Confindustria Modena
L’impresa e le strategie innovative di internazionalizzazione
Modena, 26 settembre 2007
L’internazionalizzazione dei
distretti industriali
Creatività e valore nella nuova economia
globale della conoscenza
Enzo Rullani
Venice International University
Laboratorio Network, Venezia
L’INTERNAZIONALIZZAZIONE
INVISIBILE
Mille e una ragioni, in Italia, per
avere nuovi occhi
Internazionalizzazione? Ma quale?
 L’Italia delle piccole imprese e dei distretti è stata
da sempre legata ad una forte proiezione sull’export
 Ma oggi questa non è più sufficiente, serve il
presidio delle filiere e dei mercati a scala
internazionale
 Le multinazionali ce l’hanno
 E noi? Facciamo pochi investimenti diretti
all’estero (IDE) e pochi ne riceviamo
 Dunque siamo disallineati rispetto alle nuove
esigenze. Ma è proprio vero?
I DATI NON CI FANNO VEDERE QUELLO CHE LE
IMPRESE HANNO FATTO DI NUOVO SU QUESTO
VERSANTE
L’internazionalizzazione italiana
diventa invisibile
Tante idee di globalizzazione
 All’inizio
c’era
l’INTERnazionalizzazione (commercio tra diversi)
= scambi di mercato
 Poi
è
arrivata
la
MULTInazionalizzazione (espansione di una
impresa sull’estero e di un paese leader su
altri paesi) = unità dell’organizzazione e del
comando manageriale
 Alla fine arriva la GLOBALIZZAZIONE
(anni ottanta) con l’idea del prodotto
globale e del consumatore universale
= omologazione dei territori, scomparsa
delle differenze
Ma le cose non sono andate così
 Le imprese hanno imparato a sfruttare i
territori per le loro differenze
 nel mercato globale le differenze
acquistano più valore perché fanno
emergere delle vocazioni specializzate
con clienti in molti paesi
 le differenze possono essere tra
imprese ma anche tra territori, ossia tra
imprese localizzare in contesti di esperienza
diversi
 Le differenze legate al significato e alla
qualità del territorio sono originali e
difficilmente imitabili altrove
Produzione a rete: la globalizzazione di
oggi dà valore alle differenze
 nelle reti transnazionali ogni nodo (locale)
apporta un valore aggiunto dovuto alla sua
differenza e unicità
 i nodi che contano sono quelli che hanno accesso
a conoscenze, relazioni e a risorse differenziali
 Le conoscenze tacite, l’organizzazione produttiva
(distretti, value chains), il lavoro qualificato, la
cultura, le università, le infrastrutture creano
vantaggi competitivi del territorio
 questi
vantaggi
attraggono
le
imprese
transnazionali nelle loro scelte localizzative o
generano scambi e specializzazioni con altri
territori
 La cura strategica dell’identità territoriale rende
riconoscibili e organizza queste differenze
La prima differenza da spendere è
l’identità del proprio territorio?
 Ogni territorio ha la sua identità, ma
questa deriva dalla storia e dalla cultura
passata: non è detto che sia utile alla
competizione di oggi
 Le
identità
locali
devono
essere
rigenerate, non solo conservate
 La rigenerazione delle identità avviene
spontaneamente ma in modo anarchico e
conflittuale. Fare evolvere le identità
territoriali verso una meta condivisa è un fatto
di imprenditorialità collettiva
NON TUTTI I TERRITORI SONO
UGUALI DA QUESTO PUNTO DI VISTA
E noi chi siamo? Identità italiana in crisi
 Declinisti contro continuisti: in
ambedue i casi si rischia di non fare
niente
 Il modello italiano è originale,
diverso dagli altri, ma ha una sua
vitalità: finora ha dato buoni risultati
tranne che negli ultimi cinque anni
 Una
discontinuità
è
però
necessaria: un ciclo di sviluppo è finito,
ma non si parte da zero
RIGENERARE IL VANTAGGIO COMPETITIVO
OSSIA RIGENERARE LA PROPRIA IDENTITA’
AZIENDALE E TERRITORIALE
LA CRISI E’ UNA OCCASIONE DI
APPRENDIMENTO
Per prendere le distanze dal vecchio e
costruire il nuovo bisogna
innanzitutto
AVERE NUOVI OCCHI
LE NUOVE SFIDE DA AFFRONTARE
sul terreno
dell’internazionalizzazione
oggi
Prima novità: la fine dell’alterità tra
domestico e estero
L’estero è qui, non è altrove
Agisce sempre meno la barriera protettiva della
distanza
L’economia internazionale è stata in passato
un’economia altra rispetto a quella domestica
(Export, Investimenti diretti all’estero)
Oggi non è più così: la globalizzazione ci è venuta a
casa, e plasma qualità, quantità, margini e prezzi di
mercati che una volta erano domestici
IL NOSTRO PROBLEMA NON E’ DI MIGLIORARE LA
PERFORMANCE CHE LE IMPRESE FANNO ALTROVE, MA DI
RENDERLE COMPETITIVE SUL MERCATO TRASVERSALE
DOMESTICO-ESTERO IN PRESENZA DI COMPETITORS che
sono già TRANS-NAZIONALI
Comparazione dei livelli salariali tra diverse
aree concorrenti nell’economia globale di oggi*
Svezia
28,7
Portogallo
6,0
Germania
27,1
Turchia
5,2
Giappone
24,4
Rep. Ceca
4,5
USA
24,3
Ungheria
4,3
Francia
20,9
Argentina
4,1
ITALIA
18,0
Brasile
3,4
Spagna
16,7
Messico
3,0
Corea
16,4
Polonia
2,5
_______________________________________
Cina
2,0
Sudafrica
2,2
Romania
1,7
Marocco
2,1
India
0,5
Tunisia
1,5
* salari orari pagati da una nota multinazionale che opera in 23
paesi diversi (Zaghi, Nomisma 2004)
Per riposizionarsi, bisogna mettere in
movimento nelle aziende e nel territorio
una nuova economia della conoscenza

Il problema dei nuovi paesi non è
tanto il costo del lavoro quanto la rapidità
del loro apprendimento, che riduce il
differenziale di produttività, rendendo
insostenibile il differenziale di costo a nostro
svantaggio
•
Per riposizionarsi rispetto ai paesi a
rapido apprendimento serve un’economia
che sia in grado di generare un differenziale
sostenibile in termini di conoscenze
originali ed esclusive
Seconda novità: bisogna usare la
conoscenza per fare un salto nella
produttività
 Si deve investire nelle nuove tecnologie, ma
anche le innovazioni di uso
 Le innovazioni di uso si appoggiano alla tecnologia
(ad es. le ICT), ma passano anche per la creazione
di nuove idee, esperienze, identità, servizi che
hanno valore per il cliente
 Le innovazioni di uso richiedono un circuito
internazionale di impiego della conoscenza e
dunque una evoluzione delle regole istituzionali,
contrattuali e pratiche nel senso della trasparenza,
abbassando le barriere per eventuali produttori esteri
o reti transnazionali con cui entrare in contatto
Per aumentare la produttività, bisogna
usare la leva della propagazione delle
conoscenze
La grande transizione degli ultimi trenta anni:
 dallo sviluppo PER ACCUMULAZIONE, tipico
della grande impresa fordista, che accumula
conoscenze proprietarie al suo interno e
cerca di sfruttarle direttamente per rafforzare il
vantaggio competitivo sul proprio business di
riferimento
 allo sviluppo PER PROPAGAZIONE, basato
sul trasferimento, diffusione e moltiplicazione
della conoscenza per linee esterne = filiere,
territori, mercati allargati a paesi, settori, usi anche
diversi da quello di origine
ECONOMIA DELLA PROPAGAZIONE
come usare la conoscenza per
riposizionarsi nelle filiere
internazionali
La posizione del follower diventa attiva
e la sua economia si lega in filiera a
quella del leader
 lo sviluppo non trabocca dai centri sulla punti
avanzati sulla loro immediata periferia,
 ma viene intercettato e agito dalla periferia
(ruolo attivo)
PURCHE’ CHI SEGUE POTENZI
 la propria capacità di assorbimento
 propri processi di apprendimento,
innovazione e sfruttamento delle conoscenze
altrui
La propagazione delle conoscenze non è solo
importazione di conoscenze altrui, ma
adattamento creativo alle proprie specificità
GIAPPONE: anni sessanta/ottanta
Il Giappone dopo la guerra importa massicciamente
conoscenze altrui (macchine, soluzioni tecnologiche e
organizzative, prodotti), ma le impiega in modo da
adattarle alle proprie specificità (cultura tradizionale,
lealtà dei fornitori, impiego a vita, incroci finanziari), che
sono corrette da interventi sui punti deboli (qualità): ne
scaturisce un nuovo modo di organizzare la produzione
(lean production, just in time, catene di fornitura)
ITALIA anni ottanta/novanta:
Modernizzazione industriale fatta importando conoscenza
da Germania, Francia, Stati Uniti (macchine, licenze,
imitazione, copia), ma adattandole alle nostre specificità
(crisi delle grandi imprese, outsourcing, piccole imprese
dei distretti e delle catene di subfornitura)
Ovunque, la propagazione delle conoscenze è
il motore dello sviluppo postfordista
New economy in CALIFORNIA, anni novanta
propagazione della conoscenza generata nei
centri di ricerca attraverso la condivisione
culturale nella comunità epistemica cresciuta
intorno alle università e nelle aziende
innovative
CINA, INDIA, RUSSIA o Est Europa oggi:
Propagazione multinazionale della conoscenza
da Stati Uniti, Giappone, Germania attraverso
l’importazione di macchine, le licenze, l’imitazione, la
copia e attraverso gli investimenti diretti delle
multinazionali.
LA PROPAGAZIONE AVVIENE ATTRAVERSO LE RETI
ossia attraverso:
- l’impresa estesa (extended enterprise), quasi
sempre MULTINAZIONALE, che si focalizza su un
core business e si propaga attraverso l’outsourcing
verso fornitori esterni, acquisizioni e alleanze
(modello americano)
- la catena di subfornitura, organizzata dalla
grande impresa che progetta i nuovi prodotti, li
produce solo in parte e cura la commercializzazione e
l’export (modello giapponese)
- il distretto industriale, che emerge attraverso
l’addensarsi di molte filiere fornitore-cliente nello
stesso territorio, in modo da usare le economie di
prossimità e quelle della specializzazione territoriale
in un certo settore (modello italiano)
IL DISTRETTO INDUSTRIALE
una variante (territoriale)
dell’economia della propagazione
LA PROPAGAZIONE CHE C’E’ STATA FINORA IN
ITALIA: ECONOMIA DEL DISTRETTO INDUSTRIALE
Nel distretto industriale le imprese hanno imparato a:
 lavorare a rete, in FILIERA, collegando fornitori
e clienti di piccola scala, grazie ai legami e alle
esperienze comuni
 utilizzare il TERRITORIO come fonte di
conoscenza, di lavoro qualificato, di servizi
specializzati, di cultura imprenditoriale, di capitale
sociale
 mettere in movimento l’energia delle PERSONE,
che finalizzano la propria vita privata e le proprie
risorse familiari all’impresa
L’economia della propagazione in filiera è già
oggi il modo prevalente di produrre, in Italia
LE MEDIE AZIENDE Le medie imprese italiane
sono imprese-rete: acquistano dall’esterno
l’81% di quanto fatturano (tra materie prime,
energia, licenze, componenti, lavorazioni conto
terzi, servizi), in gran parte da fornitori stabili
E ogni anno la percentuale aumenta di mezzo
punto …….
DUNQUE è sbagliato contrapporre piccole e
grandi (medie) imprese, perché non fanno
parte di due economie differenti, ma della stessa
economia di filiera. Piccole e grandi imprese sono
potenzialmente complementari, ma non è detto
che abbiano strategie convergenti
IL DISTRETTO CONCENTRA UN SETTORE IN
UN PARTICOLARE LUOGO
• L’Italia ha 156 distretti manifatturieri
(Istat 2001) di cui 39 nel Nordovest, 42 nel
Nordest, 49 nel Centro, 26 nel Sud
• 45 nel Tessile-Abbigliamento, 38
meccanica, 32 beni per la casa, 20 pelli e
calzature, 21 altri (con alimentare)
• 212.000 imprese e 1.929.000 addetti
ossia 1.350 imprese per distretto, 12.400
addetti, e 9 addetti per impresa (anche in
settori diversi da quelli di specializzazione)
I DISTRETTI SONO CRESCIUTI PER
TUTTO IL PERIODO DAL 1970 AL 2001
Nel 2001 i 156 distretti dell’Istat avevano
raggiunto il 39% dell’occupazione totale
nella manifattura, generando il 37% del
valore aggiunto nell’industria e il 46%
dell’export, tra cui:
Tessile abbigliamento
67%
Calzature
67%
Ceramica e altri min
60%
Prodotto in metallo
51%
Macchine
51%
poi abbiamo avuto 5 anni di stagnazione
• con crisi rilevanti e forte selezione delle imprese
nel Tessile-Abbigliamento, nelle Calzature,
nell’Oreficeria
• le difficoltà occupazionali non sono state
drammatiche perché alcune aziende sono comunque
cresciute mentre edilizia e terziario hanno impedito al
numero delle aziende e al numero di occupati di
flettere
• adesso ordini, produzione e esportazioni hanno
ripreso: c’è stato un cambiamento dei mercati di
sbocco (paesi extraeuropei) un incremento della
qualità del prodotto e del prezzo medio a cui si
vende
LE ESPORTAZIONI DEI DISTRETTI SONO
ANDATE PEGGIO DELLA MEDIA
MANIFATTURIERA ITALIANA DAL 2001 AD
OGGI
INCREMENTO % DELL’EXPORT SULL’ANNO
PRECEDENTE su 102 distretti rilevati da Intesa S.
Paolo (Monitor dei distretti luglio 2007)
Distretti Non-distretti Manifatt. Tot
2002
-3,4
-2,4
-1,5
2003
-4,2
-5,1
-2,7
2004
3,9
3,7
7,6
2005
-0,3
2,4
5,3
2006
8,8
8,5
10,6
Marzo 2007
8,7
9,2
11,0
LA RIPRESA E’ DIFFERENZIATA A SECONDA DELLE
REGIONI, MA IL SUD RIMANE INDIETRO
INCREMENTO % DELL’EXPORT DISTRETTUALE SULL’ANNO
PRECEDENTE per regioni (Monitor dei distretti Intesa San
Paolo luglio 2007)
Quota
Incr. 2006
Incr. gen- mar 2007
ITALIA
100,0
8,8
8,1
Marche
7,6
10,9
2,0
Lombardia
25,5
16,8
17,2
Piemonte
7,0
10,6
9,0
Veneto
25,7
8,5
3,4
Emilia Rom.
12,9
4,3
8,0
Toscana
12,7
6,0
5,7
5,1
-5,4
2,0
SUD
IL SISTEMA MODA, IN GENERALE, SI RIPRENDE PIU’
LENTAMENTE DEL SISTEMA CASA E DELLA
MECCANICA
INCREMENTO % DELL’EXPORT SULL’ANNO PRECEDENTE per
regioni (Monitor dei distretti Intesa San Paolo luglio 2007)
Distretti 2006
MANIFATTURA TOT
Non-distretti 2006
10,6
SETTORI DISTRETTUALI
8,8
8,5
Moda prod. Intermedi
0,1
4,9
Moda beni di consumo
8,4
6,4
Mobili e elettrodom.
3,9
5,9
Casa beni per edilizia
14,6
9,2
Casa manufatti vari
16,5
12,2
Meccanica strumentale
7,6
11,4
Prodotti in metallo strum.
12,9
15,8
LE LEVE SU CUI AGIRE
decostruire e ricostruire le filiere
distrettuali senza perdere i
vantaggi della rete territoriale
CONDIZIONI PER LA PROPAGAZIONE
Il distretto è una forma di cooperazione
involontaria nella produzione e propagazione
della conoscenza (copia, imitazione,
specializzazione, bacino comune di lavoro qualificato,
spin off imprenditoriali, macchine)
Specializzandosi e lavorando in filiera ciascun
produttore usa le competenze, il capitale, le
capacità innovative e di rischio degli altri
(fornitori, clienti), abbassando di molto le barriere
all’entrata nel business
Le imprese distrettuali possono fare economie
di scala rimanendo piccole, ma
specializzandosi in una funzione particolare:
questo spiega anche perché non hanno un
particolare incentivo a forzare loro il tasso di crescita
FONTI DEL VANTAGGIO COMPETITIVO
 economie di prossimità: grazie alla riduzione
delle distanze, rende poco costosa la distribuzione
della produzione tra i nodi della rete, che si
specializzano e si collegano in modo flessibile in
filiere
 governance politica dei problemi e dei conflitti,
perché il sistema sociale e istituzionale locale
permette di negoziare e regolare i comportamenti
individuali
 divisione del lavoro nel processo di
apprendimento (riduzione del capitale investito,
del rischio e delle competenze necessarie) e rapida
propagazione di conoscenze poco codificate
(copia, imitazione, intrecci personali)
DI CONSEGUENZA, DAL PUNTO DI VISTA DEL
VANTAGGIO COMPETITIVO, IL DISTRETTO E’
TRE COSE INSIEME:
- cluster = economie di agglomerazione
- comunità locale = fiducia, negoziazione,
istituzioni
- sistema cognitivo = divisione del lavoro
nell’apprendimento e nell’innovazione
QUALE DI QUESTE TRE COSE E’ DECISIVA
PER RIPOSIZIONARE IL SISTEMA
PRODUTTIVO NELLA NUOVA ECONOMIA
INTERNAZIONALE?
SERVONO TUTTE E TRE, MA SOLO SE SONO AL
SERVIZIO DELLA TERZA
- cluster = l’agglomerazione oggi dà più
diseconomie che economie, bisogna estendere il
sistema più che addensarlo
- comunità locale = difendere tutto può quello che
c’è essere una tentazione pericolosa (il nuovo
nasce se una parte del vecchio libera le risorse che
oggi occupa)
- sistema cognitivo = è il terreno decisivo per
rigenerare i vantaggi creati in passato dalla
propagazione della conoscenza, oggi diventati
obsoleti
RIVOLUZIONARE L’ECONOMIA
DELLA CONOSCENZA TIPICA DEL
DISTRETTO
IL DISTRETTO IN PASSATO HA MESSO IN
MOVIMENTO UNA PARTICOLARE ECONOMIA
DELLA CONOSCENZA
in termini di:
• capacità di assorbimento (ACCESSO)
• innovazione di uso negli usi
(CREATIVITA’)
• aumento del bacino di uso e di
applicazione della conoscenza
(MOLTIPLICAZIONE)
LA PROPAGAZIONE CHE GENERA VALORE
ACCESSO
CREATIVITA’
Capacità di
Avere idee originali
assorbimento delle
conoscenze altrui
che aggiungono qualcosa
alla conoscenza altrui
MOLTIPLICAZIONE
Moltiplicazione degli usi
e distribuzione del
valore generato
IN PASSATO: la propagazione che c’è stata
ACCESSO
CREATIVITA’
Macchine,
Lavoro specializzato,
imitazione
Flessibilità, piccole serie
Creatività personale
Conoscenze informali sedimentate nei luoghi
MOLTIPLICAZIONE
Distretti,
catene di subfornitura
Negli ultimi dieci anni: NUOVE SFIDE
 GLOBALIZZAZIONE: bisogna intercettare i
mercati emergenti (in crescita), acquisire forniture a
basso costo, aumentare i volumi, imparare dalla varietà
Globalizzazione non vuol dire solo
esportare, ma sfruttare le differenze
esistenti tra i vari paesi e allargare il bacino
di vendita a scala mondiale
 SMATERIALIZZAZIONE: bisogna fornire al
cliente prestazioni che arricchiscono il prodotto
materiale trasformando il senso del consumo o dell’uso
(anche industriale) della conoscenza
Smaterializzazione vuol dire passare
dall’economia dei bisogni all’economia dei
desideri, creando significati, esperienze,
identità e attenzione
Che cosa non va, del vecchio modello
Di fronte a globalizzazione e smaterializzazione, i punti
di forza del distretto si mutano in fattori di debolezza:
 le reti locali non bastano più (sono piccole e non
usano i fattori più convenienti)
 il territorio che resiste all’innovazione diventa un
problema, invece di una risorsa
 le persone invecchiano e possono inibire la crescita
autonoma dell’azienda, che spesso richiede un ricambio
delle persone e delle competenze
Il nuovo modello distrettuale: sistema locale
che addensa reti multi-localizzate
Il distretto inteso come sistema cognitivo
locale può estendersi verso l’economia globale e
verso l’economia immateriale se è in grado di dar
vita ad una comunità epistemica aperta
Ossia ad una comunità multi-territoriale che
adotta visioni e metodi comuni per
codificare e condividere le conoscenze utili
E’ lo sviluppo di visioni e metodi
epistemologici comuni che fa circolare la
conoscenza tra attività svolte in luoghi diversi,
integrando funzioni manifatturiere con funzioni
immateriali.
OGGI: serve una propagazione diversa
ACCESSO
CREATIVITA’
Linguaggi formali,
Ambiente metropolitano,
Ricerca, reti lunghe
Comunità epistemiche
Multiculturalità
Che cosa manca (e rimane da fare)
MOLTIPLICAZIONE
Reti globali aperte
a monte e a valle, Marchi,
Investimenti commerciali
Il punto critico:
AUMENTARE L’INVESTIMENTO IN
CAPITALE INTELLETTUALE E
RELAZIONALE
TUTTI I PROBLEMI DEL MODELLO DISTRETTUALE
VENGONO AL PETTINE
 la dimensione troppo piccola delle imprese (si
può rimediare con la filiera)
 il locale, che chiude al globale (bisogna
invece usare la propria differenza per distinguersi
nell’economia globale)
 la natura tradizionale dei settori tipici delle
produzioni distrettuali (in questi settori bisogna
innovare creando significati, esperienze,
identità e attenzione al cliente)
Ma il vero problema è un altro: l’abitudine
fatta alla propagazione senza investimento
IL TALLONE D’ACHILLE DEL SISTEMA
DISTRETTUALE
LA DEBOLEZZA DI FONDO DEL MODELLO
DISTRETTUALE E’ DATA DALLA
PROPAGAZIONE SENZA
INVESTIMENTO
scarso investimento in capitale intellettuale
 scarso investimento in capitale relazionale
E INVECE C’E’ STATO un massiccio
sfruttamento di capitale sociale (intellettuale e
relazionale) accessibile a costo zero nei sistemi
locali
Il capitale sociale non basta più: e allora?
 per globalizzare
 per smaterializzare
servono investimenti, ma:
 PER FARE GLI INVESTIMENTI, DEVONO
ESSERE CONVENIENTI
 PER FARLI RENDERE, BISOGNA
ALLARGARE IL BACINO DI USO DELLE
CONOSCENZE: COME?
I DISTRETTI NON MUOIONO
MA STANNO CAMBIANDO
(per fortuna)
Rimedio n. 1 – Investire in risorse connettive
Le reti tradizionali sono invecchiate. Per un distretto
che tende a diventare comunità epistemica
multilocalizzata servono reti diverse dal passato, per
fornire nuove forme di:
a) Comunicazione (linguaggi formali, ricerca diffusa,
sistemi ICT)
b) Logistica = strade ma non solo strade
(trasporti globali, intermodalità, piccoli lotti, sistemi
metropolitani)
c) Garanzia (accreditamento mediante comunità
professionali, reciproco riconoscimento, o assunzione
di rischi condivisi)
Rimedio n. 2: trasformare la filiera distrettuale
in filiera globale modularizzando la
produzione
 La filiera distrettuale è vincolata ai rapporti
interpersonali diretti (locali) fino a che i rapporti tra i
diversi specialisti della filiera restano informali
 Per allargare le reti di fornitura a monte e di
commercializzazione a valle bisogna modularizzare i
processi e i prodotti realizzati definendo delle
interfaccia standard tra moduli che possono essere
ricombinati anche a distanza
 Nel distretto restano i processi generativi di
idee e di servizi complessi (la “testa”), che non
possono essere codificati con interfacce standard o
perché nuovi o perché personalizzati, adattivi rispetto
alle esigenze particolari del cliente
Rimedio n. 3: smaterializzare le funzioni
svolte nelle filiere globali
 per sviluppare conoscenze originali e moltiplicarle
occorrono forti investimenti nell’immateriale
 questi possono diventare convenienti solo le idee
vengono sfruttate al massimo, cercando tutti i loro
possibili usi, al di fuori dell’impresa e dell’uso
di origine, ma anche del distretto o del settore
di partenza
BISOGNA LIBERARE LE IDEE DAI PRODOTTI
E PROCESSI MATERIALI IN CUI SONO
PRIGIONIERE
E FARLE DIVENTARE DEI BUSINESS AUTONOMI
MEDIANTE LA NASCITA DI IMPRESE SPECIALIZZATE
DI SERVIZI, IL NETWORKING, LA BREVETTAZIONE O
ALLEANZE STRATEGICHE CON ALTRI
IL FUTURO DEI DISTRETTI: CRESCITA PER
ESTENSIONE, SPECIALIZZAZIONE E
IBRIDAZIONE
 accanto alla manifattura (che diventa industria
intelligente) si sviluppa una consistente numero di
imprese terziarie specializzate nella fornitura di
conoscenze, relazioni e servizi
 ciascuna impresa organizza il suo business intorno
a un’idea originale ed esclusiva, andando a
cercare i propri clienti potenziali a 360°, e
comincia ad interessarsi di mercati e in settori diversi
da quelli già conosciuti
 Ciascuna impresa approfondisce la sua
specializzazione, diventando una impresa di nicchia
eccellente a scala mondiale. Di conseguenza
cerca anche fornitori eccellenti a scala mondiale
RIEPILOGANDO
CHE COSA FARE PER
INTERNAZIONALIZZARSI NELLA NUOVA
ECONOMIA GLOBALE DELLA CONOSCENZA?
Non basta esportare
Non basta fare investimenti diretti
ma bisogna estendere le filiere, usando
specialisti locali o internazionali che
forniscano in modo stabile e affidabile
conoscenze, servizi, lavorazioni,
componenti
L’INTERNAZIONALIZZAZIONE A RETE
L’estensione a scala internazionale delle filiere è una
delle forme di internazionalizzazione cognitiva
(propagazione globale delle conoscenze) non si legge
dai dati statistici ufficiali che riguardano EXPORT +
IDE (Investimenti diretti all’estero)
 ma esiste tutte le volte che consente la
propagazione internazionale delle
conoscenze (non solo per il traffico di
perfezionamento passivo)
 consente anche ai piccoli di
internazionalizzarsi senza andare
direttamente all’estero, se restano legati
ad una filiera che si internazionalizza
PER INTERNAZIONALIZZARE LE FILIERE,
PERO’, QUALCUNO DEVE INVESTIRE
non solo investimenti diretti (produttivi e
commerciali)

 ma anche investimenti in reti di fornitura e
di commercializzazione che si appoggiano
ad altre imprese (alleanze, imprese
specializzate in approvvigionamento o in
commercializzazione, imprese locali)
 eppoi marchi commerciali, brevetti e
reti di franchising
SERVONO INVESTIMENTI, MA CHI LI FARA’?
I NODI DA SCIOGLIERE
nuovi protagonisti cercasi
disperatamente
SERVONO SOGGETTI CHE CREDANO NELLE
PROPRIE CAPACITA’, PRENDENDOSI I RISCHI E
FACENDO GLI INVESTIMENTI NECESSARI PER
SFRUTTARLE A SCALA INTERNAZIONALE
ossia: c’è bisogno di nuovi PIONIERI
 IMPRESE LEADER
 IMPRESE COMMERCIALI E TERZIARIE
 ALLEANZE TRANS-NAZIONALI CON PARTNERS ESTERI
 RETI A PROGETTO CHE NASCONO DAL BASSO
 INIZIATIVE DELLE ASSOCIAZIONI E DELLE ISTITUZIONI
LOCALI
 BANCHE E NUOVE FORME DI FINANZA
Qualche idea su cosa stanno facendo le
IMPRESE LEADER
L’Osservatorio TeDIS
 imprese medie distrettuali
 nelle diverse aree italiane e nei diversi settori
 nei processi di internazionalizzazione
 nei processi di innovazione tecnologica
I distretti presi in esame
Lombardia
Mobile- Brianza; Calze - Castelgoffredo;
Tessile – Como; Meccanica - Lecco;
Metalli – Lumezzane
Piemonte
Tessile/abbigliamento - Biella;
Oreficeria - Valenza Po; Casalinghi - Cusio;
Meccanica - Pianezza Pinerolo
Toscana
Tessile - Prato; Marmo - Carrara;
Concia - S. Croce sull’Arno
Marche
Mobile – Pesaro; Calzatura - Fermo;
Agro-alimentare San Benedetto
Lazio
Ceramica -Civita Castellana
Veneto
Vetro – Murano; Calzature - Brenta;
Sportsystem – Montebelluna; Concia - Arzignano;
Occhiali – Belluno; Mobile - Q. del Piave;
Tessile - Schio, Thiene, Valdagno;
Meccanica - Schio, Thiene- Montecchio
Friuli VG
Sedie – Manzano; Mobile - Livenza;
Prosciutto - San Daniele
Emilia Romagna
Ceramica – Sassuolo; Tessile - Carpi
Macchine agricole - Reggio Emilia;
Oleodinamica; Meccanica alimentare
Abruzzo
Abbigliamento Nord Abruzzese;
Abbigliamento Sud Abruzzese
Puglia
Imbottito Murge; Calzatura - Salento;
Abbigliamento – Salento; Calzatura Barletta
Campania
Calzatura e Abbigliamento – Napoli;
Concia –Solofra; Pasta - Gragnano;
Conserve - Nocera
L’EMERGERE DI UN NUOVO MODELLO DI IMPRESA
Alta
Impresa aperta
a monte
10,7%
Impresa a rete
aperta
11,4%
Proiezione
internazionale
produzione
Impresa locale
tradizionale
51,1%
Bassa
Impresa con
apertura
commerciale
26,7%
Alto
Basso
Presidio dei mercati finali
Si può fare di più? (1)
Le nostre reti attuali sono soprattutto reti interpersonali. Per estenderle bisogna:
 Far muovere le persone (i nostri che vanno
all’estero, gli esteri che vengono qui), ricollocando i
luoghi nello spazio dei flussi
 Rendere affidabili le relazioni (regole,
comportamenti, comunicazioni ecc.) anche per chi non
ha una diretta esperienza del contesto italiano
 Fare un investimento di avanguardia nell’uso delle
ICT allacciando maggiori rapporti con le
multinazionali grazie a ICT e produzione modulare
 Rendere sapienti e creativi i territori investendo
sulla loro identità, sulla qualità del contesto e sulla
loro riconoscibilità
Si può fare di più? (2)
Per investire notevolmente di più in capitale
intellettuale e relazionale. Per fare gli investimenti
richiesti dalla nuova internazionalizzazione bisogna:
 Cambiare le forme societarie e imprenditoriali,
portando dentro l’impresa nuovi soci ossia nuovo
capitale di rischio (possono essere managers,
fornitori, clienti, concorrenti, dipendenti che si
mettono in proprio, banche locali o con attenzione al
locale, o altre forme per le imprese più grandi)
 cambiare i rapporti tra impresa e famiglia: non
va più bene la situazione “Impresa povera, famiglia
ricca, non va più bene la confusione tra relazioni
familiari e manageriali
 cominciare a credere nelle alleanze, locali ma
anche con reti multinazionali
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