IL DANNO AMBIENTALE Forme di riparazione del danno ambientale Art. 311 co. 2 • L’obiettivo principale del legislatore è consistito nel conferire indiscutibile carattere primario e privilegiato alla forma risarcitoria del c.d. ripristino piuttosto che al risarcimento per equivalente monetario. Attraverso il ripristino si tende a ricostruire lo stato dei luoghi preesistente alla verificazione del danno. • Solo quando l'adozione delle misure di riparazione anzidette risulti in tutto o in parte omessa, o comunque realizzata in modo incompleto o difforme dai termini e modalita‘ prescritti, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare determina i costi delle attivita' necessarie a conseguirne la completa e corretta attuazione e agisce nei confronti del soggetto obbligato per ottenere il pagamento delle somme corrispondenti • Si tratta di un’altra differenza rispetto alla responsabilità codicistica extracontrattuale, in cui la regola è il risarcimento per valore equivalente e il risarcimento in forma specifica è l’eccezione. L’evoluzione delle forme di risarcimento del danno ambientale L. 349 1986: patrimoniale risarcimento per equivalente Art. 18: Il giudice, nella sentenza di condanna, dispone, ove possibile, il ripristino dello stato dei luoghi a spese del responsabile. L’evoluzione delle forme di risarcimento del danno ambientale: L. 349 1986 Tuttavia, già la giurisprudenza aveva cercato di dare un’interpretazione diversa: • “La preferenza […] accordata alla misura risarcitoria in forma specifica rispetto a quella per equivalente pecuniario, trae ampia giustificazione dall’intento di favorire una più fattuale (anche se tendenziale) coincidenza tra i soggetti portatori degli interessi lesi dal degrado ambientale ed i soggetti beneficiari del ripristino dello stato dei luoghi” (SU 25.1.1989 n. 440). L’evoluzione delle forme di risarcimento del danno ambientale: L 349 1986 L. 349 1986: risarcimento funzione sanzionatoria del Art. 18: Il giudice, ove non sia possibile una precisa quantificazione del danno, ne determina l'ammontare in via equitativa, tenendo comunque conto della gravità della colpa individuale, del costo necessario per il ripristino e del profitto conseguito dal trasgressore in conseguenza del suo comportamento lesivo dei beni ambientali. L’evoluzione delle forme di risarcimento del danno ambientale: L. 349 1986 Questa previsione aveva fatto ritenere che il risarcimento del danno non avesse solo funzioni riparatorie, ma anche sanzionatorie. “Nel comma 6 si prevede, ove non sia possibile una precisa quantificazione del danno, una determinazione in via equitativa, rapportata non al solito criterio della Differenztheorie, ma parametrato a criteri del tutto inusitati per il vecchio modello del danno risarcibile nella responsabilità civile, in quanto il bene ambiente è fuori commercio, e come tale insuscettibile di una valutazione venale secondo i prezzi di mercato, dovendo essere considerato nel suo valore d'uso. Il giudice, infatti, deve tener comunque conto: a) della gravità della colpa individuale, b) del costo necessario per il ripristino dell'ambiente; c) del profitto conseguito dal trasgressore, in conseguenza del suo comportamento lesivo dei beni ambientali. L’evoluzione delle forme di risarcimento del danno ambientale: L. 349 1986 Balza evidente come sotto il riflettore dell'indagine giudiziaria non si trovi la situazione patrimoniale dello Stato o degli altri enti legittimati, come conseguenza del danno ambientale subito, bensì elementi chiaramente sanzionatori, a livello di pene civili, quali la gravità della colpa del trasgressore, il profitto conseguito dallo stesso, ed il costo necessario al ripristino, al posto del pregiudizio patrimoniale subito. […] Il timbro repressivo adoperato dal legislatore conferisce al torto ecologico una sua peculiarità nell'ambito della responsabilità civile, con la conseguenza che anche la prova di siffatto torto non può non risentirne, ispirata, come dev'essere, non a parametri puramente patrimoniali, ma alla compromissione dell'ambiente, strettamente collegata al fatto lesivo del bene ambientale posto in essere… L’evoluzione delle forme di risarcimento del danno ambientale: L. 349 1986 … come nella specie, da chi ha concorso nell'utilizzo di un serbatoio non autorizzato, dal quale fuoriuscivano, come accertato dalla USL, i rifiutati tossici e nocivi che vi erano stati sversati. Il giudice del rinvio dovrà tener conto degli esposti principi, ed in particolare che nella prova del danno ambientale bisogna distinguere tra danno ai singoli beni di proprietà pubblica o privata, o a posizioni soggettive individuali, che trovano tutela nelle regole ordinarie, e danno all'ambiente considerato in senso unitario, in cui il profilo sanzionatorio nei confronti del fatto lesivo del bene ambientale comporta un accertamento che non è quello del mero pregiudizio patrimoniale, ma della compromissione dell'ambiente” (Cass. Civ. n. 9211 del 1.9.1995) L’evoluzione delle forme di risarcimento del danno ambientale: il D.Lgs 152 2006 prima della riforma D.Lgs 152 2006 prima della recente riforma: - sistema incentrato sulla priorità del ripristino e della riparazione in forma specifica, lasciando il risarcimento in forma monetaria solo come extrema ratio, qualora nessuna altra operazione riparatoria sia possibile. - Vecchio art. 311 co. 2: - “Quando l'effettivo ripristino o l'adozione di misure di riparazione complementare o compensativa risultino in tutto o in parte omessi, impossibili o eccessivamente onerosi ai sensi dell'articolo 2058 del codice civile o comunque attuati in modo incompleto o difforme rispetto a quelli prescritti, il danneggiante e' obbligato in via sostitutiva al risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato”. L’evoluzione delle forme di risarcimento del danno ambientale: il D.Lgs 152 2006 prima della riforma D.Lgs 152 2006 prima della recente riforma: - per la determinazione del danno per equivalente si deve avere “riguardo anche al valore monetario stimato delle risorse naturali e dei servizi perduti e ai parametri utilizzati in casi simili o materie analoghe per la liquidazione del risarcimento per equivalente del danno ambientale in sentenze passate in giudicato pronunciate in ambito nazionale e comunitario”. L’evoluzione delle forme di risarcimento del danno ambientale: il D.Lgs 152 2006 prima della riforma • Esclusi criteri meramente contabili, la quantificazione monetaria del danno ambientale non è un’operazione semplice, se si considera che “per la valutazione del danno, dunque, non può farsi ricorso ai parametri utilizzati per i beni patrimoniali in senso stretto, ma deve tenersi conto della natura di bene immateriale dell’ambiente, nonché della particolare rilevanza del valore d’uso della collettività che usufruisce e gode di tale bene” (Cass. Pen. sez. III, 2.5.2007 n, 16575). QUANTIFICAZIONE DEL DANNO: IL CASO, Corte d’Appello di Messina, 24.12.1993. Il 21.3.1985 nello stretto di Messina si verificava una collisione tra una nave cisterna spagnola e una nave cisterna greca che trasportava un carico di circa 800.000 tonnellate di petrolio greggio. L’urto, oltre a causare un incendio a bordo della nave greca, provocava altresì una falla nella stessa, con conseguente fuoriuscita di parte del carico, accertato in circa 2.000 tonnellate di greggio. QUANTIFICAZIONE DEL DANNO: IL CASO, Corte d’Appello di Messina, 24.12.1993. Accertata la responsabilità della società greca per l’incidente e il conseguente danno ambientale (consistente principalmente nell’alterazione dell’ambiente marino per circa 500 km2 per una profondità di 10m), in tema di quantificazione del danno la Corte d’Appello ha ricordato che il danno ambientale “pur avendo un carattere economico, non è tuttavia suscettibile di valutazione pecuniaria secondo i prezzi di mercato, poiché il bene ambiente (comprese talune sue componenti) è indubitabilmente fuori commercio e non può quindi essere considerato, in un suo presunto valore di scambio, ma deve essere considerato nel suo valore d’uso, cioè in rapporto alla fruibilità che ne è riservata alla collettività”. QUANTIFICAZIONE DEL DANNO: IL CASO, Corte d’Appello di Messina, 24.12.1993. “Pur avendo esattamente individuato nel plancton (che costituisce il primo stadio della catena alimentare) la comunità pelagica principalmente e più direttamente danneggiata dallo sversamento del greggio, i CTU hanno però erroneamente circoscritto alla sola quantità di pesce che da questo sarebbe stata prodotta, e non sarebbe stata pescata, l’area del danno risarcibile. Così facendo hanno, infatti, finito con l’attribuire al bene “ambiente” un valore di scambio che, come sopra abbiamo visto, esula dal carattere di detto bene. Questo, dovendosi considerare nel suo valore d’uso, deve invece ritenersi danneggiato da ogni fatto che ne alteri o ne diminuisca la sua consistenza oggettiva, tale alterazione o diminuzione risolvendosi, in ultima analisi, in una minore fruibilità dello stesso da parte della collettività. Se così non fosse si dovrebbe, invero, pervenire alla conclusione che nelle aree marine nelle quali la pesca è vietata l’eventuale sversamento anche di masse ingenti di petrolio non farebbe sorgere in capo agli stati rivieraschi alcun diritto al risarcimento del danno verificatosi”. L’evoluzione delle forme di risarcimento del danno ambientale: il D.Lgs 152 2006 oggi • Art. 311: • Solo quando l'adozione delle misure di riparazione anzidette risulti in tutto o in parte omessa, o comunque realizzata in modo incompleto o difforme dai termini e modalita‘ prescritti, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare determina i costi delle attivita' necessarie a conseguirne la completa e corretta attuazione e agisce nei confronti del soggetto obbligato per ottenere il pagamento delle somme corrispondenti. • Recupero dei costi per il ripristino, non risarcimento per equivalente patrimoniale. Maggiore aderenza comunitaria alla normativa REAZIONI AL DANNO AMBIENTALE: Quando sussiste, dunque, un danno o un pericolo imminente di danno ambientale, le attività che possono essere poste in essere sono, in ordine di priorità: • preventive • riparatorie (ripristino o riparazione) • risarcitorie AZIONI PREVENTIVE: L’art. 304 disciplina le procedure atte a far fronte ad una ipotesi in cui si verifichi una imminente minaccia all’ambiente, da intendersi come il rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno ambientale nel prossimo futuro : “1.Quando un danno ambientale non si e' ancora verificato, ma esiste una minaccia imminente che si verifichi, l'operatore interessato [ovvero colui che esercita o controlla un’attività professionale avente rilevanza ambientale oppure chi comunque eserciti potere decisionale sugli aspetti tecnici e finanziari di tale attività – art. 302] adotta, entro ventiquattro ore e a proprie spese, le necessarie misure di prevenzione e di messa in sicurezza. Art. 304 2. L'operatore deve far precedere gli interventi di cui al comma 1 da apposita comunicazione al comune, alla provincia, alla regione, o alla provincia autonoma nel cui territorio si prospetta l'evento lesivo, nonche' al Prefetto della provincia che nelle ventiquattro ore successive informa il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio. Tale comunicazione deve avere ad oggetto tutti gli aspetti pertinenti della situazione, ed in particolare le generalita' dell'operatore, le caratteristiche del sito interessato, le matrici ambientali presumibilmente coinvolte e la descrizione degli interventi da eseguire. La comunicazione, non appena pervenuta al comune, abilita immediatamente l'operatore alla realizzazione degli interventi di cui al comma 1. Se l'operatore non provvede agli interventi di cui al comma 1 e alla comunicazione di cui al presente comma, l'autorita' preposta al controllo o comunque il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio irroga una sanzione amministrativa non inferiore a mille euro ne' superiore a tremila euro per ogni giorno di ritardo. Art. 304 3. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, in qualsiasi momento, ha facolta' di: a) chiedere all'operatore di fornire informazioni su qualsiasi minaccia imminente di danno ambientale o su casi sospetti di tale minaccia imminente; b) ordinare all'operatore di adottare le specifiche misure di prevenzione considerate necessarie, precisando le metodologie da seguire; c) adottare egli stesso le misure di prevenzione necessarie. 4. Se l'operatore non si conforma agli obblighi previsti al comma 1 o al comma 3, lettera b), o se esso non puo' essere individuato, o se non e' tenuto a sostenere i costi a norma della parte sesta del presente decreto, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio ha facolta' di adottare egli stesso le misure necessarie per la prevenzione del danno, approvando la nota delle spese, con diritto di rivalsa esercitabile verso chi abbia causato o concorso a causare le spese stesse, se venga individuato entro il termine di cinque anni dall'effettuato pagamento. AZIONI RIPARATORIE: L’art. 305 disciplina invece l’ipotesi in cui un danno è effettivamente avvenuto: 1. Quando si e' verificato un danno ambientale, l'operatore deve comunicare senza indugio tutti gli aspetti pertinenti della situazione alle autorita' di cui all'articolo 304, con gli effetti ivi previsti, e, se del caso, alle altre autorita' dello Stato competenti, comunque interessate. L'operatore ha inoltre l'obbligo di adottare immediatamente: a) tutte le iniziative praticabili per controllare, circoscrivere, eliminare o gestire in altro modo, con effetto immediato, qualsiasi fattore di danno, allo scopo di prevenire o limitare ulteriori pregiudizi ambientali ed effetti nocivi per la salute umana o ulteriori deterioramenti ai servizi, anche sulla base delle specifiche istruzioni formulate dalle autorita' competenti relativamente alle misure di prevenzione necessarie da adottare; b) le necessarie misure di ripristino di cui all'articolo 306. Art. 305 2. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, in qualsiasi momento, ha facolta' di: a) chiedere all'operatore di fornire informazioni su qualsiasi danno verificatosi e sulle misure da lui adottate immediatamente ai sensi del comma 1; b) adottare, o ordinare all'operatore di adottare, tutte le iniziative opportune per controllare, circoscrivere, eliminare o gestire in altro modo, con effetto immediato, qualsiasi fattore di danno, allo scopo di prevenire o limitare ulteriori pregiudizi ambientali e effetti nocivi per la salute umana o ulteriori deterioramenti ai servizi; c) ordinare all'operatore di prendere le misure di ripristino necessarie; d) adottare egli stesso le suddette misure. 3. Se l'operatore non adempie agli obblighi previsti al comma 1 o al comma 2, lettera b) o c), o se esso non puo' essere individuato o se non e' tenuto a sostenere i costi a norma della parte sesta del presente decreto, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio ha facolta' di adottare egli stesso tali misure, approvando la nota delle spese, con diritto di rivalsa esercitabile verso chi abbia causato o comunque concorso a causare le spese stesse, se venga individuato entro il termine di cinque anni dall'effettuato pagamento. Attività riparatorie (Allegato 3 del D.lgs 152/2006) • misure di riparazione primaria: qualsiasi misura di riparazione che riporta le risorse naturali danneggiate alle o verso le condizioni originarie; • misure di riparazione complementare: quando non è possibile la riparazione primaria, qualsiasi misura di riparazione intrapresa in relazione a risorse naturali per compensare il mancato ripristino completo delle risorse naturali danneggiate. Lo scopo della riparazione complementare è di ottenere, se opportuno anche in un sito alternativo, un livello di risorse naturali analogo a quello che si sarebbe ottenuto se il sito danneggiato fosse tornato alle condizioni originarie. Il sito alternativo dovrebbe essere geograficamente collegato al sito danneggiato, tenuto conto degli interessi della popolazione colpita; • Misure di riparazione compensativa: sono avviate per compensare la perdita temporanea di risorse naturali e servizi in attesa di ripristino. IL NESSO CAUSALE Perché a un soggetto sia imputabile la responsabilità per danno ambientale è necessario che sussista un nesso causale fra la sua condotta e l’inquinamento. Art. 303 lettera h) riprende alla lettera quanto stabilito dalla direttiva 35/2004/CE all’art. 4, stabilendo che la parte VI del D.Lgs non si applica “al danno ambientale o alla minaccia immanente di tale danno causati da inquinamento di carattere diffuso, se non sia stato possibile accertare in alcun modo un nesso causale fra il danno e l’attività dei singoli operatori”. Nesso causale: il caso, Corte di Giustizia della Comunità Europea, Ordinanza 9.3.2010 causa C-478/08. • Avanti alla Corte di Giustizia della Comunità Europea sono state recentemente presentate alcune domande da parte di alcune società (fra le quali la ERG) i cui stabilimenti costeggiano la Rada di Augusta, in merito ad alcuni ricorsi avverso decisioni delle varie autorità amministrative che imponevano alle stesse obblighi di riparazione dell’inquinamento accertato nel sito di interesse nazionale di Priolo. In particolare si contestava che tali obblighi erano stati imposti ad alcuni operatori a causa della vicinanza dei loro impianti ad una zona inquinata, senza avere preventivamente indagato sugli eventi all’origine dell’inquinamento o la colpa di questi ultimi e senza valutare gli apporti individuali di ciascun operatore allo stato di inquinamento, il tutto nell’ambito di una situazione di inquinamento a carattere diffuso. Nesso causale: il caso, Corte di Giustizia della Comunità Europea Ordinanza 9.3.2010 causa C-478/08. La Corte ha ricordato che la direttiva 2004/35 all’art. 4 n. 5 prevede che la stessa si applica “al danno ambientale o alla minaccia imminente di tale danno causati da inquinamento di carattere diffuso unicamente quanto sia possibile accertare un nesso causale tra il danno e le attività dei singoli operatori” e che l’art. 11 n. 2 stabilisce che “spetta all’autorità competente individuare l’operatore che ha causato il danno”. La Corte ha sostenuto che “La normativa di uno Stato membro può prevedere che l’autorità competente abbia facoltà di imporre misure di riparazione del danno ambientale presumendo l’esistenza di un nesso di causalità fra l’inquinamento accertato e le attività del singolo o dei diversi operatori, e ciò in base alla vicinanza degli impianti di questi ultimi con il menzionato inquinamento”. Nesso causale: il caso, Corte di Giustizia della Comunità Europea Ordinanza 9.3.2010 causa C-478/08. “Tuttavia, dato che, conformemente al principio “chi inquina paga”, l’obbligo di riparazione incombe agli operatori solo in misura corrispondente al loro contributo al verificarsi dell’inquinamento o al rischio di inquinamento, per poter presumere secondo tali modalità l’esistenza di un siffatto nesso di causalità l’autorità competente deve disporre di indizi plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell’esercizio della sua attività. Quando disponga di indizi di tal genere, l’autorità competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività dei degli operatori e l’inquinamento diffuso rilevato […] a meno che detti operatori non siano in condizione di confutare tale presunzione […]” Nesso causale: il caso, Corte di Giustizia della Comunità Europea Ordinanza 9.3.2010 causa C-478/08. • “I medesimi operatori non sono tenuti a sostenere i costi delle misure di riparazione quando sono in grado di dimostrare che i danni in questione sono opera di un terzo e si sono verificati nonostante l’esistenza di idonee misure di sicurezza, poiché infatti il principio “chi inquina paga” non implica che gli operatori debbano farsi carico di oneri inerenti alla riparazione di un inquinamento al quale non abbiano contribuito. Inoltre, posto che l’obbligo di riparazione incombe agli operatori solo in misura corrispondente al loro contributo al verificarsi dell’inquinamento o al rischio di inquinamento, l’autorità competente deve accertare, in linea di principio, in che misura ciascun operatore abbia contribuito all’inquinamento al quale essa tenta di porre rimedio e tener conto del loro rispettivo contributo nel calcolo dei costi delle azioni di riparazione” Nesso causale: il caso, Trib. Milano, sez. II, 31.3.2008. Un’azienda nella provincia di Milano era stata citata dalla Regione Lombardia e da altri enti territoriali per il grave danno ambientale causato dalle lavorazioni di produzione di vernici della stessa, per i metodi con cui erano state effettuate sino alla cessazione dell'attività, a metà degli anni ottanta. In particolare era stato accertato che i fanghi di reflui di produzione fortemente tossici venivano depositati principalmente nelle aree perimetrali dello stabilimento adibite a discarica, che l'intera area di proprietà della società era di oltre 1.400.000 m²; che tutta l'area era stata interessata da sversamenti di sostanze inquinanti accidentali e/o deliberati, che sia la falda superficiale, che la falda intermedia, nonché la falda profonda erano risultate inquinate. Nesso causale: il caso, Trib. Milano, sez. II, 31.3.2008. La società convenuta lamentava l’insussistenza della prova del fatto che gli inquinamenti lamentati fossero riferibili all'attività della stessa anziché, da altre società chimiche o ad altri soggetti che svolgevano attività potenzialmente inquinanti; la zona interessata è costituita da terreni con un elevato insediamento industriale; che in particolare vi erano numerose aziende site a monte dei fiumi in questione e non sarebbe stata fornita la prova che gli inquinamenti siano specificamente riferiti alla convenuta, anziché ad altre aziende, che nella loro attività producono rifiuti speciali, ovvero rifiuti tossici e nocivi. Nesso causale: il caso, Trib. Milano, sez. II, 31.3.2008. Il Tribunale di Milano condanna la società ritenendola responsabile poiché la consulenza tecnica disposta aveva potuto dimostrare che l’inquinamento del terreno e della falda aveva origine dai terreni della società e che a monte di questi la falda non era inquinata. “I punti di indagine localizzati a monte flusso e lateralmente all'area ex-A., all'interno del territorio dei comuni limitrofi, registrano concentrazioni di composti organoalogenati inferiori agli stessi limiti normativi […] le concentrazioni degli elementi inquinanti, aumentano significativamente superando i limiti previsti "solo a valle flusso o all'interno dell'area ex-A”. COLPA E DOLO Il danno ambientale in Italia può essere attribuito a un soggetto solo se è derivante da azioni o omissioni a lui imputabili almeno per colpa. L’esigenza di tale elemento soggettivo è rimarcata in diversi articoli del Testo Unico: ART. 311: … Chiunque cagioni un danno ambientale con dolo o colpa … Nello stesso senso anche il previgente art. 18 della l. 349 1986: “Qualunque fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge che comprometta l'ambiente…” COLPA E DOLO Art. 308, CO 4: “Non sono a carico dell'operatore i costi delle azioni di precauzione, prevenzione e ripristino adottate conformemente alle disposizioni di cui alla parte sesta del presente decreto se egli puo' provare che il danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno: a) e' stato causato da un terzo e si e' verificato nonostante l'esistenza di misure di sicurezza astrattamente idonee; b) e' conseguenza dell'osservanza di un ordine o istruzione obbligatori impartiti da una autorita' pubblica, diversi da quelli impartiti a seguito di un'emissione o di un incidente imputabili all'operatore; in tal caso il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio adotta le misure necessarie per consentire all'operatore il recupero dei costi sostenuti. COLPA E DOLO Art. 308, co. 5: L'operatore non e' tenuto a sostenere i costi delle azioni di cui al comma 5 intraprese conformemente alle disposizioni di cui alla parte sesta del presente decreto qualora dimostri che non gli e' attribuibile un comportamento doloso o colposo e che l'intervento preventivo a tutela dell'ambiente e' stato causato da: a) un'emissione o un evento espressamente consentiti da un'autorizzazione conferita ai sensi delle vigenti disposizioni legislative e regolamentari recanti attuazione delle misure legislative adottate dalla Comunita' europea di cui all'allegato 5 della parte sesta del presente decreto, applicabili alla data dell'emissione o dell'evento e in piena conformita' alle condizioni ivi previste; b) un'emissione o un'attivita' o qualsiasi altro modo di utilizzazione di un prodotto nel corso di un'attivita' che l'operatore dimostri non essere stati considerati probabile causa di danno ambientale secondo lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche al momento del rilascio dell'emissione o dell'esecuzione dell'attivita'. COLPA E DOLO Quella per il danno ambientale è, quindi, “una peculiare responsabilità di tipo extracontrattuale connessa a fatti dolosi o colposi, cagionanti un danno “ingiusto” all’ambiente, dove l’ingiustizia è individuata nella violazione di una disposizione di legge e dove il soggetto titolare del risarcimento era lo Stato” (Cass. Pen. sez. III, 2.5.2007 n. 16575). Si tratta, quindi, di una responsabilità di tipo soggettivo, legata al dolo o alla colpa specifica (violazione di leggi, regolamenti… ) o generica (negligenza, imprudenza, imperizia): non è sufficiente l’aspetto oggettivo e concreto della modificazione, alterazione o distruzione dell’ambiente naturale, ma occorre l’elemento soggettivo, cioè che la condotta causa del danno sia dolosa o colposa. COLPA E DOLO L’elemento soggettivo della colpa è preso in considerazione anche dal legislatore comunitario, che lascia, tuttavia agli Stati membri anche la possibilità di adottare modelli di responsabilità oggettiva. Il 20° Considerando della direttiva 35/2004 dispone infatti che “non si dovrebbe chiedere ad un operatore di sostenere i costi di misure di prevenzione o riparazione adottate conformemente alla presente direttiva in situazioni in cui il danno in questione o la minaccia imminente di esso derivano da eventi indipendenti dalla volontà dell’operatore. Gli Stati membri possono consentire che gli operatori, di cui non è accertato il dolo o la colpa, non debbano sostenere il costo di misure di riparazione in situazioni in cui il danno in questione deriva da emissioni o eventi espressamente autorizzati o la cui natura dannosa non era nota al momento del loro verificarsi”. COLPA E DOLO In questo senso depone l’art. 8 co. 4 lett. A) della direttiva, che prevede che gli Stati membri abbiano facoltà di consentire che l’operatore non sia tenuto a sostenere i costi delle azioni di riparazione intraprese conformemente alla direttiva, qualora dimostri che non gli è attribuibile un comportamento doloso o colposo e che il danno ambientale è stato causato da un’emissione o un evento espressamente autorizzati da un’autorizzazione conferita o concessa ai sensi delle vigenti disposizioni legislative. Quindi il legislatore comunitario lascia alla discrezionalità dei singoli Stati membri la scelta del criterio di imputazione della responsabilità. COLPA E DOLO L. 97 2013: Art. 311: … chi, svolgendo una delle attività «pericolose» elencate nel decreto (All. 5, parte sesta), cagioni un danno ambientale è obbligato all’adozione di misure di riparazione. - attività pericolose: es. gestione rifiuti, trasporto di merci pericolose, fabbricazioni di preparati pericolosi, prodotti fitosanitari, biocidi … COLPA E DOLO L. 97 2013: Eccezione del sistema: non è prevista, per queste categorie di soggetti, la responsabilità per dolo o colpa. Si introduce anche in campo ambientale un regime simile a quello già previsto nel nostro ordinamento per chi svolge attività pericolose: es. art. 2050 cc: Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un'attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento (1), se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno LE MERE VIOLAZIONI FORMALI: “Il concetto di danno ambientale sviluppatosi solo di recente, rispetto al tronco dell'illecito aquiliano, attraverso l'art. 18 l. 8 luglio 1986 n. 349, accoglie il concetto di "compromissione o torto ambientale", consistente nell'alterazione, deterioramento, distruzione, in tutto o in parte, dell'ambiente. In altri termini, non basta la violazione puramente formale della normativa in materia di inquinamento, nella specie in materia di rifiuti tossici, ma occorre che lo Stato, o gli enti territoriali, su cui incidono i beni oggetto del fatto lesivo (cfr. Cass. 12 febbraio 1988 n. 1491), ai sensi del comma 3 dell'art. 18, deducano l'avvenuta compromissione dell'ambiente. (Cass. Civ. 9211 del 1.9.1995)”. LE MERE VIOLAZIONI FORMALI: IL CASO, Cass. Pen. sez. III n. 1145 30.10.2001 I titolari di una autodemolizione erano imputati per aver effettuato smaltimento di rifiuti speciali attraverso l’ammasso e il trattamento di carcasse di automobili, i giudici di merito avevano condannato l’imputato anche al risarcimento dei danni valutati in via equitativa. Impugnava la sentenza l’imputato sostenendo che in realtà non c’era stato alcun danno, alcuna alterazione, distruzione o deterioramento dell’ambiente perché l’autodemolizione si trovava ai margini di una strada trafficatissima, in un luogo che non presentava alcun pregio ambientale, inserito tra capannoni, ipermercati e officine meccaniche. LE MERE VIOLAZIONI FORMALI: IL CASO, Cass. Pen. sez. III n. 1145 30.10.2001 La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso sotto questo profilo, annullando con rinvio la sentenza della Corte d’Appello nella parte relativa alle statuizioni civili, osservando: “È evidente che la liquidazione del danno, sia pure in via equitativa, presuppone pur sempre che un concreto danno all'ambiente si sia verificato. … LE MERE VIOLAZIONI FORMALI: IL CASO, Cass. Pen. sez. III n. 1145 30.10.2001 L'azione di risarcimento del danno può essere promossa soltanto quando sussista un pregiudizio concreto alla qualità della vita della collettività, sotto il profilo dell'alterazione, del deterioramento o della distruzione, in tutto o in parte, dell'ambiente. Non danno luogo a risarcimento - di regola violazioni meramente formali. La stessa lesione dell'immagine dell'ente, il quale, dalla commissione di reati vede compromesso il prestigio derivante l'affidamento di compiti di controllo e gestione, costituisce danno non risarcibile autonomamente. In tal caso il risarcimento deve essere riconosciuto soltanto quando sia stato concretamente accertato il suddetto danno ambientale, al quale sia collegata, come aspetto non patrimoniale, la menomazione del rilievo istituzionale dell'ente. Nella specie, la corte d'appello milanese ha liquidato equitativamente il danno […] senza in nessun modo esaminare ed indicare quale concreta alterazione, deterioramento o distruzione dell'ambiente si siano nella specie verificati, riconosce la sussistenza di un danno ambientale risarcibile anche in assenza di qualsiasi concreta compromissione per l'ambiente” LE MERE VIOLAZIONI FORMALI: IL CASO, Cass. Pen. sez. III n. 22539 del 5.4.2002 In altri casi, però, la Cassazione non è stata di questo avviso: in un caso relativo allo smaltimento di rifiuti consistente nella trasformazione degli stessi in nuovi prodotti industriali, attività svolta però senza autorizzazione, gli imputati avevano impugnato la condanna al risarcimento del danno ambientale per l’insussistenza di una distruzione, alterazione o deterioramento dell’ambiente, sostenendo che a fronte di violazioni meramente formali non potrebbe ravvisarsi alcun danno. LE MERE VIOLAZIONI FORMALI: IL CASO, Cass. Pen. sez. III n. 22539 del 5.4.2002 “Il contenuto stesso del danno ambientale viene a coincidere con la nozione non di danno patito bensì di danno provocato ed il danno ingiusto da risarcire si pone in modo indifferente rispetto alla produzione di danniconseguenze, essendo sufficiente per la sua configurazione la lesione in sè di quell'interesse ampio e diffuso alla salvaguardia ambientale, secondo contenuti e dimensioni fissati da norme e provvedimenti. Il legislatore, invero, in tema di pregiudizio ai valori ambientali, ha inteso prevedere un ristoro quanto più anticipato possibile rispetto al verificarsi delle conseguenze dannose, che presenterebbero situazioni di irreversibilità. … LE MERE VIOLAZIONI FORMALI: IL CASO, Cass. Pen. sez. III n. 22539 del 5.4.2002 Per integrare il fatto illecito, che obbliga al risarcimento del danno, non è necessario che l'ambiente in tutto o in parte venga alterato, deteriorato o distrutto, ma è sufficiente una condotta sia pure soltanto colposa "in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge", che l'art. 18 specificamente riconosce idonea a compromettere l'ambiente quale fatto ingiusto implicante una lesione presunta del valore giuridico tutelato. Ciò trova conferma nella circostanza che, qualora non sia possibile una precisa quantificazione di un danno siffatto, il giudice - per espressa previsione dello stesso art. 18 della legge n. 349/1986 - procede in via equitativa, tenendo presenti parametri che prescindono da termini di ristoro soggettivo quali "la gravità della colpa individuale, il costo necessario per il ripristino, il profitto conseguito dal trasgressore in conseguenza del suo comportamento lesivo del bene ambientale" LE MERE VIOLAZIONI FORMALI In realtà si tratta sempre di una valutazione che va fatta in concreto: “Nel caso in esame valuterà il giudice di rinvio la posizione in concreto dei Comuni interessati da discariche abusive od altri reati, tenendo presente che il danno ai terreni privati va tenuto distinto giuridicamente dal danno al territorio ed all'ambiente ex artt. 2043 Cod. Civ. e 18 l. 349/86, sicché non può escludersi che da un reato formale di carenza di autorizzazione possa derivare per gli enti locali un danno sostanziale che li renda legittimi portatori del relativo interesse, quali parti civili. È noto, infatti, che dalla installazione di discariche abusive possono derivare danni all'atmosfera, alle acque (percolato), al suolo e sottosuolo (falde idriche), oltre che dall'assetto del territorio ed al paesaggio e perfino una situazione più grave (art. 51 bis D. L.vo 22/97) di siti inquinati da bonificare ex post” (Cass. Pen. sez. III n. 29214 del 22.5.2003). DANNI TEMPORANEI: IL CASO, Cass. Pen. sez. III, 2.5.2007 n, 16575 In un giudizio penale per il reato, fra l’altro, di realizzazione abusiva di discarica, imputati il progettista che aveva eseguito i lavori e gli amministratori comunali che li avevano approvati, perché avevano previsto, per il ripascimento di una spiaggia dell’Isola d’Elba, l’uso di materiali ferrosi derivante dagli scarti di miniere, contenti alti livelli di metalli pesanti e quindi inquinanti. Nel giudizio di secondo grado la Corte d’appello, aveva escluso il diritto al risarcimento del danno delle parti civili costituite (in particolare al Ministero dell’ambiente e ad un ente locale ) in quanto l’ambiente marino colpito dalla condotta degli imputati si sarebbe ripristinato “naturalmente”: “la Corte territoriale - pur riconoscendo che, nella specie, vi sono state "conseguenze pregiudizievoli dovute alle immissioni di materiale" nel mare antistante la spiaggia di Cavo soggetta al ripascimento - ha rilevato che dette conseguenze saranno certamente eliminate ad opera del "potere di decantazione" dell'ambiente marino ed ha ritenuto che soltanto la persistenza del danno ambientale possa dare luogo alla tutela risarcitoria”. DANNI TEMPORANEI: IL CASO, Cass. Pen. sez. III, 2.5.2007 n, 16575 La Corte di Cassazione ha censurato questa decisione, ritenendo che “integra il danno ambientale risarcibile anche il danno derivane, medio tempore, dalla mancata disponibilità di una risorsa ambientale intatta, ossia le cd “perdite provvisorie” […] La risarcibilità delle perdite temporanee è giustificata dal fatto che qualsiasi intervento di ripristino ambientale, per quanto tempestivo, non può mai eliminare quello speciale profilo di danno conseguente alla perdita di fruibilità della risorsa naturale compromessa dalla condotta illecita, danno che si verifica nel momento in cui tale condotta viene tenuta e perdura per tutto il tempo necessario a ricostituire lo status quo” (Cass. Pen. sez. III, 2.5.2007 n, 16575). DANNI TEMPORANEI: IL CASO, Trib. Venezia, 27.11.2002 n. 1286. In uno stabilimento petrolchimico a seguito della perdita da una valvola di un impianto, si è verificata una fuga di ammoniaca durata circa due ore, con un rilascio nell’area di oltre 4.000 kg della sostanza nell’aria, in larga parte abbattuto con getti d’acqua nebulizzata. Costituitosi in giudizio il Ministero dell’Ambiente e alcuni enti territoriali, il Tribunale ha ritenuto sussistente il diritto al risarcimento del danno anche in presenza di un danno temporaneo: “L'aria (è una delle risorse naturali) sovrastante e circostante lo stabilimento dell'E. è stata alterata e resa irrespirabile, almeno in parte […] Tale alterazione costituisce una grave lesione dell'ambiente, a nulla rilevando la sua transitorietà e l'assenza apparente di conseguenze durature se comunque le concrete modalità dell'evento hanno raggiunto una intensa ed evidente criticità: per un vasto raggio e per due ore l'aria non era tale. Pretendere che si possa parlare di un danno ambientale solo in presenza di una apprezzabile e duratura compromissione significa (laddove il danno è arrecato a beni quali l'aria e l'acqua) assimilare il danno solo a tragedie o scenari apocalittici”. RICAPITOLANDO: Il regime di responsabilità deve intendersi come compensativo dei danni ambientali e non punitivo; Il sistema privilegia quelle misure che siano effettivamente in grado di restituire l’ambiente alla collettività che ne fruisce, anche se ciò significa prevedere dei miglioramenti ambientali in altro sito rispetto a quello danneggiato;