Husserl
La filosofia come scienza rigorosa
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1
La fenomenologia: caratteri
fondamentali di un movimento di
pensiero
La fenomenologia è una forma di
rigorizzazione della filosofia che cerca di
riorganizzare la conoscenza sulla base di
evidenze certe e apodittiche (= logicamente
necessarie, secondo l’uso kantiano del
termine)
In tal senso riprende lo spirito della riflessione
moderna e cartesiana contro ogni forma di
irrazionalismo.
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2
I precursori della fenomenologia:
Bernhard Bolzano (1781-1848)
Nel suo testo La dottrina della scienza Bolzano elabora la
dottrina della proposizione in sé e della verità in sé.
► La prima enuncia un significato logico che non dipende dal
fatto che esso venga espresso o pensato.
► La seconda riguarda la validità di una proposizione che
rimane vera a prescindere dal fatto che sia pensata o
espressa.
Insomma c’ è un mondo logico e oggettivo di significati
(come per es. il principio di non contraddizione)
assolutamente indipendente dalle condizioni soggettive
del conoscere.
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3
I precursori della fenomenologia:
Franz Brentano (1838-1917)
►
Nella sua Psicologia da un punto di vista empirico
Brentano afferma il carattere intenzionale della
coscienza (da intentio, concetto scolastico che allude al
fatto che un termine o un concetto significa sempre
qualcos’altro da sé). Per Brentano i fenomeni psichici si
differenziano da quelli fisici per essere intenzionali, cioè
per riguardare sempre qualcos’altro da sé. I fenomeni
psichici si distinguono in rappresentazione (l’oggetto è
puramente presente), giudizio (l’oggetto è affermato o
negato), il sentimento (l’oggetto è amato o odiato).
Oggetto – meta del
Tendere dell’intentio
Soggetto(psiche umana)
Intentio (tendere a…)
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Le domande di Husserl
La filosofia husserliana è attraversata dalle
seguenti domande:
► Che cosa vediamo effettivamente quando
gettiamo il nostro sguardo sulla realtà?
► Che cosa ci si mostra?
► Quali evidenze si impongono?
► Che tipo di esseri riempiono il nostro
sguardo?
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La passione per l’evidenza
Husserl vuole raggiungere l’evidenza certa di
come la realtà si offra alla nostra coscienza –
la quale non pone essa stessa la realtà – e
per fare ciò ritiene che si debba vedere in
modo diverso il rapporto che instauriamo
con essa:
Come ciascuno esterno all’altro, e ciascuno
No:
noi
realtà
successivamente da unire all’altro nel rapporto
conoscitivo
Sì:
noi
realtà
Come ciascuno originariamente in rapporto
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con l’altro.
Io come “apertura”
IO
io
realtà
Spazio aperto,
braccia spalancate che
permettono alle cose di
manifestarsi nella loro evidenza
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Ciò che viene incontro all’io
che si impone e riempie
quell’apertura
7
Gli esordi psicologistici di Husserl
Husserl, allievo del filosofo-psicologo Brentano, ha però
interessi anche nell’ambito della matematica (è stato a
Berlino allievo di Weierstrass). Uno dei suoi primi
importanti lavori è la Filosofia dell’aritmetica (1891). Qui,
cercando una chiarificazione filosofica della matematica
pura, giunge alla conclusione che per comprendere i
concetti che stanno alla base della matematica, occorre
individuare i fenomeni concreti da cui essi sono astratti e
chiarire la natura di questa astrazione. Insomma per
capire un concetto come il numero non si può far altro
che conoscere la dinamica psicologica mediante la quale
noi dalle cose astraiamo questo concetto.
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Il numero è qualcosa di fisico o
psichico?
Se non si trova negli oggetti reali, l’origine del numero
deve trovarsi in un atto psichico. Ma allora riflettendo
su questo atto dovrei trovare il numero come concetto.
Ma il concetto del collegare, che sarebbe l’essenza
dell’atto psichico del numerare, esprime il significato
profondo di 1-2-3 etc.? Oppure nel collegare si trovano
già come suoi contenuti 1-2-3 etc.?
Husserl è insoddisfatto della sua spiegazione. A questo
punto interviene la critica di Frege alla sua Filosofia
dell’aritmetica.
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9
La critica di FREGE
Friedrich Ludwig Gottlob Frege (1848 – 1925) grande
matematico, logico e filosofo tedesco rileva che Husserl
ha una concezione ingenua del numero giacché «una
descrizione dei processi mentali che precedono
l’enunciazione di un giudizio numerico non può mai,
anche se esatta, sostituire una vera determinazione del
concetto di numero. Non potremo mai invocarla per la
dimostrazione di qualche teorema, né apprenderemo da
essa alcuna proprietà dei numeri. La psicologia ci
restituisce giudizi di fatto, mentre la matematica
tratta giudizi universali e oggettivi».
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IL NUMERO…
Il numero deriverebbe dall’atto psichico del
“collegare assieme”, cioè della creazione di
un aggregato di oggetti con cui la nostra
coscienza li “intende assieme” o li
comprende in uno a prescindere dai loro
caratteri peculiari. Esso non si trova negli
oggetti reali, ma nella mente che forma
l’aggregato.
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11
…TUTTAVIA…

Se io enuncio il giudizio 2+2=4, poi lo fa un’altra
persona (un bambino), poi un’altra ancora, abbiamo tre
stati mentali differenti, tre atti differenti diversi da persona
a persona, ma un’unica “verità” che non cambia a
seconda che al risultato si sia giunti attraverso il
pallottoliere o con un veloce calcolo mentale. Capire come
si arriva mentalmente, quali siano i processi psichici che
sono coinvolti nel contare e nel fare operazioni con i
numeri non serve a nulla per giustificare il fatto che 2+2=4
oppure che il quadrato costruito sull’ipotenusa è uguale alla
somma dei quadrati costruiti sui cateti. Queste verità sono
tali sia che io le capisca, sia che non le capisca, sia che io
le colga subito sia che mi serva del tempo.
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Oltre lo psicologismo
Accogliendo la critica di Frege e approfondendo le
analisi di Bolzano, Husserl si forma la convinzione
che le leggi logiche sono rigorosamente
universali e necessarie e non possono dipendere
da
leggi
psicologiche,
le
quali,
essendo
generalizzazioni ottenute per induzione, non sono
affatto necessarie.
I fatti di coscienza appaiono e scompaiono, mentre la
verità è eterna, cioè è un’idea sovratemporale.
Per es. tale è il principio di non-contraddizione, la cui
validità non dipende dal sentimento di certezza che
accompagna la sua formulazione: piuttosto è la sua
verità apodittica a generare questo sentimento.
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Oggetti ideali

I numeri, arriva così a dire Husserl, non
appartengono al mondo fisico, ma
nemmeno a quello psichico, così come
tutti i concetti formali della logica. Essi
non sono oggetti reali, concreti ed esterni,
ma oggetti ideali, cioè contenuti astratti
della coscienza:
io
O
g
g
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et
realtà
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Oggetti ideali 2

Gli oggetti ideali, come i numeri e le proposizioni logiche,
non sono né atti psichici, né oggetti fisici (mutevoli,
diversi a seconda dello spazio e del tempo) ma sono
contenuti della ragione, cioè oggetti attraverso cui le
cose sono pensabili, ma che non prendono parte alla
modificabilità e al divenire delle cose esistenti. Attraverso
la proposizione 2+2=4 posso indicare la somma di due
gruppi di due oggetti, qualunque sia il loro stato e la loro
condizione, a prescindere dalla loro concretezza fattuale
e al fatto che questi nel tempo possono deteriorarsi o
cambiare di aspetto. Tale proposizione sarà valida per
qualunque somma di due gruppi di due oggetti in eterno.
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15
Le Ricerche logiche
(1900-1901: 1° vol.: Prolegomeni ad una logica pura; 2° vol.: Sei
ricerche sulla fenomenologia e la teoria della conoscenza)

Dopo avere definito i numeri e le
proposizioni della logica, Husserl vuole
approfondire i suoi fondamenti al fine di
costruire una dottrina della scienza, cioè di
dare rigore a tutte le scienze. Queste
ultime sono ciascuna un corpo di
proposizioni vere collegate in unità
sistematiche
tramite
connessioni
inferenziali tra i loro contenuti.
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La logica e le scienze
La logica stabilisce le regole a priori per le quali
i nessi tra i concetti della scienza sono da
ritenersi veri (p. es. se un corpo è esteso non
può ritenersi al tempo stesso inesteso per il
principio di non contraddizione). Cercare la verità
della scienza in base ai suoi principi logici supremi
ci consente di essere più consapevoli del suo
valore di verità a prescindere dalla maestria con
cui noi manipoliamo i dati empirici e costruiamo
teorie esatte.
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L’idea di una logica pura
La logica, come disciplina sganciata dai dati di
fatto, determina le condizioni ideali di
possibilità di una scienza intesa come teoria.
In generale nella conoscenza vi è
1) un aspetto reale: il darsi di fatto degli atti
psichici;
2) un
aspetto ideale, in cui bisogna
prescindere dai dati psichici per giungere ad
una conoscenza valida in modo universale e
necessario.
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Aspetti noetici e puramente
logici della conoscenza
Sono chiamate NOETICHE quelle capacità di
comprendere
proposizioni
vere
e
deduzioni che il soggetto possiede (non
puramente reali come l’avere un cervello, ma
in qualche modo ideali come proprietà della
soggettività pensante sebbene ancora legate
ad una dimensione psichicamente fattuale).
2) Sono PURAMENTE LOGICHE le proposizioni
vere stesse che non si basano sul soggetto
ma sulla verità in sé del contenuto della
conoscenza.
1)
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La verità è ciò che è
Riguardo al secondo aspetto, Husserl dice che i principi sono ciò
che sono, sia che li comprendiamo o no. Non dipende da noi la
loro validità, ma dalla loro validità dipende il fatto che noi li
comprendiamo.
ESSI SONO LE CONDIZIONI OBIETTIVE
IDEALI DELLA POSSIBILITÀ DI
CONOSCENZA
La logica si occupa di queste condizioni come di contenuti non
empirici ma formali.
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Tre tipi di contenuti
Quelli primitivi – verità, concetto, proposizione,
inferenza, premessa, conseguenza etc.
2) Quelli corrispondenti ai concetti che indicano le
diverse modalità in cui si presenta un
contenuto logico – oggetto, stato di cose,
unità, pluralità, relazione, connessione etc.
3) Quelli relativi alle forme connettive elementari
con cui i concetti primitivi possono collegarsi
fra loro: soggetto-predicato; congiunzionedisgiunzione; ipotesi etc.
1)
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21
Come si conoscono questi oggetti?
I concetti, oggetto di conoscenza
PRESENTIFICATI nel soggetto come
valida,
vengono
ESSENZE
in un processo che viene da H. chiamato
IDEAZIONE ADEGUATA
E vanno così a formare lo scheletro logico delle scienze
(dimodoché la logica risulta essere la scienza di tutte le
scienze).
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La connessione tra gli oggetti ideali
e gli atti psichici
• Nel secondo volume delle Ricerche
logiche è studiato il rapporto fra le
essenze ideali degli oggetti logici e i dati di
fatto psichici e reali.
IL MEDIATORE TRA I DUE è IL
LINGUAGGIO.
L’essenza, cioè l’oggetto logico, è colto e si
manifesta nell’espressione linguistica.
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Il linguaggio
• Il linguaggio si configura come una serie di segni, nati dai rapporti
sociali, che è convenzionalmente correlata a determinati significati.
Le espressioni del linguaggio possono perdere nella comunicazione
la loro univocità e diventare equivoche (p. es. con la parola calcio
posso intendere sia il gioco, sia l’elemento chimico) e il linguaggio
può alludere, quando si comunica, non al suo significato proprio,
quanto allo stato d’animo del parlante (quando si parla a suocera
perché nuora intenda, per es.). Quindi per utilizzare il linguaggio in
un senso propriamente conoscitivo è necessario depurarlo dalle
incrostazioni nate dalla comunicazione e dalla sua equivocità, per
limitarlo alla sua funzione ESPRESSIVA che riguarda ciò che
esso significa, cioè il puro contenuto logico di cui si può affermare la
verità o falsità.
• Tramite questa operazione si passa propriamente da dati di fatto
psichici a contenuti logici ideali.
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Fenomenologia dei vissuti
Ciò che ci consente di descrivere le
esperienze specifiche in cui vengono colti i
contenuti logici e in cui li si esprime
linguisticamente in concetti e significati è
una FENOMENOLOGIA DEI VISSUTI
Ossia un’indagine su ciò che io vivo,
sull’oggetto di un mio vissuto che mi si
offre alla riflessione e, in quanto mi si
offre, è FENOMENO.
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Il vissuto fondamentale: la visione
dell’essenza
Vissuto di primaria importanza è’ quello dell’intuizione
categoriale o visione/intuizione dell’essenza. Vi sono due tipi
di intuizione:
1) Sensibile – ha struttura semplice e si identifica con la
percezione sensibile come atto psichico RIVOLTO alla cosa
esterna che ci appare in un sol colpo non appena su di
essa cade il mio sguardo – p. es. (1) questo rosso che io
vedo qui ed ora e che scompare se giro lo sguardo; p. es.
(2) il libro sopra un tavolo;
2) Categoriale: ha struttura complessa e si fonda sulla
percezione sensibile COGLIENDONE LA STRUTTURA
ESSENZIALE O IDEALE – p. es. (1) il rosso universale
come essenza del colore rosso; p. es. (2) l’essere sopra del
libro rispetto al tavolo come struttura logica di tutto ciò che è
sopra qualcos’altro.
La prima riguarda un oggetto esterno, la seconda riguarda …
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L’intuizione categoriale o visione
d’essenza
• … LA MESSA IN FORMA LOGICA della
percezione sensibile come strutturazione
OGGETTIVA di ciò che è primariamente
esperito.
In tal modo, a motivo di questo processo di
derivazione del categoriale dal sensibile,
i contenuti raggiunti possono riapplicarsi al
sensibile, determinando al tempo stesso la
condizione ideale della scienza.
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Kant e Husserl
• Quest’idea di un elemento categoriale che
si applica al sensibile è del tutto simile alle
operazioni kantiane dell’intelletto sulla
sensibilità tuttavia, dice Husserl, non vi è un
intelletto puro – completamente separato
dalla sensibilità – ma un intelletto in cui
l’oggetto della percezione sensibile è un
correlato intenzionale necessario che
permette la strutturazione logica dei dati
sensibili.
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Kant e Husserl 2
• Ciò significa che non esiste un’intuizione sensibile che
mi presenta dei dati assolutamente scollegati fra loro ai
quali io applico una categoria (per esempio un tavolo e il
colore giallo ai quali applico la categoria “essere”
arrivando a dire “il tavolo è giallo”), ma che già
nell’intuizione sensibile emerge una strutturazione logica
del fenomeno in quanto esso mi presenta, rispetto al mio
campo percettivo pieno di oggetti, l’emergere di un
oggetto che si differenzia dagli altri (il tavolo) e
l’appartenenza del colore giallo a questo oggetto. Il
giudizio logico semplicemente esplicita queste relazioni
scegliendole tra le altre che si presentano nelle mie
possibilità di conoscenza, e dà loro la forma logica del
giudizio S è P.
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Il carattere specifico della logica
• La logica è data da un atto puramente
categoriale, nel senso che essa prescinde dai
contenuti sensibili, che sono arbitrariamente
sostituiti da simboli algebrici («Il tavolo è giallo»
con «S è P»). A questo punto l’intuizione appare
puramente categoriale, cioè sembra offrire
contenuti di pensiero assolutamente disgiunti
dalla sensibilità cui essi si riferiscono, anche se
in fondo ogni contenuto logico si desume
dall’autostrutturazione logica dei materiali
sensibili.
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Kant e Husserl
sussunzione
sensibilità
intelletto
Percez
sens
intenzionalità
coscienza
Intuiz categoriale
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Il vissuto intuitivo
Il vissuto intuitivo è
• SIA ciò che si identifica con il
contenuto dell’intuizione categoriale
(cioè la cosa stessa - Zu den
Sachen selbst – alle cose stesse, è
motto dell’intera fenomenologia);
• SIA l’atto del vivere la conoscenza,
cioè l’atto conoscitivo in sé.
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Dall’oggetto al soggetto
Come questo «in sé» della datità logica
giunge ad apprensione nella conoscenza,
ridiventando così “soggettivo”?
Indagando questo problema si passa
propriamente
dalla
logica
alla
fenomenologia.
Che studia la datità non solo dei vissuti della
logica MA DI QUELLI DI QUALUNQUE
OGGETTO.
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L’intenzionalità
L’analisi di ciò che è soggettivo nella conoscenza,
cioè della coscienza, porta con sé lo studio
dell’intenzionalità.
La coscienza è da identificarsi con il vissuto
intenzionale, cioè quel vissuto che si riferisce ad
un oggetto secondo qualche modalità: nei vissuti
intenzionali.
Un oggetto è inteso cioè vi è un tendere ad esso
nella modalità della rappresentazione, del giudizio,
del desiderio etc.
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Il rapporto intenzionale
• Non è dato dalla coesistenza di due cose
separate (io-soggetto e oggetto) che poi
entrerebbero in relazione
MA
è un fenomeno unitario: se la coscienza vive
il riferimento intenzionale ad un oggetto,
CON CIÒ STESSO l’oggetto si rende
intenzionalmente presente.
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Intenzionalità come fenomeno
unitario
Dunque l’intenzionalità è quel fenomeno unitario – né fisico
né psichico, ma trascendentale - per il quale la coscienza è
sempre in riferimento a qualcos’altro da sé.
L’atto intenzionale non si dirige su ciò che è REALMENTE
il contenuto proprio, bensì al suo SIGNIFICATO. Siamo
nell’ambito in cui abbiamo a che fare ancora con oggetti
del pensiero, con oggetti, ma solo in quanto sentiti e
pensati, non in quanto oggetti esterni. Tutto ciò che
abbiamo detto (sensibilità, intuizione categoriale etc.)
riguarda l’esperienza, ciò che la coscienza vive, non
essendo posto ancora il problema della corrispondenza tra
ciò che la coscienza vive e la realtà esterna alla coscienza.
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Qualità e materia
• Nel vissuto si distinguono
1) qualità: a seconda che si tratti di
ricordo,
dubbio,
desiderio
o
rappresentazione;
2) materia: il contenuto e il significato
ideale dell’oggetto cui si riferiscono il
ricordo,
il
dubbio
o
la
rappresentazione.
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La fenomenologia pura o
trascedentale
L’interpretazione del concetto di vissuto fin
qui data da H. non sembra rigorosamente
distinta da ciò che dall’inizio ha individuato
negli atti psichici soggettivi. Nelle
IDEE PER UNA FENOMENOLOGIA PURA
E UNA FILOSOFIA FENOMENOLOGICA
(1913)
egli cerca di risolvere questo problema.
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38
Una teoria della conoscenza
diversa dalla psicologia
• Si tratta di andare oltre tutti i residui
psicologistici e trovare una facoltà
universale e necessaria che ci parli non
del conoscere di Tizio o Caio ma del
conoscere in sé: non un dato di fatto ma
un’ essenza. La fenomenologia è scienza
di tali essenze che, certo, parte da
fenomeni reali,
MA RIDOTTI TRASCENDENTALMENTE
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Riduzione eidetica
• Riprendendo le ricerche logiche, la prima
parte delle Idee (primo volume) rielabora il
discorso sull’intuizione categoriale. Essa
avviene per riduzione eidetica che
permette la “trasformazione” dell’intuizione
sensibile in un vedere “eidetico” attraverso
quella che H. chiama variazione eidetica.
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40
La variazione eidetica
• Parlando di variazione eidetica H. non fa altro
che rielaborare la dottrina dell’intuizione
categoriale delle Ricerche logiche. Quest’ultima
è visione di essenze nella loro forma logica e
invariabile. Allo stesso modo la variazione
eidetica ci permette di giungere alla struttura
invariante di un fenomeno, cioè a quanto
appartiene per essenza a quel fenomeno a
prescindere dai vari modi in cui esso di volta in
volta ci si presenta.
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Variazione eidetica
Ecco un esempio di un processo di variazione
eidetica:
Nel caso si voglia individuare l’essenza del SUONO,
bisogna riprodurre la percezione di un suono in
condizioni diverse (variazione) di esperibilità per
trovare ciò che, se venisse meno, determinerebbe
il venir meno del percepito stesso, cioè del suono
in quanto tale (p.es. la durata in questo caso fa
parte dell’essenza del suono).
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E il soggetto?
I vissuti così esperiti – CIOÈ I FENOMENI NELLA
LORO ESSENZA - rimangono vissuti di una
coscienza umana empirica e quindi condizionata da
tutto ciò che di fatto influenza l’uomo in quanto ente
naturale e psichico.
Sono sempre io in quanto soggetto empirico, reale,
qui ed ora, che vivo e percepisco un fenomeno. La
mia stessa coscienza è un evento come tutti gli altri,
rimane “qualcosa” che potrebbe non esserci cioè
non ha i caratteri di indubitabilità e certezza che
sono richiesti ad una conoscenza vera e certissima.
•
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43
La riduzione trascendentale
Per superare questa condizionatezza è
necessaria una
RIDUZIONE TRASCENDENTALE
per giungere alla coscienza come fenomeno
IRREALE
O
TRASCENDENTALE
O
IDEALE.
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Epoché
Ciò avviene attraverso l’epoché fenomenologica
che consiste in una
SOSPENSIONE O MESSA FRA PARENTESI
DELL’ATTEGGIAMENTO NATURALE (tesi
naturale)
il quale dà per scontati un mondo esistente di cose, di beni
e di valori, cioè l’intera realtà esterna alla coscienza ed
anche la coscienza come fatto empirico (tutto insomma:
sia io sia il mondo potremmo non esistere).
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Messa fra parentesi
• L’epoché mette tra parentesi tutto quanto
trascende la coscienza e anche l’idea
“naturale” che la coscienza sia un fatto
psichico
(non che il mondo smetta di esistere, ma
tutto quanto costituisce il presupposto del
mio rapporto con il mondo mi obbligo a
non usarlo nella mia riflessione sulla
conoscenza).
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46
Dubbio
• Quindi per me tutto ciò che
costituisce la realtà esterna è
soggetto a dubbio. Ma dunque
dubitando di tutto il mondo dubito
anche
della mia
esistenza
empirica.
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Residuo fenomenologico
• Ciò che rimane dopo il dubbio è il fatto che
dubito: tutto può essere incerto, ma non la
coscienza che dubita (e, dubitando, dubita
sempre di qualcosa: intenzionalità). Dunque
la riduzione trascendentale elimina tutto ma
lascia un residuo: qualcosa rimane e ciò che
rimane è la coscienza che si rivolge a
qualcosa, che compie un atto. Tale coscienza
è un puro sguardo meditante che si rivolge al
mondo.
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Coscienza e psiche
Dopo l’epoché la coscienza deve apparire
ESCLUSIVAMENTE come un lato del rapporto
conoscitivo senza una connotazione reale.
Essa non corrisponde alla mia o alla tua psiche e
agli atti singoli che la psiche compie, ma con la
forma del pensare in sé,
con la capacità
trascendentale - cioè relativa al pensare a
prescindere da chi concretamente pensa - di
conoscere intenzionalmente oggetti.
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49
Coscienza e psiche: Husserl e
Cartesio
•
•
Husserl avverte che la riduzione cartesiana altro non fu che una riduzione
psicologica, in quanto frutto di una semplice introspezione. Il vero passo in avanti,
secondo Husserl, sarà l'attuazione della riduzione fenomenologica trascendentale.
«Se io mi attengo puramente a ciò che capita al mio sguardo meditante, mediante la
libera epoché rivolta all'essere del mondo dell'esperienza, è allora un fatto
significativo che io con il mio vivere rimango intatto nel mio valore di essere,
comunque stia poi la cosa riguardo all'essere e al non-essere del mondo o comunque
io mi possa decidere al riguardo. Quest‘ io che mi rimane necessariamente in virtù di
tale epoché e la vita dell'io [sein Ich-leben] non costituiscono un pezzo del mondo,
sicché dire "io sono, ego cogito" voglia dire: io, quest'uomo qui, sono. Né, di più, io
sono colui il quale si ritrova nell'esperienza naturale di sé come uomo; io non sono
l'uomo che si trova nella limitazione astrattiva al puro stato interiore dell'esperienza di
sé puramente psicologica e che scopre la sua propria e pura mens sive animus sive
intellectus, non sono nemmeno un'anima che coglie se stessa separatamente.»
Qui Husserl precisa ancora che gli esseri umani, percepiti alla maniera di Cartesio,
non sono che gli oggetti delle scienze, dalla biologia all'antropologia, non esclusa la
psicologia. Al contrario, l'epoché esclude totalmente il mondo dal dominio del
giudizio. La riduzione trascendentale "attinge" «il suo senso intero ed il suo valor
d'essere, quello che esso ha per me, da me in quanto io trascendentale».
(Meditazioni cartesiane -1931) .
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Carattere fenomenale del
trascendente
• Tutto ciò che invece trascende la
coscienza risulta essere come un
fenomeno: il trascendente ha un carattere
“fenomenale”. Esso cioè appare come un
oggetto che si offre alla coscienza
Dobbiamo pensare a noi stessi, prima
dell’epoché, come ad un teatro in cui noi
siamo immersi.
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Il teatro della coscienza
In tale teatro quotidiano noi eliminiamo (mettiamo tra parentesi)
via via tutti gli oggetti, il pubblico, le sedie, la scenografia, le
tende, i lampadari etc.: li sospendiamo, facciamo epoché da
essi.
Che cosa ne risulta?
1) la coscienza intenzionale come pura scena, come puro
scenario in cui si danno le cose, come vivere o come vissuto
che vive qualcosa. Ciò appare come l’assoluto di cui in ogni
caso non si può fare a meno come CONDIZIONE DI
POSSIBILITÀ DELLA MANIFESTAZIONE DI TUTTE LE
TRASCENDENZE MONDANE
2) gli oggetti trascendenti come ciò che si rappresenta in questo
vivere, i quali però appaiono, dopo la loro riduzione eidetica,
come pure essenze, o fenomeni.
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Dopo l’epoché
La coscienza è coscienza pura liberata
dall’empirico, è coscienza trascendentale come
condizione di possibilità della manifestazione di
tutte le trascendenze mondane.
Dunque l’essenza della coscienza quando
conosce l’oggetto è di essere
NOESI (teatro) il cui oggetto è un NOEMA (il
contenuto degli atti con cui noi pensiamo
le cose).
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Noesi e noema
• Il noema è il correlato
OGGETTIVO della noesi
• La noesi è il correlato
SOGGETTIVO del noema
I mondi possibili non sono che
correlati di modificazioni
eideticamente possibili dell’idea di
coscienza esperiente.
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La costituzione della cosa
• Le ricerche sopra questo argomento
ambiscono a mostrare le modalità in cui la
coscienza intenziona e “legge” i vari
oggetti (la cosa materiale, quella spirituale,
la psiche).
Tali ricerche sono state
pubblicate in parte nelle Meditazioni
cartesiane (1931) in parte nel secondo
volume delle Idee per una fenomenologia
pura e una filosofia fenomenologica
comparso postumo.
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55
Come si dà la cosa?
La cosa – qui parliamo in particolare di quella
materiale – si offre alla coscienza in una serie di
vissuti, cioè non in un solo atto ma in molteplici. P.
es. un cubo non è colto nella sua totalità, ma in
una serie di adombramenti, cioè in una sua faccia,
poi nel luogo in cui è posto, poi, se gli giro attorno,
in un’altra faccia, poi in una determinata luce e
così via. In tutti questi vissuti, nel loro FLUSSO, il
cubo però mi appare come UNA SOLA COSA. Se
io lo colgo come una stessa cosa deve intervenire
allora una sorta di SINTESI.
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Sintesi formale
• La sintesi, da un punto di vista formale è
data dalla COSCIENZA DEL TEMPO.
Cioè i vissuti della cosa si danno alla
coscienza sempre in un ordine di
successione che determina l’idea di tempo
in noi. L’ordine dei vissuti istituisce un
ordine anche nei loro oggetti noematici,
per cui ogni apparizione del nostro cubo
ha una sua temporalità.
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Sintesi materiale
• A differenza di Kant esiste però anche una
sintesi materiale che dipende dal
contenuto stesso di ciò che si manifesta.
In ogni percezione esterna i lati
propriamente
percepiti
contengono
indicazioni circa i lati intenzionati in
maniera ancora secondaria, non ancora
percepiti, ma solo anticipati nel modo
dell’ASPETTAZIONE come lati che poi
VENGONO alla percezione.
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Sintesi materiale 2: la sintesi
passiva
• Il lato percepito impone dunque l’aspettazione
di un altro lato, il quale, una volta percepito,
richiama il vissuto con cui avevamo percepito il
primo e ne annuncia un altro ancora in base al
contenuto di ciò che appare (un lato del cubo ha
un modo di apparire del tutto analogo ad un altro
lato). L’associazione analogica dei contenuti
(cioè in virtù della loro somiglianza) dà luogo
a quella che H. chiama
SINTESI PASSIVA
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Che cosa succede nella conoscenza (cioè come la
coscienza trascendentale legge il mondo)?
1) Dubbio sul mondo (epoché);
2) Residuo fenomenologico: coscienza
trascendentale cioè noesi + contenuto
del pensiero cioè noema;
Non so se il mondo esterno esiste. Ho solo
a mia disposizione una coscienza
intenzionale che pensa i suoi contenuti.
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Che cosa succede? 2
I contenuti di coscienza mi appaiono dati
sensibilmente in un’intuizione sensibile
che me ne restituisce una struttura logicocategoriale. Io non so se il tavolo che
percepisco esista realmente fuori di me
ma non posso dubitare di percepire un
tavolo. Il tavolo percepito (noema) è un
FENOMENO indubitabile. Sul tavolo
posso formulare un giudizio categoriale.
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Che cosa succede? 3
• Come lo formulo? I miei atti scorrono sull’oggetto
(presunto esistente) tavolo scoprendone via via
aspetti diversi. Ogni aspetto che conosco si ricollega
ad uno conosciuto in precedenza grazie all’analogia
e al rimando che vi sono tra i vari aspetti di un
identico tavolo (sintesi passiva). Ciò genera l’attesa
(sintesi formale, tempo) che l’aspetto successivo
confermi gli aspetti precedenti. Questa attesa viene
confermata o delusa dalle successive percezioni
dell’oggetto (per esempio mi si conferma che è un
tavolo dal fatto che avvicinandomi scopro che la sua
parte superiore è piana e non concava come un
lettino per bambini).
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Che cosa succede 4
• Così io posso formulare un giudizio certo
seppur limitato ai dati che ho appreso nella
mia esperienza conoscitiva:
“X è Y: questo oggetto è un tavolo” poiché ho
potuto appurare che ha una certa estensione,
colore, forma etc. anche se molti aspetti
possono non essere entrati nel mio campo
percettivo perché non li ho presi di mira
(intenzionati) o perché mi sono sfuggiti per le
loro caratteristiche (p. es. una scheggiatura
piccolissima di un suo spigolo).
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Il corpo
Nella conoscenza che ho del mio tavolo il mio corpo vivo
è un mezzo molto importante perché attraverso il mio corpo
mi sono mosso e ho potuto verificare tutti gli aspetti
dell’oggetto. Il corpo infatti è lo strumento di qualsiasi
percezione ma è anche CIÒ RISPETTO A CUI si danno
tutti i contenuti nella loro relazione spaziale. E’ il punto
zero in base al quale ci si orienta spazialmente. Esso ci
permette di collocarci in una posizione tale da poter
percepire gli oggetti. Dunque svolge una funzione
trascendentale
Il corpo è Leib, corpo vivo, sentito dall’interno (cfr. il
concetto non husserliano di propriocezione), soggetto di
motivazioni, decisioni etc., mentre in quanto oggetto fra gli
oggetti si qualifica come Koerper.
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Ma la cosa esiste realmente?
• Abbiamo detto che il dato di sensazione è
assolutamente certo:
nessuno
può
smentire che io percepisco qualcosa se lo
sto percependo. Ciò che viene percepito
è il fenomeno, cioè la cosa come si
manifesta alla coscienza. Ma tale cosa è
veramente la cosa stessa? È l’oggetto
esterno? Oppure l’oggetto esterno, come
diceva Hume, può non esistere?
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Sì, la cosa esterna esiste
realmente
• La credenza nell’esistenza della cosa non nasce da
un’abitudine irrazionale (Hume), ma dal fatto che le
attese che di volta in volta nascono dal suo presentarsi
alla coscienza, vengono via via riempite da una
sequenza coerente di percezioni. Cioè se io guardo il
mio tavolo, ho via via delle attese sui lati che non vedo,
che vengono riempite in modo coerente al concetto di
tavolo. Scopro che ha 4 “gambe”, un ripiano, che vi è
appoggiato il mio pc, che è un corpo solido, pesante,
resistente, colorato etc., il tutto in modo da formare
coerentemente proprio l’oggetto tavolo, mentre se si
deformasse o scomparisse e riapparisse, il decorso
percettivo mi suggerirebbe che è un’allucinazione e che
ho esagerato con il Barbera.
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L’intersoggettività trascendentale
• Per mezzo di una MIA opera di riduzione
trascendentale giungo alla coscienza
trascendentale come condizione di
possibilità della conoscenza. Se è così, IO
sono la condizione di possibilità della
conoscenza? Da ciò non risulterebbe un
solipsismo, sebbene trascendentale?
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L’IO aperto agli ALTRI
• In realtà l’Io è costitutivamente aperto agli altri
IO proprio all’interno dei suoi vissuti. In essi
infatti appare un corpo fenomenologicamente
simile al mio con cui il mio Io EMPATIZZA. Ciò
significa che, intuendo nei miei vissuti un corpo
simile al mio, io trasferisco ad esso le medesime
caratteristiche del mio corpo vivo. La riduzione
trascendentale e il suo risultato, la coscienza
trascendentale, dunque non sono solo mie ma
appannaggio di tutti. L’oggetto quindi si
costituisce in modo da tener sempre presente la
dimensione dell’INTERSOGGETTIVITÀ.
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L’oggetto come lo vediamo NOI
• Ciò significa che anche l’altro opera le mie
medesime sintesi percettive, ma da un altro
punto di vista di cui io sempre tengo conto. Così
ciò che io vedo diventa una sintesi di ciò che
vedo io e di ciò che vede lui e la cosa vista
nella mia percezione implica anche i dati di cui
vengo a conoscenza grazie alla percezione
dell’altro, garantendo ancor più il suo carattere
di verità e di adeguamento alla cosa stessa.
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La filosofia e il suo compito
(La filosofia come scienza rigorosa - 1911)

L’obiettivo ultimo della ricerca gnoseologica
di H. trascende tale problematica “tecnica”.
Per lui il rigore filosofico ha la finalità di
giungere ad un criterio di vita etico-religiosa
razionalmente fondata e regolata da pure
norme razionali. Come mai le scienze, che pur
perseguono un analogo rigore, non hanno
raggiunto una simile meta?
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70
La crisi delle scienze europee (1936)

Le scienze europee scontano una crisi
riguardante il senso della loro scientificità,
cioè la perdita di coscienza dello scopo ultimo
del fare scienza. Il rigore scientifico così ha
finito per condurre ad una ricerca su puri fatti,
che non risulta in grado di fondare una vita
razionale e diventa fine a se stessa.
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L’autolimitazione della ragione
La ragione scientifica alla ricerca dell’esattezza
più precisa ha limitato il campo dell’indagine
razionale ai puri fatti
MA “LE MERE SCIENZE DI FATTI CREANO
MERI UOMINI DI FATTO”
Anche se in origine la scienza nasce dalla
filosofia come ambizione alla conoscenza
razionale e universale della totalità dell’essere.
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72
La matematizzazione della natura
Alle origini della crisi sta la matematizzazione
galileiana della natura che ha comportato
un aumento dell’esattezza
MA ANCHE
l’esclusione dall’indagine di tutto ciò che è
QUALITATIVO: sia le qualità secondarie e soggettive
dei corpi, sia tutta la sfera dei valori etico, esteticoculturali che influenzano in modo decisivo la ns.
esistenza. Tutto ciò è confinato dalla scienza
matematizzante nella sfera del SOGGETTIVO
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73
Matematica e mondo della vita
La struttura delle scienze matematiche si è
dunque imposta sulla sfera della nostra
esperienza quotidiana
IL MONDO DELLA VITA
escludendola dall’interesse come sfera pre ed
extrascientifica.
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Galileo, Euclide e il mondo della vita
Tuttavia la base su cui Galileo ha fondato la sua scienza è la
geometria euclidea che a sua volta ha avuto origine
nell’astrazione e nella progressiva idealizzazione della
forma percepita nel mondo immediatamente intuitivo, cioè
prescientifico.
Anche Euclide alla fine elabora un modello che deve servire
a CAPIRE MEGLIO quel mondo della vita che costituisce il
suo orizzonte esistenziale concreto. La scienza galileiana
perde il legame con tale orizzonte e limita la conoscenza alle
sole forme astratte del modello euclideo. Qui sta la sua
grave e decisiva dimenticanza.
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Il fine della storia umana
Capire il senso del gesto originario che ha dato
origine alle scienze, significa anche capire il compito
che esse devono mantenere, che allude proprio alla
fondazione razionale dell’esistenza nella sua
interezza, basata su un’interpretazione complessiva
della totalità dell’essere.
Tale fine ci è tramandato dalla storia della riflessione
scientifica.
Come nel caso della scienza, in ogni ambito della nostra
vita culturale noi dobbiamo essere consapevoli di stare
dentro una tradizione storico spirituale che ci tramanda
un scopo da raggiungere.
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76
Il fine universale della tradizione
filosofica
La tradizione filosofica è però speciale. Non solo
ci tramanda il più alto dei fini ma si occupa
specificamente di indagare la qualità e la
plausibilità razionale dei fini delle singole
tradizioni culturali, compreso quello della stessa
tradizione filosofica. In altri termini, essa ci
tramanda un compito CRITICO dal quale far
emergere il movimento storico di rivelazione
della ragione universale.
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Autocritica filosofica
Un esempio di autocritica della tradizione
filosofica, risiede nell’individuazione dell’esito
della matematizzazione galileiana della natura: la
nascita di un dualismo tra mondo fisico delle
cose corporee e mondo psichico privato di una
reale autonomia dal mondo naturale. Tale
dualismo trova la sua formulazione in Cartesio e
nella sua teoria circa la res extensa e la res
cogitans.
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78
L’errore di Cartesio… e di Kant


La res cogitans cartesiana tuttavia rimane un residuo di mondo
naturale, in quanto riguarda il mio io empirico inteso
psicologicamente.
Kant arriverà a determinare le condizioni di possibilità della
conoscenza, ma per lui esse risiedevano in un intelletto puro
che non riceveva nulla dalla sensibilità, ma anzi che “metteva”
le sue categorie nel sensibile (in tal senso la sensazione forniva
solo il materiale, mentre la forma proveniva sempre da
strutture a priori). Viceversa per Husserl la soggettività
trascendentale riceve il proprio contenuto dalla percezione
sensibile e non si limita ad un a-priori puro ed esclusivamente
matematizzante, bensì cerca l’essenza ideale che PROVIENE
dal sensibile e dalle sue qualità
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79
Il mondo della vita

Vi sono due modi di pensare il mondo della vita
1) “il riferimento al mondo che ci è dato nell’intuizione come fondamento
dimenticato dell’indagine scientifica essenzialmente relativo alla diversità
dei singoli soggetti che fanno esperienza e in grado di generare, a partire da
questo criterio, le diverse tradizioni storico-culturali.
2) quel mondo di esperienze che, malgrado la loro relatività, hanno
un’omogeneità di fondo, un’identità di strutture portanti che non sono relative
alle singole culture, ma sono comuni a tutti gli uomini e permettono loro di
comprendersi.
L’ontologia del mondo della vita ha il compito di individuare tali strutture
essenziali e l’ultima parte della Crisi delle scienze europee è dedicata a tale
nuovo compito per la fenomenologia.
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HUSSERL - Consulenza Filosofica