OGGETTI E SOGGETTI

Direttore
Bartolo A
Università degli Studi di Bari
Comitato scientifico
Ferdinando P
Università degli Studi di Bari
Mario S
Università degli Studi di Bari
Bruno B
Università degli Studi di Bari
Maddalena Alessandra S
Università degli Studi di Bari
Ida P
Università degli Studi di Bari
Rudolf B
Ruhr Universität–Bochum
Stefania B
University of Wisconsin–Madison
OGGETTI E SOGGETTI
L’oggetto e il soggetto sono i due poli che strutturano la relazione
critica secondo Starobinski. Il critico individua l’oggetto da interpretare e in qualche modo lo costruisce, ma lo rispetta nella sua storicità
e non può farne un pretesto per creare un altro discorso in cui la
voce dell’interprete copre la voce dell’opera. Ma d’altro canto egli
non si limita a parafrasare l’opera né ad identificarsi con essa, ma
tiene l’oggetto alla distanza giusta perché la lettura critica produca
una conoscenza nuova. In questa collana si pubblicheranno contributi articolati sulla distinzione e sulla relazione tra gli « oggetti » e i
« soggetti », ossia fra il testo dell’opera o delle opere e la soggettività
degli studiosi.
Volume pubblicato in collaborazione con
Associazione Astigiani
Inner Wheel – Club di Asti C.A.R.F.
Lions Club Asti Host
Lions Club Villanova d’Asti
L’editore e l’autore restano a disposizione di quanti vantassero diritti
nei confronti del materiale qui riprodotto.
Carla Forno
Le amate stanze
Viaggio nelle case d’autore
Copyright © MMXV
Aracne editrice int.le S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Quarto Negroni, 
 Ariccia (RM)
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: novembre 
A Emilia, mia madre
Ringraziamenti
L’autrice ringrazia per la fiducia accordata, la casa editrice Aracne di Roma, in
particolare nelle persone del direttore editoriale dott. Claudio Gotti e del direttore
della collana “Oggetti e soggetti”, prof. Bartolo Anglani.
Per il sostegno alla pubblicazione: l’Associazione “Astigiani”, nelle persone dei
due presidenti succedutisi, Giorgio Conte e Luciano Nattino, e dei due vicepresidenti, Mimma Bogetti e Renzo Caracciolo, con i relativi Consigli Direttivi, oltre
al direttore responsabile dell’omonima rivista, Sergio Miravalle; il Lions Club Asti
Host, in particolare nelle persone dei due presidenti succedutisi, Massimo Massobrio
e Claudio Lucia, con i relativi Consigli; il Lions Club di Villanova d’Asti, in particolare
nelle persone dei due presidenti succedutisi, Isabella Ferraro e Giuseppe Bottino;
l’Inner Wheel International di Asti, in particolare nella persona della presidente,
Patrizia Gentile.
Per la concessione delle immagini a illustrazione del volume, i prestatori pubblici
e privati: la Famiglia San Martino di San Germano, San Martino Alfieri (Asti); la
Ditta Santori s.a.s di Lucca; Casa Manzoni a Milano, in particolare nella persona
del presidente prof. Angelo Stella e della dott.ssa Jone Riva; il Musée de Beaux–Arts
d’Angers; Wannenes, nella persona del dott. Luca Violo (Media & Comunicazione);
la Famiglia Boscu Bianchi Bandinelli, Castelnuovo Berardenga (Siena); il Comune di
Wettolsheim, nella persona del sindaco Lucien Muller; i fotografi astigiani Antonello
Catalano e Giulio Morra.
Per la concessione di immagini e testi che, pur non inclusi fra le illustrazioni
del volume, vi sono ampiamente citati ed entreranno a far parte dell’allestimento
didattico del Museo Alfieriano: la Fondazione Blu di Pisa per la riproduzione del
ritratto del Desmarais La famiglia Roncioni, con i relativi disegni preparatori; il conte
Agostino Agostini di Pisa, per il ms. del copione del Saul di Alfieri, recitato nel
teatrino privato di Casa Roncioni dallo stesso Poeta, e per i Capitoli dell’Accademia
Roncioni, custoditi dall’Archivio privato della Sua Famiglia.
Per la loro disponibilità, per suggerimenti e utili indicazioni: il prof. Roberto
Dapavo, per la competenza da francesista; il dott. Franco Gervasio, per le indicazioni
relative alla casa di Goldoni a Parigi; il prof. Alessandro Panajia, per la riproduzione
delle carte dell’Archivio Agostini di Pisa e il fotografo Carlo Baldacci; il dott. Roberto
Ubbidiente della Humboldt Universität di Berlino, per le indicazioni nell’ambito del
collezionismo.
Per le consultazioni d’archivio: presso l’Archivio di Stato di Asti, il direttore dott.
Renzo Remotti e la dott.ssa Anna Maria Sgambato; presso l’Archivio Storico del
Comune di Asti, la dott. Barbara Molina.
Per le ricerche relative alla storia più recente della Palazzina Gianfigliazzi a
Firenze, la Direzione Patrimonio del Comune di Firenze; il dott. Bernardo Gondi,
presidente della sezione Toscana dell’Associazione Dimore Storiche Italiane; il dott.
Claudio Paolini, responsabile del Progetto “Repertorio delle Architetture Civili di
Firenze”, promosso dall’Associazione Palazzo Spinelli; la prof. ssa Brenda Preyer.
Per l’ospitalità: il Polo Universitario di Asti — Asti Studi Superiori — in particolare nelle persone del presidente dott. Michele Maggiora e del direttore dott.
Francesco Scalfari. Qui ha avuto temporaneamente sede dal , in attesa del
rientro a Palazzo Alfieri, la Fondazione Centro di Studi Alfieriani. Qui, oltre che nei
locali della Casa di Alfieri e presso la Pinacoteca di Palazzo Mazzetti, sono ambientati
i dialoghi del libro.
Per la costante disponibilità in ogni evenienza, Roberto Bona, Tiziana e Antonello della Tipografia Astese, ad Asti.
E inoltre i docenti e i colleghi, per lo più citati nelle pagine del libro, e gli amici
più cari presenti nella quotidianità della mia vita. I giovani — laureati, dottorandi o
dottori di ricerca — che si sono succeduti nei primi nove anni della Scuola di Alta
Formazione “Cattedra Vittorio Alfieri” (–). Anche a loro, che rappresentano
il futuro, questo lavoro è dedicato.
Un ringraziamento particolare va a Tomomi Onishi, già allieva del prof. Yasuhiro Saito all’Università di Kyoto, per avermi concesso di ispirare liberamente a lei il
personaggio letterario di Tomomi, la studentessa giapponese del libro.
Ho voluto che, in un punto del testo, comparisse mia madre, che ha condiviso
tante delle esperienze ripercorse in queste pagine, come se questo potesse trattenerla,
in un momento di profondità e leggerezza, nell’acutezza del suo pensiero e nella sua
simpatia, anche nella memoria di chi leggerà.
Carla Forno
Novembre 
Indice

Introduzione

La «casa paterna» e il paradigma della malinconia. Palazzo
Alfieri ad Asti

Il Poeta “allo specchio”. Alfieri e la «magnifica casa» di piazza
San Carlo a Torino

Il mistero di una foglia e la sintesi enciclopedica del sapere. Le
case di Goethe da Francoforte a Weimar

Schiller, dalla casa di Marbach al «giardino dei lillà»

Richard Wagner a Villa Wahnfried

Fra virtuosismo e visionarietà. Le case del mito di Franz Liszt

Dal cespuglio di uva spina alla finestra sul porto. Le case di
Hans Christian Andersen

Attraverso la «foresta delle ombre». Dalla casetta di Hänsel e
Grethel allo studio berlinese dei fratelli Grimm

Intorno al kimono di Cio–cio–san, fra Van Gogh e Puccini. Case
per dipingere, case per comporre

«Stanco tornavo, come da un viaggio». Le case di Giovanni
Pascoli da San Mauro a Castelvecchio, nodo indissolubile di
affetti

Una casa lontano dai clamori. Giuseppe Verdi dalle anse dell’Ongina all’“Albergo di Milano”

Indice


Facciam conto d’essere sul mio canapè dinanzi al fuoco. . . ».
Alessandro Manzoni fra via Morone e Brusuglio

Vittorio Alfieri a Roma, fra piazza di Spagna e Palazzo Strozzi.
Il conte Rifiela per le «amene spiagge di Posillipo e Baja»

Io «ho casa capacissima e senza complimenti le offro di venir da
me». Alfieri e Palazzo Prini a Pisa

«Siena mi è vita». I soggiorni senesi di Alfieri

Il “White Lion Hotel” di Upton e altre locande per Alfieri. La
villa di Wettolscheim per Richard Smith

«Vittorio prendeva al camino della contessa il suo cioccolatte, e
Ippolito un’omelette soufflée». Alfieri a Parigi

Una «casa graziosissima benché piccola» per il «balocco» del
recitare. Alfieri e la Palazzina sul Lungarno a Firenze

Una casa «poetica», in cui morire «da vero letterato»

Conclusione

Bibliografia

Indice dei nomi
Introduzione
Il «viaggio», che il libro propone, si svolge nell’arco di circa tre settimane, durante le quali la protagonista — che rispecchia l’autrice
— incontra quotidianamente una studentessa di Kyoto, laureata su
un classico della nostra letteratura, Vittorio Alfieri. Durante il suo
soggiorno di studio ad Asti, attraverso i successivi incontri, dal primo
a Palazzo Alfieri, cantiere di un museo in attesa di riapertura, a quelli
in altri luoghi di cultura della città, dal Polo Universitario alla Pinacoteca, si delinea un itinerario di ricerca, attraverso il quale si evocano
le Case di autori diversi, luoghi reali, che assumono tuttavia il valore
di luoghi interiori, testimoni delle vite di poeti e musicisti: da Alfieri
a Goethe e Schiller, da Wagner a Liszt, da Andersen ai fratelli Grimm,
da Puccini a Pascoli, da Verdi a Manzoni, ma anche Goldoni, Mozart,
Beethoven e altri, per approdare nuovamente ad Alfieri, con la sua
vicenda esistenziale paradigmatica. L’ultimo incontro, prima della
partenza della giovane giapponese, riporta, infatti, a Casa Alfieri e
alla sua promessa riapertura.
Ciò che questi dialoghi suggeriscono, la vertigine del tempo perduto, trova una ragione in più di essere nello “sguardo da lontano”,
in prospettiva, con il quale la giovane osserva e interpreta la cultura
europea, in un continuo confronto con la propria esperienza e un
intenso piacere della scoperta e della divagazione.
Le «amate stanze» sono pertanto quelle varcate durante i colloqui
immaginari che si snodano nel libro: luoghi di spazio e di tempo;
rappresentazioni di infanzia e vecchiaia, di vita e di morte; testimoni
di solitudine o mondanità. Interni da contrapporre a esterni di città
o campagna. Interni protettivi, nei quali difendersi dalla Storia, o
affollati di incubi e ossessioni. Di volta in volta, la casa si identifica
con la biblioteca, il salotto, il giardino, il teatro, la tomba. Con il
raccoglimento della scrittura o con il rito della «civil conversazione»;
luogo privato, votato all’intimità, o meta sfuggente dell’inesausta
ricerca di sé da parte di autori diversi.
È proprio attraverso lo “sguardo da lontano” della giovane che
si delinea un orizzonte più ampio, un’idea diversa di Europa della


Introduzione
cultura. I “ponti” lanciati per cogliere la profondità del tempo, conducono infatti, attraverso il passato, al presente e al futuro, nel tentativo
di cancellare i confini, proprio perché la letteratura, l’arte, la musica
non hanno confini.
La «casa paterna»
e il paradigma della malinconia
Palazzo Alfieri ad Asti
Palazzo Alfieri ad Asti, cantiere notturno (foto Carla Forno).


Le amate stanze
Abbiamo accostato il cancello alle nostre spalle, inoltrandoci nello
spazio deserto: non potevo non accompagnarvi la mia ospite, che
viene da lontano. Una tesi e un dottorato su Alfieri, all’Università
di Kyoto, non sono scontati. Mi ha affascinato la sua ricerca di intermittenze fra sensibilità diverse, sul crinale fra vita e morte, amore
e solitudine: «Temi eterni», mi dice con sorprendente padronanza
della lingua, «La letteratura, l’arte annullano i confini del tempo e
dello spazio».
Alla luce morbida di questo pomeriggio d’autunno, il cortile si
apre con sobria eleganza, uno spazio scenografico che richiama alla
memoria altre epoche, spettacoli all’aperto, grandi interpreti del
teatro italiano del Novecento. La città, a un passo da noi, tace, e
sappiamo di non avere fretta. Con Tomomi abbiamo già parlato a
lungo di letteratura e di teatro, ma so che potremo compiere insieme,
oggi e nei giorni che verranno, un viaggio insolito e appassionante,
attraverso Case che raccontano universi privati, ci restituiscono, a
saperli attraversare con capacità di ascolto, l’emozione di gesti e passi
di una quotidianità perduta.
«Il primo riferimento di Alfieri ad Asti compare in apertura della
prima epoca della Vita, là dove si legge: “Nella città d’Asti in Piemonte, il dì  di gennaio dell’anno , io nacqui di nobili, agiati
ed onesti parenti”». C’è un certo orgoglio nella voce di Tomomi,
mentre si impegna a ricordare a perfezione il testo, letto con passione
per la preparazione della sua tesi.
Ricordo il primo incontro, anni fa, con questa studentessa poco
più che ventenne, con il volto da bambina: mi salutò con un lieve
inchino, al quale io risposi con un sorriso, un cenno del capo, tendendole la mano: «Benvenuta». Anche allora era autunno. Mi colpirono
la sua timida emozione, la sua controllata garbatezza, la sua attenzione. Imparai a conoscere, in seguito, la sua determinazione e forza
di volontà, la sua visione matura della vita, nonostante la giovane
età. Sono passati quasi dieci anni da quei primi pomeriggi insieme
in biblioteca e Tomomi è rimasta fedele al suo progetto di studio.
Ritrovarla è stata una gioia.
«Alfieri indica il , con evidente errore nella data, essendo egli
nato, in realtà, il  gennaio», puntualizzo. «Visse in questo Palazzo
fino all’età di cinque anni e mezzo, perché nel  seguì la madre —
Monica Maillard di Tournon, di origini savoiarde, risposatasi in terze
nozze con il cavaliere Giacinto Alfieri di Magliano, cadetto di un altro
ramo della casata, uomo “di bellissimo aspetto, di signorili ed illibati
La «casa paterna» e il paradigma della malinconia

costumi”, secondo il ritratto della Vita, — nella nuova dimora, “la
casa del patrigno”, non lontano da qui, all’estremità ovest di quella
che oggi è piazza Cagni».
Spiego a Tomomi che il Gabiani, il primo studioso ad attribuire
gli interventi settecenteschi sull’edificio a Benedetto Alfieri, come
rifacimenti su antiche strutture in parte medioevali, nel  documentava la proprietà del Palazzo agli Alfieri dalla metà del Seicento.
In effetti, era possibile individuare, nelle fondazioni e nello spessore
delle mura, la struttura della torre, a destra dell’ingresso principale,
incorporata nel successivo intervento.
«A conclusione dei lavori, la torre tornerà ad essere percepita
nella sua profondità, a richiamare le fughe verticali delle architetture
medioevali della città. Carte conservate presso il nostro Archivio
collocano la data dell’ammodernamento, realizzato dal cugino Benedetto, al . Le opere fatte eseguire dal padre del Poeta, il conte
Antonio Amedeo Bianco di Cortemilia, morto quando il piccolo
Vittorio aveva circa un anno, riguardavano la scuderia e “qualche
stanza per la cucina e altro”».
I cinquantun locali del Palazzo costituivano due appartamenti al
piano nobile e due al piano terreno. Nei sotterranei vi erano la cucina
più quattro cantine, la più grande delle quali era quella «riguardante
verso la contrada maestra detta del vino bianco». Spiego a Tomomi
come l’Archivio del Centro Alfieriano possieda una pianta di fine
Settecento dell’appartamento principale al piano nobile, datata 
luglio .
La mia minuta ospite, che ha coltivato con meticolosa cura, sui
libri, lo studio della nostra storia e della nostra letteratura, ascolta
in silenzio, poi mi chiede se possiamo salire e accedere ai locali
del piano superiore. In realtà, i lavori non sono terminati e dovremo
attendere la chiusura del cantiere per riallestire il museo, con le stanze
dell’appartamento e la sezione sul Poeta, la biblioteca e l’archivio.
Tuttavia, acconsento. Prima, però, ci dirigiamo verso il giardino.
«Dopo la schedatura, condotta in accordo con la Soprintendenza,
tutti gli arredi furono messi in sicurezza nei laboratori di restauro.
In alcuni casi, il tempo aveva tradito il loro aspetto originario, con
scelte a dir poco discutibili, e si è trattato di rifarsi con rigore a criteri
filologici, recuperando ogni pezzo, quanto più possibile, alla sua
origine: così, per i ricami bandera del divano del salotto, risalente a
modelli francesi di fine Settecento e lombardi di inizio Ottocento;
così, per il letto, in stile Luigi , con il baldacchino in seta avorio o

Le amate stanze
cremisi, sostituito, in un momento successivo, con uno azzurro, per
decenni nella memoria dei visitatori».
«Immagino l’emozione, quando verrà riaperta la Casa: Alfieri
vi trascorse pochi anni, alternando dimore diverse per periodi più
o meno lunghi, trasferendosi da un luogo all’altro, non solo in Italia, eppure solo questo Palazzo gli appartenne. Solo questa è Casa
Alfieri».
Tomomi ha ragione. Mentre troviamo, nelle diverse epoche dell’autobiografia, riferimenti alle città in cui Alfieri soggiornò o visse,
gli accenni alla città in cui nacque rimandano unicamente ai ricordi
dell’infanzia, a sottolineare il significato profondo di una dimensione,
quella dell’infanzia appunto, così importante, per la scoperta, in sé,
dei «primi sintomi di un carattere appassionato».
«Sulla stessa lunghezza d’onda, anche Leopardi, in una lettera
al Giordani del dicembre , affermava che “non vivono fino alla
morte se non quei molti che restano fanciulli per tutta la vita”, ma
fu in una pagina dello Zibaldone del  gennaio , che Leopardi, in
consonanza con Alfieri, riprese il nesso memoria–infanzia, cogliendo
nella “massima parte delle immagini e sensazioni indefinite che
noi proviamo pure dopo la fanciullezza e nel resto della vita” una
“rimembranza della fanciullezza” stessa».
Alcuni ricordi vividi sono ambientati in questa dimora, la «casa
paterna», secondo la definizione del Poeta, implicitamente contrapposta alla «casa del patrigno». Tomomi si ferma, estrae la sua edizione
della Vita con annotazioni e sottolineature, sfoglia e legge: «essendo
io ancora in Asti nella casa paterna, prima che mia madre passasse
alle terze nozze, passò di quella città la duchessa di Parma, francese
di nascita, la quale o andava o veniva di Parigi».
Questa è la «casa paterna». C’è una radice profonda, nel legame
con quel padre non conosciuto, che venne a significare una remota
perdita. . .
«Non si può trascurare il precedente di Rousseau», mi viene
istintivo aggiungere. «Per primo, nelle Confessions, aveva riservato
all’infanzia un ampio spazio di attenzione, ma è Alfieri bambino,
come compare in un dipinto attribuito al Duprà di collezione privata,
con un abitino rosso, accanto alla madre vestita di chiaro, con un
abito dalla profonda scollatura bordato di pelliccia, il braccio destro a
cingere il fianco del figlio e la mano sinistra a reggere un mazzetto di
fiori di campo, un ampio manto azzurro su una poltrona dallo schienale intagliato, quello che andava sperimentando i primi sintomi del
La «casa paterna» e il paradigma della malinconia

proprio carattere appassionato e malinconico, anzi, melanconico. . . ».
È la malinconia, infatti, ad aver suscitato vivo interesse nella critica, in anticipo sul saggio di Freud del , base delle teorie psicanalitiche novecentesche, che la interpretarono come reazione alla
perdita di un oggetto amato.
«Sarà la malinconia l’indivisibile compagna», proseguo, «dalla Vita
alle lettere, a quell’autobiografia in versi delle rime: “la pigrizia, e
malinconia mi consuman l’ore” avrebbe scritto alla sorella Giulia,
nell’agosto del , nello stesso arco di tempo in cui avrebbe composto il sonetto Mesto son sempre, ed il pianto, e la noja, del  agosto
dello stesso anno. Fu tuttavia un sonetto tardo, datato “Dì  Maggio
. Sotto Fiesole, vagando”, a darci la misura di questa proiezione
interiore, che la lirica personifica in una presenza continua e quasi amata, alla quale il Poeta si rivolge: “Malinconia dolcissima, che
ognora / Fida vieni e invisibile al mio fianco, / Tu sei pur quella
che viepiù ristora / (Benchè il sembri offuscar) l’ingegno stanco”.
Senza paradosso, al traguardo della vita, lontane ormai le accensioni
passionali della giovinezza, la malinconia sarà definita “dolcissima”,
“fida”, “invisibile”, “ristoratrice”».
Ho con me il volume delle Rime.
«La descrizione che Alfieri offre di sé bambino», proseguo, «“taciturno e placido per lo più; ma alle volte loquacissimo e vivacissimo”,
è molto simile a quella di René, autoritratto dell’autore bambino in
René di Chateaubriand, un autore presente al giovane Alfieri. Tuttavia,
è la consapevolezza del proprio “umor malinconico”, a fronte di ogni
provocazione affettiva — il primo innamoramento, l’ascolto della
musica, il primo viaggio — ad aver indotto i critici a cogliere, nelle
sensazioni del bambino, le avvisaglie della malinconia dell’uomo di
genio, estensione del concetto aristotelico della natura saturnina del
poeta. Forse è davvero in un irrisolto trauma narcisistico infantile la
ragione di quell’istinto di morte, che, nelle prime pagine della Vita,
sfocerà nel tentativo di suicidio con l’ingestione della presunta cicuta,
in un episodio letterariamente riscattato da Alfieri con il precedente
classico di Socrate, tacendo di un’altra credibile fonte, identificata
dalla Terzoli nella novella della salvia avvelenata, la settima della quarta giornata del Decameron, nella quale la protagonista manifestava
un’improvvisa volontà di morire e coglieva direttamente il veleno
dalla pianta».
Tomomi sta studiando questo tema e si appassiona: «La critica si è
soffermata sulla malinconia di Molière, ipocondriaco e malato imma-

Le amate stanze
ginario, in grado di influenzare Goldoni. E Leopardi, nello Zibaldone,
considerò Parini e Alfieri portatori di una concezione moderna della
malinconia, nella vostra tradizione poetica. Ci sono appunti risalenti
al , ’, ’, in cui Leopardi lodava Alfieri proprio per la malinconia, intesa come dolore permanente dell’animo. Anche la nostalgia
era stata codificata come varietà patologica della malinconia».
«Senza risalire alla teoria della bile nera di Galeno, che, nella medicina antica, concepiva la malinconia come effetto degli umori, o alla
opposta concezione platonica del genio e del furore poetico, fuse in
modo apparentemente paradossale da Aristotele, come non pensare
ai prestiti letterari colti da Alfieri da una tradizione che annoverava illustri malinconici, da Petrarca, poeta di una solitudine contemplativa,
a Tasso, afflitto da una sorta di malinconia patologica; da Machiavelli
a Leon Battista Alberti; da Ariosto a Erasmo da Rotterdam, sempre
sul filo di una rivalutazione degli aspetti creativi della malinconia,
sconfinante nella follia. . . ».
«Senza considerare Montaigne», interviene Tomomi, «uno degli autori più amati dal giovane Alfieri, per la sua lotta contro la
malinconia, in nome della saggezza. Ma c’è in Alfieri questa lotta?».
«Un’autentica moda era esplosa nelle corti europee durante il
secolo precedente, basti pensare alla Praga di Rodolfo , alle rappresentazioni allegoriche di cupa malinconia della sensibilità barocca, fra
estasi e macabre contemplazioni della morte. Già a fine Cinquecento,
Stefano Guazzo, nella Civil conversazione, affidava ai personaggi del
suo dialogo la ricerca di rimedi efficaci per guarire le corti da quella
che si stava affermando come un’autentica malattia. E come non
pensare alla serpeggiante malinconia dei sonetti di Shakespeare?».
«Forse non è un caso che Diderot», mi dice Tomomi, che ben conosce la letteratura francese, «autore della voce Mélancholie nell’Encyclopédie, per spiegare il malessere complesso e “generale” del soggetto malinconico, ricorresse, in una lettera a Sophie Rolland, all’espediente della testimonianza di un amico scozzese, certo Hoop,
convinto che si trattasse di una “malattia inglese”. Si può mettere in
relazione con l’anglofilia dominante e l’anglomania di Alfieri?».
«Certo, c’è un nesso: erano malinconici molti personaggi che il
Gulliver di Jonathan Swift incontrava nei suoi viaggi e la malinconia
è sottesa a tutte le vicende nel Tristam Shandy di Sterne. Rimanda
alla nuova moda della sensibilità sepolcrale l’Elegia in un cimitero di
campagna di Gray ed è presente in Pope, autore ben noto ad Alfieri,
che si cimentò nella sua traduzione. Ma come non ricordare l’intensi-
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