappresentare quanto fu a Bagnara e anche in Calabria, la portata degli
scontri fratricidi.
Peraltro, la narrazione è resa semplice, scorrevole e spero intuitiva. Insomma: non è un saggio
“accademico”, ad uso di pochi studiosi, ma per tutti perché il patrimonio storico della Calabria deve
essere di tutti i Calabresi.
Non è un Saggio accademico ma ritengo esaustivo, e questo è per me importante.
Come scrivevo sopra, esso è la sola parte introduttiva di una più vasta ricerca sul Brigantaggio a
Bagnara e in Calabria dal 1799 al 1815, si ferma cioè all’ingresso del Cardinale Don Fabrizio Ruffo
dei Duchi di Baranello-Bagnara, proprio a Bagnara e la narrazione si allarga però ai preliminari
dello sbarco al Pezzo, la formazione dell’Armata della Santa Fede e il ruolo giocato da tanti
personaggi, ognuno dei quali è collocato al suo posto d’origine.
Sono purtroppo molte le persone che confondono i “Fatti” con i “Non fatti”, scambiandone il
significato. Un individuo impegnato sul campo, vicino alla gente, deve produrre fatti percepibili
dalla gente per il loro uso o beneficio, un ricercatore deve produrre invece significativi resoconti
che possano servire alla gente per capire, comprendere, decidere. I “non fatti” sono le azioni
inconcludenti, che produce chi sta sul campo, e gli Studi dozzinali, ripetitivi, talvolta fuorvianti, di
colui che intende scrivere, e che non sono recepiti dalla gente con sensazione positiva.
La nostra Società Calabrese, non è ancora purtroppo una «Società Aperta». Tanti i suoi nemici e
tutti accomunati in élites fasulle, che temono il progresso delle lettere e delle arti, la vittoria della
scienza sulla superstizione, la formazione di élites davvero capaci di mettersi alla guida della
nostra gente, il prevalere della capacità intellettuali sulle loro mediocrità, colle quali pretendono di
gestire la Società nostra con fare prevaricatorio. Gente che non ha nessuna remora a minimizzare
il lavoro altrui, definendolo qualunquista, oracoleggiante, profetizzante, ecc., quando anche molto
qualificato, se esso oscura la loro visibilità o denuncia il loro retrivo modo di fare ed essere.
Si trovano costoro a tutti i livelli della nostra Società e il loro essere impedisce ai Calabresi di
migliorare, esprimersi liberamente, conseguire capacità decisionale.
Anche per tale motivo, questo Saggio desidero rientri nel ventaglio di lotta contro tutte le dittature
che tengono prigioniero il Popolo Calabrese.
Tito Puntillo
Torino, Giugno 2011
Pag. III
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Anno I– nr. 1/Giugno 2011
FONTI UTILIZZATE.
ASN
ASR
ASCL
MALASPINA
SACCHINELLI
CIMBALO
HELFERT
PETROMASI
SAVOJA
APA
COPPI =
SANSONE
PETTIGREW
PALUMBO
CACCIATORE
=Archivio di Stato di Napoli
ASC
=Archivio Storico Calabrese
=Archivio di Stato di Reggio
ASPN
=Archivio Storico per le Province Napoletane
=Archivio Storico per la Calabria e la Lucania
=FILIPPO MALASPINA, Occupazione dé Francesi del Regno di Napoli dell’anno 1799. Invasione del Regno
nel 1806 e l’impresa intrapresa dal Cardinale Don Fabrizio Ruffo di Baranello, di cacciare i Francesi dal Regno
di Napoli, di cui l’Autore di questo scritto, Marchese Filippo Malaspina, fu l’Aiutante Reale del detto Cardinale,
Stamp. Orientale di Dondey-Dupré, Parigi 1846
=Abate DOMENICO SACCHINELLI, Memorie Storiche sulla vita del Cardinale Fabrizio Ruffo, scritte
dall’Abate .D.S., già segretario di quel porporato, con osservazioni sulle opere di Coco, di Botta, e di Colletta,
Tip. C. Cataneo, Na. 1836
=Fra ANTONINO CIMBALO, itinerario di tutto ciò ch’è avvenuto nella spedizione dell’Eminentissimo Signor
D.Fabrizio Cardinal Ruffo, Vicario generale per S.M. nel Regno di Napoli per sottomettere i ribellanti Popoli di
alcune Provincie di esso, tipografia Vincenzo Manfredi, Napoli 1799
= Barone JOSEPH ALEXANDER von HELFERT, Fabrizio Ruffo. Rivoluzione e Controrivoluzione di Napoli
dal Novembre 1798 all’Agosto 1799, Loescher & Seeber ed., Firenze 1885
=DOMENICO PETROMASI, Storia della spedizione dell’Eminentissimo Cardinale D.Fabrizio Ruffo, allora
Vicario Generale per S.M. nel Regno di Napoli e degli avvenimenti e fatti d’armi accaduti nel riacquisto del
medesimo, compilata da D.P. commissario di guerra e tenente colonnello dé Reali Eserciti di S.M. Siciliana,
V.Manfredi ed., Napoli 1801
=D.A. SAVOJA, Diario della Spedizione del Card. Ruffo nel 1799, tip. Paolo Siclari, Reggio 1889
=FRANCESCO APA, Brieve dettaglio di alcuni particolari avvenimenti accaduti nel corso della campagna nella
spedizione dell’Eminentissimo D.Fabrizio Ruffo, Cardinale di Santa Romana Chiesa qual Vicario Generale per
Sua Maestà nel Regno di Napoli, esposti nella sua genuina verità dal rev. Sac. D.F.A. arciprete della
Metropolitana Chiesa di Santa Severina, qual testimone di veduta, e di fatti dai 17 marzo a tutto il 13 giugno
dell’anni 1799, tip. Vincenzo Manfredi, Napoli 1800
A. COPPI,Saggio sulle rivoluzioni del Regno di Napoli, Michele Ajani, e figli ed., Roma 1815
=ALFONSO SANSONE, Avvenimenti del 1799 nelle Due Sicilie, Era Nova ed., Palermo 1901
= THOMAS J. PETTIGREW, Memoirs of the life of Vice-Admiral Lord Viscount Nelson, T & W. Boone ed., Londra, 1849
=RAFFAELE PALUMBO, Carteggio di Maria Carolina con Lady Emma Hamilton, Iovene ed., Napoli 1877
=ANDREA CACCIATORE, Esame della storia del Reame di Napoli di P.Colletta dal 1794 al 1825, tip. Del
Tramater, Na. 1850
-
-
Bibliografia essenziale(Ulteriori rimandi bibliografici sono stati inseriti nel corpo del testo.)
GIOVANNI RUFFO, Il Cardinale Rosso, Calabria Letteraria Ed., Soveria M. 1998
GIOVANNI MARESCA, Carteggio del Cardinale Fabrizio Ruffo con Lord Acton e la Regina Maria Carolina, ASPN
varie
GIOVANNI RUFFO, Il Cardinale Fabrizio Ruffo e la controrivoluzione del 1799, ASC, a.VI (1918)
MARIO CASABURI, Fabrizio Ruffo. L’uomo, il Cardinale, il condottiero, l’economista, il politico, Rubbettino ed.,
Soveria M. 2003
GIOVANNI RUFFO-DOMENICO DE MAIO, Il cardinale Fabrizio Ruffo tra psicologia e storia. L’uomo, il politico, il
sanfedista, Rubbettino ed., Soveria M.1999
Barone J.A.v.HELFERT, Maria Carolina di Napoli e la fuga a Palermo nel dicembre 1798, ASPN, A.VI, FSC. I (1881)
FRANCESCO PIGNATELLI STRONGOLI, Intorno alla guerra tra la Repubblica Francese e il Re di Napoli ed alla
rivoluzione che ne fu conseguenza, opuscolo di F.P.S. Generale di Brigata (1800-1801)
GIUSEPPE CARIDI, La spada, la seta, la Croce. I Ruffo di Calabria dal XIII al XIX secolo, S.E.I., Torino 1996
GIUSEPPE CARIDI, I Ruffo(secoli XIII-XIX), Falzea ed., Reggio 1999
PETER NICHOLS, Rosso Cardinale, Editori Riuniti, Roma 1983
ANTONIO CARDONE, Il cardinale Ruffo, ed. Loffredo, Napoli 1999
ANTONIO MANES, Un Cardinale Condottiero. Fabrizio Ruffo e la Repubblica Partenopea. Saggio storico, Novissima
ed., Aquila 1929
GIUSEPPE FIMMANO’-ALBERTO GUENZANI, I Ruffo e la Contea di Sinopoli tra Medioevo e Rinascimento, Ed.
Calarco, Taurianova 2005
NICOLA DELLA MONICA, Le grandi famiglie di Napoli, Newton Compton ed., Roma 1998
DOMENICO SACCHINELLI, Risposte dell’ab. D.S. sulle Memorie Storiche della vita del Cardinale Fabrizio Ruffo per
l’impresa guerriera del 1799, Tip. Carlo Cataneo, Napoli 1838
BENEDETTO CROCE, La Rivoluzione Napoletana del 1799, Laterza ed., Bari 1912
GAETANO CINGARI, Giacobini e Sanfedisti in Calabria nel 1799, Casa del Libro ed., Reggio 1978
AA.VV., Geografia e Storia dell’idea di Libertà, Falzea ed., Reggio 2000
DOMENICO GIOFFRE’, La Gran Casa dei Ruffo di Bagnara, Equilibri ed., Reggio C. 2010
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QUADERNI BAGNARESI
Anno I– nr. 1/Giugno 2011
INDICE
1.
2.
3.
4.
5.
Echi della Rivoluzione Partenopea a Bagnara
L’attacco dei Femioti a Bagnara
La Bassa Calabria cardine strategico antigiacobino
I piani di difesa del Regno: il ruolo di don Pasquale Versace
don Fabrizio Ruffo, il terzo Cardinale di Bagnara
 5.1 – Storia del Feudo di Baranello
 5.2 – La formazione di Fabrizio Ruffo a Roma
 5.3 – La condizione economica dello Stato Pontificio e gli studi di Fabrizio Ruffo
 5.4 – Fabrizio Ruffo «Tesoriere Generale» dello Stato Pontificio
 5.5 – L’opposizione del “Partito Curiale” alle riforme di Fabrizio Ruffo
 5.6 – Fabrizio Ruffo alla Corte di Ferdinando IV a Napoli
 5.7 – Genealogia del Cardinale Fabrizio Ruffo dei Duchi di Baranello-Bagnara
6. Il piano controrivoluzionario. Il ruolo di Bagnara
7. I preparativi per la spedizione in Calabria
8. Tensioni a Bagnara alla vigilia dello sbarco in Calabria del cardinale Ruffo
9. La formazione della Banda Calarco a Bagnara
10. Fabrizio Ruffo e i preparativi a Messina
11. Lo sbarco del Cardinale Ruffo in Calabria
12. La formazione dell’Armata della Santa Fede al Pezzo; a Bagnara le prime vittime
13. L’Armata del Cardinale a Bagnara
14. Il Proclama di Bagnara e il Manifesto di Palmi
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1.- ECHI DELLA RIVOLUZIONE PARTENOPEA A BAGNARA
Gennaio 1799: le notizie sui disordini provocati dalla Rivoluzione Partenopea giungevano lungo la
costa calabrese, portati dai Padron di Barca di Bagnara e Scilla.
Informavano su un peggioramento di quanto stava avvenendo nella Capitale. I Padron di Barca
conoscevano i luoghi ove si stavano svolgendo i fatti rivoluzionari, frequentatori com’erano dei porti
del Mediterraneo. I paesi anseatici della costa calabrese dello Stretto, erano dunque aggiornati su
quanto accadeva nel mondo, a differenza dei paesi aspromontani, collegati colla civiltà
esclusivamente dai procaccia settimanali, dai mulattieri e dalle Bagnarote.
Tramite i procaccia provenienti da Lagonegro, i mulattieri che risalivano le Costere per
mercanteggiare e le Bagnarote che tenevano i collegamenti commerciali colla Costa, le notizie
della Rivoluzione si apprendevano sull’Aspromonte con qualche dettaglio, aumentate di clamore
dalle prediche dei parroci, che raccontavano che il Regno era in pericolo e la fuga del Sovrano a
Palermo minacciava segnali di precarietà anche in Calabria.
La popolazione dell’Altopiano conduceva “normalmente” una vita stentata sui campi e nei piccoli
laboratori artigiani, colle sole preoccupazioni di terminare la giornata con qualcosa da porre sulla
tavola per la cena e proteggere la piccolissima proprietà, la capra, le cinque galline, il mulo. Ciò
che stava all’esterno di questo mondo assoluto, costituiva per il contadino una minaccia, vissuta
col terrore della fine imminente. La popolazione dell’Altopiano era sconvolta e le nuove su un
peggioramento della situazione, dovuta all’ingresso dei “senza Dio” francesi nella Capitale, stava
trasformando le ansie in terrore per il futuro.
La fame si rafforzava pertanto di altre preoccupazioni e tutti si chiedevano: cosa sarebbe
successo? Come avrebbero potuto vivere se i bollori della Rivoluzione di Napoli si fossero trasferiti
sulla costa calabrese? I collegamenti commerciali delle Bagnarote si sarebbero interrotti, non
avrebbero più ricevuto quanto occorreva per il lavoro e sarebbe sopravvenuta la miseria vicino alla
morte; i Baroni, che avevano difeso i bisnonni e i nonni dagli attacchi saraceni e che adesso li
stavano proteggendo dagli attacchi del malgoverno locale, dalla furia dei banditi che infestavano le
strade e dalle situazioni conflittuali attraverso mediazioni nelle liti (i Baroni sapevano leggere e
scrivere e conoscevano “i Signuri” di Napoli che erano poi il riflesso del Re in persona) 1sarebbero
stati ammazzati dai Rivoluzionari, insieme al Re che era il Padre Protettore del loro pezzetto di
terra e di quella Fede esercitata dal loro parroco; egli li consigliava nella dura vita quotidiana e
pregava la Santa Vergine perché intercedesse con un Dio severo che mandava le punizioni sotto
forma di terremoti, alluvioni, carestie ed epidemie per punire i peccatori. Tutto sarebbe precipitato
nel baratro e così il terrore nei terrazzani aumentava perché i rivoluzionari avrebbero ammazzato
anche i Parroci e loro si sarebbero trovati indifesi, perso il piccolo campo, la vacca, le tre capre, le
cinque galline. I rivoluzionari avrebbero bruciato il loro pagliaro costruito con pietra viva, calcina e
paglia, violentato le donne e scannato i bambini. A questo punto l’ira di Dio si sarebbe scatenata
sul mondo distruggendo tutto.2
Questi rivoluzionari, questi Giacobbinibisognava fermarli!
Erano la razza “borghese”, quei maledetti avvocaticchi, “dottori”, notari, impiegati delle strutture
pubbliche, padroni delle dogane e caporali, che infestavano i Paesi, vivendo da parassiti ai bordi
delle corti baronali e dei potenti mercanti e succhiando sangue dalla povera gente pur di stare a
galla, sentirsi importanti e mantenere la raggiunta, fasulla posizione sociale. I contadini della Piana
e dell’Aspromonte, odiavano quei buoni a nulla che si davano un contegno da teatranti ma che
nella sostanza erano “aria fritta” che inquinava l’ambiente e li apostrofavano in modo impietoso:
1
Sul ruolo del Feudatario nella società calabrese (sistema feudale come “male necessario”, in assenza di un sistema di
governo centrale e soprattutto locale efficiente ed efficace), è interessante lo studio di ROMUALDO TRIFONE, Feudi
e Demani. Eversione della feudalità nelle Province Napoletane, Società Editrice Libraria, Mi. 1909.
2
Il fenomeno della «modernizzazione» che caratterizzava i grandi circuiti commerciali e i sistemi produttivi basati sulla
competizione, innescata dalle tecnologie produttive innovative, era in realtà una delle principali cause del
“peggioramento effettivo” della vasta schiera di campi e campetti che costituivano la disgiunta economia contadina
calabrese. Essa trovava nel signore baronale, nel mercante e nel sistema religioso, gli unici punti di riferimento per
l’attività rurale e quella sociale ad essa legata (cfr.: GAETANO CINGARI, Giacobini e Sanfedisti in Calabria nel 1799,
D’Anna ed., Me. 1957, p. 20; AUGUSTO PLACANICA, Alle origini dell’egemonia borghese in Calabria. La
privatizzazione delle terre ecclesiastiche (1784-1815), Società Editrice Meridionale, Sa. 1979, p. 410).
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tutti i ceija passaru e cacaru, puru chiji senza culu
a differenza del Barone e del ricco mercante, in genere Sindaci del Comune, Priori delle
Confraternite e padroni di terre cedute in affitto agli stessi contadini. Loro ne riconoscevano la
portanza e l’influenza e dicevano che:
caca kiù nù voj ca centu ceiji
Eppoi questi “cappelli”, questi intrallazzatori col diavolo, erano identici a quelli che popolavano la
Capitale ed era risaputo che s’accompagnavano a Napoli coi Francesi3, un “comparato” che
s’intrallazzava appunto col diavolo per distruggere la loro vita e prendersi i loro campi!
I contadini cominciarono a raccogliersi in pattuglie numerose, quasi a farsi coraggio l’un l’altro.
Vagavano per i campi e i Paesi dei Piani della Corona e della Piana, spesso guidati dai parroci che
li istigavano a unirsi, a stare compatti e pregare armati. Le comunità aspromontane cercavano di
farsi forza trovandosi sotto uno stendardo colla Croce o attorno a una chiesa ad ascoltare ma più
che altro per guardarsi l’un l’altro e nell’incrocio degli sguardi, trovare il coraggio di resistere.
Resistere mettendosi a difesa voleva dire procurarsi quanto necessario per sopperire alla
mancanza di vettovaglie dovuta alla certa paralisi dei trasporti e al blocco della produzione. E a
questi sentimenti, fungeva da ulteriore stimolo la propaganda che cominciava a esser fatta
circolare ad arte dai messi che la Corte di Palermo aveva sparso per le contrade e fin fra i più
remoti villaggi d’Aspromonte: “un nemico comune sta per minacciare la vostra tranquillità, i vostri
averi, la Sacra Religione vostra, il vostro Re. State pronti alla difesa, riunitevi e lottate!”
2.- L’ATTACCO DEI FEMIOTI A BAGNARA
Fu così che da S. Eufemia una di queste masse pensò di muovere su Bagnara. Torme di disperati
armati di pali e ronche, capitanati da Padre Gaetano Richichi4, scesero con sacchi in spalla per
predare i ricchi magazzini di Bagnara sperando di avere quanto servisse per fronteggiare il
pericolo della fame imminente.
Le colonne di Richichi si muovevano lentamente lungo i sentieri che dall’Altopiano degradavano
con asprezza sopra Bagnara. Un territorio che intorno a Solano, era un fitto manto boscoso
sistemato, con maestria di antichissima data, a castagneto, materia prima per le segherie, le
botteghe artigiane del paese, i cantieri navali della Marina e il commercio verso Messina.Attraverso
il grande bosco scorreva la strada regia delle Calabrie, sorvegliata dal presidio ducale di Solano, a
sua volta protetto da una “Specola”, una gigantesca torre di guardia che affacciava sopra Bagnara
dall’alto della montagna, visibile anche a molte miglia di distanza dalla costa e dai punti più lontani
dell’ampio golfo di Sant’Eufemia. Il Duca di Bagnara l’aveva nel tempo trasformata in una specie di
palazzo-fortezza che ne aumentò l’aspetto di gagliardo guardiano della Montagna. Verso il Mastio
di Barano e la Melarosa, il bosco lasciava il posto a gelseti, curati con amore dai Palarinoti, perché
fornivano una seta di pregio, commercializzata nel mercato di Seminara ed esportata.
3
L’attività assistenziale attuata dai religiosi era rimasta diffusa in modo capillare nelle campagne meridionali, malgrado
la chiusura dei conventi e la Cassa Sacra del 1784. Un sistema che consentiva ai rurali di sopravvivere là dove erano
insufficienti le risorse naturali e i collegamenti col resto del mondo. L’attività assistenziale s’accentuava di molto negli
agglomerati urbani, ove proliferarono le opere di carità dei conventi e delle confraternite. L’ostilità giacobina verso la
Chiesa esasperò dunque gli animi dei popolani e dei contadini (G.GINGARI, Giacobini…, cit, p.30). Né valsero gli
avvicinamenti, talvolta plateali come nel caso del rito del Miracolo di San Gennaro a Napoli, dei Francesi e dei
Giacobini ai riti religiosi. Si trattò sempre di un utilizzo strumentale della componente religiosa, comprese le citazioni di
passi del Vangelo, adattati per affermare la positività della Rivoluzione. In realtà nessun Giacobino si dichiarerà
apertamente cristiano e men che meno cattolico. La discendenza ideologica era quella dell’Encyclopedie e di Rousseau,
secondo i dettami della prima Rivoluzione Francese. (RENZO DE FELICE, Italia giacobina, ESI, Na. 1965, p. 258).
4
Sul Padre G.Richichi, accesissimo realista come il conterraneo D. Vincenzo Luppino, cfr. L.CONFORTI, La
repubblica napoletana e l’anarchia regia nel 1799, vol. IV., Avellino 1890, da pg. 118.
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La linea di demarcazione correva lungo la mulattiera che partendo da sotto Purello, vicino al picco
del Pinno, martoriato dal terremoto del 1783, saliva con difficoltà al Malopasso, girava attorno
all’Affacciata e poi s’immergeva nei
Il Generale Championnet
Il Maresciallo Mac Donald durante la vittoriosa Battaglia di
Wagram combattuta a fianco dell'Imperatore
castaniti e gelseti di Pellegrina per raggiungere Palmi e
Seminara. Il territorio attraversato, era un sistema
rasolato attrezzato a vigna e giardino prevalentemente di
pruneti, con un accostamento pregevole alle colture a
Il Maresciallo Mac Donald
gelseti (gelsi bianchi), sistemate fra lo Sfalassà, ove era
in funzione la grandiosa Cartiera del Duca di Bagnara, e
la fine di Prajalonga, sul limitare del Torrente Favazzina. La parte iniziale di questa mulattiera si
chiamava “Cruci” e collegava la Marinella di Porto Salvo al Pinno. 5 Da qui s’inerpicava fino al
Malopasso dopo una biforcazione con una via che s’immergeva nell’abitato di Purello e un’altra, la
strada Ruffa, che dallo spiazzo vicino al Pinno, ove stavano ancora le rovine della Reale Abbazia
5
La denominazione della scalinata che dalla Marinella di Porto Salvo sale verso Purello, risale al 1861 ed è quindi
successiva al Terremoto del 1783, quando venne così battezzata per la presunta presenza dei fantasmi dei morti del
Terremoto. Chi la utilizzava, si faceva prima il segno della Croce per ripararsi dalle loro presenze. La Grande Specola d
Solano, visibile da tutta la costa, rovinò col tempo. Ma esiste ancora in agro di Solano, la località denominata «La
Torre», interessante per una campagna di ricerca.
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QUADERNI BAGNARESI
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Normanna e quelle del Palazzo Ducale dei Ruffo, in avanzato stato di recupero, portava al Borgo
marinaro.
Un percorso tortuoso per affrontare il quale, soprattutto in Inverno, i viaggiatori forestieri
chiedevano una guida palmisana o bagnarota e che adesso la colonna femiota percorreva con
fatica.
I Rasolari di Santa Barbara e della Melarosa ebbero il tempo per dare l’allarme.
La Città si mobilitò: fra Purello e l’Affacciata, la strada fu trincerata e posta a difesa dai benestanti
armati con moschettoni e pistole mentre la sovrastante mezza costa di castaniti, venne occupata
da gente munita di armi bianche. La colonna di Richichi capitò così in mezzo alla difesa bagnarota
e non riuscì né ad avanzare verso la trincea, data la strettoia naturale della strada, né ad allargarsi
sul fianco, la strada rasentava il precipizio del Malopasso, coperto dalla fitta foresta di pruni
selvatici. Il tentativo di guadagnare i castaniti per aggirare la strettoia trincerata, fallì di fronte a una
pioggia di lance e sassi. Gli assalitori fuggirono senza combattere.6
L’attacco femioto al Paese, impresse un’accelerazione reazionaria alla già precaria vita civile dei
Bagnaroti. La Città era consapevole della gravità della situazione politica. Durante le riunioni nelle
Confraternite e sugli scali della spiaggia o sulla spianata dell’Abbazia, ove si osservava coi
cannocchiali lo Stretto solcato da navi da guerra, si discuteva degli avvenimenti che accadevano
intorno a Bagnara.
Gli eventi non erano valutati come inizio dell’apocalisse come temeva il basso popolo, ma come
pericoloso veicolo di devastazione per il sistema produttivo-commerciale dello Stretto, una volta
neutralizzate le garanzie che il governo borbonico, nel bene e nel male, era in grado di fornire e
sostituite da un sistema francesizzante, per le forti imposizioni fiscali e le esose richieste di
forniture di guerra.
Qualche giorno prima dell’attacco femioto, i Padron di Barca avevano raccontato di una rivolta, a
Napoli, di Lazzari contro Giacobini, appoggiati dai cani Francesi7. Piogge di sassi avevano
investito le truppe d’assalto del Generale Championnet,8 pilotate dai Giacobini per le vie della
6
La località esiste ancora. L’Affacciata è il piccolo slargo dopo la curva delle fontane del Malopasso, salendo verso
Pellegrina e dal quale si ammira il panorama di Bagnara e dell’ingresso del Canale.
7
L’espressione Cani si usava in Calabria per apostrofare in spregevole una persona. Esti nù cani; Cani j bajola,
canazzu, facevano riferimento però non all’animale amico dell’uomo, bensì ai Saraceni. Dunque i Cani erano i Saraceni
che, in branco, depredavano le marine della costa tirrenica calabrese, prendendo a base logistica Capo Vaticano, cioè ‘u
Capu aundi battivani i Cani, cioè Batti-Cani, Vaticani e poi Vaticanu nella sua modernizzazione. Quando si dice
dunque manchicani!si vuole sottolineare un fatto, un gesto talmente orribile che neanche i Saraceni avrebbero
compiuto.
8
Championnet si chiamava in realtà Jean Etienne Vachier, era nato in Valence nel 1762. Si arruolò ragazzo e si mise in
luce durante la prime fasi della Rivoluzione Francese. Partecipò alla Campagna del Reno, sotto il Generale Pichegru,
distinguendosi durante le azioni nel Palatinato.Fu durante laBattaglia di Fleurusche trovò l’occasione per dimostrare
abilità nel cuore del combattimento, manovrando in modo decisivo per la vittoria del Generale Jourdan.Durante le
campagne successive, ottenne il comando dell'ala sinistra delle armate francesi.Divenne protagonista nel 1798, quando
alla testa dell’Armé de Rome, con appena 8.000 effettivi e poche munizioni, si mosse a difesa della Repubblica
Romana. Si trovò difronte il GeneraleMack von Leiberichche disponeva di80.000 effettivi ben armati. Championnet
affrontò i Napoletani a Civita Castellana il 5 dicembre1798, entrando vittoriosamente a Roma. Le sue truppe quindi, si
misero all’inseguimento dell’Esercito Napoletano entrando senza ostilità nel Regno di Napoli.L'11 gennaio1799stipulò
un armistizio col vicario del Re,Francesco Pignatellie il 23 gennaioentrò in Napoli, favorendo così la formazione
dellaRepubblica Partenopea a matrice giacobina, mai riconosciuta dal governo francese.Non cessando le sue ostilità
verso i rappresentanti del Governo Giacobino, fu richiamato in patria e tratto in arresto il 24 febbraio 1799 e sostituito
in Napoli dal GeneraleMacDonald.Chiuse le indagini sul suo operato, fu reintegrato con onore nel grado e nel 1800
ebbe il comando dell’Armata delle Alpi, che costituì e pose in grado di combattere in tre mesi.Le sue truppe furono
decimate da un'epidemia di tifo e Championnet fu sconfitto a Genola il 4 novembre 1799 dagli austro-russi. Colpito
anche lui dall'epidemia che aveva falcidiato le sue truppe, morì pochi mesi dopo.Mac Donald discendeva da una
famiglia di scozzese. Nel 1784prestò servizio come sottotenente partecipando alla battaglia di Jemmapes (1792) ove
meritò il grado di colonnello, per conseguire l’anno successivo, il grado di generale. Combatté agli ordini di Pichegru e
fece parte dell’Armata del Reno. Fu richiamato da Napoli per le difficoltà incontrate dall’Armé al Nord. Il Generale
Suvorov lo sconfisse nella battaglia sulla Trebbia (19 giugno1799). Fu al fianco di Napoleone nel colpo di Stato del 18
brumaio, e sempre al suo fianco, partecipò alla battaglia di Marengo ed alla campagna del Grigioni.L’Imperatore lo
inviò quindi in Danimarca come ministro plenipotenziario.Nel 1803 lo insignì“grande ufficiale della Legion
d'Onore”.Difese il generale Moreau e per questo cadde in disgrazia. Nel 1809 riuscì ad ottenereil comando di una
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Capitale. E magnificavano i Lazzari, ragazzi, capaci di lanciare sassi da distanza, colpendo il
bersaglio anche oltre gli ostacoli e le stesse case. I sassi cadevano precisi senza che il nemico
riuscisse a stimare da dove provenissero.
E poi dalle finestre le donne gettavano sui francesi acqua bollente, oggetti appuntiti e masserizie
per renderne difficoltosa la marcia.
Tutto fra urla e fumo acre degli incendi. Raccontavano ancora che era si vero che la Corte aveva
lasciato la Capitale, ma che insieme alla Capitale, anche nelle Province e soprattutto nel
Principato, il moto antifrancese andava crescendo. E si aggiungevano le dicerie più disparate:
maltrattamenti a preti e monache, violazione dei luoghi sacri, saccheggi.
I Francesi poi, non supportati economicamente e logisticamente dal Direttorio, si prendevano
quello che trovavano lasciando terra bruciata e quest’ultima notizia fu quella che alimentò le ansie
delle popolazioni non ancora coinvolte nel vento rivoluzionario e che armò i contadini.9
Anche i marinai delle rotte adriatiche lo confermavano.
I grossi trasporti di Bagnara e Scilla collegavano i porti delle Puglie con Venezia e Trieste e i
Bagnaroti, per scambiare i prodotti, s’addentravano fin alle porte di Milano e Innsbruck. Vedevano
dunque l’Armé d’Italie muoversi a ventaglio su tutta la Padana e raccontavano che le colonne
francesi erano invincibili in Europa; nell’Alta Italia avevano cancellato le istituzioni monarchiche e
costretto i religiosi a giurare su una Costituzione laica e blasfema; una massa di massacratori che
non avevano avuto rispetto neanche per Sua Santità e le sedi religiose dipendenti dalla Città
Santa.10
Nel Canale poi, i bagnaroti dal Belvedere potevano osservare le crociere delle navi da battaglia
britanniche e portoghesi che andavano verso Procida, Ischia e Capri a bombardare i ribelli e le
flotte alleate che muovevano sulla rotta di Malta e verso l’Egitto; sul limitare delle rotte, la flottiglia
di cannoniere del Re di Napoli che incrociava bassa, verso la costa calabrese.
divisionedel Principe Eugenioche dopolo nominò comandante dell'ala destra dell'esercito. Nella battaglia di Wagram (6
luglio1809) si comportò da eroe, guidando in prima fila la carica finale della Guardia e si guadagnò il titolo di
Maresciallo dell'Impero e Duca di Taranto. Ottenne quindi il comando del VII Corpo d'armata in Spagna.Partecipò alla
Campagna di Russia al comando del X Corpo d'armata, Combatté con valore durante tutti gli scontri contro un nemico
meglio attrezzato e più numeroso e alla fine venne sconfitto dal Generale Blücher aKatzbach.
Rimase fedele all’Imperatore anche durante il suo declino e finoall’abdicazione a Fontainbleau (6 aprile1814). Dopo
l'abdicazione, accettòdi servire nell'esercito regio. Al ritorno dell’Imperatore dall’Elba, accettò solo l’incarico di
granatiere nella Guardia Nazionale. Alla restaurazione, Luigi XVIII lo nominò Pari di Francia.
Morì nel suo castello a 75 anni d'età. (Wikipedia)
9
La propaganda politica antigiacobina, cavalcava il timore della gente diffondendo nelle Province le deliberazioni del
Governo Repubblicano e gli atti amministrativi dell’Esercito di Occupazione francese. Fu in particolare la deliberazione
per la contribuzione di 50 milioni di lire, chiesta dai francesi al popolo meridionale, la confisca dei beni nazionali e di
quelli dell’Ordine di Malta, a essere diffusa in modo da scavare un abisso fra il Governo Repubblicano e l’opinione
pubblica delle Province. (F.PIGNATELLI STRONGOLI, Intorno alla guerra tra la Repubblica Francese e il Re di
Napoli ed alla rivoluzione che ne fu conseguenza, La Città del Sole ed., Na. 1999 (1801), p. 43)
10
La gente delle Province era abbondantemente premunita nei confronti dei francesi e non solo per le informazioni che
provenivano dai teatri della Rivoluzione. La Corte Napoletana riuscì a trasmettere l’odio antifrancese al popolo
attraverso proclami durissimi veicolati per lo più attraverso la rete di chiese e conventi distribuita nel Regno, l’unica
peraltro a possedere un sistema di comunicazione efficiente e capillare. La spedizione borbonica del 1798, guidata dal
gen. Mack per liberare Roma dall’occupazione francese, fu preceduta da un editto pubblicato in tutto il Regno:
« quei francesi che uccisero il loro Re, che detestarono i templi, trucidarono e dispersero i sacerdoti…che
tutte le leggi sovvertirono, qué Francesi non sazii di misfatti…apportano gli stessi flagelli alle Nazioni vinte
o alle credule che li ricevono amici…Noi imitando l’esempio dei giusti e degli animosi, confideremo negli
aiuti divini e nelle armi proprie. Si facciano preci in tutte le chiese, e voi devoti popoli napoletani, andate in
tutte le chiese per invocare da Dio la quiete del Regno; udite le voci dé Sacerdoti…pensate che
difenderemo la patria, il trono, la libertà, la sacrosanta religione cristiana e le donne, i figli, le dolcezze
della vita i patrii costumi…”
(P.COLLETTA, Storia del Reame di Napoli dal 1734 sino al 1825, UTET, To.18602, pag. 174).Il patriota è “uomo
conveniente alla Patria Repubblicana. Per essere buon Patriota in tal senso, bisogna essere uomo a cui non faccia
ribrezzo alcuna iniquità. Non si può dunque essere un buon Patriota senz’essere un ateo, un traditore del proprio
legittimo Sovrano, della sua vera Patria, del proprio Padre, dé concittadini, di Dio, Religione, Costumi, sane massime, e
con tali prove di patriottismo si è poi sicuro delle prime cariche nella Patria Repubblicana”. Queste le definizioni
dirompenti contenute in Nuovo Vocabolario Filosofico-Democratico indispensabile per ognuno che brama intendere la
nuova lingua rivoluzionaria, Andreola ed., Ve. 1799, p. 39.
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I trasporti mercantili per Messina infine, raccontavano che la Città dello Stretto, fedele al Re, era
divenuta un presidio militare, collegato colla grande Piazza d’Armi di Reggio, posta a difesa del
Canale dalla parte di Capo Spartivento.
3.- LA BASSA CALABRIA CARDINE STRATEGICOANTIGIACOBINO
Dopo le congiure dei «Clubs» giacobini Vitaliano-De Deo-Galiano a Napoli nel 1794, Di BlasiPorcaro-Patricola a Palermo nel 1795, e di Logoteta a Reggio alla fine del 1798 11adesso a
Palermo le preoccupazioni della Corte erano concentrate sul Canale.
Si sarebbe potuta ripetere quella stagione susseguita al provocatorio ingresso nel Golfo di Napoli
della flotta repubblicana francese dell’Ammiraglio Latouche-Tréville? 12
Era dunque la Calabria a ripresentarsi come problema politico-militare.
Alla Regina tornavano a mente le denunce che nel 1794 provenivano dal Vescovo di Mileto Enrico
Capece Minutolo. Aveva denunciato al Re il «lacrimevole stato della Calabria», un tempo florida,
ora in rovina per l’abbandono nel quale versavano i fondi agricoli già di proprietà degli ecclesiastici,
incamerati dagli ufficiali governativi nella Cassa Sacra; denunciava la «rovina delle industrie», la
«decadenza del commercio», i «discapiti del Fisco» e i disagi della vita, causati dalla miseria della
gente, «divenuta eccessiva e insopportabile» e dunque facilmente sfociabile in violenza, furti,
rapine, vivere alla giornata.
11
L’Uditore D.Angelo Di Fiore adoperò la mano forte dopo la congiura Logoteta del 1798, tesa a favorire lo sbarco in
Calabria di truppe bonapartiste, poi non eseguito per ragioni militari. Un traditore svelò i piani agli ufficiali governativi
sicché scattò l’inchiesta dell’Uditore che portò il 13 dicembre 1798, all’arresto di settantacinque persone fra Reggio e
Palmi. Per il proseguimento dell’inchiesta, la polizia rimase a lungo a presidiare i centri interessati e quindi, per riflesso,
il movimento giacobino nei paesi anseatici non ebbe modo di svilupparsi. Il 7 maggio 1800 i «Signori del Regimento»
di Bagnara deposero di fronte al Notaio La Piana (ASR, Notai, Fondo La Piana, Bagnara, fascio 142,f. 81) per
confermare l’operato di D.Franco Carbone a fianco dell’Uditore Angelo Di Fiore per la cattura dei cospiratori. Il 2
settembre 1798, confermavano i Bagnaroti, Carbone e Di Fiore operarono l’arresto del cav. D. Saverio Melissari e altri
congiurati, accusati dell’omicidio del Governatore Pinelli e nel dicembre 1798 arrestarono circa 60 fra reggini e
provinciali. Nel gennaio 1799 infine, Carbone arrestò D.Rocco e D.Cirillo Minasi, nipoti del Padre Antonio Minasi e
suoi amici. I testificanti erano stati i Bagnaroti: D.Giacomo Denaro, D.Domenicantonio Messina, magnifico Gianni
Spoleti, D. Peppino M. Parisio, D. Pascalino Morabito quondam Stefano, D. Vincenzo Romano, Dr. D. Franco Versace,
D. Domenicantonio Vitetta, Dr. D. Gianni Lucisani, magnifico Vincenzino De Maio, mastro Letterio Carpanzano e
mastro Rocco Coletta. Giudice ai Contratti era il magnifico Felice Sciglitano e testimoni D. Mimmo Sciplini, fabbro
Mico Modafferi, D. Totò M. Parisio. (G.CINGARI, Giacobini … , cit., pp. 357/9).
12
N.NICOLINI, La spedizione punitiva di Latouche-Tréville, Le Monnier ed., Fi. S.d. Nel marzo 1794 Donato Francillo,
approfittando di qualche parola di troppo che Vincenzo Vitaliani s’era lasciata scappare al caffè ove egli operava,
tradiva un Club napoletano nel quale si stava mettendo a punto l’incendio dell’Arsenale e delle Dogane di Napoli quale
segnale d’inizio di una sollevazione contro le istituzioni monarchiche. La Giunta di Stato guidata dal cav. Dé Medici
individuò il covo ma nell’irruzione non vennero trovate armi e piani sovversivi. Tuttavia nel corso di una grande
inchiesta che seguì all’operazione di polizia, la Giunta condannò 70 persone con l’accusa di partecipazione a «Clubs»
giacobinicol desiderio di erigersi a riformatori dello Stato napolitano. Il primo a cadere fu Tommaso Amato da
Messina, un pazzo che aveva imprecato contro Dio nella Chiesa del Carmine. Fu giustiziato il 17.5.1794. Tre i giovani
condannati a morte: Vincenzo Vitaliano di 22 anni, Emmanuele De Deo di 20 anni, Vincenzo Galiano di 19 anni. Tutti
gli altri furono deportati alle isole. Di loro tornarono liberi solo in 11. La notizia fece il giro d’Europa per la numerosità
dei condannati e la giovane età dei cospiratori. Durante l’esecuzione di Galiano, si verificarono tafferugli per le vie
attigue al patibolo e la truppa fece fuoco sulla gente. Le delazioni e le indagini si moltiplicarono coinvolgendo noti
esponenti della politica napoletana (F.GALLO, La Rivoluzione Napoletana del 1799, Pellegrini, CS. S.d., p. 249) fra i
quali, lo stesso Dé Medici, Mario Pagano e Andrea Mazzitelli. L’illuminista calabrese stava dando alle stampe il saggio
Corso teorico pratico di Nautica e frequentava la casa di Ignazio Ciaia in compagnia di giovani sospetti. Mazzitelli era
figlio di Donna Vincenzina, sorella dell’abate Antonio Jerocades e di Don Cecé, grande produttore d’olio fra Parghelia
e Tropea. Navigò intorno al mondo per anni e infine pubblicò il suo Corso teorico-pratico di nautica, posto in un
novello facilissimo metodo(Tip. Ramondini, Na. 1795). A Palermo veniva scoperta una congiura di un «club»
frequentato dall’avv. Francesco Di Blasi, il Barone Porcaro e il capomastro Patricola. L’obiettivo della congiura era un
sanguinoso attentato da compiersi la sera del Venerdì Santo, durante la processione, contro il Sacro Consiglio Siciliano.
Le campane avrebbero suonato a stormo dando il segnale della rivolta filo-repubblicana. Traditi da un pentito, molti
furono gli arrestati e alcuni, fra i quali Di Blasi, giustiziati. La pena minima per i non condannati a morte fu i lavori
forzati alle isole. Si salvò solo il Barone Porcaro riuscendo a fuggire alcuni istanti prima dell’arresto.
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La popolazione muore di malattie o emigra e questa è conseguenza dei terremoti del 1783 e del
1794. Scarsi gli ospedali e abbondanti gli «esposti». Il popolo vive nell’ignoranza, malcostume,
irreligione e fanatismo.
La Calabria era in «procinto di perdersi» e di «divenire insufficiente a sé stessa e gravosa allo
Stato»13
Concetti che ingombravano i pensieri della Corte, concatenati ai resoconti di Roccantonio
Caracciolo, sul quale il Re aveva contato moltissimo, sostenendolo nelle iniziative industriali a Villa
San Giovanni contro il potere baronale capitanato dalla Gran Casa di Bagnara, che voleva
affossarne l’attività.14
Documento
del
1789
che
dimostra il profondo attaccamento
della Famiglia Versace alla Gran
Casa Ducale di Bagnara
(Biblioteca privata dell’Autore)
Il Volgo, accusava Caracciolo, si nasconde, per non faticare, dietro le «novità» che per loro sono temibili
e preferisce avere dal padrone quel poco che si ha impegnandosi poco, sicché il padrone stesso può
continuare a dominare per mancanza di novità che lo possano “turbare”.
Cu patri e cu patruni s’avìa sempri tortu e mai raggiuni
secondo la tradizione che
13
G.MARULLI, Ragguagli storici sul Regno delle Due Sicilie dall’epoca della francese rivolta fino al 1815, vol. I°
(1789-1799), L. Jaccarino ed., Na. 1845, p. 27.
14
R.C.CARACCIOLO, Le filande di seta del passato anno 1794 delle Reali Scuole di Villa Sangiovanni, Na. 1795
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L’Antichi ficiru i fatti e dassaru i ditti
In un concetto di staticità, di senso del tempo fermo e inamovibile.
Il sistema della fabbrica, con l’orario di lavoro e i turni, l’assunzione selettiva e i piani di produzione,
Lord Orazio Nelson
provocò in effetti la saldatura fra il fronte dei vecchi produttori, i baroni e i borghesi, tutti terrorizzati
dallo spopolamento delle campagne a causa di quel “vile” di Caracciolo
.Il Re all’epoca stava coi riformatori e aveva fatto costituire a Napoli una scuola pregna
d’Illuminismo.15 Si mise in contrasto perfino con la Gran Casa di Bagnara. Bloccare il progresso
endogeno, significava favorire i “novatori” che s’ispiravano “ai giacobbini di Francia” per
distruggere gli interessi popolari. Concesse a Caracciolo finanziamenti e agevolazioni.
In breve le cose erano mutate e in quel gennaio 1799, in una Palermo brulicante di profughi, la
Corte guardava con ansia alla Calabria. I fatti erano: la Rivoluzione che avanzava in Calabria con
solo quattro Paesi che restavano col Re: Reggio (piena però di fermenti patriottici), Scilla, Bagnara
e Palmi (sul limitare di una Piana ove Monteleone repubblicana cominciava ad esercitare forte
influenza) e il Padre Minasi che con un manipolo di volontari armati alla meglio, s’era arroccato a
San Domenico di Soriano alzando sul tetto del Monastero la bandiera borbonica colle insegne di
Napoli e Sicilia.16
Tutti gli armamenti erano stati mandati sul Continente e l’Isola pareva indifesa e soprattutto
Messina, governata dal Generale D.Giovanni Danero, anziano militare del Re, circondato da gente
corrotta e inaffidabile, pareva debole, esposta alla “seduzione” rivoluzionaria raccontata dai
marinai del porto. La Regina era terrorizzata dall’idea di perdere Messina “dall’interno” per colpa di
Danero e continuava a ripetere ch’era un debole, incapace di tenere in pugno la situazione sociale
della Città dello Stretto.17
Su Lord Acton si facevano pressioni da parte di Ministri e Consiglieri, tutti convinti che la perdita
delle zone anseatiche calabresi del Canale, avrebbe significato la rivolta di Messina, una
circostanza che avrebbe spazzato l’ultima resistenza borbonica nel Mediterraneo mettendo in crisi
il sistema difensivo marittimo britannico e, dunque, aprendo una falla per la Coalizione europea
15
Si trattava della Fabbrica-Villaggio di San Leucio
J.A.Von HELFERT, Fabrizio Ruffo. Rivoluzione e controrivoluzione di Napoli dal novembre 1798 all’agosto 1799,
Loescher & Seeber ed., FI. 1885, pg. 68
17
HELFERT, F.R., cit. pg. 98; MALASPINA, 69
16
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Anno I– nr. 1/Giugno 2011
antifrancese.
ancese. Se erano bastati 8.000 Francesi
Francesi per prendere Napoli, scriveva la Regi
Regina Maria
Carolina a Vienna, 1.000 sarebbero bastati per la Sicilia! 18
Lord Acton era tranquillo: la perdita della Bassa Calabria non era possibile perché l’Uditore Angelo
Di Fiore la teneva
eneva in pugno dopo la congiura
Logoteta e comunque la sua perdita sareb
sarebbe stata
ininfluente per la Sicilia perché la flotta inglese e le
guarnigioni incasermate a Palermo, Messina e
Agrigento, avrebbero saputo arginare la spinta
rivoluzionaria fermandola sul Canale. Per questo
aveva in precedenza concesso alla flotta di Sua
Maestà,
aestà, in crociera verso l’Egitto per affrontare la
flotta francese, le basi logistiche di Siracusa,
Trapani e Catania, ancorché fosse stato firmato un
patto di non aggressione fra il Regno di Napoli e la
Francia.
L’utilizzo delle basi siciliane, consentì alla flotta di
Sua Maestà di dotarsi di quanto necessario per
dare battaglia a Bonaparte in posizione di
vantaggio e vincerlo ad Abukir.
A Messina si trovavano all’ancora 2 vascelli di
linea, 4 fregate, 4 corvette e molti trasporti armati
e fra Palermo e Messina il Governo aveva
schierato 4.000 effettivi, 10.000 reclutabili e
26.000 inquadrati nella Milizia. Eppoi: il popolo
siciliano avrebbe saputo compattarsi attorno al Re
per fronteggiare un grande nemico. Si trattava
dunque, per Lord Nelson, di gestir
gestire le situazioni
contingenti e aveva stilato questo consuntivo
inviandolo a Lord Stuart il 16 febbraio e a
Trowbridge il 18.
Ma l’umore della Corte e soprattutto della Regina,
continuava a peggiorare dopo il fallimento del
piano di fortificazione delle Cal
Calabrie.19
In quei luoghi le forze reali avrebbero dovuto
contrastare i Francesi
rancesi tant’è che Nelson aveva già
20
ordinato al Marchese di Niza di cominciare a incrociare sul Canale in assetto da battaglia. Le
cannoniere avrebbero dovuto sostenere l’Esercito di Mack, ma il Generale austriaco, frustrato dalla
18
La lettera è del 28 gennaio 1799, cioè di tre giorni dopo la partenza del Cardinale Ruffo da Palermo per Messina da
dove sarebbe cominciata l’avventura per il riacquisto del Regno (HELFERT,
(H
F.R. …,, cit. pg. 96).
19
D. Tommaso Firrao Principe di Luzzi,
Luzzi aveva tentato di infondere fiducia alla Corte, giunta
nta a Palermo con un forte
stato di afflizione. La Squadra del Vanguard, al comando di Lord O. Nelson, aveva imbarcato la famiglia reale e i
membri principali del Governo e il 23 dicembre 1798 aveva salpato le ancore in direzione di Palermo. Dopo Capri si
scatenò una furiosa tempesta. Tutta la Corte mantenne un contegno dignitoso escluso Lord Hamilton che continuava a
ripetere alla moglie Emma: «piuttosto
piuttosto che morire col glo glo dell’acqua salata nella gola, come vedo andar giù il
bastimento mi tiro» posando le mani sulle pistole
pisto appese alla cintola. A causa della tempesta, la flotta si disperse
giungendo poi a Palermo alla spicciolata. Senza mezzi e suppellettili, la Corte a Palermo si sentì isolata, abbandonata da
ministri e dignitari. Molti funzionari del seguito reale poi, avevano già da subito manifestato l’idea di rientrare a Napoli,
seguendo gli umori dell’Ammiraglio Caracciolo, offeso perché il Re non s’era imbarcato sul vascello di Napoli da lui
comandato e perché, a mezza traversata, il Re decise di far trasbordare il carico reale dalla sua nave al Vanguard. Lo
confidava Maria Carolina al Cardinale Ruffo in una lettera dell’8 maggio 1799 (B.MARESCA, Carteggio della Regina
Maria Carolina col Cardinale Fabrizio Ruffo nel 1799,
1799 ASPN, a. V (1880), fasc. III,
II, pg. 558). Eppoi l’Aristocrazia
siciliana non vedeva di buon occhio quell’invasione partenopea, gelosa com’era delle proprie prerogative e pervasa di
una certa aria di superiorità intellettuale oltreché politica (HELFERT, F.R….,cit., pg. 85)
20
Il marchese
se di Niza aveva dato l’ordine alla flotta portoghese di incendiare la potente flotta Napoletana all’ancora
nella rada di Napoli perché non poté seguire in Re in fuga in Sicilia, per mancanza di equipaggi (sbarcavano durante la
stagione invernale)
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Anno I– nr. 1/Giugno 2011
catastrofe romana, era scomparso dopo
l’armistizio di Sparanise e si seppe che s’era
rifugiato presso il campo francese!
Tommaso Firrao Principe di Luzzi, non s’era
dato per vinto e pensò di porre un “uomo
d’ordine” in Calabria che, sotto gli ordini del
Maresciallo Pignatelli, organizzasse la
resistenza armata. Prese contatto col
Marchese Spinelli
nelli di Fuscaldo, personalità
che in Calabria godeva di appoggi e molta
influenza. Avrebbe ricevuta la nomina di
Vicario del Re e, con i mezzi resi disponibili
da Napoli, avrebbe iniziato la sua opera. Il
Marchese s’era recato da Pignatelli per
chiedere i mezzi finanziari e materiali per
l’operazione, trovandosi di fronte un
inaspettato rifiuto. Pignatelli si dichiarò
all’oscuro del “piano” e non giudicò di dover
procedere oltre.21
Non bisognava comunque consentire che le
circostanze
avverse
che
parevano
moltiplicarsi,
ltiplicarsi, tenessero la Corte sot
sotto scacco.
L’afflizione della Famiglia
amiglia Reale e del
Corteggio, stava aumentando. Il Principe di
Luzzi se n’era accorto quando, unitamente al
Marchese D. Filippo Malaspina, il 25
dicembre 1798 s’era recato a bordo
dell’ammiraglia
raglia inglese per ossequiare il Re.
E poiché la tempesta aveva messo in ri
ritardo
le navi da trasporto, la F
Famiglia Reale non
era nelle possibilità di acquartierarsi a
Palazzo Reale perché mancante di qualsiasi
conforto. Sicché il Principe di Luzzi la ospit
ospitò
nel Palazzo del Viceré, accolta da D. Girolamo Ruffo, aiutante vicereale a Palermo, uomo attivo e
tenace. Il Re lo prese a benvolere ammirandone la capacità di risolvere problemi anche complessi
con tatto e maestria.22 Eppoi all’interno della Corte non tutto
tutto procedeva serenamente. Si facevano
frequenti gli screzi fra il Primo Ministro del Re, Lord Acton e il Cardinale di Bagnara D.Fabrizio
Ruffo & Colonna dei Duchi di Baranello che, unitamente al fratello Frà Francesco Ruffo (detto “Don
Ciccio”) aveva seguito
ito la Corte nell’esilio. E questi screzi erano talmente forti che il Lord, non
abituato a vedersi contraddetto, senza che per questo l’avversario subisse cocenti conseguenze,
aveva meditato di ritirarsi dal Governo.23
Nelson continuava a mostrarsi tranquillo
tranquillo e aveva ragione: il 20 gennaio una nave getterà l’ancora
presso Augusta per sbarcare 140 militari francesi in viaggio dall’Egitto e bisognosi di riposo e
soprattutto di essere medicati. Verranno aggrediti dalle popolazioni limitrofe che ne ammazzeranno
87 mentre gli altri scamperanno sulla nave e fuggiranno.24Ma alla fine, dovette in quel momento
convenire che la situazione stava precipitando. Non si sarebbero avuti più gli appoggi dai realisti
21
Marchese
se FILIPPO MALASPINA, Occupazione dé Francesi del Regno di Napoli dell’anno 1799, invasione del
Regno nel 1806, e l’impresa intrapresa dal Cardinale Don Fabrizio Ruffo di Baranello di cacciare i francesi dal Regno
di Napoli, di cui l’Autore di questo scritto,
scritto, marchese Filippo Malaspina, fu l’Ajutante Reale di detto Cardinale
Cardinale, Stamp.
Orientale di Dondey-Dupré,
Dupré, Parigi 1846, pg. 67
22
Abate DOMENICO SACCHINELLI, Memorie storiche sulla vita del Cardinale Fabrizio Ruffo, scritte dall
dall’Ab. D.S.
già Segretario di quel
el Porporato con osservazioni sulle opere di Coco, di Botta e di Colletta, volume unico
unico, tip. Carlo
Cataneo, NA. 1836, pg. 65.
23
R.PALUMBO, Carteggio di Maria Carolina con Lady E.Hamilton,
E.Hamilton, Jovene ed., NA. 1887, pg. 189.
24
HELFERT, F.R. … cit., pg. 82
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Anno I– nr. 1/Giugno 2011
continentali, Messina era debole per
resistere a un eventuale attacco o a una
sommossa repubblicana e la Piazza di
Reggio non garantiva più una protezione
certa.
Si: la Calabria era persa!
Fu così che il Marchese di Niza ricevette
l’ordine di far salpare un vascello di linea.
Si sarebbe recato da Messina a Palermo
per imbarcare 500 effettivi di fanteria e
acquartierarli nel forte di Messina mentre la
squadra portoghese avrebbe aumentato la
frequenza delle crociere lungo il Canale.
Richiamò la squadra del Commodoro
Thomas Trowbridge che incrociava alle
foci del Nilo affinché si ponesse a presidio
del Tirreno meridionale. Scrisse infine a
Lord G.L.Stuart affinché da Minorca
facesse giungere a Messina della fanteria
di mare per il rinforzo del forte.
Mentre ciò avveniva, si affinavano i piani
per mettere in salvo la Famiglia Reale nel
caso di un attacco della flotta francospagnola o di una rivolta popolare.
I figli piccoli della Regina, si sarebbero
imbarcati per raggiungere Vienna, accolti
dai
Salesiani
del
Convento
della
Visitazione; il Principe Leopoldo, il Re e la
Regina sarebbero stati condotti a
Costantinopoli, ospiti della Sublime Porta,
in attesa di una destinazione definitiva.25
4.- I PIANI DI DIFESA DEL REGNO: IL RUOLO DI DON PASQUALE VERSACE
Le staffette con la Piazza di Reggio erano divenute frequenti in quei giorni di ansia; Angelo Di
Fiore garantiva la rimessa degli ordini ai comandanti dei presidi della Costa, primo fra tutti il
Tenente Francesco Carbone26 che da Scilla si manteneva in contatto, a Bagnara, con Don
Pasquale Versace e il Notaio Fedele27. Don Pascalino era un facoltoso commerciante del Canale,
di quelli che avevano passato la vita a fare soldi vendendo i prodotti di terra e boschi ai mercanti
25
HELFERT, F.R. … cit., pg. 98-101
Francesco Carbone era del 1762 e fin da giovanissimo si era arruolato nelle milizie provinciali dichiarando fedeltà al
Re. Dopo aver sposato una Ruffo-Scilla,nel 1799 aveva raggiunto maturità militare e sapienza di comando, mettendosi a
capo del movimento insorgentista dello Stretto.
27
Il Notaio Fedele fu uno dei massimi collaboratori dell’Uditore Di Fiore e di Carbone nella repressione delle congiure
antiborboniche a Reggio, Palmi e nella Piana. L’attività di Notaio gli consentiva di conoscere fatti e uomini della
Provincia e di raccogliere confidenze in cambio di favori. Un essere estremamente reazionario e non certamente un
“patriota” il Notaio, discendente d antica famiglia che nel 1581 espresse un Abate capo-Clan, capace di condizionare la
giustizia e costringere scomodi testimoni a ritrattare accuse eclatanti: omosessualità e corruzione diffusa nella gestione
dei beni della reale Abbazia Normanna di Bagnara. (cfr.: TITO PUNTILLO-ENZO BARILA’, Civiltà dello Stretto.
Politica, economia, società dello Stretto di Messina dalle origini al XVIII secolo, Periferia ed., CS. 1993, pg. 71). Alla
fine del Cinquecento era attivo a Bagnara il Magnifico D.Fabio Fedele, mercante di seta di “masseria”, in lite con gli
altri mercanti locali per l’attività di esportazione. Il 19 settembre 1617 D. Fabio sgabellava 20 libbre di seta di masseria
e faceva parte dei “potenti” di Bagnara. Al tempo della causa contro i Domenicani, la famiglia Fedele era
organicamente inserita nel ceto nobile di Bagnara e conduceva in prima fila la competizione per la conquista del
comando della Chiesa Abbaziale in nome del Re (cfr.: T.PUNTILLO-E.BARILA’, Civiltà … , cit., passim).
26
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QUADERNI BAGNARESI
Anno I– nr. 1/Giugno 2011
forestieri e non pensando di reinvestire per il
potenziamento delle strutture produttive.
Destinava il ricavato all’acquisto di beni
immobili, soprattutto terre e case.
Don Pascalino aveva faticato a farsi
“accettare” dai subalterni. Affittava i campi e
pretendeva che il prodotto fosse diviso a metà.
I contadini di Pellegrina e Bagnara non
avevano la forza per risistemare i campi,
mancando del denaro da anticipare per le
sementi, la manutenzione stagionale e la
coltivazione.
Don Pascalino anticipava il contante, nel
momento in cui il seminativo aveva il prezzo di
mercato più alto, e chiedeva la restituzione
delle anticipazioni nel momento in cui il
prodotto, al tempo della raccolta, aveva il
prezzo di mercato più basso. Così i terrazzani
“dipendevano” dal padrone che li teneva sotto
pressione a mezzo di massari e caporali.
Don Pascalino avvertiva che fra la sua
posizione e l’idea che i terrazzani e il Paese
avevano di lui, c’era un abisso. Non era come
nelle campagne del Nord, dove fra padrone e
contadino esisteva un rapporto che somigliava
a quello che in seguito sarà basato sul salario,
sulla gerarchia verticale implicitamente riconosciuta (il padrone è datore di lavoro e il contadino
offre una prestazione e prende un salario) nel contesto “aziendale” che legava la sorte del
dipendente al dirigente e viceversa. Qui c’era la cessione di parte del prodotto e il pagamento di un
affitto. Insomma il rapporto era “distaccato” e non vi era contesto che unisse i due termini sociali.
Ecco dunque l’idea di tentare l’ascesa a una carica pubblica che desse il carisma mancante al
personaggio affermatosi nel mondo della finanza e del commercio.
Nelle comunità calabresi periferia del mondo, l’aggregante era stata sempre la Chiesa.
Il parroco era il confessore, benediceva, assolveva, aiutava, pregava per i campi e i lavoratori,
intercedeva coi Santi. Nella Chiesa del Paese, si poteva trovare conforto e il modo di rendere i
doveri a Dio. La Madonna era come la mamma: si dispiaceva perché comprendeva e quindi
perdonava e aiutava. Se Dio faceva sentire l’ira contro i mali del mondo, la Mamma Celeste era
una carezza e, soprattutto con San Rocco, intercedevano con Dio, facendo appello proprio al
dolore della Mamma che soffrì per il Figlio Crocifisso.
Attorno alla scena della Crocifissione, la gente del Sud consegnava alla Madonna Addolorata la
propria vita durissima e ai suoi piedi, anzi come amano dire le donne del Sud, sotto il Suo Manto,
deponevano le sofferenze e le ansie. Col tempo questa aggregazione di gente socialmente diversa
aveva preso consistenza sino a divenire forza pensante. Se ne accorsero per primi i Domenicani
che ebbero l’idea di riprendere il concetto di Congrega di arti e mestieri del medioevo signorile,
dandole contenuto squisitamente religioso: la Fraternità fra persone diverse, unite dall’unica fede
cattolica e votate verso la figura della Vergine Benedetta. Nel Suo Nome questa aggregazione si
sarebbe mossa per darsi aiuto e conforto. Così erano nate le Confraternite che, in mancanza di un
potere civile organizzato, efficiente ed efficace, di una giustizia non corrotta e di uno Stato sociale
presente in modo capillare nelle comunità del Sud, era divenuta l’istituzione ove si mediavano le
liti, si trovava sostegno e aiuto concreto, si riusciva a parlare, dialogare con gli altri “colleghi” e con
coloro che esercitavano arti e mestieri, scambiando esperienze, concludendo contratti, formando
spontanee “società” che affidavano i prodotti ai padron di barca per il commercio marittimo.
Qualche facoltoso in punto di morte lasciava alla Madonna i suoi beni, qualche altro donava
corone d’oro, calici tempestati di pietre preziose e monili di egregia fattura e qualche altro
provvedeva a fare decorare le Chiese con sfarzo. Le Confraternite divennero nel volgere di un
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QUADERNI BAGNARESI
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secolo, potenti e decisive nella conduzione della vita sociale ed economica di una cittadina come
Bagnara.
La carica di Priore di una Confraternità, per uno come Don
Pascalino Versace, era di vitale importanza; significava
ricevere il riconoscimento di capo carismatico, emblema
che mancava nel normale rapporto di lavoro. E dietro tale
carica, stava lo stuolo degli “Eletti”: primo e secondo
assistente, tesoriere o elemosiniere, ecc.
Per uno strano gioco del destino, le due grandi
Confraternite di Bagnara erano in mano a consorterie di
diversa estrazione economica e sociale.
Quella del Carmine era il riflesso della parte nobiliare del
Paese; annoverava esponenti del mondo agricololatifondista, capeggiati dalla Gran Casa Ducale. In essa si
riconoscevano i mastri che avevano una potecha e i
professionisti (notai, avvocati, medici). La Confraternità
aveva un atteggiamento conservativo, basato sulla
tradizione e la tutela di usi e costumi.
Quella del Rosario era il riflesso della società mercantile
del Paese: i grandi commercianti dei prodotti agricoli, della
lavorazione del legno e della pesca. La mentalità era
anche qui di tipo conservativo, ma si notava un nucleo di
persone che guardavano la realtà con atteggiamento
prudentemente speculativo, si interrogavano sul cosa e sul
come e prestavano orecchio curioso ai messaggi che
l’Illuminismo stava lanciando in Europa.
Fra le due potenti Confraternite, stava un’organizzazione che sembrava defilata e in realtà aveva
consociato la potente casta dei massari e dei mannesi e la società contadina di Purello. 28 I suoi
riflessi giungevano fino a Pellegrina, formando alleanza con la Congregazione Montana di Maria
Santissima Annunziata e con i boscaioli dell’antichissimo passo di Solano, padroni dell’immenso
bosco, da loro gestito in nome e per conto del Duca di Bagnara. Era la Confraternità di Maria
Immacolata, potentissima per struttura organizzativa, totalizzante di lavoratori che erano la
struttura portante del Paese. Accanto alla Confraternità, era sorta la Congregazionedell’Ecce
Homo che riuniva le donne contadine del circondario. In quanto associazione femminile, riceveva
lasciti anche enormi divenendo l’Ente finanziario di Bagnara più potente e influente.
Una notazione particolare merita la Comunità di Pellegrina, che nel 1799 era depositaria di
un’attività antichissima che sempre la tenne a contatto con gente di varia estrazione e censo.
Infatti Pellegrina fu intorno al Mille (e quindi prima degli insediamenti Normanni sulla costa che
diedero origine, intorno al 1050-1060 al villaggio militare di Balnearia) una stazione intermedia di
transito e cambio di cavalli, attrezzata soprattutto per assistere i pellegrini che provenendo da
Reggio, porto di sbarco delle rotte medio-orientali, risalivano la Penisola per recarsi a Roma.
Attorno alla stazione di sosta, sorse col tempo un minuscolo villaggio di pastori e allevatori che
successivamente si sviluppò fino a divenire, intorno al 1780, un florido territorio d’allevamento per
28
I massari avevano la loro grande festa il 3 febbraio con un pellegrinaggio alla chiesa di San Biagio a Plaesano, vicino
Galatro (ora frazione di Feroleto della Chiesa). Migliaia di contadini e massari da Bagnara, Oppido, Palmi, Seminara,
Gioia, Polistena e Rosarno, giungevano con carri trainati da buoi e prima di entrare in chiesa, compivano l’antico rito
dei tre giri attorno all’edificio. Poi entravano in chiesa portando un pugno di cereali per farli benedire. Li avrebbero poi
mescolati con le altre sementi prima della semina. Portavano anche un frammento di tegola che mettevano a contatto
colla statua del Santo. Quindi avvolgevano il frammento con stoffa. Sarebbe servito per applicarlo sul ventre dei
bambini in caso di mal di pancia poiché San Biagio è il Santo taumaturgo che toglie i dolori al ventre. Il frammento di
tegola, prima del 1783, era un mattone intero. Dopo il terremoto tutto fu macerie e allora i contadini anche per ricordare
la loro condizione miserevole durante quei giorni terribili, sostituirono il mattone col frammento, detto «straku»
(U.DITO, Tre giri ed è subito festa, Gazzetta del Sud, 1.II.1987). Notevole la somiglianza coll’albero di Bisignano, una
vecchia quercia al rione Pisano, sotto la quale si disputavano contratti e patti, si risolvevano liti e si celebravano
matrimoni. I Candidati giravano con i parenti tre volte attorno alla quercia e dopo tutti li riconoscevano sposati
(G.GALLO, Cronistoria della Città di Bisognano, Brenner ed., Cs. 1989).
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le pecore d’angora, sulla scia di quanto stava operando in agro di Seminara un grandissimo
illuminista delle nostre parti: il Marchese Domenico Grimaldi.
A capo della Confraternità dell’Immacolata, stava Don Pascalino che, così, si era reso pari a
Sciplino, Parisio, De Leo ecc.
Don Pascalino era dunque uno di quelli che guardava alla Rivoluzione Partenopea, alle idee
illuministiche, alle innovazioni e alla democratizzazione delle strutture sociali, con avversione. Non
faceva parte della fazione reazionaria dell’aristocrazia e dell’emergente borghesia calabrese, che
s’inquadrava nel ventaglio costituito da: potere assoluto, avversione alle leggi dello Stato limitanti
la sfera d’azione illegale dei singoli, egoismo e tornacontismo, mancanza di rispetto per la dignità
degli altri, assenza di senso dell’onore nei rapporti commerciali, brutalità verso i sottostanti e
vigliaccheria verso i sovrastanti, mancanza di senso del sociale e comunitario, amore per il denaro,
pedanteria concettuale sul significato della proprietà, odio verso le innovazioni perché pericolose
della supremazia propria. Don Pascalino si riconosceva in parte nel quadro reazionario cennato.
Era un conservatore che credeva nelle istituzioni monarchiche e amava la Patria con dedizione
assoluta. I molti come lui, sintetizzavano la situazione in concetti pratici:
a) la Rivoluzione Francese aveva abolito le Congregazioni e le stava combattendo in Italia per
distruggere la Fede, la Monarchia, le famiglie e la proprietà.
b) Qualsiasi modifica all’esistenze struttura sociale-organizzativa-economica della Cittadina
anseatica, avrebbe compromesso il governo della cosa pubblica e i ruoli che le Élite del
Paese detenevano per il buon funzionamento delle istituzioni e la “quiete sociale”.
Nel pensiero del borghese meridionale “moderato” dunque, la Società doveva rimanere quella che
era perché così non si sarebbero scalfiti i meccanismi che a Don Pascalino e a quelli come lui,
garantivano il flusso della rendita parassita derivante dallo sfruttamento contadino sui campi
(prelevamento della ricchezza prodotta e nessun investimento per migliorare la produzione).
Siccome c’era il pericolo che qualche esponente d’alto rango rischiasse di rimanere “stordito” dalle
nuove idee facendo attecchire il seme della Rivoluzione in un Paese tranquillo e sereno, bisognava
intervenire con operazioni di prevenzione. Ma anche qui la differenza: mentre la parte reazionaria
valutava di poter approfittare della situazione per mettere in atto iniziative atte a eliminare qualche
concorrente nell’attività commerciale, la parte moderata che si riconosceva in una specie di “fronte
patriottico” invocava l’associazione di tutte le forze produttive intorno alla difesa dei commerci e
delle istituzioni che ne tutelavano vita e procedure.
Ma com’era formata la sfera sociale che interagiva colle diverse
sfaccettature del “galantuomo borghese”?
Il contadino s’era abituato «ab immemorabile», a vivere per la
terra senza strumenti e tecniche moderne e la possibilità di
commerciare in un mercato libero, regolato da leggi pubbliche. Il
mondo del contadino era un ammasso di istinti, superstizione,
paura. Non c’era traccia di “ragione ragionante”, riflessione
interpretativa su cosa accadeva intorno, sicché tutto diveniva
refrattario.
Se si contravvenivano le regole dettate da un comportamento
secolare che riconosceva esclusivamente usi e costumi accettati
e immodificabili, valevano le punizioni dettate dal contesto e non
dalle leggi dello Stato.
Era impossibile interagire socialmente con questa parte della
società meridionale senza compromessi; raramente si potevano
Francesco Spoleti nel 1906
trovare confluenze nelle pratiche religiose e nelle ritualità
pubbliche.
Nel 1900 Francesco Spoleti pubblicò un piccolo e prezioso saggio col quale descriveva la società
bagnarota d’inizio secolo. Scrisse, su Solano, pagine che dimostrano come, dal 1799 al 1900 e al
2011, poco sia cambiato nella struttura sociale aspromontana.29
29
FRANCESCO SPOLETI, Un anno in Provincia. Profili e note calabresi, tip. Pierro e Veraldi, NA. 1900, da pg. 6.
Spoleti appartenne a una delle grandi famiglie di Bagnara. Letterato illustre nella Roma che contava, frequentò i
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Solano è sottoposto ad Aspromonte come un vassallo al suo principe, si stende ai suoi piedi, umile,
raccolto, quasi avvilito, a ridosso di una collinetta brulla, da cui ha principio l’ascensione. Le case
basse, povere, affumicate, sono appollaiate come un branco di pecore, via per l’erta scoscesa, e si
confondono insieme in un viluppo di fabbrica, d’erba e di fumo, come si tenessero l’una con l’altra
fra cento poderose unghie rapaci.
Il delitto qui, posa tragico, severo, come lo stesso protettore. Il delitto di sangue in questo borgo ha
una nota alta di passione e di brutalità che spaventa (…) Vita economica, vita spirituale si nutrono
di questa forma di diritto e di rivendicazione (…) A Solano non si fa male senza attendersi di aver
peggio e prevederlo ed aspettarlo con tutta la percorrenza del pensiero. Chi offende dev’esser
offeso, essenzialmente, unicamente (…) Un colpo di fucile alle spalle e la persona cade nel suo
stesso sangue.
Chi dev’esser ucciso, perché segnato nel libro nero della vendetta sociale, non può, non deve
vedere il suo carnefice negli occhi.
Egli deve morire semplicemente, e morire per davvero. La siepe è la mannaia di questo piccolo
stato selvaggio che sorge a Solano, senza scuole, senza codici, senza tribunali; una consuetudine ha
soverchiato ogni altra efficacia di diritto; le persone che si vogliono male si sottraggono e senza
reazione. (…) La siepe, oltre che assicura il colpo dell’assassino, elimina completamente qualsiasi
principio di prova (…) Il testimone è abolito e perseguitato a Solano come l’infamia (…) Non è
famiglia a Solano che non abbia avuto qualche uccisore o qualche ucciso tra i parenti ed ognuno
privatamente non abbia saldato il suo piccolo conto corrente con l’autorità giudiziaria (…) Certo è
che molti credono per questo, vile la gente di Solano, e l’accusano di tradimento (…) ma io oramai
che di questa gente posso dare l’impronta, io non mi stancherò dal dire che l’uomo di Solano è un
uomo di coraggio, e se uccide alle spalle non lo fa per sfuggire alla lotta ed alle incertezze d’un
cimento, ma unicamente per non fallire il bersaglio e per farla franca col potere giudiziario (…)
L’ultimo giorno che lasciai Solano e quindi l’Aspromonte fu un giorno di nebbia fitta (…)
Forestali sparve nella nebbia come il torto di Pallavicini nella storia del nostro Risorgimento.
Solano s’allontanò lugubre nella vallata
Del resto, il rapporto colla giustizia a Bagnara era rimasto invariato nel tempo, come canta
una bella, vecchia e dimenticata filastrocca popolare di Pellegrina:30
migliori salotti ove si svolgeva la vita intellettuale della Capitale e lui stesso fu autore raffinato e sensibile. Al contrario
del Senatore Morello, anch’egli originario di Bagnara, giornalista illustre quanto, alla fine, incoerente e borioso, capace
di farsi rifiutare da Bagnara che alla fine odiò fino alla morte, avvenuta fra l’indifferenza generale, di tutti i ceti, della
città natia, Francesco Spoleti amò Bagnara con sentimenti intensi e si prodigò con scritti e manifestazioni concrete, per
sollevarne le sorti.
30
F.SPOLETI, La canzone del Popolo, in: “Un anno …“ cit. pg. 53. Ecco una sintesi della descrizione di Pellegrina
(ivi, da pg. 64):
Si lavora quassù febbrilmente, dal mattino alla sera, senza nemmanco parlare, con la prudenza, la sagacità, la
sottomissione propria degli schiavi. E si lavora proficuamente, perché sull’opera fatta non si torna indietro,
Né questa presenta mai i vizi del lavoro fatto in malafede, o con l’animo d’illudere semplicemente chi paga.
Quelle fronti chine sul lavoro pesante non si sollevano più prima che la giornata finisca (…) tanto rigido e
austero è il rispetto e il silenzio che accompagna i movimenti dei lavoratori. Però per quanto sono pazienti e
rassegnati al lavoro, per altrettanto sdegnosi ed intolleranti si dimostrano di ogni abuso e violenza che loro si
vuol fare. Come sono devoti ed ossequianti alla legge nel fine della morale e della giustizia, così sono terribili
e ribelli anche contro la legge stessa, quando un criterio d’immoralità (…) si ritorce contro di loro. Buoni se
amano, più buoni se credono, assolutamente fermi e incrollabili se giurano. Ma se negano, e non vogliono o
non possono giurare, se odiano e si ricredono perché non possono più amare, allora lo sdegno e l’odio e tutti i
mali sentimenti di cui è capace una natura costantemente buona, si svegliano (…) Famiglie intere, fecondano
odi ereditari e trasmettendoseli di padre in figlio, si estinsero completamente (…) Quale impulso li spinge al
sangue?(…) A Ceramida e a Pellegrina, come anche a Solano, dove il delitto di sangue purtroppo ha degli
apostoli ferventi e delle cifre desolanti, le ragioni (del delitto) sono da spigolare in tutt’altro campo che nella
solita degenerazione fisica o pervertimento morale (…) Qui proprio come a Solano, il furto è raro, più rara la
grassazione, i danni alla proprietà dolosi, gl’incendi, i reati contro il buon costume (…) Qui due forme di
delitto esplicano la loro rude e funesta attività: l’omicidio e la ribellione agli agenti della forza pubblica. Il
nostro contadino, che tollera il lavoro iniquo, soffre la fame, subisce il monopolio del suo proprietario o
padrone, è intollerante poi del minimo torto dei suoi connaturali, della più semplice offesa che potesse
ricevere il suo amor proprio, o la sua dignità rispetto alla classe a cui appartiene. Egli, che oppone il sistema
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Cu rici c’ò carciri esti rovina
Non sapi c’ò carciri esti nà scola!
Si trasi armatu di ferri e catina
E si nesci picciottu ri parola
5.- DON FABRIZIO RUFFO-BARANELLO, IL TERZO CARDINALE DI BAGNARA
5.1.- STORIA DEL FEUDO DI BARANELLO
Versace si recava frequentemente in Sicilia per
motivi commerciali e a Palermo aveva cominciato
a frequentare il salotto che il Cardinale di
Bagnara Don Fabrizio Ruffo-Baranello teneva nel
palazzo della sorella. Il Cardinale aveva ricevuto
dal Sovrano incarichi soprattutto di collegamento
con Sua Santità, anch’egli schiacciato dalle
truppe francesi.
Fabrizio Ruffo, nato in San Lucido il 16.9.1744,
era figlio di Don Letterio Ruffo & Ruffo, 2°Duca
di Baranello, Principe di Sant’Antimo, Barone di
San Lucido e Patrizio Napoletano.31
Don Letterio era il primo figlio di Don Paolo, 1°
Duca di Baranello, nato a Bagnara il 19/2/1660
(+ a Portici il 15/6/1733) e aveva sposato Donna
Alfonsina, figlia di Don Placido Ruffo, Principe
della
Scaletta
&
Floresta,
Signore
di
Guidomandri, Giampilieri, Molino e Artalia.
L’intestazione del feudo di Baranello fu ottenuta
da Don Paolo per concessione di Don Giuseppe
Ruffo, Principe di Sant’Antimo, Patrizio
Napoletano, Governatore del Monte Manso,
senza eredi.
proprio al sistema degli altri, e la misura della sua logica alla logica sociale, che vede coi suoi occhi, e sente
ed opera come operano e sentono il cervello ed il cuore, spogli di qualunque finzione, liberi di qualsiasi
signoria o freno, mano mano che si scioglie dalle preoccupazioni del mezzo, e mastica e rimorde il motivo
d’offesa, la pillola amara del torto ricevuto, il fucile o il pugnale, la piazza e la siepe sono per lui la stessa
cosa, l’unica cosa, il rimedio estremo. E uccide (…) Qualunque mortificazione postuma (…) sparisce (…) Nino
Sgrò che mi guarda ancora e mi sorride con quell’aria d’asceta, scrolla le spalle e tranquillamente continua a
fumare. Non s’affligge di nulla, non cerca di più. A 75 anni è giovane e sarebbe capace di lottare con un toro.
Però davanti al suo padrone è umile e rassegnato come fosse un fanciullo. Sono tutti così questi figli della
terra. Gli occhi accesi dal sole sfavillano di bontà, la bocca ha il sorriso sereno del cielo, il cuore la placida
soavità lunare. Ma se romba la folgore o la grandine scroscia sulle biade mature, se s’ode di notte
un’archibugiata nell’aria, o i cani fidati latrano a distesa, sulla bocca contratta passa un ghigno feroce ed una
maledizione alla vita.
Ecco dunque a voi, stupendamente spiegato, il contadino del 1799 visto nella postuma figura del contadino del 1900
disegnato dal grande intellettuale bagnarese.
31
D. Letterio era nato a Messina il 20 ottobre 1704 nel palazzo che la Gran Casa di Bagnara possedeva al Teatro
Marittimo presso il Regio Campo e dove poi morì nel 1772.31 Nel 1746 aveva comprato San Lucido dopo aver sposato,
nel 1733, Donna Giovanna, figlia di Don Telesio Ruffo dei Principi di Castelcicala e nel 1741 Donna Giustina,
Principessa di Spinoso, Marchesa di Guardia Perticara, Signora di Acetturo e Gorgoglione, figlia del Principe Don
Giuseppe Colonna Romano e di Donna Caterina Capece Minutolo dei Principi di Ruoti.
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Don Paolo era l’ultimo figlio di Don Carlo, 5° Duca
di Bagnara (dov’era nato il 29/9/1680 e dove morì
il 28/2/1750), 3° Principe della Motta San Giovanni,
3° Principe di Sant’Antimo, patrizio Napoletano,
Signore di Amendolea, Fiumara di Muro, Solano,
San Lorenzo e della Gabella di Catona e marito di
Donna Anna Maria figlia di Don Tiberio Giuseppe
Ruffo & Santa Pau, dei Principi di Palazzolo.32
Dunque era anche il fratello di Francesco, 6°
Duca di Bagnara (nato a Bagnara nel 1707 e ivi
morto nel 1767), 4° Principe della Motta S.G., 4°
Principe di Sant’Antimo, Signore dell’Amendolea,
Fiumara di Muro, Solano, San Lorenzo e Gabella
di Catona dal 1750, ed era anche fratello del
Cardinale di Bagnara Don Tommaso, nato a
Napoli il 24/9/1663 e morto a Roma il 16/2/1753,
Patrizio Napoletano,33
Le
esperienze
amministrative
dovute
all’accelerazione economica e all’ingrandimento
dei feudi per via delle acquisizioni ereditarie,
avevano convinto D. Paolo a rientrare in Calabria
insieme a D. Letterio e quest’ultimo ivi rimase,
sposando Giustina Colonna e soggiornando a
Bagnara, Monteleone e San Lucido ove il 16
settembre 1744 nacque Don Fabrizio.
5.2.- LA FORMAZIONE DI FABRIZIO RUFFO A ROMA
A 4 anni, D. Fabrizio si trovò proiettato nel compito di continuare la successione che la Gran Casa
di Bagnara stava garantendo alla Corte Pontificia. Partì per Roma per aggregarsi all’entourage del
prozio, il potente Cardinale D. Tommaso, del quale facevano parte Mons. Angelo Braschi e il
nipote di Don Tommaso, il Cardinale di Bagnara D. Antonio,34oltre a Don Giuseppe Arcivescovo di
Capua,35Don Giacomo Ruffo &Moncada, prelato domestico del Papa e suo secondo cugino, e Don
Tiberio Giuseppe Ruffo & Santapau.36 Non lo splendido Palazzo di Bagnara, residenza dei Ruffo a
Roma, di fronte al Palazzo Colonna in piazza SS. Apostoli e ora inserito nella splendida cornice del
32
Le Famiglie dei Ruffi adottarono motti diversi da inserire sotto lo scudo araldico: I Ruffo Sinopoli & Scilla «Omnia
bene»; i Ruffo Bonneval-La Fare:«Nobilissima et vetustissima»; i Ruffo della Gran Casa Ducale di Bagnara: «Vis unita
fortior»; i Ruffo di Castelcicala: «Nunquam retrorsum»; i Ruffo della Scaletta «Omnia Bene»; i Ruffo della Floresta:
«+Omnia Bene». La linea dei Principi di Scilla inserì all’interno dello scudo, sopral’arme inchiavardato d’argento e di
nero, comune a tutti i Ruffi, tre conchiglie marine.
33
Vice legato a Ravenna, referendario della Segnatura Apostolica, Inquisitore a Malta nel 1694, Arcivescovo di Nicea
nel 1698 e poi Nunzio in Toscana e Assistente al Soglio Pontificio, Prefetto della Camera Apostolica nel 1700,
Cardinale Prete dal 1706 col titolo di San Lorenzo in Panisperna, di Santa Maria in Trastevere, di San Lorenzo &
Damaso, Legato in Romagna nel 1710, a Ferrara e a Bologna nel 1721, Vicecancelliere di Santa Romana Chiesa,
Segretario della Santa Inquisizione, Cardinale Vescovo di Palestrina dal 1726, di Porto di Santa Rufina dal 1738 e
Cardinale Vescovo di Sacro Collegio dal 1740.
34
Oltre a Don Tommaso, la Casa di Bagnara diede infatti al collegio cardinalizio un altro suo alto esponente, D.
Antonio, nato a Bagnara l’11/6/1689 (ivi morto il 22/2/1763), Vicelegato a Ravenna nel1716, Inquisitore a Malta dal
1720, Presidente del Tribunale della Grascia dal 1729, Uditore Generale della Camera Apostolica dal 1743, Cardinale
Prete dal 9/9/1743 col titolo di S. Silvestro in Capite. D. Antonio era figlio di Don Francesco (nato a Bagnara nel 1707 e
ivi morto nel 1767), 6° Duca di Bagnara, 4° Principe della Motta S.G., 4° Principe di Sant’Antimo, Signore di
Amendolea, Fiumara di Muro, Solano, San Lorenzo e Gabella di Catona dal 1750, e di Donna Ippolita, figlia di Don
Nicola d’Avalos d’Aquino d’Aragona, Principe di Montesarchio e di Giovanna Caracciolo.
35
Giuseppe Ruffo, fratello del Cardinale Antonio, nacque a Bagnara l’11/1/1696 e ivi morì il 19/3/1754, fu Patrizio
Napoletano, vescovo di Lecce e Arcivescovo di Capua.
36
Don Tiberio nacque a Maida il 25/7/1712 e morì a Roma il 10/1/1781. Patrizio Napoletano, Chierico di Camera
Apostolica, morì alla vigilia della nomina a Cardinale.
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centro romano a ridosso di Piazza
Venezia37, ma il Collegio Clementino fu la
casa di Don Fabrizio, come la era stata
per Don Tommaso e Don Antonio. Il
Monte dei Ruffi di Napoli, creato dal suo
antenato Frà Fabrizio Ruffo, Priore di
Bagnara,38 assicurò al giovane il
mantenimento per tutta la carriera
scolastica. Terminato l’iter formativo, Don
Fabrizio non decise per la carriera
religiosa, fermandosi al diaconato, e
diacono poi rimase per sempre.
Dopo la morte nel 1780 di Don Tiberio che
Pio VI Braschi aveva nominato Chierico di
Camera, il papa decise di fargli succedere
Don Fabrizio come continuatore della
prelatura Ruffo. Don Fabrizio si formò in
momenti di grande cambiamento in
Europa e i riflessi di queste novità
colpirono la sua sensibilità, incuriosita
dalle notizie che giungevano da Napoli. I
suoi studi sull’arte militare e sul governo
amministrativo delle province periferiche,
furono oggetto di attenta valutazione da
parte di Pio VI.
D.Fabrizio aveva seguito le cronache
militari del secolo e approfondito gli studi
di tattica e strategia nel settore degli
spostamenti di grandi contingenti di milizia, il vettovagliamento e la logistica conseguente. Si era
interessato alle recenti innovazioni sull’equipaggiamento della cavalleria e gli armamenti
dell’artiglieria da difesa nelle fortificazioni e da campagna e il loro impiego in combattimento.
Aveva un carattere umano ma era un funzionario ambizioso e per questo curava la propria visibilità
e il senso di autorità che da lui promanava.39 Le esperienze lo avevano reso sospettoso e pregno
di autonomia di giudizio sulle opinioni che poi difendeva volendo l’ultima parola nelle discussioni.
Ne seppe qualcosa, come notato, Lord Acton che con lui si scontrerà frequentemente.
Era però dotato di larghe vedute intuendo fin dagli anni della formazione, che senza un’ottima
conoscenza dell’Amministrazione e dei suoi meccanismi, ogni capacità di governare doveva
ritenersi debilitata e quindi facilmente attaccabile.
5.3.- LA CONDIZIONE ECONOMICA DELLO STATO PONTIFICIO
E GLI STUDI DI FABRIZIO RUFFO
La situazione dello Stato Pontificio era di forte crisi politica ed economica. Cresceva la riduzione
d’influenza spirituale/diplomatica di Roma di fronte alla crescita delle grandi potenze europee, che
37
Il palazzo sede della Gran Casa ducale di Bagnara in piazza SS.Apostoli, fu edificato dalla Famiglia Cybo e fu
residenza dei Duchi d’Altemps e quindi dei Marchesi Isimbardi. Dopo una breve amministrazione a cura della S.Casa di
Loreto, il palazzo fu acquistato da Don Tommaso Ruffo Bagnara come sede cardinalizia sua e della Famiglia dei Ruffi a
Roma. L’edificio fu rimodernato con valentia dall’architetto Giovanbattista Contini ed è oggi noto come Palazzo
Guglielmi.
38
Frà Fabrizio Ruffo (1716-1782) fu Patrizio Napoletano, Cavaliere dell’Ordine di Malta, Balì onorario e Comandante
di galea, Brigadiere e Colonnello nell’Esercito Napoletano nel 1755, Maresciallo di Campo del Re di Napoli dal 1780,
Difensore della Sacra Religione. Sepolto a Napoli nella Chiesa dei Ruffi di proprietà della Gran Casa di Bagnara, in una
superba tomba che riporta le iscrizioni delle battaglie sostenute e vinte contro il Turco.
39
Malaspina lo disegna così: «ardito, carattere indipendente, ambizioso di gloria, intraprendente, poco colto ma di
ampie vedute, sempre vivo, sospettoso e geloso della sua gloria» (F.MALASPINA, Occupazione…, cit., pg. 68).
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Anno I– nr. 1/Giugno 2011
basavano la loro posizione di preminenza, sulla forte identità nazionale in tutti i campi, compreso
quello religioso. Nel contempo la realtà sociale, economica e civile dello Stato Pontificio s’andava
velocemente differenziando fra le Legazioni con Bologna in testa, e Roma. La Corte Romana era
consapevole del ritardo che stava accumulando dal resto d’Europa; l’abate Della Valle, il Marchese
Gabrieli, il Cardinale Sacchetti, Leonardo Libri, avevano evidenziato questi aspetti, poi riassunti
dalla Congregazione di Sollievo in una serie di pareri esposti al Santo Padre. Ma anche dalla base
civile provenivano preoccupazioni per come lo Stato si trovava, gravato dalla disorganizzazione
doganale, finanziaria, agricola e delle manifatture. In sintesi: emergeva una struttura pubblica
impreparata oltreché inadeguata a supportare un’organizzazione imprenditoriale privata poco
meno approssimata, dilettantesca.40
Già dal 1708 la Santa Sede aveva deciso d’introdurre provvedimenti economici quali nuove
imposizioni e gabelle, tese a raggiungere un livello di contribuzioni omogeneo e proporzionale. Il
risultato fu deficitario: lo Stato non riusciva a imporre leggi alla base popolare contributiva e
soprattutto all’aristocrazia papalina. E questo avveniva mentre il Legato Pontificio, Card. Albani,
era rifiutato in udienza da molte corti europee che non sopportavano la difesa dei privilegi
ecclesiastici, ritenuti oramai antiquati.
Di fronte allo sviluppo sociale/economico europeo, i centri produttori dello Stato, situati lontano
dalla Capitale, cominciavano ad avvertire l’inadeguatezza
della politica pontificia: lana, seta e canapa non potevano
competere sui mercati internazionali e le possibilità di
potenziamento e sviluppo erano condizionate dalla precaria
situazione delle piazze, dei porti e dei collegamenti viari.
Nel 1737 l’Ispettore Pietro Benelli manifestò per la prima
volta l’esigenza di una dogana generale ai confini dello
Stato, una prima misura di modernizzazione del sistema
economico pontificio, che lasciasse ampio spazio all’attività
commerciale all’interno dello Stato, protetta da un’efficiente
cintura doganale ai suoi confini. Coll’inizio della lotta ai
Gesuiti da parte dei governi europei, compreso lo stesso
Regno di Napoli, lo Stato Pontificio entrò nel momento di
massima crisi economica e di credibilità internazionale. Papa
Braschi, già Tesoriere dello Stato, era consapevole delle
urgenze dell’Erario ma anche delle necessità di una radicale
riforma finanziaria, radicale perché avrebbe dovuto assorbire
il disavanzo e poi mettere in condizione il Governo di
finanziare la spesa pubblica, quando si fosse riuscito a
S.E. Don Fabrizio Ruffo
mettere mano in un’amministrazione pubblica vecchia e
vicario generale del Re
carente, in una struttura economica provata, isolata e da
per il Regno di Napoli
ammodernare e, infine, in rapporti internazionali condotti
senza abilità diplomatica e inadeguati di fronte alla moderna
politica internazionale. Poco peso amministrativo interno dunque, e poco peso politico
internazionale. Lo Stato Pontificio rischiava il collasso di fronte all’impetuoso avanzare
dell’Illuminismo europeo, con i suoi ideali, le riforme e il modo di produzione innovativo. 41
Nel 1781 D. Fabrizio fu ammesso fra i Referendari delle Due Segnature per poi divenire, come
annotato, Chierico di Camera. In questo frangente Ruffo ebbe modo di discutere colla Curia
Romana e lo stesso Pontefice, dei problemi dello Stato, interpretati secondo un pensiero
influenzato dalla moderna idea illuministica, così come giungeva a Roma dalla Francia e da
Napoli.
L’agricoltura andava protetta dalla concorrenza estera, una volta che fosse stata ben regolata,
armonizzata nella produzione secondo i bisogni e le opportunità di mercato internazionale; i
prodotti dovevano avere libero mercato interno, e doveva essere effettuata una vigilanza sui livelli
dei prezzi. Soppressi gli abusi feudali e gli appalti che attanagliavano i feudi vincolando l’attività dei
40
L.DAL PANE, Lo Stato Pontificio e il movimento riformatore nel Settecento, Mondatori, Mi. 1959, p. 108.
Un’ampia trattazione si trova in: E.PISCITELLI, La riforma di Pio VI e gli scrittori economici romani, Mondatori,
Mi. 1958.
41
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QUADERNI BAGNARESI
Anno I– nr. 1/Giugno 2011
contadini.
L’attività
manifatturiera
poteva
espandersi in funzione del potenziamento agricolo
ma
tutto confluiva nella libera circolazione dei beni e
nel ruolo regolatore dello Stato.
Durante questa fase d’attività, Don Fabrizio non
dimenticò le opere di beneficenza e devozione,
finanziando i lavori d’abbellimento dei locali
dell’Arciconfraternità di Santa Maria del Soccorso,
alla cura dei quali si occupò Francesco M. De
Martinis.42
Pistola del XVIII secolo - Napoli Museo di San Martino
5.4.- FABRIZIO RUFFO «TESORIERE GENERALE» DELLO STATO
PONTIFICIO
Nel 1784 Papa Braschi lo nominò Tesoriere Generale,
Commissario Generale del Mare e Sovrintendente di Castel
Gandolfo. Il Papa conosceva il Diacono e sapeva delle sue
qualità; confidò dunque nell’opera sua per dare al Governo dello
Stato un’impronta di modernità.
La Curia, espressione del Patriziato romano, non s’oppose.
Si era certi che qualche novità si sarebbe alla fine, annacquata
nel ménage tradizionale.
Meglio dunque acconsentire su argomenti che si sarebbero poi
comodamente potuti ricondurre ai soliti interessi locali invece di
opporsi, si sarebbe creato un pericoloso clima di conflittualità.
D. Fabrizio conosceva gli studi di Mons. Pallotta sulla
liberalizzazione degli scambi in un ambiente d’accresciuta
dinamicità delle strutture produttive. Il Progetto Pallotta per lo
Stato Pontificio fu la base di partenza di Don Fabrizio.
Occorreva potenziare le infrastrutture per offrire sicurezza agli
investimenti nei settori produttivi e commerciali.
Il riordino delle Forze Armate colla fortificazione dei Presidi di
Il Cardinale D.Fabrizio Ruffo
Ancona e Civitavecchia, avrebbe dovuto offrire garanzie per
Intendente di S.Leucio e della
l’osservanza delle Leggi dello Stato, attraverso la presenza
Reggia di Caserta
appunto, della forza pubblica, garante delle Istituzioni.
Molta cura venne posta all’armamento e al “servizio dei cannoni” tant’è che nel 1789 Ferdinando
IV mandò a Roma una delegazione di generali per visionare gli armamenti, la loro disposizione e
servizio.
Iniziarono poi le prove di fattibilità per la bonifica delle Paludi Pontine, la navigazione sul Tevere e
l’Aniene e la riforma dei contratti agricoli aventi per obiettivo la dinamica salariale modulata colla
partecipazione al frutto.
Pio VI accettò l’idea di un migliore collocamento delle rendite camerali di Castro e Ronciglione e D.
Fabrizio formò sette enfiteuti in Castro e Montalto e dodici a Ronciglione, concedendo la possibilità
di sub-enfiteuti.
Con quest’operazione, s’attaccava non più frontalmente, cioè colle disquisizioni giuridicofilosofiche, il sistema degli abusi feudali; lo si metteva in contrapposizione, sui dati di fatto della
gestione, con una nuova metodologia.
Le rendite passarono da 50.200 scudi a 67.200 in un anno.
Fra il 1785 e la fine di quegli anni Ottanta, Don Fabrizio diede una spinta al sistema statale
pontificio:
42
ASN, Archivio Ruffo-Bagnara, Carte del Cardinale D.Fabrizio Ruffo, f. 19.
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

Motu Proprio del Papa sull’eccessiva circolazione della carta moneta rispetto al denaro
numerato reale. 22.7.1785.43
- L’obiettivo primario era un indispensabile ridimensionamento dell’inflazione. Gli
scambi, i commerci sarebbero potuti avvenire solo in presenza del valore del
denaro reale e stabile, una moneta insomma, che godesse della fiducia degli
operatori economici.
Editti per favorire il potenziamento delle manifatture pontificie attraverso la loro protezione
dai prodotti esteri.44
- L’operazione avveniva in sintonia coll’ammodernamento e il potenziamento della
fabbrica di telerie e calancà alle Terme di Diocleziano e la spinta al miglioramento
quantitativo e qualitativo delle manifatture di pelle. L’operazione di politica
economica mirava alla risistemazione del sistema viario/fluviale per il
potenziamento dell’attività agricola (bonifica delle Paludi Pontine, aumento della
capacità agricola nei Contadi e nelle Legazioni) soprattutto verso i settori di base
all’attività manifatturiera: filati di cotone e canapa, telerie, tintorie. Così anche gli
allevamenti (concerie, calzaturifici).
 Editto per l’aumento del dazio al 24% sui manufatti esteri (5 sett. 1785)
 Riduzione drastica del dazio sull’importazione di pelli fresche e
liberalizzazione dei prezzi sui manufatti di cuoio (un apposito Consolato
dell’Arte, avrebbe dovuto certificare con un bollo di qualità, i prodotti nazionali
(3 sett. 1785).
 Editto per l’aggiornamento del dazio dal 24 al 60% sui manufatti esteri (7 dic.
1785).
 Creazione di un Monte cedolario per la riduzione della circolazione monetaria
quale lotta primaria all’inflazione. Editto 17 gennaio 1786.
 Abolizione delle Dogane feudali interne e istituzione di Dogane Statali ai
confini dello Stato (30 Aprile 1786).
 Abolizione delle Privative sulle Fiere di San Pietro a Montorio e incentivazione
delle iniziative sulle filiere di rame e ferro (aumento dei dazi sui similari prodotti
importati) (26 sett. 1787).
 Riduzione delle Gabelle sui carichi se questi venivano trasportati da navi
battenti bandiera pontificia 3 (Gennaio 1788).
 Divieto di esportazione dei concimi e aumento del dazio per l’importazione
degli stessi concimi; il tutto per favorire la coltivazione della canapa (19
gennaio 1788).
43
D.SACCHINELLI, Notizie storiche sulla vita del Cardinale Fabrizio Ruffo scritte dall’Abate D.S. già Segretario di
quel Prelato, con osservazioni sulle opere di Coco, di Botta, e di Colletta, tip. Carlo Cataneo, Na. 1836, p. 3. L’opera è
dedicata a S.E. il Maresciallo di Campo Marchese del Carretto.
44
Il Saggio di Sacchinelli ripubblicato, arricchito dall’Appendice: Risposte alle osservazioni di un anonimo, a Roma,
tip. Poliglotta, nel 1836. Le Osservazioni di un Anonimo, furono pubblicate a Livorno, tip. Sardi, nel 1837. L’insieme
costituisce un interessante dibattito critico-storico sull’operato del Cardinale, il contesto storico-sociale entro il quale
operò e la metodologia adottata da Sacchinelli per collezionare e narrare i fatti. L’Abate era nato a Pizzoni il 18 aprile
1766 e, dopo gli studi, lavorò a Catanzaro negli uffici della Cassa Sacra. Seguì l’Uditore Carlo Pedicini a Monteleone e
ivi fu consacrato sacerdote nel 1794. Venuto alle dipendenze del Cardinale Ruffo colla carica di “sotto-segretario alla
Segreteria dell’Armata” e uno stipendio da 20 ducati al mese (MARESCA, Carteggio…,cit., (ASPN, a. VIII, fasc. II
(1883), pg. 229 , lo seguì poi a Roma per il Conclave e a Napoli, quando alla fine della sua splendida carriera
diplomatica e raggiunto dalla stima e rispetto di tutti governi europei, e soprattutto dell’Imperatore Napoleone
Bonaparte, il vecchio Cardinale vi si fermò alloggiando nel grande Palazzo di Bagnara, che la famiglia possedeva sulla
Piazza del Mercatello, oggi Piazza Dante (il palazzo esiste tutt’oggi ed è visitabile nelle sue splendide sale volute nel
Seicento dal Priore di Bagnara e Gran Priore di Capua Don Fabrizio Ruffo, Generale delle Galee di Malta e Membro dei
Nobili Cavalieri della Religione). Morto il Cardinale, l’Abate si dedicò all’educazione dei figli di Don Nicola Ruffo,
fratello dello stesso Cardinale. Si ritirò quindi a Pizzoni fino a quando lo chiamò a Monteleone il Marchese Don
Francesco Gagliardi, quale suo intimo consigliere, su suggerimento di Donna Giuseppa Ruffo dei Principi di Scilla e
Marchesa di Panaya, sua nuora. Morì a Monteleone il 6 luglio 1844.
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 Unificazione del Mercato (trattative sugli
scambi commerciali) e decisione di far tenere
l’attività a Roma, per meglio amministrare
l’importazione di manufatti (Notifica del 27
febbraio 1788).
 Incentivazione alla coltivazione dell’olivo
accordando benefici per ogni pianta messa a
dimora (Notifica del 21 aprile 1788).
 Incentivazione alla coltivazione del cotone fra
Terracina e Civitavecchia, accordando
benefici per ogni rubbio
ru
sistemato (18 aprile
1788).
 Imposta
del
20%
per
scoraggiare
l’esportazione di pelli fresche lavorabili nel
territorio pontificio (28 aprile 1788)
-
 Per meglio selezionare le materie prime in
ingresso nello Stato, aumentò il dazio
Il Palazzo di Bagnara
sull’importazione di pelli di qualità peggiore
in Piazza Dante (ex Mercatello)
che quella risultante dalla produzione
a Napoli dimora del
nazionale (marzo 1789).
Cardinale Fabrizio Ruffo
 Dazio sull’importazione di terraglie, per
favorire le industrie delle Province Romane
(2 marzo 1789).
 Incentivazione alla coltivazione del guado (8 scudi a rubbio). Dal guado si
ricavava l’indaco, indispensabile per le tintorie) (marzo 1789).
 Istituzione di sei premi annui per i migliori filati eseguiti nel Contado di Fermo
(settembre 1791).
Dopo la revoca a Tesoriere Generale, restarono in vigore altri provvedimenti da lui
ispirati:
 Misure per l’aumento del libero commercio dei prodotti manifatturieri fra le
Province (gennaio 1792)
 Misure per il potenziamento del Comprensorio
Comprensorio agricolo di Ferrara (gennaio
1792)
 Privative e privilegi per agevolare l’apertura di una fabbrica di terraglie a Roma
Ruffo lavorava a Roma eseguendo improvvise ispezioni, soprattutto ove non arrivava l’influenza
dei funzionari che egli stesso s’era
era scelto e aveva insediato.
Gli erano accanto: Marco Fantuzzi,45 il lorenese Cristiano De Miller, Paolo Vergani46e dieci
soprintendenti, in maggioranza nobili laici.
Quale era la convinzione ideologica che spingeva il Tesoriere Generale a varare provvedimenti
rivoluzionari per il tempo e il luogo ove operava?
45
Fu un illuminato riformatore ravennate. Allievo di Antonio Ziradini, scrisse numerosi saggi fra i quali uno studio
egregio sui monumenti della sua Città natale. A Ravenna operò per un nuovo Catasto e contribuì per individuare il
tracciato per nuove strade.
de. Consigliere prezioso nelle operazioni di bonifiche del territorio agricolo, a supporto di
riforme agrarie e il potenziamento della attività commerciale, soprattutto attraverso l’ampliamento e la funzionalità del
porto di Ravenna. Morì a Pesaro il 10 gennaio
ge
1806.
46
Vergani si occupò di riforme di politica economica. Pubblicò su questi argomenti un importante trattato:
P.VERGANI, Dell’importanza e dei pregi del nuovo sistema di finanze dello Stato Pontificio,
Pontificio, Roma 1794. Amplissimi i
suoi studi sociali, maturati
aturati nell’esperienza politica della sua Milano (P.VERGANI, Della Pena di Morte
Morte, G.Richino
Malatesta stamp., Mi. 1777).
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Nel 1791 Nicola Spedalieri pubblicava un trattato di forte spessore sociale, nel quale si
riprendevano molti concetti dell’Ottantanove e dei Philosophes ispiratori del primo movimento
rivoluzionario francese47. Un saggio che il teologo dedicava al Tesoriere Generale Ruffo e che
poneva le basi dell’innovativa forma di governo fondata sulla felicità popolare secondo l’originaria
idea di Rousseau.
Stato e consenso popolare come trionfo della
religione operante, poiché l’opera dell’uomo è
frutto della Grazia Divina che si realizza
attraverso la partecipazione sociale e il
consenso di tutti verso l’istituzione-guida dello
Stato, ispirata da Dio. S’intuisce come il
Riformatore pontificio, dall’alto della carica di
Tesoriere Generale, guardasse alla rifondazione
dello Stato Pontificio, da attuarsi tramite
l’organicità fra Istituzioni e Popolo, ove le
Istituzioni sono l’elemento veicolante della
volontà popolare, espressa nel suo essere forza
produttiva proiettata verso il progredire. Questa
“formazione” è lo Stato Pontificio Moderno,
riflesso nella Grazia Divina che ne caratterizza
l’etica assoluta.
Un grande Stato dunque, nazionale, moderno e
operante nell’aspetto economico “protetto”
dall’etica religiosa.
Ruffo aveva maturato queste convinzioni
leggendo i resoconti che giungevano da Parigi
durante i primi moti rivoluzionari, i discorsi e
saggi politici e sociali dei Philosophes e i dibattiti
parigini fra i Rappresentanti del Popolo. E poi le
riforme francesi quale ultima fase di un
Don Tommaso Ruffo-Bagnara,
processo iniziato alle corti illuministiche
europee, tendenti al recupero dell’uomo come
Decano del Sacro Collegio
fondamento e ragione.
La sequenza delle Riforme pontificie di D.Fabrizio, mostra l’evoluzione dei concetti, la loro
tendenza ad avvicinarsi al concetto dello Stato fondato sul consenso popolare.
In trenta Città venne attivata una Dogana di riscossione composta da un Ufficio di Governatore,
impiegati di prima classe e subalterni e il cui compito non secondario, era ribadire la presenza e
autorità dello Stato ma nel suo significato operativo, cioè di riconoscersi fra i cittadini quale
supporto al vivere quotidiano.
E’ facile intuire che in questa maniera si spiazzavano privilegi e apporti autoritari discendenti da
Feudatario a Popolano. L’ostilità della Curia, alleata cogli ambienti dell’aristocrazia romana,
crebbe all’aumentare dell’andamento delle riforme. Troppi interessi legati alle potenti famiglie
romane, stavano per essere toccate e le novazioni proposte da Don Fabrizio, disturbavano il
quieto vivere dell’ambiente curiale, preoccupato per il cambio di passo a favore della
modernizzazione e dell’opera di questo Diacono, protettore ben visto di numerose organizzazioni
religiose, fra le quali i Minimi, l’Arciconfraternità dello Spirito Santo dei Napoletani in Roma, quella
di Santa Maria di Costantinopoli, del SS. Sacramento in S. Maria in Cosmedin, dei Collegi dei
Fabbricatori di drappi di Roma, del Conservatorio della Divina Provvidenza, della Città di Orte e
della Cancelleria borbonica a Roma, che riceveva spesso il Tesoriere nella sua qualità di
Protettore del Regno di Sicilia presso la Santa Sede.48
47
N.SPEDALIERI, Sui diritti dell’uomo, Assisi 1991
L’Arciconfraternità del SS. Sacramento in S.M. in Cosmedin, fu fondata nel 1746 e operava all’interno del complesso
ospedaliero del San Giovanni, attivo già dal 1216 per opera del Cardinale Giovanni Colonna. All’origine, la
Confraternita, nata all’ombra della Chiesa della quale prese il nome, si chiamava Confraternità degli Illuminati dello
48
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Nel 1787 si fece promotore dell’edificazione
della Chiesa del SS. Sacramento nell’Isola
Sacra e partecipò sempre attivamente alla vita
religiosa della Capitale. Il rituale cattolico
chiedeva un profilo, anche nella vita civile e
amministrativa, che la moderna politica e lo
sviluppo
economico
non
potevano
più
consentire. Tuttavia a Roma il Partito Curiale e
quello della Nobiltà, spingevano presso il
Pontefice che, pure, aveva resistito agli attacchi
degli
avversari
della
modernizzazione,
confermando Ruffo nel 1789, nella carica.
5.5.- L’OPPOSIZIONE DEL “PARTITO CURIALE”
ALLE RIFORME DI FABRIZIO RUFFO
Questa
circostanza
aveva
aumentato
l’inquietudine nel Partito Curiale.
Era chiaro, anche perché il Tesoriere non ne
faceva mistero, che lo «scatto di scalino» verso il
risanamento dell’economia dello Stato, basata
su processi strutturali, poteva attuarsi solo
attraverso l’abolizione dei privilegi feudali. La
modernizzazione degli appalti feudali avrebbe
sciolto i vincoli che legavano i coloni ai campi
padronali, incentivata la mobilità, favorita anche
dall’eliminazione del pascolo forzoso e dalla
liberalizzazione del mercato interno dei grani per
le semine. La dinamizzazione commerciale e
produttiva
avrebbe
sostituita
la
rendita
parassitaria e alla fine gli stessi proprietari ne avrebbero tratto vantaggio. Ma il tutto avrebbe
comportato la fine del potere latifondista nel Lazio e dei monopoli commerciali in mano a pochi
commercianti nelle Legazioni, cioè la potentissima élite di potere dello Stato Pontificio.
La modernizzazione era un pericolo da scongiurare.
Il Cardinale Don Antonio Ruffo-Bagnara
Uditore della Camera Apostolica
I conservatori romani cominciarono a fare pressione sul Governo papale indicando pericoli per la
stabilità dello Stato che rischiava di sprofondare nell’anarchia istituzionale e nella
scristianizzazione della popolazione.
La situazione si fece tesa quando l’élite conservatrice si rese conto che il Tesoriere stava per
acquisire il controllo delle forze armate per guidarne i già avviati piani di riorganizzazione e
ammodernamento. Studioso e conoscitore dell’arte militare, come annotato, il Tesoriere s’accorse
che le circostanze richiedevano interventi per mettere in condizione lo Stato di stare al passo coi
tempi in una situazione di politica internazionale che si reggeva su equilibri basati sui rapporti di
forza. E siccome la politica economica era interessata da iniziative di ottimizzazione e
miglioramento, molti sforzi si sarebbero vanificati se fosse perdurata la debolezza del supporto
militare. I commerci esteri cercavano rapporti che si basassero su reciproci interessi e questi
potevano consolidarsi solo in ambiente di stabilità e la stabilità era garantita se la struttura militare
era forte per contrapporsi agli avversari.
La Rivoluzione Francese stava destabilizzando gli antichi equilibri fra gli Stati Assoluti e già si
notavano segnali in molte parti d’Europa. Il Governo Romano dovette prendere atto delle
spiegazioni del suo Tesoriere Generale. Lo incaricò quindi di riordinare le forze armate e
potenziarne le strutture. Don Fabrizio eseguì questo compito e fece fortificare nel 1789, le fortezze
di Ancona e Civitavecchia, riattivando altresì le torri di guardia rivierasche.
Spirito Santo. Nel 1590 esercitava attività di banco depositi in denaro da impiegarsi per prestiti a pegno e gestiva due
conservatori per bisognose e per le figlie dei confratelli.
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Anno I– nr. 1/Giugno 2011
Pochi sanno che Don Fabrizio amava gli uomini di scienza e seguiva le spiegazioni scientifiche dei
fenomeni naturali. Il suo entourage era composto daillustri illuministi provenienti dal mondo
scientifico che sotto la sua direzione, ebbero modo di dedicarsi alle ricerche e alle innovazioni.
Fu quando Don Fabrizio decise di allargare la cinta doganale (e quindi l’autorità dello Stato) a
Ferrara e Bologna che dalle Legazioni si levò ostile la voce dei prelati locali, che avevano sobillato
per l’occasione, l’apparato di governo al vertice, e un furor di popolo alla base. La trappola messa
in atto dall’élite reazionaria era scattata.
Nel 1791 il Diacono, accusato di usura ancorché lo stesso Pontefice fosse conscio che si trattava
invece di accorta politica economica, dovette essere allontanato dalla carica di Tesoriere Generale
e però il Papa il 29 settembre 1791, lo
nominava nello stesso tempo Cardinale “in
pectore”, nomina che poi ratificò nel 1794,
col titolo di Sant’Angelo in Pescaria e
successivamente di Santa Maria in
Cosmedin e Santa Maria di via Lata. Il Papa
volle
poi
che
Don
Fabrizio
non
abbandonasse la vita di Governo, facendolo
entrare nelle Congregazioni del Buon
Governo, delle Acque, di Loreto e nella
Congregazione Economica.49
5.6.- FABRIZIO RUFFO ALLA CORTE DI
FERDINANDO IV
Quando a Napoli si seppe dell’uscita del
Cardinale dall’entourage governativo, il Re lo
Il cardinale Tommaso Ruffo-Bagnara
invitò nel Novembre 1794 a Corte. Le
Arcivescovo di Ferrara
condizioni economiche del Cardinale erano
precarie perché le provviste che formavano la congrua in capo alle Badie Concistoriali nel Regno
di Napoli, erano
state dichiarate di Regio Patronato. La vita a Roma nel decoro e dignità eminenziale, non era più
sostenibile per Ruffo, che aveva ipotecato i beni della Prelatura della Gran Casa di Bagnara.
Lo stesso Santo Padre lo consigliò di accettare la chiamata della Corte Napoletana che aveva
bisogno di personalità esperte nella conduzione del governo politico e militare dello Stato. Era
intenzione del Re inserirlo nella compagine governativa affinché proseguisse l’opera di Tanucci e
desse un’impronta di novità alle vecchie istituzioni del Regno Meridionale.
Lord Acton, riuscì a “limitare” le investiture su quell’uomo che considerava un rivale, e con perfidia
convinse la Regina a far restare il Porporato nell’ambito della sfera religiosa, sicché Ruffo venne
incombenzato dell’Intendenza della Reggia di Caserta e dell’Intendenza delle fabbriche di San
Leucio, il grande esperimento illuminista di produzione adottato dal governo napoletano.
Il 6 dicembre 1794, il Re gli affidava il governo dell’Abbazia di Santa Sofia in Benevento. Grande fu
lo scandalo nella Curia romana per aver il Cardinale accettato di prestare servizio subordinato
nella Corte di Napoli. Ruffo ne scrisse al Papa chiedendo di confermargli fiducia e il papa gli
rispose di andare avanti.
La vicenda di Don Fabrizio Ruffo e dell’iter delle Riforme alla fine del XVIII secolo, in un Regno
arretrato nei settori economici e sociali, com’era lo Stato Pontificio, dimostra come anche nello
scorcio del secolo prevalessero, malgrado la consapevolezza di un pugno di riformatori e di prelati
aperti a una diversa concezione dell’amministrazione pubblica, le tradizionali pretese
49
Cfr.: DAVID SILVAGNI, La Corte e la Società Romana nei secoli XVIII e XIX, Forzani & C. Tipografi del Senato,
Roma 1884; CARLO TIVARONI, L’Italia durante il dominio francese (1789-1915), tomo II – L’Italia Centrale e
Meridionale, L.Roux e C. ed., Torino 1889; VITTORIO VISALLI, I Calabresi nel Risorgimento Italiano. Storia
documentata delle rivoluzioni calabresi dal 1799 al 1862, G.Tarizzo& Figlio ed., Torino 1893 (reprint Brenner,
Cosenza1989).
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QUADERNI BAGNARESI
Anno I– nr. 1/Giugno 2011
particolaristiche e non importa se queste pretese giungessero da zone evolute e sensibili allo
spirito di modernizzazione, come appunto Ferrara e Bologna.50
Sono noti gli episodi che convinsero
il Re, che si credette protetto dai
trattati di alleanza stipulati con la
Germania il 19.5.1798, con la
Russia il 29.11.1798 e con la Gran
Bretagna
l’1.12.1978,
alla
mobilitazione generale e alla
spedizione militare di Mack a Roma
per
“liberarla”
dall’invasione
francese. Si concluse con una
disastrosa ritirata. Dalla vergogna si
salvò solo il Generale Damas.
Quando il Generale Championnet,
con scarsa convinzione, si mise in
marcia da Roma per occupare
Napoli, Don Fabrizio seguì la Corte
a Palermo, accompagnato dal
fratello Don Francesco (detto “Don
Ciccio”), Marchese della Guardia
Perticara, Cavaliere Gerosolimitano
Ferrara: Palazzo Arcivescovile
ed
esponente
della
Corte
fatto costruire da Don Tommaso Ruffo-Bagnara
51
Napoletana.
50
Sulle tensioni scatenatesi fra Legazioni e Roma a proposito delle riforme che privavano le stesse Legazioni di
privilegi e autonomia a favore di una maggiore politica nazionale, cfr.: V.E.GIUNTELLA, Roma nel Settecento, Roma
1972, da p. 49. Sulla figura di Don Fabrizio Ruffo e la sua attività in questa fase storica, cfr.: V.RUFFO, Il Cardinale
Fabrizio Ruffo e la controrivoluzione del 1799, in ASC,a. VI (1918). Per l’inquadramento generale dello Stato
Pontificio e la trattazione specifica della situazione politica interna e dell’evoluzione economica, cfr.: M.CARAVALEA.CARACCIOLO, Lo Stato Pontificio da Martino V a Pio IX, UTET, To. 1978.
Dopo le vicende del 1799, il Cardinale divenne esponente di spicco della Congregazione Economica della Santa Sede,
Ambasciatore a Roma del Regno di Napoli e capo delegazione alla Corte a Parigi per tentare di scongiurare l’invasione
francese del Regno. Nel 1806, il Cardinale riparò nuovamente a Palermo seguendo il Re e da Palermo viaggiò con
delicate missioni diplomatiche in Europa, recandosi con frequenza a Parigi per incontrare l’Imperatore. Quando nel
1809 Pio VII Chiaromonte venne fatto prigioniero e condotto a Savona, l’Imperatore ruppe con gli esponenti della
Curia romana e però volle che il Cardinale Ruffo, insieme al ristretto gruppo di Eminenze che ebbero il privilegio di
conservare l’abito rosso (i “Cardinali Rossi”) fosse presente al matrimonio con Maria Luisa d’Austria. Il 26 gennaio
1813 l’Imperatore gli conferiva il titolo di Ufficiale della Legion d’Onore francese.
La stima di Napoleone per questo grande uomo politico durerà nel tempo. Fu Ruffo che riaccompagnò a Roma nel
1814, il Papa che poi, nel 1815, lo nominò nuovamente Membro della Congregazione Economica, Soprintendente della
Deputazione Annonaria e della Deputazione della Grascia e nel 1817 lo investì della nomina di Gran Priore di Roma
dell’Ordine Gerosolimitano, dei Nobili Cavalieri difensori della Religione.
La Gran Casa di Bagnara dunque, perpetuava nel Cardinale la presenza fra i Cavalieri di Malta. Nel 1821 il Papa gli
rinnovò la carica di Prefetto delle Acque, delle Paludi Pontine e Chiane e divenne Primo Diacono della Chiesa di Roma.
Dopo i moti carbonari di Napoli dello stesso 1821, il Re lo affiancò al Marchese del Circello affinché si occupasse di
riformare le tecniche di governo.
Nel 1823 moriva Pio VII e il Cardinale si condusse a Roma per il Conclave. .Il 28 Settembre 1823 il Cardinale di
Bagnara annunciava al mondo, dalla Loggia del Palazzo del Quirinale, all’epoca sede del Pontefice, la nomina di Leone
XII al quale poi, il 5 ottobre, imponeva il Triregno. Fu l’ultima missione dell’ottantaquattrenne porporato che morì a
Napoli, nel Palazzo di Bagnara, il 13 dicembre 1827.
Esposto per le onoranze funebri in San Domenico Maggiore, fu con sorpresa generale riverito da una massa
impressionate di popolo. Il Cardinale venne sepolto in San Domenico Maggiore, dove nella navata di destra, la Casa di
Bagnara aveva fatto erigere una meravigliosa Cappella (la Cappella di Santa Caterina) per le sepolture dei membri della
Famiglia Ducale. La Cappellatutt’ora esiste, bellissima testimonianza del prestigio e della fama della Gran Casa di
Bagnara.
51
A differenza del Cardinale, D.Ciccio aveva un carattere velenoso, impetuoso e vendicativo. La dismissione dalla
carriera militare aveva accentuate queste caratteristiche negative. La contraddizione di fondo di D.Ciccio era mantenere
un timbro e un tono da campo militare di guerra, in un ambiente ovattato e “lento” qual era la Corte Borbonica a Napoli
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QUADERNI BAGNARESI
Anno I– nr. 1/Giugno 2011
Il Regno di Napoli era perduto e le truppe allo sbando.
I forti di Pescara e Civitella del Tronto, quest’ultimo maestoso e imprendibile, si arresero senza
combattere, i soldati fremettero di sdegno perché volevano combattere per la patria, contro nemici
giudicati indemoniati, affamatori, ladroni e assassini.
Dovettero ubbidire agli ordini di ufficiali inetti e vigliacchi che secondo loro, aprirono le porte al
nemico.
Ovunque i comandanti militari avevano dato dimostrazione di pavidità, vigliaccheria e talvolta
s’erano venduti al nemico di fronte ai soldati che osservavano sconcertati quando accadeva.
E mentre l’esercito abbassava le armi e si sbandava, le armi imbracciavano i contadini, il popolo
basso delle città e le maestranze delle Province, anche le più periferiche per la difesa del Re e
della Patria, delle famiglie, dei campi e di Dio, contro i “giacobbini” repubblicani alleati coi “ladroni”
francesi.
Tutto questo valutava Ruffo, adesso che a Palermo si ricevevano i rapporti dalla Capitale e dalle
Province oltreché dalle Cancellerie italiane.
Ovunque erano sopravvenute alla Rivoluzione Giacobina le Insorgenze popolari e tutte avevano
una caratteristica comune: «viva Maria!», «viva la Santa Fede», «viva il Re».
e poi Palermo (ANONIMO, Osservazioni sulle Memorie della vita del Cardinale D.Fabrizio Ruffo di Baronello per
l’impresa del 1799 in Napoli da lui intrapresa, Tip. Sardi, Livorno 1837, pg. 26 – In realtà pare essere il Marchesino
Malaspina l’autore di queste Osservazioni; molti sono i fatti che collimano fra questo lavoro e il Diario scritto dal
Marchesino). Secondo Pettigrew (F.PETTIGREW, Memoirs of the life of Nelson, Boone ed., Londra 1849, pg. 96) e
Palumbo (R.PALUMBO, Carteggio…, cit., pg.89), Ruffo non aveva seguito la Corte a Napoli. Deducono questa
circostanza dal fatto che il nome di Ruffo non figura fra i passeggeri del Vanguard e del Sannita. In realtà non tutti i
fuggitivi s’imbarcarono sui due vascelli maggiori, trovando alloggio nei bastimenti che componevano la flotta di
trasferimento da Napoli a Palermo (HELFERT, F.R…., cit. pg. 89).
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Anno I– nr. 1/Giugno 2011
GENEALOGIA DEL CARDINALE
DON FABRIZIO RUFFO DEI DUCHI
DI BARANELLO - BAGNARA
Serius Rufus
Signore di Mizzillicar e Cabucas
Gran Maresciallo di Calabria (1250)
Fulco Ruffo
Giustiziere in Terra di Lavoro
Signore di Seminara, S.Cristina& Bovalino
Conte di Sinopoli (1335), Signore di Nicotera
Arrigo Ruffo
Guglielmo
Ruffo
Regio Ciambellano e Viceré di Campania
Signore di Seminara, S.Cristina& Bovalino
Conte di Sinopoli, Signore di Nicotera
I° Conte di
Sinopoli (1335)
Esaù Ruffo(+1510)
Bernardo Ruffo
(+1515)
III° Signore di
Bagnara
II° Signore di Bagnara (dal 1464)
alla morte del fratello Guglielmo; Signore della Vecchia
Bruzzano e di Condojanni (nel 1484); Gran Cancelliere del
Regno
Difensore della Casa Reale d’Aragona Gerolama f. di
Giovanni Del Carretto,
II° Barone di Racalmuto
Fulco Ruffo
Guglielmo Ruffo
II° Conte di
Sinopoli
III° Conte di
Sinopoli (nel 1393)
da Re Ladislao)
Nicolantonio
Ruffo
Signore della Vecchia
Bruzzano
Ramondetta f. di
Antonio Centelles, Conte
di Crotone. Per altri
Elisabetta figlia di Enrico
Ruffo Conte di Condojanni
Eleonora di San Gineto
dei Conti di Corigliano
Per altri: Isabella Mastrogiudice
Guglielmo (o
Geronimo) Ruffo
+ 1539
IV° Signore di Bagnara e
Signore di Solano dopo la
rinuncia del cugino Paolo
Guglielmo (o Geronimo) Ruffo
+ 1462
I° Signore di Bagnara e Signore di Solano,
cadde combattendo da eroe durante la
Battaglia di Seminara nelle fila dell’Esercito
Aragonese di Mase Barrese
Antonia Spadafora
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Anno I– nr. 1/Giugno 2011
Guglielmo (o
Geronimo) Ruffo
IV° Signore di Bagnara e
Signore di Solano dopo la
rinuncia del cugino Paolo
Bernardo Ruffo
+ 1559
V° Signore di Bagnara e
Solano
Giovanni Giacomo
+ 1582
VI° Signore di Bagnara e
Solano
Alvina
Figlia di Giovanni Ruffo
Conte di Sinopoli
Don Carlo Ruffo
1566-1610
I° Duca di Bagnara, Signore
di Sant’Antimo, Solano,
Fiumara di Muro, Motta S.
Giovanni
Antonia Spadafora
Ippolita
Figliadi Salvatore Spinelli
Marchese di Fuscaldo
Giovanni Giacomo
+ 1582
VI° Signore di Bagnara e
Solano
Ippolita
Figliadi Salvatore Spinelli
Marchese di Fuscaldo
Antonia
Figliadi Federico Spatafora
Barone del Biscotto
Don Francesco Ruffo
1596-1643
II° Duca di Bagnara, Signore
di S.Antimo, Solano, Motta
S.G., Fiumara di Muro,
Amendolea
Don Carlo Ruffo
1616-1690
III° Duca di Bagnara Principe
della Motta S.G., Principe di
Sant’Antimo, Patrizio
Napoletano
Guiomara (Guglielmina)
Figliadi D.Vincenzo Ruffo
dei Principi di Scilla
Costanza
Figliadi D. Gregorio
Boncompagni Duca di Sora
e poi D. Andreana, figlia di
Giovanbattista Caracciolo
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Anno I– nr. 1/Giugno 2011
Don Carlo Ruffo
1616-1690
III° Duca di Bagnara Principe
della Motta S.G., Principe di
Sant’Antimo, Patrizio
Napoletano
Don Francesco Ruffo
1644-1715
IV° Duca di Bagnara, Principe
della Motta S.G., Principe di
Sant’Antimo, Signore
dell’Amendolea, Fiumara di
Muro & Solano, Signore di
S.Lorenzo e della Gabella di
Catona, Patrizio Napoletano
Giovanna
Figliadi Ottavio Moncada Conte
di Mussomeli e Reggio
Don Francesco Ruffo
1707-1767
VI° Duca di Bagnara, Principe della, Motta
S.G., Principe di Sant’Antimo, Signore
dell’Amendolea, Fiumara di Muro e
Solano, Signore di S.Lorenzo e della
Gabella di Catona, Patrizio Napoletano
Don Carlo Ruffo
1680-1750
V° Duca di Bagnara, Principe della Motta
S.G., Principe di Sant’Antimo, Signore
dell’Amendolea, Fiumara di Muro &
Solano, Signore di S.Lorenzo e della
Gabella di Catona, Patrizio Napoletano
Don Nicola
Ruffo, figlio di D. Francesco
Donna Ippolita
Figliadi D. Nicola d’Avalos
Aquino Aragona, Principe di
Montesarchio
Don Carlo Ruffo
1734-1761
Principe di Sant’Antimo, Patrizio
Napoletano
Donna Anna
Figliadi D. Troiano
Canaviglia, Duca di
S.Giovanni Rotondo,
Marchese di S.Marco
Costanza
Figliadi D. Gregorio
Boncompagni Duca di Sora
e poi D. Andreana, figlia di
Giovanbattista Caracciolo
Non ebbe figli maschi e i
Titoli passarono alla figlia
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Donna Ippolita
1758-1830
Figlia di D.Carlo Ruffo
Anna Maria Santapau
Figliadi D. Tiberio Ruffo dei
Principi di Palazzolo
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Don Nicola Ruffo
1742-1794
VII° Duca di Bagnara
Principe della Motta S.G., Principe di
Sant’Antimo, Signore dell’Amendolea,
Fiumara di Muro & Solano, Signore di
S.Lorenzo e della Gabella di Catona,
Patrizio Napoletano
Don Vincenzo
1734-1802
3° Duca di Baranello, Barone di S.
Lucido, 9° Duca di Bagnara, ecc.
Figlio di Don Litterio Ruffo
II° Duca di Baranello, e Principe di
Castelcicala dopo il matrimonio con
D.Giovanna, figlia di D.Telesio Ruffo
Principe di Castelcicala
Don Vincenzo
1734-1802
Figlio di Don Litterio
III° Duca di Baranello, Barone di San
Lucido, IX° Duca di Bagnara, Principe
della, Motta S.G., Principe di
Sant’Antimo, Signore dell’Amendolea,
Fiumara di Muro e Solano, Signore di
S.Lorenzo e della Gabella di Catona,
Sposa la nipote Donna Ippolita
Figlia di D.Carlo Ruffo; non ebbero
figli, dunque D.ippolita divenne poi
VIII° Duchessadi Bagnara, Principe
della, Motta S.G., Principessa di
Sant’Antimo, Signora dell’Amendolea,
Fiumara di Muro & Solano, Signora di
S.Lorenzo e della Gabella di Catona,
In mancanza di eredi e alla morte del
marito, D.Ippolita cede tutti i Titoli di
Bagnara al cugino Don Vincenzo che
diviene il 9° Duca di Bagnara (°)
Don Litterio
1704-1772
II° Duca di Baranello
Compra San Lucido nel 1746
Donna
Alfonsina
DON
FABRIZIO
Cardinale
Don Giuseppe
Antonio
Principe di Spinoso
Don
Domenico
Donna
Enricheta
Donna
Maria
Caterina
Don
Francesco
Donna
Lucrezia
Donna
Maria
Francesca
a
Don
Paolo
(°) Donna Ippolita Ruffo
riposa nella Cappella di Bagnara, dedicata a Santa Caterina d’Alessandria, in San
Domenico Maggiore a Napoli, insieme al Marito don Nicola Ruffo VII° Duca di
Bagnara e molti altri congiunti, fra i quali anche S.E. Don Fabrizio Ruffo, terzo
Cardinale di Bagnara.
Oltre alle Sepolture della Famiglia Ruffo, volutein quella Cappella proprio da
D.Ippolita, vi sono monumenti e sepolture di membri della Famiglia Tomacelli, antica
Stirpe Napoletana, legata per molti fatti ai Ruffi.
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Donna
Giovanna
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Anno I– nr. 1/Giugno 2011
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QUADERNI BAGNARESI
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6.- IL PIANO CONTRORIVOLUZIONARIO.
RUOLO DI BAGNARA
IL
A Palermo Don Pascalino aveva rassicurato
l’Eminenza sulla tenuta di Bagnara e Scilla sotto
l’autorità del Re e sulla disponibilità della Costa
Calabrese a sostenere le azioni di riconquista del
Regno.
La copertura “istituzionale” era garantita dalla Reale
Piazza d’Armi di Reggio, sotto il controllo dell’Uditore
Di Fiore.I dubbi sull’opzione giacobina, raccontava
Versace a Sua Eminenza, erano stati risolti a
Bagnara, Scilla e Palmi da tempo mentre a Reggio si
tenevano sotto controllo i novatori e si dava la caccia
ai pochi cospiratori sfuggiti alla retata di fine anno.52
Don Pascalino peraltro, garantiva sulla compattezza
dei “migliori” di Bagnara a cominciare dal Sindaco e
Fabrizio Ruffo
tutti gli eletti.53
Tesoriere Generale dello Stato Pontificio
Le economie rivierasche collegate al Porto di Messina
e ai commerci coll’Adriatico asburgico, erano floride e godevano di privilegi che difficilmente la
politica giacobina avrebbe potuto garantire.
52
Sacchinelli conferma questa asserzione (SACCHINELLI, 78):fu l’opera di D.Angelo Di Fiore a far rimanere fedeli al
Re i paesi anseatici calabresi.
53
Il 17 maggio 1800 il Notaio Carlo La Piana registrava una deposizione del Sindaco e Deputati di Bagnara:
D.Giacomo Denaro, Don Domenicantonio Messina e Magnifico D. Giovanni Spoleti, ai quali s’unirono “li principali
galantuomini e maestri ed altri individui probi e di fede degna” e cioè: il Dr. D. Giuseppe Maria Parisio, D. Pasquale
Morabito del quondam Stefano, D.Vincenzo Romano, il Dr. D.Alessandro Manchi, D. Gennaro Leonardis, D. Pier
Francesco Versace, D. Domenico Vitetta, il Dr.D. Giovanni Lucisani, il Magnifico Vincenzo De Majo, Mastro Letterio
Carpanzano e Mastro Rocco Coletta. Tutti questi “signori del reggimento” testificarono “sponte, non vi, dolo” e “in
causa scientie” che D.Francesco Carbone era di loro conoscenza, che era uno dei primari galantuomini di Scilla,
attaccato e fedele alla Corona che aveva servito con zelo per oltre 18 anni dal momento in cui fu fatto foriere dal
Generale Francesco Pignatelli, capo delle milizie provinciali e poi alfiere, primo tenente capitano ecc. Protesse la
Provincia dalle banche di delinquenti e disertori, condusse la leva del 1796 insieme al Tenente Colonnello D. Stanislao
Espen e del capitano D. Tommaso Susanna. E prosegue l’interessante testimonianza:
…nella leva del 2 settembre 1798, il mentovato signor Carbone venne incaricato in unione del signor Capo
Ruota allora Assessore della Corte di Reggio D.Angelo Di Fiore, oggi degnissimo Consigliere, per l’arresto
del Cavaliere D. Saverio Melissari e soci, che si dissero allora rei del barbaro omicidio seguito nella persona
del governatore Pinelli, e comandante della Real Piazza della detta Città di Reggio. Parimenti costa ad essi
costituti testificanti, che nel mese di dicembre del caduto anno 1798, essi signori Carbone e Di Fiore
procederono all’arresto di molti individui della Città di Reggio circa al numero di sessanta, non che in altri
diversi luoghi della Provincia, come rei di Stato, a qual oggetto sotto il loro comando li vennero assegnati in
rinforzo da 400 soldati venuti da Messina; e successivamente nel mese di gennaio dello scorso 1799 intesero
e seppero essi testificanti, che esso signor di Carbone, e per ordine del signor Di Fiore, ed in sua presenza,
arrestò i suoi compaesani D.Rocco e Cirillo Minasi non ostante l’amicizia nella quale egli passava cò
medesimi e col di loro zio, il Padre D.Antonio Minasi.
Similmente costa ad essi testificanti, che nelle funeste avventure del Regno, la casa di esso Signor Carbone in
Scilla servì di sicuro asilo dé buoni vassalli del Re Nostro Signore, li quali fuggivano dal rigore dé paesi
democratizzati, fra i quali nella stessa casa si rifugiò il signor Preside di Catanzaro D.Antonio Winspeare con
la sua famiglia ecc.
La deposizione prosegue poi con la narrazione dei fatti così come accaduti e che di seguito verranno esposti.
Firmarono l’atto, come testimoni, il Magnifico Felice Sciglitano, all’epoca Giudice ai Contratti di Bagnara, D.
Domenico Sciplini, il Fabbro Domenico Modafferi, d. Antonio Maria Parisio e infine lo stesso notaio Carlo La Piana.
(A.S.R., Notaio La Piana, Bagnara, fascio 142, f. 81; cfr.: G.CINGARI, Giacobini e Sanfedisti in Calabria nel 1799,
Casa del Libro ed., RC 1978, pag. 357 segg.).
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QUADERNI BAGNARESI
Anno I– nr. 1/Giugno 2011
I commercianti e gli artigiani di Bagnara si sarebbero schierati sotto le insegne borboniche, a
difesa della libertà dei commerci e contro l’ideologica giacobina che predicava una libertà “non
regolata e protetta”. E così era per Scilla e Reggio.
Non poteva essere altrimenti perché la fascia costiera da Reggio a Palmi, era presidiata dai
miliziani del Tenente Carbone e sotto la tutela giudiziaria dell’Uditore D. Angelo Di Fiore e questo
per scongiurare effetti negativi per il Governo realista dopo la scoperta della congiura di Reggio,
effetti che si sarebbero potuti combinare con gli stimoli che Napoli stava tentando di fare giungere
ovunque nel Regno per attivare i processi di democratizzazione.
Questo riferiva Don Pascalino al Cardinale e a Don Ciccio; lo riferiva con convinzione e lo
documentava agli esponenti governativi del salotto di Sua Eminenza che ascoltavano attenti e che
da qualche settimana frequentavano il gran palazzo nobiliare della sorella Donna Lucrezia, per
ossequiare il medico Cotugno, venuto da Napoli per curare il Re e la Regina, unitamente alla
moglie Donna Ippolita Ruffo-Bagnara.
A fine Gennaio del 1799, il Ten. Carbone comunicò al Cardinale che il sistema religioso rivierasco
e aspromontano s’era mobilitato: le popolazioni erano pronte alla difesa della Fede, della Patria,
del Re e delle famiglie.
Due le matrici-cardine che decisero il Cardinale all’azione:


la certezza di avere dalla sua parte importanti componenti del Ceto Emergente in quelle
località da lui ritenute strategiche per il consolidamento dell’avanzata verso Napoli;
la certezza di avere subito disponibile una Cassa di Guerra già al momento dello sbarco, di
consistenza tale da soddisfare le prime rate del Prest ai volontari e alla Truppa e pagare il
vettovagliamento di base.
Si sarebbe trovata pronta a Bagnara una prima Cassa di Guerra e
al momento dello sbarco in Calabria di un condottiero reale, una
seconda Cassa di Guerra si sarebbe approntata fra Palmi, Oppido
e Gioja, a cura delle prelature della Piana.
Per quanto attiene l’adesione calabrese, il Cardinale ebbe conferma
della tranquilla tenuta di Reggio, ma soprattutto della totale
realizzazione di Scilla, Bagnara, Palmi e le Comunità
Aspromontane. Ebbe poi informazioni segrete, che lo stesso Acton
non conosceva, sulla disponibilità d Don Carlantonio Baracca di
Cosenza, influente Patrizio dei Casali di Dipignano, che rassicurò
l’entourage del Cardinale sulla disponibilità sua e della sua gente
quando l’Armata avrebbe raggiunto Crotone e di Don Antonio e Don
Odoardo Stocco a Cosenza,influentissimi sulla Città e su tutto il
circondario del loro feudo di Decollatura;54uniti a Don Franco
Scarpelli, galantuomo che diede appuntamento al Cardinale a
Lady Emma Hamilton
Crotone ove poi effettivamente lo raggiunse e da dove venne
immediatamente inviato a Cosenza con importanti plichi riservati pe il Capitano Don Ignazio
Coscarelli. Insieme poi confluiranno a Rossano per essere incorporati nell’Armata.
Di Cosenza era anche D.n Ferdinando Castiglione Morelli, Patrizio Cosentino che aveva
assicurato al Cardinale l’appoggio di una consistente massa di Fiumefreddo, con la quale
parteciperà alla realizzazione di Cosenza, in appoggio al Capitano Coscarelli.
Altre importanti assicurazioni di adesione, comunicava attraverso Carbone, il parroco di Pedavoli
Don Antonio Ruffo55, Don Nino Pugliese da Tresilico, che poi raggiungerà il Cardinale a Bagnara,
54
Le comunicazioni fra gli Stocco e la Corte, si fecero successivamente determinanti a mezzo di un messaggero
inusuale: Madame Antoinette D’Abron che a Palermo trovò ospitalità dopo aver lasciato la Francia. (Sulla posizione
degli Stocco, cfr.: ASN, Archivio Borbone, f. 239, cc. 115r-142r. anche in: UMBERTO CALDORA, Fra Patrioti e
Briganti, Adriatica Editrice, Bari 1974, pg. 56)
55
Don Antonio si presentò poi effettivamente al Cardinale il 16 febbraio a Sant’Eufemia d’Aspromonte e con
l’Eminenza concordò l’arruolamento di terrazzani radunati a massa coi quali raggiunse poi il Cardinale a Radicena,
divenendo ottimo assistente del treno di artiglieria (CALDORA, Fra Patrioti …, cit. pg. 58)
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QUADERNI BAGNARESI
Anno I– nr. 1/Giugno 2011
ove
si
incorporerà
nell’Armata dopo aver
rassicurato il Cardinale
sull’appoggio della sua
zona;
altre
adesioni
giungevano anche dal
Jonio,
come
faceva
sapere il parroco Don
Bruno
Cosentino
da
Squillace che avrebbe
atteso il Cardinale al suo
sbarco insieme a molta
gente jonica; a Mileto si
sarebbe presentato Don
Bruno
Calabretti
da
Badolato,
dottore
in
medicina, che già aveva
armato il Paese insieme
a Fortunato Caporeale.
Un utile supporto lungo le
tappe d’avvicinamento al
confine calabrese, lo
avrebbero fornito D.n
Ferdinando Sicilia da
Rogliano, che per tale
motivo si unì all’Armata
in Monteleone e D.n
Franco Stumpo, anch’egli
da Rogliano, che si
sarebbe unito all’Armata
alla Marina di Catanzaro
per essere poi destinato
alla custodia della Cassa
Militare di Don Pasquale
Versace.
Da Tropea giunseroal
Cardinale
importanti
messaggi daDon Benedetto Pizzinni, giovane “Galantuomo” locale: si sarebbe fatto trovare,
armato di tutto punto e con dei compagni, allo sbarco del Cardinale in Calabria e Don Carlo
Cortese, sacerdote con ottimo seguito, che assicurò il suo incorporamento nell’Armata fin da
Mileto. Di Tropea anche Don Mimmo Arena che stava reclutando uomini per formare un’importante
squadra di campagna con l’aiuto di Mimmo Castiglia poi distintosi al Ponte della Maddalena.
Raggiungerà in effetti il Cardinale a Cotrone con 34 uomini fra i quali lo stesso Mimmo Castiglia.
A Radicena aveva dato appuntamento al Cardinale Don Mimmo Moretti, assicurando
l’incorporamento nell’Armata di numerosa gente.
Fortissima l’adesione da Sant’Eufemia d’Aspromonte e il suo circondario: Domenico Gioffré,
bracciante con molti amici, avrebbe atteso il Cardinale sulla spiaggia dello sbarco, così Domenico
Ascrizzi, Ciccio Bagnato, Francesc’Antonio Creazzo, falegname poi aggregato alla compagnia
Genio degli Ingegneri Oliverio e Vinci, e ancora Domenico Gioffré qm. Andrea e Mimmo Gaglioti,
mentre un altro Domenico Gioffré (di Giovanbattista) avrebbe atteso con buona squadra di
“entusiasti” il Cardinale a Sant’Eufemia. Da Catanzaro proveniva Don Francescantonio de Vito che
poi s’incorporerà nella Compagnia del Capitano D.n Raimondo de Raimonde e, dopo l’attacco a
Cotrone durante il quale molto si distinguerà, sarà annesso ala Compagnia del Maggiore D.n
Nicola Gualtieri Panedigrano
.
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Anno I– nr. 1/Giugno 2011
.
Il Cardinale Don Fabrizio Ruffo dei Duchi di Baranello-Bagnara
e la mappa della Marcia dell'Armata della Santa Fede per la riconquista del Regno di Napoli
Fin da prima della partenza, il Cardinale teneva in forte considerazione la situazione della Piazza
di Cotrone, che sapeva fortemente influenzata dalle idee giacobine. La conferma dell’adesione al
suo progetto da parte di Don Ferrante Milelli, patrizio cotronese, gli pervenne gradita, così come
l’assicurazione che lo avrebbe raggiunto nei pressi di Cutro.
Fu dopo aver avuta la certezza che Bagnara avrebbe provveduto a costituire un Fondo di Riserva
strategico di mezzi finanziari per affrontare la guerra, che il Cardinale cominciò a parlare al Lord
Acton e alla Regina del progetto di sbarcare in Calabria per marciare sulla Capitale con gli
stendardi della Santa Fede in Cristo, sollevando a massa le popolazioni. L’idea circolava da
qualche giorno a Corte, ove era giunto un appello di Don Rinaldi, parroco di Scalea. Il parroco
scongiurava il Re di mettersi alla testa del movimento popolare che lo avrebbe accompagnato a
Napoli. Troppo legata alla Religione e al Re era la popolazione calabrese e la rivoluzione
repubblicana non aveva attecchito minimamente nel cuore del popolo calabrese. La Croce di
Cristo e Sant’Antonio avrebbero protetta la marcia gloriosa.56
L’idea aveva un senso.
Se alla testa della controrivoluzione si fosse messo un personaggio carismatico, era certo che il
popolo meridionale lo avrebbe seguito. Il Re o il Principe Ereditario avrebbero certo scatenato gli
entusiasmi riverenti della gente, ma in questo caso serviva anche una “motivazione” forte perché
oltre l’entusiasmo, occorreva il consenso. Consenso che scaturiva dalla convinzione di dover
proteggere le proprie cose da gente “infedele” e “assassina”.
La coniugazione era: Cristo – il Re – il proprio lavoro.
Occorreva dunque un personaggio religioso che desse l’idea di “protettore generale” unitamente a
“difensore” della “calabresità”. Il Cardinale era convinto di potercela fare se avesse potuto contare
su un buon sostegno finanziario. Aveva infatti a mente di organizzare i contingenti sulla base, si,
del volontariato, ma compensato con il soldo, quale azione di coesione fra il popolo e il Re. Ma non
si fidava di quanto andava asserendo il Principe di Luzzi sulla Cassa Generale del Regno affidata
al Tesoriere del Re, il Marchese D. Francesco Taccone in arrivo a Messina. Il Principe asseriva
56
ANTONIO MANES, Un Cardinale condottiero. Fabrizio Ruffo e la Repubblica Partenopea, Jouvence ed., Roma
1996, pg. 95
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QUADERNI BAGNARESI
Anno I– nr. 1/Giugno 2011
che sarebbe stata messa a sua disposizione per l’eventuale spedizione. Questi dubbi lo avrebbero
bloccato se non fosse stato proprio per Don Pascalino: la prima Cassa di Riserva era già
disponibile a Bagnara.
Al ritorno in Calabria, Don Pascalino e il Tenente Carbone riferirono che Sua Eminenza stava
decidendo positivamente di attaccare e alla fine un sistema coeso si installò fra Palermo, la Reale
Piazza di Reggio, Messina, le Zone Anseatiche calabresi del Canale e l’entroterra aspromontano.
La Regina, dopo aver valutato la tenuta politica della Calabria attorno alle istituzioni borboniche, si
era lasciata trascinare dall’entusiasmo.
Le cittadine calabresi che avevano innalzato l’Albero della Libertà, riteneva non avessero influenza
sulla struttura civile calabrese, aveva ragione Don Rinaldi. Maria Carolina lo dichiarava: Bagnara si
mantiene, così come Scilla e Reggio, non vi era pericolo. Tuttavia bisognava fare presto. Il vento
della Rivoluzione era imprevedibile e i francesi avrebbero potuto approfittare di una distrazione per
correre il Canale con una flotta.
Tutto sarebbe andato perduto.
Alla fine Lord Acton approvò
l’operazione e la mise come
ordine del giorno in un
Consiglio di Stato per ottenere il
placet reale. Il Consiglio si
dichiarò favorevole con la
motivazione
di
prevenire,
sedando la rivoluzione in
Calabria, i movimenti giacobini
che avrebbero potutoessere
traghettati
verso
Messina,
Catania e Palermo, ove la
Massoneria
e
l’Illuminismo
avevano già attecchito.
Il Governo si era dato un
obiettivo diversificato: un profilo
strategico,
individuato
nel
“risanamento” della Provincia
Calabrese a protezione della
Sicilia, e uno tattico, agevolare
le
masse
sanfediste
per
l’avanzata
verso
le
altre
Province alla riconquista della
Capitale che però, nel progetto
reale, doveva ascriversi alle
truppe regolari appoggiate dagli
alleati europei: Gran Bretagna,
Russia e Turchia.
Per nessun motivo la Corte
avrebbe accettato di negoziare,
a qualsiasi titolo, con i giacobini
napoletani:sarebbe significato
un
riconoscimento,
seppur
implicito,
della
forma
repubblicana
di
governo,
creando un precedente.
Fabrizio Ruffo Bagnara "Alter Ego" del Re in Calabria
Capo dell'Armata della Santa Fede
e la sua firma autografa
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QUADERNI BAGNARESI
Anno I– nr. 1/Giugno 2011
Le formazioni militari che avrebbero realizzato le
Province, sarebbero state prevalentemente
formate da truppe regolari per trovarsi nella
stessa condizione formale del nemico al quale
offrire battaglia. Tale nemico era la Francia.
Si tratta della teorizzazione della Riconquista
elaborata dalla Corte.
In essa traspare la sfiducia nella spedizione di
Ruffo (al quale non vennero concessi molti
mezzi) e attenzione e speranza in una pace
negoziata dagli alleati dopo una guerra
vittoriosa contro i Francesi. In tal senso,
l’influenza di Nelson fu determinante.57
S.E. Don Fabrizio Ruffo & Colonna
dei Duchi di Baranello & Bagnara
Cardinale Diacono
Alter Ego di S.M. il Re e Comandante in Capo
dell’Armata Cristiana e Reale della Santa Fede
7.- I PREPARATIVI PER LA SPEDIZIONE IN
CALABRIA
Ispettorato della Milizia “a voce”
Aiutante Reale Marchese Filippo Malaspina
PRIMA FORMAZIONE
DELLA «ARMATA CRISTIANA E REALE»
Truppe Regolari
Ten. D. Natale Perez De Vera
(coll'impiego di Capitano)
Truppe a massa
Ten. di Provincia D.Francesco Carbone
(coll'impiego di Capitano)
Segreteria dello Stato Maggiore
Avuta notizia positiva sul progetto di sbarco in
Abate D. Lorenzo Spaziani
Calabria, il Cardinale inviò a Lord Acton una già 1° Minutante nella Segreteria di Stato Pontificia a Roma
memoria58 con la quale elencava la sua
Affari di Stato per le Province liberate
Caporuota D. Angelo Di Fiore
dotazione di base. Scorrendo i punti di questa
richiesta, si comprende la levatura del
Regio Tesoriere Generale dell'Armata
personaggio: raffinatezza politica, orizzonte
Dottor Fisico D. Pasquale Versace
Priore
della
Confraternità dell'Immacolata di Bagnara
capace di abbracciare piccoli particolari della
sociologia delle masse, scenario economico nel
Cappellano militare e Padre Spirituale del Cardinale
D. Annibale Caporossi
quale le masse si muovevano e ragionavano e
dell’arte militare con l’estrapolazione delle
Confessore personale del Cardinale
Padre D.Gaetano Richichi
iniziative per affrontare i problemi, nel teatro di
Parroco in Sant’Eufemia d’Aspromonte
guerra e negli effetti collaterali:
Commissario di Guerra
1. Esame di tutte le carte degli affari politici e
Dottor Fisico D. Domenico Petromasi
militari. Gli aiuti attesi dall’Imperatore,
membro dello Stato Maggiore di S.M. Siciliana
Russi, Turchi e Inglesi in consistenza e
STRUTTURA DELLA TRUPPA
disponibilità reale. Relazione esatta dello
E EROGAZIONE DEL «PREST»
stato di Napoli, le carte, i proclami colà
Soldato Regolare o Volontario: 25 grana al giorno
pubblicati ed il ragguaglio dei fatti ivi
1 Caporale ogni 15 Soldati: 35 grana al giorno
recentemente
seguiti.
Ciò
dovrà
1 Sottocapo o Sergente ogni 30 Soldati:
5 carlini al giorno
mantenersi nel senso che egli durante la
campagna di guerra sarà immediatamente
informato di tutto quanto accade nella Capitale
2. Distinta degli ufficiali presenti nelle province e la disponibilità di “miliziotti” che possono
mettere a disposizione.
3. Disponibilità di una somma per le occorrenze più delicate e scabrose.
4. Tenere aperta la comunicazione fra la Siciliaed il Littorale del Regno, ciò che potrebbe
ottenersi impiegando alquante speronare, oppure le barche dette coralline, e convenendo
con loro segnali che assicurino di essere il paese tuttavia alla devozione di S.M. e perciò
sicuro. Per ottenere un tale intento crede necessario che le forze marittime, così regie come
quelle dé nostri alleati, scorrendo di continuo il Littorale (…) e tengano lontano dalle nostre
rive i corsari Francesi e i Barbareschi e così rendano facile il trasporto e dei viveri e delle
munizioni che si mandassero dalla Sicilia al Continente. Una volta sbarcato in Calabria e
assicurata la fedeltà di quei territori, è inutile tenere la flotta all’ancora in quei lidi, meglio farla
53
MALASPINA, 49
F.RUFFO, Schiarimenti ed aiuti richiesti dal Cardinale Ruffo a S.E. il sig. Generale Acton per disimpegno della
commissione a cui venisse destinato da S.M. (D.G.) nel Regno di Napoli o sia nelle province di esso, ASN. Affari
Esteri, 666 e pubblicato da B. Maresca in ASPN, a. III, fasc. I (1883). Il documento originale fu scritto dall’Abate
Spaziani sotto dettatura del Cardinale. Una collaborazione che poi durerà per tutto il corso della Spedizione.
58
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Anno I– nr. 1/Giugno 2011
scorrere lungo il litorale interessato alle attività operative della campagna di guerra. In questa
maniera la popolazione sarebbe rimasta assicurata che la devozione al Re del Paese era
intatta.
5. Per le prime operazioni di guerra, il Cardinale chiedeva almeno un reggimento munito di
cannoni in doppio numero, come riserva, colla quantità abbondantemente corrispondente di
munizioni al numero di essi cannoni; desidererebbe parimenti i proporzionati artiglieri e se
fosse possibile, anziani nel servizio. Quindi chiedeva
vestiario uniformato in modo da vestire i
6. disertori che coll’aiuto dei paesani, avrebbe
potuto rintracciare e reintruppare. Era importante
perché si sarebbe costituita una qualche forza capace
almeno di far rispettare l’autorità sovrana nei luoghi
anche se “immuni dalle armi nemiche”. Il Cardinale
reputava importante questa circostanza, perché la forza
costituita avrebbe potuto proteggere le attività
produttive nei paesi attraversati, quelle attività che, se
arrestate, avrebbero messo in crisi il sistema
economico meridionale e reso precaria la spedizione
stessa, in mancanza di approvvigionamento.
7.
L’amore per la Religione e l’affetto per il Re
produrranno sicuramente il consenso alle ragioni della
spedizione, tuttavia è necessaria una Cassa Militare se
vogliamo conservarsi quieti ed affezionati alla buona
causa i vassalli di S.M. i quali altrimenti sarebbero
vessati dalla truppa senza che potesse impedirsi così
grave inconveniente. Ed è bene che il Cardinale abbia il
potere di prelevare somme dai Regi Percettori.
8.
Domanda la più ampia facoltà di procedere
contro le persone di tutti i ceti e anche i militari, se
Duomo di Ferrara: Miracolo di San Tommaso. riterrà ciò necessario, giacché ha osservato quanto sia
Lascito del Cardinale Tommaso Ruffo
stato sensibile il nocumento arrecato alla pubblica
causa quando si disgiunse l’autorità politica dalla forza
militare. Ciò anche perché sarà facile trovare una qualche forza militare al comando di
persona infedele e sarebbe in tal caso difficile neutralizzarla senza gli adeguati poteri.
9. Quindi il Cardinale aggiunge un passo strategico che bene pone in evidenza la sua capacità
di intuire le sensibilità delle genti e adoperarsi per conciliarsi con esse: sarebbe bene che i
Calabresi e i Leccesi ed altri sudditi provinciali fossero persuasi che allorquando si fosse
formato un corpo sufficiente di truppe, S.M. (D.G.) verrebbe a prenderne il Comando; e prega
il Cardinale che gli sia permesso di fare almeno nascere tale speranza in quelle province, se
non si crede opportuno il viaggio dell’istessa M.S. per quelle parti. Un passo notevole.
10. Chiede quindi il permesso di affiancare segni religiosi a quelli militari sulle divise e più
precisamente il segno della Croce e l’immagine della Vergine. E anche questo è geniale: la
controrivoluzione non dovrà essere essenzialmente un movimento politico, quanto un
movimento sociale, la difesa di valori “vissuti” quotidianamente dai meridionali. Il Cardinale
ben percepisce questi effetti. E’ per questo che chiede l’aiuto dei Vescovi.
11. Il Cardinale è cosciente di avere scarsa conoscenza delle Leggi e delle Finanze del Regno e
chiede il supporto di qualche Magistrato che lo accompagni.
12. La Spedizione certamente produrrà la necessità di arrestare e giudicare nemici e traditori,
ladri e approfittatori. Chiede dunque la facoltà di eleggere una Giunta per l’Amministrazione
della Giustizia criminale e civile.
13. Il cardinale chiede che i suoi quadri militari siano composti da ufficiali di fiducia, reperiti fra i
dispersi “nelle passate disavventure” purché si abbiano documenti che si sieno condotti
onoratamente.
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14. Tutti gli ordini provenienti dalla Corte, dovranno essere vistati espressamente al Cardinale,
anche se espressamente o personalmente indirizzati al personale della Spedizione. In caso
NAPOLI – SAN DOMENICO MAGGIORE
La tomba ducale della Gran Casa di Bagnara, sepoltura anche del Cardinale Don Fabrizio Ruffo.
Si trova sul pavimento della Cappella di Bagnara, dedicata a Santa Caterina d’Alessandria.
Ospita anche alcune sepolture della Nobile famiglia Tomacelli, legata ai Ruffo da antica amicizia e parentela
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Anno I– nr. 1/Giugno 2011
diverso vi sarebbe perpetua altercazione fra il capo ed i membri componenti il Governo.
Lord Acton attivò i funzionari del Ministero degli
Interni. Si mise in contatto con la fortezza di
Messina e dispose che a Sua Eminenza fosse
riservata attenzione e cura, e le fosse stata
messa a disposizione la famosa Cassa Reale di
500.000 ducati, e il munizionamento disponibile.
Le altre disposizioni militari sarebbero seguite
nell’immediato. Il Principe di Luzzi, si recò dal
Cardinale per assicurarlo in tal senso.
Il 25 gennaio il Re ricevette il Cardinale e gli
consegnò nel corso di una cerimonia, le insegne
di Alter Ego del Re in nome e per conto del
quale avrebbe agito con autonomia subconditione, cioè per le urgenze, del fare,
giudicare e decidere legiferando. Gli concesse
l’autorità di governo nella fase della campagna
militare e gli consegnò il Diploma di Vicario
Generale che conteneva, in sintesi, le seguenti
preposizioni:59
1. Assumere la difesa delle zone del
Regno non ancora invasa dé
disordini di ogni genere e della
rovina che la minaccia nell’attual
seria crisi;
2. La Calabria era la parte che
premurosamente ho a cuore di porre
la prima nel massimo grado di
praticabile difesa e dopo di essa, la
Basilicata, le Province di Lecce, Bari
e di Salerno, l’avanzo della Terra di Lavoro e di Montefusco ch’è restato dopo la
scandalosa cessione fatta, dovranno essere difese con la massima energia.
3. Il Cardinale dovrà impiegare ogni mezzo per difendere la Religione, la proprietà, la vita
e l’onore delle famiglie e ricompenserà chi si distinguerà nella difesa dei principi del
Regno così come adopererà ogni mezzo per castigare severamente chi oserà mettersi
contro i principii del Regno.
4. I fautori delle moderne opinioni e dé maneggi rivoluzionari in realtà, com’è dimostrato
nelle altre parti d’Italia e in Svizzera, sono novità che lusingano l’ambizione di alcuni,
con l’idea di acquistare per rapine, colla vanità e l’amor proprio di altri. Contro ciò
bisogna suscitare l’amore e l’entusiasmo negli abitanti per la giusta difesa e il Cardinale
dovrà adoperarsi per eccitarla
5. Nella qualità di Commissario Generale e di Vicario Generale del Regno quando sarà in
possesso di una idonea forza militare, il Cardinale è autorizzato a emanare proclami
mirati alla riconquista del Regno.
59
Il testo completo è in SACCHINELLI, 82-89 e anche in: Conte GENNARO MARULLI, Ragguagli storici sul Regno
delle Due Sicilie dall’epoca della Francese Rivolta fino al 1815, vol. I°, L.Jaccarino ed., Napoli 1845, da pg. 290. (ma
erra sulla località dello sbarco del Cardinale, indicando la spiaggia di Catona anziché la Punta del Pezzo). Come si nota
dalla lettura del diploma di Alter Ego, non è vero che il Cardinale fu munito di pieni poteri assoluti. In realtà il Re lo
subordinava a lui nelle decisioni le più strategiche, lo avvisava che gli avrebbe anteposto comunque la struttura militare
regolare, se si fosse formata o recuperata e gli faceva intendere che conclusa positivamente la campagna di Calabria, la
successiva marcia di riconquista sarebbe avvenuta in sintonia con le truppe regolari, gli alleati europei e la flotta di Sua
Maestà Britannica. La Corte di Palermo insomma, metteva le mani avanti negando a priori la piena legittimità alle
truppe a massa esattamente come negò, anzi rifiutò implicitamente, la difesa offerta dai Lazzari e dal popolo napoletano
preferendo la fuga.
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Anno I– nr. 1/Giugno 2011
6. Il Cardinale, nella facoltà di Alter Ego, potrà: rimuovere personalità dell’Amministrazione
Pubblica e Giudiziaria del Regno, sospendere, arrestare e allontanare ufficiali militari,
nominare ad interim nuovi ufficiali e amministratori chiedendo poi conferma al Re.
7. l’Eminenza assumerà la carica di Commissario Generale o di Vicario Generale nelle
circostanze che riterrà più opportune, avendo egli la carica di Alter Ego del Re per la
campagna di guerra.
8. Il Cardinale dovrà assicurarsi l’obbedienza e la sottomissione di coloro che sono presi
dal seme che possa germogliare nella disorganizzazione delle Autorità da me stabilite o
dalla disposizione di alcuni al sovvertimento. Per ottenere ciò, il Cardinale dovrà
adoprare con severità e prontuariamente ogni più rigoroso mezzo di castigo.
9. Tutte le Casse Regie saranno amministrate dal Cardinale che curerà che nessuna
somma giunga alla Capitale
10. Il Cardinale dovrà rendicontare
sempre il Re sul suo operato e
sulle
intenzioni
che
vorrà
assumere, ma se non vi sono
urgenze, dovrà sentire le mie
risoluzioni e ricevere i miei ordini.
Questa clausola è determinante.
Quando il Cardinale tratterà coi
Repubblicani a Napoli concedendo
loro il passaporto per l’esilio,
l’Ammiraglio Nelson disconoscerà i
patti
facendo
arrestare
i
rivoluzionari (che poi verranno tutti
giustiziati) e al Cardinale verrà
spiegato che la sua azione non fu
concordata col Re né da lui
NAPOLI - SAN DOMENICO MAGGIORE
benestariata.
Cappella di Bagnara: Altare di Santa Caterina d'Alessandria
11. Il Cardinale sceglierà giuristi di
fiducia ai quali affidare le decisioni sulle cause più serie per la prima istanza e l’appello.
12. Il Cardinale dovrà raccogliere tutte le truppe sbandate e porle sotto il suo comando
supremo affidandole prevalentemente a ufficiali regolari. Se invece si presenterà una
formazione militare in corretto ordine, comprensiva dei quadri superiori come ad
esempio il Duca della Salandra, allora il Cardinale dovrà attenersi a disposizioni
particolari che gli verranno comunicate.
13. Il Cardinale avrà la libertà di concedere premi e compensi in denaro ai più meritevoli,
mentre dovrà chiedere il benestare del Re per le promozioni.
14. Il Cardinale avrà un appannaggio di 1.500 ducati al mese variabile in aumento secondo
le necessità. L’appannaggio e le somme collaterali, dovranno risultare senza peso
alcuno a qué popoli ed Università.
15. Il Cardinale è stimolato a creare un servizio di spionaggio che lo aggiorni
continuamente sullo stato della Capitale e vi insinui lo spirito controrivoluzionario. Per
attuare ciò, il Cardinale è autorizzato a impiegare le somme di denaro che riterrà le più
opportune.
16. Il Cardinale ha piena fiducia del Re. Egli è certo che Ruffo saprà individuare e punire i
delinquenti. Potrà parimenti contare sui Presidi (in particolare quello di Lecce, scrive il
Re), molti vassalli, i Vescovi, parroci e onesti Ecclesiastici che informeranno il Cardinale
di tutto.
17. L’Imperatore, il Turco e i Russi hanno promesso soccorsi. Il Cardinale è informato che
soprattutto i Russi sono prossimi allo sbarco ed egli le ammetterà nella marcia verso la
Capitale
18. Il Cardinale provveda a stabilire una staffetta sicura e affidabile che due volte la
settimana informi il Re sullo stato della campagna di guerra.
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Presentato il suo “notamento” e ricevuto il diploma reale, il Cardinale cominciò a definire con Lord
Acton i piani per lo sbarco in Calabria.
Il Primo Ministro aveva mai visto di buon occhio il potente Cardinale. Invidioso per indole, l’inglese
s’era arricchito a Corte scalando le posizioni mai per bravura.
L’entourage della Corte lo considerava inetto, vigliacco, incapace e tuttavia un maestro
nell’ingraziarsi i favori delle cortigiane e della sua amante: la Regina Maria Carolina, a fianco della
quale, egli aveva piazzato una bagascia d’alto rango: lady Emma Hamilton, moglie di lord
Hamilton, troppo indaffarato negli studi scientifici per accorgersi della moglie che, insieme alla
Regina, lasciava di notte il Palazzo Reale di Napoli per frequentare i postriboli del porto, farsi
sbattere da brutali scaricatori e abbandonarsi a esecrande dissolutezze, non solo per quei tempi
lontani.
Dunque Lord Acton appoggiò la spedizione del Cardinale, certo che sarebbe fallita e magari con la
fine violenta del rivale e per questo la favorì.60
Avrebbe potuto portare a un disastro per il destino della Monarchia? No.
Gli Inglesi e i Russi (ne era sempre più convinto) avrebbero garantita la salute della Corte Siciliana
in attesa che l’Europa tornasse alla tranquillità dell’Ancien Régime.
Alla fine la staffetta partì verso il Presidio di Messina per consegnare gli ordini al Generale Danero,
Governatore della Piazza di Messina, mentre Angelo Di Fiore e Don Pasquale Versace venivano
avvisati della positiva definizione del Piano.61
Il 27 Gennaio 1799 al Cardinale si presentò il Marchese D. Filippo Malaspina, Aiutante di Campo
del Re per mettersi al suo servizio su disposizione del Sovrano e quindi, scortato dalla Guardia
Reale, il convoglio militare raggiunse il porto e s’imbarcò sul postale che gestiva la rotta con
Messina.62
Il Cardinale divenne nervoso dopo la presentazione di Malaspina. S’intuirà il perché solo quando
l’Armata sarà al Pizzo, colà Malaspina lascerà il Cardinale per scortare alcuni prigionieri a Messina
(un escamotage del cardinale per levarselo di mezzo) e verrà sostituito nella carica da Don Ciccio.
Il quale Don Ciccio, forse non contento per la carica propostagli nell’Armata, si rifiutò a Palermo, di
seguire il fratello.
Ecco perché Malaspina ricevette la nomina a Ispettore di Guerra solo “a voce”, quasi un ripiego,
come vedremo.
Nel frattempo la Piazza di Reggio si mobilitò e nei centri abitati della Provincia giunse la
comunicazione attesa: il Cardinale di Bagnara era in viaggio. I parroci salirono sui pulpiti e
scagliarono le requisitorie a difesa della Religione, delle famiglie, delle piccole proprietà e contro i
dissacratori: quei Francesi ai quali s’appoggiavano i traditori giacobini.
60
T.PETTIGREW, Memoirs of the Life of Vice-Admiral Lord Viscount Nelson, K.B.Duke of Bronte, Boon ed., Londra
1849.L’opinione è ripresa da diversi studiosi della Rivoluzione Partenopea del 1799 e della vita del Cardinale di
Bagnara; cito per tutti: P. CALA’ ULLOA, Intorno alla Storia del Colletta, NA. 1877, pg. 105; HELFERT, F.R. …, cit.,
pg. 90. VINCENZO RUFFO, Il Cardinale Fabrizio Ruffo e la controrivoluzione del 1799, ASC a. VI (1918), p. 58.
61
Anche la Regina non era sicura della riuscita del piano. Era speranzosa sul trinceramento delle Calabrie ma non oltre.
Tuttavia sollecitò anch’ella il Governatore Danero, ma si lamentava scrivendo a Vienna che in Sicilia una cosa è dare
ordini e un’altra eseguirli in un Paese avvolto nell’apatia e nel rilassamento (HELFERT, F.R. …, cit., pg. 94).
62
Il Principe di Luzzi aveva scritto una nota che il 27 gennaio era stata recapitata al Marchese Malaspina. Con essa, il
Principe lo avvisava che il Cardinale aveva proposto al Re il suo nome per l’incarico Ispettore a disposizione del
Vicario Generale per l’Armata. Il Principe, nel comunicare ciò, si rifaceva a un dispaccio di Lord Acton. Malaspina
valutò positivamente il dispaccio ancorché da subito fosse certo che si era optato sul suo nome dopo il rifiuto di Don
Ciccio ad accompagnare il fratello in Calabria, un’indiscrezione questa, che era volata sulla bocca di tutti nella Palermo
salottiera (MALASPINA, Occupazione…, cit., pg. 181). Malaspina quindi si recò da Acton facendogli notare di essere
ancora capitano e di convenire con lui che per un consona posizione all’interno dell’Armata, era necessaria una sua
promozione al grado superiore. Lord Acton rispose con calma serafica che Ruffo aveva la facoltà per concedere
promozioni (ANONIMO, Osservazioni …, cit., pg. 10). Malaspina allora si recò da Ruffo per chiedere l’avanzamento di
grado asserendo che Acton lo aveva assicurato sulle facoltà concesse al Cardinale. Ruffo rispose indispettito: «Oh
bella!, essi che sono Militari ne sanno meno di me che sono Ecclesiastico! Se io vi avessi preso con me dovrei io
pensare a voi, ma mandandovi il Re con dispaccio alla mia immediazione, è il Re che deve fare e non io!». E fu così che
Malaspina apprese che il Cardinale neanche lo conosceva e che una colossale trama s’era intessuta per mettere in chiara
difficoltà Ruffo (ANONIMO, Osservazioni …, cit., èg. 10).
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Anno I– nr. 1/Giugno 2011
Quel che il Cardinale aveva previsto (e Don Rinaldi aveva intuito) si stava verificando. Il Cardinale
s’apprestava a sbarcare in Calabria preceduto da tre fattori vincenti:63
1) Il cognome Ruffo – la potente dinastia calabrese all’interno della quale la Gran Casa di
Bagnara splendeva di fulgore ovunque nella “Santa Terra” calabrese;
2) L’avversione della popolazione per i Francesi
3) La figura cardinalizia che in Calabria non s’era mai più veduta dai tempi di Don Tommaso e
di Don Antonio Ruffo, visitatori a Bagnara nei tempi precedenti.
8.- TENSIONI A BAGNARA POCO PRIMADELLO SBARCO IN CALABRIA DI RUFFO
La turbolenza del momento favorì peraltro nei paesi calabresi, l’acuirsi di antiche rivalità. Adesso
col Cardinale che s’avvicinava, emersero impetuose.
A Bagnara, centro di smistamento dei commerci calabresi, non s’erano sopite le rivalità e gli odi
susseguenti al terribile Terremoto del 1783. La
precarietà
del
momento
diede
luogo
ad
accaparramenti di beni, sequestri, espropriazioni e
concorrenza scorretta. Se il Terremoto del 1783
aveva causato la rovina di molti benestanti compresa
la Gran Casa che si vide depauperata di molti dei
suoi tenimenti, fu anche veicolo per improvvisi e
brutali arricchimenti e alla fine, l’odio non si era
placato, alimentato altresì dalle operazioni di
ricostruzione, che ancora erano in atto e che
spostavano interessi fra le consorterie al governo del
Paese.
La ricostruzione del Paese terremotato infatti, aveva
impresso un’accelerazione allo sviluppo delle attività
manifatturiere, cantieristiche, agricole e commerciali
di Bagnara.
I mastri artigiani lavoravano su più turni per
soddisfare la domanda di manufatti di tutti i tipi
mentre si esportava verso Messina più del doppio
rispetto a una normale stagionalità economica. Sul
litorale i trasporti sbarcavano pietra di Siracusa,
articoli d’arredo e da costruzione, beni di consumo
ed esportavano prodotti della terra e manufatti da
telaio di tutti i tipi, legname grezzo e lavorato.
Mancava in Bagnara un centro ma anche una mentalità di coordinamento delle fonti produttive e di
convergenza imprenditoriale. La spinta della domanda dava ad ognuno occasioni di potenziamento
della propria attività e mancando il senso della managerialità legata all’investimento produttivo,
ognuno “tendeva” naturalmente, a cercare di proteggere il proprio lavoro e la propria posizione
dagli altri.
Dunque un conflitto sotterraneo, costituito da congiure, sotterfugi, iniziative prese di soppiatto,
trabocchetti e intimidazioni che l’un l’altro gli esponenti della borghesia e della nobiltà bagnarota, si
offrivano avendo come teatro principale le Confraternite e gli uffici comunali. Fu solo l’eccezionale
dimensione della domanda ad impedire che tale stato di conflittualità non conducesse alla
degenerazione dell’equilibrio sociale innescando faide mortali.
Adesso, a più di dieci anni dal Terremoto, i processi della ricostruzione stavano iniziando a
rallentare, così andavano ad acuirsi le rivalità e a rafforzarsi le consorterie.
Infatti le posizioni antagoniste adesso si delineavano perché le consorterie si costituivano fra
coloro che si riconoscevano in comuni interessi rispetto agli altri, anche solo perché magari gli uni
avevano contratti di fornitura e gli altri no e proprio per questo e magari solo per questo erano da
63
MALASPINA, Occupazione …, cit., pg. 69.
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QUADERNI BAGNARESI
Anno I– nr. 1/Giugno 2011
affossare. E adesso c’era questa
Rivoluzione: un ottimo motivo per
agganciare
all’ideale
patriottico
e
antigiacobino i propri interessi a
sterminare i rivali.
In questo clima un “tristo del paese,
indegno figlio di degno padre”64mosso
esclusivamente da un “consistente
profitto”, organizzò e finanziò alcuni
facinorosi, dopo averli istigati contro i
“cappelli” della Città additandoli come
amici dei giacobini di Napoli, assassini,
nemici della Santa Religione dei Padri,
avversari di un Re buono e giusto come e
più di un padre di famiglia e soprattutto
Sant'Antonio guida l'Armata della Santa Fede con in testa il Cardinale usurpatori del bene comune della Città,
che spiega al vento la bandiera crociata. Sant'Antonio "vincerà" affamatori e nemici del “popolo basso”.
contro il "traditore" San Gennaro, che compì il miracolo dello Chi era il “tristo del paese”? La
scioglimento del sangue davanti ai Francesi "giacobini".
documentazione consultata non lo indica,
dunque non sappiamo.Ma gli indizi conducono a un personaggio appartenente a una famiglia da
sempre impegnata nelle attività pubbliche: il notaio Pietro Fedele. Il potente personaggio
bagnaroto, fornì, come già annotato, aiuto determinante al Tenente Carbone e all’Uditore Di Fiore
per l’arresto dei Giacobini di Reggio nel 1794 e nel 1798. Ma se qualche dubbio vi può essere
sull’identificazione del “tristo del paese”, è certezza il teatro, uno scenario che diede inizio a una
lunga stagione di guerra civile che gettò Bagnara in mano ai Briganti e la ridusse a un crogiuolo di
lacrime e sangue.
Il “tristo del Paese” coglieva la controrivoluzione per prendere vantaggio a Bagnara, praticamente
paralizzandone le attività. Nel mirino c’erano diverse personalità: le famiglie Messina, Parisio,
Patamia, De Leo (in forte ascesa in quella fase) ma soprattutto gli Sciplini, grandi finanzieri del
commercio dello Stretto e carichi di un prestigio che andava oltre i confini della cittadina anseatica.
Famiglia leale verso la Monarchia e pervasa da sincero patriottismo, era amata dalla popolazione
locale per gli interventi caritatevoli e di sostegno al lavoro di base dei coffari e dei rasolari.
Gli operatori economici locali e i commercianti forestieri si rivolgevano a loro e la famiglia
interagiva con gli esponenti della Congreghe Rosariana e Carmelitana. Una Élite che, pure, non
vedeva di buon occhio i francesi e avversava lo spirito giacobino dichiarando anch’essa fedeltà al
Borbone e al suo sistema economico nel quale si sentiva integrata.
9.- LA FORMAZIONE DELLA BANDA CALARCO A BAGNARA
Ma come detto, la parte estremista, reazionaria dell’alleanza antigiacobina, aveva tramato la rovina
dei concorrenti commerciali per trarre vantaggio economico e di potere dalle circostanze. Per
conseguire i migliori risultati, Il “tristo del Paese” e i suoi alleati, con l’appoggio e benestare
dell’Uditore Di Fiore che ne coglieva l’aspetto del “controllo” antigiacobino della Città anseatica,
organizzarono alcuni manovali e contadini frustrati da una vita miseranda, disperata.
Denaro, vino, pistole e coltelli a volontà esaltarono gli animi di questa gente in capo alla quale
vennero posti i tre fratelli Gianni, Vincenzo e Gregorio Calarco.
Erano costoro dei poveri mulattieri che menavano una vita di stenti trasportando piccoli carichi
lungo i sentieri che dal Borgo di Bagnara, conducevano alle difficili alture oltre le quali stavano i
Piani della Corona e la Via Regia delle Calabrie.
Gianni Calarco era privo di un braccio e tuttavia esercitava il carisma sugli altri fratelli, “caricato”
dalla brutalità che caratterizzava “Giannazzo”, sofferente della condizione di menomato e di
faticatore delle rasole.
64
La definizione è annotata in una Memoria anonima uscita a stampa nel 1861. (Archivio Privato dell’Autore)
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Anno I– nr. 1/Giugno 2011
Faceva parte di questa banda anche un tal prete Peria (o
Piria), che scorreva per la Città armato di un grosso coltello
gridando l’odio verso i “giacobbini” e tenendo sostenuta la
tensione che animava la Banda Giannazzo.
Pilotata nell’ombra dal notaio Fedele, la banda Giannazzo
impediva lo svolgersi dei commerci dei “cappelli” e bloccava
la gestione amministrativa della cosa pubblica. Man mano
che trascorrevano i giorni, la banda manifestava connotati
violenti che si esprimevano in agguati, rapine ai convogli
commerciali, danneggiamenti ai magazzini e ai mezzi di
produzione e stoccaggio dei mercanti e minacce alle
maestranze di quest’ultimi.
Una situazione insostenibile che convinse all’azione i fratelli
Sciplini, viste anche le insistenze della Élite commerciale e
agricola del Paese. Ed era ciò che l’altra parte della classe
dirigente del Paese, i conservatori,
nservatori, aspettava; che cioè gli
avversari venissero allo scoperto per poterli colpire con
motivazioni a supporto. I “patrioti” a Bagnara erano peraltro
pochi; qualche giovane sognatore che leggeva i fogli
rivoluzionari che arrivavano in Paese non per vvia regolare coi
Procaccia, ma sulla marina, portati dai capi
capi-barca che
collegavano le anse del Canale con Marsiglia e Genova o
commentava in pubblico non sempre negativamente, gli
eventi dei quali erano attori i Giacobini di Napoli. Giovani sognatori che non
n on potevano contare sui
benestanti, i “cappelli”, gli artieri e i padron di barca, seriamente preoccupati, come notato, per il
disordine morale e civile che accompagnava la Rivoluzione Repubblicana.
Dunque non si poteva colpire apertamente con la scusa della
del la lotta antigiacobina, bisognava
lavorare ai fianchi per indebolire la forza economica e finanziaria dei nemici.
E così si mischiarono alla fine le carte. I parroci predicavano dai pulpiti delle chiese gremite e
quelle arringhe sembravano confermate dai padron di barca che ancora riferivano di tumulti
popolari contro i “giacobbini” appoggiati da “quei cani di Francesi”, del sangue che scorreva
ovunque e che tutto era divenuto precario per la brava gente.
Ecco come l’Arciprete Don Francesco Apa, della Chiesa
Chiesa Metropolitana di Santa Severina,
apostrofava la Francia rivoluzionaria:65
Misera, se qui l’avessi d’avanti,, io dir gli vorrei, a qual scuola apprendesti così nefande dottrine: da
qual mammella succhiasti così putrido latte? Non d’altro, che da un chimerico nome, da un’ideale
promessa, ambedue escogitasti, ed inventati dalle potestà infernali. Come! Tu, che nas
nascesti in grembo
alla Chiesa di Dio; Tu che redenta fosti col Prezioso Sangue dell’Umanato Verbo; Tu, che nutrita col
cibo della più sacrosante Dottrine sotto la scorta delle leggi Divine, ed umane, hai avuto il coraggio
d’obbliare la Religione professata, e dé tuoi saggi Antenati profanare le Dottrine, e’l Costume?
Forsennata che fosti! Ambisti? Che? Rovinar la tua stessa Gerarchia per divenire da nobile, vile; da
titolata, plebea; da ricca, povera; da facoltosa, miserabile; da padrone, servo; da uomo grand
grande, un
uomo da nulla; e perché? Per darti in preda ai vizi, al furto, alla rapina, alla debosciaggine. Alla
rilasciatezza: per opporti a Dio, a cui devi l’esser tuo, al Trono, che formava la tua sicurezza; alla
civile Società, che custodiva le più care sostanze!
sostanze! In una parola, per divenir suddito d’una convulsion
vergognosa...
In questo clima precario, era facile per il “tristo del Paese” rendere difficile governare Bagnara e
gestirne l’economia, sicché progressivamente valsero i meri rapporti di forza: da una parte e
dall’altra; chi era armato o poteva contare su scherani con pugnale
p ugnale e pistola alla cintola, aveva la
meglio e con lui i propri interessi naturalmente. E questa arroganza si rinfocolava ogni volta che la
65
D.F.APA, Breve dettaglio di alcuni particolari avvenimenti accaduti nel corso della campagna nella spedizione
dell’Eminentissimo D.Fabrizio Ruffo, esposti nella sua genuina verità dal reverendo sacerdote D.F.A. qual testimone di
veduta, e dei fatti dai 17 marzo a tutto il 13 giugno dell’anno 1799, V.Manfredi ed., Na. 1800, da pag. 6.
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Anno I– nr. 1/Giugno 2011
squadra navale inglese e le cannoniere
borboniche
incrociavano
nel
Canale
cercando la “rema” per fare rotta su Ischia e
Capri. Un avvenimento che adesso si
ripeteva ogni giorno fra andata e ritorno. La
violenza gratuita dei briganti al seguito di
Giannazzo, si vestiva di legalità cercando di
fare avallare l’alleanza colla Marina di Sua
Maestà e la benevolenza di Re Ferdinando
ma in realtà governava una giustizia a un
solo senso, a discrezione di chi prevaleva
per forza e intraprendenza.
10.- FABRIZIO RUFFO E I PREPARATIVI
DI MESSINA
Il 30 Gennaio 1799 il postale dov’era
imbarcato il Cardinale gettava l’ancora di
fronte al porto di Messina. Le promesse del
Principe di Luzzi s’erano concretizzate in
3.000 ducati di dotazione che sarebbero
dovuti servire al Cardinale per operare lo
sbarco in Calabria e procedere lungo le
prime tappe programmate.
Col Cardinale (all’epoca aveva 55 anni)
erano l’Abate D.Lorenzo Spaziani, all’epoca
di 60 anni, che ebbe un impiego fisso
remunerato
con
50
ducati
al
mese,66l’Aiutante Reale Marchese D.Filippo
Malaspina, il cameriere privato Carlo
Cuccaro e tre servitori.67
Lord Acton, come detto, aveva da una settimana inviato dispacci al Tenente Generale D. Giovanni
Danero, Comandante del Forte di Messina, per l’approntamento della Cassa di Guerra e del
munizionamento che il Cardinale avesse ritenuto di voler prelevare per la prima bisogna. Altri
dispacci avevano raggiunto l’Uditore Angelo Di Fiore, il tenente Francesco Carbone e il Preside di
Catanzaro.Il Colonnello D. Antonio Winspeare era fuggito da Catanzaro durante la rivoluzione
giacobina della Città, aveva programmato di imbarcarsi a Scilla per raggiungere Palermo, ma
mentre era in viaggio, fu fermato a Bagnara insieme ad alcuni funzionari esperti
nell’amministrazione della Provincia; bisognava infatti garantire da subito la regolare
amministrazione delle prime zone liberate e in effetti da Bagnara Winspeare cominciò
immediatamente a operare gestendo i controlli sulle informazioni provenienti dall’esterno.
Ordini anche per il Brigadiere Generale Cav. D. Nicola Macedonio, Comandante della Piazza
d’Armi di Reggio.
Il 31 gennaio il Cardinale metteva piede a Messina e si recava al forte per incontrare il Generale
Danero.
Stabilite le azioni, Ruffo accolse nel suo seguito il sessantenne D. Annibale Caporossi, prelato
romano a Messina per affari e il medico D. Domenico Petromasi da Augusta, esperto nei commerci
agricoli.68
Appena la staffetta ebbe portata alla Piazza di Reggio la notizia dell’arrivo del Cardinale a
Messina, il Cavalier Macedonio incaricò il Maggiore D. Emmanuele Alfan De Rivera di raggiungere
l’alto Prelato per rappresentargli la pericolosità del momento. Il Maggiore così raggiunse, dopo
66
B.MARESCA, Carteggio…,cit., ASPN, a.VIII, fasc.II (1883), pg. 229
D.PETROMASI, Storia della Spedizione dell’eminentissimo Cardinale D.Fabrizio Ruffo allora Vicario Generale per
S.M. nel Regno di Napoli e degli avvenimenti e fatti d’armi accaduti nel riacquisto del medesimo, V.Manfredi ed., Na.
1801, pg. 2. Secondo Malaspina la comitiva era formata da sette persone (MALASPINA, 68. HELFERT, 93.)
68
PETROMASI, 2
67
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Anno I– nr. 1/Giugno 2011
qualche giorno del suo arrivo a Messina, il Cardinale che
intanto continuava a discutere col Generale Danero e a
scambiare epistole col Principe di Luzzi, senza ottenere
assicurazioni
urazioni sulla Cassa e gli armamenti.
Nella Piazza di Reggio, riferiva il Maggiore, era mancata
la posta repubblicana ma adesso alcuni plichi erano
sfuggiti alla censura proprio di Winspeare, ed erano così
stati resi noti i dispacci da Napoli che predicav
predicavano di
“Libertà” e di “Uguaglianza”, della democratizzazione del
Paese. Concetti nuovi per le contrade meridionali
calabresi; nessuno li aveva fino a quel momento preso in
considerazione e se ragionati e portati alla comprensione
del mondo contadino, avrebbero
bero potuto innescare
fermenti pericolosi; si vociferava anche che il Generale
Championnet a Napoli aveva manifestato l’intenzione di
proteggere la proprietà terriera e di avvalersi nelle
Province liberate dal gioco borbonico, proprio dei
proprietari terrieri
eri per veicolare i principi repubblicani fra
la gente. Se queste notizie fossero state confermate in
Calabria e soprattutto a Reggio, sarebbe stata la fine per
il movimento controrivoluzionario e anche la Sicilia
sarebbe stata, a quel punto davvero, perdu
perduta al Re. Nella
Piazza di Reggio, confermò il Maggiore, tutto era pronto: Don Antonio e Don Alessio Paturzo
avrebbero garantito il primo approvvigionamento di viveri e foraggi, ed egli stesso assicurava
nuovamente che al momento dello sbarco in Calabria, un
u n forte contingente militare, armato ed
equipaggiato, si sarebbe trovato ad attendere il Cardinale per mettersi ai suoi ordini.
Bisognava insomma fare presto e ribadire che non bisognava scarcerare i giacobini rinchiusi nelle
carceri reggine.69
Il Cardinale perse la pazienza per il voltafaccia del generale Danero e del Principe di Luzzi. Si
rivolse direttamente al Marchese Taccone apprendendo che non era in possesso di una Cassa
Generale. Ottenne solo atri 500 ducati.70
Ruffo si convinse di essere stato giocato
giocato da Acton e dal suo entourage. L’esperienza di Tesoriere
Generale dello Stato Pontificio gli fece valutare immediatamente lo stato di congiura del quale era
stato vittima e scrisse una lettera di protesta a Corte. Ma le notizie provenienti da Reggio non
consentivano di procrastinare l’azione. La conoscenza dei contenuti della nuova Costituzione
Repubblicana che il Governo giacobino stava mettendo a punto, avrebbe destabilizzato le zone
anseatiche: non poteva essere consentito.
Il 5 febbraio il Cardinale rimandava in Calabria il Maggiore Alfan De Rivera coll’incarico di
assiemare gli sbandati dell’Esercito Regolare, inviandoli al forte di Altafiumara, sopra il Pezzo. 71 Lì
al Pezzo, egli sarebbe sbarcato e voleva averli disponibili per dare alla sua formazio
formazione un assetto
militare da subito: la veste di Armata Regolare del Re alla quale si sarebbe potuta aggregare la
truppa a massa. Lui e la Corte non avrebbero gradito una rivolta popolare incontrollata quale forza
69
PETROMASI, 3.. Si trattava di “rei di stato” che il 14 dicembre 1798 furono individuati dalla gendarmeria borbonica
a Reggio quali promotori di una cospirazione antimonarchica. Grazie anche alle informazioni ottenute da D. Pasquale
Versace e dal Notaio Fedele, D.Francesco
D.Francesco Carbone e Angelo Di Fiore erano riusciti a sorprendere i cospiratori.
Arrestati, furono poi trasferiti nelle carceri di Messina, tranne tre che per le condizioni di salute, furono giudicati
intrasportabili. Nella prefazione, Petromasi avvisa il lettore che l’ossatura della sua opera riflette il Diario di Padre
Cimbalo (ANTONIO CIMBALO, Itinerario di tutto ciò ch’è avvenuto nella spedizione dell’Eminentissimo Signor
D.Fabrizio Cardinal Ruffo, Vicario Generale per S.M. nel Regno di Napoli, per sottometter
sottomettere i ribellanti Popoli di
alcune Provincie di esso. Fedelmente descritto dal Padre Frà A.C. dell’ordine dé Predicatori sotto gli auspicj della
Sacra Reale Maestà di Maria Carolina, Regina delle Due Sicilie,
Sicilie, Tip. Vincenzo Manfredi, NA. 1799). Ma è a tal punt
punto
importante annotare che il Padre Cimbalo stesso dichiara nella prefazione al suo lavoro, che raggiunse “fisicamente”
l’Armata del Cardinale quand’essa si trovava già a Crotone.
70
HELFERT, 93
71
D. PETROMASI, 3; SACCHINELLI, 70; HELFERT, 94
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principale nella riconquista del Regno ma in più, il Cardinale puntava alla formazione di un Esercito
Nazionale per due motivi:
a) ribadire l’autorità dello Stato organizzato e strutturato a tutela della Nazione e dunque
sicuro punto di riferimento per tutti i suoi abitanti;
b) affermare in faccia all’Europa che la Riconquista doveva intendersi come azione di
guerra contro un esercito invasore inviato da una Nazione ostile. Si trattava pertanto
non di violenza di uomini contro uomini, ma di azione di difesa nazionale attuata
rispettando i principii internazionali72. Ecco perché, come già annotato, la Corte non
intendeva assolutamente interagire coi giacobini del Regno; una qualsiasi azione di
dialogo avrebbe costituito parvenza di riconoscimento del Governo Repubblicano!
Frattanto il Ten. Carbone, che accompagnato da Don Antonio Fava da Scilla, aveva accolto a
Messina il Cardinale insieme all’Uditore Di Fiore,73 raggiungeva Bagnara e avvisava l’Agente
Generale degli Stati dei Ruffo della Gran Casa di Bagnara, D. Vincenzo Laudari.
Questi armò la speronara del Duca che, governata da esperti cacciatori di pesce-spada di Bagnara
e Solano, e comandata da D. Pasquale Versace, raggiunse il Porto di Messina. 74
72
Erano gli identici ragionamenti della guerra fra Nazioni sviluppati da Rousseau nel 1762 nel Contratto Sociale.
Rousseau vedeva nella Corsica il paese ove l’opera legislativa si formava e si amministrava a beneficio del popolo e la
Nazione Còrsa difendeva anche armi in pugno lo spirito sociale che aveva determinato le sue leggi. La Corsica,
all’epoca in cui Rousseau scrisse il Contratto Sociale, lottava contro Genova guidata da Pasquale Paoli. Nel 1765 su
richiesta dei nazionalisti corsi, Rousseau approntò un Progetto di Costituzione. Nel 1768 Genova cedette i diritti sulla
Corsica alla Francia e l’Isola venne sottomessa. 8J.J.ROUSSEAU, Il Contratto Sociale, BUR 1974, a cura di Roberto
Guiducci. I riferimenti sono alla nota 49 di pag. 79. ).
73
MALASPINA, 70
74
DOMENICO ANTONIO SAVOJA, Diario della spedizione del Card. Ruffo nel 1799, Tipogr. Paolo Siclari, RC
1889, p. 5
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Provenienza
Badolato
Badolato
NOTE SU ALCUNI CAPI-MASSA CHE SERVIRONO SOTTO L'ARMATA DELLA SANTA FEDE
Nominativo
Titolo
Note
D.n Bruno Calabretti
Medico
Si unì a Mileto, dopo aver realizzaro Badolato
D.n Fortunato Caporeale
Galantuomo
Si unì a Mileto, dopo aver realizzaro Badolato
Bagnara
Domenico Gioffré
Bovaro
Si unì a Bagnara come custode dei buoi del treno di artiglieria
e morì durante la battaglia dell'Amendolara
Bagnara
Domenicantonio Savoja
Eletto
Si unì a Mileto come aiutante della Contadora di Versace
Bagnara
D.n francesco Caruso
Sarto
Borgia
D.n Gio:Batta Griffo
Avvocato
Si unì a Scilla. Alfiere dal 1801
Realizzò con Spadea, Raimondi e Celea, Squillace. Con una
nutritissima Compagnia di volontari, ricevette il Cardinale al
Pezzo.
Cardinale
D.n Camillo Speltra
Galantuomo
A capo di 300 armigeri. Realizzò Quadrella, Basano e Avella
Catanzaro
D.n Francescantonio de Vito
Galantuomo
Si unì alla Compagnia del Capitano D.n Raimondo de Raimonde
nell'assedio di Cotrone
Catanzaro
D.n Pasquale Luciano
Segretario
Catanzaro
D.n Saverio Donato
Civile
Collaborò alla controrivoluzione di Pizzo
Chiaravalle
D.n Ottavio Giardino
Chiarvalle
Cinquefrondi
Cosenza
Francesco Corrado
D.n Pietropaolo Prenestino
D.n Francesco Scarpelli
Segretario
Bracciale
Si unì a Monteleone alla testa di un forte nucleo di armati
Si unì a Monteleone
Galantuomo
Si adoperò nel Commissariato Militare
Cosenza
Si unì a Mileto al seguito del Col. D.n Antonio De Settis e poi come
Aiutante di Campo del Cav. D.n Giuseppe Mazza nei fatti di Cosenza
Galantuomo
Si unì in Cotrone. Fu col Capitano Coscarelli a Cosenza
Partecipò alla realizzazione di Cosenza alla testa di un folto
D.n Ferdinando Castiglione Morelli Patrizio Cosentino
gruppo di armati di Fiumefreddo
Patrizi Cosentini
Assicurarono l'adesione degli abitanti
del loro feudo di Decollatura
D.n ignazio Stancati
D.n Pietro Maria Stancati
D.n Costantino Stancati
Galantuomo
Si unì alla Marina di Catanzaro con numerosi armati
Galantuomo
Si unì alla Marina di Catanzaro con numerosi armati
Sacerdote
Si unì alla Marina di Catanzaro con numerosi armati
Cosenza
D.n Luigi Assisi
Notaio
Cosenza
D.n Giovannii Assisi
Notaio
Cosenza
Cotrone
Cotrone
D.n Paolo Stocco
D.n Ferrante Miceli
D.n Giuseppe Spinelli
Patrizio Cosentino Nominato Visitatore Economico
Dipignano
D.n Carlantonio Baracca
Dipignano
D.n Michele Carusi
Dipignano
Maierato
Maierato
Marcellinara
Monteleone
Monteleone
Nicotera
Palmi
Pedavoli
Petrizzi
Petrizzi
Radicena
D.n Vincenzo de Laurentis
Don Giuseppe Costa
Don Luigi Costa
D.n Luigi Augello
D.n Vincenzo Veneti
D.n Nicola Veneti
D.n Lorenzo Brancia
Giusepp Sassa
Don Antonio Ruffo
D.n Giusepp Gioria
D.n Giuseppe Paparo
Domenico Moretti
Radicena
Francesco Bottari
Cosenza
Don Antonio Stocco
Don Odoardo Stocco
Cosenza
Cosenza
Cosenza
Furono Corrieri dell'Armata
Protagonista della controrivoluzione di Cosenza. Si unì a
Montescaglioso alla testa di 250 armati, quasi tutti ex soldati regi sbandati
Protagonista della controrivoluzione di Cosenza. Si unì a
Montescaglioso alla testa di 250 armati, quasi tutti ex soldati regi sbandati
Patrizio Cotronese Si unì a Cutro
Civile
Si unì alla Marina di Catanzaro
Capomassa che assicurò la realizzazione dei Casali di Cosenza
Patrizio Cosentino
si un' all'Armata in Cotrone
Contribuì con propri armati alla controrivoluzione di Cosenza
Galantuomo
Accolse il cardinale al Pezzo
Galantuomo
Ricevette il Cardinale al Pezzo
Galantuomo
Ricevette il Cardinale al Pezzo e fu incaricato del reclutamento
Galantuomo
Civile
Ricevette il Cardinale al Pezzo e fu incaricato del reclutamento
Si unì a Borgia con due fratelli e molti armati
Civile
Si unì a Mileto alla testa di 120 armati.
Civile
Si unì a Mileto
Civile
Si unì a Mileto e fu Ufficiale della Contadora
Civile
Ex artigliere, si un' a Capo Alice e fu incorporato nell'Artiglieria
Sacerdote
Assicurò l'adesione dei suoi paesani
Galantuomo
Galantuomo
Si unì a Borgia
Si unì in Borgia con numerosa gente armata al suo seguito
Galantuomo
Si unì a Radicena con numerosa gente armata
Cavallaro
Ricevette il Cardinale al Pezzo. Fu guida a cavallo dell'Ing. Vinci.
Fu arrestato e fucilato ad Altamura dai Rivoluzionari
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Provenienza
NOTE SU ALCUNI CAPI-MASSA CHE SERVIRONO SOTTO L'ARMATA DELLA SANTA FEDE (seguito)
Note
Nominativo
Titolo
Reggio
D.n Antonio Paturzo
Negoziante
Ricevé il Cardinale al Pezzo. Fu nominato Provveditore
dei viveri
Reggio
Reggio
Reggio
Reggio
Rogliano
Rogliano
S.Pietro a Maida
Sant'Eufemia
Sant'Eufemia
Sant'Eufemia
Giuseppantonio Billa
Pasquale Minoliti
D.n Stefano Billa
D.n Alessio Paturzo
D.n Ferdinando Sicilia
D.n Francesco Stumpo
D.n Lattanzio Maggisani
Domenico Gioffré
Domenico Ascrizzi
Domenico Gioffré
Galantuomo
Ricevette il Cardinale al Pezzo
Mastro
Ricevette il Cardinale al Pezzo
Avvocato
Accolse il Cardinale al Pezzo
Negoziante
ricevtte il Cardinale al Pezzo. Nominato Povveditore ai viveri
Galantuomo
Cadetto del Reggimento Real Calabria.
Galantuomo
Si unì alla Marina di Catanzaro. Custode della Cassa Militare
Galantuomo
Si unì a Maida alla testa di molta gente armata
Bracciante
Ricevette il Cardinale al Pezzo
Bracciale
Ricevette il Cardinale al Pezzo
Vaticale
Si unì a Sant'Eufemia
Sant'Eufemia
Sant'Eufemia
Sant'Eufemia
Domenico Gioffré
Domenico Gaglioti
Francesco Bagnato
Massaro
Ricevette il Cardinale a Pezzo. Fu capo-colonna dei carri militari
Panettiere
Ricevette il Cardinale al Pezzo
Bracciale
Sant'Eufemia
Francescantonio Creazzo
Falegname
Sant'Eufemia
Sant'Eufemia
Sant'Eufemia
Sant'Eufemia
Sant'Eufemia
Sant'Onofrio
Scigliano
Scigliano
Scilla
Sellia
Simbario
Sinopoli
Squillace
Tresilico
Tropea
Tropea
Tropea
Tropea
Tropea
Varapodio
D.n Rocco Zagari
Rosario Pentimalli
Rosario Carbone
D.n Vincenzo Luppino
Vincenzo Federico
D.n Giuseppe Aloé
D.n Pietropaolo Gualtieri
D.n Pietropaolo Gualtieri
Don Antonio Fava
D.n Nicola Rocca
Nicola Bertuccio
Rosario Carbone
D.n Bruno Cosentino
D.n Antonio Pugliese
D.n Benedetto Pizzinni
D.n Carlo Cortese
D,n Domenico Arena
Domenico Castiglia
D.n Giuseppe Minaci
Antonio Colacino
Galantuomo
Ricevette il Cardinale al Pezzo
Ricevette il Cardinale al Pezzo. Fu aggregato alla Compagnia
Genio degli Ingg. Oliverio e Vinci. Arrestato e fucilato ad
Altamura dai Rivoluzionari.
Si unì a Mileto e poi dimesso per malattia
Forgiaro
Ricevette il Cardinale al Pezzo
Calzolaio
Sacerdote
Si unì a Gioja alla massa che ricevette il Cardinale a Pezzo
Fu il primo a presentarsi al Pezzo alla testa di 150 uomini
Vaticale
Si unì a Rossano
Galantuomo
Si unì in Mileto alla testa di numerosa gente armata
Galantuomo
Si unì a Monte Scaglioso alla testa di 50 armati
Sergente
Si unì alla Marina di Alice. Morì durante l'assedio di Altamura
Falegname
Funse da collegamento con Messina
Civile
Si unì con propri armati al Casino di Schipani
Bovaro
Si unì a Mileto con molta gente armata e due paia di buoi
Panettiere
Accompagnò il Ten. Perez de Vera al Pezzo
Sacerdote
Ricevé il Cardinale al Pezzo. Fu nominato Cappellano militare
Galantuomo
Si unì a Bagnara
Galantuomo
Ricevette il Cardinale al Pezzo
Sacerdote
Si unì in Mileto e funse da Cappellano Militare
Galantuomo
Si unì a Cotrone alla testa di 34 armati
Civile
Fece parte della Compagnia di Don Antonio Arena
Civile
Si unì in Mileto
Bovaro
Si unì a Borgia coll'incarico di custode dei buoi e dei cavalli
Varapodio
D.n Giuseppe Pitari
Sacerdote
Ricevette il Cardinale al Pezzo. Fu mandato a reclutare volontari
e con oltre 300 armati, si ripresentò al Cardinale a Borgia
Varapodio
Antonio Colacino
Massaro
Ricevette il Cardinale al Pezzo
Cfr.: UMBARTO CALDORA, Fra Patrioti e Briganti, Adriatica Editrice, Bari 1974 – pp- 56-112
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11.- LO SBARCO DEL CARDINALE RUFFO IN CALABRIA
Il 7 febbraio il Cardinale saliva sulla speronara bagnarota insieme al segretario, l’abate D. Lorenzo
Spaziani, il cappellano militare D.Annibale Caporossi, il Marchese Malaspina, il medico D.
Domenico Petromasi e il casertano Carlo Cuccaro, suo cameriere privato. Dopo una tranquilla
traversata favorita dalla corrente di «flusso»,75
sbarcava alla punta del Pezzo dove stava ad aspettarlo
un contingente della Piazza di Reggio col Tenente
Francesco Carbone, l’Uditore D. Angelo Di Fiore e il
Preside di Catanzaro D. Antonio Winspeare che, come
annotato, aveva momentaneamente preso alloggio
prima a Scilla, presso la famiglia Carbone, e poi a
Bagnara. Nell’occasione, Malaspina venne nominato “a
voce” Ispettore delle Compagnie che si stavano
formando al Pezzo.76
Piantata sull’arenile una bandiera reale e una Croce, il
Cardinale salutò i numerosi convenutie si recò al
Casino di Baranello, una villa in legno di antica
costruzione e ben tenuta, luogo di villeggiatura del
Duca di Bagnara e già utilizzata anche dal suo pro-zio,
il Cardinale Don Antonio Ruffo.
Guidate da Carbone, le squadre baronali di Bagnara e
Scilla misero sotto sicurezza armata il casino per
impedire azioni di forza e garantire la tranquillità al
Cardinale.77
Da qui, come primo atto, emanò un proclama indirizzato ai religiosi e ai governatori della Provincia
invitando il popolo a crocesegnare con fascette bianche, cappelli e giacche,78 pose quindi sotto
75
La corrente di Flusso inizia verso le 14 partendo dalla Calabria e verso le 15 avvolge Punta Pezzo nella sua massima
estensione. Qui incontra le correnti di Riflusso dando luogo a vortici, terrore degli antichi attraversatori del Canale e che
i nostri pescatori chiamano «i Bastardi». La corrente poi piega bruscamente verso Punta Palazzo per poi proseguire
lungo il Canale in direzione NE. Verso le nove del mattino, inizia il Riflusso. La corrente arriva verso Altafiumara
puntando poi verso Punta Pezzo e da qui verso Grotta, in Sicilia. Toccato il Faro di Messina, il Riflusso punta poi verso
Reggio. La causa di questo comportamento delle correnti del Canale, è dovuta al fondo marino che in corrispondenza di
Matiniti, si solleva per il bradisismo che interessa tutta la costa, con l’attività più intensa lungo l’arenile di Bagnara. In
corrispondenza del Cenide, la profondità è di massimo 120 metri. A nord la profondità aumenta gradatamente e
raggiunge i1.500 metri fra Lazzaro e Taormina, per poi sprofondare oltre i 3.000 metri Dall’altra parte la profondità
scende a larghi gradoni fino ai 330 metri di fronte a Scilla. Nel 1870 a Bagnara il mare circondava il promontorio
dicapo Martorano (i bagnaroti eruditi lo chiamano Marturanu). Nel 1880 il promontorio era distante 16 metri dalla riva
che si era sollevata di 1.5 metri. L’estuario del Petrace e la foce del Metramo, nel 1880, erano lontani più di 20 metri
dalla riva. Verso Reggio il bradisismo fu al contrario: la rada di Pentimele ne è un caratteristico esempio. Oggi il litorale
di Pietracanale a Bagnara, si sta «asciugando» velocemente facendo riemergere la spiaggia e allontanando il mare che
aveva raggiunto le scogliere artificiali della ferrovia. (C.CARBONE-GRIO, I terremoti di Calabria e di Sicilia nel
secolo XVIII. Ricerche e studi, tip. comm. De Angelis & Figlio, Na. 1884).
76
PETROMASI, 3/4; SAVOJA, 6; ANONIMO, 11, CIMBALO, 18. Malaspina è indicato da Petromasi come “Tenente
del Re”, titolo errato perché la carica è riservata a militari di presidio nelle Piazze d’Armi (ANONIMO, 11). APA, 11,
rimanda la narrazione del percorso dal Pezzo a Napoli al Diario di Cimbalo. Della presenza al Pezzo di Winspeare vi è
la testimonianza diretta di Malaspina (MALASPINA, 72). Dal Pezzo Winspeare seguì il Cardinale per poco per poi
chiedere di essere rimandato nelle retrovie (si presume a Bagnara) asserendo di essere un militare del Genio e non un
militare “combattente”. Ruffo si infuriò molto per questa mossa di Winspeare e, dopo averlo stazionare prima a Bagnara
e poi a Messina, non appena liberata Catanzaro lo rispedì colà in prima linea con le sue antiche funzioni ma affiancato
da suoi fedelissimi (ANONIMO, 14).
77
MALASPINA, 71. Il Cardinale affidò la sicurezza della sua persona a Carbone. Si fidava di lui ciecamente e lo prese
sotto la sua protezione. La famiglia Carbone di Scilla peraltro, si era mezza imparentata con i Ruffi poiché in essa era
entrata una “spuria Ruffo, di quelle varie che vi erano in qué luoghi” (ANONIMO, 29).
78
PETROMASI, 4; APA, 9; CIMBALO, 18. L’episodio di Mons. Tommasini è in: R.LIBERTI, Momenti e figure nella
storia della vecchia e nuova Oppido, Barbaro ed., Oppido M. 1981, pg. 201.
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sequestro i beni della Gran Casa di Bagnara, ufficialmente per punire il Duca che aveva scelto di
restare in Napoli, in realtà per proteggere i beni della Famiglia dalla furia delle popolazioni
esasperate. Il Proclama, per mancanza di tipografie in Provincia, fu copiato più volte dagli
amanuensi comunali o dai parroci, man mano che viaggiava da destinazione a destinazione. 79
Ecco il testo del Dispaccio che il Cardinale fece recapitare al Clero della Provincia di Reggio:
Molto Ill.ri& R.ndi Sig.ri:
Subito vista la presente chiamerete il Popolo e gli farete sentire che ciascun Cristiano Cittadino dovrà
tenere da ora in avanti la Croce sopra il cappello, o berretta sulla parte dritta, questa dev’essere
bianca di seta, di lana, ed anche di tela, ma ben chiara, visibile e decisa, ben fermata e cucita in modo
che distacchi, e si veda con facilità da qualunque distanza. Non solamente questa sacro Segno serve
per mostrare la loro professione di fede, giacché nonpuò esservi altra ragione di non portarlo, se non
il tradimento o la vergogna, ma etiandio per esentarli dal pericolo di esser creduti seguaci
degl’irreligiosi nostri nemici, e come tali sarebbero giudicati per traditori del Dio degli Eserciti, alla
Patria, al Sovrano dai veri Cristiani; né sarebbe possibile di punire i fedeli sudditi cristiani, se
insultassero, ferissero e forse uccidessero quelli, che senza questo segno mostrassero esser del Partito
nemico. Si faccia dunque sentire ad ognuno quanto sia necessario di munirsi subito di tal segno, ed
ogni Ceto di persone dovrà portarlo senza eccezione, ed anche gli ecclesiastici monaci, e religiosi di
qualunque Ordine. Non potrà alcuno portare altro segno, coccarda o emblema qualunque, se non
fosse quello del nostro legittimo Sovrano, che unicamente potrà portarsi, ma diviso da questo segno,
precisamente sulla parte sinistra, come i militari. Dobbiamo sperare che in virtù di questo Santo
Segno che già stabilì la fede cristiana, e a cui si suol contrapporre l’infame Albero della Libertà, ora
si compiaccia il Signore di difenderle, e conservare a noi l’ineffabile dono della Santa Fede così
minacciata da quei nemici, che da per tutto la calpestano, e che hanno distrutta la fede di essa
Religione, maltrattato, ed imprigionato il Capo visibile della Chiesa, ed ora ci lusingano scaltramente
di conservarla, e difenderla, per facilitare il modo di opprimere le Calabrie.
Le auguro vere felicità.
D.V.S. Pezzo 8 febbraro 1799.
Aff.mo per servirla: F.Card. Ruffo Vicario Generale.
Il proclama fu affidato alle staffette e raggiunse i paesi aspromontani: Sant’Eufemia, Sinopoli,
Santa Cristina, Seminara, Palmi e da qui Gioja e la Piana. Una copia fu consegnata al Vescovo di
Oppido, mons. Tommasini, che il 9 febbraio dimorava a Reggio; era stato messo a parte
dell’iniziativa dal governatore della Reale Piazza d’Armi.
Mons. Tommasini, annotò la circolare di Ruffo con l’ordine di attenersi a quanto in essa dichiarato.
Fu quindi spedita a Oppido. Ulteriormente annotata per esecuzione dal Vicario Vescovile
Giuseppantonio Scalzi, il proclama viaggiò veloce verso Scido, Sitizano, San Giorgio, Paracorio,
Pedavoli, Cosoleto e Castellace.
Fra l’11 e il 12 febbraio, l’area preaspromontana e l’altopiano della Corona erano mobilitati. 80Ruffo
aveva avuta conferma che anche Varapodio aveva pronto un contingente a massa da aggregare
all’Armata81
Ruffo aveva così costituito un formidabile “zoccolo duro” che gli avrebbe consentito di scendere
sulla Piana già forte; da qui, con l’appoggio di Mileto e del secondo “zoccolo duro” della comunità
del Monte Poro, si sarebbe presentato davanti a Monteleone e Nicastro. Il giorno successivo allo
sbarco, 8 febbraio, il Tenente Natale Perez De Vera, del Reggimento Real Borbone, distaccato
con funzioni di comando nella Piazza di Reggio, si presentava al Cardinale alla testa di 42 soldati
perfettamente armati, su ordine di Macedonio. Nasceva così il Reggimento Real Calabria e la
missione poteva adesso divenire operativa.82
79
Conte GENNARO MARULLI, Ragguagli Storici sul Regno delle Due Sicilie dall’epoca della Francese Rivolta fino
al 1815, vol. I°, L.Jaccarino ed., Napoli 1845, pg. 305.
80
R.LIBERTI, Momenti e figure nella storia della vecchia e nuova Oppido, Barbaro ed., Oppido M. 1981, p. 200
81
Era capitanato da Antonio Colacino, bovaro, che si aggregò poi all’Armata a Borgia. Colacino fi destinato alla cura
dei buoi e dei cavalli dell’Armata, insieme all’altro bovaro Domenico Gioffré da Bagnara, poi morto durante la battaglia
dell’Amendolara.
82
PETROMASI, 5/6. Sul Reggimento Real Calabria: MALASPINA, 71. Savoja non cita l’episodio.
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La Regina viveva quei momenti in uno stato d’ansia indicibile. Un tormento che si dibatteva fra
l’ansia per la riuscita della missione di, se non altro, fortificare le Calabrie, e di un’improvvisa
aggressione “gallo-ispana” a Messina.83
E ne scriveva al Cardinale proprio l’8 febbraio:
… io sono di ferma opinione che bisogna annichilire la
Repubblica Vesuviana, o quella con l’esempio farà nascere
ben presto la Repubblica Mongibelliana: ne vedo tutt’i semi,
ed ho l’animo trafitto. V.E. agisca con forza, vigore e
coraggio …84
La Regina non aveva ancora percepito quale scenario s’era
spalancato nella Calabria Meridionale ma neanche quale
Modello di Speronara siciliana
carattere avesse il Cardinale!
Il 5 febbraio cacciò in malo modo due funzionari inviati dalla Regina con una lettera di
raccomandazione affinché ne valutasse la professionalità ed eventualmente li impiegasse
nell’Armata. Si trattava di un certo ajutante Poerio, primo della Piazza di Napoli, Calabrese e di
Pasquale Simone uomo d’infinita attività e zelo. L’entourage
del Cardinale conosceva i personaggi: il primo era un
intrallazzatore pronto a vendersi al primo potente e il
secondo un poco capace quanto poco riservato servitore
dello Stato, pericoloso dunque se fosse venuto a
conoscenza di carte e fatti segreti dell’Armata.85
In cinque giorni si adunarono al Forte di Altafiumara, militari
sbandati in tal numero da formare tre compagnie da 70
soldati ciascuna.86 Si trattò per lo più di combattenti arruolati
con la leva generale del 1798 colla quale si formò l’esercito
di Mack per la campagna antifrancese nel Lazio e la
liberazione di Roma.
Soldati delusi dalla pavidità degli alti ufficiali borbonici,
traditori verso il Sovrano e la Patria; tradimento ribaltato negli
animi di gente onesta e lavoratrice, attaccata alle tradizioni,
alla Religione. Strappati al lavoro domestico per rendere un
servizio alla Patria, i Calabresi erano partiti per il fronte
malvolentieri e con sentimenti di rivolta verso i Baroni
incaricati dal Governo Centrale di eseguire l’arruolamento.
Poi l’esperienza del campo militare aveva motivato questa
truppa e ne aveva inculcato il senso di appartenenza, di
formazione, di attore primario nella difesa di valori costituiti
che avevano alla base piramidale la famiglia e il lavoro.
Ora questa gente vagava per le strade della Calabria,
cercando di tornare ai campi, alle marine, ai boschi.
Seminuda e affamata, aveva appreso per le strade dei villaggi dello sbarco del Cardinale e della
bandiera piantata sull’arenile del Pezzo e, ancorché in misere condizioni fisiche, si presentava
spontaneamente ad Altafiumara per confermare al Re la fede e la fiducia.87
83
Era una preoccupazione che avrebbe continuato a perseguitarla ancora per molto. Ne scriveva a Ruffo, a Bagnara, il
16 febbraio: «Quelli che a me più pesano sono Messina, le insurrezioni continue che in tutta la Sicilia continuamente
nascono e mi tengono bene allarmata» (MA a R, 16.2.1799, MARESCA, ASPN, a. V, fc. II – 1880, 333);
84
M.C. a Ruffo 8.2.1799 (MARESCA , 332 – ASPN a.V, fc.II - 1880).
85
MC a R, 5.2.1799 (MARESCA, 331 – ASPN, a.V, fc.II – 1880). La Regina ne prenderà atto e “smisterà” i due
personaggi: il primo cacciandolo dall’entourage della Corte e il secondo destinandolo a un incarico minore a Messina
(MC a R 20.3.1799 – MARESCA, ASPN a. V, fc.II, 1880, pg. 342).
86
PETROMASI, 5
87
SAVOJA, p. 6. «…si raduna molta gente, compreso militari i quali già si ritiravano alle loro case molto afflitti ed
infieriti riguardo all’infedeltà dei loro superiori». Questa annotazione nel Diario del Savoja è importantissima. Il senso
di sfiducia verso gli Ufficiali dell’Esercito regolare borbonico, accompagnerà sempre il cammino delle “masse” verso
Napoli e avrà, come vedremo, conseguenze sanguinose durante la Spedizione.
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Il Cardinale ordinò ai paesi vicini, vestiti d’arbascio e armò i militari con picche mentre si faceva
mandare da Messina scarpe e pezze di panno rosso per confezionare i risvolti alle maniche delle
giacche. Fissò che venisse loro erogato il soldo giornaliero di 25 grana (“prest”), iniziativa che
diede maggior slancio alla riaggregazione dei soldati sbandati attraverso la “pianificazione”
strategica congegnata dal Cardinale, dell’organizzazione militare e del suo funzionamento.88
Ed ecco l’altro fattore vincente: il Prest sarebbe stato erogato anche ai volontari a massa:
un’occasione per sentirsi utile alla causa religiosa e reale e di lasciare i campi e le marine senza
che ciò costituisse un danno per l’economia domestica. Il Prest sarebbe stato conservato e alla
prima occasione, mandato alle famiglie.
12.- LA FORMAZIONE DELL’«ARMATA DELLA SANTA FEDE».
A BAGNARA LE PRIME VITTIME AD OPERA DEI BRIGANTI.
Una raccolta a massa si formò a Sinopoli e accorpò nella sua marcia, iniziata l’11 febbraio,
terrazzani di Sant’Eufemia. Una lunga colonna armata di forche e lance, con stendardi e bandiere
al vento scese verso Bagnara al suono di trombe e tamburelli. Ancora una volta Bagnara si
mobilitò a difesa. Si credeva fossero i Francesi che calavano, come s’era saputo, da Napoli e così
la Città si armò e si mise a presidio dei passi: i francesi non sarebbero passati.
Pronti a far fuoco con “i fucili parati”, i Bagnaroti si accorsero che la colonna era preceduta da
stendardi con la Croce e bandiere borboniche. Con un impeto di gioia, i Bagnaroti balzarono dalle
trincee e andarono incontro alla colonna aspromontana.
88
PETROMASI 6, MALASPINA, 71. L’arbascio era il tessuto comunemente usato dai calabresi per confezionare abiti
impermeabili. I luoghi di maggiore e più qualificata produzione erano le aree agricole di Simbario e Cardinale, ma
erano numerose le manifatture prettamente domestiche che ovunque in Calabria provvedevano alla tessitura per i
bisogni locali. Fino a tutto il 1783 a Palmi e lungo il costone che passando per il Sant’Elia giunge a Pellegrina, si
allevavano razze pregiate con prevalenza per le pecore che fornivano una tosatura abbondante per la lavorazione di un
prezioso panno di lana d’angora. Gli allevamenti erano stati impostati da Don Domenico Grimaldi come complemento
all’attività di estrazione della seta, attiva a Bagnara e nel comprensorio di Seminara che ne era anche il grande centro
per il mercato destinato quasi tutto all’esportazione. D.Domenico Grimaldi poté avvalersi dell’’esperienza e dell’arte
dei mastri tessitori che avevano il loro centro focale a Palmi, ove funzionavano da antichissimo tempo, fabbriche di
calidoro, un tessuto di seta pregiatissimo ed esportato il tutto il mondo. Il terremoto del 1783 annientò tutto e per
sempre.
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Molti si gettarono “colla faccia per terra” piangendo ai piedi degli stendardi crociati e si profusero
poi in abbracci e complimenti, poi tutti entrarono trionfalmente in Città. Il giorno successivo, una
forte colonna di Femioti, Sinopolesi e Bagnaroti si metteva in marcia per raggiungere il Cardinale al
Pezzo, non prima di aver arrestato il medico D. Rosario
Savoja Scardamaglia, reo di simpatizzare per l’idea
giacobina ma soprattutto appartenente alla famiglia che da
sempre era la nemica/avversaria dei Fedele nel controllo
del patrimonio religioso di pertinenza della Reale Abbazia
Normanna della Bagnara, controllo che condusse a una
famosissima causa contro i PP.Domenicani e alla loro
cacciata da Bagnara.
Il giovane medico, alla vista della carovana armata che
scendeva dalla montagna e credendola realmente
giacobina, s’era levato sulla barricata gridando al vento:
“Viva la Repubblica! Viva la Costituzione!”89.
Fu subito arrestato.
Più che giacobino convinto, il giovane medico era un
simpatizzante della Massoneria, lettore di Goethe e dei
classici greci.
Ma soprattutto aveva nell’abate Jerocades il suo idolo.
L’abate di Parghelia predicava il messaggio massonico e
l’ideale giacobino lungo i moli di Marsiglia, ed era stato
ascoltato dai Padron di Barca delle anse calabresi che ne diffusero l’eco nei luoghi d’origine sotto
forma di bollettini, opuscoli, discorsi e sentito dire, animando così giovani intellettuali a
Monteleone, Pizzo, Palmi, Bagnara e Reggio. Operazione efficace poiché ad esempio, la
«Gazzetta Civica» che si stampava in Monteleone fin dal 1795 e che ebbe come collaboratore
anche Vito Capialbi, guardava con simpatia a quegli ideali. E la Massoneria era nelle mire del
Cardinale come movimento da reprimere a ogni costo. Il Cardinale avrebbe giudicato il medico di
Bagnara e per questo fu imbarcato su una lancia con rotta per Punta Pezzo, mentre la gente a
massa s’apprestava ad accogliere Scillesi e Fiumaroti, guidati dagli scherani del Principe di Scilla.
Anche la Banda Calarco si stava per dirigere al Pezzo, quando dalla spiaggia Giannazzo notò lo
strano trasporto che vogava verso lo Stretto. Gridò ai marinai chi stessero trasportando, chi era
quell’individuo incatenato che stava al centro della palamitara. Gli risposero trattarsi di un presunto
giacobino che il Cardinale avrebbe dovuto giudicare.90
Giannazzo ordinò, moschettoni puntati verso i marinai, di sbarcare il prigioniero con la scusa di
interrogarlo. Mentre la barca stava accostando, lo riconobbe e si rammentò che era stato
“segnalato” come bersaglio da colpire. Appena questi pose piede sulla spiaggia, lo fucilò a sangue
freddo.
89
SAVOJA, 8; PETROMASI 7, CIMBALO, 21. Petromasi asserisce che a Bagnara si uccisero 3 Repubblicani (p.8).
Su Jerocades: GUGLIELMO ADILARDI, Un sacerdote massone: Antonio Jerocades (1738-1803), poeta neoplatonico, massone e, infine, giacobino, Polistampa, Firenze 1999, AA.VV., Antonio Jerocades nella cultura del
Settecento, introduzione di L.M.Lombardi Satriani, Falzea ed., Reggio C. 1998; GRAZIA BRAVETTI MAGNONI, La
«Lira Focense» di Antonio Jerocades, Tropea Magazine 19/3/2008; ANTONIO JEROCADES, La Lira Focense, a cura
di Antonio Piromalli e Grazia S. Bravetti, Bastogi ed., Foggia 1986; ANTONIO JEROCADES, Saggio sull’umano
sapere ad uso dé giovinetti di Paralia, a cura di Domenico Scarfoglio,Sistema Bibliotecario Vibonese ed., 2001;
FRANCESCO MAZZITELLI, Antonio Jerocades, Tropea Magazine 28/7/2004; ROSALIA CAMBARERI, La
Massoneria in Calabria dalle origini all’avvento del Fascismo, Hiram n.2 (1999) ma poi Brenner ed., Cosenza 1998;
ARMANDO DITO, Giuseppe Logoteta massone e giacobino, Rivista Massonica, nr. 10( dec. 1977); MICHELE
CATAUDELLA, A.Jerocades; aspetti di letteratura giacobina in Calabria, Periferia nr. 16 (genn.-apr. 1982) con
ampia bibliografia; RUGGIERO DI CASTIGLIONE, La Massoneria nelle Due Sicilie e i «Fratelli» Meridionali del
Settecento, Gangemi ed., s.d.; CARLO FRANCOVICH, Storia della Massoneria in Italia dalle origini alla Rivoluzione
Francese, La Nuova Italia ed., Firenze 1975; ORSTE DITO, L’influenza massonica nella storia calabrese dal
Settecento à giorni nostri, Brenner ed., Cosenza 1988; FERDINANDO CORDOVA, Massoneria in Calabria;
personaggi e documenti, Pellegrini ed., Cosenza 1998; ROCCO RITORTO, La prima Loggia massonica d’Italia
fondata in Calabria nel 1723, La Città del Sole, a. IV, nr. 2 (Febbr. 1997); MARGARET C. JACOB, Massoneria
Illuminata. Politica e cultura nell’Europa del Settecento, Einaudi ed., Torino 1995; ANTONIO BAGNATO, Jerocades,
una tonaca giacobina, Calabria, giugno 2001
90
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Giannazzo era sfuggito al controllo dei suoi finanziatori/istigatori. Inebriato di sangue riteneva di
essere chiamato a fare giustizia di coloro che a suo giudizio erano da considerare nemici.
Lasciò in preda a isteria la marina, entrò in Paese e cercò Don Basilio Messina, amico della vittima
giustiziata ed alto esponente congregazionale. Anche la famiglia Messina aveva combattuto le
angherie dei Fedele perpetrate durante la loro ascesa al governo abbaziale della Chiesa di
Bagnara, e per questo, e con la scusa di essere simpatizzante giacobino, venne “segnato”.
Giannazzo abbatté la porta dell’abitazione signorile della famiglia Messina e prelevò Don Basilio
trascinandolo sulla strada. Fu preso a calci e bastonate dai fedelissimi di Giannazzo mentre il resto
della banda assisteva sconcertata alla tortura. Quando D. Basilio mostrò di non reagire più alle
percosse, Giannazzo caricò il moschetto e lo fucilò brutalmente davanti a tutti, per dare esempio
della sua maestosa potenza, dirigendosi poi verso il Largo della Praja meglio noto come Piazza
del Mercato (oggi Piazza G. Denaro), con l’idea di affrontare altri giacobini ritenuti tali, che aveva
dato ordine di radunare.
Si trovò la strada sbarrata dalla Guardia Civica, mobilitata dagli Sciplini e posta sotto il comando
dell’Ufficiale di Dogana D. Filippo Barbieri.
Gli Sciplini erano dunque venuti allo scoperto, non nel momento sperato dai conservatori, ma
aspettando che costoro fossero lontani dal Paese. Peraltro gli Sciplini con diplomazia, avevano per
tempo convinto i benestanti di Bagnara che era necessario agire in quel momento, pena la morte
economica e civile del Paese, poiché quelle scorrerie nulla avevano a che fare con i moti
controrivoluzionari nei quali tutti si erano riconosciuti. Soprattutto i “cappelli” di Bagnara avevano
lasciato intendere al partito reazionario che avrebbero riferito al Tenente Carbone e al Cardinale,
delle ingiuste malversazioni delle quali era vittima il leale Partito Realista e la popolazione civile del
Paese.
La Banda Giannazzo si ritrovò sola contro tutti.
Vedendosi inaspettatamente affrontato da Don Pippo Barbieri, Giannazzo dette in escandescenze
urlando che Dio e il Cardinale gli avevano conferito l’incarico di uccidere i Giacobini.
Don Pippo aveva cercato nelle settimane precedenti, di contrastare Giannazzo e s’era sempre
rifiutato di cedere a ricatti e minacce della banda, che chiedeva di chiudere i commerci del Paese
per salvaguardare i beni commerciabili, dalla devastazione provocata dall’anarchia. 91 Era invece
ormai chiaro che Giannazzo mirava ad aggravare la disgregazione dei galantuomini di Bagnara,
missione per la quale era stato ingaggiato e pagato.
Giannazzo iniziò a lanciare insulti verso l’Ispettore di Dogana additandolo capo di giacobini. Poi
iniziò a sparare verso la Guardia Civica schierata in assetto da battaglia.
Con sorpresa di Giannazzo, la Guardia non si scompose di fronte alle bordate di moschetteria, e
serrò le fila per avversare i briganti. Il consenso del Paese, rendeva i militi motivati nell’azione,
circostanza che Giannazzo non aveva preso in considerazione, ritenendo i Bagnaroti e i militi che li
difendevano, poco più che codardi.
I briganti, sconcertati, iniziarono a indietreggiare e quando s’accorsero che l’avanzare della
Guardia era accompagnato dalle imprecazioni della gente affacciata alle finestre, ripiegarono verso
la salita che porta a Purello. Nel risalire la via Ruffa che conduceva dal Borgo a Purello, la banda si
scompose: Giannazzo e i fedelissimi si ritrovarono più avanti rispetto al folto gruppo che avanzava
lentamente.
Qui avvenne un colpo di scena.
Il secondo gruppo di briganti s’arrestò iniziando a sparare contro i compagni di testa. Gli Sciplini,
dopo il consenso ottenuto dagli altri benestanti non compromessi coi briganti, i proprietari terrieri e
buona parte degli artigiani sull’azione anti brigantaggio da attuare per la salvezza del Paese,
avevano comprato in segreto alcuni esponenti della banda col riuscito obiettivo di creare discordia
nel nucleo di comando.
Quella ritirata si trasformò dunque in faida, una tragedia che si sarebbe consumata per le vie del
Paese alto. La sparatoria della retroguardia fece arrestare i Calarco e i fedelissimi che erano con
lui.
91
SAVOJA, p. 8
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Il tempo di vedere Virgore Calarco, rimasto attardato, piegarsi fra grida di dolore, raggiunto alla
schiena da una scarica di pallettoni. Giannazzo intuì il tradimento e salendo con Cecio di corsa,
rispondeva al fuoco caricando e ricaricando dall’angolo delle vie.
Dietro, la Guardia avanzava minacciosa.
Alla fine Giannazzo e Cecio, ormai soli, riuscirono a barricarsi nel loro pagliaro a Purello, contando
su un cannoncino col quale confidavano di mitragliare i traditori e la Guardia. Ma la furia di
quest’ultimi non concesse ai fratelli il tempo di predisporre il pezzo, munito per lo sparo ma ancora
tappato per salvaguardarlo nel trasporto.
Vedendoli irrompere nella stanza, Cecio prese un tizzone dal camino e urlando
a pira matura cari sula!
diede fuoco alla miccia. Il cannone esplose dilaniando difensori e assalitori.
13.- L’ARMATA DEL CARDINALE VERSO BAGNARA
L’autodistruzione della Banda Calarco fu festeggiata come una liberazione voluta “dal Signore” e
l’azione fu giudicata corretta dal Cardinale che intanto, (era il 13 febbraio) aveva raggiunto Scilla
fra un bagno di folla giubilante.92
Andò a riposare alla Chianaleja, nel palazzo di suo cugino, il Principe di Scilla, la guarnigione dei
regolari si acquartierò al Forte e le truppe a massa avanzarono fra Scilla e Favazzina, ponendo il
campo fra i limoneti e gli aranceti di Prajalonga, la costa più bella del mondo.
La vicinanza delle truppe a massa della Santa Fede e la benevolenza reale della quale godevano
gli esponenti reazionari di Bagnara, fra i quali, come detto, primeggiava il “tristo del Paese”, impedì
la controreazione della coalizione di Sciplini che come annotato, appoggiava l’azione del Cardinale
a difesa delle istituzioni borboniche e contro l’occupazione francese. Versace, coi suoi seguaci,
aveva raggiunto Scilla e si era messo sotto la protezione del Cardinale.
Nel palazzo del Principe alla Chianaleja, il comando dell’Armata fece il punto prospettico, di come
si sarebbe potuto presentare il teatro di guerra da lì in avanti.
Nei due giorni successivi si definirono i piani di collegamento coi Paesi che sarebbero stati toccati
dall’avanzata, si valutarono le truppe a massa, ora in circa 400 armati, e la possibilità di
incamerare altri uomini e mezzi, già segnalati disponibili dai sindaci amici.
La staffetta del Commissario Petromasi era tornata da Bagnara ove aveva informato le autorità
comunali e le Confraternite del prossimo arrivo del Cardinale e aveva chiesto che fossero
approntate vettovaglie, munizionamento e dotazioni da campo oltre alla Cassa di Guerra già
definita con D.Pascalino Versace e che sarebbe servita per pagare il primo soldo alla truppa. Lo
stesso Don Pascalino s’era incontrato col Commissario al quale gli era stato presentato
Domenicantonio Savoja, persona di forte carattere, che a Bagnara svolgeva il compito di
collegamento fra i rurali e i proprietari terrieri; un “boss” di forte carisma, capace di farsi obbedire e
di incorruttibile fedeltà alla Corona del Borbone e alla Madonna del Rosario.93
Con gli esponenti congregazionali, il Commissario si appartò ed ebbe colloqui riservati.
La tattica della staffetta come avanguardia della colonna sanfedista, fu ripetuta da Bagnara in
avanti lungo il percorso di riconquista del Regno, sicché il Cardinale troverà tutto predisposto al
suo ingresso nei Paesi “redenti” dal “libertino governo giacobbino appoggiato dà francesi”.
92
Ruffo informò la Corte con una nota del 12.2,inviata dal Pezzo:
«Cotrone s’è ribellato, come questa sera ho saputo dai soldati che non han voluto prender partito. Bagnara ha
trucidato qualche giacobino e si mantiene. I posti importanti del regno hanno sempre una loggia, quella di
Cotrone la seppi ieri l’altro, ma che farci?»
(Ruffo ad Acton 12.2.1799, MARESCA, ASPN, a.VIII, fc. II – 1883 – pg. 228).
93
Fino a quel momento Domenicantonio Savoja era vissuto nell’anonimato se non che aveva un impiego
amministrativo nella gestione dei possessi della famiglia Versace, col compito di tenere i contatti con i contadini delle
campagne bagnaresi dai quali prelevava gli affitti e coi quali effettuava transazioni commerciali. Di questa attività
aveva maturato notevole esperienza e notorietà di “duro” nel mondo del lavoro bagnarese.
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QUADERNI BAGNARESI
Anno I– nr. 1/Giugno 2011
LE PRIME LOGGE MASSONICHE IN CALABRIA
Tropea
Parghelia
Monteleone
Reggio
1784 L'Amor della Patria
1784 La Buona Speranza
1793 Vibonese 1
?
?
(Il 12.9.1797 venne assassinato il Governatore Giovanni
Pinelli. Con molte probabilità, si trattò di un attentato organizzato
dalla locale Massoneria che dunque poté essere attiva a Reggio fin da
quegli anni)
Reggio
Maida
Tropea
Pizzo
Cosenza
Amantea
Paola
Belmonte
Castrovillari
Orsomarso
Radicena
San Fili
Aiello
Belvedere
Carlopoli
Catanzaro
Colosimi
Corigliano
Maierà
Nicastro
Reggio
Reggio
Rende
S.Giovanni in Fiore
S. Pietro Caridà
Stilo
Verbicaro
Bagnara
1799
1806
1810
1811
1811
1811
1811
1812
1812
1812
1812
1812
1813
1813
1813
1813
1813
1813
1813
1813
1813
1813
1813
1813
1813
1813
1813
1813
Loggia Logoteta
La Fratellanza Italiana
Costanza Erculea
Allievi di Salomone
Gioacchino I
Fraternità Nepetina
Alunni di Pitagora
Monti d'Ariete
Scuola di Costumi
Ursentini Costanti
Bruzi Riuniti
Umanità Liberata
Asilo della Virtù
Figli del Silenzio
Gimnosofisti Silani
Umanità Liberale
Mamertini
Figli della Stella T
Moderazione
Filantropi Numistrani
La Perfetta Armonia
Virtù
Filantropia Enotrea
Pitagorici Nietensi
Sapienza e Forza
Colonna Enotria
Amicizia Virtuosa
La Virtù Trionfante
(La loggia di Bagnara fu molto legata al re Gioacchino Napoleone
(Gioacchino Murat). Sotto l'influenza del Grande Oriente, ebbe come
primo "Maestro Venerabile" il Magnifico Giovanni Sisinni (o Lisinni). La
Loggia nacque per stimolo dei Marinai Bagnaroti che navigavano lungo
le rotte di Marsiglia e Genova. Influenza determinante ebbe Marsiglia
anche sulla formazione delle Logge di Tropea - dov’era da antico
tempo fiorente una forte marineria, e Parghelia)
94
Il Commissario riferì al Cardinale che si
poteva procedere e la notte del 15 molte
staffette partirono verso l’Aspromonte e la
Piana. Il 16 mattino il Cardinale, senza
aver precedentemente avvisato alcuno e
con solo un manipolo di Cacciatori
Calabresi, lasciava all’improvviso il campo
che
stava
smontando
gli
acquartieramenti.
I 350 Cacciatori Calabresi e il piccolo
treno d’artiglieria, guidati da Carbone, si
apprestavano a marciare verso i Piani
della Corona.94
Pezzo, 12 febbrajo 1799
Eccellenza:
adempio il mio dovere con V.E. rendendo
anche lei consapevole di quello che oggi
scrivo alla Maestà della Regina. Mi è
riuscito di radunare in queste vicinanze
350 uomini, onde dimani mi pongo in
marcia, cominciando pel più che potrò
verso i monti, ma senza perdere la
comunicazione colla marina, potendo
ritrarre da Scilla, da Bagnara, fedelissime
terre, molti aiuti. Se sarò divenuto grosso
vicino a Monteleone, la attaccherò e
passerò gli Appennini per raccogliere
altre forze al di là e non lasciare qualche
nemico all’indietro. Poi andrò a
Catanzaro, e così di mano in mano. (…)
si osserva che non si sono guastati che
piccoli luoghi, come sarebbero Paola e
Cortale (…) alcune lettere di quelle parti
dicono che aspettavano truppa francese,
ma sembra non essere venuta e forse sarà
voce dei giacobini per tenere in timore i
popoli.
Come si nota, Ruffo non fa menzione
della deviazione su Bagnara che, pure,
aveva a mente fin dall’inizio essendo
Bagnara il cuore della resistenza
borbonica antigiacobina e la principale
stazione dei primi rifornimenti in denaro,
suppellettili, e merci per l’Armata. Nel
lasciare il campo, Ruffo ordinò a
Malaspina di raggiungerlo il giorno dopo a
Bagnara e ciò per aumentare la
confusione verso un ipotetico gruppo
giacobino intenzionato ad attentare alla
sua vita.95
Ruffo ad Acton 12.2, MARESCA, ASPN, a.VIII (1883), fc. II, p. 229. Sarà una delle ultime volte che il Cardinale
renderà noti i piani di avanzamento. Temendo le delazioni e lo spionaggio soprattutto a Corte, ma anche l’intenzione di
Acton di metterlo in difficoltà, ometterà sempre più di menzionare i luoghi ove passerà e i piani di attacco conseguenti.
95
MALASPINA, 72
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QUADERNI BAGNARESI
Anno I– nr. 1/Giugno 2011
Aveva già peraltro dato disposizioni che a sua protezione,
voleva solo “bagnaroti, scillesi e sprumuntani” e che
bisognava evitare che in questa Guardia Personale si
inserissero “riggitani”, visti con sospetto dopo il fallito
attentato al Pezzo.
Verso le 11 Ruffo raggiunse il Pizzolo di Bagnara.
L’aspettavano Don Pascalino con Micantoni Savoja, il
Preside Winspeare e il Tenente Carbone, in anticipo
venuto a Bagnara per sedare le violenze dei giorni
precedenti, Don Franco Caruso, un sarto che a
Monteleone sarà aggregato al Reggimento Real Calabria.
Verso mezzogiorno, il suono delle campane delle chiese,
annunciò al popolo bagnaroto che il Cardinale aveva
lasciato il Pizzolo e stava per entrare in Paese.
Fu un trionfo.
Don Fabrizio cavalcava un cavallo bianco, attorniato dalla
Guardia, i fedelissimi aspromontani. In testa a 50
Cacciatori Calabresi, l’Alfiere del Re aveva dispiegato al vento la bandiera bianca che recava da
un verso gli antichi Gigli della Real Casa di Borbone di Napoli e Sicilia e dall’altro i simboli
costantiniani: una grande Croce col motto In hoc signo vinces. I bagnaroti erano deliranti. Ogni
miliziano aveva ricamato, nella notte, la croce bianca
sul cappello e intrecciato molti nastrini colorati sulla
canna dei moschettoni, delle lance e delle else dei
lunghi coltelli96. Tutti si inginocchiavano al passaggio
della bandiera crocesegnata e chinavano il capo in
segno di devozione. Il Cardinale aveva raggiunto un
obiettivo che valeva il 60% dell’intera operazione: la
perfetta comunicazione di massa operata in un
ambiente geograficamente ostile e socialmente
disaggregato, privo di strumenti di dialogo (giornali,
rete postale efficiente, ecc.).
L’obiettivo era: la Calabria unita nell’informazione
rapida intorno a un personaggio “comune a tutti”.97
Scortato dalle autorità, il Cardinale raggiunse la
Chiesa del Rosario accolto dallo stato maggiore della
Confraternità con in testa il “magnifico” Don Gaetano
Savoja e gli Assistenti: Cutrì, De Leo (Gregorio),
Parisio, Messina, Sciplini, Versace, Cesario,
Potamia, Barbaro, Saffioti. In un tripudio di campane,
mortaretti e grida ferventi di “viva Maria”! “viva
l’Eminenza Ruffo”!, il Direttore Spirituale, il Rev. Don
Masino Carbone, scortò il Cardinale all’interno del
Tempio, ricostruito sui ruderi dell’antica Chiesa
gestita fino al 1759, insieme alla Confraternità
fondata dalla Gran Casa di Bagnara, dai PP.
Domenicani.
Il Cardinale ebbe modo di ammirare gli splendidi
stucchi del Gianforma98 e la varietà di marmi pregiati,
96
APA,9
Oggi questo tipo di comunicazione di massa è applicata in modo professionale: sono le «well-knowmens» che
muovono l’attenzione generale verso il “comunicatore” in modo univoco dandogli “Alta Visibilità”.
98
Giovanni Gianforma, insieme al fratello Gioacchino, operò in Calabria e in Sicilia fin dalla metà del Settecento.
Erano valentissimi stuccatori e restano ancor oggi testimonianze della loro opera: a Scilla, nella Chiesa dello Spirito
Santo al rione Gornelle, vi sono magnifici stucchi dorati del 1753; al 1756 risalgono gli stucchi dorati nella Chiesa di
Sant’Antonio abate di Buccheri, vicino Siracusa. Altre testimonianze si trovano a Modica, con stucchi sul soffitto a
botte della Chiesa del Rosario, a San Nicolò l’Areana, nel catanese ove sono rilevanti i decori del salone monumentale
97
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QUADERNI BAGNARESI
Anno I– nr. 1/Giugno 2011
donati dal Duca di Maida per
interessamento del confratello Don
Domenico Lucisani. Ruffo si raccolse in
preghiera commemorando lo zio, il primo
Cardinale di Bagnara, il potentissimo Don
Tommaso Ruffo, arcivescovo di Ferrara,
che amò il Paese ove era tornato per
consacrare l’antico Oratorio.
.Chiese notizie della sepoltura del
secondo Cardinale di Bagnara, Don
Antonio Ruffo, che nella natia Cittadina
era tornato per trascorrere gli ultimi anni
della sua vita divenendo protettore della
Confraternità.
Donò alla Confraternità stessa 100 ducati
d’oro della sua dotazione personale, da
adoperarsi per la cura degli indigenti e
l’istruzione dei fanciulli e si diresse quindi
verso il pianoro ove sorgeva, lì da presso,
la maestosa Chiesa del Carmine, accolto
dal Priore della «Nobile» Confraternità, il
Nobile D. Antonio De Leo e dal Consiglio
Congregazionale:
Muscari,
Spoleti,
Veneziano, Patamia, Romano, Albanese.
La Chiesa era anch’essa impreziosita
dagli stucchi del Gianforma e custodiva
un tesoro, frutto di donazioni ed ex-voto; il
Cardinale si emozionò di fronte a tanto
splendore, simbolo di attaccamento alla
Religione e donò alla Chiesa parte dei
suoi preziosi paramenti da cerimonia.
Dopo questa parentesi, rientrò al campo volante del Pizzolo per prendere alcune decisioni.
Innanzitutto che a Bagnara fosse riattivato il Convento dei Frati Paolotti, un passo strategico per le
azioni di riaggregazione delle forze sociali ed economiche bagnarote, traumatizzate dalle lotte
intestine.
Venne sequestrata la Cassa della Dogana di Bagnara99 e incorporata nella dotazione della Cassa
di Guerra dell’Armata.
Fu quindi convocato al campo Don Pascalino al quale fu offerta la carica di Tesoriere Generale
della Reale Armata della Santa Fede, carica che il Priore di Purello accettò mettendo a
disposizione molte delle risorse personali100.
Consegnò al Preside Winspeare affinché lo facesse recapitare a Messina con una palamitara, un
dispaccio nel quale chiedeva al Forte due cannoncini e relativo munizionamento.
del Monastero benedettino, gli stucchi dorati nella Cattedrale di San Giovanni Battista a Ragusa e quelli raffiguranti
episodi biblici nelle Chiese di Santa Maria Maggiore e dell’Annunziata a Cava Ispica presso Modica. A Scicli, nella
Chiesa di San Giovanni Evangelista, si ricordano ancora stucchi di particolare e bellissima fattura. Purtroppo nel 1854
furono sostituiti da quelli dozzinali dell’architetto D. Vincenzo Signorelli (V.LA PAGLIA, Il Barocco nella Sicilia
Orientale, “Prometeus” a. I, n.6 (20.8.2001). Possiamo paragonare questo delitto a quello perpetrato a Bagnara nei
nostri anni Settanta: l’abbattimento della meravigliosa chiesetta di Maria SS. Di Porto Salvo, unico esempio rimasto di
Barocco antico calabrese, per fare posto a un edificio di civile abitazione: un “cubo” dozzinale e anonimo.
99
PETROMASI, 9. L’economia di Bagnara continuava nel suo trend positivo, incentrato nel commercio di manufatti e
semilavorati del legname e prodotti dell’agricoltura specializzata e dell’artigianato edile. La Dogana di Bagnara passò
da un introito di 765 ducati nel 1778 a uno di 1.183 nel 1792 (+54.6%). La spinta congiunturale positiva innescata dalla
domanda nell’edilizia dopo il 1783, si mantenne costante per via dell’attività del porto di Messina e le necessità della
guerra (G.BRASACCHIO, Storia economica della Calabria, vol. IV, Frama Sud ed., 1977: contiene una buona sintesi
dell’argomento, desunto da G.M.GALANTI, Della descrizione geografica e politica delle Sicilie, Na. 1969, n.e.).
100
PETROMASI, p. 9; SAVOJA, p. 5
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QUADERNI BAGNARESI
Anno I– nr. 1/Giugno 2011
Gli esperti avevano visionato la strada della Croce e quella dell’Affacciata, e giudicato che il
percorso non era idoneo al trasporto militare. L’artiglieria dunque avrebbe dovuto raggiungere
l’Armata a Gioja via mare: due cannoncini e un obice sbarcheranno infatti sul Lido della Piana
condotti da Don Domenico Mazzei,101 Aiutante di Campo del Generale Danero.
14.- IL PROCLAMA DI BAGNARA
Dal Pizzolo il Cardinale inviò un dispaccio ai parroci dei Piani della Corona col quale
preannunciava la ripresa della marcia per Domenica 17 e dava a tutti appuntamento a Mileto per il
24 affinché i difensori della Religione e del Trono si rivolgessero da lì verso Monteleone, occupata
dai “prepotenti” che vessavano il popolo costringendolo ad armarsi contro Cristo.
Bravi Calabresi.
Essendo giunta a nostra notizia la ribellione di Monteleone, siccome ancora l’ardimenti di alcuni
prepotenti Cittadini, i quali ora con minaccie, ed ora con lusinghe hanno indotto il popolo Basso ad
armarsi in Loro favore senza conoscere il proprio interesse, e la soprafina malizia di costoro, ed
avendo inteso altresì che ardiscono di portare altre insegne diverse da quelle del nostro Re, e
prestar altro culto profano, ed irreligioso, ed altrimenti che sotto il pretesto di libertà di ubbidire al
sedicente Governo Repubblicano vogliono gli suddetti Ribelli ed Infideli al Sommo Dio carpire dal
Popolo e spogliare la Provincia del denaro, tutto per darsi poi a nostri nemici.
Ci sembra che sia oramai tempo di ridurre i Ribelli Prepotenti Traditor della Patria i quali sono
grazie al Signore Iddio pochi, e che non debbono i Popoli circonvicini, e fedeli a Dio, al Sovrano
ed alla Patria, soffrire ulteriormente le minaccie di quel Luogo ribelle, ne è poi giusto che vivano in
continuo sospetto delle loro vite, ed in pericolo di perder la Santa Fede, i loro averi ed i loro onori;
si ordina e comanda dunque a tutte le Persone Cittadini e Fedeli al Re Nostro Signore, che amano
la Patria, e la vera libertà, abitanti nelle Città, Luoghi e Terre e Castelli qui sotto nominati, che il
giorno Domenica 24 febbrajo si trovano armate come meglio potranno in Mileto portando ciascun
Individuo il vitto per tre giorni.
Quindi ciascuna Popolazione anderà col più Zelante alla testa, impugnerà l’albero che produsse il
frutto della nostra Redenzione e marceranno tutte unite alla volta di Monteleone, quivi prenderanno
i Capi della profana ribellione e li condurranno al mio Tribunale per esser giudicati secondo le
leggi. Avvertano però di non far alcun disordine, specialmente riguardante l’onor delle Famiglie,
risparmino il Basso Popolo, ch’è tutto buono e fedele, ma sta con scellerati ribelli, perché sedotti, o
intimoriti da quelli, ed ancora che le ritrovassero armate, prima di usarle violenza procurino di
persuaderli di ritornare al loro Dio, al loro Legittimo Sovrano, anzi al Loro Padre amoroso.
Presi, che avranno i detti scellerati, e sospetti, metteranno guardie alle case di essi, che poi
consegneranno alle forze del mio Tribunale, che stanno colà. Se nelle vicinanze di Monteleone vi
fossero altri Luoghi infetti dell’istessa pece prenderanno parimenti i Capi Ribelli, come si è detto di
sopra, sempre avendo in vista di non confondere il Reo coll’Innocente, nel tempo che i Cristiani
staranno fervendo la Causa di Dio, e di S.M.; saranno pagati a spese del Fisco e quindi
ricompensati largamente a spese dé Ribelli, restando intanto assolutamente vietato da S.M. di
lasciar passare alcun denaro, viveri o altro di qualunque sorte fuori dalle Province verso la Capitale,
che geme ora sotto la più dura schiavitù: animatevi bravi Calabresi a conservare la Religione dé
Nostri Antenati e la vera Fedeltà e fate conoscere che sapete difendervi dall’oppressione,
dall’inganno e dal tradimento, senza altro ajuto che quello del Dio degli Eserciti, che difenderà la
sua Causa meglio di Noi.
Dato in Bagnara li 16 Febbrajo 1799.
Fabrizio Cardinal Ruffo Vicario Generale.=
Si avverte che nello stesso giorno si troverà a Mileto, La Serra, Soriano, La Fabrizia e tutta intiera
la Provincia da Gerace fino al mare, e quelli del Pizzo e loro compagnia si accosteranno a
Monteleone nel tempo stesso che il rimanente attaccherà da Mileto.
Ubbidiscano quanto di sopra si è ordinato e non dubitino che i pochi ribelli fuggiranno, lasciando in
pace il loro popolo, che con belli pretesti vogliono spogliare in ogni conto, per tributare il denaro à
nemici di Dio e del Re =
Fabrizio Cardinal Ruffo Vicario Generale =
101
PETROMASI, p. 10; SAVOJA, p. 9; CIMBALO, 22.
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QUADERNI BAGNARESI
Anno I– nr. 1/Giugno 2011
Mons. Scalzi, Vicario Generale della sede vescovile di Oppido, annotava nel manifesto giunto da
Bagnara:102
Quindi nel comunicarlo alle Sig.ie Loro Molto Ill.ri è R.de, le incarico di farlo pubblicare né
Luoghi soliti e consueti, per radunarsi il Popolo e far sentire a ciascun Individuo che non è
intenzione di S.Em.za il Sig. Cardinale D.Fabrizio Ruffo di tener per sempre e colla qualità di
soldato colui che va in questa urgenza, ma solo vuole che si trattenga durante il bisogno che sarà
per pochi giorni, come mi ha comunicato a voce, e sarà pagato a spese del Regio Fisco a ragione di
grana venticinque al giorno chi compromette del di loro noto zelo e mi diano conto dell’operato,
rimettendo le liste delle persone che anderanno, per inviarle a S.Eminenza
il Sig. Vicario generale.
Scalzi
Il proclama di Bagnara103 inquadra l’assetto ideologico che mosse il Cardinale nell’azione di
riconquista del Regno:





tutela delle classi deboli
precedenza al negoziato e alla risoluzione pacifica dei contenziosi
amnistia e perdono per i non compromessi direttamente col regime repubblicano
ricostituzione dei governi locali secondo la legge dello Stato e con benefici fiscali per
consentire la ripresa economica delle zone liberate e motivare i lavoratori della terra104
azione militare contraddistinta dall’impronta realista e legittimista, evitando che la
controrivoluzione si trasformasse in guerra popolare istintiva e quindi distruttrice di ogni
cosa e ogni dove.
Si trattò di una complessiva posizione, in fortissimo contrasto col pensiero della Corte, che il
Cardinale aveva a mente, poiché faceva parte del “pacchetto” di disposizioni ricevute dal Re nel
momento in cui lo nominò Vicario Generale.
Il Re, la Regina, Lord Acton, istigati dai Comandi Militari, chiedevano rigore, nessun perdono e
punizioni esemplari e spettacolari, per mostrare a tutti cosa significasse andare contro il Sovrano e
le sue leggi. Già da Bagnara dunque, l’atteggiamento del Cardinale era in contrapposizione con la
volontà della Corte, ancora in forma velata, ma il prosieguo vedrà questa circostanza tramutarsi in
conflitto, sino alle vicende napoletane di Nelson e al rischio di arresto per lo stesso Cardinale!.
L’altra circostanza è la capacità che ebbe il Cardinale di “comunicare”.
Lo si è notato esaminando lo sbarco al Pezzo, ma adesso le logiche contenute nella sua voglia di
comunicare erano ficcanti: difesa della Religione, del Sovrano buono e affettuoso, della famiglia (e
quindi dei beni familiari) e contro i “nemici” di queste cose, venuti per depredare e disonorare.
Notate: la novità vera era il richiamo al concetto di “Patria”, poiché nel concetto, il Cardinale
accomunava tutti i Ceti, le attività e le istituzioni.
Patria fondata sulla morale cristiana. sotto la tutela del buon Re che ispirava le azioni alle Sacre
Scritture, a Dio e attuati in base all’insegnamento di Cristo.
102
R.LIBERTI, Momenti e figure…,cit., p. 204
Secondo Petromasi, il Proclama fu emanato da Gioja e non da Bagnara. Ma si tratta di un errore evidente.Cfr.:
CONSTANCE H. GIGLIOLI-STOCKER, Naples in 1799. An Account of the Revolution of 1799 and the rise and fall of
the Parthenopean Republic, John Murray ed., Londra 1903, pg. 175.
104
La Regina era assolutamente d’accordo, in linea di principio, col Cardinale. Ma solo in linea di principio, cioè le
misure economiche si dovevano varare per il semplice motivo di “anticipare” un’eguale misura francese, non
certamente come manovra economica bi frontale come intesa da Ruffo: “motivare” le masse verso lo Stato e dare un
impulso alla disastrata economia calabrese, colpita dagli eventi in modo gravissimo. «…preferirei sempre quest’ultimo
(cioè lo sbarco russo sulle coste joniche calabresi) per animare così quella Provincia a unircisi, con levarle dazii per
dieci anni, abolire feudalità, jus proibitivi, insomma anticipare tutte quelle operazioni che i Francesi faranno, e con le
quali si renderanno graditi alle popolazioni» (MC a R, 16.2.1799, MARESCA, ASPN, a.V, fc.II, 1880, 333). Si noti la
profonda differenza di pensiero fra Ruffo e la Corte. Poi nel prosieguo, la posizione reale diviene meno espansiva:
«trovo savissimo e da molto e profondo pensatore quello che per non sgravare i popoli tutto assieme dai pesi fiscali
bisogna proporzionare il beneficio al merito (che è un grande principio illuministico – n.d.a.) e lasciare sempre qualche
cosa da sperare. Credo necessarissimo sollevare i popoli dai soverchi aggravii che potrebbero fargli scuotere ogni giogo,
ma bisogna farlo con prudenza» (MC a R, 3.3.1799, MARESCA, ASPN, a.V, fc.II, 1880, 337).
103
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QUADERNI BAGNARESI
Anno I– nr. 1/Giugno 2011
Ruffo era politico di razza, e sociologo formatosi durante il governatorato di Roma nella qualità di
Tesoriere Generale della Santa Sede e di Sovrintendente Militare di Sua Santità.
Conosceva gli strumenti per creare consenso popolate attorno alle decisioni governative e le
modalità per aggregare masse indistinte in truppa combattente sotto disciplina di comando. Infine
conosceva indole, bisogni e aspettative delle genti dello Stretto, della Piana e dell’Aspromonte e a
tutte si rivolse nei proclami del Pezzo e di Bagnara con tratto sicuro.


Non dunque lotta politica al Governo Giacobino e militare ai Francesi,
ma difesa dei valori che incardinavano la Nazione
o a sua volta formata essenzialmente dal popolo
o e dai suoi ideali.
La Corte non comprenderà quest’atteggiamento evoluto, tenderà a privilegiargli l’idea del castigo e
della ritorsione in un ambiente nel quale nulla doveva perdonarsi a chi aveva tradito, perché non
se ne ammettevano le motivazioni.
Dopo aver ascoltato la Messa, Ruffo si accomiatò dalla Gerarchia bagnarese e, accompagnato da
Malaspina che intanto lo aveva raggiunto ed era stato confermato “ad vocem” Ispettore, e dal
Preside Winspeare, si ricongiunsero all’Armata ai Piani della Corona. La colonna, sotto la pioggia,
si mise in marcia verso Sant’Eufemia d’Aspromonte.
Venne anche qui accolta da scene di delirante gioia.
Ai piedi dell’Aspromonte soggiornò per tutto il giorno seguente onde dar modo alle colonne in
marcia di ricompattarsi.
Il cardinale, sempre scortato dai suoi Cacciatori Calabresi, deviò invece verso Palmi da dove
lanciò il famoso proclama ai “Bravi Calabresi”, prima di ricongiungersi col grosso della sua Armata
per proseguire la sua avanzata verso Napoli.105
105
PAUL GAFFAREL, Bonaparte et les Républiques Italiennes (1796-1799), F.Alcan ed., Parigi 1895 (da pg. 247);
GAETANO CINGARI, La Calabria fra Settecento e Ottocento: fermenti ideologici e spinte rivoluzionarie, in La
Calabria dalle Riforme alla Restaurazione, Atti del VI Congresso Storico Calabrese (Catanzaro 29 ottobre-1° novembre
1977), da pg. 103; ROSARIO VILLARI, Economia e Società in Calabria alla vigilia del 1799: aspetti e problemi, ivi,
da pg. 257; MIOT DE MELITO, Mémoires, tomo II, Michel Lévy e f.lli ed., Parigi 1858; N.CORTESE, Memorie di un
Generale della Repubblica e dell’Impero: Francesco Pignatelli Principe di Strongoli, Laterza, Bari 1927;
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QUADERNI BAGNARESI
Anno I– nr. 1/Giugno 2011
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QUADERNI BAGNARESI
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Napoli – piazza Dante
Palazzo di Bagnara dimora del Cardinale D.n Fabrizio Ruffo
Particolare del portico interno
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QUADERNI BAGNARESI
Anno I– nr. 1/Giugno 2011
Uno degli stendardi dell'Armata della Santa Fede
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Anno I– nr. 1/Giugno 2011
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Bagnara 1799-1815 - Archivio storico fotografico bagnarese