Confindustria Modena L’impresa e le strategie innovative di internazionalizzazione Modena, 26 settembre 2007 L’internazionalizzazione dei distretti industriali Creatività e valore nella nuova economia globale della conoscenza Enzo Rullani Venice International University Laboratorio Network, Venezia L’INTERNAZIONALIZZAZIONE INVISIBILE Mille e una ragioni, in Italia, per avere nuovi occhi Internazionalizzazione? Ma quale? L’Italia delle piccole imprese e dei distretti è stata da sempre legata ad una forte proiezione sull’export Ma oggi questa non è più sufficiente, serve il presidio delle filiere e dei mercati a scala internazionale Le multinazionali ce l’hanno E noi? Facciamo pochi investimenti diretti all’estero (IDE) e pochi ne riceviamo Dunque siamo disallineati rispetto alle nuove esigenze. Ma è proprio vero? I DATI NON CI FANNO VEDERE QUELLO CHE LE IMPRESE HANNO FATTO DI NUOVO SU QUESTO VERSANTE L’internazionalizzazione italiana diventa invisibile Tante idee di globalizzazione All’inizio c’era l’INTERnazionalizzazione (commercio tra diversi) = scambi di mercato Poi è arrivata la MULTInazionalizzazione (espansione di una impresa sull’estero e di un paese leader su altri paesi) = unità dell’organizzazione e del comando manageriale Alla fine arriva la GLOBALIZZAZIONE (anni ottanta) con l’idea del prodotto globale e del consumatore universale = omologazione dei territori, scomparsa delle differenze Ma le cose non sono andate così Le imprese hanno imparato a sfruttare i territori per le loro differenze nel mercato globale le differenze acquistano più valore perché fanno emergere delle vocazioni specializzate con clienti in molti paesi le differenze possono essere tra imprese ma anche tra territori, ossia tra imprese localizzare in contesti di esperienza diversi Le differenze legate al significato e alla qualità del territorio sono originali e difficilmente imitabili altrove Produzione a rete: la globalizzazione di oggi dà valore alle differenze nelle reti transnazionali ogni nodo (locale) apporta un valore aggiunto dovuto alla sua differenza e unicità i nodi che contano sono quelli che hanno accesso a conoscenze, relazioni e a risorse differenziali Le conoscenze tacite, l’organizzazione produttiva (distretti, value chains), il lavoro qualificato, la cultura, le università, le infrastrutture creano vantaggi competitivi del territorio questi vantaggi attraggono le imprese transnazionali nelle loro scelte localizzative o generano scambi e specializzazioni con altri territori La cura strategica dell’identità territoriale rende riconoscibili e organizza queste differenze La prima differenza da spendere è l’identità del proprio territorio? Ogni territorio ha la sua identità, ma questa deriva dalla storia e dalla cultura passata: non è detto che sia utile alla competizione di oggi Le identità locali devono essere rigenerate, non solo conservate La rigenerazione delle identità avviene spontaneamente ma in modo anarchico e conflittuale. Fare evolvere le identità territoriali verso una meta condivisa è un fatto di imprenditorialità collettiva NON TUTTI I TERRITORI SONO UGUALI DA QUESTO PUNTO DI VISTA E noi chi siamo? Identità italiana in crisi Declinisti contro continuisti: in ambedue i casi si rischia di non fare niente Il modello italiano è originale, diverso dagli altri, ma ha una sua vitalità: finora ha dato buoni risultati tranne che negli ultimi cinque anni Una discontinuità è però necessaria: un ciclo di sviluppo è finito, ma non si parte da zero RIGENERARE IL VANTAGGIO COMPETITIVO OSSIA RIGENERARE LA PROPRIA IDENTITA’ AZIENDALE E TERRITORIALE LA CRISI E’ UNA OCCASIONE DI APPRENDIMENTO Per prendere le distanze dal vecchio e costruire il nuovo bisogna innanzitutto AVERE NUOVI OCCHI LE NUOVE SFIDE DA AFFRONTARE sul terreno dell’internazionalizzazione oggi Prima novità: la fine dell’alterità tra domestico e estero L’estero è qui, non è altrove Agisce sempre meno la barriera protettiva della distanza L’economia internazionale è stata in passato un’economia altra rispetto a quella domestica (Export, Investimenti diretti all’estero) Oggi non è più così: la globalizzazione ci è venuta a casa, e plasma qualità, quantità, margini e prezzi di mercati che una volta erano domestici IL NOSTRO PROBLEMA NON E’ DI MIGLIORARE LA PERFORMANCE CHE LE IMPRESE FANNO ALTROVE, MA DI RENDERLE COMPETITIVE SUL MERCATO TRASVERSALE DOMESTICO-ESTERO IN PRESENZA DI COMPETITORS che sono già TRANS-NAZIONALI Comparazione dei livelli salariali tra diverse aree concorrenti nell’economia globale di oggi* Svezia 28,7 Portogallo 6,0 Germania 27,1 Turchia 5,2 Giappone 24,4 Rep. Ceca 4,5 USA 24,3 Ungheria 4,3 Francia 20,9 Argentina 4,1 ITALIA 18,0 Brasile 3,4 Spagna 16,7 Messico 3,0 Corea 16,4 Polonia 2,5 _______________________________________ Cina 2,0 Sudafrica 2,2 Romania 1,7 Marocco 2,1 India 0,5 Tunisia 1,5 * salari orari pagati da una nota multinazionale che opera in 23 paesi diversi (Zaghi, Nomisma 2004) Per riposizionarsi, bisogna mettere in movimento nelle aziende e nel territorio una nuova economia della conoscenza Il problema dei nuovi paesi non è tanto il costo del lavoro quanto la rapidità del loro apprendimento, che riduce il differenziale di produttività, rendendo insostenibile il differenziale di costo a nostro svantaggio • Per riposizionarsi rispetto ai paesi a rapido apprendimento serve un’economia che sia in grado di generare un differenziale sostenibile in termini di conoscenze originali ed esclusive Seconda novità: bisogna usare la conoscenza per fare un salto nella produttività Si deve investire nelle nuove tecnologie, ma anche le innovazioni di uso Le innovazioni di uso si appoggiano alla tecnologia (ad es. le ICT), ma passano anche per la creazione di nuove idee, esperienze, identità, servizi che hanno valore per il cliente Le innovazioni di uso richiedono un circuito internazionale di impiego della conoscenza e dunque una evoluzione delle regole istituzionali, contrattuali e pratiche nel senso della trasparenza, abbassando le barriere per eventuali produttori esteri o reti transnazionali con cui entrare in contatto Per aumentare la produttività, bisogna usare la leva della propagazione delle conoscenze La grande transizione degli ultimi trenta anni: dallo sviluppo PER ACCUMULAZIONE, tipico della grande impresa fordista, che accumula conoscenze proprietarie al suo interno e cerca di sfruttarle direttamente per rafforzare il vantaggio competitivo sul proprio business di riferimento allo sviluppo PER PROPAGAZIONE, basato sul trasferimento, diffusione e moltiplicazione della conoscenza per linee esterne = filiere, territori, mercati allargati a paesi, settori, usi anche diversi da quello di origine ECONOMIA DELLA PROPAGAZIONE come usare la conoscenza per riposizionarsi nelle filiere internazionali La posizione del follower diventa attiva e la sua economia si lega in filiera a quella del leader lo sviluppo non trabocca dai centri sulla punti avanzati sulla loro immediata periferia, ma viene intercettato e agito dalla periferia (ruolo attivo) PURCHE’ CHI SEGUE POTENZI la propria capacità di assorbimento propri processi di apprendimento, innovazione e sfruttamento delle conoscenze altrui La propagazione delle conoscenze non è solo importazione di conoscenze altrui, ma adattamento creativo alle proprie specificità GIAPPONE: anni sessanta/ottanta Il Giappone dopo la guerra importa massicciamente conoscenze altrui (macchine, soluzioni tecnologiche e organizzative, prodotti), ma le impiega in modo da adattarle alle proprie specificità (cultura tradizionale, lealtà dei fornitori, impiego a vita, incroci finanziari), che sono corrette da interventi sui punti deboli (qualità): ne scaturisce un nuovo modo di organizzare la produzione (lean production, just in time, catene di fornitura) ITALIA anni ottanta/novanta: Modernizzazione industriale fatta importando conoscenza da Germania, Francia, Stati Uniti (macchine, licenze, imitazione, copia), ma adattandole alle nostre specificità (crisi delle grandi imprese, outsourcing, piccole imprese dei distretti e delle catene di subfornitura) Ovunque, la propagazione delle conoscenze è il motore dello sviluppo postfordista New economy in CALIFORNIA, anni novanta propagazione della conoscenza generata nei centri di ricerca attraverso la condivisione culturale nella comunità epistemica cresciuta intorno alle università e nelle aziende innovative CINA, INDIA, RUSSIA o Est Europa oggi: Propagazione multinazionale della conoscenza da Stati Uniti, Giappone, Germania attraverso l’importazione di macchine, le licenze, l’imitazione, la copia e attraverso gli investimenti diretti delle multinazionali. LA PROPAGAZIONE AVVIENE ATTRAVERSO LE RETI ossia attraverso: - l’impresa estesa (extended enterprise), quasi sempre MULTINAZIONALE, che si focalizza su un core business e si propaga attraverso l’outsourcing verso fornitori esterni, acquisizioni e alleanze (modello americano) - la catena di subfornitura, organizzata dalla grande impresa che progetta i nuovi prodotti, li produce solo in parte e cura la commercializzazione e l’export (modello giapponese) - il distretto industriale, che emerge attraverso l’addensarsi di molte filiere fornitore-cliente nello stesso territorio, in modo da usare le economie di prossimità e quelle della specializzazione territoriale in un certo settore (modello italiano) IL DISTRETTO INDUSTRIALE una variante (territoriale) dell’economia della propagazione LA PROPAGAZIONE CHE C’E’ STATA FINORA IN ITALIA: ECONOMIA DEL DISTRETTO INDUSTRIALE Nel distretto industriale le imprese hanno imparato a: lavorare a rete, in FILIERA, collegando fornitori e clienti di piccola scala, grazie ai legami e alle esperienze comuni utilizzare il TERRITORIO come fonte di conoscenza, di lavoro qualificato, di servizi specializzati, di cultura imprenditoriale, di capitale sociale mettere in movimento l’energia delle PERSONE, che finalizzano la propria vita privata e le proprie risorse familiari all’impresa L’economia della propagazione in filiera è già oggi il modo prevalente di produrre, in Italia LE MEDIE AZIENDE Le medie imprese italiane sono imprese-rete: acquistano dall’esterno l’81% di quanto fatturano (tra materie prime, energia, licenze, componenti, lavorazioni conto terzi, servizi), in gran parte da fornitori stabili E ogni anno la percentuale aumenta di mezzo punto ……. DUNQUE è sbagliato contrapporre piccole e grandi (medie) imprese, perché non fanno parte di due economie differenti, ma della stessa economia di filiera. Piccole e grandi imprese sono potenzialmente complementari, ma non è detto che abbiano strategie convergenti IL DISTRETTO CONCENTRA UN SETTORE IN UN PARTICOLARE LUOGO • L’Italia ha 156 distretti manifatturieri (Istat 2001) di cui 39 nel Nordovest, 42 nel Nordest, 49 nel Centro, 26 nel Sud • 45 nel Tessile-Abbigliamento, 38 meccanica, 32 beni per la casa, 20 pelli e calzature, 21 altri (con alimentare) • 212.000 imprese e 1.929.000 addetti ossia 1.350 imprese per distretto, 12.400 addetti, e 9 addetti per impresa (anche in settori diversi da quelli di specializzazione) I DISTRETTI SONO CRESCIUTI PER TUTTO IL PERIODO DAL 1970 AL 2001 Nel 2001 i 156 distretti dell’Istat avevano raggiunto il 39% dell’occupazione totale nella manifattura, generando il 37% del valore aggiunto nell’industria e il 46% dell’export, tra cui: Tessile abbigliamento 67% Calzature 67% Ceramica e altri min 60% Prodotto in metallo 51% Macchine 51% poi abbiamo avuto 5 anni di stagnazione • con crisi rilevanti e forte selezione delle imprese nel Tessile-Abbigliamento, nelle Calzature, nell’Oreficeria • le difficoltà occupazionali non sono state drammatiche perché alcune aziende sono comunque cresciute mentre edilizia e terziario hanno impedito al numero delle aziende e al numero di occupati di flettere • adesso ordini, produzione e esportazioni hanno ripreso: c’è stato un cambiamento dei mercati di sbocco (paesi extraeuropei) un incremento della qualità del prodotto e del prezzo medio a cui si vende LE ESPORTAZIONI DEI DISTRETTI SONO ANDATE PEGGIO DELLA MEDIA MANIFATTURIERA ITALIANA DAL 2001 AD OGGI INCREMENTO % DELL’EXPORT SULL’ANNO PRECEDENTE su 102 distretti rilevati da Intesa S. Paolo (Monitor dei distretti luglio 2007) Distretti Non-distretti Manifatt. Tot 2002 -3,4 -2,4 -1,5 2003 -4,2 -5,1 -2,7 2004 3,9 3,7 7,6 2005 -0,3 2,4 5,3 2006 8,8 8,5 10,6 Marzo 2007 8,7 9,2 11,0 LA RIPRESA E’ DIFFERENZIATA A SECONDA DELLE REGIONI, MA IL SUD RIMANE INDIETRO INCREMENTO % DELL’EXPORT DISTRETTUALE SULL’ANNO PRECEDENTE per regioni (Monitor dei distretti Intesa San Paolo luglio 2007) Quota Incr. 2006 Incr. gen- mar 2007 ITALIA 100,0 8,8 8,1 Marche 7,6 10,9 2,0 Lombardia 25,5 16,8 17,2 Piemonte 7,0 10,6 9,0 Veneto 25,7 8,5 3,4 Emilia Rom. 12,9 4,3 8,0 Toscana 12,7 6,0 5,7 5,1 -5,4 2,0 SUD IL SISTEMA MODA, IN GENERALE, SI RIPRENDE PIU’ LENTAMENTE DEL SISTEMA CASA E DELLA MECCANICA INCREMENTO % DELL’EXPORT SULL’ANNO PRECEDENTE per regioni (Monitor dei distretti Intesa San Paolo luglio 2007) Distretti 2006 MANIFATTURA TOT Non-distretti 2006 10,6 SETTORI DISTRETTUALI 8,8 8,5 Moda prod. Intermedi 0,1 4,9 Moda beni di consumo 8,4 6,4 Mobili e elettrodom. 3,9 5,9 Casa beni per edilizia 14,6 9,2 Casa manufatti vari 16,5 12,2 Meccanica strumentale 7,6 11,4 Prodotti in metallo strum. 12,9 15,8 LE LEVE SU CUI AGIRE decostruire e ricostruire le filiere distrettuali senza perdere i vantaggi della rete territoriale CONDIZIONI PER LA PROPAGAZIONE Il distretto è una forma di cooperazione involontaria nella produzione e propagazione della conoscenza (copia, imitazione, specializzazione, bacino comune di lavoro qualificato, spin off imprenditoriali, macchine) Specializzandosi e lavorando in filiera ciascun produttore usa le competenze, il capitale, le capacità innovative e di rischio degli altri (fornitori, clienti), abbassando di molto le barriere all’entrata nel business Le imprese distrettuali possono fare economie di scala rimanendo piccole, ma specializzandosi in una funzione particolare: questo spiega anche perché non hanno un particolare incentivo a forzare loro il tasso di crescita FONTI DEL VANTAGGIO COMPETITIVO economie di prossimità: grazie alla riduzione delle distanze, rende poco costosa la distribuzione della produzione tra i nodi della rete, che si specializzano e si collegano in modo flessibile in filiere governance politica dei problemi e dei conflitti, perché il sistema sociale e istituzionale locale permette di negoziare e regolare i comportamenti individuali divisione del lavoro nel processo di apprendimento (riduzione del capitale investito, del rischio e delle competenze necessarie) e rapida propagazione di conoscenze poco codificate (copia, imitazione, intrecci personali) DI CONSEGUENZA, DAL PUNTO DI VISTA DEL VANTAGGIO COMPETITIVO, IL DISTRETTO E’ TRE COSE INSIEME: - cluster = economie di agglomerazione - comunità locale = fiducia, negoziazione, istituzioni - sistema cognitivo = divisione del lavoro nell’apprendimento e nell’innovazione QUALE DI QUESTE TRE COSE E’ DECISIVA PER RIPOSIZIONARE IL SISTEMA PRODUTTIVO NELLA NUOVA ECONOMIA INTERNAZIONALE? SERVONO TUTTE E TRE, MA SOLO SE SONO AL SERVIZIO DELLA TERZA - cluster = l’agglomerazione oggi dà più diseconomie che economie, bisogna estendere il sistema più che addensarlo - comunità locale = difendere tutto può quello che c’è essere una tentazione pericolosa (il nuovo nasce se una parte del vecchio libera le risorse che oggi occupa) - sistema cognitivo = è il terreno decisivo per rigenerare i vantaggi creati in passato dalla propagazione della conoscenza, oggi diventati obsoleti RIVOLUZIONARE L’ECONOMIA DELLA CONOSCENZA TIPICA DEL DISTRETTO IL DISTRETTO IN PASSATO HA MESSO IN MOVIMENTO UNA PARTICOLARE ECONOMIA DELLA CONOSCENZA in termini di: • capacità di assorbimento (ACCESSO) • innovazione di uso negli usi (CREATIVITA’) • aumento del bacino di uso e di applicazione della conoscenza (MOLTIPLICAZIONE) LA PROPAGAZIONE CHE GENERA VALORE ACCESSO CREATIVITA’ Capacità di Avere idee originali assorbimento delle conoscenze altrui che aggiungono qualcosa alla conoscenza altrui MOLTIPLICAZIONE Moltiplicazione degli usi e distribuzione del valore generato IN PASSATO: la propagazione che c’è stata ACCESSO CREATIVITA’ Macchine, Lavoro specializzato, imitazione Flessibilità, piccole serie Creatività personale Conoscenze informali sedimentate nei luoghi MOLTIPLICAZIONE Distretti, catene di subfornitura Negli ultimi dieci anni: NUOVE SFIDE GLOBALIZZAZIONE: bisogna intercettare i mercati emergenti (in crescita), acquisire forniture a basso costo, aumentare i volumi, imparare dalla varietà Globalizzazione non vuol dire solo esportare, ma sfruttare le differenze esistenti tra i vari paesi e allargare il bacino di vendita a scala mondiale SMATERIALIZZAZIONE: bisogna fornire al cliente prestazioni che arricchiscono il prodotto materiale trasformando il senso del consumo o dell’uso (anche industriale) della conoscenza Smaterializzazione vuol dire passare dall’economia dei bisogni all’economia dei desideri, creando significati, esperienze, identità e attenzione Che cosa non va, del vecchio modello Di fronte a globalizzazione e smaterializzazione, i punti di forza del distretto si mutano in fattori di debolezza: le reti locali non bastano più (sono piccole e non usano i fattori più convenienti) il territorio che resiste all’innovazione diventa un problema, invece di una risorsa le persone invecchiano e possono inibire la crescita autonoma dell’azienda, che spesso richiede un ricambio delle persone e delle competenze Il nuovo modello distrettuale: sistema locale che addensa reti multi-localizzate Il distretto inteso come sistema cognitivo locale può estendersi verso l’economia globale e verso l’economia immateriale se è in grado di dar vita ad una comunità epistemica aperta Ossia ad una comunità multi-territoriale che adotta visioni e metodi comuni per codificare e condividere le conoscenze utili E’ lo sviluppo di visioni e metodi epistemologici comuni che fa circolare la conoscenza tra attività svolte in luoghi diversi, integrando funzioni manifatturiere con funzioni immateriali. OGGI: serve una propagazione diversa ACCESSO CREATIVITA’ Linguaggi formali, Ambiente metropolitano, Ricerca, reti lunghe Comunità epistemiche Multiculturalità Che cosa manca (e rimane da fare) MOLTIPLICAZIONE Reti globali aperte a monte e a valle, Marchi, Investimenti commerciali Il punto critico: AUMENTARE L’INVESTIMENTO IN CAPITALE INTELLETTUALE E RELAZIONALE TUTTI I PROBLEMI DEL MODELLO DISTRETTUALE VENGONO AL PETTINE la dimensione troppo piccola delle imprese (si può rimediare con la filiera) il locale, che chiude al globale (bisogna invece usare la propria differenza per distinguersi nell’economia globale) la natura tradizionale dei settori tipici delle produzioni distrettuali (in questi settori bisogna innovare creando significati, esperienze, identità e attenzione al cliente) Ma il vero problema è un altro: l’abitudine fatta alla propagazione senza investimento IL TALLONE D’ACHILLE DEL SISTEMA DISTRETTUALE LA DEBOLEZZA DI FONDO DEL MODELLO DISTRETTUALE E’ DATA DALLA PROPAGAZIONE SENZA INVESTIMENTO scarso investimento in capitale intellettuale scarso investimento in capitale relazionale E INVECE C’E’ STATO un massiccio sfruttamento di capitale sociale (intellettuale e relazionale) accessibile a costo zero nei sistemi locali Il capitale sociale non basta più: e allora? per globalizzare per smaterializzare servono investimenti, ma: PER FARE GLI INVESTIMENTI, DEVONO ESSERE CONVENIENTI PER FARLI RENDERE, BISOGNA ALLARGARE IL BACINO DI USO DELLE CONOSCENZE: COME? I DISTRETTI NON MUOIONO MA STANNO CAMBIANDO (per fortuna) Rimedio n. 1 – Investire in risorse connettive Le reti tradizionali sono invecchiate. Per un distretto che tende a diventare comunità epistemica multilocalizzata servono reti diverse dal passato, per fornire nuove forme di: a) Comunicazione (linguaggi formali, ricerca diffusa, sistemi ICT) b) Logistica = strade ma non solo strade (trasporti globali, intermodalità, piccoli lotti, sistemi metropolitani) c) Garanzia (accreditamento mediante comunità professionali, reciproco riconoscimento, o assunzione di rischi condivisi) Rimedio n. 2: trasformare la filiera distrettuale in filiera globale modularizzando la produzione La filiera distrettuale è vincolata ai rapporti interpersonali diretti (locali) fino a che i rapporti tra i diversi specialisti della filiera restano informali Per allargare le reti di fornitura a monte e di commercializzazione a valle bisogna modularizzare i processi e i prodotti realizzati definendo delle interfaccia standard tra moduli che possono essere ricombinati anche a distanza Nel distretto restano i processi generativi di idee e di servizi complessi (la “testa”), che non possono essere codificati con interfacce standard o perché nuovi o perché personalizzati, adattivi rispetto alle esigenze particolari del cliente Rimedio n. 3: smaterializzare le funzioni svolte nelle filiere globali per sviluppare conoscenze originali e moltiplicarle occorrono forti investimenti nell’immateriale questi possono diventare convenienti solo le idee vengono sfruttate al massimo, cercando tutti i loro possibili usi, al di fuori dell’impresa e dell’uso di origine, ma anche del distretto o del settore di partenza BISOGNA LIBERARE LE IDEE DAI PRODOTTI E PROCESSI MATERIALI IN CUI SONO PRIGIONIERE E FARLE DIVENTARE DEI BUSINESS AUTONOMI MEDIANTE LA NASCITA DI IMPRESE SPECIALIZZATE DI SERVIZI, IL NETWORKING, LA BREVETTAZIONE O ALLEANZE STRATEGICHE CON ALTRI IL FUTURO DEI DISTRETTI: CRESCITA PER ESTENSIONE, SPECIALIZZAZIONE E IBRIDAZIONE accanto alla manifattura (che diventa industria intelligente) si sviluppa una consistente numero di imprese terziarie specializzate nella fornitura di conoscenze, relazioni e servizi ciascuna impresa organizza il suo business intorno a un’idea originale ed esclusiva, andando a cercare i propri clienti potenziali a 360°, e comincia ad interessarsi di mercati e in settori diversi da quelli già conosciuti Ciascuna impresa approfondisce la sua specializzazione, diventando una impresa di nicchia eccellente a scala mondiale. Di conseguenza cerca anche fornitori eccellenti a scala mondiale RIEPILOGANDO CHE COSA FARE PER INTERNAZIONALIZZARSI NELLA NUOVA ECONOMIA GLOBALE DELLA CONOSCENZA? Non basta esportare Non basta fare investimenti diretti ma bisogna estendere le filiere, usando specialisti locali o internazionali che forniscano in modo stabile e affidabile conoscenze, servizi, lavorazioni, componenti L’INTERNAZIONALIZZAZIONE A RETE L’estensione a scala internazionale delle filiere è una delle forme di internazionalizzazione cognitiva (propagazione globale delle conoscenze) non si legge dai dati statistici ufficiali che riguardano EXPORT + IDE (Investimenti diretti all’estero) ma esiste tutte le volte che consente la propagazione internazionale delle conoscenze (non solo per il traffico di perfezionamento passivo) consente anche ai piccoli di internazionalizzarsi senza andare direttamente all’estero, se restano legati ad una filiera che si internazionalizza PER INTERNAZIONALIZZARE LE FILIERE, PERO’, QUALCUNO DEVE INVESTIRE non solo investimenti diretti (produttivi e commerciali) ma anche investimenti in reti di fornitura e di commercializzazione che si appoggiano ad altre imprese (alleanze, imprese specializzate in approvvigionamento o in commercializzazione, imprese locali) eppoi marchi commerciali, brevetti e reti di franchising SERVONO INVESTIMENTI, MA CHI LI FARA’? I NODI DA SCIOGLIERE nuovi protagonisti cercasi disperatamente SERVONO SOGGETTI CHE CREDANO NELLE PROPRIE CAPACITA’, PRENDENDOSI I RISCHI E FACENDO GLI INVESTIMENTI NECESSARI PER SFRUTTARLE A SCALA INTERNAZIONALE ossia: c’è bisogno di nuovi PIONIERI IMPRESE LEADER IMPRESE COMMERCIALI E TERZIARIE ALLEANZE TRANS-NAZIONALI CON PARTNERS ESTERI RETI A PROGETTO CHE NASCONO DAL BASSO INIZIATIVE DELLE ASSOCIAZIONI E DELLE ISTITUZIONI LOCALI BANCHE E NUOVE FORME DI FINANZA Qualche idea su cosa stanno facendo le IMPRESE LEADER L’Osservatorio TeDIS imprese medie distrettuali nelle diverse aree italiane e nei diversi settori nei processi di internazionalizzazione nei processi di innovazione tecnologica I distretti presi in esame Lombardia Mobile- Brianza; Calze - Castelgoffredo; Tessile – Como; Meccanica - Lecco; Metalli – Lumezzane Piemonte Tessile/abbigliamento - Biella; Oreficeria - Valenza Po; Casalinghi - Cusio; Meccanica - Pianezza Pinerolo Toscana Tessile - Prato; Marmo - Carrara; Concia - S. Croce sull’Arno Marche Mobile – Pesaro; Calzatura - Fermo; Agro-alimentare San Benedetto Lazio Ceramica -Civita Castellana Veneto Vetro – Murano; Calzature - Brenta; Sportsystem – Montebelluna; Concia - Arzignano; Occhiali – Belluno; Mobile - Q. del Piave; Tessile - Schio, Thiene, Valdagno; Meccanica - Schio, Thiene- Montecchio Friuli VG Sedie – Manzano; Mobile - Livenza; Prosciutto - San Daniele Emilia Romagna Ceramica – Sassuolo; Tessile - Carpi Macchine agricole - Reggio Emilia; Oleodinamica; Meccanica alimentare Abruzzo Abbigliamento Nord Abruzzese; Abbigliamento Sud Abruzzese Puglia Imbottito Murge; Calzatura - Salento; Abbigliamento – Salento; Calzatura Barletta Campania Calzatura e Abbigliamento – Napoli; Concia –Solofra; Pasta - Gragnano; Conserve - Nocera L’EMERGERE DI UN NUOVO MODELLO DI IMPRESA Alta Impresa aperta a monte 10,7% Impresa a rete aperta 11,4% Proiezione internazionale produzione Impresa locale tradizionale 51,1% Bassa Impresa con apertura commerciale 26,7% Alto Basso Presidio dei mercati finali Si può fare di più? (1) Le nostre reti attuali sono soprattutto reti interpersonali. Per estenderle bisogna: Far muovere le persone (i nostri che vanno all’estero, gli esteri che vengono qui), ricollocando i luoghi nello spazio dei flussi Rendere affidabili le relazioni (regole, comportamenti, comunicazioni ecc.) anche per chi non ha una diretta esperienza del contesto italiano Fare un investimento di avanguardia nell’uso delle ICT allacciando maggiori rapporti con le multinazionali grazie a ICT e produzione modulare Rendere sapienti e creativi i territori investendo sulla loro identità, sulla qualità del contesto e sulla loro riconoscibilità Si può fare di più? (2) Per investire notevolmente di più in capitale intellettuale e relazionale. Per fare gli investimenti richiesti dalla nuova internazionalizzazione bisogna: Cambiare le forme societarie e imprenditoriali, portando dentro l’impresa nuovi soci ossia nuovo capitale di rischio (possono essere managers, fornitori, clienti, concorrenti, dipendenti che si mettono in proprio, banche locali o con attenzione al locale, o altre forme per le imprese più grandi) cambiare i rapporti tra impresa e famiglia: non va più bene la situazione “Impresa povera, famiglia ricca, non va più bene la confusione tra relazioni familiari e manageriali cominciare a credere nelle alleanze, locali ma anche con reti multinazionali