N. 3 LUGLIO 2014 TRIMESTRALE SUI DIRITTI UMANI DI AMNESTY INTERNATIONAL Diritti dei dei migranti migranti in in Europa Europa Diritti PRIMA LE PERSONE, POI LE FRONTIERE 1 Guarda la photogallery ascolta Guarda il video approfondisci firma EDITORIALE LEGENDA Cara amica, caro amico, prima le persone, poi le frontiere è il messaggio di Amnesty International, semplice e chiaro. Quel che chiediamo di fare, però, non è cosa da poco. Chiediamo un rovesciamento della logica di difesa dei confini che tradizionalmente ispira le scelte statali, costi quel che costi. Chiediamo che siano messe in discussione politiche e pratiche finalizzate alla prevenzione dell’immigrazione (quasi come se si trattasse di terrorismo o di una grave malattia), invece che alla gestione di un fenomeno epocale. Chiediamo che vengano abbandonate misure il cui effetto è di mettere a rischio (costringendoli a scegliere le rotte più pericolose) la vita di migliaia di migranti, rifugiati e richiedenti asilo, ossia di persone in fuga da persecuzioni etniche, politiche, religiose, da conflitti armati, da povertà estrema. Persone il cui obiettivo è la sopravvivenza e che non si fermeranno, dunque, indipendentemente dall’altezza del muro (metaforico o reale) costruito per respingerle. Chiediamo di fare scelte politiche alternative, scelte salvavita. Sì, dunque, all’operazione italiana Mare Nostrum, che 2 può essere migliorata ma ha già salvato oltre 30.000 persone e alla quale sarebbe bene che il resto di Europa collaborasse. No agli accordi di riammissione con la Libia, paese nel quale i diritti dei migranti sono sistematicamente violati. Sì all’apertura di vie d’accesso sicure per rifugiati e richiedenti asilo e sì alla facilitazione della riunificazione familiare. No, invece, alla disinformazione e alla retorica dell’invasione: il Libano, un fazzoletto di terra con poco più di quattro milioni di abitanti, a fine 2013 aveva accolto 800.000 profughi di guerra siriani, l’Europa intera 82.000. Prima le persone e poi le frontiere è quel che stiamo dicendo a tutti i governi europei e quel che ribadiamo anche al governo italiano, dal 1° luglio presidente di turno dell’Unione europea. Lo faremo forti del vostro sostegno, morale ed economico, da cui dipende in modo esclusivo la possibilità di portare avanti con efficacia questa battaglia di umanità e giustizia. SOSTIENICI! STOP TORTURA twitt LA BACHECA Nell’ambito della campagna “Stop alla tortura” vi abbiamo chiesto attraverso i social media di inviare un commento su questo tema. Perché per fermare la tortura anche il vostro pensiero è importante! Ecco alcuni messaggi che abbiamo ricevuto. La tortura è un’offesa alla dignità umana. È una pratica che mi spaventa e mi inorridisce. Non posso che pensare, soprattutto, alle innumerevoli vittime della tortura in ragione del loro credo politico, filosofico, religioso o dei loro orientamenti personali. Lichene Koala La tortura è una forma di crudeltà utilizzata per estorcere dichiarazioni e spesso solo per dare libero sfogo alla violenza, anche in Italia è spesso utilizzata. Essere contro ogni tipo di tortura è un valore etico irrinunciabile. Giuliano G. Quando questa parola, tortura, sparirà anche dal vocabolario, saremo di certo in un mondo migliore. Paola B. Non chiamatelo “abuso di potere”: si chiama tortura. Daniela A. Ogni lacrima di supplica,/ogni goccia di dolore/toglie vita e umanità/non di certo a chi subisce,/ma a chi,/per ordine di altri,/per odio o per vendetta, /un suo simile tormenta./ Ma ignora l’aguzzino/che ad ogni/pena inferta/la propria anima violenta. Eleonora G. Finché c’è tortura non c’è civiltà. Susanna A. La tortura va oltre la violenza, è l’espressione di una società malata in cui la vita ha perso ogni significato, va condannata sempre e combattuta dalla società civile se così vuole essere chiamata! Antonella B. No alla tortura, no a qualsiasi strumento coercitivo, sì al rispetto dei diritti umani sopra ogni cosa! Emma DM. 3 Vogliamo maggiori garanzie per il rispetto delle Convenzioni contro la tortura! Laura M. face twitter.co facebook Un fermo di polizia non deve più trasformarsi in una condanna a morte. Ilaria D. Dovrebbe esistere una differenza tra stato d’arresto e arresto cardiaco. Alice T. Solo l’uomo riesce a essere così crudele con i suoi simili. Simonetta B. La dignità di in uomo non ha prezzo: nessun crimine anche il più terribile, può giustificare il ricorso alla tortura. Angela M. BUONE NOTIZI Lussemburgo - 14 maggio Il parlamento ha ratificato il Trattato internazionale sul commercio di armi. Andorra - 23 aprile Andorra è diventato il decimo stato ad aver ratificato la Convenzione di Istanbul che entrerà in vigore dal 1° agosto 2014. Belgio - 20 maggio Il parlamento ha ratificato il Protocollo opzionale al Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali. Italia - 8 maggio L’assessore alla Casa del Comune di Roma ha dichiarato che non intende applicare la circolare che limitava l’accesso ad alloggi popolari alle famiglie rom. FEDERAZIONE RUSSA BELGIO LUSSEMBURGO STATI UNITI ANDORRA Ucraina - 19/20 marzo Oleksiy Gritsenko, Sergiy Suprun e Natalya Lukyanchenko, tre attivisti che erano scomparsi la sera del 13 marzo in Crimea, sono stati rilasciati. UCRAINA UZBEKISTAN ITALIA CINA Stati Uniti d’America - 27 marzo È stata annullata la condanna a morte di Michelle Byrom, giudicata colpevole dell’omicidio del marito, commesso quando la donna era in ospedale. Messico - 28 maggio È stata riconosciuta pubblicamente l’innocenza di Jacinta Francisco Marcial, condannata per il sequestro di sei agenti di polizia, e le è stato accordato un indennizzo. Paraguay - 11 giugno Il presidente ha firmato la legge grazie alla quale lo stato potrà espropriare più di 14.000 ettari di terre e restituirle alla comunità Sawhoyamaxa. MESSICO VIETNAM FILIPPINE GABON PARAGUAY CILE Cile - 21 maggio La presidente Bachelet ha annunciato un progetto di legge per arrivare alla depenalizzazione dell’aborto terapeutico. REPUBBLICA CENTRAFRICANA Repubblica Centrafricana - 30 aprile I 44 bambini, tra 13 e 17 anni, arrestati a gennaio in Ciad, dove avevano cercato riparo dalla guerra, sono stati rilasciati dalla prigione di Korotoro. 4 Federazione Russa - 22 aprile Kholzighit Sanakulov e suo figlio, a rischio di rimpatrio forzato in Uzbekistan, sono stati rilasciati e hanno raggiunto l’Olanda come rifugiati politici. Gabon - 11 aprile Il Gabon ha ratificato il Protocollo opzionale al Patto internazionale sui diritti civili e politici, che ha per obiettivo l’abolizione della pena di morte . Uzbekistan - 31 maggio Un tribunale ha ordinato la scarcerazione per motivi di salute di Abdulrasul Khudoynazarov, condannato per le sue attività in favore dei diritti umani. Cina - 17 aprile Liu Hua, attivista anticorruzione, è stata rilasciata dopo aver trascorso 37 giorni in un campo per la rieducazione attraverso il lavoro. Vietnam - 12 aprile Nguyen Tien Trung, attivista pro-democrazia, e Vi Duc Hoi, blogger e scrittore, sono stati rilasciati prima della fine della condanna. Filippine - 8 aprile La Corte suprema ha respinto il ricorso contro la legge sulla salute riproduttiva che obbliga il governo a fornire servizi gratuiti di contraccezione. PRIMO PIAN PRIMA LE PERSONE, POI LE FRONTIERE I l nostro mondo sempre più interconnesso, segnato da una crescita tecnologica esponenziale e in cui le autostrade, i fiumi, i mari e i cieli solcati dalle merci sono sempre più vasti, è caratterizzato contestualmente da una desolante mediocrità del suo sguardo sull’essere umano che gli impedisce di attribuire agli uomini almeno lo stesso valore delle cose. Le merci circolano liberamente, i trattati che garantiscono il loro libero scambio e ne liberano l’impetuoso fluire vengono implementati anche al prezzo di conseguenze sinistre sulla salute del pianeta, ma gli uomini no! I loro movimenti vengono contingentati, sottoposti a restrizioni spesso crudeli, subordinati a leggi che criminalizzano il libero movimento, come le norme contro la “clandestinità”, condizione assunta a reato in legislazioni degne delle peggiori giurisdizioni totalitarie. Questa vergogna non è però l’aspetto peggiore di tutta la questione. Il vero disastro, e non solo per ciò che riguarda il libero movimento degli uomini e il problema drammatico dei rifugiati e dei migranti, è la perdita di memoria, di cultura e, conseguentemente, del suo sviluppo in termini di civiltà di Moni Ovadia 55 per rispondere in un orizzonte di senso, al diritto inalienabile di ogni uomo di decidere liberamente dove intende progettare la propria vita e quella dei suoi cari. Tutta la comunicazione e l’”informazione” al riguardo, si focalizzano sull’emergenza umanitaria, nel migliore dei casi, atta invece a provocare la paura dell’orda d’invasione, amatissima dai politici conservatori e reazionari. Nulla è pensato nella prospettiva della profondità di un modello nel quale si concatenino e si sinergizzino virtuosamente le azioni di breve e di medio periodo, per approdare nel futuro, alla riedificazione di una cultura in cui l’uomo nella sua integrità e nella sua dignità primigenia, divenga il centro radiante. La retorica della cultura europea tende a gloriarsi e a esibire le proprie vestigia passate soprattutto in esibizioni scolastiche e in ridondanti allestimenti museali ma si guarda bene dal trarre insegnamenti non retorici dalle radici. L’origine mitica della cultura latina della grande Roma, che ha il suo massimo cantore in Virgilio, è generata dall’arrivo sui lidi italici di un rifugiato politico, Enea. Perché cos’altro fu Enea se non un rifugiato in fuga da una guerra perduta per salvare la sua gente? E la sua lunga peregrinazione che lo portò di luogo in luogo fin da noi, che cosa fu se non una migrazione con i “barconi” a remi e a vela di allora? La leggenda fondativa della nostra civilizzazione, nasce dal meticciato di un rifugiato politico migrante, con un’autoctona italico-latina. E se cerchiamo altre radici costitutive, incontriamo il poema omerico di Odisseo, viaggiatore incessante, eroe vittorioso che diventa rifugiato-migrante e non smette di viaggiare con Dante secoli dopo e con Joyce, dopo altri secoli a seguire. Se fossero stati varati provvedimenti restrittivi ai suoi spostamenti, non avremmo avuto l’Odissea. Che dire poi della grande migrazione spirituale di Abramo che esce da Ur dei Caldei, cacciato dalla coscienza del limite idolatrico, per migrare con la propria gente verso una terra santa, santa perché lì il progetto rivelato chiede di viverci da stranieri fra gli stranieri. Insomma, quanti orrori dovremo ancora vedere perpetrati sotto i cieli del nostro pianeta per capire finalmente nel nostro intimo, che tutti siamo un solo uomo, il sapiens sapiens africanus e che abbiamo generato l’immensa varietà delle nostre culture, lingue, arti, tradizioni, espressioni a partire da quell’unico primo uomo. Come? Viaggiando, migrando, fuggendo dai pericoli, dalla crudeltà dei suoi simili, dalla fame, spinto dalla ricerca di se stesso, rifugiandosi in un altrove per ricominciare. Noi siamo, più di tutto, soprattutto un’umanità di rifugiati, di migranti. Noi siamo, più di tutto, soprattutto un’umanità di rifugiati, di migranti. 6 Le foto contenute in questa sezione e quella di copertina fanno parte del più ampio progetto “Unwelcome” del fotografo Simone Perolari, che ci ha gentilmente concesso di usarle. Questo reportage vuole raccontare la vita e la condizione dei migranti, percorrendo le tante porte della fortezza Europa: da Lampedusa a Ceuta e Melilla, da Patrasso fino a Calais. simoneperolari.net Moni Ovadia, attore teatrale, drammaturgo, scrittore, compositore e cantante, nasce a Plovdiv in Bulgaria nel 1946, da una famiglia ebraico-sefardita. Nel 1984 si avvicina al teatro, inziando subito con grandi collaborazioni internazionali e poi proponendo se stesso come ideatore, regista e attore di un particolare“teatro musicale”. Ha debuttato il 16 giugno con il suo nuovo spettacolo “Doppio fronte”. PRIMO PIAN I HARD DISCOUNT EUROPA: l prezzo della libertà, a Sfax, è altalenante come quello dell’oro al mercato di Londra. Fino a poco tempo fa, nell’assolato porto a sud di Tunisi, il tariffario dei broker di esseri umani prevedeva 3000 euro per arrivare in Italia, 5000 per la Germania e 6000 per la Francia. A oggi, poco o nulla è cambiato. Qui l’Europa unita, quella di Mare Nostrum e Frontex, evidentemente non è mai arrivata, almeno in termini di prezzo standard. Poche centinaia di chilometri a nord, oltre il mare, il prezzo del pomodoro, in un qualsiasi supermercato, a volte balla ma si parla sempre di cifre dopo almeno uno zero e una virgola. Che sia fresco o in scatola: a volte bastano appena 30 centesimi per portarsi a casa una latta di pelati. Nadir, 21 anni e una madre a carico, non sa a quanto vengano venduti i pomodori in Italia. Sa solo che deve mantenere la famiglia. È a Sfax perché deve incontrare Mohamed, una specie di ufficio risorse umane che propone pacchetti completi per lavorare all’estero, comprensivi di viaggio, visto, permesso e alloggio. L’opzione più economica è un posto da LA GUERRA DEI PREZZI CHE ALIMENTA di Gianluca Martelliano 7 Gianluca Martelliano è un giornalista specializzato in economia e ambiente. Ha lavorato come fixer (una specie di guida turistica che aiuta i giornalisti stranieri a realizzare inchieste in Italia) per testate britanniche, francesi e scandinave. Ha contribuito a realizzare per France 2 un documentario sullo sfruttamento dei migranti in Italia e sul ruolo della grande distribuzione. Per The Ecologist si è occupato della filiera produttiva che porta dalle arance di Rosarno alla Fanta. bracciante appena più a nord, dall’altra parte del mare. E Nadir si indebita e accetta. Nadir non ha mai visto in vita sua un gommone, nemmeno in tv. E non lo farà a breve. Si imbarca su un traghetto turistico e in sei ore arriva a Palermo. In tasca, i documenti e un contratto di lavoro fornito da un’azienda agricola italiana. Tutto regolare, almeno sembra. Questo è l’inizio di un viaggio migrante. Non lo racconta un romanzo ma il primo processo, iniziato nel 2013 e tutt’ora in corso, sugli schiavi delle campagne d’Italia. L’inchiesta, partita a Lecce grazie alle denunce di un gruppo di braccianti, ha portato in tribunale datori di lavoro italiani che fornivano contratti inesistenti e trafficanti di esseri umani che truffavano i migranti e li obbligavano a lavorare per pochi centesimi. Nadir non esiste. Ma è la somma di tutte quelle vite. Vite senza scelta: o lavori a quelle condizioni, o muori di fame. Tecnicamente, il sistema si chiama caporalato. Le cartoline dalle campagne della penisola raccontano solo l’ultimo capitolo della storia, la meta infelice di un viaggio disperato. Ma i viaggi sono due. Il primo, quello dei migranti. Il secondo, quello dei prezzi dei prodotti agroalimentari. In mezzo, tra le nostre mani che tastano pomodori e arance al supermarket e le loro che li raccolgono da terra, c’è un oceano, una lunga catena economica che passa per trasformatori, grossisti e grandi gruppi industriali. Multinazionali che 8 controllano il mercato e di fatto decidono il prezzo da pagare agli agricoltori, in un gioco al ribasso che spreme gli anelli deboli della catena. L’odissea del prezzo compie un doppio miracolo: fa sembrare l’offerta vantaggiosa sullo scaffale e Conoscono bene il viaggio del prezzo ma non quello dei tanti migranti privati di diritti e dignità. polverizza i pochi centesimi rimasti in una filiera produttiva costosa e lunga. Talmente lunga che i grandi marchi - che sostengono di avere codici etici rigidi - sono costretti ad ammettere di non essere in grado di controllarla. Conoscono bene il viaggio del prezzo ma non quello dei tanti migranti privati di diritti e dignità. Vittime di truffe e inganni, senza documenti e perennemente sotto scacco. In un corto circuito in cui la vittima diventa il criminale da mandare a casa. E il consumatore, seduto sul divano e preoccupato per l’ennesima ondata di sbarchi raccontata dal tg, trova sollievo nell’intermezzo pubblicitario: oggi l’aranciata è in offerta a 99 centesimi. PRIMO PIAN CHI CHIEDE ASILO, LO CHIEDE A NOI di Berardino Guarino S e si guarda al nostro mondo, è impossibile non restare scossi dal numero e dalla tragicità delle crisi che coinvolgono quotidianamente milioni di persone innocenti: la guerra in Siria ma anche in Sud Sudan, in Repubblica Centrafricana, in Nigeria e ancora in Somalia, dove ogni accenno di miglioramento viene soffocato dalla violenza. Continua la silenziosa strage nel mare e nel deserto, di cui tutti dovremmo sentire sulla nostra coscienza il peso. L’operazione Mare Nostrum ha salvato più di 30.000 persone da ottobre a oggi ed è uno sforzo importante da parte delle autorità italiane. Resta però senza risposta la domanda più importante: come si può evitare che persone che hanno diritto alla protezione siano costrette a viaggiare in condizioni tanto rischiose e costose? Senza lasciarci spaventare dai numeri degli arrivi, che pur in aumento restano comunque poca cosa rispetto alle grandi migrazioni di massa che interessano i paesi più poveri del mondo, la nostra principale responsabilità è lavorare per un’accoglienza progettuale, che metta le persone al 9 Berardino Guarino è il direttore dei progetti del Centro Astalli, la sede italiana del JRS, Servizio dei Gesuiti per i rifugiati. Il Centro Astalli da oltre 30 anni è impegnato in numerose attività e servizi che hanno l’obiettivo di accompagnare, servire e difendere i diritti di chi arriva in Italia in fuga da guerre e violenze, non di rado anche dalla tortura. Il Centro Astalli si impegna inoltre a far conoscere all’opinione pubblica chi sono i rifugiati, la loro storia e i motivi che li hanno portati a lasciare il loro paese. centro. Persone che hanno già pagato un prezzo altissimo e che vanno accolte con dignità e nel rispetto dei loro diritti. Abbiamo guardato con attenzione all’ampliamento del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati ma siamo convinti che ci sia ancora molto da fare per razionalizzare e migliorare l’intero sistema di accoglienza nazionale, che resta insufficiente. La crisi ha colpito in modo particolare i più vulnerabili e i migranti forzati, privi di legami familiari e sociali. Ma è giusto ribadire che la crisi che viviamo, prima ancora che economica, è culturale e umana: pesanti tagli al welfare sono accompagnati da un clima politico di diffidenza verso gli stranieri, che a volte arriva a un’aperta ostilità. I rifugiati e i migranti forzati affrontano spesso atteggiamenti di rifiuto e discriminazione. I media tendono a descriverli come una minaccia, un peso, un problema da gestire. La nostra esperienza ci dice che i rifugiati desiderano con forza essere messi in condizione di dare il loro contributo alla società che li ospita. Quando attraverso un impegno serio e onesto di tutti si trova il modo di superare le barriere d’ingiustizia e a costruire relazioni, si attivano nella società nuove dinamiche, che non possono che contribuire positivamente al nostro futuro comune. È molto importante, dunque, continuare a chiederci come possiamo influenzare, con creatività, efficacia e positività, i valori di chiusura e di esclusione che a volte vediamo prendere il sopravvento. Chi chiede asilo, lo chiede a noi. Non possiamo accontentarci di stare a guardare, magari commuovendoci, le ingiustizie che accadono sotto i nostri occhi o appena al di là del mare delle nostre vacanze. Non è una questione per addetti ai lavori. Ciascuno di noi può iniziare creando uno spazio, nella propria vita e nella propria quotidianità, per i rifugiati. 10 Cosa chiediamo all’Italia per il semestre di presidenza dell’Unione europea A mnesty International ritiene che il 2014 debba essere l’anno del cambiamento per l’Ue. L’emergere in diversi stati membri di gruppi xenofobi ed estremisti testimonia la necessità di questo cambio di rotta. Inoltre, il rinnovo dell’assetto istituzionale europeo, con l’entrata in vigore delle modifiche apportate dal trattato di Lisbona e l’elezione di nuovi presidenti alla Commissione e al Consiglio, rappresenta un’opportunità per mettere i diritti umani al centro dell’agenda politica e istituzionale. Il ruolo di “traghettatore” della presidenza italiana in tutto questo appare dunque evidente. Per questo, il 24 giugno, Amnesty International Italia ha lanciato il memorandum “Un nuovo inizio nelle politiche e pratiche sui diritti umani in Europa”, che chiede all’Italia e all’Europa un nuovo approccio ai diritti umani, con particolare riguardo ai diritti di migranti, rifugiati e richiedenti asilo, a salvaguardia della vita e della dignità umana, tema oggetto della campagna SOS Europa. Queste le raccomandazioni generali che Amnesty International ha indirizzato al governo italiano, in vista del semestre di presidenza dell’Ue: • tutelare i diritti umani nell’Ue; • migliorare le politiche e le prassi esistenti in materia d’immigrazione e asilo; • combattere la discriminazione, in particolare quella che colpisce le minoranze; • rispettare i diritti umani dei rom; • tutelare i diritti delle donne; • mettere fine alle violazioni dei diritti umani perpetrate dalle imprese e dalle multinazionali nelle loro attività estrattive; • fermare la tortura; • fermare il trasferimento internazionale di equipaggiamenti utilizzati per violare i diritti umani; • accertare la responsabilità dell’Europa nelle c.d. operazioni di rendition condotte dalla Cia e in altri programmi segreti di detenzione; • mobilitare l’Ue a tutela di 11 casi di “individui a rischio” seguiti dall’associazione. Infine, visto il tradizionale impegno dell’Italia sull’abolizione universale della pena di morte, Amnesty International Italia chiede che anche quest’anno sia protagonista di un’iniziativa sulla moratoria all’Assemblea generale dell’Onu e si è resa disponibile a dare il proprio contributo partecipando a una task force, creata presso il ministero degli Esteri su questo tema, in occasione del semestre europeo. 11 DAL M0ND SUD SUDAN: VIOLENZE E CARESTIA Da quando, nel dicembre 2013, è esploso il conflitto tra le forze rivali fedeli rispettivamente al presidente Salva Kiir e all’ex vicepresidente Riek Machar, la popolazione civile è stata presa sistematicamente di mira nelle città e nei villaggi, nelle case, nelle moschee, negli ospedali e persino nelle basi delle Nazioni Unite dove aveva cercato rifugio. In alcuni di questi luoghi, sono stati trovati scheletri umani, corpi in decomposizione mangiati dai cani e fosse comuni, cinque delle quali a Bor che, secondo fonti governative, contenevano 530 cadaveri. Ovunque ci sono case saccheggiate e incendiate, ambulatori distrutti. Sebbene sia scaturito da uno scontro di natura politica, il conflitto ha assunto una chiara connotazione etnica tra i dinka, da cui proviene la maggior parte delle forze fedeli al presidente Kiir, e i nuer, il gruppo d’origine della maggior parte dei disertori delle forze armate e delle milizie fedeli all’ex presidente Machar. Civili appartenenti ai gruppi dinka, nuer e shilluk sono stati presi sistematicamente di mira solo a causa della loro etnia e della conseguente, presunta, affiliazione politica. I due leader delle fazioni in lotta a inizio maggio hanno sottoscritto un impegno per la cessazione delle ostilità, l’apertura di corridoi umanitari e la cooperazione con l’Onu per garantire l’arrivo degli aiuti ma gli scontri tra truppe e ribelli continuano e si teme che i leader non siano più in grado di controllare i combattenti sul campo. A causa del conflitto, la situazione umanitaria nel Sud Sudan sta diventando sempre più precaria. La violenza in corso ha impedito a tante persone di rientrare nelle loro terre nel periodo cruciale della semina. La carestia sarà quasi inevitabile. Con l’arrivo della stagione delle piogge, le strade diventeranno presto impraticabili, rendendo impossibile la fornitura di aiuti umanitari di cui c’è disperato bisogno nelle aree colpite dal conflitto. Le forniture di cibo e medicinali vengono inoltre deliberatamente bloccate. Le agenzie umanitarie sono state attaccate negli stati di Jonglei, Alto Nilo e Unità e almeno tre loro operatori sono stati uccisi. Il presidente ha parlato di una delle peggiori carestie mai sofferte dalla sua popolazione e si sono manifestati almeno 19 casi di colera, di cui uno mortale. Di fronte all’esplosione di violenza nel Sud Sudan, lo scorso dicembre il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dopo aver rilevato crimini contro l’umanità, omicidi di massa e stupri di gruppo commessi da entrambe le parti in conflitto, ha unanimemente approvato l’incremento temporaneo della forza di peacekeeping ma il dispiegamento delle truppe aggiuntive è stato lento e la Missione Onu nel Sud Sudan (Unmiss) è in difficoltà nell’adempimento al suo mandato di proteggere la popolazione civile. 12 DAL M0ND NIGERIA SOTTO SCACCO DI BOKO HARAM Nel nord-est del paese imperversano le violenze perpetrate dal gruppo estremista Boko haram: uccisoni mirate, attentati e rapimenti sono all’ordine del giorno. A metà aprile, 240 ragazze cristiane della scuola di Chibok sono state rapite per motivi religiosi. In un video il gruppo ha rivendicato il rapimento e affermato che le ragazze saranno ridotte in schiavitù o vendute come “spose”. Secondo fonti attendibili le forze di sicurezza avrebbero saputo dell’aggressione almeno quattro ore prima ma non hanno fatto niente per impedirla. Adesso si parla della possibilità di uno scambio di prigionieri di basso profilo, che porterebbe alla liberazione di metà delle ragazze ma il governo sembra reticente. Fonti ufficiali hanno anche affermato di sapere dove si trovano le ragazze ma ancora non si è fatto niente per la loro liberazione. Intanto nella regione continuano le violenze: il 20 maggio, Boko haram ha fatto esplodere due autobus a Jos, in una strada trafficata del centro, davanti a una stazione dei taxi, provocando la morte di oltre 100 persone; il 28 maggio ha assaltato una base militare e una stazione di polizia nel nord-est della Nigeria, uccidendo 33 persone fra soldati e agenti; il 1° giugno, ha fatto esplodere una bomba all’interno dello stadio della città di Mubi, al termine di una partita di calcio, uccidendo almeno 40 persone, tra cui anche bambini. L’elenco delle violenze sembra non avere fine. 13 COLPO DI STATO IN THAILANDIA Il 22 maggio l’esercito thailandese, con a capo il generale Prayuth Chan-Ocha, due giorni dopo aver decretato unilateralmente la legge marziale, ha assunto ufficialmente il governo del paese, sospendendo la costituzione, attribuendosi poteri d’emergenza, arrestando centinaia di esponenti politici e attivisti e limitando una serie di diritti umani. Alcuni mezzi d’informazione sono già stati sottoposti a censura e vige il divieto generale di riferire “notizie che danneggino la sicurezza nazionale”. Sulla base della legge marziale, le forze armate ora possono compiere arresti senza mandato e trattenere i sospettati per una settimana, sequestrare beni privati e perquisire persone e proprietà in assenza di una decisione giudiziaria. L’esercito è inoltre immune rispetto a richieste di risarcimento. Il colpo di stato è stato motivato dalle richieste dell’opposizione di una maggior trasparenza e di porre fine alla corruzione nel paese. Il 5 giugno, Sombat Boonngamanong, un noto attivista sociale che aveva lanciato online inviti a tenere proteste pacifiche contro il colpo di stato, è stato arrestato. Negli stessi giorni la corte militare ha inviato un ordine di comparizione a sette manifestanti pacifici. DAL MOND © Raphaël Bianchi CRIMINI D’ODIO IN FRANCIA © Unhcr/D.Kashavelov UCCISIONI SOMMARIE IN SIRIA In un orribile attacco avvenuto il 29 maggio ad al-Tleiliye, villaggio nel nord della Siria, 15 civili sono stati uccisi in modo sommario, di questi sette erano bambini. Le uccisioni sarebbero state compiute dallo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis). Le vittime erano contadini arabi, presi di mira perché sospettati di sostenere un gruppo armato curdo, l’Unità per la protezione del popolo (Ypg), oppure scambiati per curdi di religione yazida. L’Isis e alcuni altri gruppi armati considerano gli yazidi alla stregua di infedeli e per questo motivo molti curdi che professano questa religione hanno lasciato la zona dopo che, nel 2013, l’Isis ne ha assunto il controllo. Secondo quanto riferito dai mezzi d’informazione, il 13 giugno un ragazzo rom di 16 anni che viveva in uno stabile occupato a Pierrefitte-sur-Seine (fuori Parigi) è stato rapito, gravemente ferito e ridotto in coma da una decina di persone che lo sospettavano di furto con scasso. La polizia ha riferito di averlo trovato privo di sensi e gravemente picchiato, all’interno di un carrello della spesa davanti a un supermercato. La notte prima, nella città portuale di Calais, nel nord della Francia, un uomo di 26 anni avrebbe sparato su due migranti provenienti da Sudan ed Eritrea. Il sudanese è stato ricoverato per le ferite riportate, mentre l’aggressore è stato arrestato il 15 giugno. Oltre a vivere sotto la costante minaccia di violenza discriminatoria, rom e migranti continuano a essere sgomberati con la forza dalle autorità francesi in violazione delle salvaguardie internazionali e nazionali. Una comunità rom di circa 200 persone a Bobigny, vicino a Parigi, e un’altra di 400 persone a La Parette, a Marsiglia, rischiano lo sgombero. Le comunità non sono state consultate in modo adeguato, né è stato loro offerto alcun alloggio alternativo. Anche migranti, rifugiati e richiedenti asilo sono a rischio di sgombero forzato. Il 28 maggio, le autorità francesi hanno sgomberato con la forza circa 700 migranti e richiedenti asilo da campi di fortuna a Calais, come risposta a un’epidemia di scabbia ma l’azione rischia di peggiorare la situazione. 14 IN BREV IRAN Il 17 aprile, in quello che gli attivisti iraniani hanno chiamato il “giovedì nero”, prigionieri politici e di coscienza della sezione 350 della prigione di Evin, a Teheran, sono stati aggrediti, picchiati e sottoposti a maltrattamenti e ad alcuni sono state negate cure mediche adeguate. Pakistan La mattina del 27 maggio, Farzana Iqbal è stata aggredita da una decina di parenti all’esterno del tribunale di Lahore ed è morta in seguito delle percosse. Era incinta. La sua unica “colpa” era stata quella di aver sposato l’uomo che amava senza il permesso della famiglia. Turchia Il 13 maggio si è verificata una catastrofica esplosione nella miniera di carbone di Soma, in cui sono morti oltre 300 minatori e molti altri sono rimasti feriti. Ci sono state denunce e proteste relative ai pericoli cui sono esposti i lavoratori delle miniere. privata del paese, a causa dei contenuti “blasfemi” trasmessi e delle accuse lanciate contro un alto ufficiale dell’intelligence militare. Italia Il 10 giugno, all’udienza preliminare sul caso di Giuseppe Uva, fermato dalla polizia il 14 giugno scorso, portato in caserma e poi al reparto psichiatrico dell’ospedale di Circolo, dove morì per arresto cardiaco, il procuratore generale ha chiesto il proscioglimento di tutti gli indagati dall’accusa di omicidio preterintenzionale, violenza privata, abbandono di incapace e arresto illegale, chiedendo il rinvio a giudizio per il solo reato di abuso di autorità contro arrestati o detenuti. India La notte del 27 maggio, due ragazze dalit, di 14 e 16 anni, sono scomparse dopo che erano uscite di casa per andare a fare i loro bisogni in un campo. La mattina dopo, sono state trovate impiccate a un albero. Secondo l’autopsia, erano state vittime di uno stupro di gruppo Palestina e poi strangolate. La polizia ha arrestato due uomini Il 15 maggio, le forze israeliane hanno ucciso due appartenenti a una casta superiore ed è alla ricerca di Egitto giovani e ferito altri, durante una manifestazione ulteriori sospetti. L’11 giugno, un tribunale ha condannato a 15 anni di fuori dal campo militare di Ofer, per commemorare carcere il noto blogger e attivista Alaa Abdel Fattah la “Nakba” e mostrare solidarietà a 125 palestinesi Cina e altri 24 imputati per una manifestazione pacifica detenuti senza accusa né processo, in sciopero della Nelle settimane precedenti al 25° anniversario della convocata a novembre per chiedere che dalla bozza di fame da 22 giorni. L’esercito e la polizia di frontiera repressione a piazza Tiananmen, decine di attivisti Costituzione venisse rimossa la norma sui processi di d’Israele hanno fatto uso eccessivo e letale della sono stati arrestati, posti agli arresti domiciliari o imputati civili di fronte a corti marziali. forza. convocati per interrogatori dalla polizia solo per aver cercato di commemorare le centinaia, se non migliaia, Israele Russia di manifestanti pacifici e di civili uccisi o feriti la notte Mordechai Vanunu, che ha scontato una condanna a 18 Il 21 maggio, cinque uomini sono stati condannati tra il 3 e il 4 giugno 1989. anni per aver rivelato al Sunday Times informazioni sul per l’omicidio di Anna Politkovskaja, la giornalista programma nucleare israeliano, è ancora sottoposto a investigativa assassinata a Mosca il 7 ottobre 2006. Pakistan restrizioni. Le autorità israeliane gli hanno impedito di Il processo ha lasciato però domande insolute e non vi Il 6 giugno, l’organo governativo che vigila sui mezzi recarsi a Londra dal 17 al 19 giugno per prendere parte sarà piena giustizia fino a quando non saranno portati d’informazione ha sospeso con effetto immediato la a un convegno di Amnesty International e pronunciare in tribunale i mandanti. licenza di trasmettere a Geo TV, la maggiore emittente un discorso al parlamento inglese. 15 DAL MOND © RomanPankratov.ru LA LEZIONE DI ANDREY Non era giornalista, pur avendone tutti i requisiti, ma si era creato un ruolo ancora più importante. La sua vocazione era accompagnare i professionisti dell’informazione lì dove c’erano ingiustizie da denunciare e far capire al resto del mondo: la repressione contro i più deboli, l’arroganza del potere, il dramma della gente comune. Andrey Mironov, 60 anni, nato a Irkutsk, sul lago Baikal, era diventato il riferimento obbligato per comprendere il mondo sovietico dopo il Grande Crollo, per capirne le dinamiche e l’involuzione sempre più autoritaria del nuovo regime. Ai giornalisti occidentali offriva la chiave per aprire le porte più segrete dell’ex Impero: dalla Cecenia alla Georgia, dai giochi internazionali della Gazprom ai depositi di armi biologiche e chimiche sepolti nelle piane gelate della Siberia. Andrey Mironov era un personaggio generoso, cercava di soddisfare tutte le richieste di chi sentiva dalla sua parte, senza tirarsi mai indietro e senza misurare troppo i rischi. È proprio questo, forse, che ha segnato il suo destino. Andrey è morto il 24 maggio scorso in Ucraina, ucciso in un’imboscata non lontano da Sloviansk, mentre accompagnava sulla prima linea degli insorti filorussi un giovane fotoreporter italiano, Andrea Rocchelli, pieno di entusiasmo e di passione. Avevo conosciuto Andrey Mironov 12 anni fa a Mosca, in uno dei miei primi viaggi nella nuova Russia, appena dopo aver intervistato la giornalista Anna Politkvoskaja nella redazione della Novaya Gazeta. Anna si era esposta in particolare sulla questione cecena, denunciando i soprusi del Cremlino da una parte e dei guerriglieri ceceni dall’altra, ai danni della popolazione civile. 16 16 di Giorgio Fornoni Lei stessa sarebbe stata, pochi anni dopo, nel 2006, la vittima più illustre di una guerra dichiarata alla libertà di stampa. Ci eravamo incontrati in albergo e mentre parlavamo di tanti nuovi progetti di inchiesta, Andrey continuava a massaggiarsi il collo con aria dolorante. Pochi giorni prima, mi confidò, aveva subito un’aggressione da parte di agenti del Kgb, che lo avevano bastonato duramente lungo la strada di casa. Con la polizia segreta Andrey aveva ormai un’esperienza quotidiana. Ancora in epoca socialista era stato rinchiuso in carcere e condannato a tre anni di gulag perché diceva “raccontavo la verità”. A tirarlo fuori era stato un intervento diretto di papa Woytyla, al quale aveva scritto una lettera insieme ad altri condannati. Mi raccontava, scherzando, che gli agenti che lo pedinavano continuavano a lamentarsi che li faceva correre troppo col suo passo veloce. Andrey era anche un uomo di cultura. Il suo riferimento ideale era l’amico Shakarov, il grande scienziato diventato il simbolo della battaglia per i diritti civili nella nuova Russia degli anni Novanta. Era stato membro attivo del Memorial di Mosca, l’associazione non governativa per il rispetto dei diritti umani. Stabilimmo da allora un rapporto diretto di amicizia, più ancora che di collaborazione giornalistica. Con Andrey mi sono calato nella memoria più fosca dell’epoca dei gulag e ho incontrato nella sua dacia a 80 chilometri da Mosca, il testimone più importante di quella lontana epopea, Gregori Pomeranc, amico di Solgenitsin e di Shalamov. Con Andrey ho scoperto a Kolzovo, in Siberia, il centro per la produzione di armi biologiche più importante al mondo, dove sono stoccati 300 ceppi di virus tra i più letali: antrace, vaiolo, Marbourg-U. Con Andrey ho visto i cinque depositi più segreti di micidiali armi chimiche rimasti in Russia, a qualche centinaio di chilometri da Mosca. Con Andrey ho denunciato il pericolo dei reattori nucleari abbandonati nel mare di Barents e a Vladivostok, all’interno di sommergibili abbandonati e ancora da smantellare. Ricordo che da Vladivostok tornammo insieme viaggiando a bordo della mitica Transiberiana. Fu quella l’occasione nella quale approfondimmo di più la nostra amicizia. Passammo insieme in un piccolo scompartimento sei giorni, sei notti e quattro ore, viaggiando per migliaia di chilometri e nove diversi fusi orari, mentre Andrey tornava ai suoi ricordi di infanzia e citava le letture che suo padre gli faceva 17 del Piccolo Principe e di Dersu Uzala. Fu proprio nella taiga di Dersu Uzala che comprammo insieme diversi vasi di miele di tiglio, dei quali andava ghiotto. Quando passammo da Irkutsk, la sua città natale, lo sentivo commosso, non solo per i ricordi ma anche perché sinceramente affascinato da quella gelida bellezza. Andrey era attento e critico nei confronti della politica ma amava anche profondamente il suo paese e la sua gente. Viaggiavamo nel grande inverno russo, tra distese sterminate di foreste innevate e di laghi ghiacciati, attraversando la taiga deserta punteggiata di piccole capanne sperdute. “Parlano sempre della Transiberiana e di chi è stato capace di costruirla”, mi diceva Andrey. “Ma nessuno parla mai dei 70mila operai che hanno lavorato per anni, distrutti dalla fatica, e dei 15mila che sono morti, sepolti lungo i binari che andavano tracciando”. Con Andrey, e con suo grande stupore di fronte a tanto sfarzo, sono entrato a Mosca nel grattacielo della Gazprom, la roccaforte del potere energetico russo. Con Andrey sono tornato in Cecenia, tra le macerie della scuola di Beslan, teatro di uno dei più crudeli massacri di quella guerra maledetta, con più di 300 piccole vittime. “Le guerre svuotano l’anima”, mi disse allora. “Non solo quelle dei guerriglieri disposti a tutto ma anche quelle di chi ha dato l’ordine di usare i lanciafiamme per snidarli, incuranti della presenza di bambini innocenti”. Andrey faceva ormai di tutto per accontentarmi, nella mia voglia di raccontare storie e personaggi. Anche i più negativi, come quando mi accompagnò, a malincuore, a intervistare Ramzan Kadirov, il terribile e temibile presidente ceceno. Con tutt’altro spirito, pieno di affettuosa partecipazione, mi aveva accompagnato al Memorial di Grozny e a intervistare i tanti colleghi giornalisti russi sopravvissuti alla brutalità della censura di regime. E Andrey non aveva esitato a esporsi anche in prima persona quando denunciò apertamente gli “squadroni della morte” del regime, in una mia inchiesta per Report sulla pena capitale. “Dicono che c’è la moratoria”, aveva detto coraggiosamente davanti alla mia telecamera in un’intervista a sensazione. “Ma le esecuzioni avvengono nell’ombra, centinaia ogni anno, per via extragiudiziale”. Ho lavorato insieme ad Andrey Mironov, per l’ultima volta, subito dopo l’insurrezione di piazza Maidan, a Kiev, e la secessione della Crimea. Dopo giorni passati tra macerie, fili spinati e ritratti dei caduti illuminati Condividevamo gli stessi sentimenti sulla questione dei diritti umani e sul rifiuto della guerra. 18 dalle candele e cosparsi di fiori, ci ritrovavamo in un ristorante georgiano a bere birra e mangiare khachapuri. Ci eravamo visti più volte anche in Italia, a casa mia, ad Ardesio. Condividevamo gli stessi sentimenti sulla questione dei diritti umani e sul nostro rifiuto della guerra. Andrey, da sempre un attivista impegnato nella causa dei diritti civili, denunciava apertamente la posizione di Putin e il suo doppio gioco sulla questione dell’autodeterminazione. “Se ci credesse veramente”, mi diceva, “lo avrebbe dimostrato anche in Cecenia o in Ossezia, non solo sulla Crimea”. Quello che più lo turbava, comunque, era che l’intervento militare potesse provocare nuove vittime tra la popolazione civile. Era con questo spirito, certamente, che Andrey aveva deciso di accompagnare un giovane fotoreporter italiano, Andrea Rocchelli, sulla prima linea degli scontri tra l’esercito ucraino e gli insorti filorussi, un ultimo azzardo che sarebbe stato fatale a entrambi. Andrey era convinto che dietro gli insorti di Donesk e Sloviansk ci fossero manovre destabilizzanti dall’esterno. La loro macchina, a bordo della quale c’era anche un fotografo francese che ha poi raccontato la scena, era stata bersagliata da colpi di kalashnikov. Mentre i due si lanciavano fuori e saltavano in una buca per ripararsi, Andrey Mironov e Andrea Rocchelli sono stati colpiti in pieno da una granata di mortaio. “Ho capito che non basta denunciare l’ingiustizia”, scriveva Albert Camus. “Bisogna anche dare la vita per cambiarla”. Il mio amico e collega Andrey, questo lo ha fatto e sentiremo in tanti la sua mancanza. DAL CA DAL CAMPO UNA MACABRA REALTÀ di Donatella Rovera ricercatrice di Amnesty International Tra le migliaia di sfollati accampati intorno alla moschea del PK12, quartiere alla periferia nord di Bangui, la capitale della Repubblica Centrafricana, incontro Dairu Soba, ferito e disperato. Ha appena perso 13 familiari, tra cui suo padre e tre piccoli cugini, uccisi da un gruppo di “antibalaka”, le milizie cristiane che minacciano di morte o esilio i musulmani. “Mio padre non poteva correre a cause dei reumatismi; l’hanno ucciso sotto l’albero davanti a casa, dov’eravamo seduti a chiacchierare”. Abdul Rahman Yamsa, 12 anni, ci racconta che sua mamma, i suoi fratelli minori, sua zia e due cugine, una di appena 18 mesi, sono stati uccisi mentre stavano fuggendo dal paese. “Ci hanno fatto scendere dall’autobus… hanno ucciso mia mamma, hanno squartato la mia sorellina in due”. © ©Reuters/Siegfried Modola Reuters/Siegfried Modola 19 A Mbaiki, l’unico musulmano rimasto a fine febbraio è Saleh Dido, il vicesindaco. “Questo è il mio paese, sono patriota, rimango”, mi dice l’ultima volta che ci parliamo. Due giorni dopo viene ucciso, sgozzato per strada. A metà gennaio, le milizie “anti-balaka” si sono scatenate con inedita ferocia contro i musulmani, accusati di complicità con le forze Seleka (gli ex-ribelli musulmani che presero il controllo del paese nel marzo 2013 fino a inizio 2014 e che commisero gravi violazioni, soprattutto contro i cristiani). Per impedire i massacri, a dicembre 2013, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha autorizzato il dispiegamento di 7000 soldati francesi e dell’Unione africana ma i peacekeepers si muovono poco fuori dalla capitale e restano nelle loro basi. A Boyali, Bossembelè, Bossemptelè, Baoro e altrove, dove andiamo a investigare i massacri, non c’è traccia di peacekeepers. Gli unici posti di blocco che troviamo sono quelli delle milizie “anti-balaka”, che spesso chiedono soldi e minacciano d’impadronirsi dell’auto. I musulmani fuggono in massa verso il Ciad e il Camerun, stipati come sardine in convogli di camion scortati da militari ciadiani. Chi non trova posto nei convogli e tenta la fuga senza scorta corre gravi rischi. All’ospedale di Bouar trovo 20 Souadatu, 12 anni, paraplegica in seguito a un attentato contro il camion carico di musulmani in fuga. Un’altra bambina di 11 anni, suo fratello e sua sorella sono morti nello stesso attentato. In poche settimane, i musulmani scompaiono dalla capitale e dalla regione ovest. A Mbaiki, l’unico musulmano rimasto a fine febbraio è Saleh Dido, il vicesindaco. “Questo è il mio paese, sono patriota, rimango”, mi dice l’ultima volta che ci parliamo. Due giorni dopo viene ucciso, sgozzato per strada. A fronte dell’evidente incapacità della comunità internazionale di proteggere i civili, coraggiosi preti e suore rischiano la vita per aiutare i pochi musulmani rimasti e alcune Ong forniscono assistenza medica e aiuti umanitari. Il conflitto non fa quasi piu notizia. La scoperta di cadaveri, spesso mutilati e bruciati, fa ormai parte di una macabra realtà quotidiana. A settembre, una missione di pace dell’Onu sostituirà le attuali missioni di peacekeepers, con la speranza che non sia troppo poco e troppo tardi. IN ITALI Gianni Rufini Direttore generale di Amnesty International Italia AZIONISTI CRITICI È stato strano per me sentirmi “azionista” dell’Eni, forte dell’unica azione della compagnia che Amnesty International ha acquistato per acquisire il diritto a parlare nella sua assemblea generale. Non mi sono mai sentito parte di quella “comunità” di cittadini che investono in borsa, per me il successo di un’azienda è importante solo nella misura in cui si riversa con effetti benefici sulla società e sui cittadini. Fortunatamente, essere un “azionista critico” non mi ha costretto a ripensare il mio atteggiamento, anzi è proprio l’impatto dell’Eni sulle comunità del Delta del Niger, sul loro benessere e sui loro diritti, il motivo per cui siamo azionisti. È una battaglia che stiamo conducendo da anni, con qualche buon risultato. Di recente, cedendo alle nostre richieste, l’Eni ha finalmente cominciato a pubblicare dati sull’impatto delle perdite dei suoi oleodotti. Queste sono in parte dovute alle condizioni d’impianti ormai vecchi e in parte a furti di petrolio organizzati da gruppi criminali, che alimentano un mercato parallelo, rubando petrolio alle compagnie. Questo mercato nero rappresenta un problema massiccio per la gente del Delta: l’inquinamento che ne deriva rende impossibile pesca e agricoltura e causa un degrado 21 e petizion a l o t a rm er aver fi nua. p e i z a r “G nti aglia co t t a b a l a lottare 00 e r ma a u n i t o con e 69.0 Dobbiam la vita di quest e tat are e sono s per salv h c . o d o aB petrolio” i d e t i persone c i Bodo uorius f munità d e o l c l a a ll d e d n Lekova colpite r Christia Pasto grave delle condizioni di vita. Inoltre, la presenza di organizzazioni criminali richiama l’intervento delle forze di sicurezza nigeriane, spesso accusate di brutalità e di gravi violazioni dei diritti umani. Gli abitanti del Delta si ritrovano presi in una tripla morsa: il crimine organizzato, le forze armate nigeriane e l’inquinamento devastante. Una situazione che richiede una costante azione da parte nostra ma anche un’assunzione di responsabilità da parte delle compagnie petrolifere. Sotto la nostra pressione, l’Eni ha fatto alcuni passi significativi ma c’è molto di più da fare. Ci saranno altre assemblee in cui chiederemo conto alla governance della compagnia del suo operato e continueremo a esigere trasparenza e diritti. Per continuare a supportare la battaglia della comunità di Bodo abbiamo bisogno anche di te! SOSTIENICI! IN ITALI STOP ALLA TORTURA IN ITALIA! 22 22 Amnesty International ha svolto ricerche su 142 paesi giungendo alla conclusione che nel 2014 la tortura viene praticata ancora in 79 paesi. Il 13 maggio abbiamo lanciato la campagna globale “Stop alla tortura” per sollecitare i governi a introdurre e applicare garanzie di protezione per prevenire e punire la tortura. Oltre agli obiettivi della campagna a livello internazionale, concentrati su Messico, Uzbekistan, Nigeria, Marocco e Filippine, in Italia, un ulteriore focus della campagna sarà l’introduzione del reato di tortura nel codice penale del nostro paese. A ormai 13 anni dal G8 di Genova, molti dei responsabili di gravi violazioni dei diritti umani sono sfuggiti alla giustizia. Nel frattempo, Amnesty International è venuta a conoscenza di episodi di tortura e altre forme di maltrattamento da parte delle forze di polizia, personale sanitario e penitenziario. Le segnalazioni evidenziano come le persone vengano torturate e maltrattate al momento dell’arresto, quando vengono trasferite, mentre sono in stato di fermo in attesa di giudizio e anche durante la detenzione. Molte volte questi crimini rimangono impuniti, anche perché manca ancora una legge che preveda il reato di tortura nel codice penale, che Amnesty Internatonal chiede da 25 anni. Al momento, c’è un disegno di legge già approvato in senato e attualmente in esame alla camera, che dilaterebbe i tempi di prescrizione e assicurerebbe pene adeguate per i responsabili. In occasione della Giornata internazionale contro dila Paola tortura,Brasile il 26 giugno, le attiviste e gli attivisti sono scesi in piazza in 20 città italiane, da Roma a Milano, da Ancona a Palermo, nell’ambito di una mobilitazione globale di tutte le Sezioni di Amnesty International nel mondo. La mobilitazione globale aveva lo scopo di esprimere solidarietà alle vittime di tortura e alle loro famiglie e di attirare l’attenzione sul fatto che le persone vengono torturate spesso in maniera tragicamente banale, con oggetti che per noi sono di uso quotidiano. Gli attivisti hanno organizzato brevi rappresentazioni e flashmob, per indurre una riflessione su come un oggetto apparentemente innocuo possa diventare un vero e proprio strumento di tortura, su come la tortura sia molto più vicina di quanto si pensi. La mobilitazione di Roma è stata preceduta da una tavola rotonda organizzata da Amnesty International, Antigone e Cittadinanzattiva - Giustizia per i diritti, un’iniziativa pensata per promuovere un confronto fra la società civile e le istituzioni sul tema della tortura, per dare un contributo alla discussione in corso sull’introduzione del reato di tortura nel codice penale italiano. 23 23 IN ITALI PERCHÉ IL F2F? Ci sono persone che per mille motivi non sono mai inciampate in Amnesty International. Altri invece ci conoscono superficialmente: sanno che facciamo qualcosa di buono, riconoscono la candela ma non sanno in cosa consiste il nostro lavoro. Noi del Face to face cerchiamo proprio queste persone, nel luogo democratico per eccellenza: la strada. Lì possiamo incontrare il professore di diritto che non ha mai riflettuto sull’importanza di diventare socio e il giovane che non sa ancora che c’è chi combatte per quelle ingiustizie che lo fanno infuriare, c’è la signora che ogni anno fa sostanziose donazioni ma che non sa quanto sostenerci in modo continuativo sia più efficace ed efficiente. E c’è anche chi ha una visione del mondo molto diversa dalla nostra e chissà che, accolto da un sorriso, non abbia voglia di approfondire le nostre argomentazioni. L’ONDA PRIDE 2014 Il primo appuntamento è stato il 7 giugno a Roma, per festeggiare i 20 anni dal primo Pride italiano. E poi a seguire Torino, Milano, Venezia, Bologna, Alghero, Napoli, Lecce, Catania, Siracusa, Palermo, Perugia, per chiudere il 19 luglio a Reggio Calabria. Ancora una volta le attiviste e gli attivisti di Amnesty International sono al fianco della comunità Lgbti contro ogni forma di discriminazione a causa dell’orientamento sessuale e/o dell’identità di genere, per ricordare le violazioni dei diritti umani nei confronti delle persone Lgbti e i paesi in cui l’omosessualità è addirittura un reato. MIGRANT HUMAN RIGHTS TOUR Dal 11 al 27 luglio, Amnesty Italia organizza il suo primo tour per i diritti umani dei migranti e richiedenti asilo, nell’ambito della campagna SOS Europa. Iniziamo a Sofia, in Bulgaria, dove si terrà una settimana di campeggio per i diritti umani dei migranti che coinvolgerà diverse attiviste e attivisti provenienti da tutta Europa. Il tour proseguirà poi in Italia, dove sono previsti incontri istituzionali e attività pubbliche, tra cui la partecipazione al festival Sicilia Ambiente a San Vito lo Capo e il campeggio per i diritti umani di Lampedusa. Al tour prenderanno parte due attivisti migranti che racconteranno le loro esperienze e promuoveremo l’appello che chiede ai governi europei di mettere le persone prima delle frontiere. 24 AMNESTY INCONTRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI Il 29 aprile, una delegazione di Amnesty International Italia, guidata dal presidente Antonio Marchesi e dal direttore Gianni Rufini, ha incontrato il ministro degli Affari esteri, Federica Mogherini. Nel corso dell’incontro, Amnesty International ha manifestato apprezzamento per la visione del ministro sulla prevenzione dei conflitti, sulla tutela e promozione dei diritti umani e sull’attuazione di standard minimi. Il ministro ha poi ascoltato le raccomandazioni dell’associazione relative alla gestione dei flussi migratori da parte dell’Ue. Infine, è stata espressa preoccupazione comune per la crisi in corso in Ucraina e per il progressivo deterioramento della situazione dei diritti umani in Egitto e in Libia. :DIRITTI CARTELLINO GIALLO PER IL BRASILE Il 5 giugno, l’Ambasciata brasiliana in Italia ha rifiutato di ricevere le oltre 6000 firme raccolte da Amnesty International Italia per chiedere il rispetto del diritto di manifestazione pacifica durante i Mondiali di calcio. Lo stesso è accaduto a Brasilia, Madrid e altre città europee. Negli ultimi 12 mesi le forze di polizia del Brasile hanno reagito con estrema durezza alle proteste di massa contro l’aumento dei prezzi, la carenza di servizi pubblici e i costi elevati sostenuti per l’organizzazione dei Mondiali. BRING BACK OUR GIRLS Il 15 maggio, una delegazione di Amnesty International Italia, guidata dal direttore Gianni Rufini, ha incontrato S.E. Eric Tonye Aworabhi, ambasciatore della Nigeria in Italia e ha consegnato le 9200 firme dell’appello “Bring back our girls”, raccomandando al governo nigeriano di garantire una soluzione definitiva accettabile e sostenibile alla vicenda del rapimento delle oltre 200 ragazze da parte di Boko haram. Nel corso dell’incontro, Gianni Rufini ha ricordato le richieste che Amnesty International rivolge da tempo a Boko haram per porre fine agli attacchi contro la popolazione civile e liberare immediatamente le ragazze. 25 È dedicato alle parole il nuovo numero di :Diritti, il fascicolo illustrato di Amnesty International rivolto ai giovani lettori dagli 8 ai 12 anni. Tutti abbiamo il diritto di esprimerci liberamente ma siamo anche responsabili di cosa diciamo e come comunichiamo! 24 pagine a colori con fumetti, notizie e giochi, per conoscere i diritti umani divertendosi. Scopri come ricevere a casa :Diritti su amnestykids.it © Archivio privato APPELL RUSSIA MYANMAR LIBIA Rilasciare i manifestanti di Bolotnaya Tun Aung deve essere rilasciato Migranti e rifugiati a rischio Il 6 maggio 2012, la polizia disperse una manifestazione autorizzata a piazza Bolotnaya. Sono state arrestate tra le 400 e le 650 persone, molte in seguito accusate di partecipazione a disordini di massa e/o violenza contro funzionari statali. Amnesty International ritiene che 10 degli imputati siano prigionieri di coscienza. Tre coimputati sono stati rilasciati grazie all’amnistia di dicembre 2013, altri sette sono stati riconosciuti colpevoli. Nessun funzionario di polizia ha affrontato accuse per uso eccessivo della forza, nonostante le denunce e numerosi casi ben documentati. Chiedi alle autorità russe di rilasciare immediatamente e incondizionatamente tutti i prigionieri di coscienza a causa degli episodi di Bolotnaya! Tun Aung è stato arrestato l’11 giugno 2012, durante alcuni scontri a Maungdaw, stato di Rakhine, ed è stato tenuto in isolamento per diversi mesi. Sebbene abbia cercato di sedare la folla, Tun Aung è stato condannato per incitamento e partecipazione ai disordini a 11 anni di reclusione, condanna aumentata a 17 anni dopo il ricorso della procura nel 2013. Attualmente è detenuto nel carcere di Insein, a Yangon. Tun Aung è un prigioniero di coscienza, preso di mira perché leader della comunità musulmana. La promessa del presidente Thein Sein che non ci sarebbero più stati prigionieri di coscienza in Myanmar entro la fine del 2013 non è stata rispettata. Chiedi alle autorità birmane di rilasciare Tun Aung e tutti i prigionieri di coscienza immediatamente e incondizionatamente! 26 Un gran numero di persone provenienti dall’Africa Subsahariana che arrivano in Libia vivono in condizioni difficili e sono a rischio di sfruttamento, detenzione arbitraria, percosse, tortura e altri maltrattamenti. Nonostante questi rischi, persone dal Burkina Faso, Camerun, Ciad, Eritrea, Etiopia, Ghana, Niger, Nigeria, Somalia e Sudan continuano ad andare in Libia in cerca di migliori condizioni economiche o in fuga da conflitti. Alcuni tentano di raggiungere le coste europee attraverso il Mediterraneo, molti si perdono lungo la strada, intercettati da guardie costiere libiche o vittime delle milizie armate. Subiscono inoltre razzismo in quanto sono spesso visti come fonte di crimini e malattie. Chiedi al governo libico di proteggere i migranti stranieri da ogni forma di violenza, maltrattamento e abuso! INTERVIST Porpora Marcasciano ESSERE TRANSESSUALI IN ITALIA di Samanta Paladino Porpora Marcasciano, presidente del Movimento identità transessuale per i diritti delle persone transessuali, travestite e transgender (Mit), ha partecipato all’Assemblea generale di Amnesty International Italia, che si è tenuta ad aprile a Bari. Quali sono le attività del Mit e come lavora? Il Mit offre una serie di servizi legati ai bisogni e alle problematiche delle persone transessuali. Abbiamo cominciato nella sede che il comune di Bologna ci ha concesso nel 1994. Il servizio più importante è un consultorio Asl per la salute delle persone transessuali, che ha in carico 900 utenti. Abbiamo due psicologhe e un endocrinologo che seguono le persone transessuali, sia per il cambio di sesso sia per il loro percorso di vita. C’è lo sportello Cgil che si occupa di tutto ciò che riguarda il lavoro, i diritti e le tutele in generale. Poi c’è il progetto del comune di Bologna e della regione Emilia Romagna “Unità di strada per la riduzione del danno e del rischio nel mondo della prostituzione”, che viene gestito dal Mit, e che riguarda la sicurezza e i diritti delle persone che si prostituiscono in strada e ora anche in appartamento. Abbiamo poi avuto dal comune in gestione degli alloggi che usiamo nei casi di emergenza abitativa per le persone trans cacciate da casa, in difficoltà improvvisa. C’è poi il centro di documentazione, l’ufficio legale e il festival di cinema trans, arrivato alla settima edizione. Europride, Roma 2011 © Beatrice Lencioni 27 Come vive una persona transgender in Italia? Una persona transessuale o transgender in Italia non vive esattamente bene. Io cito sempre un esempio: vive come un esquimese in Amazzonia. Il contesto è avverso, le famiglie, il mondo del lavoro, la scuola e così via. Nel paese in genere c’è stata una regressione culturale molto forte i cui effetti si riscontrano in termini di esclusione, aggressività e violenza, su cui l’Italia ha il primato in Europa. Tanto che è stata richiamata dalle istituzioni europee e dall’Onu per l’alto livello di violenza nei confronti delle persone trans. Le persone trans hanno problemi di accesso al lavoro, alle cure, perché i centri specializzati non sono in tutto il territorio, di accesso all’affettività e problemi seri di violenza. Le persone trans sono visibili e questo fa pagare loro un prezzo altissimo. Non mancano ovviamente esempi positivi, grazie anche al lavoro delle associazioni. Qualcosa è cambiato nella qualità della vita ma ancora siamo lontani dall’obiettivo. Qual è la situazione a livello legislativo? L’Italia aspetta da tanto una legge contro la violenza transfobica. Ne è stata presentata una, che per noi ha grossi limiti. In Italia in realtà c’è stata una primissima legge, la 164, che consente il cambiamento di sesso e che risale addirittura al 1982. Ma poi siamo rimasti fermi lì. Ora andrebbe adeguata. Il senatore Lo Giudice ha presentato una proposta di legge per integrare la 164 al cambiamento dei tempi e delle esigenze. La questione della violenza e dell’inserimento lavorativo non sono state affrontate. Uno dei punti su cui stiamo facendo una campagna è far in modo che le persone possano cambiare nome in tribunale per i documenti, senza dover affrontare l’operazione per il cambio di sesso. speculano tantissime persone. Anche il tema dello sfruttamento e della tratta sono più legati al tema delle migrazioni che alla prostituzione in sé. È una materia eticamente sensibile, scivolosa, specie per i politici. Le ricette sono difficili da trovare, specialmente in un paese come l’Italia dove manca un dialogo serio e laico su questo tema. Secondo te depenzalizzare l’attività dei lavoratori del sesso è la strada giusta per tutelare i loro diritti? Depenalizzare presuppone prima riconoscere la prostituzione. Intanto andrebbe riconosciuta come lavoro, con diritti e doveri. Io credo che la prostituzione per molte persone che la praticano sia un mezzo ma non un fine. Il punto è tutelare i diritti e la dignità di queste persone che vivono l’insicurezza nei luoghi dove praticano la prostituzione e che spesso vengono trattati dalle forze di polizia come cittadini di serie b, non come persone portatrici di diritti. Oggi la prostituzione è praticata in gran parte da migranti, che fuggono da condizioni di miseria, guerre e persecuzioni, per cui si dovrebbe ragionare su un problema più grande, quello dell’immigrazione clandestina, sulla quale Voi siete a conoscenza di denunce riguardo alla condotta delle forze di polizia nei confronti delle persone trans? Noi siamo a conoscenza di diversi interventi scorretti da parte delle forze di polizia. Difficilmente vengono denunciati perché spesso le vittime sono socialmente fragili, spesso migranti non in regola. Noi come associazione cerchiamo d’intervenire sulla tutela, più che sull’accusa dei colpevoli. Su invito dell’Europa si è creato anche un osservatorio su questo tema, l’Oscad. Quello che occorre fare è formare le forze di polizia per evitare questi episodi. Io stessa in passato ho avuto esperienze di questo tipo, dal controllo di documenti a situazioni più o meno aggressive. L’ASSEMBLEA GENERALE DI AMNESTY INTERNATIONAL ITALIA Sono stati giorni densi di emozioni e condivisioni. Fondamentale è stata la presenza di alcuni ospiti, testimoni e vittime di violazioni: Yvan Sagnet, che nel 2011 ha avviato le proteste contro il caporalato, Lorenzo Guadagnucci, vittima di violenza durante il G8, Porpora Marcasciano, presidente del Mit. La città di Bari è stata coinvolta con una magnifica mobilitazione in piazza, con il contributo dei gruppi giovani. Ora bisogna trasformare l’entusiasmo in azioni concrete per la difesa dei diritti umani. 28 INTERVIST Francesco e Max Gazzè “QUELLO CHE LA MUSICA PUÒ FARE” a cura di Beatrice Gnassi Francesco e Max Gazzè sono i vincitori del Premio Amnesty 2014, con la canzone “Atto di forza”, “un contributo importante alla conoscenza e alla sensibilizzazione su un problema gravissimo: la violenza contro le donne”. Il premio verrà consegnato sul palco di Rosolina Mare (Rovigo) domenica 20 luglio, nel corso della serata finale della XVII edizione di Voci per la libertà - Una canzone per Amnesty, festival che inizierà il 17 luglio e proporrà anche il concorso emergenti. 29 29 Che vi siete detti quando avete saputo di aver vinto il Premio Amnesty? FG È stata una bella notizia, ricordi, mi hai chiamato? MG Sì, eravamo molto contenti. Ero già contento che la canzone fosse stata inserita nelle nomination, quando poi ho saputo che aveva vinto è stata una grande soddisfazione. È un premio importante perché tu ami in particolare una canzone e poi vedere che viene capita, che viene apprezzata è importante. Come è nata “Atto di forza”? Perchè scrivere una canzone sulla violenza contro le donne? FG La canzone è nata prima come una poesia. Un testo che io avevo scritto. E anche la musica esisteva già, Max l’aveva già composta. MG Sì, poi abbiamo lavorato insieme per unire parole e musica, che non era una cosa facile. Ma un grande pregio di Francesco è che le sue parole hanno una sonorità particolare. FG L’idea di scrivere di violenza sulle donne è nata dalle continue notizie che arrivano dai giornali, dai telegiornali, come se ormai fosse un fatto normale che ogni tanto qualcuno impazzisce e compie questi atti. MG Forse prima se ne parlava meno ma, anche se è importante che se ne parli, il rischio è che queste notizie si scordino velocemente, visto che siamo bombardati da mille informazioni. Volevamo invece ricordare e far ricordare cosa significa una violenza sessuale. MG Quello che dico sempre nei concerti è che questa canzone non racconta la violenza ma è un tentativo di descrivere come si può sentire una vittima di un atto del genere. Solo un tentativo perchè è impossibile descriverlo a parole, soprattutto per noi uomini. Volevamo, come sempre, raccontare l’animo umano. FG L’intenzione era quella di creare un contesto di emozioni attraverso le immagini, perchè non volevo entrare nei dettagli della violenza ma descrivere, per quello che è possibile, la sensazione, lo stato d’animo di chi subisce violenza. Quello del “momento di follia” è uno degli argomenti spesso utilizzati per “giustificare” la violenza sulle donne. In realtà non si tratta di sporadici momenti di pazzia ma di un problema sociale complesso e dilagante, da affrontare a livello culturale e legislativo. Da un punto di vista maschile come percepite tutto questo? FG Sicuramente quello che occorre fare è lavorare sull’educazione, questo è un punto fondamentale per cercare di fare in modo che poi non si cada in questi abissi. MG Credo anche che la pornografia sia un grosso problema. Non si parla più di erotismo o sensualità ma proprio di pornografia che viene proposta ovunque ai ragazzi, che crescono con l’idea di una donna come di un oggetto, non di una persona. Bisogna difenderli, per quanto possibile, da tutto questo. Per citare una vostra celebre canzone, vorrei chiedervi cosa “la musica può fare”? Quale può essere il ruolo della musica quando affronta temi che riguardano i diritti umani? MG Vincere il Premio Amnesty! A parte scherzi, premi come questi sono importanti perchè permettono di parlare di questi temi attraverso la musica. FG “Quello che la musica può fare” è creare uno spazio di riflessione, stimolare un modo diverso di pensare a una questione come quella della violenza sulle donne. C’è qualcosa che volete dire alle attiviste e agli attivisti di Amnesty International che leggeranno questa intervista? MG Il vostro lavoro è importante. Amnesty International è un’organizzazione ormai consolidata. Io da sempre la sostengo e collaboro come posso. Il vostro lavoro è socialmente utilissimo. Ricordo i grandi concerti fatti da Amnesty negli anni 80, grazie ai quali si fece conoscere da tanta gente. Sul tema della violenza sulle donne, come su tanti altri temi, Amnesty non ha mai mollato la presa. FG Credo che sia un lavoro importantissimo soprattutto per i giovani, per dare loro un obiettivo in cui credere e in cui impegnarsi. La canzone procede per immagini, la natura intorno che incombe come uno sfondo minaccioso e poi dei flash sui protagonisti, i 20 anni, il tradimento, la vena, la nudità. Non era facile raccontare un atto così brutale in un modo così delicato… 30 Bouazizi, il giovane venditore di frutta tunisino che morì dopo essersi dato fuoco in segno di protesta, gesto che secondo molti ha dato il via alle rivolte. La storia della siriana Fadwa Suleiman, soprannominata “la passionaria di Homs”, quella del pacifista italiano Vittorio Arrigoni, ucciso a Gaza. Una graphic novel che rappresenta un percorso durante il quale si spiega al lettore che cosa è davvero successo nei paesi in questione e soprattutto perché la gente ha deciso di ribellarsi dopo anni di repressione. Un punto di partenza che vuole stimolare il lettore a una più attenta analisi di quella che è stata appunto definita la “primavera araba”. La primavera araba Jean Pierre Filiu, Cyrille Pomes Bao publishing, aprile 2014, € 16,00 TORTURA Egitto, Libia, Marocco, Regno del Bahrein, Yemen, Siria. Per queste nazioni il 2011 è un anno fondamentale: uomini e donne di tutte le età danno il via a un’ondata rivoluzionaria che rovescia uno alla volta regimi dittatoriali fino a quel momento ritenuti inattaccabili. Sfidando la repressione milioni di persone hanno invaso le strade per chiedere a gran voce libertà, giustizia, rispetto e dignità. In “La primavera araba” lo storico Jean Pierre Filiu e l’acclamato autore Cyrille Pomes raccontano, attraverso un volume riccamente illustrato, gli eventi rivoluzionari che hanno visto protagonisti alcuni paesi arabi e soprattutto i loro cittadini. È proprio narrando le storie di personaggi di primo piano che i due autori illustrano gli eventi. Tra le varie storie ritroviamo quella di Mohamed MIGRANTI CONFLITTI DA NON PERDER LA PRIMAVERA ARABA IO STO CON LA SPOSA UNA SOLA STELLA NEL FIRMAMENTO Chi mai chiederebbe i documenti a una sposa? È da questa domanda che nasce il progetto di questo documentario, in cui i tre registi aiutano cinque siriani e palestinesi, sbarcati a Lampedusa per sfuggire alla guerra, ad arrivare da Milano a Stoccolma, inscenando un corteo nunziale. Così mascherati, attraverseranno mezza Europa, in un viaggio di quattro giorni e 3000 chilometri. Un viaggio carico di emozioni che, oltre a raccontare le storie e i sogni dei cinque palestinesi e siriani in fuga e dei loro speciali contrabbandieri, mostra un’Europa sconosciuta. Federico Aldrovandi è stato ucciso il 25 settembre del 2005, durante un controllo di polizia. Aveva 18 anni. Patrizia Moretti, sua madre (che abbiamo intervistato nel precedente numero di questa rivista) racconta tutta la storia, dalla scoperta della morte di suo figlio fino alla sentenza che ha condannato i quattro agenti responsabili. Un percorso lungo e difficile verso la giustizia. Un libro in cui Patrizia Moretti restituisce a suo figlio la dignità di una memoria veritiera. Un lutto privato che è dovuto diventare pubblico per rompere il silenzio e fermare l’insabbiamento delle responsabilità individuali. Io sto con la sposa Antonio Augugliaro, Gabriele Del Grande, Khaled Soliman Al Nassiry Italia, 2014, prenotabile su www.indiegogo.com 31 Una sola stella nel firmamento Patrizia Moretti Il Saggiatore, aprile 2014, € 14,50 PENA DI MORTE DONNE TORTURA RAGAZZI DA NON PERDERE DEI DELITTI E DELLE PENE IO CI SONO GRIDAVANO E PIANGEVANO NON MI CHIAMO VALENTINA Questa nuova edizione del testo classico dell’Illuminismo italiano esce, con il patrocinio di Amnesty International Italia, a 250 anni dalla prima pubblicazione. Dei delitti e delle pene è un’analisi lucida e articolata del rapporto tra stato e cittadino. La riflessione centrale ruota attorno alla tortura e alla pena di morte, considerate lesive della dignità umana e inefficaci sotto il profilo punitivo. Il testo è preceduto da un saggio di Antonio Marchesi, giurista e presidente di Amnesty Italia, che analizza il testo alla luce dello sviluppo che le questioni della pena di morte e della tortura hanno avuto fino ai nostri giorni. Lucia, 35 anni, avvocatessa di Pesaro, è una delle tante vittime della violenza sulle donne. Mentre torna a casa due albanesi assoldati dall’ex fidanzato, avvocato come lei, ora in carcere con l’accusa di lesioni gravissime e tentato omicidio, la sfregiano con l’acido. Da allora, comincia per Lucia un lungo calvario. Ha subito nove interventi ma ha trovato la forza di reagire. In questo libro racconta la sua esperienza ma soprattutto vuole mostrare a tutte le donne che, persino dalla più devastante delle violenze, ci si può riprendere, addirittura crescendo nella consapevolezza personale e ritrovando se stesse. Nei giorni del G8, nella caserma di Bolzaneto, centinaia di persone furono sequestrate e sottoposte a violenze e umiliazioni da parte delle forze di polizia: “Gridavano e piangevano. Quando sono passati davanti alla cella si vedeva su di loro il sangue fresco”. Com’è potuto accadere? Roberto Settembre, giudice di corte d’appello nel processo per Bolzaneto, ripercorre questa terribile vicenda. Una storia emblematica d’ingiustizia, un invito fermo a introdurre in Italia il reato di tortura, perchè “Gran parte di quei reati efferati non sarebbero caduti in prescrizione se li avessimo chiamati con il loro nome: torture”. Un albo illustrato bello e coloratissimo che racconta una giornata di Valentina, bambina piena di sogni e immaginazione, che ci farà scoprire la vita di donne incredibili che, con determinazione, coraggio e amore, hanno realizzato grandi imprese, riuscendo a cambiare il mondo e la storia. Per capire l’importanza di questi valori e per iniziare a immaginarsi nel futuro come donne libere, felici e realizzate. In fondo al libro, le note biografiche delle donne citate e i riferimenti per conoscere la vita di altre donne straordinarie. Dei delitti e delle pene Cesare Beccaria Introduzione Antonio Marchesi Castelvecchi, giugno 2014, € 12,00 Io ci sono. La mia storia di non amore Giusi Fasano, Lucia Annibali Rizzoli, aprile 2014, € 15,00 Gridavano e piangevano Roberto Settembre Einaudi, aprile 2014, € 18,00 32 Non mi chiamo Valentina Testi di Jennifer Fosberry illustrazioni di Mike Litwin Valentina Edizioni, marzo 2012, € 11,90 Età di lettura: 3 – 7 anni MIGRANTI PACE PENA DI MORTE DONNE DA NON PERDERE TERRA DI TRANSITO DANZARE TRA LE FAUCI DEL DRAGO UN ERRORE DI GIOVENTÙ NOI DONNE DI TEHERAN Rahell, rifugiato bambino dall’Iraq in Siria, è costretto ad abbandonare anche questa terra e senza visti né passaporto sbarca in Italia, per raggiungere la Svezia. Da lì però ogni tentativo di espatrio si trasforma in un’espulsione nel nostro paese, che per legge detiene l’“appartenenza” della pratica di Rahell. Da qui nasce un’indagine, che mostra il paradosso di una legge iniqua che considera numeri e pratiche ma non le esigenze e il vissuto delle persone. E le tiene bloccate in un paese che non vuole accoglierli e che loro non vogliono. Il film ha ottenuto il patrocinio di Amnesty International Italia. Il libro presenta alcune delle esperienze contemporanee più significative di teatro di pace: “Hidden Theatre” di Annet Henneman; “The Freedom Theatre” di Juliano Mer Khamis; il teatro “Theandric” di Maria Virginia Siriu; il teatro dell’oppresso di Augusto Boal. Il teatro può aiutare le persone coinvolte in conflitti “intrattabili” o di lunga durata a guardare il mondo con altri occhi, a ridurre l’ansia e la paura, a guarire la memoria traumatica della guerra, a rigenerare il corpo alienato dall’oppressione, dall’abuso, dalla violenza, ad avviare percorsi di riconciliazione e di pace. Una vicenda personale, quella di Futura e Patrick, in attesa di un bambino, si intreccia con la storia di un condannato a morte, con cui la coppia da anni intrattiene un rapporto epistolare. L’esecuzione di Luis, detenuto in Alabama per un omicidio commesso quando aveva solo 15 anni, è fissata proprio il giorno del termine della gravidanza di Futura. Una vicenda umana complessa in cui convergono solidarietà, pregiudizi da vincere e scelte personali. Il libro racconta la pena di morte, in tutta la sua crudeltà, con il dolore che colpisce non solo i condannati ma anche familiari e amici. Un racconto in prima persona, vissuto sulla pelle da una voce unica per profondità, professionalità e capacità narrativa. Farian Sabahi, scrittrice, giornalista e docente universitaria, è nella capitale alla vigilia di un voto cruciale e racconta le donne iraniane, si racconta. Donne protagoniste, che vogliono essere fedeli a se stesse ma sono ancora strumentalizzate come esempi di libertà dalla propaganda di regime. Un testo che sa parlare con ironia di tempi complessi. Il libro contiene un cd con un reading animato dai versi dei grandi poeti persiani. Terra di transito Paolo Martino prodotto da associazione A Buon Diritto e Istituto Luce-Cinecittà / Italia, 2014 Danzare tra le fauci del drago Aristide Donadio Centro Gandhi Edizioni, dicembre 2013, € 16,00 Un errore di gioventù Elena Gennaro Santoro 0111 Edizioni, febbraio 2014, € 15,70 33 Noi donne di Teheran Sabahi S. Farian Jouvence, marzo 2014, € 12,00 Socio/a sostenitore/trice speciale € 75,00 Socio/a sostenitore/trice € 50,00 Socio/a ordinario/a € 35,00 Socio/a junior (da 14 a 18 anni) € 15,00 Per destinare il 5X1000 ad Amnesty International: c.f. 03031110582 Per ogni informazione riguardante la tua iscrizione ad Amnesty International puoi rivolgerti a: Servizio Sostenitori Amnesty International via Magenta, 5 - 00185 Roma - tel. 06 4490210 fax 06 4490243 - Email: [email protected] ©R Robert obe o ob be b ert G Godden odde d n I AMNESTY - TRIMESTRALE SUI DIRITTI UMANI DI AMNESTY INTERNATIONAL Direzione, Amministrazione, Redazione e Pubblicità: Amnesty International - Sezione Italiana via Magenta, 5 - 00185 Roma tel. 06 4490210 - fax 06 4490243 e-mail: [email protected] Direttore Responsabile: Massimo Persotti Direttore: Riccardo Noury Coordinamento editoriale: Beatrice Gnassi Hanno collaborato: Fernando Chironda, Flavia Citton, Francesca Corbo, Tina Marinari, Samanta Paladino, Laura Petruccioli, Laura Renzi, Elena Santiemma, Virginia Solazzo. Progetto Grafico: Zowart - Roma Questo numero è stato chiuso a luglio 2014 Aut. Trib. Roma n. 00296/96 dell’11/06/1996. Iscrizione al R.O.C. n. 21913 del 22/02/2012. Comitato Direttivo: Antonio Marchesi (Presidente), Pasquale Quitadamo (Tesoriera Nazionale), Egidio Grande, Cecilia Nava, Paolo Pignocchi, Paolo Pobbiati, Gabriella “Ela” Rotoli, Ammar Kharrat, Annalisa Zanuttini. 34 > CONTATTA IL GRUPPO PIÙ VICINO!