A06 100 Collaboratori Bassi Andrea - Berrettini Alfredo - Bertocchini Alessia Bertocchini Arianna - Calcaprina Roberto - Casaccia Germana Cei Matteo - Costanzo Sara - Di Giacomo Martina Giannotti Giulia - Ghionzoli Marco – Gozzini Sara – Marconi Michele Mucci Nicola – Pistolesi Filippo – Severi Elisa – Taddei Alessandra Tanda Giovanna – Togo Andrea – Vergnani Samantha Un ringraziamento particolare, per il contributo e l’impegno, a Matteo Cei, Martina Di Giacomo e Andrea Togo. Prof. Claudio Spinelli Direttore Cattedra di Chirurgia Pediatrica ed Infantile Scuola di Specializzazione in Chirurgia Pediatrica Università di Pisa PRINCIPI DI CHIRURGIA PEDIATRICA ED INFANTILE PRESENTAZIONE Prof. Mario Messina Università di Siena Prof. Antonio Messineo Università di Firenze Copyright © MMVIII ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133 a/b 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 978–88–548–2461–4 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: aprile 2009 Indice Presentazione ......................................................................... 11 Prefazione ............................................................................... 13 Capitolo 1 Diagnostica prenatale e counseling chirurgico .................. 15 Capitolo 2 Patologia Cervico–Toracica .................................................. 27 2.1 Cisti del dotto tireoglosso ................................................ 2.2 Cisti, sinus e fistole branchiali ........................................... 2.3 Linfoadeniti cervicali infettive ........................................... 2.4 Nodulo tiroideo: diagnosi differenziale ............................ 2.5 Carcinoma differenziato della tiroide ............................... 2.6 Carcinoma midollare della tiroide e MEN ........................ 2.7 Lipoblastoma e lipoblastomatosi ..................................... 27 31 37 48 50 53 60 Capitolo 3 Emangiomi e malformazioni vascolari ................................. 63 3.1 Emangiomi ........................................................................ 3.2 Malformazioni vascolari propriamente dette .................... 65 72 Capitolo 4 Malformazioni Intestino primitivo ....................................... 83 4.1 Malformazioni dell’abbozzo polmonare o diverticolo respiratorio .............................................................................. 83 5 6 Indice 4.1.1 Malformazione adenomatosa cistica congenita .... 4.1.2 Cisti broncogena ................................................... 4.1.3 Sequestrazione polmonare ................................... 4.1.4 Atresia esofagea ................................................... 4.2 Malformazioni dell’intestino anteriore propriamente detto .......................................................... 4.2.1 Atresia antro pilorica ............................................. 4.2.2 Atresia pilorica ...................................................... 4.2.3 Atresia delle vie biliari extraepatiche .................... 4.2.4 Dilatazione cistica del coledoco ........................... 4.2.5 Pancreas anulare ................................................... 4.2.6 Fibrosi Cistica (ileo da meconio) ........................... 4.2.7 Iperinsulinismo persistente nel neonato (nesidioblastosi) .................................................... 4.3 Atresia e stenosi duodenale ............................................. 4.4 Atresia digiunale e ileale .................................................. 4.5 Anomalie di rotazione e fissazione dell’intestino medio (malrotazioni intestinali) .................................................... 4.6 Duplicazioni dell’intestino medio ..................................... 4.7 Patologia del dotto onfalo–enterico ................................ 4.8 Atresia del colon ............................................................... 4.9 Malformazioni anorettali ................................................... 4.10 Megacolon agangliare congenito (Malattia di Hirschsprung) ............................................... 84 85 86 88 93 93 94 94 97 99 100 103 105 107 110 115 116 120 123 133 Capitolo 5 Malformazioni della cavità celomatica ................................ 141 5.1 Ernia inguinale .................................................................. 5.2 Idrocele ............................................................................. 5.3 Ernia crurale ...................................................................... 5.4 Ernia epigastrica ............................................................... 5.5 Ernia ombelicale ............................................................... 5.6 Difetti congeniti della parete addominale anteriore ........ 5.7 Ernia diaframmatica congenita ......................................... 141 144 145 146 147 147 152 Capitolo 6 Patologia dell’apparato digerente ...................................... 157 Indice 6.1 Enterocolite Necrotizzante ............................................... 6.2 Reflusso gastro–esofageo ................................................ 6.3 Stenosi ipertrofica del piloro ............................................ 6.4 Invaginazione intestinale .................................................. 6.5 Appendicite acuta ............................................................ 6.6 Emorragie digestive e poliposi in età pediatrica .............. 6.7 Patologia della milza di interesse chirurgico ..................... 6.8 Tumori epatici in età pediatrica ........................................ 7 157 159 162 165 167 170 173 176 Capitolo 7 Patologia uro–andrologica ................................................... 183 7.1 Varicocele ......................................................................... 7.2 Criptorchidismo ................................................................ 7.3 Scroto acuto ...................................................................... 7.4 Fimosi ............................................................................... 7.5 Ipospadia .......................................................................... 7.6 Masse surrenaliche in età pediatrica ................................ 7.7 Tumori neuroblastici ......................................................... 7.8 Nefroblastoma o tumore di Wilms ................................... 7.9 Tumori del testicolo .......................................................... 7.10 Tumori germinali del testicolo ........................................ 7.11 Tumori non germinali del testicolo ................................. 7.12 Displasia congenita del giunto pielo–ureterale .............. 7.13 Reflusso vescico–ureterale (RVU) .................................... 183 188 199 204 207 212 216 226 229 232 234 242 245 Capitolo 8 Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica ................... 249 8.1 Visita ginecologica in età pediatrica ................................. 8.2 Patologia malformative .................................................... 8.3 Patologia vulvo–perineale ................................................ 8.4 Lesioni ovariche in età pediatrica ..................................... 8.5 Disordini intersessuali ....................................................... 249 251 259 265 283 Capitolo 9 Ginecomastia ......................................................................... 291 Ai miei maestri che mi hanno insegnato ad amare la chirurgia ed ai miei allievi che ne rappresentano la continuità Presentazione È con immenso piacere che mi accingo a presentare il manuale “Principi di Chirurgia Pediatrica e Infantile” del Prof. Claudio Spinelli. Si sentiva la necessità di strutturare un libro che trattasse la Chirurgia Pediatrica in modo adeguato alle richieste didattiche, non solo degli studenti del Corso di Laurea Specialistica in Medicina e Chirurgia ma anche degli studenti del Corso di Laurea Infermieristica ed Ostetrica; nonché alle esigenze cliniche del Medico di Base e del Pediatra. Il libro è sintetico e completo. Lo stile è pulito. Ogni argomento è svolto fornendo le notizie più utili alla comprensione dei vari momenti patogenetici, diagnostici e terapeutici che permettono di acquisire informazioni sostanziali sull’intero campo della Chirurgia Pediatrica. Claudio Spinelli ha il merito indiscusso di aver redatto un testo di facile lettura e consultazione. Nel volume le illustrazioni sono ben scelte e le tabelle aumentano la chiarezza della presentazione. L’Autore, con una notevole capacità di sintesi, ha esposto la Sua e l’altrui esperienza confrontandola con i dati più aggiornati e qualificati della letteratura . Mi auguro che lo sforzo fatto dal Prof. Spinelli venga accolto con il favore che merita. Prof Mario Messina Ordinario di Chirurgia Pediatrica Università di Siena Direttore Scuola di Specializzazione in Chirurgia Pediatrica 11 Presentazione La Chirurgia Pediatrica è una specialità giovane: come realtà a sé stante, si è proposta negli anni Quaranta negli Stati Uniti e poi, dagli anni Cinquanta, in Gran Bretagna e nel resto d’Europa. Si tratta di una specialità in continua evoluzione per la quale sono stati pubblicati vari manuali in inglese, alcuni dei quali successivamente sono stati tradotti in italiano. Tali manuali rispecchiavano l’esperienza anglo-sassone per cui, talvolta, poco si adattavano alla realtà clinica italiana. Mi fa piacere, dunque, presentare il volume ”Principi di Chirurgia Pediatrica ed Infantile”, risultato di un notevole sforzo di sintesi del Prof. Claudio Spinelli e dei suoi collaboratori, anche perché è uno dei pochi manuali scritti direttamente in italiano. L’opera si compone di 9 capitoli in cui la Chirurgia Pediatrica è sviscerata in maniera puntuale e con termini semplici e precisi; tutti i capitoli sono accompagnati da una abbondante iconografia. Il testo si presenta come un importante ed utile strumento per gli studenti del corso di Laurea di Medicina e Chirurgia, così come del corso di Laurea Infermieristica Pediatrica e può inoltre rappresentare una prima base di conoscenza della Chirurgia Infantile per gli Specializzandi di Pediatria e di Chirurgia Pediatrica. Auguro al libro del Prof. Spinelli un notevole successo editoriale che lo ripaghi, almeno in parte, dell’importante sforzo eseguito. Prof Antonio Messineo Cattedra di Chirurgia Pediatrica Università degli Studi di Firenze Direttore Scuola di Specializzazione in Chirurgia Pediatrica 12 Prefazione Il presente manuale nasce con l’intento di contribuire alla diffusione delle conoscenze chirurgiche pediatriche ed infantili in ambito universitario. Esso vuole essere uno strumento didattico utile in particolare per gli studenti del Corso di Laurea Specialistica in Medicina e Chirurgia, ma anche per gli studenti del Corso di Laurea Infermieristica Pediatrica, del Corso di Laurea in Ostetricia e per quelli del Corso di Laurea Specialistica in Infermieristica. Non mancherà di destare interesse anche nell’ambito delle Scuole di Specializzazione riguardanti sia materie chirurgiche che pediatriche. Il volume deriva dall’esperienza assistenziale, didattica e di ricerca maturata presso la Cattedra di Chirurgia Pediatrica ed Infantile dell’Università di Pisa. Le precedenti pubblicazioni, quattro monografie, come autore e coautore, su specifici argomenti di chirurgica pediatrica, edite tutte dalla Piccin: “Endocrinopatie Pediatriche di Interesse Chirurgico”; “Criptorchidismo”; “Chirurgia Neonatale delle Malformazioni dell’Intestino Primitivo” e “Tumefazioni e Malformazioni del collo in età pediatrica “, hanno indubbiamente facilitato la compilazione di queste pagine. Non da meno è stato il contributo dei lavori scientifici pubblicati su riviste nazionali ed internazionali e delle numerose tesi di laurea svolte da studenti della nostra Facoltà di Medicina e Chirurgia su argomenti di Chirurgia Pediatrica ed Infantile, di cui sono stato relatore. Nel libro, suddiviso in nove capitoli, vengono affrontate da un punto di vista clinico, diagnostico e terapeutico le maggiori affezioni di interesse chirurgico del bambino e dell’adolescente, con particolare riferimento alle malformazioni, alla patologia cervi13 14 Prefazione co–toracica, endocrina, dell’apparato digerente, uro–andrologica e ginecologica. L’iconografia arricchisce il volume, rendendo più agile e stimolante la sua lettura, oltre che facilitarne l’orientamento clinico–terapeutico. Prof. Claudio Spinelli Capitolo 1 DALLA DIAGNOSI PRENATALE... ALLA DIMISSIONE: COUNSELING CHIRURGICO DELLE MALFORMAZIONI CONGENITE • Che cos’è il Counseling prenatale? Per counseling si intende la consulenza prenatale da parte del chirurgo pediatrico in collaborazione con gli altri specialisti coinvolti (ostetrico–ecografista, neonatologo, psicologo ed eventuale genetista) finalizzata ad informare la coppia sul tipo di malformazione diagnosticata “in utero” e sulle sue possibilità di correzione chirurgica con relative percentuali di sopravvivenza e qualità della vita. • Dalla diagnosi prenatale... alla dimissione: quali fasi sono previste? Il primo step è la diagnosi prenatale. Successivamente è di primaria importanza discutere e pianificare il management ostetrico della gestante (esami ed accertamenti da eseguire per approfondire il sospetto ecografico e per escludere anomalie associate; definire l’espletamento del parto tramite la modalità (eutocico o cesareo programmato) e la sede più idonea. Va inoltre definito il timing chirurgico del feto/neonato (chirurgia fetale, intervento chirurgico in urgenza alla nascita o intervento chirurgico in elezione post–natale). Fondamentale è valutare la prognosi di questi bambini, documentare eventuali probabili handicap permanenti per chiarire ai futuri genitori qualsiasi dubbio sulla qualità di vita del futuro figlio. • Quando è consentita l’interruzione volontaria di gravidanza in Italia (legge 194)? L’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) è consentita dalla legge entro il 4° mese di gestazione, mentre nei casi dove sussiste un quadro patologico estremamente grave da rendere in pericolo di 15 16 Capitolo 1 vita la madre o a rischio di sopravvivenza il nascituro è consentita entro la 24a settimana di gestazione (6°mese). La decisione spetta alla madre anche se abitualmente viene espressa insieme dalla coppia. • Come vengono identificate in epoca prenatale le malformazioni congenite? In genere l’identificazione delle anomalie viscero–parenchimali del prodotto del concepimento viene eseguita con metodica non invasiva (ecotomografia, anche in senso tridimensionale; risonanza magnetica); mentre la metodica invasiva (amniocentesi, prelievo dei villi coriali, funicolocentesi transaddominale ecoguidata) viene riservato allo studio della anomalie cromosomiche. • Qual è il percorso che deve essere pianificato per la gestante alla diagnosi prenatale di sospetta malformazione congenita? In breve, il percorso dal sospetto di diagnosi prenatale di malformazione congenita viscero–parenchimale alla sala parto prevede che i casi sospetti di malformazioni congenite fetali, diagnosi posta dal ginecologo curante, arrivino all’attenzione dell’equipe multidisciplinare ospedaliera–universitaria delle strutture di centri di alto livello che si occuperà di confermare la diagnosi, di effettuare la consulenza prenatale, della informazione rivolta alla coppia e di definire il programma peri e neonatale del nascituro. • Quanto sono frequenti i difetti congeniti? Nella specie umana la frequenza dei difetti congeniti è di circa il 2–3% dei nati vivi, anche se la percentuale delle malformazioni digestive, toraciche, urologiche di cui si occupa il chirurgo pediatrico è leggermente inferiore. • Quali sono le anomalie e le malformazioni congenite che possono essere diagnosticate in utero? Addominali: – Apparato Digerente: a) Occlusione intestinale: atresia duodenale, ileale, colica, anale (rara la diagnosi prenatale delle forme di atresia più distali); Diagnostica prenatale e counseling chirurgico 17 b) Ileo da meconio e peritonite meconiale; c) Difetti della parete addominale: onfalocele, gastroschisi; d) Lesioni cistiche endoaddominali: cisti del coledoco, duplicazioni enteriche cistiche, cisti mesenteriche e omentali, (cisti spleniche), (cisti del cordone ombelicale); e) Atresia vie biliari (molto rara la diagnosi prenatale); – Apparato Genitale: a) Cisti ovariche b) Genitali ambigui – Apparato Urinario: a) Displasia congenita del giunto pielo–ureterale e megaretere ostruttivo primitivo b) Reflusso vescico–ureterale c) Ureterocele d) Duplicità pielo–ureterale e) Valvole dell’uretra posteriore f) Displasie cistiche del rene: rene policistico (infantile e adulto) e rene multicistico g) Estrofia vescicale h) Prune Belly Sindrome i) Agenesia renale monolaterale o bilaterale Toraciche: a) Ernia diaframmatica b) Atresia esofagea c) Malformazioni cistiche polmonari: malattia adenomatoide cistica del polmone, cisti broncogena, sequestrazione polmonare, enfisema lobare d) Versamenti pleurici: chilotorace, idrotorace Altre: a) b) c) d) e) f) g) Idrope Labio–palatoschisi Teratoma sacro–coccigeo Igroma cistico Altri tumori del collo Idrocefalia o ventricolomegalia Spina bifida, mielomeningocele, meningocele 18 Capitolo 1 • Quali sono le tempistiche della diagnostica ecografica prenatale? Il 1982 risulta essere un anno importante per l’introduzione dell’ecografia prenatale tra i presidi di base per lo studio dello sviluppo fetale durante l’età gestazionale. Nella gravidanza fisiologica vengono eseguiti tre esami ecografici: nel primo trimestre (a 10–12 settimane), nel secondo (a 20–22 settimane) e nel terzo trimestre (a 30–34 settimane). • Quali sono le finalità dell’ecografia del primo trimestre? Le finalità dell’ecografia del primo trimestre sono: la dimostrazione dell’impianto in sede normale della camera gestazionale, la presenza e la vitalità dell’embrione, la datazione della gravidanza. (Fig. 1) • Quali sono le finalità dell’ecografia del secondo trimestre? Le finalità dell’ecografia del secondo trimestre sono la valutazione dell’eco–anatomia fetale per lo screening delle malformazioni e lo studio della biometria fetale. (Fig. 2) • Quali sono le finalità dell’ecografia del terzo trimestre? Le finalità dell’ecografia del terzo trimestre sono l’individuazione dei ritardi di crescita, l’individuazione delle malformazioni non rilevabili nel secondo trimestre, la localizzazione della placenta, la valutazione del liquido amniotico. (Fig. 3) Figura 1 – La camera gravidica in utero. Diagnostica prenatale e counseling chirurgico 19 • Perché è importante il liquido amniotico? Durante le prime settimane di gravidanza, prima che la cute del neonato cheratinizzi il liquido amniotico rappresenta l’estensione dello spazio extracellulare fetale. Il liquido amniotico nelle prime settimane di gravidanza viene prodotto prevalentemente per filtrazione attraverso la placenta e la membrana amniocoriale. Successivamente a partire dalla 13a –16a settimana inizia ad essere significativa la diuresi fetale. Pertanto a partire da quel momento il liquido amniotico è costituito essenzialmente dall’urina fetale. Oltre all’urina in minor misura la produzione è fornita da polmoni, secrezioni gastrointestinali, lacrime e ghiandole sudoripare. Il liquido amniotico non deve essere considerato come un compar- Figura 2 – Il profilo II° trimestre. Figura 3 – Il profilo III° trimestre. 20 Capitolo 1 timento stabile, anzi, è in continuo ricambio: il feto lo deglutisce, e questo è molto importante perchè esso aiuta lo sviluppo dei polmoni, del tratto gastroenterico e dell’apparato muscolo–scheletrico. Infatti la rimozione del liquido amniotico normalmente avviene attraverso la deglutizione, l’acqua ingerita dal feto viene assorbita dall’intestino, passa nel sangue e attraverso la placenta raggiunge in parte il sangue materno. Il liquido amniotico inoltre rappresenta una protezione per il feto da eventuali traumi e da infezioni per le sue proprietà antibatteriche. (Fig. 4) Il liquido amniotico può essere valutato attraverso diversi metodi: valutazione soggettiva, l’ecografista esperto vede “a occhio” quanto è il liquido amniotico. Se la valutazione è dubbia, procede alla misurazione dell’indice AFI. Per calcolare l’indice AFI si divide idealmente l’addome materno in quattro quadranti, che si incrociano a livello dell’ombelico, in ogni quadrante si misura la massima tasca verticale di liquido amniotico, e si fa la somma dei quattro quadranti oppure si misura solo la tasca massima tra i quattro quadranti. La tasca massima, quest’ultima misurazione, è utilizzata soprattutto nel caso della gravidanza gemellare, dove la misurazione dell’AFI complessivo non ci dice quanto liquido c’è in ciascun sacco. I valori di riferimento (normalità) sono: AFI: tra 50 e 250 mm (o 5–25cm). Se il liquido è tra 50 e 80 mm si parla di AFI ai limiti inferiori della norma, se il liquido è tra 220 e 250 si parla di liquido ai limiti superiori della norma. La tasca massima è regolare quando compresa tra 2 e 8 cm. (Fig. 5) Figura 4 – Il liquido amniotico nel III° trimestre. Diagnostica prenatale e counseling chirurgico 21 • Che cos’è l’oligoidramnios? Si parla di oligoidramnios quando l’indice AFI è inferiore a 50 mm o la tasca massima è inferiore a 2 cm. Oppure in modo più grossolano come definizione corrente si definisce oligoidramnios quando si ha l’impossibilità totale di vedere il liquido amniotico o il suo rilevamento è limitato a poche zone disperse. (Fig. 6) • Quali sono le cause di oligoidramnios? Le cause di oligoidramnios sono molteplici: mancata produzione di urina fetale da agenesia renale e displasie cistiche bilaterali che comportino deficit funzionali; malformazioni ostruttive del basso apparato urinario come valvole dell’uretra posteriore, agenesia dell’uretra, ureterocele ectopico che ostacolano il normale deflusso delle urine nella Figura 5 – Calcolo AFI del liquido amniotico. Figura 6 – Oligoidramnios. 22 Capitolo 1 cavità amniotica. Inoltre l’oligoidramnios può essere parafisiologico a termine di gravidanza, quando normalmente il liquido si può ridurre. • Perché è pericoloso l’oligoidramnios? Il liquido amniotico ai limiti inferiori della norma (50–80mm) si associa spesso alle condizioni di ritardo di crescita, o talora può essere dovuto a eccessivo stress materno con ridotta assunzione di liquidi. È importante sottolineare che basta poco liquido per un corretto sviluppo polmonare, ma se il liquido è del tutto assente nelle settimane critiche in cui si sviluppano i polmoni (16a–26 a settimane) si può verificare una condizione detta di “ipoplasia polmonare”, che comporta difficoltà respiratoria e può portare alla morte neonatale. • Che cos’è il polidramnios? È una condizione in cui l’indice AFI è superiore a 250mm, o la tasca massima è superiore a 8cm. Il volume del liquido amniotico supera 2000 ml. Secondo la definizione corrente si definisce polidramnios nel caso in cui si rilevi una quantità tale di liquido da rendere possibile il posizionamento di un secondo feto di dimensioni paragonabili a quelle del feto esistente. (Fig. 7) • Quali sono le cause di polidramnios? Le cause di polidramnios si distinguono in aumentata produzione urinaria, questo è il caso del diabete gestazionale, special- Figura 7 – Polidramnios. Diagnostica prenatale e counseling chirurgico 23 mente in caso di “macrosomia”, oppure in ridotta deglutizione, in alcune patologie del tratto gastrointestinale, quali le ostruzioni (ad es. atresia esofagea e atresia del duodeno, mentre le ostruzioni del basso tratto intestinale non provocano solitamente polidramnios). Molto raramente il polidramnios è legato all’anencefalia ed a patologie neuromuscolari, poiché entrambi comportano ridotta deglutizione. Anche alcune malattie infettive in gravidanza possono esserne causa pertanto può essere utile richiedere i comuni esami infettivi. Altra rara condizione che può determinare polidramnios è una gravidanza gemellare monocoriale, complicata da sindrome da trasfusione feto–fetale (15% dei casi). • Perché è pericoloso il polidramnios? Il polidramnios di per sé non è dannoso per il bambino, ma può comportare un maggior rischio di parto pretermine e di rottura prematura di membrane. • Quali sono le patologie non diagnosticabili con l’ecografia prenatale? È bene comunque sottolineare che non è possibile visualizzare con l’ecografia fetale alterazioni delle circonvoluzioni cerebrali, minimi difetti dei tessuti molli (es. angiomi cutanei), alcune malformazioni cardiache. Inoltre risulta difficile la diagnosi ecografica, se non in casi rari, di alcune anomalie intestinali (es. malformazioni ano–rettali) e di alterazioni minori delle mani, dei piedi e del viso, che saranno poco evidenti quando il feto non orienterà gli arti e la testa in maniera ottimale durante le valutazioni ultrasonografiche. • È possibile operare il feto con malformazione in utero? Il primo intervento chirurgico su un feto è stato eseguito all’inizio degli anni ottanta in California, San Francisco. In più di 150 casi eseguiti presso la suddetta Università non sono stati riscontrati casi di mortalità materna dopo l’approccio fetale e non sono noti effetti avversi sulla fertilità futura della madre. La maggiore complicanza è il parto pretermine (25a–35 a settimana) ed inoltre il parto deve avvenire tramite taglio cesareo a causa del rischio elevato di rottura dell’utero durante il parto per via vaginale per la recente ferita cicatriziale. 24 Capitolo 1 • Quali sono gli approcci chirurgici al feto? L’approccio al feto può avvenire tramite tre metodologie: 1) percutaneo eco–guidato 2) guidato da fetoscopia (FETENDO) 3) tramite isterostomia con visualizzazione diretta. • Quando è possibile utilizzare la chirurgia fetale? La chirurgia fetale è una promessa nella terapia per alcune malformazioni diagnosticate in epoca prenatale. Gli interventi fetali per le malformazioni con alto tasso di mortalità hanno mostrato un ottimo successo di sopravvivenza confrontati con bambini trattati in modo standard alla nascita. Fino ad alcuni anni fa solo le malformazioni fetali che erano a rischio di morte in utero o alla nascita erano selezionate per l’intervento fetale per il rischio materno. Il mielomeningocele è stata la prima non letale malformazione per la quale è stata applicata la chirurgia fetale. Grazie allo sviluppo delle tecniche con accessi mini–invasivi risultano attualmente in decremento la morbilità materna e pertanto i casi selezionati per la chirurgia fetale sono in netto aumento. Infatti tutte le future procedure dovrebbero essere eseguite attraverso approcci mini–invasivi. Attualmente iniziano ad essere una realtà terapie genetiche in utero per deficit metabolici ed ingegneria tissutale per organi e tessuti assenti. • Che cos’è il parto EXIT (parto EX–utero Intrapartum Technique)? Il parto EXIT è un parto cesareo con intubazione del neonato ancora in utero. La procedura EXIT consiste nell’intubazione del feto parzialmente estratto dall’utero e ancora connesso alla placenta: con questa tecnica la circolazione feto–placentare, mantenuta intatta, assicura la normale ossigenazione del feto, permettendo di eseguire tutte le manovre atte ad assicurare la pervietà delle vie aeree del nascituro. La tecnica EXIT, eseguita per la prima volta nel 1989 e praticata da diversi centri stranieri e italiani, si può considerare ormai una procedura sicura se condotta con un approccio multidisciplinare. Trova indicazione in tutti quei casi in cui l’ecografia prenatale abbia evidenziato la presenza di masse dell’orofaringe, atresia laringea, igroma cistico, ovvero malformazioni che possano compromettere la respirazione del feto alla nascita. Diagnostica prenatale e counseling chirurgico 25 • Quali sono schematicamente le patologie che richiedono un intervento chirurgico in urgenza immediatamente dopo la nascita e quali possono essere trattate in elezione? Il trattamento chirurgico nel periodo post–natale prevede un timing chirurgico variabile dalla patologia: da poche ore dopo la nascita per i difetti della parete addominale (onfalocele, gastroschisi) e per alcune occlusioni intestinali, a diciotto mesi–tre anni per idronefrosi, reflusso vescico–ureterale, rene multicistico e alcuni casi di sequestrazione polmonare). 26 Capitolo 1 Capitolo 2 PATOLOGIA CERVICO–TORACICA P.C.T. Malformativa Cisti dotto tireoglosso Cisti, sinus e fistole branchiali P.C.T. Infettiva Linfoadeniti infettive (germi piogeni, mycob. tubercolosis, mycob. atipici; malattia da graffio di gatto, toxoplasma gondii) P.C.T. Neoplastica Patologia tiroidea benigna Patologia tiroidea maligna: (CA differenziato, CA midollare e MEN) Lipoblastoma e lipoblastomatosi 2.1 Cisti del dotto tireoglosso Le cisti del dotto tireoglosso sono, per definizione, delle formazioni di dimensioni variabili che hanno origine da residui del dotto tireoglosso. Esse sono, per questo, localizzate in qualunque punto lungo la via di migrazione della ghiandola tiroide, sempre vicino o lungo la linea mediana del collo. Epidemiologia Da un punto di vista epidemiologico le cisti del dotto tireoglosso sono la più frequente patologia malformativa del collo in età pediatrica. Esse, infatti, vanno a costituire oltre il 70% delle malformazioni disontogenetiche cervicali e oltre il 16% delle tumefazioni 27 28 Capitolo 2 anteriori del collo. Colpiscono prevalentemente il sesso femminile e si manifestano, nella metà dei casi, entro il compimento del quinto anno di vita. Embriologia e patogenesi La tiroide comincia ad abbozzarsi, nell’embrione di tre settimane, come un piccolo diverticolo entodermico della parete ventrale dell’intestino branchiale collocato tra gli abbozzi del corpo e della radice della lingua. Con l’evolversi della gravidanza questo diverticolo si allunga e si canalizza (dotto tireoglosso) e portandosi in basso, al davanti, al di dietro o all’interno dell’osso ioide, raggiunge l’abbozzo del condotto laringo–tracheale ove si divide in due gemme che rappresentano i primi abbozzi dei lobi tiroidei. Il dotto tireoglosso può essere topograficamente suddiviso in due porzioni; il dotto craniale o linguale, comprendente la porzione del dotto tireoglosso localizzata cranialmente rispetto all’osso ioide, e il dotto tiroideo collocato, invece, al di sotto di esso. In condizioni fisiologiche normali, già durante la quarta settimana di gestazione, le due porzioni del dotto tireoglosso si riassorbono completamente e della loro presenza rimane solo il così detto forame cieco posto all’apice della v linguale. Figura 1 – Cisti dotto tireoglosso. Figura 2 – Cisti del dotto tireoglosso suppurata e fistolizzata. Patologia Cervico–Toracica 29 Un suo difetto di riassorbimento può determinare condizioni parafisiologiche, come nel caso della formazione del lobo piramidale (presente nel 75% delle tiroidi) e di piccole ghiandole salivari accessorie, o condizioni francamente patologiche, come accade, invece, per la formazione delle cisti. Per la patogenesi delle cisti del dotto tireoglosso non è comunque sufficiente il mancato riassorbimento di una porzione più o meno vasta del dotto stesso, ma devono anche essere presenti degli appropriati stimoli, non ancora identificati, i quali inducano sia la differenziazione delle cellule embrionali in cellule con capacità secretoria siero–mucosa sia l’ostruzione del punto di drenaggio delle loro secrezioni. Il secreto di queste cellule, infatti, viene drenato normalmente a livello del forame cieco, in cavità orale, e se, per qualche motivo, questo punto di drenaggio è ostruito, abbiamo l’accumulo delle secrezioni con formazione e progressivo aumento di volume della cisti. Clinica Nella maggior parte dei casi le cisti del dotto tireoglosso sono condizioni del tutto asintomatiche le quali giungono all’attenzione del medico semplicemente per motivi estetici. Esse si presentano come delle piccole tumefazioni della parete anteriore del collo di solito dal diametro compreso fra 1 e 3 cm (Fig. 1). Sono localizzate sulla linea mediana del collo, dalla base della lingua fino alla fossetta del giugulo, ad eccezione di quelle collocate al davanti della cartilagine tiroidea che, come conseguenza della sua forma a prua, possono essere deviate lateralmente. In rapporto all’osso ioide si possono identificare tre diverse tipologie di cisti che sono; “cisti sovraioidee” (20% dei casi), collocate al di sopra dell’osso ioide, “cisti sottoioidee” (65% dei casi), localizzate al di sotto dell’osso ioide, e “cisti infraioidee” (15% dei casi) le quali sono, invece, collocate al ridosso dell’osso ioide stesso. Le cisti del dotto tireoglosso sono solidali con i piani sottostanti e, come conseguenza del loro rapporto con il forame ovale e con l’osso ioide, risultano essere mobili con i movimenti di protusione delle lingua (questo ultimo aspetto è più marcato nelle cisti sovraioidee ed infraioidee). 30 Capitolo 2 Questo quadro clinico estremamente benigno può subire, però, delle sostanziali modificazioni in caso di complicanze, di cui le più frequenti sono: – Suppurazione e fistolizzazione: è una condizione clinicamente caratterizzata da aumento di volume della cisti, arrossamento della cute sovrastante, dolore ed eventualmente febbre. Se si forma un tramite fistoloso all’esterno fuoriesce una secrezione gelatinosa mista a pus (Fig. 2). – Carcinoma papillare, follicolare o misto: è la diretta conseguenza della degenerazione del tessuto tiroideo ectopico presente nella parete cistica o del dotto. Clinicamente la degenerazione delle cisti può essere associata ad aumento di consistenza, disfagia e linfoadenopatia satellite. – Carcinoma squamoso: è la conseguenza della degenerazione maligna dell’epitelio cilindrico di rivestimento. Anche in questo caso le manifestazioni cliniche comprendono aumento di consistenza, disfagia e linfoadenopatia satellite. Diagnosi e diagnosi differenziale La diagnosi di una cisti del dotto tireoglosso si basa fondamentalmente sul reperto clinico (tumefazione della parete anteriore del collo di dimensioni variabili ma contenute e solidale ai tessuti sottostanti) associato ad un esame ecografico. L’ecografia permette di valutare il contenuto della cisti, solido o liquido, e di evidenziare la morfologia e la struttura della tiroide. Nei casi in cui la tumefazione non si presenti come completamente cistica e nel caso in cui non sia evidenziabile la tiroide allora può essere utile eseguire una scintigrafia. TC e RMN sono da richiedere solo nei casi in cui la diagnosi sia difficile in quanto permettono un maggiore studio della parete, del contenuto e dei rapporti anatomici della cisti. Per quanto riguarda la diagnosi differenziale le cisti sovraioidee devono essere distinte dalle adenopatie sottomentoniere e dalle cisti dermoidi della linea mediana (fig. 3a–b), le quali, però, non mostrano mobilità con la protusione della lingua e non presentano mai segni di flogosi. Le cisti sottoioidee devono essere differenziate dalle cisti dermoidi sottoioidee e dalle tumefazioni del linfonodo Delfico, linfonodo localizzato a Patologia Cervico–Toracica 31 livello della parte più craniale dell’istmo tiroideo che può aumentare di volume perché sede di metastasi da carcinoma della tiroide. Terapia Il trattamento di una cisti del dotto tireoglosso consiste nella sua exeresi chirurgica che deve essere sempre eseguita onde evitare una possibile degenerazione maligna. La tecnica comunemente utilizzata è quella di Sistrunk che consiste nella rimozione della cisti, del dotto fino all’osso ioide, della parte centrale dell’osso ioide e dell’eventuale tratto retroioideo che prosegue fino alla base della lingua. 2.2 Cisti, sinus e fistole branchiali Le cisti, le fistole ed i seni sono tre diverse malformazioni con cui si possono manifestare le anomalie di sviluppo dell’apparato branchiale. Esse derivano nel 75% dei casi dal secondo arco branchiale, nel 20% dei casi dal primo e nei rimanenti dal terzo e dal quarto. Embriologia e patogenesi Quale sia effettivamente l’eziopatogenesi delle malformazioni dell’apparato branchiale di fatto non è conosciuta, anche se, a tale Figura 3a – Cisti dermoide della linea mediana cervicale. Figura 3b – Contenuto della cisti: “materiale poltaceo bianco”. 32 Capitolo 2 proposito sono state elaborate numerose e diverse teorie. Di sicuro possiamo affermare che, nonostante alcune di queste malformazioni non siano presenti alla nascita ma si rendano manifeste solo nell’adolescenza o nella pubertà, esse abbiano un’origine congenita displastica. Le cisti sono, infatti, la diretta conseguenza della prematura fusione di un arco branchiale con quello adiacente fatto che, nella maggior parte dei casi, implica che fra i due rimanga inclusa una piega ectodermica (da cui originano le cisti branchiale dermoidi) o entodermica (da cui originano le cisti branchiali mucoidi). Le fistole branchiali, ossia dei canali anomali e pervi che si aprono esternamente sulla superficie del collo ed internamente nel contesto della mucosa faringea, sono, invece, la conseguenza della mancata fusione di un arco branchiale. Per quanto riguarda i seni, essi sono la conseguenza della persistenza, di estensione variabile, del seno cervicale. ANOMALIE DEL PRIMO SOLCO • CISTI Le cisti rappresentano il 5–8% di tutte le malformazioni del primo arco si ritrovano sia nei bambini che negli adulti. Esse sono localizzate lungo il tratto che deriva embriologicamente dal primo arco o dal primo solco branchiale e si sviluppano a partire dal canale uditivo esterno, attraverso la ghiandola parotide fino all’angolo sottomandibolare. Clinica Generalmente le cisti del primo arco si manifestano con fenomeni infiammatori o ascessi ricorrenti entrambi in prossimità del bordo posteriore della parotide o in prossimità dell’orecchio o dell’angolo della mandibola (foto 4). Tipicamente il paziente presenta una storia di ascessi parotidei ricorrenti che non migliorano né con la terapia antibiotica né con il drenaggio. La cisti ha vario volume, è molle, elastica, indolente, coperta da cute normale, è mobile in senso laterale. Queste malformazioni spesso mimano le caratteristiche Patologia Cervico–Toracica 33 cliniche delle neoplasie parotidee e possono anche associarsi a paralisi del nervo faciale. Diagnosi strumentale Alla TC una cisti del primo arco branchiale appare come una massa superficiale o profonda all’interno della parotide. Nella maggior parte dei casi, né la TC né la RMN forniscono immagini abbastanza caratteristiche da poter differenziare la cisti del primo arco branchiale da qualsiasi altra massa cistica della parotide. Così come una qualsiasi lesione del margine profondo della parotide, una cisti del primo arco può estendersi nell’adiacente spazio parafaringeo e sostituire il tessuto adiposo in esso normalmente contenuto. • SINUS Sono diagnosticati prevalentemente nell’infanzia anteriormente all’orecchio. Essi possono essere occasionalmente bilaterali. • FISTOLE Si estendono dal canale uditivo esterno alla cute periauricolare. Esse sono in rapporto con le branche del nervo faciale che si trova lateralmente alla fistola. Figura 4 – Cisti I arco branchiale. 34 Capitolo 2 ANOMALIE DEL SECONDO ARCO • CISTI Le cisti del secondo arco branchiale si presentano tipicamente tra i 10 ed i 40 anni di età, senza alcuna distinzione tra i due sessi, e sono usualmente localizzate lungo il margine anteriore del muscolo sternocleidomastoideo lateralmente alla carotide appena sotto la linea dell’osso ioide (Fig.5). Clinica Esse appaiono come masse molli, indolenti e coperte da cute normale. Hanno dimensioni variabili comprese tra 1 e 10 cm di diametro con lenta tendenza all’accrescimento. Sono generalmente mobili in senso laterale. Possono divenire doloranti e dolorabili secondariamente ad un’infezione. È altamente probabile che le cisti si complichino con la suppurazione e la fistolizzazione. Nel paziente giovane, una storia di infiammazioni ricorrenti nella regione sotto–angolomandibolare è fortemente suggestivo di una cisti del secondo arco. Spesso, se è presente una fistola, il suo ostio è visibile già al momento della nascita aprendosi in sede sopraclaveare, nella porzione anteriore del collo. Solitamente contengono un liquido torbido, giallo–citrino, vischioso con cristalli di colesterina nel sedimento. Le loro pareti sono sottili e rivestite di epitelio squamoso stratificato non cornificato che ricopre del tessuto linfoide. Occasionalmente si può ritrovare epitelio cilindrico vibratile respiratorio. Figura 5 – Cisti branchiale. Patologia Cervico–Toracica 35 Diagnosi All’esame ecografico le cisti del secondo arco branchiale appaiono come delle masse anecogene nettamente delimitate, di forma rotonda od ovale, con una sottile parete che sostituisce i tessuti lassi circostanti. Alla TC queste cisti appaiono tipicamente ben circoscritte ed omogeneamente ipodense, circondate da una parete sottile il cui spessore può, però, aumentare a seguito di un’infezione. Nella loro localizzazione “classica”, queste cisti dislocano lo sternocleidomastoideo posteriormente o postero–mediamente, spingono i vasi dello spazio carotideo mediamente, e spingono anteriormente la ghiandola sottomandibolare. La RMN evidenzia meglio l’estensione in profondità della cisti e permette un accurato studio pre–operatorio. • FISTOLA Le fistole del secondo arco branchiale si manifestano come delle piccole fossette cutanee localizzate lungo il margine anteriore del muscolo sternocleidomastoideo da cui abbiamo, talvolta periodicamente, la fuoriuscita di materiale mucoso fluido chiaro. Il tratto fistoloso ascende, attraverso il tessuto sottocutaneo sotto il muscolo platisma, fino al di sopra dell’osso ioide. Successivamente il tragitto si medializza, passando attraverso la biforcazione della carotide comune, sopra il nervo ipoglosso e glossofaringeo e penetra lateralmente al faringe a livello della fossa tonsillare. Il tratto può essere completo o incompleto. Le fistole sono rivestite da epitelio squamoso, colonnare o ciliato e sono circondate da una parete muscolare relativamente spessa. • SINUS Sono situati anch’essi lungo il bordo anteriore del muscolo sternocleido–mastoideo. Il tragitto è comunemente breve. Sono stati descritti casi di sinus bilaterali in percentuale elevate. 36 Capitolo 2 ANOMALIE DEL TERZO E DEL QUARTO SOLCO BRANCHIALE Le anomalie del terzo e del quarto arco branchiale si manifestano usualmente come un sinus oppure sotto forma di un ascesso ricorrente in regione laterale sinistra del collo associato o meno ad una fistola del seno piriforme. Distinguere le anomalie del terzo da quelle del quarto arco branchiale può risultare difficile visto che entrambi sono in rapporto col seno piriforme. La differenza tra le due lesioni sta nei loro rapporti con il nervo laringeo superiore: quelle che stanno al di sopra di questa struttura originano dal terzo mentre le lesioni localizzate al di sotto del nervo originano dal quarto arco branchiale. Una paratiroide ectopica o non discesa può essere associata ad entrambe le lesioni, dato che queste ghiandole provengono sia dalla terza che dalla quarta tasca branchiale. SINUS DEL QUARTO SOLCO BRANCHIALE Il sinus della quarta tasca branchiale, segue la sua derivazione embriologica. Origina dall’apice del seno piriforme, perfora la Figura 6, 7, 8, 9 – Fistola branchiale: intervento chirurgico. Patologia Cervico–Toracica 37 membrana tiro–iodea e scende nel mediastino, seguendo la doccia tracheoesofagea. Nella maggior parte dei casi il tragitto del sinus è breve; se il tragitto è lungo, può decorrere a sinistra sotto l’arco aortico o a destra sotto l’arteria succlavia, prima di salire di nuovo verso la regione cervicale lungo la superficie ventrale della arteria carotide comune. Terapia chirurgica L’obiettivo del trattamento di tutte le lesioni congenite del collo (cisti, fistole o seni) è l’escissione chirurgica completa in elezione (foto 6–9). Se la cisti è infetta, evenienza peraltro abbastanza frequente l’operazione deve essere rinviata ad altra data poiché intervenire su una zona infiammata aumenterebbe il rischio di danno nervoso, di resezione incompleta e di recidiva. Salvo i casi particolari in cui sussistano condizioni quali dolori locali o disturbi funzionali, tali da far ritenere ingiustificato ogni ulteriore differimento dell’operazione radicale, la flogosi deve essere curata con terapia antibiotica ed applicazioni caldo–umide fino alla risoluzione. Nel caso in cui questo non si verificasse spontaneamente si può rendere necessario un drenaggio della cisti mediante agocannula o chirurgico. 2.3 Linfoadeniti cervicali infettive Vengono definite con il termine di linfadeniti infettive un gruppo estremamente eterogeneo di condizioni patologiche che, pur differendo per etiologia, quadro clinico e approccio terapeutico, sono tutte accumunate dalla presenza di un interessamento infiammatorio di uno o più distretti linfonodali. Le linfadeniti a carico dei linfonodi del collo e della testa possono essere acute, subacute o croniche, monolaterali o bilaterali. Tipicamente le linfadeniti cervicali acute bilaterali sono causate da un’infezione virale delle prime vie aeree (es. mononucleosi infettiva) oppure da faringite streptococcica. Per contro le linfadeniti cervicali acute a localizzazione monolaterale, nel 40–80% dei casi sono secondarie ad una infezione batterica da stafilococchi o da streptococchi. Le cause più comuni di linfadenite cervicale subacuta o cronica sono 38 Capitolo 2 invece riconducibili alla malattia da graffio di gatto, alla toxoplasmosi, alla tubercolosi linfoghiandolare e all’infezione da micobatteri atipici. • LINFADENITE DA GERMI PIOGENI L’interessamento infiammatorio acuto di un distretto linfonodale monolaterale del collo è frequentemente secondario ad una infezione da parte di germi piogeni quali stafilococchi e streptococchi; gli agenti eziologici più comuni sono lo Streptococcus pyogenes (l’agente etiologico principale delle infezioni faringee) e lo Staphylococcus aureus (l’agente eziologico principale delle infezioni cutanee). Epidemiologia La faringotonsillite streptococcica colpisce ogni fascia d’età ma con maggior frequenza tra i 3 ed i 15. Lo S. pyogenes o streptococco beta–emolitico di gruppo A è praticamente l’unico agente batterico coinvolto in questo tipo d’infezione colonizzando il 15–20% del nasofaringe di bambini sani ed essendo reponsabile complessivamente del 15% di tutte le faringo–tonsilliti acute. Poiché la trasmissione di questo stafilococco avviene generalmente mediante contatto diretto (mani), la fonte principale di contagio è, per S. aureus, il malato o il portatore (cute, alte vie respiratorie). Clinica Nella faringotonsillite streptococcica, dopo un periodo d’incubazione di 2–4 giorni, la sintomatologia esordisce acutamente con faringodinia, febbre elevata, malessere generale e cefalea. Sebbene possano essere presenti anche nausea, vomito, dolori addominali, artromialgie ed esantema scarlattiforme, molti bambini presentano una sintomatologia più sfumata. La linfoadenopatia cervicale anteriore si verifica frequentemente nella fase precoce, con linfonodi mono o bilateralmente aumentati di volume, di consistenza molle, non fissi ma molto dolorabili. Può esserci inoltre eritema e calore della cute sovrastante; inoltre la fluttuazione linfonodale suggerisce una formazione ascessuale. L’evoluzione è in genere benigna (3–5 Patologia Cervico–Toracica 39 giorni) se non compaiono complicanze poststreptococciche (glomerulonefrite acuta e febbre reumatica) o suppurative (sinusite e otite media, ascessi peritonsillari, retrofaringei o laterofaringei). Diagnosi e diagnosi differenziale La diagnosi clinica di infezione da piogeni deve sempre essere confermata dall’identificazione del germe con l’esame colturale del tampone faringeo o dell’ago–biopsia del linfonodo suppurato. Comunque, poiché gli streptococchi sono normali commensali della faringe dei bambini sani, l’isolamento di S. pyogenes dalla faringe non necessariamente indica che l’infezione sia causata da questo batterio. L’esame ecografico può risultare utile per riconoscere l’evoluzione suppurativa e colliquativa dei linfonodi interessati. Inoltre il riscontro anamnestico di esposizione pregressa ad un soggetto affetto da faringotonsillite streptococcica può essere un utile indizio. Nella diagnosi differenziale, oltre alle sindromi simil–mononucleosi, in presenza di un essudato membranoso sulle tonsille è necessario escludere la possibilità di difterite, specie nel bambino non vaccinato, che causa un cospicuo edema dei tessuti molli e l’ingrossamento linfonodale del collo (aspetto a “collo taurino”). Terapia La terapia mira non solo alla risoluzione del processo acuto, ma soprattutto, nel caso di infezione da S. pyogenes, tanto alla prevenzione delle complicanze, come la malattia reumatica, quanto alla rimozione della fonte di contagio. L’antibiotico di prima scelta per la linfadenite da S. pyogenes e da S. aureus è l’amoxicillina associata ad acido clavulanico; in presenza di sintomi sistemici importanti va somministrata una terapia parenterale con oxacillina o ceftriaxone per anche 2–3 settimane. La prognosi è comunque generalmente buona. • LINFADENITE DA MYCOBACTERIUM TUBERCOLOSIS La tubercolosi è una malattia infettiva contagiosa provocata da Mycobacterium tuberculosis o bacillo di Koch che, sebbene a localizzazione prevalentemente polmonare, può interessare diversi 40 Capitolo 2 organi e apparati. In particolare la tubercolosi dei linfonodi superficiali, comunemente definita come “scrofola tubercolare”, è la forma più frequente di tubercolosi extrapolmonare nei bambini. Epidemiologia La principale sorgente di infezione da M. tuberculosis è rappresentata dai malati di tubercolosi polmonare, che con la tosse eliminano micobatteri. La tubercolosi infatti si trasmette abitualmente per contagio interumano, molto raramente per contagio da materiale infetto e per ingestione di latte contaminato. Nei paesi industrializzati la diffusione dell’infezione tubercolare è notevolmente diminuita negli ultimi decenni grazie al miglioramento delle condizioni socioeconomiche, sanitarie e alimentari. Nei paesi in via di sviluppo, invece, la malattia è tutt’ora molto diffusa. Tuttavia, negli ultimi anni, l’incidenza della tubercolosi è in netto aumento anche nel nostro Paese per la diffusione di condizioni di immunosoppressione (infezione da HIV, chemioterapia antineoplastica o cortisonica) e per l’aumento di immigrazione da paesi in via di sviluppo. Clinica Tipicamente la linfadenite regionale si manifesta entro 6–9 mesi, in alcuni casi anche dopo anni, dall’infezione primaria da M. tuberculosis. L’esordio della malattia è, nella maggior parte dei casi subacuto con lieve rialzo febbrile e sintomatologia aspecifica ma, talvolta, può essere acuto, con un rapido ingrossamento dei linfonodi, febbre alta, dolorabilità e consistenza fluttuante. I linfonodi tonsillari, cervicali anteriori, sottomandibolari e sopraclavicolari possono essere colpiti a causa dell’estensione di una lesione primaria dei campi polmonari superiori o dell’addome e sono in genere interessati monolateralmente anche se il coinvolgimento bilaterale può verificarsi a causa dell’incrocio delle vie di drenaggio linfatico nel torace e nella parte inferiore del collo. I linfonodi solitamente si ingrossano gradualmente nelle prime fasi della malattia e si presentano fissi (sembrano aderenti ai tessuti sottostanti o sovrastanti), ben distinti, ricoperti da cute calda e rossa, né di dimensioni aumentate né dolenti. Con il progredire dell’infezione Patologia Cervico–Toracica 41 vengono colpiti linfonodi multipli con la loro confluenza in una massa unica. I segni e sintomi sistemici sono in genere assenti, a parte un modesto rialzo febbrile, lieve malessere, anoressia. Diagnosi e diagnosi differenziale La diagnosi definitiva di linfadenite tubercolare richiede solitamente la conferma istologica o batteriologica, che viene realizzata al meglio su una biopsia escissionale del linfonodo coinvolto. Il test cutaneo alla tubercolina o intradermoreazione di Mantoux è di solito positivo ma deve essere preso in considerazione solo come criterio orientativo perché documenta solo il pregresso contatto con il micobatterio. Nel caso di infezione da micobatteri atipici un indizio importante per la diagnosi di linfadenite tubercolare è la pregressa esposizione ad un adulto con tubercolosi infettiva. Terapia La linfadenite tubercolare solitamente risponde bene alla terapia antitubercolare, anche se i linfonodi non riacquistano le loro dimensioni normali per mesi o anche anni. L’asportazione chirurgica invece non è indicata in quanto la linfoadenite tubercolare è solitamente parte di un’infezione sistemica. I farmaci di prima scelta sono l’isoniazide, la rifampicina, la pirazinamide, l’etambutolo e la streptomicina. L’attuale protocollo per la localizzazione linfoghiandolare prevede per due mesi, isoniazide associato a rifampicina e a pirazinamide e successivamente isoniazide e rifampicina per i quattro mesi successivi. • LINFADENITE DA MICOBATTERI ATIPICI Anche altre specie di Mycobacterium non tubercolari possono causare quadri isolati di linfoadenite cervicale. Sono comunemente detti “micobatteri atipici” e si diversificano dal M. tuberculosis nella sensibilità ai farmaci antitubercolari. Inoltre, questi micobatteri sono generalmente acquisiti al livello ambientale e non dal contagio interpersonale come il M. tuberculosis. 42 Capitolo 2 Epidemiologia Le tre singole specie di micobatteri atipici, identificabili in base alle caratteristiche di crescita e della morfologia, sono correlate dal punto di vista biochimico e immunologico e sono, perciò, difficili da distinguere per i laboratori. Esse sono definite come “complessi”, ad esempio il complesso M. fortuitum (M. fortuitum e M. chelonae) e il complesso M. avium (M. avium e M. intracellulare). Negli Stati Uniti il complesso M. avium costituisce circa l’80% delle linfoadeniti in età pediatrica, mentre M. scrofulaceum e M. kansasii sono responsabili della maggior parte degli altri casi. Molte altre specie di micobatteri, come il M. interjectum o il M. lentiflavum, sono state recentemente identificate come causa di linfoadenti cervicali nel bambino. Clinica La linfoadenite dei linfonodi sotto–angolomandibolari o cervicali antero–superiori è la manifestazione più frequente di infezione da micobatteri atipici nel bambino. Talvolta sono interessati i linfonodi preauricolari, cervicali posteriori, ascellari e inguinali. Questa infezione è più frequente nei bambini di 1–5 anni a causa della loro tendenza a mettere in bocca oggetti contaminati con terra, polvere o acqua stagnante. Gli altri membri del nucleo familiare non sono in genere affetti. I bambini colpiti solitamente non presentano sintomi sistemici, bensì l’interessamento unilaterale subacuto di un linfonodo a lento accrescimento o di un gruppo di linfonodi strettamente ravvicinati, con diametro superiore a 1.5 cm, compatti, non dolenti, mobili e non coperti da cute eritematosa. I linfonodi affetti talvolta guariscono senza trattamento, ma la maggior parte subisce una rapida suppurazione dopo diverse settimane. Il centro del linfonodo colliqua e la cute sovrastante diventa eritematosa e sottile (fig. 10). Infine il linfonodo si rompe e forma tramiti fistolosi cutanei che drenano per mesi o anni (fig. 11). Diagnosi e diagnosi differenziale La diagnosi differenziale della linfadenite da micobatteri atipici si orienta fondamentalmente verso la scrofola tubercolare. Patologia Cervico–Toracica 43 Sebbene la diagnosi definitiva necessiti dell’individuazione del patogeno con isolamento colturale, escludere l’infezione da M. tuberculosis può essere comunque difficile per i lunghi tempi richiesti. I bambini con linfoadenite da micobatteri atipici solitamente hanno però un interessamento unilaterale del linfonodo sottoangolo–mandibolare o cervicale anteriore e un radiogramma polmonare normale. Nella linfadenite tubercolare, invece, si riscontrano spesso il coinvolgimento bilaterale dei linfonodi cervicali posteriori e un radiogramma toracico anomalo. Il test cutaneo alla tubercolina, in caso di infezione da micobatteri atipici, è in genere debolmente positivo (3–15 mm di indurimento). Terapia Il trattamento medico (antibiotico) della linfoadenite da micobatteri atipici può essere tentato e si basa su una polichemio–terapia allo scopo di evitare lo sviluppo di resistenza farmacologia. Raramente è possibile un’asportazione chirurgica completa del linfonodo affetto: i linfonodi possono essere rimossi quando sono ancora solidi e capsulati. L’asportazione non è possibile se si è verificata caseificazione o colliquazione estesa del tessuto circostante; inoltre, in tal caso, è alto il rischio di lesione del nervo faciale. In questi casi è indicata l’evacuazione, anche ripetuta, del materiale necrotico con ago–aspirazione o con drenaggio chirurgico. Figura 10 – Linfoadenite da M. Atipici. Figura 11 – Linfoadenite da M. Atipici. 44 Capitolo 2 • LINFADENITE DA GRAFFIO DI GATTO La “malattia da graffio di gatto” o linforeticulosi benigna, è una linfoadenite regionale preceduta abitualmente da una lesione cutanea provocata nella maggior parte dei casi dal graffio o dal morso di gatto. Descritta per la prima volta più di 50 anni fa, essa è provocata da un’infezione da Bartonella Henselae. Epidemiologia La malattia da graffio di gatto è molto comune, con più di 24.000 casi stimati per anno solo negli Stati Uniti ed un’incidenza maggiore nei mesi più freddi dell’anno. Colpisce prevalentemente i bambini (80% dei casi) e i ragazzi prima dei 20 anni di età ed è più comune nel sesso maschile. La maggior parte dei pazienti (95%) ha avuto contatti con gatti, spesso gattini con meno di 6 mesi, e più del 50% ha una storia di morso o graffio felino. Infatti questo mammifero specialmente quando è cucciolo, presenta una elevata batteriemia da Bartonella, anche per mesi, pur non mostrano alcun segno di malattia. La trasmissione all’uomo avviene attraverso soluzioni di continuo, anche se non si può escludere la trasmissione tramite punture della pulce del gatto contagiatasi sul felino batteriemico. Clinica Dopo un periodo di incubazione di 7–12 giorni nel sito di inoculazione cutanea, si sviluppano una o più papule rosse di 3–5 mm di diametro con al centro una vescicola, che si trasformano in pustola e, a volte, in escara spesso riflettendo un graffio lineare di gatto. A causa delle loro piccole dimensioni spesso non vengono neppure notate, ma con una ricerca accurata si riscontrano in almeno due terzi dei pazienti. A distanza di 2–3 settimane compare una linfoadenopatia cronica a carico dei linfonodi tributari dell’area cutanea interessata, che costituisce il principale segno distintivo della malattia. La linfoadenopatia regionale risulta infatti la più comune manifestazione dalla malattia da graffio di gatto, presente in più dell’80% dei casi. Il coinvolgimento di più di un gruppo di linfonodi si osserva nel 10–20% dei pazienti. I linfonodi si presentano tume- Patologia Cervico–Toracica 45 fatti (1–5 cm e oltre), mobili, inizialmente non dolenti, ricoperti da eritema sovrastante ma senza cellulite (fig. 12–13): successivamente, per la comparsa di processi infiammatori perilinfonodali, diventano aderenti ai piani sottostanti e dolenti alla palpazione. Il quadro persiste per diverse settimane e nel 10–40% dei casi si osserva l’evoluzione colliquativa del linfonodo, con fistolizzazione e fuoriuscita di materiale purulento. Sintomi sistemici come malessere generale, cefalea, astenia, anoressia e febbre (38–39°C) non sono sempre presenti. Nel 2–17% dei casi, il quadro clinico è atipico e si possono configurare vere e proprie sindromi, tra cui ricordiamo la sindrome oculoghiandolare di Parinaud (congiuntivite, granuloma congiuntivale unilaterale e linfoadenite preauricolare) e la sindrome bucco–faringea (angina, ascesso e adenopatia laterocervicale). Diagnosi e diagnosi differenziale Nella maggior parte dei casi la diagnosi può essere supposta sulla base dei caratteri clinici e del dato anamnestico di esposizione al gatto. La conferma eziologica si basa su indagini sierologiche: nel 70–90% dei pazienti è possibile documentare con metodi immunoenzimatico o con immunofluorescenza indiretta, la comparsa di anticorpi IgM e IgG contro Bartonella henselae. L’ecografia linfonodale può evidenziare lesioni granulomatose irregolari, tonde e ipoecogene. Oltre che verso le neoplasie del sistema linforeticolare, la diagnosi differenzia- Figura 12 – Linfoadenite da graffio di gatto. Figura 13 – Ascella sx. 46 Capitolo 2 le va posta principalmente verso la linfadenite piogena, la linfoadenite da toxoplasma, le forme da micobatteri tubercolari e non–tubercolari quale il Mycobacterium scrofulaceum e le linfoadeniti sistemiche. Terapia Poiché la linfoadenite da graffio di gatto di solito si risolve spontaneamente sia pur lentamente in settimane–mesi, la terapia è di solito sintomatica; il trattamento antibiotico non è di chiaro beneficio. I linfonodi suppurati che diventano voluminosi, tesi, fluttuanti (colliquati) ed estremamente dolenti dovrebbero essere drenati mediante ago aspirato (fig. 14–15), che può richiedere di essere ripetuto. L’incisione di linfonodi deve essere invece evitata perché può esitare in un tramite fistoloso persistente. L’escissione chirurgica dei linfonodi è in alcuni casi necessaria specialmente nelle non forme colliquate o di dubbia diagnosi. • LINFADENITE DA TOXOPLASMA GONDII Anche nel quadro della toxoplasmosi acquisita, una parassitosi ubiquitaria causata dal protozoo Toxoplasma Gondii, riscontriamo una importante e frequente linfoadenopatia cervicale. La malattia che può colpire l’uomo, come altri animali, è rara nel soggetto immunocompetente, mentre l’infezione ha una particolare rilevanza per il soggetto immunodeficiente. Epidemiologia La toxoplasmosi è un’antropozoonosi cosmopolita, che colpisce dal 20 al 70% della popolazione, secondo le aree geografiche. L’in- Figura 14 – Agoaspirato. Figura 15 – Materiale sieropurulento. Patologia Cervico–Toracica 47 fezione, oltre che per via transplacentare, è trasmessa soprattutto per via orale, mediante l’ingestione di oocisti emesse dal gatto (ospite definitivo), oppure tramite alimenti crudi o poco cotti, contenenti cisti toxoplasmatiche, presenti in altri animali infetti quali mammiferi e uccelli (ospiti intermedi). Epidemie di infezioni acute acquisite possono avere luogo in nuclei familiari che avevano consumato gli stessi cibi infetti. Inoltre, soggetti con deficit immunitario, in particolare in corso di AIDS, possono manifestare e trasmettere la toxoplasmosi, anche se contratta in precedenza, a causa di una riaccensione endogena dell’infezione latente. Clinica L’infezione acquisita (non congenita) da T. gondii è asintomatica nel 90% dei casi mentre si manifesta nei rimanenti con linfoadenite a carico di uno o più linfonodi del collo. Essi appaiono modicamente aumentati di volume, scarsamente dolenti e non suppurati. Il quadro è, a volte, completato da febbre, astenia, cefalea, artromialgie, faringodinia, rash maculopapulare sia palmare che plantare. L’interessamento di altre stazioni linfonodali e la presenza di splenomegalia e di linfomonocitosi impone la diagnosi differenziale con i linfomi e le sindromi simil–mononucleosiche virali. Il decorso è in genere benigno in 6–18 mesi, grave invece nell’infezione connatale e quella acquisita in soggetto immunocompromesso perché generalmente sistemica. Le rare complicanze, nell’individuo immunocompetente, sono rappresentate dalla corioretinite (1–5% dei casi) e dalla nevrassite (0.2–0.4% dei casi). Diagnosi La diagnosi si basa sull’identificazione in microscopia delle forme vegetative nei vari materiali biologici (liquor, sangue, liquido amniotico) oppure delle cisti in preparati istologici dei tessuti espiantati. Utili nella pratica clinica sono i vari test diagnostici disponibili in commercio per la ricerca di antigeni tramite PCR o di anticorpi IgG e IgM con metodica ELISA o immunofluorescenza specifici del T. gondii. 48 Capitolo 2 Terapia La toxoplasmosi linfoghiandolare acuta (acquisita) in soggetti immunocompetenti non richiede in genere alcun trattamento, che è invece d’obbligo nelle forme con sintomi gravi e persistenti nei soggetti immunocompromessi. Il trattamento antibiotico si basa su pirimetamina, sulfadiazina e folinato. 2.4 Nodulo Tiroideo: diagnosi differenziale Viene, di solito, definito con il termine di nodulo tiroideo una formazione di aspetto e dimensioni variabili situata nel contesto della ghiandola tiroide con caratteristiche strutturali diverse dal restante parenchima, oppure con peculiarità simili, ma parzialmente o completamente distinte dal tessuto circostante. La presenza di una o più di queste formazioni implica un adeguato inquadramento diagnostico così da poter precocemente identificare i noduli sospetti per carcinoma da sottoporre ad eventuale trattamento chirurgico. Epidemiologia I noduli tiroidei costituiscono la patologia endocrina di più frequente riscontro in età pediatrica, ed anche se la loro frequenza varia in funzione dell’area geografica considerata, dell’apporto di iodio e delle modalità diagnostiche. In linea generale si può affermare che essi hanno una frequenza dell’1–2% nell’ambito della popolazione pediatrica ed adolescenziale, con una maggiore diffusione nel sesso femminile rispetto al maschile. L’incidenza dei noduli tiroidei aumenta in modo lineare per ogni decennio di vita (8–10 anni 10% – 70 anni 60%). Nell’infanzia il nodulo tiroideo deve essere sempre valutato con sospetto, infatti nel 14–40% dei casi sono maligni. Etiologia e patogenesi Considerando che noduli tiroidei con significato clinico diverso hanno etiologia e patogenesi diverse, diventa abbastanza difficile Patologia Cervico–Toracica 49 generalizzare. Comunque si può affermare che in quasi la totalità dei casi l’eziologia di un nodulo tiroideo è spesso multifattoriale e deriva dall’interazione di fattori genetici predisponenti e fattori ambientali scatenanti. I fattori in grado di predisporre l’insorgenza di una tumefazione tiroidea sono numerosi e possono agire direttamente sullo sviluppo del nodulo, come accade forme familiari di carcinoma midollare della tiroide associate alle MEN di tipo 2, o come accade nei casi di ipersecrezione di TSH, o per via immunitaria, cosa che si verifica nel caso di forme nodulari di tiroiditi autoimmuni. Per quanto riguarda i fattori ambientali di tipo scatenante, questi sono fondamentalmente tre e comprendono da una parte la carenza di iodio, la supplementazione di iodio a dosi eccessive in zone a grave carenza iodica e dall’altra l’esposizione a radiazioni ionizzanti. Inquadramento diagnostico L’inquadramento diagnostico di un nodulo tiroideo inizia con un approccio di tipo clinico. Si deve infatti, per mezzo dell’anamnesi, andare ad indagare sull’eventuale familiarità del bambino per patologia tiroidea, sul suo eventuale soggiorno in zone a carenza ionica e sulla possibilità di esposizione a radiazioni ionizzanti. Devono inoltre essere ricercati eventuali sintomi di infiltrazione del nervo ricorrente (disfonia) o sintomi di ipertiroidismo (agitazione, dimagrimento, insonnia). La base essenziale per un corretto inquadramento diagnostico è rappresentata da un attento esame clinico. L’ispezione mira a valutare la sede della tumefazione e le caratteristiche della cute sovrastante. La palpazione permette di definire il numero, la forma, la regolarità, le dimensione, e l’eventuale dolorabilità delle formazioni nodulari. Molto importante durante questa manovra è la ricerca di una eventuale linfoadenomegalia latero–cervicale, la quale può essere indice di una neoplasia tiroidea già metastatizzata. L’esame clinico viene confermato dall’auscultazione con cui si vanno a ricercare eventuali soffi sistolici quale indice di un nodulo iperfunzionante o di una tireotossicosi (è una condizione che non esclude in alcun caso la presenza di noduli). Dopo l’esame clinico è d’obbligo l’esecuzione di una ecografia del collo con cui si vanno a ricercare i segni di malignità. Di questi i più importanti sono: presenza di margini irregolari, 50 Capitolo 2 ipoecogenicità, presenza di calcificazioni (le calcificazioni a spruzzo sono particolarmente indicative di malignità mentre quelle a guscio d’uovo sono più tipiche di benignità) e il tipo di vascolarizzazione (se è di tipo periferico le probabilità che si tratti di un nodulo benigno sono elevate, mentre se è presente anche all’interno del nodulo allora esso deve essere considerato maligno fino a prova contraria). A questo punto si procede in modo diverso a seconda del sospetto diagnostico: se si sospetta un nodulo non neoplastico e gli esami ematochimici sono negativi, allora si procede semplicemente con il follow up, nel caso dagli esami di laboratorio risulti la presenza di anticorpi anti–tiroide o comunque la funzionalità tiroidea non risulti essere normale, allora si procederà con altri esami in grado di identificarne l’attività come la scintigrafia tiroidea. Se, invece, il sospetto diagnostico è orientato verso una forma neoplastica allora è indicata l’esecuzione di un agoaspirato con cui sarà possibile, almeno nella maggior parte dei casi, definirne con esattezza la natura. 2.5 Carcinoma differenziato della tiroide Con il termine di “carcinoma differenziato della tiroide” (CDT) si intende un gruppo estremamente eterogeneo di neoplasie a carico della ghiandola tiroidea le quali comprendono: – – – – Carcinoma papillare ben differenziato NAS e varianti Carcinoma follicolare capsulato (minimamente invasivo) Carcinomi poco differenziati Nonostante queste siano neoplasie istologicamente diverse e differenziabili, esse sono tutte accumunate dal derivare dall’epitelio follicolare della tiroide e, soprattutto, dall’avere caratteristiche prognostiche comuni (overall survival nei bambini del 100%). Epidemiologia Da un punto di vista prettamente epidemiologico possiamo affermare che i carcinomi differenziati della tiroide sono neoplasie Patologia Cervico–Toracica 51 abbastanza rare nella popolazione pediatrica, andando a costituire solo l’1.4–3% di tutti i carcinomi nei bambini. Il tasso d’incidenza è compreso tra lo 0.2–0.4 per milione di bambini l’anno senza differenza fra i paesi europei ed extraeuropei. Il disastro di Chernobyl ha aumentato il rischio relativo di carcinoma papillare nei bambini dell’Ucraina e della Bielorussia di circa 62 volte. Istologia In età pediatrica oltre il 95% dei carcinomi differenziati della tiroide (CDT) è costituito da carcinomi papillari ben differenziati mentre il rimanente 5% è formato da carcinomi follicolari capsulati (minimamente invasivi) e carcinomi poco differenziati. Praticamente inesistenti a questa età sono i carcinomi indifferenziati e il carcinoma follicolare invasivo. Clinica e diagnosi Anche se il quadro clinico d’esordio di un carcinoma tiroideo può variare in funzione del tipo istologico e quindi in funzione della velocità di accrescimento e di metastatizzazione a distanza, i segni d’esordio più frequenti sono la comparsa di una tumefazione tiroidea, a nodulo unico o multinodulare, e in alcuni casi (5% dei pazienti) di adenopatia cervicale isolata. I carcinomi indifferenziati, considerata la loro rapida velocità di crescita, possono !( % ) $ '$' & +' $ ' ## '% #* ' ( ( $ ( (',) %' ''( $$- '#"( C. Spinelli. Ca. di derivazione follicolare della tiroide in età pediatrica. Linee guida TREP, 2007. 52 Capitolo 2 esordire con una sintomatologia da compressione o infiltrazione delle strutture circostanti come accade, ad esempio, per la comparsa di dispnea da compressione tracheale, di disfonia per infiltrazione del nervo laringeo e disfagia da compressione dell’esofago. Nei carcinomi follicolari, invece, data la rapida velocità di metastatizzazione, i sintomi d’esordio possono essere legati alla presenza di metastasi ossee, associate a dolore osseo, e polmonari, associate a dispnea. Bisogna sottolineare che per ragioni non ancora conosciute i CDT del bambino sono caratterizzati da un’alta invasività sia locale che a distanza, tanto che, al momento della diagnosi, abbiamo un’alta incidenza di invasione dei tessuti molli del collo, di metastasi linfonodali cervicali, di metastasi a distanza e di invasione vascolare (30% dei casi). La presenza di microfocolai neoplastici multipli sia nel lobo omolaterale che controlaterale rispetto alla massa neoplastica è quasi la regola. Nonostante questo dato e nonostante che la ripresa della malattia sia più frequente di quanto accade nell’adulto, nei carcinomi differenziati della tiroide, nella popolazione pediatrica, la prognosi è ottima con una overall survival del 100%. L’iter diagnostico di una presunta neoplasia tiroidea inizia con l’esecuzione di un ecografia cervicale e di un agoaspirato, procede con un Rx o Tac torace per la ricerca di eventuali metastasi. Terapia L’intervento chirurgico e la terapia ormonale soppressiva costituiscono, nei bambini così come negli adulti, i cardini della strategia terapeutica dei carcinomi differenziati della tiroide. Quale sia l’ottimale estensione della resezione chirurgica del CDT nei bambini è ancora oggi controversa. Può essere eseguita, in rapporto al basso o alto rischio di malattia, una emitireoidectomia od una tiroidectomia totale open o video assistita associata o meno a linfoadenectomia cervicale, se vi è un reperto clinico e/o ecografico di metastasi linfonodali. Dopo l’asportazione chirurgica della neoplasia è indicata per tutti i pazienti la terapia TSH soppressiva con levo–tiroxina in quanto previene le recidive ed è in grado di controllare le metastasi linfonodali e a distanza. Nel caso di tiroidectomia è prevista la valutazione di un eventuale residuo tiroideo metabolicamente Patologia Cervico–Toracica 53 attivo e la sua eradicazione tramite terapia radio–metabolica. Il follow–up prevede la valutazione clinica del collo, l’esecuzione di esame ecografico, di Rx del torace, il dosaggio degli ormoni tiroidei e della tireoglobulina. (C. Spinelli et al. Minimally invasive video–assisted thyroidectomy in pediatric patients, J Ped Surg 2008; C. Spinelli et al. Treatment of sporadic nonmedullary thyroid carcinomas in pediatric age, Expert Rev Anticancer Ther 2007; C. Spinelli et al. Surgical therapy of the thyroid papillary carcinoma in children, J Ped Surg 2004). 2.6 Carcinoma midollare della tiroide e MEN Il carcinoma midollare della tiroide (CMT), nel bambino, trae origine dalle cellule parafollicolari della tiroide (o cellule C) le quali sono fisiologicamente deputate alla secrezione della calcitonina e di altri ormoni di minore rilevanza clinica come ACTH, CEA, VIP. Tale neoplasia si può presentare in forma sporadica, generalmente negli adulti, o in forma eredo–familiare, più frequentemente nei bambini e negli adolescenti. Quest’ultima forma di presentazione può essere in associazione ad altre patologie così da costituire le sindromi cliniche MEN 2A (65%) e MEN 2B (25%) o essere isolata come nel carcinoma tiroideo familiare (FMTC) (10%). Epidemiologia Il carcinoma midollare è un raro tumore della tiroide. La sua incidenza varia dal 3 al 10% di tutte le patologie maligne tiroidee. In Italia si calcola che siano stati diagnosticati ad oggi circa 600 casi di CMT associato a sindromi MEN con un’incidenza di 1 caso ogni 10 mila abitanti. Il tasso di incidenza è simile in ambedue i sessi e non si ha un’influenza geografica, razziale o etnica, ma solo predisposizione genetica. 54 Capitolo 2 Anatomia e fisiologia della cellula C Le cellule C, nell’uomo, sono localizzate all’interno della tiroide in modo non disordinato ma concentrate prevalentemente nella porzione superiore di entrambi i lobi. Fisiologicamente le cellule parafollicolari sono deputate alla secrezione di calcitonina, il cui ruolo è quello di inibire il riassorbimento osseo attraverso la stimolazione degli osteoclasti. Altri recettori della calcitonina sono stati identificati a livello renale e cerebrale, in quest’ultima sede sembrerebbe svolgere un ruolo nella modulazione del dolore. In condizioni fisiologiche la secrezione ed il rilascio in circolo dell’ormone vengono regolate dalla concentrazione del calcio extracellulare. La pentagastrina rappresenta un’altra sostanza capace di stimolare il rilascio della calcitonina tanto da assumere un ruolo rilevante nella diagnostica della patologia delle cellule C. Eziologia e patogenesi È stato recentemente dimostrato che il carcinoma midollare della tiroide sia in forma isolata che nell’ambito delle MEN, è una patologia geneticamente determinata la quale si trasmette come carattere autosomico dominante a penetranza vicina al 100%. Lo sviluppo delle tecniche di biologia molecolare ha permesso di identificare il gene responsabile delle sindromi MEN e del FMTC nel protoncogene RET. Esso codifica il recettore tiroxina–chinasi, espresso nelle cellule derivate dalla cresta neurale, che regola la crescita, la differenziazione, la sopravvivenza e la morte cellulare. Le mutazioni che si producono nella MEN 2A e nel FMTC, consistono in sostituzioni di sei aminoacidi cisteinici nel dominio extracellulare del gene RET; inoltre le mutazioni nelle MEN2B riguardano la metionina localizzata in posizione 918 del dominio tirosino–chinasi. Mutazioni del protoncogene RET sono responsabili anche di un’altra importante patologia in ambito pediatrico: il morbo di Hirschprung familiare caratterizzato da assenza di gangli autonomici del plesso parasimpatico del colon. Patologia Cervico–Toracica 55 Clinica Carcinoma midollare sporadico: Clinicamente si presenta sotto forma di un nodulo tiroideo indolente e fisso sui piani sottostanti scintigraficamente freddo, in più del 50% dei casi si ritrova associato ad un impegno linfonodale e risulta difficilmente differenziabile da noduli tiroidei di altra natura. Metastasi a distanza, soprattutto a fegato, polmone ed ossa possono essere presenti in una percentuale variabile dal 15 al 25% dei casi. L’eccessiva produzione di calcitonina o di prostaglandine da parte della neoplasia può indurre in alcuni pazienti una alterazione dell’alvo con diarrea profusa. Carcinoma midollare ereditario: (C. Spinelli et al. The role of RET codonic mutation in the surgical management of medullary thyroid in MEN2 Syndrome. Eur. Cong. Ped. Surg. Torino, 2007). • MEN 2A È una sindrome eredo–familiare caratterizzata da CMT, che si presenta nella quasi totalità dei casi. Esso può essere associato a feocromocitoma e/o adenoma delle paratiroidi (sindrome di Sipple). a) Carcinoma midollare: Il CMT si sviluppa nel contesto di una iperplasia delle cellule C, all’inizio focale e successivamente diffusa. Essa comincia a svilupparsi già nel primo decennio di vita. La titolazione della calcitonina rappresenta il mezzo dia- 56 Capitolo 2 gnostico migliore per identificare i pazienti affetti sia da CMT che da iperplasia delle cellule C. Un dubbio diagnostico può sorgere per quel gruppo di pazienti affetti da CMT che presentano valori basali di calcitonina nella norma, per cui devono essere sottoposti a test di stimolo alla pentagastrina. Esso consiste nel somministrare 0.5mg/Kg di sostanza in bolo e.v. e successivamente nel dosare la calcitonina plasmatici dopo 2 e 5 minuti. In condizioni fisiologiche la calcitonina è più elevata nell’uomo rispetto alla donna e non supera mai il range normale nemmeno dopo stimolo. Livelli elevati di calcitonina già in condizioni basali fanno porre fortemente il sospetto di patologia per cui è d’obbligo la tiroidectomia, mentre valori normali in condizioni basali ma al di sopra del range dopo lo stimolo in due test diversi devono essere considerati come indicativi di patologia in atto e pertanto si richiede anche in questo caso l’intervento chirurgico. Un test di più recente introduzione è quello che sfrutta il dosaggio della catacalcina, un peptide cosecreto con la calcitonina dai soggetti che presentano patologia tiroidea. Le tecniche di imaging come l’ecografia o la TC non hanno una reale importanza nella diagnosi precoce delle MEN, ma possono essere utili per la valutazione dell’interessamento linfoghiandolare. b) Iperparatiroidismo: Si osserva nel contesto delle MEN 2A con una frequenza variabile dal 10 al 25% dei casi. L’età di manifestazione è più tardiva rispetto al CMT, infatti raramente insorge prima dei trenta anni di età. La presentazione clinica non si discosta da quella dell’iperparatiroidismo da adenoma delle paratiroidi sporadico, con ipercalcemia, ipercalciuria, nefrolitiasi e alterazioni ossee. La presenza di ipercalcemia con elevati livelli di paratormone permette di formulare la diagnosi. c) Feocromocitoma: Questa tumore, di derivazione della midollare del surrene, è presente in circa la metà dei pazienti con MEN 2A e nel 50% dei casi è bilaterale. I sintomi di esordio della malattia sono generalmente: agitazione, cefalea, palpitazioni ed ansietà. All’inizio della malattia l’ipertensione arteriosa può essere moderata o addirittura assente, questo forse per il prevalere del tono beta–adrenergico causato dall’aumento di adrenalina in circolo. In questa prima fase l’altera- Patologia Cervico–Toracica 57 zione biochimica più evidente è un modesto aumento della adrenalina urinaria delle 24 ore, con un rapporto adrenalina/ noradrenalina elevato. La diagnosi si basa sul dosaggio di diverse sostanze come l’acido vanilmandelico, le metanefrine e le catecolamine urinarie. Le tecniche di imaging non sono utili nelle prime fasi della malattia in quanto le ghiandole iperplastiche sono difficilmente distinguibili da quelle normali, per cui la TC, l’ecografia e la RM ci permettono solo di confermare la diagnosi di sede del feocromocitoma e la sua eventuale multilocalizzazione. La scintigrafia con I131MIBG appare al contrario estremamente utile in quanto l’accumulo di materiale radioattivo in sede intra ed extrasurrenale può permettere l’identificazione del tessuto patologico molto più precocemente di qualsiasi tecnica di diagnostica per immagini. Il feocromocitoma associato a MEN è nella maggior parte dei casi benigno. Solo nelle fasi più avanzate possiamo avere un’invasione della capsula surrenalica, assai più rara è la possibilità di metastasi intraperitoneali. • MEN 2B La sindrome MEN 2B comprende il carcinoma midollare della tiroide, la cui aggressività è molto superiore a quella delle MEN 2A, associato a feocromocitoma, a ganglioneuromatosi, a neurinomi della mucosa, ad anomalie scheletriche ed habitus marfanoide. a) Neurinomi mucosi: I neurinomi mucosi sono piccole neoplasie benigne nei nervi periferici localizzati a livello delle mucose della lingua, della palpebra e della congiuntiva. b) Ganglioneuromatosi: La ganglioneuromatosi interessa tutto il tratto gastroenterico e clinicamente si manifesta con una sintomatologia estremamente impegnativa per i piccoli pazienti caratterizzata da dolori colici crampiformi, sintomi ostruttivi e diarrea. L’addome diventa protruso ed a questo punto si impone la diagnosi differenziale con altre malattie tipiche dell’età pediatrica come l’Hirschprung, soprattutto se la ganglioneuromatosi interessa il tratto colico. 58 Capitolo 2 Tabella 1 – Algoritmo diagnostico terapeutico. C. Spinelli. Carcinoma midollare della tiroide sporadico e familiare in età pediatrica. Linee guide TREP, 2007. Patologia Cervico–Toracica 59 Tabella 2 – Mutazioni codoniche di RET, livelli di aggressività biologica e corrispondente timing chirurgico. Livello 1 Livello 2 Livello 3 Codoni mutati 609, 768, 790, 791, 804, 891 611, 618, 620, 634 883, 918, 922 Variante MEN MEN 2A/FMTC MEN 2A/FMTC MEN 2B Aggressività del CMT bassa intermedia elevata entro i 5 anni (o prima) entro i primi 6 mesi di vita, meglio entro il primo mese Timing chirurgico prima dei 5 anni/ tra i 5 e i 10 anni/ al primo pCT + Tabella 3 – Follow–up post–operatorio. 60 Capitolo 2 c) Habitus marfanoide: Questi pazienti mostrano inoltre un habitus marfanoide, infatti sono individui alti, magri, con petto escavato, aracnodattilia e presentano deformità scheletriche con un alterato rapporto tra la parte superiore e l’inferiore del corpo. Tuttavia rispetto alla vera sindrome di Marfan non sono presenti alterazioni a carico dell’apparato cardiovascolare. A causa di questo particolare fenotipo la diagnosi solitamente avviene nei primi anni di vita. d) Carcinoma midollare della tiroide: Il carcinoma midollare della tiroide si presenta nel contesto di questa sindrome in maniera estremamente aggressiva ed è quasi la regola ritrovare già alla diagnosi, in età precoce (spesso prima dei 10 anni), una multicentricità ed un importante impegno metastatico linfonodale. I pazienti affetti da questa forma di CMT possono avere un exitus in età precoce (difficilmente la sopravvivenza è superiore ai 20 anni) per le metastasi a distanza localizzate in particolare al fegato, al polmone ed alle ossa. Per i motivi sopra elencati il trattamento chirurgico deve essere il più precoce possibile. e) Feocromocitoma: Il feocromocitoma è presente in circa il 50% dei pazienti e pur mostrando caratteristiche simili a quello presente nelle MEN 2A è spesso bilaterale. 2.7 Lipoblastoma e Lipoblastomatosi Il lipoblastoma è un raro tumore benigno il quale ha origine dal tessuto adiposo bianco embrionale–fetale. Se il tumore è unico allora si parla semplicemente di lipoblastoma se, invece, sono multipli, dando così origine ad una forma diffusa, si parla di lipoblastomatosi. Epidemiologia I lipoblastomi sono tumori estremamente rari nell’ambito della popolazione pediatrica con un’incidenza di 1 caso su 1000 bambini l’anno. Essi tendono a presentarsi maggiormente nei maschi che nelle femmine (M:F=3:1) ed insorgono nel 40% dei casi entro il primo anno d’età e nel 90% dei casi entro il quarto Patologia Cervico–Toracica 61 anno. Le sedi più comuni di insorgenza comprendono: collo, tronco, mediastino, retroperitoneo e molto più raramente la pleura ed il parenchima polmonare. Embriologia e patogenesi La comparsa di un lipoblastoma o della condizione di lipoblastomatosi è la conseguenza di un’anomalia di sviluppo del tessuto adiposo a causa della quale i lipoblasti continuano a proliferare anche nella vita post natale. Essa sembra essere la conseguenza del riarrangiamento della regione 8q11–13 comprendente l’oncogene PLAG1 con sua conseguente iperespressione. Anatomia patologica Da un punto di vista anatomo–patologico il lipoblastoma è una formazione tumorale ben circoscritta, capsulata e localizzata. Al taglio il tessuto appare più chiaro di quello del comune lipoma ed assume un aspetto mixoide e gelatinoso. Microscopicamente si possono identificare lobuli di tessuto adiposo separati da setti fibrosi i quali contengono adipociti differenziati localizzati nella porzione più centrale dei lobuli, cellule mesenchimali primitive, abbondante matrice mixoide ed una rete capillare plessiforme. Sintomatologia Nella maggior parte dei casi i lipoblastomi e la lipoblastomatosi sono delle condizioni completamente asintomatiche. Esse si presentano come delle tumefazione o dei noduli indolenti che tendono ad accrescersi lentamente. Le forme circoscritte hanno margini netti e ben definiti mentre le forme diffuse, a collocazione di solito più profonda e quindi più difficilmente palpabili tendono ad avere dei margini mal definiti e una superficie irregolare. In alcuni casi può essere presente una sintomatologia la quale non è in relazione al tipo di neoformazione, ma in relazione alla sua sede ed alle sue dimensioni; un lipoblastoma a livello della testa e del collo può essere causa di ostruzione delle vie aeree con conseguente insufficienza respiratoria. 62 Capitolo 2 Diagnosi La diagnosi di lipoblastoma e della lipoblastomatosi deriva dall’integrazione dell’obiettività clinica con le tecniche di imaging e l’esame istologico. Attraverso l’impiego di esami quali l’ecografia, la TC e la RMN si può arrivare a definire con precisione le dimensioni della massa ed i suoi rapporti con le strutture circostanti, ma non è possibile fare la diagnosi differenziale tra questi ed i lipomi od i liposarcomi. Essa è possibile solo mediante l’esame istologico. Terapia La terapia di queste due forme consiste nella radicale asportazione chirurgica (Fig. 16). Figura 16 – Lipoblastoma parete toracica. C. Spinelli at al. A thoracic wall lipoblastoma in a 3 month–old infant. J Pediatric Hematol Oncol, 2006. Capitolo 3 EMANGIOMI E MALFORMAZIONI VASCOLARI Le anomalie vascolari sono caratterizzate da alterazioni morfo–strutturali e/o funzionali di varia natura, gravità ed estensione che possono interessare ogni tipo di vaso, ematico e linfatico, di qualunque distretto anatomico. A dispetto della loro incidenza ancora oggi queste patologie sembrano essere poco conosciute, di conseguenza, spesso, vengono diagnosticate tardivamente ed etichettate impropriamente con nomenclature superate che sono per lo più retaggio dell’immaginario popolare (voglia a fragola, macchia a vino di Porto, bacio della cicogna o dell’angelo) oppure etichettate con terminologie cliniche che però poco hanno a che vedere con il reale substrato anatomo–patologico (angioma tuberoso, cavernoso, cirsoide) o con eponimi di valore più che altro storico (Sindrome di Klippel–Tranaunay, Sturge–Weber). Le anomalie vascolari, costituiscono un problema di grande rilevanza medica e sociale, anche perché si tratta spesso di patologie invalidanti che si manifestano in età pediatrica o giovanile. La loro eziopatogenesi è su base genetica multifattoriale e, in relazione a questa, sono in corso studi genetici atti a valutare il ruolo di anomalie cromosomiche sulla alterazione dei fattori angiogenetici che regolano lo sviluppo dei vasi nel corso dell’embriogenesi. L’incidenza globale delle malformazioni vascolari non è nota, ma ha manifestato la tendenza ad un graduale aumento negli ultimi dieci anni. Nella maggioranza dei casi, si tratta di forme sporadiche che si manifestano in soggetti con anamnesi familiare negativa. Sono note tuttavia forme ereditarie con interessamento di diversi membri della stessa famiglia in più generazioni successive. 63 64 Capitolo 3 Classificazione La classificazione delle anomalie vascolari è ancora oggi fonte di notevole controversie e difficoltà a causa della eterogeneità delle lesioni e della confusione terminologica generata in passato. Un corretto inquadramento di queste anomalie è indispensabile per un razionale percorso diagnostico e terapeutico. Le anomalie vascolari vengono classificate in Tumori vascolari (emangiomi) e Malformazioni vascolari propriamente dette (capillari, venose, artero–venose e linfatiche oltre a quelle complesse e combinate). Alla base di tale classificazione vi era stata la ricerca fondamentale di Mulliken e Glowacki pubblicata nel 1982 sulle differenti caratteristiche citologiche ed evolutive degli emangiomi nei confronti delle malformazioni vascolari. Grazie a tecniche istochimiche sulla cinetica cellulare è stato dimostrato che gli emangiomi, sono caratterizzati da una accelerata angiogenesi e conseguente formazione di neocanali vascolari costituiti da capillari e sinusoidi a contenuto ematico ad alto flusso. Dopo una fase proliferativa gli emangiomi quasi costantemente vanno incontro ad una involuzione spontanea, fase che può perdurare per diversi anni prima di completarsi, lasciando esiti più o meno vistosi. Le malformazioni vascolari propriamente dette invece, crescono in modo proporzionale alla crescita corporea. Tale crescita in certi casi è modulata da eventi traumatici o fattori ormonali. Emangiomi e malformazioni vascolari 65 3.1 Emangiomi Gli emangiomi sono neoplasie benigne dell’endotelio capillare che si manifestano in 1/3 dei casi alla nascita e nei 2/3 dei casi entro le prime settimane di vita. Essi presentano una prima fase di intensa proliferazione nei primi mesi di vita ed una seconda di graduale regressione spontanea nell’arco di alcuni anni. Il 90% dei bambini presenta infatti una completa “restitutio ad integrum” intorno ai 9–10 anni. Epidemiologia Risultano essere i tumori benigni più comuni nell’età pediatrica, essendo riscontrati nel 10–12% dei neonati ed in percentuali ancora più alte nei prematuri (fino al 30%). Si osserva una marcata prevalenza nel sesso femminile (F:M=3:1) ed una propensione per la razza bianca. Circa il 60% degli emangiomi interessa testa e collo e la distribuzione probabilmente è in rapporto con le linee di fusione e con i metameri faciali, mentre nel 25% dei casi sono localizzati al tronco e nel 15% alle estremità. Classificazione Gli emangiomi possono essere classificati in base ad un criterio di classificazione anatomo–patologico ed ad uno clinico. In base al primo criterio di classificazione (anatomo–patologico) si possono identificare tre diverse forme di emangiomi le quali comprendono: – forme sottocutanee: caratterizzate da uno sviluppo prevalentemente tangenziale nello spessore dei tegumenti. – forme tuberose: in cui si osserva una crescita esofitica in rilievo rispetto al piano cutaneo: masse vegetanti, di forma variabile, a superficie liscia o mammellonata. – forme miste: in cui si riscontra sia una componente ipodermica che una componente tuberosa superficiale. In base al criterio di classificazione clinico si possono identificare tre diverse tipologie di emangiomi: 66 Capitolo 3 – Emangiomi superficiali o capillari che si presentano clinicamente con l’aspetto caratteristico “a fragola”, sono generalmente normali o di colorito rosso lucido alla nascita. Entro i primi mesi di vita si assiste ad un notevole sviluppo vascolare che determina la comparsa di una colorazione rosso vivo ed una netta rilevanza rispetto alla superficie cutanea circostante. – Emangiomi profondi o cavernosi che si presentano come tumori ricoperti di cute normale, pertanto la diagnosi è affidata agli US. I vasi che includono questi emangiomi sono localizzati in profondità rispetto alla superficie cutanea ed appaiono di colorito bluastro. – Emangiomi misti quando si presenta un emangioma superficiale associato ad uno profondo. In questo caso vengono interessati il derma ed il sottocute e la lesione è caratterizzata da aspetti clinici sia dell’una che dell’altra. Clinica Un emangioma di regola si sviluppa come una lesione cutanea piana (sotto forma di chiazza teleangectasica o bluastra) che inizia il proprio ciclo evolutivo dopo qualche settimana dalla nascita. Si possono individuare in questo ciclo tre fasi fondamentali: la prima fase proliferativa si esaurisce di regola poco dopo i primi 12 mesi, la seconda fase, involutiva, è più lenta e variabile, protraendosi in alcuni casi fino a 6–7 anni, la terza fase è quella degli esiti caratterizzati dalla presenza di tessuto fibro–adiposo, aree di cute teleangectasica o ipopigmentata o Storia naturale Fase proliferativa: periodo di rapida crescita da 8 a 12 mesi emangiomi superficiali: raggiungono la massima dimensione entro 8 mesi dalla nascita emangiomi profondi: continuano a crescere fi no a 2 anni Fase regressiva: processo di regressione lento da 1 a 5 anni per un meccanismo di apoptosi cellulare con sostituzione fi bro-adiposa la fi ne dell’ involuzione avviene nel 30% dei casi entro 5 anni, nel 70% dei casi oltre 7 anni L o c a li z z a z io n e Distr e t t o ce r vic o-f a c ia le : viso, cu oio ca p e llut o, m uc osa n a sa le , or of a r inge a ( 6 0 %) T r onc o ( 2 5%) Ar t i ( 1 5%) 8 0 % solit a r i Emangiomi e malformazioni vascolari 67 atrofica. Durante la fase proliferativa alcuni indicatori ematici testimoniano l’accelerata angiogenesi: basic fibroblast growth factor (bFGF) e vascular endothelial growth factor (VEGF), proliferatine cells nuclear antigen (PCNA) e la collagenasi di tipo IV. È raro che gli emangiomi siano già presenti al momento della nascita (si parla di emangiomi congeniti che attualmente sono distinti in 2 tipi: RICH “E.C. rapidamente involutivi”che regrediscono nel giro di qualche mese massimo entro l’anno e NICH “E.C. non involutivi” il cui volume resta stabile nel tempo e tendono a crescere con il bambino). In tal caso possono essere diagnosticati con l’ECO fetale. Per gli emangiomi congeniti la fase proliferativa si esaurisce di regola nel grembo materno: anche gli angiomi più voluminosi andranno perciò incontro a regressione nel giro di qualche settimana o qualche mese dopo la nascita. Di solito quelli cutanei compaiono Figura 1,2,3,4 – Involuzione spontanea di un emangioma periorbitario. 68 Capitolo 3 nelle prime due settimane di vita, quelli sottocutanei o viscerali si manifestano, in genere, dopo il 2º o 3º mese. Essi raggiungono un plateau di crescita fino all’età di un anno, successivamente tendono alla regressione che può proseguire fino all’età di 5–10 anni (Fig. 1–4). Anche se nella maggior parte dei casi, gli emangiomi vanno incontro ad una completa restituito ad integrum, in alcuni casi possono presentare complicanze più o meno gravi, soprattutto in relazione alla loro localizzazione, alla loro dimensione e alle loro caratteristiche anatomo–patologiche. Gli emangiomi in sede laringea o sottoglottica, possono determinare ostruzione delle vie aeree e si associano frequentemente ad emangiomi del volto nella zona sovra–sotto mandibolare; quelli in sede periorbitale, alterazioni visive come ambliopia, emianopsia ed astigmatismo; quelli localizzati a livello del canale uditivo esterno possono determinare disturbi dell’udito, quelli della regione anorettale hanno una spiccata tendenza all’ulcerazione e possono inoltre essere causa di sanguinamento, infezione, dolore e dermatite. Nelle forme giganti a rapido accrescimento multifocali, può manifestarsi una porpora trombocitopenica: si configura in tali casi la cosiddetta sindrome di Kasabach–Merrit, caratterizzata da una grave diatesi emorragica ed anemia emolitica. Infine i grandi emangiomi facciali possono rientrare nella Sindrome P.H.A.C.E., acronimo proposto da Frieden e coll. che indica una rara e devastate sindrome neonatale caratterizzata da malformazione encefalica della fossa posteriore, emangiomi estesi del volto, anomalie arteriose e carotidee extra e intracraniche e/o aortiche (coartazione) e anomalie oculari (microftalmo, cataratta congenita ed ipoplasia del nervo ottico); può essere associata alla sindrome di Dandy–Walker (espansione cistica del IV ventricolo, disgenesia cerebellare, atresia del forame di Magendie con idrocefalo e macrocrania), talora è associata ad emangiomi intracranici. La presenza di emangiomi della regione temporomandibolare e/o oculari deve far sospettare una PHACE, in tal caso è d’obbligo uno studio RM cerebrale e angio–RM per la visione contrastografica dell’aorta e dei vasi epi–aortici. L’ L’emangiomatosi multipla neonatale, caratterizzata da una disseminazione di piccoli angiomi evidenti su tutta la superficie cutanea, solitamente si associa a interessamento epatico, o encefalico, polmonare, inte- Emangiomi e malformazioni vascolari 69 stinale ed è a rischio di complicanze emorragiche gravi viscerali e/o scompenso cardiaco. Diagnosi La diagnosi degli emangiomi è quasi sempre clinica, basandosi sulle caratteristiche semeiologiche e soprattutto sulla storia naturale della lesione. Il Doppler e l’Eco–Doppler sono esami comunque utili nei casi in cui occorra differenziare una tumefazione angiomatosa da una malformazione venosa o da un linfangioma. Gli esami angiografici non aggiungono nulla, mentre il ricorso alla RM è raccomandabile negli emangiomi più problematici come quelli laringei che possono interferire con la funzione respiratoria o quelli epatici che, per il loro volume ed il conseguente shunt, possono causare un sovraccarico cardiaco. Gli emangiomi congeniti, i soli identificabili nel feto, rappresentano una percentuale minima degli emangiomi che, com’è noto, si sviluppano durante le prime settimane di vita. La diagnosi prenatale (a partire dal 2º trimestre) si basa in prima battuta sulle tecniche ecografiche ed in seconda istanza sulla RMN. L’Eco–Color Doppler è l’indagine di diagnostica strumentale non invasiva di più rapida e semplice esecuzione in pazienti portatori di angiomi e malformazioni vascolari. I dati ottenuti dall’indagine Eco–Color Doppler risultano fondamentali sia per la pianificazione di ulteriori indagini diagnostiche di approfondimento, anche invasive, che per l’anticipazione del successivo programma terapeutico. 70 Capitolo 3 Trattamento Data la naturale tendenza all’involuzione, la grande maggioranza degli emangiomi non necessita alcuna terapia. Questo atteggiamento conservativo richiede numerose deroghe: in caso di emangiomi in rapida crescita (che raggiungano diametri superiori a 3 cm) e, indipendentemente dalle dimensioni, in caso di emangiomi localizzati in sedi critiche tali da ostacolare determinate funzioni. La terapia corticosteroidea per os rappresenta nella maggior parte dei casi la prima linea terapeutica e si è dimostrata efficace in una percentuale valutabile tra il 30 e il 40%. La dose iniziale è di 2–3mg/kg di Prednisone–Prednisolone per una settimana in una singola dose al die e i primi risultati si possono osservare gia dopo 2–3 settimane di trattamento dopo di che, in caso di risposta positiva, si puo diminuire gradualmente la dose. Un temporaneo arresto della crescita corporea rappresenta il più comune effetto collaterale Figura 6 – Emangioma. (non del tutto trascurabile) di Figura 5 – Bambino 5 mesi con emangioma del dorso. Figura 7 – Bambino 6 anni. Emangioma della lingua. Emangiomi e malformazioni vascolari 71 questo tipo di terapia. Più raramente si verificano altri effetti iatrogeni quali alterazioni ossee, aspetti cushingoidi ed infezioni. La terapia cortisonica intralesionale è una valida alternativa alla terapia sistemica per os ed è, secondo alcuni autori, più efficace e meno esposta ad effetti collaterali e complicanze; è soprattutto indicata negli emangiomi localizzati e piu piccoli (meno di 5 cm2). L’infiltrazione viene praticata in diversi punti della massa angiomatosa con Triamcinolone (alle dosi di 1–3 mg/Kg) attraverso un sottile ago (30 G). Il trattamento può essere ripetuto dopo 4–6 settimane ed essere associato ad un trattamento di fotocoagulazione mediante un dye–laser pulsato; anche se l’effetto di fotocoagulazione si estrinseca solo sui vasi piu superficiali e quindi questo trattamento potrebbe essere indicato nelle fasi prodromiche dello sviluppo dell’emangioma (quando l’aspetto è quello di una macchia superficiale) mentre è poco efficace negli emangiomi piu profondi e spessi perché la componente più profonda può continuare a proliferare. Figura 8 – Emangioma della lingua: intervento chirurgico. 72 Capitolo 3 Per gli emangiomi giganti che non rispondono alla terapia cortisonica per os o per infiltrazione, si ricorre all’interferone a 2A (potente inibitore dell’angiogenesi) alle dosi di 2–3 milioni di U/mq di superficie corporea; la risposta è dell’ordine del 90% e i primi risultati si vedono gia dopo 2–12 settimane, ma anche questo trattamento comporta effetti secondari come stato febbrile, mialgie ma anche aumento degli enzimi epatici, neutropenia e trombocitopenia ma soprattutto nel 10–30% dei casi si è vista la comparsa di una diplegia spastica e ritardo dello sviluppo motorio. L’escissione chirurgica resta infine la soluzione più semplice e radicale per molti emangiomi: 1. Quelli che dimostrano scarsa tendenza all’involuzione naturale, 2. Quelli a base di impianto peduncolata in sedi esposte e facilmente asportabili, (figura 5–8) 3. Quelli per i quali a causa delle dimensioni si possa prevedere comunque un vistoso esito cicatriziale. 3.2 Malformazioni vascolari propriamente dette • MALFORMAZIONI CAPILLARI Le malformazioni capillari, sono angiodisplasie caratterizzate dalla presenza, nel derma, di una fitta rete di capillari abnormemente e permanentemente dilatati. Sono note con il vecchio nome di angiomi piani ”a macchia di vino”. Essendo delle malformazioni, a differenza degli emangiomi, non regrediscono spontaneamente, ma permangono. Subiscono un progressivo aumento di dimensioni, in misura proporzionale all’accrescimento del segmento corporeo interessato. Le sedi anatomiche più spesso coinvolte sono il capo e gli arti superiori e inferiori, ma tali malformazioni sono potenzialmente ubiquitarie. Si distinguono forme unifocali e multifocali. Le dimensioni sono estremamente variabili, da forme localizzate fino a forme giganti con interessamento di un intero emisoma. Clinica All’esame clinico, le malformazioni capillari si presentano come chiazze cutanee di colorito roseo o rosso–violaceo, a margini netti o Emangiomi e malformazioni vascolari 73 frastagliati, generalmente non rilevate, di dimensioni ed estensione estremamente variabili, isolate o multiple e confluenti. All’interno della chiazza è possibile notare la presenza di strie teleangectasiche, costituite da capillari di calibro maggiore. Nelle forme miste capillaro–venose, si osservano vene anomale a morfologia reticolare che drenano la malformazione capillare. Una caratteristica anatomo–clinica comune a tutte le forme di malformazioni capillari è la spiccata lateralizzazione: la lesione cutanea è in genere, nettamente localizzata a destra o a sinistra della linea mediana, talora debordando leggermente oltre la stessa. Un altro aspetto clinico caratteristico è la metamerizzazione: la topografia delle lesioni segue abitualmente la distribuzione dei dermatomeri del capo, del tronco e degli arti. Tale aspetto si riscontra con maggiore evidenza nelle localizzazioni facciali, che rispettano tipicamente la distribuzione delle branche sensitive del nervo trigemino. In alcuni casi, soprattutto nelle localizzazioni cranio–facciali, si assiste nel corso degli anni ad un’inusuale tendenza all’accrescimento che produce una marcata iperplasia del derma e del tessuto sottocutaneo, associata ad una caratteristica dilatazione del letto capillare venulare sottoepidermico. Si tratta dei cosiddetti “angiomi piani iperplastici” (comunemente definiti “port wine stain”), che si presentano all’esame clinico come chiazze di consistenza fibrosa e colorito rosso–violaceo particolarmente scuro, spesso ricoperte da placche o formazioni vegetanti di aspetto polipoide. Gli angiomi cranio–facciali del territorio trigeminale rappresentano il marcatore cutaneo della cosiddetta sindrome di Sturge Weber caratterizzata da una costellazione di sintomi quali: nevo cutaneo alla nascita (macchia vinosa) della parte superiore del volto, glaucoma omolaterale, convulsioni e ritardo mentale per atrofia cerebrale, calcificazioni intracraniche e dilatazione ventricolare. Diagnosi È essenzialmente clinica e la valutazione strumentale deve fondamentalmente distinguere le forme capillari pure dalle forme miste capillaro–venose ed escludere l’eventuale presenza di fistole artero–venose a bassa velocità di flusso. 74 Capitolo 3 L’Eco Doppler risulta essere l’esame di prima istanza poiché consente ad esempio di valutare lo spessore del derma e del tessuto sottocutaneo, la densità dei capillari malformati e la loro estensione in profondità. La RMN può invece essere utile occasionalmente per una migliore definizione dell’architettura della malformazione e per lo studio di eventuali anomalie associate Terapia La laserterapia dovrebbe essere il trattamento di scelta nelle malformazioni vascolari pure soprattutto di quelle del volto. Attualmente il dye–laser pulsato è quello maggiormente utilizzato perché permette di ottenere l’obliterazione dei vasi senza esiti cicatriziali. Nelle forme miste capillaro–venose e nelle forme teleangectasiche è utile il ricorso alla scleroterapia percutania con polidocanolo all’1–2% o con glicerina cromica. Il trattamento chirurgico è molto limitato (soprattutto per le localizzazioni cranio–facciali) perché necessiterebbero di ampie incisioni cutanee con risultati poco soddisfacenti sul piano estetico. Indicazioni alla chirurgia sono gli angiomi piani iperplastici dell’adulto, soprattutto in presenza di vegetazioni polipoidi peduncolate, laddove la laser terapia risulta inefficace. • MALFORMAZIONI ARTERO–VENOSE Le malformazioni artero–venose (MAV) sono costituite da una o più arterie afferenti, tributarie di un nidus di fistole artero–venose, e una o più vene di drenaggio senza l’interposizione di un letto capillare. Le dimensioni e l’estensione del nidus sono estremamente variabili, da forme micronodulari isolate fino a forme giganti con coinvolgimento massivo di un intero arto. In base al calibro e, conseguentemente, alla velocità di flusso e alla portata delle fistole artero–venose, si possono schematicamente distinguere forme a bassa, media ed alta gittata. Per quanto concerne la sede anatomica, si riscontra una netta prevalenza delle localizzazioni agli arti e nel distretto cervico–cefalico (soprattutto labiali, linguali, auricolari, temporo–masseterine e fronto–orbitarie) ma sono descritte anche forme toraciche, addominali e pelviche. Emangiomi e malformazioni vascolari 75 Nella maggioranza dei casi le MAV coinvolgono i tessuti molli superficiali (cute, mucose), ma spesso si osservano forme localizzate nei piani profondi con interessamento di muscoli, ossa ed articolazioni. Più raramente si osservano anche localizzazioni encefaliche o viscerali. Clinica Le MAV si presentano clinicamente come tumefazioni dei tessuti molli di proporzioni ed estensione variabili, caratterizzate da consistenza molle–elastica e, soprattutto, da una più o meno marcata pulsatilità intrinseca e/o da un fremito apprezzabile palpatoriamente. Alla ascoltazione è possibile rilevare un caratteristico soffio continuo con rinforzo sistolico. Si osserva generalmente un’ipertrofia loco–regionale più o meno marcata dello scheletro e dei tessuti molli, che talora produce gravi deformazioni anatomiche. Tale fenomeno, secondario all’ipervascolarizzazione distrettuale, è molto frequente nelle localizzazioni periferiche, in cui si osserva una tipica dismetria con allungamento ed ipertrofia dell’arto interessato, ma si riscontra anche in sede cranio facciale (in particolare nelle forme labiali, fronto–orbitarie e naso–geniene). La storia naturale è caratterizzata da una naturale tendenza all’evolutività: si manifestano generalmente in età infantile o giovanile e subiscono, nel corso degli anni, un accrescimento lentamente progressivo con caratteristiche pousseès legate a fattori di diversa natura tra cui prevalgono quelli ormonali (pubertà, gravidanza, estroprogestinici) e meccanici (traumi ed interventi chirurgici) Diagnosi La valutazione diagnostica deve prefiggersi l’obiettivo di confermare il sospetto clinico di MAV e di indagare l’estensione, l’architettura, l’emodinamica. L’Eco–Color Doppler rappresenta l’esame di primo livello porre la diagnosi definitiva di MAV, evidenziando il caratteristico flusso ipercinetico ad alta componente diastolica. 76 Capitolo 3 L’Arteriografia è indispensabile per uno studio accurato dell’architettura della malformazione, del numero e della morfologia delle arterie afferenti, della distribuzione delle fistole, dell’emodinamica degli shunt arterovenosi e di eventuali anastomosi con altri distretti di drenaggio. La RMN è l’esame che completa l’inquadramento diagnostico. Terapia Un atteggiamento conservativo appare giustificato nelle MAV stabili in assenza di complicazioni rilevanti, mentre un atteggiamento aggressivo è raccomandabile in presenza di segni di rapida evolutività, nelle forme molto estese o in presenza di gravi complicazioni locali e /o sistemiche. I principali trattamenti delle MAV sono: l’embolizzazione arteriosa percutanea, la chirurgia, la scleroterapia retrograda delle vene di drenaggio e la terapia combinata. • MALFORMAZIONI VENOSE Le malformazioni venose sono caratterizzate dalla presenza di varie alterazioni morfo–strutturali e funzionali del sistema venoso centrale o periferico. Si presentano prevalentemente in forma sporadica, in soggetti con anamnesi familiare negativa, ma sono descritte anche forme ereditarie a carattere familiare. Si tratta nella maggioranza dei casi di malformazioni isolate, ma si osservano talora forme multifocali o addirittura disseminate a carattere sistemico. Le localizzazioni superficiali cutanee e mucose sono prevalenti, ma sono frequenti anche le forme intramuscolari o intraossee e qualsiasi organo può essere interessato. La distribuzione per sede mostra una netta prevalenza delle MV periferiche (soprattutto a carico degli arti inferiori) e delle MV cranio–facciali (in particolare in regione temporo–masseterina, fronto–palpebrale, labiale e linguale). Le localizzazioni meno frequenti sono quelle toraciche, addominali e genitali. Emangiomi e malformazioni vascolari 77 Classificazione È utile classificare schematicamente le malformazioni venose su base anatomo–patologica in: – MV semplici: si riscontra la presenza di vene anomale abnormemente ectasiche senza collegamenti diretti con i principali assi venosi superficiali e/o profondi, localizzate più spesso nel tessuto sottocutaneo ma talora anche in sede intramuscolare o intraarticolare. – MV complesse: sussistono varie anomalie congenite a carico dei principali assi venosi superficiali e/o profondi, in prevalenza degli arti: ipoplasia o agenesia di diversi tratti del sistema venoso, incontinenza valvolare primaria, persistenza di vene embrionarie di tipo tronculare, come la vena marginale. Clinica Il quadro semeiologico e sintomatologico delle MV è estremamente variabile in relazione alla sede, alla profondità, all’estensione ed alle alterazioni anatomo–emodinamiche presenti. Le MV superficiali si evidenziano come tumefazioni sottocutanee di dimensioni e forma variabili, consistenza molle elastica, facilmente collassabili alla compressione, ricoperte da cute di colorito bluastro violaceo, normotermica. Non possiedono una pulsatilità intrinseca ma presentano una caratteristica espansibilità in posizione antigravitaria. Le MV intramuscolari o intraarticolari sono meno evidenti all’esame obiettivo, soprattutto se di piccole dimensioni. Tuttavia un’attenta osservazione clinica rileva generalmente una tipica asimmetria anatomica rispetto all’emisoma controlaterale, che si accentua in posizione declive. Le vene embrionarie si presentano come tronchi venosi ectasici, a decorso tortuoso e irregolare, che si estendono dalle regioni distali per una lunghezza variabile verso la radice 78 Capitolo 3 dell’arto. Nelle forme con ipoplasia del circolo venoso profondo o con incontinenza valvolare congenita si evidenziano i segni clinici dell’ipertensione venosa cronica: edema, varici secondarie, dermo–ipodermite ed ulcere da stasi. Le MV possono costituire una componente di malformazioni vascolari complesse sistemiche. Diagnosi La diagnosi è generalmente posta all’atto dell’esame clinico, tuttavia ciascun paziente deve essere sottoposto ad una accurata valutazione strumentale dei principali parametri morfologici–funzionali della malformazione. L’eco–color doppler rappresenta un esame preliminare utile per studiare l’estensione della malformazione, la pervietà e la continenza dei sistemi venosi superficiali e profondi e per escludere la presenza di fistole artero–venose. La RMN o la TC consente di definire in modo piu accurato l’estensione della malformazione e i rapporti anatomici con le strutture intorno. La fleblografia dovrebbe completare l’iter diagnostico ed è indispensabile per ottenere un quadro morfologico ed emodinamico della malformazione dell’intero sistema venoso. Terapia Gli obiettivi sono la regressione parziale o completa della malformazione, la riduzione o scomparsa dei seni di insufficienza venosa, la riabilitazione funzionale dell’arto interessato, l’eliminazione o il ridimensionamento di vari inestetismi. La sceloterapia ha trovato ultimamente ampia diffusione tanto da essere considerata una valida alternativa o un utile complemento della chirurgia soprattutto nelle forme lacunari a localizzazione cranio–faciale. Consiste nella iniezione di soluzione sclerosante per via percutanea diretta nelle malformazioni venose isolate. Nelle M.V. di piccolo calibro si preferisce l’uso del polidicanolo in soluzione al 2–3%,mentre in quelle di grosso calibro si preferisce utilizzare agenti sclerosanti piu potenti come l’etanolo al 95%. La chirurgia riveste comunque un ruolo fondamentale nel trattamento delle MV: la procedura chirurgica piu frequente consiste Emangiomi e malformazioni vascolari 79 nella asportazione delle vene malformate di tipo lacunare o reticolare agli arti inferiori che deve essere preferibilmente eseguita con tecnica mininvasiva praticando micro–incisioni cutanee e utilizzando speciali uncini da flebectomia. Nella maggioranza dei casi è utile attuare una terapia combinata. • LINFANGIOMI Vengono definiti con il termine di linfangiomi un gruppo estremamente eterogeneo di malformazioni a carico dei vasi linfatici, presenti ovunque ad eccezione del sistema nervoso centrale, le quali consistono in voluminose masse cistiche di consistenza molle–spugnosa, compressibili, presenti alla nascita e con tendenza ad un graduale accrescimento nel corso degli anni. Epidemiologia I linfangiomi sono malformazioni rare, costituendo solo il 6% di tutte le tumefazioni benigne in età pediatrica. Essi possono colpire entrambi i sessi a qualunque età, anche se nel 80% dei casi compaiono entro il primo anno di vita ed nel 90% entro il secondo. Per quanto riguarda la localizzazione, i linfangiomi del collo sono sicuramente i più comuni (75% dei casi) andando a costituire la seconda tumefazione per frequenza in questa sede preceduta solo dalla cisti del dotto tireoglosso. Altre sedi, anche se con frequenza minore rispetto al collo, comprendono l’ascella, il torace e le estremità inferiori; rara è la localizzazione a livello della laringe, della lingua, della bocca e della congiuntiva. 80 Capitolo 3 Embriologia e patogenesi Il sistema linfatico inizia a svilupparsi più tardi rispetto a tutte le altre porzioni del sistema cardiovascolare e i suoi abbozzi non appaiono fino alla fine della quinta settimana di gestazione. Quale sia effettivamente l’origine delle cellule che andranno a costituire il sistema linfatico non è ancora molto ben conosciuta ma probabilmente si sviluppano secondo due diverse modalità; una parte di esse si forma direttamente in situ dal mesenchima, mentre altre hanno origine tramite delle evaginazioni a forma di sacco dall’endotelio delle vene (sacchi linfatici primitivi). In questo modo, quindi, si formano, oltre a degli abbozzi di cellule del sistema linfatico sparse per tutto l’organismo, anche sei sacchi linfatici primitivi. Di questi, due sono giugulari (sono quelli di maggiori dimensioni), collocati a livello dell’unione delle vene giugulari con le vene cardinali anteriori, due iliaci, a livello dell’unione delle vene iliache con le vene cardinali posteriori, uno retroperitoneale, collocato nei pressi della radice del mesentere, e uno corrisponde alla futura cisterna del chilo, collocata dorsalmente rispetto al sacco peritoneale. Questi sacchi linfatici primitivi vengono poi collegati tra di loro per mezzo di numerosi canali di drenaggio che hanno avuto, invece, origine a partire dalle cellule mesenchimali. In condizioni fisiologiche normali, nessuna porzione dei sacchi linfatici primitivi viene esclusa dalla rete linfatica in via di sviluppo, ma ciò può comunque accadere e, quando succede, la linfa qui prodotta non trova via d’uscita, con conseguente formazione di un linfangioma. I linfangiomi a carico del collo, i più frequenti, originano dalla mancata formazione di vasi di drenaggio di tutti o di una porzione dei sacchi giugulari primitivi. Clinica Nella maggior parte dei casi i linfangiomi sono completamente asintomatici, dando solo problemi di tipo estetico sopratutto se di grosse dimensioni. In alcuni casi i linfangiomi di maggiori dimensioni del collo possono determinare disfagia e distress respiratorio come conseguenza della compressione delle prime vie aeree e digestive. In ogni caso essi si presentano come delle tumefazioni teso–elastiche Emangiomi e malformazioni vascolari 81 ricoperte da cute normale le quali possono andare incontro a risoluzione spontanea, possono aumentare improvvisamente di volume, come conseguenza o di infezione o di emorragia, oppure possono, come accade nella maggior parte dei casi, accrescersi lentamente come conseguenza del progressivo accumulo di liquidi. Diagnosi e diagnosi differenziale La diagnosi di un linfangioma può essere pre– e post–natale e si basa sia sul reperto clinico sia su tecniche di imaging. Tra queste sicuramente la prima da eseguire è l’ecografia. I linfangiomi cistici, a contenuto liquido, appaiono come delle formazioni completamente anecogene, se però compaiono degli echi disomogenei, è possibile che, o la cisti sia andata incontro ad un processo infettivo, o che sia stata sede di emorragia recente o pregressa. I linfangiomi microcistici appaiono, invece, come strutture fortemente ecogene in quanto la componente solida è notevole. Il solo esame ecografico può non essere sufficiente per la diagnosi di lesioni profonde del collo o che si approfondano nel mediastino. In questo caso l’esame di scelta è sicuramente la RMN che ci permette di definire al meglio la lesione e di stabilire con estrema precisione i suoi rapporti con le strutture circostanti. Bisogna sottolineare che alcuni linfangiomi possono essere diagnosticati, sempre ecograficamente, già nel periodo prenatale e possono presentarsi o come delle piccole cavità ripiene di liquido o come voluminose cisti causa di polidramnios, distocia e distress respiratorio alla nascita. In questi casi è possibile programmare il parto e procedere all’intubazione del neonato prima del suo distacco dalla placenta. Terapia Per i linfangiomi di piccole dimensioni e completamente asintomatici l’approccio terapeutico consiste nell’attesa, decisione giustificata dal fatto che in alcuni casi è possibile una regressione spontanea. L’unico rischio, in questo caso, è la possibilità che la lesione vada incontro a infezione o a rapido aumento di volume, condizioni che possono rendere più complicata la loro asportazione chirurgica. In tutti gli altri casi è indicato il trattamento chirurgi- 82 Capitolo 3 co, (fig. 9–10), o l’iniezione intralesionale di sostanze sclerosanti. La rimozione chirurgica di un linfangioma differisce da caso a caso, in alcuni casi è semplice mentre in altri, essendo la lesione adesa intimamente ai vasi ed ai nervi del collo, può essere associata a complicanze nervose ed emorragiche. L’incidenza di recidive è, inoltre, elevata; 13% dopo exeresi microscopicamente completa e 40% nel caso di intervento non radicale. La generale insoddisfazione, data dall’alta incidenza di recidive o di complicanze, ha spinto alla ricerca di soluzioni alternative alla chirurgia, di cui quella che ha avuto ed ha tutt’oggi il maggior successo è l’uso di sostanze ad azione sclerosante (Tissucol, Bleomicina,Ethibloc e OK–432). Esse determinano, almeno nei casi di linfangiomi monoconcamerati, la regressione completa in oltre il 90% dei casi (Fig. 11 a–b). Figura 9 – Linfangioma ascella dx. Figura 10 – Exeresi chirurgica. Figura 11a – Linfangioma del collo trattato con Ok432. Figura 11b – Regressione completa. Capitolo 5 MALFORMAZIONI DELLA CAVITÁ CELOMATICA La cavità celomatica, o cavità intraembrionaria, è la struttura primitiva dell’embrione in formazione, da cui si formerà la cavità pericardica, pleurica e peritoneale. Il celoma si forma precocemente nel corso dell’embriogenesi e si divide in una porzione pleuro–pericardiale (craniale) e una porzione pleuro–peritoneale (caudale) con la frapposizione tra le due dell’abbozzo del diaframma, la cavità celomatica intraembrionaria comunica, attraverso lo spazio celomatico da cui ernia l’intestino medio, con la cavità celomatica extraembrionaria. Tutte le cavità sono ripiene di liquido. Le patologie che derivano da un difetto di sviluppo della cavità celomatica vengono riportate in questo capitolo. 5.1 Ernia inguinale Incidenza L’ernia inguinale è più frequente nei maschi; nel 60–70% dei casi è localizzata a destra, nel 20% dei casi a sinistra e nel 5–15% dei casi è bilaterale. Embriopatogenesi La gonade inizia a svilupparsi durante la 5a settimana della vita intrauterina. Al polo inferiore della gonade, una striscia di cellule mesenchimali, si sviluppa in una struttura a forma di benderella che diverrà il gubernaculum testis nell’uomo e il legamento rotondo nella donna. Questa struttura raggiunge, alla 30° settimana di vita circa, l’anello 141 142 Capitolo 5 inguinale esterno e da qui migra al polo inferiore dello scroto, lungo il dotto peritoneo–vaginale, mentre il legamento rotondo raggiungerà le grandi labbra, sempre lungo il dotto peritoneo–vaginale, che nelle donne prenderà il nome di canale di Nück. Il processo vaginale si oblitera nelle successive fasi di sviluppo del feto e del bambino, (fig. 1a). La parete del dotto peritoneo vaginale è formata dal prolungamento mesoteliale del peritoneo ricoperto da un sottile strato di connettivo e alcune cellule muscolari lisce. Aderente al legamento vaginale nel bambino c’è il deferente e nella bambina il legamento rotondo. Esso si presenta pervio alla nascita in circa il 90% dei bambini, risulta tale nel 40% ad un anno, e nel 20% a due anni. La mancata obliterazione del processo vaginale favorisce la formazione di un’ernia inguinale e/o un idrocele. Il meccanismo con cui si verifica la chiusura del D.P.V. non è noto. In caso di: – Persistenza di un ampio dotto p.v. pervio si può verificare un’ernia completa (fig. 1e); o incompleta in caso di obliterazione caudale del d.p.v, (fig. 1d); – In caso di persistenza di un d.p.v. con un colletto più stretto, si può verificare un idrocele comunicante, (fig. 1b), oppure, qualora la porzione più craniale del dotto sia andata incontro ad obliterazione, la raccolta liquida sarà limitata, realizzando in tal modo un idrocele del funicolo o una cisti non comunicante o nella femmina una cisti di Nück. (fig. 1c) Il contenuto dell’ernia può essere intestino tenue, cieco ed Figura 1 – Classificazione della patologia del dotto peritoneo vaginale. Malformazioni della cavità celomatica 143 appendice, diverticolo di Meckel, omento, testicolo, ovaio, tube e utero. Diagnosi La più comune presentazione è una tumefazione molle, elastica, con polo superiore non apprezzabile, che si manifesta in maniera intermittente a livello dell’anello inguinale interno, nella regione inguinale, e che si può estendere fino allo scroto o alle grandi labbra; nelle bambine l’ernie sono sempre un po’ più in basso, sotto il legamento inguinale, rientrando spesso in diagnosi differenziale con le ernie crurali. Se all’esame obiettivo non è presente la tumefazione erniaria può essere resa manifesta aumentando la pressione endoaddominale del bambino, cioè facendolo piangere, ridere o tossire. Nella diagnosi differenziale tra un’ernia ed un idrocele, la transilluminazione può essere utile oltre all’indagine ecografica. Fino a che l’ernia non si incarcera non causerà sintomi anche se in una discreta percentuale di pazienti può essere presente un certo discomfort. È opportuno sempre visitare il lato opposto. • ERNIE COMPLICATE Anche se lo strozzamento dell’ernia inguinale può presentarsi in qualsiasi momento dell’età pediatrica, questa complicanza è più comune nei primi mesi di vita, soprattutto nei prematuri. La manifestazione clinica nelle fasi precoci è spesso insidiosa con un bambino che si presenta irritato in maniera non specifica. Successivamente una tumefazione arrossata e tesa si rende manifesta a livello dell’inguine con associati sintomi di ostruzione intestinale. La diagnosi differenziale include la torsione del testicolo e le linfoadenopatie inguinali suppurative. L’iter terapeutico da adottare in un bambino con ernia incarcerata e/o strozzata è la riduzione e la correzione chirurgica. Per ridurre un’ernia, le dita di una mano devono essere applicate a livello del collo del sacco per sostenerlo e prevenire che l’ernia venga semplicemente spinta sotto la pelle e non all’interno dell’addome. Una leggera pressione delle dita può ridurre parte dell’edema che si è venuto a formare, nel frattempo le dita dell’altra mano eserciteranno una pressione al polo inferiore dell’ernia. Se si 144 Capitolo 5 trovano difficoltà nel ridurre l’ernia il paziente dovrà essere sedato, previo posizionamento di un accesso venoso. Una volta ridotta l’ernia dovrà essere corretta precocemente per il rischio che l’evento si verifichi nuovamente. Terapia Appena diagnostica un’ernia in un bambino c’è indicazione per una terapia chirurgica. Particolare attenzione dovrà essere rivolta nei bambini con meno di 1 anno di età per il rischio di complicanze. Il canale inguinale misura meno di 2 cm nel primo anno di vita e più del doppio all’età di 4 anni. Per i bambini con meno di 2 anni si può effettuare un approccio inferiore, con incisione nel punto in cui le strutture del funicolo spermatico raggiungono il tubercolo pubico. Si incidono le fasce superficiali fino a visualizzare il funicolo emergente dall’anello inguinale esterno. Gli strati superficiali del funicolo sono incisi e divaricati in modo da esporre il muscolo cremastere, che a sua volta verrà inciso ed aperto in modo da rendere possibile l’identificazione del D.P.V. È importante isolare il dotto dalle strutture circostanti, in maniera delicata per non ledere il deferente e i vasi, fino al collo del sacco stesso. Esplorare il contenuto del sacco, ridurlo e legare il sacco al colletto e infine sezionarlo. Per i bambini con più di 2 anni è più conveniente utilizzare un approccio alto esponendo il collo del D.P.V. a livello dell’anello inguinale interno. Complicanze chirurgiche sono la recidiva dell’ernia, se il sacco non è stato escisso in maniera completa, infezioni, riduzione del volume testicolare, criptorchidismo iatrogeno, lesione del deferente o alterazioni dell’epididimo. 5.2 Idrocele L’embriologia dell’idrocele è la stessa dell’ernia inguinale. Nelle bambine si manifesta come una tumefazione a livello delle grandi labbra ed è chiamato idrocele del canale di Nück. La diagnosi differenziale deve includere un teratoma testicolare (parzialmente cistico e trans illuminabile) e naturalmente le ernie. Malformazioni della cavità celomatica 145 Terapia Nel primo anno di vita l’idrocele si risolve nella maggior parte dei casi. Dal secondo anno in poi è consigliata la terapia chirurgica. 5.3 Ernia crurale L’ernia crurale fuoriesce dall’anello crurale nel triangolo di Scarpa. In età pediatrica sono rare, essendo circa l’1% di tutte le ernie inguinali, sono più frequenti nel sesso femminile. Se si presentano sotto i 5 anni sono da considerare congenite, anche se è ancora dibattuta l’ipotesi sull’esatta etiopatogenesi. Anatomia La regione sub–inguinale o crurale è da considerarsi come una lacuna semilunare formata dal legamento inguinale (in alto) e dalla concavità dell’osso pubico (in basso). La benderella ileopettinea divide la regione sub–inguinale in due lacune: – Lacuna muscolorum: parte laterale della regione sub–inguinale, più ampia, occupata del muscolo ileopsoas e dal nervo femorale. – Lacuna vasorum: parte mediale della regione sub–inguinale occupata dai vasi femorali (arteria lateralmente e vena medialmente, avvolte da una guaina comune). Tra la vena femorale e il legamento di Gimbernat (costituito dall’inserzione sulla cresta pettinea di alcuni fasci fibrosi del legamento inguinale) si trova uno spazio, la Lacuna linfatica (contenente il linfonodo di Cloquet), che occupa la porzione mediale della lacuna vasorum. Anatomia patologica L’ernia crurale più frequente è quella infundibolare (linfolacunare). La porta erniaria è costituita da: – legamento inguinale (superiormente) 146 Capitolo 5 – fascia del muscolo pettineo (inferiormente) – legamento di Gimbernat (medialmente) – vena femorale (lateralmente) Possono esserci altre varianti più rare dell’ernia crurale: – Ernia muscolo–lacunare – Ernia vasolacunare – Ernia di Laugier – Ernia pettinea (nella lacuna muscolorum) (nell’interstizio dei vasi femorali) (attraverso il legamento di Gimbernat) (attraverso il muscolo pettineo) Diagnosi Sono solitamente ernie di piccolo volume, apprezzabili come piccole tumefazioni, lievemente dolenti. La diagnosi è pertanto prettamente clinica, con eventuale conferma ecografica. A volte possono venire erroneamente confuse con ernie inguinali. Normalmente quest’ultime sono situate al di sopra della linea ideale che congiunge la spina iliaca antero–superiore con il tubercolo pubico, detta linea inguinale di Malgaigne, mentre le ernie crurali sono al di sotto. Per quanto riguarda la diagnosi differenziale, oltre alle ernie inguinali, bisogna considerare anche eventuali linfoadenopatie inguinali, che sono non riducibili, e gli aneurismi dell’arteria femorale. 5.4 Ernia epigastrica Sono dovute ad una piccola erniazione di grasso properitoneale, singola o multipla, a livello della linea mediana (linea alba), tra il 3° superiore e il 3° medio della linea che dall’ombelico raggiunge il processo xifoideo dello sterno. Raramente possono causare discomfort o dolore, in questi casi bisogna intervenire chirurgicamente con resezione del grasso e chiusura della porta erniaria. Malformazioni della cavità celomatica 147 5.5 Ernia ombelicale È la più comune ernia nei bambini. La presenza di ernia ombelicale è del 90% nel primo anno di vita, ma entro i primi anni si ha una probabilità molto elevata di chiusura spontanea dell’anello ombelicale, per l’aumento del tono e del trofismo dei muscoli retti dell’addome. Raramente vanno incontro a strangolamento. L’indicazione chirurgica si presenta nei rari casi con porta erniaria ampia ed in assenza di tendenza alla risoluzione. 5.6 Difetti congeniti della parete addominale anteriore Limitiamo la trattazione alle due più gravi patologie eviscerative neonatali e che conseguono ad un difetto di chiusura sulla linea mediana, nel corso dello sviluppo embrionale, della parete addominale anteriore: l’onfalocele e la gastroschisi. Negli ultimi anni si è giunti ad una drastica riduzione della morbilità di queste patologie grazie allo sviluppo di nuove tecniche chirurgiche, ai progressi compiuti nella terapia post–operatoria (NPT e ventilazione assistita) ed all’identificazione pre–natale, mediante la diagnostica ultrasonografica. • ONFALOCELE È un difetto mediano della parete addominale attraverso il quale possono erniarsi visceri sia cavi che parenchimatosi; tale difetto è ricoperto, in maniera non uniforme, all’esterno dalla membrana amniotica ed all’interno dal peritoneo, con l’interposizione di gelatina di Warton. Il cordone ombelicale si inserisce direttamente sulla membrana. Tale sacco erniario si può rompere spontaneamente in utero, durante la gravidanza o durante il parto. Se la rottura avviene in epoche precoci di gestazione, alla nascita l’intestino eviscerato appare congesto e coperto da un essudato spesso, a causa del contatto con il liquido amniotico. Le dimensioni dell’onfalocele possono variare da 3–4 cm di diametro fino a 8–10; quest’ultimo tipo, conosciuto come onfalocele gigante, o permagno, presenta al suo interno il fegato, l’intestino tenue e il crasso, e a volte an- 148 Capitolo 5 che altri organi. I difetti addominali più piccoli possono presentare l’erniazione di poche anse intestinali e quindi, più realisticamente, potrebbero essere definiti come ernie del cordone ombelicale. La localizzazione extraddominale dei visceri in utero può condurre ad una cavità addominale piccola. Epidemiologia La stima dell’incidenza dell’onfalocele varia da 1/3.200 nati vivi a 1/10000 senza una significativa differenza nella distribuzione tra i sessi. Embriopatogenesi Dipende da un difetto di chiusura e di sviluppo della parete addominale dovuto ad un mancato ritorno del primitivo intestino medio dal celoma extraembrionario alla cavità addominale, eventi che si svolgono normalmente tra la V e la X settimana di gestazione. La conoscenza di questi stadi dello sviluppo embrionale spiega perché la diagnosi ecografica prenatale di onfalocele non sia possibile prima della XII settimana di gestazione. Anomalie associate Più frequentemente ritroviamo anomalie cardiache, quali la tetralogia di Fallot (33%), ed i difetti interatriali (25%). Difetti del S.N.C. sono presenti nel 2–8% dei casi mentre le varie anomalie cromosomiche incidono per il 20%. La sindrome di Beckwith–Wiedemann (macroglossia, gigantismo, visceromegalia ed ipoglicemia) si associa all’onfalocele circa nel 12% dei casi. Altre sindromi malformative di rilievo, anche se di eccezionale riscontro, sono la Pentalogia di Cantrell (onfalocele epigastrico, diastasi dei retti, ernia diaframmatica anteriore, cleft sternale distale, difetti del pericardio, spostamento anteriore del cuore e malformazioni cardiache) e la cosiddetta CHARGE. In presenza di onfalocele è sempre associata la malrotazione intestinale (“mesenterium comune”), caratterizzata da una lassità dei mezzi di fissazione dell’intestino, con relativo aumento dell’incidenza di volvolo. Malformazioni della cavità celomatica 149 Diagnosi La diagnosi ecografica endouterina di onfalocele può essere effettuata dopo la XIV settimana di epoca gestazionale, quando l’intestino fetale, in condizioni normali, dovrebbe essere rientrato in cavità addominale. Qualora venga visualizzato un difetto della parete addominale, la gestante dovrà essere sottoposta ad esami di approfondimento per escludere l’eventuale coesistenza delle malformazioni associate, sovra ricordate, e la cui gravità prognostica può anche porre il problema decisionale dell’IVG. Il dosaggio AFP sierica materna trova la sua utilità in quanto un feto con difetti della parete addominale può essere individuato tramite il reperto di alti livelli di alfafetoproteina (AFP) nel siero materno; questa alterazione si ha sia nell’onfalocele che nella gastroschisi. Valori di AFP doppi rispetto alla norma sono predittivi nel 99% di gastroschisi, nel 78% di onfalocele e nell’89% di entrambi i difetti. Terapia Subito dopo il parto, avvenuto preferibilmente, con taglio cesareo, l’addome viene ricoperto da garze imbevute di soluzione fisiologica tiepida e l’onfalocele viene avvolto in un telo di plastica per evitare la disidratazione. Viene introdotto un sondino naso–gastrico per detendere lo stomaco ed una sonda rettale per liberare dal meconio l’intestino distale. In ogni paziente viene posizionato, inoltre, un catetere venoso centrale (CVC) necessario alla nutrizione parenterale totale (NPT) durante il periodo postoperatorio. Gli accertamenti necessari per la diagnosi delle anomalie associate sono prioritari rispetto al trattamento chirurgico dell’onfalocele. In caso di onfalocele di medie e piccole dimensioni, si procede alla chiusura primaria con escissione del sacco, ovvero si rimuove il sacco previa legatura dei vasi ombelicali, e si sutura la parete addominale in toto; oppure, per dimensioni maggiori, si può procedere alla chiusura primaria senza rimuovere il sacco. In entrambe le evenienze si associa il così detto “stretching” della parete addominale che consiste in una vigorosa divulsione digito–manuale esercitata dall’interno del cavo peritoneale sui muscoli parietali, allo scopo di aumentare la compliance e di riu- 150 Capitolo 5 scire a chiudere l’addome senza avere complicanze cardiorespiratorie, che si avrebbero in caso di persistente aumento pressorio intraddominale con diminuito ritorno venoso alla cava inferiore e diminuita mobilità diaframmatica. Nei casi di onfalocele di grandi dimensioni nei quali il tentativo di chiusura primaria della parete addominale, previa manovra di stretching, fallisca, si esegue la tecnica di Schüster, che prevede l’utilizzo di una protesi di materiale sintetico suturata ai margini fasciali laterali, ridotta gradualmente di dimensioni, nei giorni successivi, fino ad arrivare alla chiusura completa della parete addominale. Prognosi È fondamentalmente correlata sia alle complicanze addominali insite, in modo particolare, all’uso di protesi (infezioni, aderenze intestinali occlusive) e sia alla gravità delle malformazioni associate che a tutt’oggi condizionano in molti casi la sopravvivenza. • GASTROSCHISI La gastroschisi, o laparoschisi, è un difetto piccolo, completo, della parete addominale, localizzato alla destra del cordone ombelicale e separato da esso, qualche volta, da tessuto cutaneo. In questa patologia si ha l’eviscerazione di anse intestinali non ricoperte da peritoneo; inoltre il fegato è collocato sempre all’interno dell’addome. Queste caratteristiche distinguono la gastroschisi dall’onfalocele. Sono eccezionali e atipici i casi nei quali è presente l’erniazione della colecisti, dell’utero, delle tube, della vescica, dei testicoli e delle ovaie. A causa della mancanza del peritoneo, le anse intestinali eviscerate, esposte per lungo tempo al contatto con il liquido amniotico, appaiono edematose ed alcune volte anche compromesse dal punto di vista vascolare. Clinica Viene suddivisa in una varietà antenatale, in cui l’aspetto macroscopico delle anse risulta maggiormente alterato, ed un perinatale, in cui i segni di sierositi sono scarsi. Malformazioni della cavità celomatica 151 Epidemiologia Incidenza di circa 1/10000 nati vivi, generalmente non si associa a sindromi. Embriopatogenesi La patogenesi della gastroschisi è correlata alla regressione in utero della vena ombelicale destra (XXVIII–XXXIII giornata di epoca gestazionale) che determina un locus minoris restistentiae. Anomalie associate Tra le anomalie, presenti nel 10–15%, si ricorda l’atresia e le stenosi intestinali. Diagnosi La diagnosi ecografica prenatale è caratterizzata dal rilevamento di un difetto addominale localizzato alla destra del cordone ombelicale e dall’evidenza di anse libere nel liquido amniotico. Dopo la nascita, la diagnosi è confermata dal tipico reperto obiettivo che comprende anche la mancanza del sacco sulle anse intestinali eviscerate. Terapia Il primo presidio da attuare nel neonato con gastroschisi consiste nel mantenere le anse eviscerate in atmosfera caldo–umida, evitando i pericoli della disidratazione e dell’ipotermia. A tal fine vengono ricoperte con flanelle sterili e bagnate con soluzione disinfettante tiepida blandamente iodata. Prima dell’intervento, da attuarsi poche ore dopo la nascita, si procede ad una decompressione addominale mediante sondino naso–gastrico e svuotamento del meconio mediante irrigazione rettale. Il trattamento chirurgico della gastroschisi mira sempre alla ricostruzione primaria della parete addominale. Poiché il difetto addominale è piccolo è necessario allargare la breccia con un’incisione longitudinale sopra 152 Capitolo 5 e sottostante. Abitualmente la matassa intestinale, ancorché conglutinata e parietalmente ispessita ed edematosa, non viene ispezionata né manipolata ma viene riposta, così come è, all’interno della cavità addominale, la cui chiusura immediata è quasi sempre perseguibile previa la già descritta manovra di stretching. In caso di impossibilità si procede a chiusura differita ricorrendo all’applicazione di una protesi temporanea in goretex (tecnica di Schüster). Qualunque sia la tecnica usata, una NPT protratta per almeno due settimane è quasi sempre necessaria, per consentire alle anse edematose di riprendere la peristalsi. Eventuali problemi di ostacolata canalizzazione legati a componente occlusiva se comprovati da studio radiologico con mezzo di contrasto, verranno affrontati in un secondo tempo con approccio laparotomico. 5.7 Ernia diaframmatica congenita L’ernia diaframmatica congenita è una malformazione caratterizzata da un mancato sviluppo, parziale o completo, della cupola diaframmatica e dalla conseguente migrazione degli organi addominali nel torace durante la vita fetale. L’anomalia si associa ad ipoplasia polmonare di varia gravità, in quanto questa condizione causa dislocazione e compressione delle strutture toraciche. Incidenza È di 1/5000 nati vivi; la prognosi è di solito severa, con un tasso di sopravvivenza tra i nati vivi del 50%, nonostante i recenti progressi nelle conoscenze anatomiche, fisiologiche, cliniche e nel trattamento intensivo del neonato. Nella maggior parte dei casi è una malformazione sporadica ed isolata, non associata ad altre anomalie ma può presentarsi nel contesto di aberrazioni cromosomiche o sindromi genetiche. Embriopatogenesi La migrazione dei visceri addominali nel torace avviene nei primi mesi di vita intrauterina, attorno alla 8°–10° settimana di gestazione, Malformazioni della cavità celomatica 153 in conseguenza di un difetto del canale pleuroperitoneale che esita nella mancata fusione degli abbozzi diaframmatici. La presenza dei visceri addominali nel torace causa compressione dei polmoni durante il loro sviluppo, si avranno perciò polmoni ipoplasici e spostamento degli organi mediastinici dal lato opposto all’ernia; tuttavia in alcuni studi sperimentali sull’embriogenesi dell’ernia diaframmatica, sembra che l’ipoplasia polmonare preceda il difetto diaframmatico. Al momento della nascita, con il pianto e la deglutizione di aria, i visceri si riempiono rapidamente di aria, si distendono e rendono impossibile l’espansione dei polmoni, già peraltro compromessi, determinando di stress respiratorio acuto. L’ipoplasia e la conseguente ipertensione polmonare persistente comportano l’aumento delle resistenze vascolari polmonari con diminuzione del flusso ematico polmonare, con shunt destro–sinistro e grave ipossiemia. L’ipertensione polmonare persistente è una delle più frequenti cause di morte fra i lattanti con ernia diaframmatica. Ernia parasternale IVC Agenesia del diaframma. (difetto del setto trasverso) Iato esofageo Aorta Ernia posterolaterale Figura 2. – Difetti diaframmatici 154 Capitolo 5 Il difetto è in genere postero–laterale (ernia di Bochdalek). Le dimensioni dell’orifizio erniario variano da 2–3 cm di diametro, fino ad interessare l’intero emidiaframma. I difetti ampi sono circoscritti solamente da un margine muscolare. Nell’90% dei casi è coinvolto l’emidiaframma sinistro con erniazione della matassa del tenue, del colon (destro, traverso, e parte del discendente), della milza ed eventualmente dello stomaco (Fig. 2). Sintomatologia L’ernia diaframmatica congenita deve essere sospettata alla nascita o nei neonati nelle prime ore di vita quando essi presentano severa insufficienza respiratoria e cianosi, raramente rimangono asintomatici oltre le 24 h di vita. Di solito questi pazienti hanno un addome scafoideo ed un torace asimmetrico e disteso, con possibilità di auscultare borborigmi nell’emitorace coinvolto, rumore respiratorio ridotto o assente e i suoni cardiaci spostati verso il lato opposto. Figura 3a Ernia diaframmatica post–lat–sx. Rx pre–operatoria presenza di anse intestinali nell’emitorace sx. Sbandamento del mediastino verso dx. Figura 3b – RX post–operatoria. Normalizzazione del quadro anatomico. Malformazioni della cavità celomatica 155 Diagnosi Può essere diagnosticata in epoca prenatale con ecografia da eseguire intorno alla 20–25ª settimane di gestazione, la visualizzazione di fegato, stomaco, intestino nel torace sono indicativi di severa ipoplasia polmonare. La diagnosi prenatale di ernia dia– frammatica suggerisce una prognosi severa. La diagnosi postnatale è posta sulla base del quadro clinico e confermata da un rx torace che mostra tipicamente la presenza di anse intestinali nell’emitorace e lo spostamento del cuore e delle strutture mediastiniche dal lato opposto all’ernia (Fig. 3a–3b). Terapia Alla nascita la stabilizzazione delle condizioni cliniche è fondamentale prima di iniziare l’approccio chirurgico. Esso può essere laparotomico, laparoscopico, o toracoscopico attraverso i quali i visceri erniari vengono riposizionati in addome e la lacuna frenica viene suturata, previa asportazione del sacco erniario (se presente) lasciando un drenaggio toracico. Se la lacuna è troppo grande si può ricorrere ad un patch protesico. • ERNIA RETROSTERNALE DI MORGAGNI–LARREY Nel 4–6% dei casi l’ernia si può presentare a livello retrosternale. Rappresenta un difetto della porzione anteriore del diaframma (apertura dietro il processo xifoideo dello sterno) nella zona di passaggio delle arterie mammarie interne. Si localizza nel 90% dei casi nel lato destro (hiatus sternocostalis di Morgagni) e nel 10% dal lato sinistro (hiatus sternocostalis di Larrey). L’ernia in genere rimane silente fino all’età adolescenziale o adulta, presentandosi con infezioni respiratorie ricorrenti, infezioni intestinali, ed eventualmente strangolamento con necrosi delle anse erniate. 156 Capitolo 5 Capitolo 6 PATOLOGIA DELL’APPARATO DIGERENTE 6.1 Enterocolite necrotizzante L’enterocolite necrotizzante (NEC) è una grave forma di enterocolite acquisita nel primo mese di vita, caratterizzata da gradi variabili di necrosi ischemica del tenue e/o colon. Rappresenta la causa più rilevante di morbilità e mortalità nei prematuri. Essa interessa: – 44% Ileo terminale e colon – 30% Ileo – 26% Colon Eziopatognesi L’eziologia non è ancora perfettamente nota. Si ipotizza che il meccanismo patogenetico origini a livello della mucosa a causa di un basso flusso mesenterico che provocherebbe un trauma ischemico. Su questa lesione si svilupperebbero successivamente colonie batteriche che colonizzano l’intestino (Klebsiella, Pseudomonas, E Coli, Enterobacter Cloacae, S Epidermidis, C Perfringens). Il sistema immunitario, ancora immaturo, non arresta la crescita di queste colonie batteriche con conseguente endotossinemia e shock. 157 158 Capitolo 6 Quadro clinico Nei prematuri l’addome inizialmente è palpabile ma con il progredire della malattia diventa disteso e non trattabile. Possono essere palpate le anse dilatate ed uditi crepitii. Nel 5% dei pazienti si può avere cellulite della parete addominale e dello scroto con edema ed iperemia della cute (segni suggestivi di peritonite neonatale). Nel 30% dei casi compare vomito di tipo biliare dovuto al voluminoso ristagno gastrico. Nel 20% si può avere diarrea muco sanguinolenta, letargia, temperatura instabile (raramente febbre), apnea, bradicardia e shock. Diagnosi Per la diagnosi il quadro clinico deve essere supportato dai segni radiologici. – Pneumatosi intestinale: sebbene sia patognomonica della NEC non è sempre presente; – Aeroportia: il gas intramurale intestinale viene assorbito dal “sistema venoso mesenteriale” fino alla vena porta. Si presenta come una “arborizzazione” a livello del quadrante superiore destro dell’addome, è presente nel 60% dei pazienti con pan–necrosi; – Pneumoperitoneo: meglio visualizzabile nella radiografia in proiezione laterale, è l’espressione di perforazione infettiva con aria libera in cavità peritoneale; – Ascite: liquido libero in cavità peritoneale. Si manifesta radiologicamente con una opacità ai fianchi. Ascite e aeroportia sono associate ad un’alta mortalità, il 40% dei pazienti con ascite hanno una perforazione intestinale; – Segno dell’aria intestinale “fissa”: immagini persistenti di anse intestinali dilatate e fisse per 24–36 ore, suggerisce una mancanza di peristalsi secondaria a necrosi intestinale. Alcune volte la paracentesi sotto guida ecografica è utile come diagnostica accessoria, anche in presenza di estesa pneumatosi intestinale. La presenza di liquido bruno con microrganismi è fortemente suggestiva di gangrena intestinale. Patologia dell’apparato digerente 159 Terapia Nei 2/3 dei neonati non è richiesta terapia chirurgica, ma è sufficiente la sola terapia medica fino alla risoluzione clinica della malattia. La più comune complicanza è la stenosi intestinale, solitamente del colon. Lo schema diagnostico–terapeutico prevede l’emocoltura, il posizionamento di un sondino naso–gastrico, la correzione dell’ipovolemia e dell’acidosi attraverso somministrazione di bicarbonati, la terapia antibiotica, la correzione dell’anemia e della coagulopatia e una radiografia dell’addome in bianco ripetuta ogni 6–8 ore. Le indicazioni della terapia chirurgica e la procedura operatoria con i tempi chirurgici vengono riportati nelle tabelle 2 e 3. Tabella 2 Terapia Chirurgica: indicazioni La perforazione o necrosi intestinale, documentata con Rx diretta (pneumoperitoneo) e/o con paracentesi (liquido bruno con batteri) rappresenta la sola indicazione alla esplorazione chirurgica La pneumatosi intestinale non rappresenta una indicazione alla laparotomia La presenza di gas nella vena porta è una indicazione relativa all’esplorazione chirurgica (90% di chi hanno gangrena e 50% hanno una pan-necrosi) Tabella 3 N EC: Procedura Ope rator ia Incisione addom inale tra sve r sa sovr aombe lica le Esa me della cavità addomina le / li quido pe ri tonea le Esa me siste matico inte r o tratto G. I. pe r la rice rca di necr os i/per forazioni Re se zione de l se gme nto necrot ico (unico) + st om ia doppia moncone dis tale /pross ima le Re se zione di se gm enti colici multipli + stomia pr ossim ale e s tomia dis tale (con multiple anastom osi del tra tto inte sti na le) Pr es er vare più possibile la lunghe zza de ll’inte stino e la valvola il eo-cecale Una r ese zione m as siva, in cui rim ane me no di 30 cm di inte sti no de ve ess er e e vitata 6.2 Reflusso gastro–esofageo Introduzione Il reflusso gastro–esofageo (RGE) è una condizione frequente in età pediatrica. Spesso ha un decorso favorevole con tendenza alla regressione spontanea. Patogenesi del reflusso La barriera antireflusso può essere anatomicamente distorta, come nell’ernia iatale, o funzionalmente abolita. La perdita del tono sfinteriale per un lungo periodo porta alla creazione di un’unica cavità gastro–esofagea provocando un danno alla mucosa esofagea 160 Capitolo 6 da parte del materiale acido. Il meccanismo di barriera può essere assente o modificato in particolari condizioni cliniche come: – Danni cerebrali: pazienti con malattie neurologiche di varia origine possono avere un deficit della coordinazione respirazione–deglutizione e disturbi della motilità intestinale. – Anomalie Congenite: neonati operati alla nascita di atresia esofagea, ernia diaframmatica congenita o difetti della parete addominale (onfalocele, gastroschisi) frequentemente sviluppano RGE. – Ostruzioni distali: stenosi ipertrofica del piloro, stenosi duodenale o malrotazione gastrica ritardano lo svuotamento gastrico facilitando il RGE. Storia naturale A differenza dell’adulto, nell’infanzia il RGE spesso tende spontaneamente a migliorare. Nonostante non ci siano evidenze manometriche fondate, si è soliti pensare che la barriera esofago–gastrica sia immatura nel neonato e che la progressiva crescita riduca la tendenza al reflusso. Altri fattori, come il decubito obbligato, i pasti esclusivamente liquidi (latte materno o artificiale), la piccola dimensione dell’esofago e dello stomaco con scarsa capacità gastrica e le differenti pressioni vigenti tra l’addome ed il torace favoriscono il reflusso nel neonato o nel lattante. A partire dai 12–18 mesi e in alcuni casi anche più precocemente, con lo svezzamento, la maggior parte dei piccoli pazienti tendono a ridurre la sintomatologia, sopratutto nel momento in cui cominciano ad assumere la stazione eretta ed avere una alimentazione solida. Dopo i 2 anni solo una piccola minoranza rimane sintomatica; ed è in questo gruppo, e nei soggetti neuropatici gravi, che verranno selezionati i pazienti da sottoporre a terapia chirurgica. Diagnosi Nei bambini, il RGE si può presentare con tre diverse manifestazioni patologiche, che in alcuni casi possono coesistere: – Vomito. È il segno principale nei neonati e nei lattanti. È fre- Patologia dell’apparato digerente 161 quente. Spesso è post–prandiale e non biliare. Questi bambini presentano un ritardo di crescita ed appaiono malnutriti dopo pochi mesi. Il vomito termina frequentemente nel momento in cui il bambino comincia a fare i primi passi. Se il RGE persiste dopo i due anni di età, raramente il vomito continua a presentarsi se non quando i pazienti assumono particolari posizioni. Altre conseguenze della presenza di materiale gastrico nell’esofago sono l’alitosi e la perdita progressiva dello smalto dentale. – Esofagite. Dovuta alla prolungata esposizione dell’esofago al contenuto gastrico acido. La mucosa si infiamma formando infiltrati di neutrofili ed eosinofili fino al sanguinamento. I più grandi potranno riferire dolore retrosternale o bruciore (pirosi) mentre i pazienti più piccoli spesso riferiscono dolore addominale non meglio specificato. – Malattie dell’apparato respiratorio. Crisi asmatiche, polmoniti o bronchiti recidivanti, atelettasie polmonari o semplicemente infiammazioni ripetute delle alte vie respiratorie compongono un vario ed importante gruppo di sintomi e segni che possono essere associati al RGE per inalazione di contenuto gastrico. Esami strumentali – Radiologia. Rx tubo digerente o pasto baritato. Il pasto baritato è la procedura classica utilizzata per fare diagnosi. Oltre a dare indicazioni di presenza di reflusso esso può fornire informazioni anatomiche (ernia iatale, stenosi esofagee, malrotazioni gastriche) utili per la terapia. – ECO–GER (ecografia dinamica per lo studio del reflusso gastro–esofageo). Questa procedura ha il vantaggio di essere un esame non invasivo, può dare informazioni sulla gravità del reflusso. – Endoscopia. Consente una visione diretta della mucosa (esofagite). – PH–metria (monitorizzazione del pH durante le 24 ore). Lo studio permette di documentare il numero di episodi in cui il pH scende sotto 4, la loro durata (>5 minuti) e la durata totale del reflusso. 162 Capitolo 6 – Manometria. Utile per valutare la motilità esofagea e la pressione dello sfintere esofageo inferiore. Terapia Il primo approccio terapeutico è sicuramente conservativo e consiste nel tenere il neonato–lattante in una posizione posturale corretta tale da provocare il minore reflusso possibile (idonea posizione del piccolo sia durante l’alimentazione che durante il sonno). Si associano l’uso di farmaci procinetici e anti–acidi. La terapia chirurgica viene presa in considerazione nel momento in cui vi sia un fallimento della terapia medica o una severa esofagite o un sanguinamento importante. Le tecniche chirurgiche (secondo tecnica tradizionale open e con approccio laparoscopico) sono numerose e prevedono una plicatura del fondo gastrico sull’esofago, le principali sono la funduplicatio sec. Nissen (plicatura di 360°), la emifunduplicatio sec. Toupet, sec. DOR (plicatura di 180°) o in casi particolarmente gravi, in bambini spesso cerebropatici, la dissociazione esofago gastrica (EGD) con esofago–digiunostomia su ansa alla Roux secondo A. Bianchi. 6.3 Stenosi Ipertrofica del Piloro La stenosi ipertrofica del piloro (SIP) è l’ipertrofia dello strato circolare e dello strato longitudinale della muscolatura della parete dello sfintere pilorico: il piloro risulta perciò aumentato sia in lunghezza che in spessore. La SIP è la più comune causa di ostruzione intestinale nei primi mesi di vita con una incidenza di 2–4 casi ogni 1000 nati vivi con rapporto maschi–femmine di 4:1. L’eziologia rimane sconosciuta e controversa, sicuramente multifattoriale. Non è da considerare un’anomalia congenita, ma una malattia acquisita perché normalmente si manifesta clinicamente dopo 2–4–6 settimane dalla nascita con vomito a getto post–prandiale non biliare. Patologia dell’apparato digerente 163 Sintomatologia Il sintomo fondamentale è il vomito a getto non biliare che si presenta dopo il pasto latteo, talvolta può esserci un vomito ematico a causa di erosioni della mucosa per il reflusso gastro–esofageo. Il vomito persistente causa la perdita progressiva di peso e squilibri idroelettrolitici. Nel 2–17% dei pazienti è presente un ittero a bilirubina indiretta. Diagnosi Dopo che il bambino ha vomitato o in momenti in cui il piccolo appare tranquillo possono esserci segni di iperperistalsi gastrica oppure è possibile palpare in regione epigastrica, lievemente a destra della linea mediana, una tumefazione dura e compatta (oliva pilorica). Lo studio ecografico rappresenta l’esame fondamentale per la diagnosi di SIP, dimostrando un allungamento e un aumento di spessore della muscolatura del piloro (C. Spinelli et al. Muscle thickness in infants hypertrophic pyloric stenosis. Ped Med Chir 2003). Lo studio radiologico con bario evidenza una dilatazione gastrica ed un canale pilorico allungato ed incurvato, con i due segni caratteristici della corda concava verso l’alto “string sign” e della doppia traccia “double track sign” (Fig 1–2). Figura 1 – Stenosi ipertrofica del piloro. Figura 2 – Stenosi ipertrofica del piloro. 164 Capitolo 6 Terapia chirurgica La terapia della SIP è chirurgica. Prima di sottoporre il neonato–lattante all’intervento bisogna correggere l’eventuale stato di disidratazione e l’alcalosi metabolica. Al momento della diagnosi si procede al posizionamento di un sondino naso–gastrico al fine di decomprimere lo stomaco. Si esegue successivamente una piloromiotomia extramucosa secondo Fredet–Ramstedt (con approccio tradizionale open o laparoscopico) in cui lo strato sieroso e la parete muscolare della porzione pilorica vengono incisi con bisturi a lama fredda. Le fibre muscolari vengono dissociate fino ad esporre la mucosa che tende ad estroflettersi (Fig. 3–5). Figura 3 – Isolamento oliva pilorica. Figura 4 – Incisone dello strato muscolare. Figura 5 – Estroflessione della mucosa. Patologia dell’apparato digerente 165 6.4 Invaginazione intestinale Con il termine “invaginazione” si intende l’introflessione di una parte dell’intestino (tenue o colon) in sé stesso, a dito di guanto rovesciato, portando all’occlusione del lume intestinale con conseguente compromissione della vascolarizzazione (venosa e arteriosa) dopo 24–36 ore. La causa è spesso misconosciuta, nella maggior parte dei casi si parla di una forma idiopatica: un ruolo importante sembra essere rappresentato dall’iperplasia delle placche di Peyer a livello dell’ileo terminale che, protudendo nel lume, favorirebbero l’invaginazione. Nei restanti casi, si presenta come patologia secondaria a diverticolo di Meckel, polipi intestinali, angiomi, duplicazioni intestinali, linfoadenopatie multiple addominali para–intestinali e linfadenite mesenteriale. Anche la porpora di Schöenlein–Henöch e la fibrosi cistica favoriscono tale patologia. Epidemiologia La forma idiopatica è una patologia tipica dell’infanzia, tra i 6 e i 24 mesi, alcuni casi sporadici si riscontrano anche in epoca più tardiva. Essa si verifica prevalentemente nel periodo di passaggio dalla dieta lattea a quella solida nel bambino tra il 6°–10° mese con un rapporto M:F di 3:2, mentre la forma secondaria si può verificare in tutte le età anche se raramente dopo i 6 anni. Tipologie L’80% delle invaginazioni riguardano l’ultimo tratto ileale che si invagina nel cieco e si dividono in: – Invaginazione ileo–cieco–colica: la testa è la valvola ileo–cecale la quale penetra nel colon destro. – Invaginazione ileo–colica: la testa è l’ileo, la valvola ileo–cecale rimane fissa. – Invaginazione ileo–ileale – Invaginazione digiuno–ileale – Invaginazione colon–colica 166 Capitolo 6 Sintomatologia Comparsa improvvisa, in pieno benessere: stato soporoso o letargico che può addirittura apparire preponderante rispetto alla sintomatologia addominale. Essa si caratterizza da dolori addominali crampiformi che ricorrono ad intervalli frequenti, accompagnati da pianto, sforzi evacuativi, vomito biliare, feci con sangue vivo e muco (“a gelatina di ribes”) (segno tardivo). All’ispezione l’addome risulta progressivamente disteso. La palpazione a livello del quadrante superiore di destra può rilevare una massa moderatamente dolente che può aumentare di consistenza durante un episodio doloroso. Sul dito esploratore alla fine dell’esplorazione rettale si possono presentare tracce di muco con sangue. Diagnosi L’iter diagnostico prevede, in caso di sospetta invaginazione intestinale, l’esecuzione di una ecografia addominale e di un clisma opaco (Rx clisma con bario). Ecografia: segno di pseudokidney (due anelli a bassa ecogenicità separati da un anello iperecogeno) oppure (segno del bersaglio), anelli concentrici in sezione trasversale). (Fig. 6). Rx clisma con bario: evidenzia un difetto di riempimento. Il passaggio intestinale di bario è arrestato dal tratto invaginato. Il clisma, favorendo la Figura 6. – Ecografia invaginazione intesinale Figura 7 – Risoluzione di invaginazione ileo–colica idiopatica in bambino di 2 anni mediante rx clisma con bario. Patologia dell’apparato digerente 167 progressione del bario e pertanto la devaginazione dell’ansa invaginata può risultare, oltre che diagnostico, terapeutico (Fig. 7). Terapia Come primo approccio si effettua un tentativo di riduzione idrostatica (rx clisma) dell’invaginazione ileo–cieco–colica sotto guida fluoroscopica. Essa può essere risolutiva fino all’80% dei casi nelle prime 48 ore. Dopo riduzione idrostatica il bambino viene rialimentato e monitorizzato nelle ore successive, sia valutando le condizioni cliniche che tramite esame ecografico. La terapia chirurgica si esegue in caso di evidenti segni di peritonite in primis o dopo insuccesso della riduzione idrostatica o in caso di invaginazioni ileo–ileali, troppo prossimali per la risoluzione tramite il metodo idrostatico. In presenza di ischemia o gangrena intestinale, si impone la resezione ed anastomosi del tratto invaginato. 6.5 Appendicite acuta È la più comune urgenza chirurgica addominale in età pediatrica. Una diagnosi di appendicite acuta eseguita troppo superficialmente può portare ad un intervento non necessario (appendice bianca), mentre una diagnosi tardiva può essere responsabile di severe complicanze (peritonite appendicolare). Epidemiologia Il picco di incidenza è tra i 5 e i 15 anni. Raramente si può manifestare al di sotto dei 5 anni ed eccezionalmente sotto i 2 anni. Con il miglioramento delle condizioni igienico–sanitarie ed alimentari si è registrata una diminuzione del numero di appendicectomie in tutti i Paesi. Eziopatogenesi e fisiopatologia L’appendicite acuta consegue prevalentemente all’ostruzione del lume appendicolare da parte di un coprolita (tab 4). Il lume ostruito va incontro alla proliferazione di flora batterica 168 Capitolo 6 sia aerobia che anaerobia con edema della mucosa, iperplasia dei linfatici ed ingorgo circolatorio fino alla gangrena e alla perforazione della stessa (tab 5). Tra l’inizio della sintomatologia e la perforazione di solito passano dalle 36 alle 48 ore, nei più piccoli 24 ore. Sintomatologia – Dolore: inizialmente è periombelicale generalizzato e si localizza dopo circa 6–36 ore in fossa iliaca destra (punto di Mc Burney). Generalmente è fisso ed ingravescente (raramente di tipo colico) e progredisce fino alla perforazione appendicolare seguita da peritonite pelvica o diffusa. Nel caso di appendice retrocecale il dolore può essere minimo, oppure presentarsi in sede anomala, a livello del fianco destro o posteriormente a livello del dorso. – Febbre: febbricola (T.C. 37–37.5° C) nelle forme non complicate in caso di peritonite febbre elevata a valori di 38°–39° C. – Vomito: inizialmente di tipo alimentare, poi biliare. Segue il dolore addominale, usualmente si verifica non più di una o due volte. – Diarrea: l’alvo può essere chiuso ma, in presenza di peritonite pelvica può esserci diarrea anche severa (Tab. 6). – Inappetenza Patologia dell’apparato digerente 169 Diagnosi L’esame obiettivo dell’addome è l’aspetto diagnostico più rilevante nella appendicite acuta. Alla palpazione è presente una spiccata dolorabilità nel punto di Mc Burney con resistenza in fossa iliaca destra e positività del segno di Blumberg e di Roswing in caso di peritonismo. Nell’appendicite si rileva leucocitosi neutrofila, nel 90% dei casi con aumento degli indici di flogosi acuta (Ves, PCR, Fibrinogeno). Da 12.000 a 20.000 leucociti è indice di appendicite acuta, da 20.000 a 30.000 di appendicite perforata. In alcuni bambini con scarsa risposta immunitaria la conta dei leucociti può essere normale o anche diminuita sopratutto nei casi di ascessi appendicolari circoscritti. L’ecografia pelvica esclude nelle bambine patologie ginecologiche (torsione ovaio, cisti annesssiale). Segni ecografici suggestivi di appendicite acuta sono: – L’aumento del diametro (> 6 mm) e dello spessore della parete (> 2 mm) dell’appendice (pareti edematose e lume non compressibile, anecogeno). – Presenza di raccolta liquida periappendicolare o pelvica. Nei casi dubbi risulta utile l’esecuzione della TAC. Terapia La terapia è chirurgica e consiste nell’intervento di appendicectomia. Esso può essere eseguito mediante un accesso tradizionale (open) con centimetrica incisione sul punto di Mc Burney o per via laparoscopica o video–assistita (tecnica T.U.L.A.A.). La terapia antibiotica pre–operatoria riduce il rischio di gangrena, di perforazione dell’appendice e di infezioni post–operatorie della ferita. Nel post–operatorio il piccolo verrà sottoposto a terapia antibiotica anche combinata a seconda dello stadio della patologia. 170 Capitolo 6 6.6 Emorragie digestive e poliposi in età pediatrica Si definiscono emorragie digestive le perdite ematiche che si verificano a tutti i livelli entro il lume del tubo digerente. Si possono classificare in base alla sede del sanguinamento, in relazione al legamento di Treitz in: emorragie digestive superiori (origine prossimale al Treiz) ed in emorragie digestive inferiori (origine distale al Treiz). – Ematemesi: emissione di sangue con il vomito. Il sangue emesso può avere due principali aspetti. Rosso vivo se l’emorragia è stata importante e rapida, caffeano se è stata importante ma lenta. – Melena: emissione di feci nere, contenenti cioè sangue digerito i cui pigmenti sono stati trasformati dall’azione dei succhi digestivi e dalla flora batterica intestinale. Sanguinamenti possono essere sia prossimali che distali al Treiz. – Proctorragia: emissione di sangue rosso vivo, che tende a coagulare, espressione di sanguinamenti distali del colon (colon sinistro o anoretto). Età e causa di sanguinamento L’età del bambino è fortemente correlata con le cause di sanguinamento. Nei neonati (<1 mese): – Passaggio di sangue dal retto per ingestione di sangue materno al momento della nascita (il neonato è emodinamicamente stabile). – Esofagite da reflusso – Enterocolite necrotizzante (sangue e muco) in neonati prematuri – Volvolo dell’intestino medio – Malattia emolitica del neonato – Nella metà dei casi, la causa di sanguinamento può rimanere sconosciuta. Nell’infanzia (2–12 mesi): – Ragade anale – Esofagiti associate a reflusso gastro–esofageo – Invaginazione intestinale Patologia dell’apparato digerente 171 – Volvolo dell’intestino medio – Duplicazioni intestinali (con ectopia di mucosa gastrica) In età prescolare (da 1 a 5 anni): – Poliposi giovanile del colon: molto comune, con un incidenza di 1:1000 bambini con prevalenza maschile. Il polipo è unico nel 70% dei casi con un diametro che può variare da pochi millimetri a 1 cm. La mucosa appare normale o raramente ulcerata. Si localizzano con prevalenza nel retto (70%), nel sigma (15%), e nel colon sinistro, nel trasverso e nel cieco (15%), non sono presenti nel tenue. Si manifestano con emorragie intermittenti e possono prolassare. Non è raro in età pediatrica un’auto–amputazione del polipo. L’esame diagnostico di scelta è la colonscopia. – Poliposi iperplastica linfonodale: sono polipi linfoidi sottomucosi ulcerati in superficie. Il picco di incidenza di questa affezione è intorno ai 4 anni, essa tende alla regressione spontanea. I polipi linfatici si possono localizzare nell’ileo, nel colon e nel retto. In età scolare (>5 anni): – Poliposi da sindrome di Peutz Jeghers: malattia autosomica dominante caratterizzata dalla presenza di polipi amartomatosi benigni sparsi per tutto il tratto intestinale. Si localizzano a livello dell’ileo nel 90% dei casi e sono multipli, di pochi millimetri di diametro; si possono trovare anche a livello dello stomaco, duodeno, colon, retto, cavità orale, nasale, vescica e bronchi. Essa si associa a iperpigmentazione cutanea della mucosa intorno alle labbra, della mucosa orale, nel viso, nei genitali e sui palmi delle mani. I segni sono caratterizzati da anemia, sanguinamento ed invaginazione intestinale. Sebbene siano polipi benigni nel 12% dei casi possono degenerare dopo 25 anni dalla diagnosi. – Poliposi familiare adenomatosa (PAF): è un disordine ereditario che colpisce indistintamente maschi e femmine ed è caratterizzata dalla presenza su tutto il colon di multipli polipi adenomatosi di diametro variabile da 2 mm a 2 cm. Il rischio di sviluppare un carcinoma del colon è quasi del 100%. La diagnosi si esegue generalmente dai 10–16 anni. Intorno ai 25 anni si può manifestare la sintomatologia, verso i 40 anni si può sviluppare il carcinoma. La terapia consiste in una colectomia totale con mucosectomia 172 – – – – – – Capitolo 6 del retto (i pazienti possono sviluppare carcinoma della mucosa rettale se viene conservata). Sindrome di Gardner: è una variante della PAF caratterizzata da polipi intestinali associati ad osteomi multipli (principalmente mandibola, cranio e ossa lunghe), cisti epidermoidi, fibromatosi e anomalie di dentazione. Sindrome di Turcot: variante rara di poliposi del colon associata a tumori del sistema nervoso centrale, principalmente gliomi. Diverticolo di Meckel si può manifestare clinicamente nel 40% con sanguinamento: di tipo intermittente, senza dolore (melena; sangue occulto, con anemia; sanguinamento massivo), ulcera peptica localizzata alla base del diverticolo (punto di passaggio tra ectopia gastrica e mucosa ileale). Utile nella diagnosi la radiografia del tenue e la scintigrafia con Tc99m (ipercaptazione della mucosa gastrica ectopica). Nel 35% con occlusione o subocclusione intestinale. Acuta o ricorrente. Nel 15% con flogosi acuta, con una sintomatologia simil–appendicolare, prevalentemente in età scolare. Malattia infiammatoria cronica intestinale (colite ulcerosa). Varici esofagee da ipertensione portale. Malformazioni vascolari: in particolare emangiomi (localizzati a livello del retto–sigma, >2 cm); emangiomatosi intestinale diffusa (colon–tenue); angiodisplasia tenue–colon. Diagnosi Le principali metodiche per una diagnosi di emorragia digestiva sono: – – – – – – – – Esofagogastroduodenoscopia Colonscopia Capsula endo–orale (videocapsula) Scintigrafia con Tc99 per visualizzare la mucosa gastrica ectopica Scintigrafia con emazie marcate Angiografia TC addome (duplicazioni intestinali o angiomi) Laparoscopia Patologia dell’apparato digerente 173 – Laparotomia (palpazione, colonscopia intraoperatoria con trans– illuminazione) 6.7 Patologia della milza di interesse chirurgico Anatomia e fisiologia La milza è un organo impari di colorito rosso violaceo addossato alla parete addominale postero–laterale, al di sotto del diaframma, in prossimità della nona, decima e undicesima costa. Il volume varia in rapporto all’età. Nel primo anno di vita, pesa all’incirca 17g, gradualmente aumenta fino ad arrivare nell’adulto ad un peso medio di 150–170 grammi. I diametri normali dell’organo misurano 4x7x12 cm. Essa svolge un duplice ruolo dovuto alle due diverse strutture che la compongono. La polpa rossa riveste un ruolo importante nel sequestro e nella fagocitosi dei globuli rossi invecchiati o morfologicamente alterati. La polpa bianca ha invece un compito immunologico, in essa vengono prodotti sia linfociti B che linfociti T. Embriologia ed anomalie L’abbozzo splenico appare sul lato sinistro del mesogastrio dorsale approssimativamente nella 5a settimana di sviluppo embrionale misurando circa 8 mm. Quando lo stomaco cambia la sua posizione anche la milza si sposta sulla sinistra, seguendo la rotazione della grande curvatura gastrica. I primi precursori dei globuli rossi si identificano tra la 6 e la 7 settimana di vita intrauterina e dal 3° al 6° mese comincia ad assumere un ruolo essenziale nell’emopoiesi. Intorno alla 20 settimana si formano i primi reticolociti. La mancata fusione di uno o più piccoli abbozzi splenici porterà alla formazione di una milza accessoria, se uno dei due abbozzi sarà maggiore dell’altro o, se i due abbozzi si equivarranno, si svilupperà una polisplenia. L’inclusione di epitelio peritoneale o di gruppi di cellule mesoteliali può essere responsabile della formazione di cisti intraspleniche definite cisti vere. Nella sua rotazione la milza entra in contatto con l’abbozzo gonadico di sinistra che, nel momento 174 Capitolo 6 in cui comincia la sua discesa può portare parte di parenchima splenico fino alla pelvi nella donna o fino allo scroto nel maschio. Metodiche d’indagine – Radiografia dell’addome in bianco: può fornire utili indizi sul volume della milza e sulla presenza di calcificazioni. – Ecografia splenica: fondamentale nello studio di questo organo. Da informazioni sul volume, sulla morfologia, sul grado di ecogenicità del parenchima e sulla presenza di lesioni focali. – TAC addome: è impiegata generalmente per una migliore risoluzione spaziale delle lesioni e per lo studio di altri organi addominali. – RMN addome: in grado di fornire immagini con una maggiore risoluzione di contrasto. – Angiografia: per lo studio della vascolarizzazione splenica. – Scintigrafia: con Tc99m per valutare l’integrità del sistema reticolo–endoteliale o con emazie marcate per valutare la funzione emocateretica. Splenomegalie Le cause dell’aumento volumetrico della milza vengono riportate nella tabella 7. La “sindrome da ipersplenismo” rappresenta una condizione fisiopatologica di iperattività della milza, talvolta associata a splenomegalia nella quale sono esaltate le funzioni di filtro, sequestro e produzione anticorpale. Essa provoca distruzione delle cellule circolanti soprattutto leucociti e piastrine. Terapia L’asportazione della milza comporta una riduzione delle difese immunitarie con aumentato rischio di sepsi (pneumococco, Patologia dell’apparato digerente 175 Tab. 7 – Causa di splenomegalie. Splenomegalia da risposta immunitaria Citomegalovirus, endocardite batteriche, mononucleosi. Splenomegalia da distruzione emazie Talassemie, sferocitosi, difetto di piruvato chinasi Splenomegalia congestizia Trombosi vena splenica o porta, cirrosi, pericardite costrittiva Splenomegalia infiltrativa Amiloidosi, sarcoidosi, malattia di Gaucher. Splenomegalia neoplastica Tumori primitivi benigni, maligni e localizzazioni secondarie Splenomegalia connettivitica LES, artrite reumatoide giovanile Tab. 8 – Indicazioni alla splenectomia. Mediche Sferocitosi Anemia emolitica autoimmune e piastrinopenia autoimmune Porpora trombocitopenica idiopatica Ipersplenismo Malattia da accumulo Malattia di Hodgkin Chirurgiche Trauma Cisti e tumori primitivi Emangiomi e Linfomi h. influentiae) soprattutto nei bambini con un’età inferiore ai 5 anni prevalentemente nei due anni successivi. Il rischio è ele- 176 Capitolo 6 vato dopo splenectomie eseguite per malattie immunitarie, è basso nelle splenectomie eseguite per trauma. Le indicazioni chirurgiche alla splenectomia sono riportate nella Tab. 8. 6.8 Tumori epatici in età pediatrica Si distinguono in benigni e maligni: TUMORI EPATICI BENIGNI Tumori vascolari Angioma multinodulare diffuso – Angiomi solitari – Emangioandotelioma infantile – Tumori solidi – – – – – Amartoma mesenchimale Adenoma epatico Iperplasia nodulare focale Iperplasia nodulare segmentaria Pseudotumore infiammatorio Tumori cistici – – – Linfangiomi Cisti biliari Cistoadenoma multiloculare Diagnosi Sono frequentemente asintomatici, spesso emergono da un riscontro occasionale o durante un’ecografia (anche prenatale); meno frequentemente si possono rilevare clinicamente come una massa addominale oppure manifestarsi con un quadro di addome acuto a seguito di emorragia spontanea intratumorale, rottura traumatica e sovrainfezione. Patologia dell’apparato digerente TUMORI 177 EPATICI MALIGNI I tumori maligni del fegato sono rari nell’infanzia, con un’incidenza variabile dallo 0.5 al 2% di tutti i tumori pediatrici e dall’1 al 4% di tutti i tumori solidi. Possono essere classificati: – Epatocarcinoma – Epatoblastoma Altri tumori rari: – Sarcoma embrionale indifferenziato – Angiosarcoma – Rabdomiosarcoma embrionale delle vie biliari. TUMORI EPATICI METASTATICI – – – Neuroblastoma Tumore di Wilms Linfomi • EPATOCARCINOMA Tumore tipico dell’età adulta, può presentarsi anche nel bambino con due picchi di massima frequenza, il primo nei bambini con meno 4 anni e il secondo negli adolescenti con più di 12 anni. Nel 60% dei casi il tumore si sviluppa in soggetti affetti in precedenza da patologie epatiche quali: – Cirrosi biliari (post–atresiche o post–epatitiche B e C); – Tirosinemia, m. di Niemann–Pick, m. di Gaucher, anemia di Fanconi. Clinica Si presenta più frequentemente come una massa addominale (80% dei casi), accompagnata da: anoressia, dolori addominali, malessere, febbre, nausea, vomito, ittero. 178 Capitolo 6 Terapia Trattamento chirurgico associato a polichemioterapia. Prognosi Severa, sopravvivenza a 5 anni dal 44% al 49%. • EPATOBLASTOMA Raro tumore che rappresenta la più comune neoplasia maligna primitiva del fegato in età pediatrica. Epidemiologia Rappresenta il 27 % di tutti i tumori epatici infantili. Incidenza 0.7/100000, prevalentemente tra i 6 mesi e i 3 anni (50% entro il primo anno di vita), con rapporto maschi/femmine di 1.7: 1. Associazione con altre sindromi genetiche – – – – – – Trisomia 18, 20, 21 Poliposi adenomatosa familiare Tumore di Wilms Emiipertrofia corporea S.me di Beckwith–Wiedemann Prematurità Eziopatogenesi Il tumore deriva da una degenerazione maligna del blastema epatico, da cui prende origine sia la componente epiteliale che la componente mesenchimale. Anatomia patologica Massa solitamente unica ad interessamento monolobare nel 60% dei casi, bilobare nel 30% o multicentrico nel 10%. Al momento del- Patologia dell’apparato digerente 179 la diagnosi le metastasi sono presenti nel 10–20% dei casi, più frequentemente localizzate al polmone, al SNC e al tessuto osseo. È classificabile in: Forma epiteliale (56%): – – – – fetale 31% embrionale 19% macrotrabecolare 3% a piccole cellule (indifferenziato) 3% Forma mista epiteliale/mesenchimale (44%): – – teratoide non teratoide Gli elementi mesenchimali più comuni sono rappresentati da osteoidi e tessuto cartilagineo. La pura istologia fetale possiede una prognosi migliore. Clinica Inizialmente asintomatico, successivamente si presenta come un massa addominale, spesso accompagnata da distensione addominale, dolore, nausea, vomito, dimagrimento, anoressia, febbre. Solo tardivamente si manifesta con ittero. Diagnosi Esame Obiettivo: massa irregolare palpabile in ipocondrio destro, epigastrio, di consistenza dura, mobile con gli atti respirato- Figura 8 – Bambina di 4 anni con epatoblastoma. ri, poco o nulla dolente. Laboratorio: anemia, trombocitosi, aumento della ferritina; nel 90– 100% dei casi si riscontra aumento della Alfa feto proteina (AFP) sintetizzata dalle cellule tumorali. 180 Capitolo 6 Imaging: Ecografia addome superiore: massa ben definita, iperecogena, solida, solitamente non cistica: – TC/RM addome (fig. 8) – RX/TC torace Biopsia: dirimente, nelle forme in cui non aumenta l’AFP. Terapia Asportazione del tumore primitivo o secondaria ad una polichemioterapia. Chirurgia + Chemioterapia (neo)–adiuvante. Staging Stadiazione preoperatoria SIOP (International Society of Paediatric Oncology). In questo sistema classificativo il fegato viene diviso in quattro settori e la stadiazione si basa sull’estensione del tumore nei vari settori. – Stage I: tumore in un settore; – Stage II: tumore invade 2 settori; – Stage III: tumore invade due o tre settori, un settore o due settori non–adiacenti liberi; – Stage IV: tumore in tutti e quattro settori. Stadiazione postoperatoria del Children’s Cancer Study Group, spesso utilizzata ai fini prognostici (Tab. 9). Tab. 9 – Stadiazione post–operatoria STADIO I TUMORE LOCALIZZATO E COMPLETAMENTE RESECATO II TUMORE RESECATO CON RESIDUI MICROSCOPICI III TUMORE NON RESECATO O RESIDUI MACROSCOPICI IV MALATTIA METASTATICA (POLMONI, OSSA, MIDOLLO OSSEO, SNC) Patologia dell’apparato digerente 181 Prognosi La migliore sopravvivenza si ha nei pazienti in stadio I e II (tumore completamente resecato R0 o con residui microscopici R1) e sottoposti a CT (80–100%). Nei pazienti in stadio III (tumore non completamente resecato e/o grossi residui macroscopici) la sopravvivenza a 5 anni scende al 56%. Pazienti in stadio I con istologia dominante di tipo fetale hanno una sopravvivenza del 95%. 182 Capitolo 6 Capitolo 7 PATOLOGIA URO–ANDROLOGICA 7.1 Varicocele Definizione Il varicocele è una ectasia ed allungamento delle vene del plesso pampiniforme. Incidenza Nell’adulto l’incidenza è del 19,3% mentre nel bambino sotto i 10 anni d’età è di 5,7%; ciò fa sospettare che la comparsa di questa affezione coincida, in un gran numero di casi, con la pubertà. Il varicocele è localizzato nel 93 % dei casi a sinistra, nel 5% bilaterale e nel 2% dei casi a destra Eziopatogenesi I dati epidemiologici evidenziano come la pubertà sia un momento critico per la comparsa di questa affezione. C’è da rilevare che durante la maturazione puberale si ha un accrescimento volumetrico del testicolo che non trova analogie, per quanto attiene l’intensità e la velocità, con altre curve di crescita. Il supporto nutrizionale per questo processo biologico sarebbe da individuare in una condizione di iperafflusso arterioso alla gonade, secondario all’attivazione gonadotropinica che segna l’inizio della pubertà. Tale condizione di iperafflusso è sostenuta da 3 sistemi arteriosi (spermatica; deferenziale; cremasterica), mentre il ritorno venoso è di competenza del sistema della spermatica interna, che, per molte 183 184 Capitolo 7 considerazioni anatomiche e funzionali, appare meiopragico. Tanto più criticamente si realizza questo iperafflusso, tanto più facilmente si viene a determinare una discrepanza artero – venosa che cerca di trovare in compensi vascolari un qualche equilibrio. Il dato statistico, già riferito, della presenza di varicocele in netta prevalenza a sinistra ha suggerito un’ipotesi eziopatologica: la vena spermatica destra drena direttamente nella vena cava con un angolo acuto, mentre la vena spermatica sinistra nella vena renale sinistra con un angolo retto, rendendo così più difficoltoso il drenaggio; si spiegherebbe così l’alta incidenza del varicocele a sinistra. Altre ipotesi da considerare sono: – Alterazioni embriologiche nello sviluppo del sistema venoso della spermatica interna; – Assenza di valvole nella vena spermatica sx; – Compressione della vena renale sx, da parte della aorta e della arteria mesenterica superiore nota come fenomeno di nutcracker (ipertensione reno – spermatica sx) o Coolsaet tipo I; – Compressione della vena ipogastrica sx da parte della arteria iliaca dx (ipertensione iliaco – testicolare) o Coolsaet tipo II; – Combinazione degli eventi patogenetici (tipo I e tipo II) o Coolsaet tipo III (Fig. 1). Figura 1 – Classificazione Di Coolset. A) Tipo I; B) Tipo II; C) Tipo III; 1) V. Cava; 2) Aorta; 3) V. Renale; 4) Arteria Mesenterica Superiore; 5) Arteria Iliaca Destra; 6) Vena Iliaca Sinistra. Patologia uro–andrologica 185 Diagnosi La sintomatologia nel soggetto affetto da varicocele primitivo è generalmente poco significativa, spesso silente. Una minoranza di casi riferisce una modesta sintomatologia gravativa o tensiva a carico dell’emiscroto interessato, di solito il sinistro, specie in occasione di sforzi fisici. La diagnosi di varicocele destro è piuttosto rara e può realizzarsi per una trombosi occlusiva della vena cava inferiore, in pazienti con situs viscerum inversus, o per patologie della regione retroperitoneale, più frequentemente di tipo neoplastica. Un certo numero di pazienti arriva infine all’osservazione riferendo infertilità. L’esame obiettivo è rivolto al riscontro delle ectasie venose del plesso pampiniforme che caratterizzano il varicocele. L’esame obiettivo deve naturalmente essere condotto tanto in clinostatismo quanto in ortostatismo, sia in condizioni di riposo, sia invitando il paziente a compiere la manovra di Valsalva. Numerose sono le classificazioni del varicocele; la più utilizzata è quella di Hörner: – Varicocele di I grado: subclinico (solo reflusso spermatico, valutabile con l’eco–color doppler.); – Varicocele di II grado: palpabile; – Varicocele di III grado: palpabile e visibile. Un altro importante reperto da valutare con molta attenzione è la presenza di ipotrofia del testicolo omolaterale al varicocele (si definisce testicolo ipotrofico se la discrepanza è >2 ml o >20% rispetto al controlaterale). L’ipotrofia può incidere addirittura fino al 93% nei pazienti infertili affetti da varicocele. La riduzione del volume testicolare si spiega con l’ipotrofia degli elementi cellulari dei tubuli seminiferi e del diametro del tubuli stessi. Per completare l’iter diagnostico è necessario eseguire: – Ecografia color Doppler, per valutare il volume dei testicoli e il grado di reflusso nella vena spermatica interna. – Spermiogramma, da fare 2–3 anni dopo la pubertà, che potrà 186 Capitolo 7 evidenziare soprattutto un aumento di forme anomale e una ridotta mobilità degli spermatozoi, oltre che un ridotto numero. – Dosaggio ormonale, di LH–FSH–Testosterone: anche se poco utile per le variazioni fisiologiche in età adolescenziale, la valutazione del FSH sembra avere valore predittivo di disfunzione testicolare ma non di infertilità. Varicocele ed infertilità Uno studio epidemiologico, condotto dall’OMS, ha indicato la prevalenza del varicocele nel 11,7% della popolazione generale maschile e nel 25,4% in quella infertile. Questo riscontro ha confermato la convinzione che il varicocele sia la più comune causa di infertilità maschile, anche se non tutti concordano sulla stretta connessione varicocele – infertilità, poiché soggetti affetti da questa patologia possono essere ugualmente fertili. I meccanismi patogenetici, attraverso i quali il reflusso di sangue nella vena spermatica altera la spermatogenesi, non sono ancora stati completamente chiariti: probabilmente l’aumento della pressione venosa, la stasi, l’aumento della temperatura, un’alterata produzione androgenica testicolare, ed altri fattori attualmente sconosciuti, agiscono direttamente sul parenchima tissutale, danneggiandolo. A sostenere la relazione varicocele – infertilità, oltre ai danni diretti, bisogna considerare l’elevata incidenza di difetti associati come la “Sertoli cell–only sindrome”. Per evidenziare queste alterazioni sarebbero necessari studi istologici, non sempre possibili, perché la biopsia o la agoaspirazione testicolare non vengono eseguite routinariamente. Le alterazioni istologiche testicolari sono state riscontrate in entrambi i testicoli nei maschi adulti con un varicocele unilaterale. Esse consistono prevalentemente in: – un decremento della spermatogenesi (arresto o incompleta maturazione da spermatidi a spermatociti) – un decremento del diametro dei tubuli seminiferi – una iperplasia delle cellule di Leydig – una ipoplasia delle cellule del Sertoli Anatomia chirurgica del funicolo spermatico: – Il funicolo spermatico è un organo a forma di cordone cilin- Patologia uro–andrologica 187 droide costituito da un insieme di strutture che percorrendo il tragitto inguinale raggiungono il testicolo o da esso prendono origine; ha consistenza molle ad eccezione del condotto deferente ed una lunghezza variabile fino a 14cm. – È formato esternamente da una serie di membrane: • la fascia spermatica esterna; • la fascia cremasterica e il muscolo cremastere; • la fascia spermatica interna; – La parte interna è rappresentata: • • • • • • • dal condotto deferente; da vasi linfatici; dal ramo genitale del nervo genitofemorale; dalle arterie testicolari (spermatiche) rami dell’aorta addominale; dalle arterie deferenziali rami della arteria vescicolo–deferenziale; delle arterie cremasteriche rami della epigastrica inferiore; dalle vene del gruppo anteriore e del gruppo venoso posteriore. Il gruppo venoso anteriore è il più cospicuo, rappresentato da 2– 6 grosse vene, plessiformi, flessuose indicate come “pampiniformi” o vene testicolari propriamente dette. Esse sono anastomizzate tra loro; le anastomosi determinano una sorta di rete a maglie allungate e ristrette il cui insieme viene definito “plesso pampiniforme”, che confluisce nella vena spermatica interna. Il gruppo venoso posteriore, satellite del dotto deferente, è costituito da vene di calibro minore e meno numerose, che si liberano nella vena epigastrica inferiore. Figura 2 – Circolo venoso profondo del testicolo. 1. Vene centrali del testicolo, 2. Gruppo anteriore del plesso pampiniforme, 3. Deferente, 4. Gruppo posteriore del plesso pampiniforme, 5. Vena spermatica esterna, 6. Vena deferenziale. 188 Capitolo 7 Terapia Essa può essere eseguita mediante tecniche chirurgiche (open o laparoscopiche–retroperitoneoscopiche), o tecniche radiologiche percutanee (quali la scleroembolizzazione retrograda e la sclerotizzazione anterograda secondo Tauber). Tecnicamente la varicocelectomia inguinale o sub–inguinale open, è caratterizzata da una legatura selettiva delle vene ectasiche intra– ed extra–funicolari con conservazione dei vasi arteriosi e linfatici (Lymphatic–sparing microscopic varicocelectomy). Figura 3 – Lymphatic–sparing microscopic varicocelectomy. (C. Spinelli et al. “LymphaNell’adolescente o giovane tic–Sparing Microscopic Varicocelectomy”: adulto la correzione del varico- esperienza chirugica su 93 pazienti in età cele è indicata in presenza di pediatrica. S.I.U.P. 2008). varicocele mono o bilaterale di III° grado con ipotrofia testicolare; lo scopo è quello di interrompere il reflusso venoso e mantenere le vie normali di scarico insieme all’irrorazione arteriosa e linfatica del testicolo (Figura 3). 7.2 Criptorchisdimo Il bambino, che all’età di 12 mesi di vita, non ha ancora uno o entrambi i testicoli (non discesi) nella borsa scrotale si definisce criptorchide. Epidemiologia È la più frequente anomalia dell’apparato uro–genitale. Presente nel 3,4% dei nati a termine e nel 30,3% dei prematuri (nel 100% nei nati con peso inferiore a 900 gr). Patologia uro–andrologica 189 Eziopatogenesi Difetto embrionario della fisiologica discesa del testicolo nello scroto. Nelle prime fasi dell’embriogenesi, la gonade e l’apparato genitale, sono morfologicamente simili nei due sessi. Con il procedere dello sviluppo l’embrione subisce una serie di modificazioni che lo rendono sessualmente dismorfico. Questo processo, noto con il termine di differenziazione sessuale, è il risultato di una serie di eventi dovuti all’interazione altamente coordinata di vari fattori, genetici e ormonali, che determina, nel maschio, la trasformazione della gonade bipotente in testicolo, la virilizzazione dei genitali interni ed esterni, e la discesa dei testicoli nello scroto. Differenziazione del testicolo Le gonadi derivano da tre componenti: epitelio celomatico, il mesenchima sottostante e le cellule primordiali. Nell’embrione umano di 4mm (V settimana di gestazione) a livello della fascia mediale del mesonefro, l’epitelio celomatico comincia a proliferare determinando un rigonfiamento detto cresta genitale, suddivisibile in uno strato esterno detto “cortex” ed uno interno detto “medulla”. Nell’embrione con cromosomi sessuali 46, XY, normalmente la cortex regredisce e la medulla si differenzia poi in testicolo. Quando l’embrione raggiunge la lunghezza 20–25mm (VI–VII settimane), per l’azione del gene SRY la gonade primordiale inizia la differenziazione in senso maschile. Nella parete dei primitivi tubuli seminiferi sono presenti sia cellule germinali primordiali (gonociti) sia cellule epiteliali. Da queste ultime prendono origine le cellule di Sertoli, deputate alla sintesi dell’ormone antimülleriano (AMH), mentre dai gonociti derivano gli spermatogoni. Negli embrioni di 30–40mm di lunghezza (VIII settimane), nel connettivo interstiziale dei lobuli compaiono le cellule interstiziale di Leydig, che hanno quindi un origine mesenchimale. Funzione endocrina del testicolo fetale Dopo la differenziazione, i testicoli iniziano precocemente la loro attività endocrina con la secrezione di AMH e di testosterone. La 190 Capitolo 7 AMH agisce con azione paracrine in un periodo critico della gestazione (VII–VIII settimane) inibendo lo sviluppo dei dotti paramesonefrici o dotti di Müller, dai quali nel feto femminile prendono origine gli organi genitali interni (utero, annessi e parte superiore della vagina). In epoche successive i dotti di Müller divengono insensibili all’azione dell’AMH. Il testosterone, principale ormone steroideo, prodotto dalle cellule di Leydig, viene secreto a partire dalla VIII settimana di gestazione; l’ormone agisce direttamente con azione paracrina inducendo omolateralmente lo sviluppo dei primitivi dotti paramesonefrici o dotti di Wölf nei vasi deferenti, negli epididimi e nelle vescicole seminali. Questo ormone viene inoltre convertito perifericamente dall’enzima 5–a reduttasi in diidrotestosterone (DHT), il quale agisce con azione endocrina sul seno urogenitale, sulle pieghe genitali e sul tubercolo genitale, inducendo lo sviluppo dell’uretra perineale e peniena, dei corpi cavernosi, della prostata, delle ghiandole bulbo uretrali, delle borse scrotali e del pene. Discesa dei testicoli I testicoli originano a livello della regione lombare superiore, a livello del 1° segmento toracico e rimangono in quella sede fino alla fine del 2° mese di vita intrauterina, quando inizia un lento processo di migrazione che li porterà nella loro sede definitiva quasi a termine della gravidanza. Riguardo a tale processo, si possono distinguere essenzialmente una fase dello spostamento renale, analoga sia per la gonade maschile che per quella femminile, che avviene tra la 7a e l’8a settimana di gestazione, ed una fase sessualmente dismorfìca che a sua volta può essere suddivisa nella fase della migrazione trans–addominale o apparente, tra l’8a –I5a settimana, e la fase della migrazione trans– inguinale o migrazione vera, tra la 28a settimana e la nascita. Nella fase della migrazione transaddominale, descritta anche come apparente, il testicolo si allontana progressivamente dal rene con la crescita del feto, quindi si porta dalla parete addominale posteriore alla regione inguinale. Nel frattempo la cavità celomatica emette un’evaginazione, il processo vagina- Patologia uro–andrologica 191 le, che comincia ad allungarsi in direzione caudale e decorre ventralmente al gubernaculum, seguendo la strada tracciata dal gubernaculum stesso. Il processo vaginale spinge vari strati della parete addominale, che si sta differenziando, verso la borsa scrotale e con essi forma la parete del canale inguinale. L’apertura craniale del canale inguinale nel punto di evaginazione va a formare l’anello inguinale interno, mentre l’apertura caudale costituisce l’anello inguinale esterno o superficiale. Il Gubernaculum testis, tra l’8a e la 15a settimana di vita intrauterina, va incontro ad una reazione di rigonfiamento e retrazione che trascina il testicolo verso la regione inguinale: tale reazione sembra essere mediata, almeno in parte, dall’AMH. Nella femmina, dove non si ha la secrezione di AMH il gubernaculum diviene una struttura sottile ed allungata, andando a costituire il “ligamento rotondo”, che permette la localizzazione endoaddominale dell’ovaio. La fase della migrazione trans–inguinale del testicolo, descritta anche come fase della migrazione reale (28a–35a settimana di gestazione), è quella più conosciuta e più studiata, anche perché una sua alterazione è la causa più frequente di criptorchidismo. In questa fase il testicolo, collocato posteriormente al processo vaginale comunicante con la cavità peritoneale, per un processo di migrazione attiva si muove dalla regione inguinale, Io attraversa e si porta nello scroto verso la fine dell’8o mese. Successivamente, il processo vaginale si oblitera nella sua parte craniale mentre nella parte caudale forma la tunica vaginale del testicolo. Per spiegare questo processo di migrazione attiva sono state elaborate varie teorie: diversi fattori cooperano sebbene la loro azione venga probabilmente mediata dal gubernaculum. La migrazione del gubernaculum nello scroto e la sua contrazione sotto lo stimolo degli androgeni rappresentano probabilmente il meccanismo principale. Il testicolo e l’epididimo seguirebbero il gubernaculum in questa migrazione e si porterebbero poi nella loro sede scrotale definitiva dopo la regressione del gubernaculum stesso che avviene alla fine della fase di migrazione. L’incremento della pressione endoaddominale, che si ha nelle ultime fasi della gravidanza, sarebbe un fattore favorente per l’espulsione del testicolo. 192 Capitolo 7 Anomalie associate Il criptorchidismo comunemente si manifesta come entità anatomo–clinica isolata in un bambino perfettamente evoluto anche se può associarsi a ipospadia, prune–belly sindrome, estrofia vescicale, onfalocele, gastroschisi, ernie ombelicali e inguinali, agenesia renale, reflusso vescico–ureterale. Nel 60% dei casi di criptorchidismo sono presenti anomalie della via seminale (ostruzione del deferente, disgiunzione del deferente, dissociazione completa o incompleta didimo–epididimaria). Inoltre tanto più alta è la sede del testicolo criptorchide maggiore è il grado di ipotrofismo. Classificazione Una prima classificazione clinica distingue il testicolo palpabile dal testicolo non palpabile. Testicolo Palpabile (85% dei casi): può essere a sua volta classificato in: Testicolo Ritenuto: Il testicolo è situato lungo la normale via di migrazione, cioè all’interno del canale inguinale: – può essere localizzato in posizione inguinale alta (nel 3° superiore del canale inguinale), rientrante in addome e quindi sfuggente alla palpazione, definito Peeping Testis. – Localizzato in posizione inguinale intermedia (nel 3° medio), può essere spinto con la palpazione fino all’anello inguinale esterno. – Localizzato in posizione inguinale bassa (nel 3° inferiore), che può più o meno essere portato manualmente nello scroto ma risale al termine della manovra (testicolo retrattile). Testicolo Ectopico: Anomalia di posizione in cui il testicolo è fuori della normale via di migrazione. Esistono cinque diverse localizzazioni del testicolo ectopico: – ectopia inguinale sopra fasciale: relativamente frequente, il testicolo è situato in regione inguinale bassa, fuori e sopra Patologia uro–andrologica – – – – 193 l’anello inguinale esterno, in una tasca anatomica compresa tra muscolo obliquo esterno e fascia sottocutanea. ectopia perineale: il testicolo scende in basso, fuori del canale inguinale, verso il perineo lateralmente al rafe mediano. ectopia pubo–peniena: il testicolo scende fino alla base del pene all’altezza della sinfisi pubica. ectopia crurale: il testicolo migra attraverso il canale crurale e viene rilevato in corrispondenza del triangolo di Scarpa. ectopia crociata: completa: entrambi i testicoli sono nello stesso emiscroto – Incompleta: un testicolo ortotopico è in posizione ritenuta nel canale inguinale, l’altro testicolo è ectopico crociato e può essere ritenuto: 1. Nel canale inguinale alto opposto al proprio anello inguinale interno (non palpabile) 2. Nell’addome, è in realtà un’ectopia pelvica in cui il testicolo è in posizione “ovarica”. Testicolo Non Palpabile (25%): Si definisce anche “criptorchidismo vero”; è l’espressione massima della malformazione, possiamo avere due possibilità: A. Assenza delle gonadi (52% dei casi). 1: testicolo non sviluppato embriologicamente (testicolo agenesico) “Blind ending” con funicolo che si conclude a fondo cieco. Sono presenti strutture vascolo–deferenziali che terminano a fondo cieco nel 64% dei casi all’interno del canale inguinale e nel 36% dei casi a monte dell’anello inguinale interno o intraddominale. Se l’agenesia è bilaterale si parla di anorchia, con testosterone assente e test di stimolo con gonadotropina corionica (HCG test) negativo, cioè con mancata risposta da parte delle cellule di Leydig allo stimolo a produrre testosterone. 2: Testicolo atrofico “Vanishing testis”: con vasi e deferente esili che terminano con un abbozzo testicolare microscopico, probabilmente la causa dell’atrofia è su base ischemica per probabile torsione intrauterina. B. Presenza della gonade (ma non palpabile) (48% dei casi). 1: testicolo addominale “alto”( 22%), il testicolo non migra, rimane intraddominale, fuori dell’anello inguinale interno, poco sotto la biforcazione dei vasi iliaci, localizzato diversi cm. sopra 194 Capitolo 7 l’anello inguinale interno. 2: Testicolo addominale “basso” o “Peeping testis” (13% dei casi) situato in sede addominale a livello dell’anello inguinale interno, sporgente in esso. 3: Ectopia crociata “completa”, il testicolo migra verso l’anello inguinale interno controlaterale. Diagnosi La diagnosi di criptorchidismo principalmente rimane clinica fondata sull’anamnesi e sull’esame obiettivo. L’esame clinico inizia con l’anamnesi. È importante indagare la possibile presenza di familiarità di criptorchidismo. L’esame sul bambino può essere molto difficile e richiede esperienza ed abilità. Nei bambini agitati e in quelli con adiposità marcata l’esame può risultare difficoltoso, mentre nei lattanti sotto al 3° mese la visita è più facile perché sono più rilassati ed il riflesso cremasterico è assente. Devono essere ispezionati i genitali esterni per rilevare eventuali malformazioni a carico del pene, come l’ipospadia. Il sacco scrotale va attentamente valutato, infatti uno scroto che è sempre stato “disabitato”, si presenta poco sviluppato. Se lo scroto è vuoto, si cerca il testicolo palpatoriamente nelle sedi ectopiche e lungo la sua fisiologica di discesa. Se il testicolo è palpabile, è necessario valutare il volume, la sede e il grado di mobilità; successivamte dovrebbe essere portato delicatamente verso la borsa scrotale, prendendo nota della sua massima posizione distale assunta. Come già affermato, in circa il 20% dei casi di criptorchidismo, i testicoli non sono palpabili, è quindi importante dirimere il dubbio sulla possibile presenza o assenza della gonade. In questi casi è opportuno valutare i livelli delle gonadotropine (FSH e LH) e del testosterone. Un paziente affetto da anorchia e quindi privo di tessuto testicolare, presenta alti livelli di gonadotropine associati alla mancanza di testosterone. Nei casi dubbi, è utile somministrare gonadotropina corionica umana (HCG) che nei soggetti criptorchidi induce un marcato aumento dei livelli di testosterone, mentre in quelli con anorchia non determina alcuna risposta. In presenza di criptorchidismo la diagnostica per immagini si basa su: Patologia uro–andrologica 195 – Ecografia: efficace nella localizzazione del testicolo inguinale ma poco efficace nel testicolo intraddominale in quanto è difficile la distinzione da altre strutture addominali specie in età minore di due anni). – RMN: esame di scelta nella ricerca di gonadi non palpabili (80% sensibilità), nei casi di risposta negativa non viene escluso il ricorso all’esplorazione laparoscopica. – Video – laparoscopia: risulta l’esame fondamentale ed irrinunciabile in tutti i casi di testicolo non palpabile, in quanto consente di valutare con certezza la presenza del testicolo in sede addominale o inguinale o la sua assenza per agenesia mono–bilaterale e atrofia (Vanishing testis), consente la valutazione dei residui Mülleriani, di ectopia crociata con testicolo intraddominale e di anomalie associate (dissociazione didimo/epididimaria “completa” con didimo nell’addome e deferente atrofico e/o epididimo nel canale inguinale), situazione che può sfuggire ad una esplorazione chirurgica per via inguinale. Terapia Medica Introdotta negli anni ’30, la terapia medica del criptorchidismo si basa sull’impiego di ormoni in grado di stimolare la produzione di androgeni da parte delle gonadi. I farmaci utilizzati sono la Gonadotropina corionica (HCG), ad azione LH simile, e la Gonadorelina (GnRH). Essi possono essere utilizzati da soli, in associazione fra di loro o con altri farmaci tra cui la gonadotropina umana della menopausa ad azione FSH simile (Tab. 1). La terapia ormonale permette la completa discesa del testicolo in circa il 20% dei casi indipendentemente dal tipo di farmaco utilizzato, dall’età del bambino e dal tipo di criptorchidismo (mono o bilaterale). La sede della gonade ritenuta costituisce il principale fattore che condiziona il successo della terapia ormonale: i testicoli ritenuti a collocazione bassa (al di fuori dell’anello inguinale esterno), infatti, presentano maggiori successi (47%) mentre una risposta minore (3%) si ha in quelli a sede inguinale alta o intraddominale. Anche se i vari ormoni ed i vari schemi terapeutici offrono risultati pressappoco sovrapponibili, l’utilizzo della Gonadorelina è preferibile per la sua più facile 196 Capitolo 7 Tabella 1 – Farmaci e schemi terapeutici per il trattamento medico del criptorchidismo. FARMACO hCG GnRH SCHEMA TERAPEUTICO Bambini < 2 anni: 500 UI/sett. per 6 settimane Bambini 2–6 anni: 1000UI/sett per 6 settimane 1200 ng/die (200ng per narice per 3 volte al giorno) per 28 gg hCG + hMG Come hCG + hMG 75 UI sett. Per 6 settimane GnRH + hCG Come GnRH + hCG 1500 UI sett. Per 3 settimane (C. Spinelli et al. Ruolo della terapia pre e post operatoria con analoghi del GNRH nel trattamento del criptorchidismo. Soc. Ital. Urol. Ped. 2008). via di somministrazione (spray nasale) e quindi per una maggiore compliance del bambino alla terapia, e per la minore incidenza di effetti avversi correlati all’aumento della concentrazione ematica di androgeni (crescita del pene, comparsa di erezione e cambiamenti psicologici e comportamentali). Un aspetto completamente nuovo della terapia ormonale del criptorchidismo è quello dei possibili vantaggi che essa può apportare alla chirurgia anche nel caso in cui risulti essere fallimentare nel far discendere i testicoli. Sembra che il trattamento del criptorchidismo con Gonadorelina per quattro settimane prima dell’intervento chirurgico e, per le quattro settimane successive, è in grado di apportare dei vantaggi significativi alla chirurgia, sia permettendo un approccio trans–scrotale basso in un numero significativamente maggiore di casi, sia migliorando il volume e quindi il trofismo della gonade e la sua potenziale fertilità. C. Spinelli et al. GNRH–therapy after and before surgery may improve the fertility index in undiscended testes. Int. Symp. Ped. Surg. Res. 2006; C. Spinelli et al. GNRH–analogue therapy before after in undescendent teste: a prospective randomized trial. Worl. Congr. Ped. Surg. Buenos Aires 2007; C. Spinelli et al. GNRH–analogue therapy in criptorchidism surgical advantages. Int. Congr. GNRH. Berlino 2008; Patologia uro–andrologica 197 Terapia chirurgica L’indicazione all’intervento chirurgico del testicolo ritenuto, dovrebbe essere presa in considerazione in prima istanza senza ricorso alla terapia medica ogni quaI volta ci si trovi di fronte ad una delle seguenti condizioni: presenza di ernia inguinale associata, torsione del funicolo spermatico o dell’idatide del Morgagni o in caso di ectopia testicolare. Riguardo l’epoca di intervento oggi si è concordi nell’intervenire più precocemente possibile, entro i 24 mesi d’età. La scelta del tipo di intervento da eseguire deve prendere in considerazione alcuni parametri di cui i più importanti sono due e cioè; la possibilità di identificare il testicolo (palpatoriamente e/o ecograficamente) e la sua sede (addominale, intracanalicolare o a collocazione bassa). Nel caso in cui il testicolo sia non palpabile e non sia ecograficamente visibile sarà necessario accertare la sua presenza in cavità addominale per mezzo di un’esplorazione laparoscopica. Se la gonade è presente, essa verrà poi portata e fissata nello scroto per mezzo di un intervento ad un unico tempo o più tempi a seconda della sua iniziale localizzazione. Nel caso di testicoli ritenuti a collocazione alta (all’interno del canale inguinale) la fissazione chirurgica del testicolo nella borsa scrotale (orchidopessi) può essere eseguita con tecniche diverse, tra queste quella praticata dalla maggior parte dei chirurghi è la tecnica di Shöemaker (fig 4). Essa con- Figura 4 – Intervento di orchidopessi secondo Schöemaker. 198 Capitolo 7 siste nello scollamento del dartos dalla cute dello scroto omolaterale attraverso una incisione scrotale, e nell’abbassamento del testicolo, precedentemente isolato attraverso un’incisione cutanea inguinale, nella tasca extradartoica così ottenuta, attraverso un’asola aperta nella parte alta della fascia dartoica scollata che, in tal modo fungerà da diaframma al fine di bloccare la risalita del testicolo verso l’inguine. Nel caso invece di testicoli ritenuti a collocazione bassa un ulteriore approccio è possibile, ossia quello di fissare il testicolo nello scroto per mezzo di un’unica incisione eseguita a questo stesso livello. Questa tecnica chirurgica, descritta con il termine di fissaggio trans–scrotale o di orchidopessi trans–scrotale bassa, consiste in un’incisione scrotale trasversa per mezzo della quale il testicolo viene in un primo tempo esteriorizzato e poi, dopo un’adeguata funicololisi effettuata retraendo il margine superiore della ferita, fissato nello scroto facendolo passare attraverso il tessuto adiposo scrotale– caudale. Il fissaggio trans–scrotale permette di ottenere, in termini di efficacia, gli stessi risultati della tecnica di Shöemaker migliorando significativamente il tempo chirurgico, il dolore post–operatorio ed il risultato estetico. • CRIPTORCHIDISMO ED INFERTILITÀ II criptorchidismo è una causa comune di infertilità maschile. La fertilità non sembra essere garantita neppure da una orchidopessi precoce. La possibilità di essere sterili è doppia negli uomini con una storia di criptorchidismo unilaterale trattato, rispetto a quelli con testicoli normodiscesi. La percentuale di fertilità risulta pari all’83% nei pazienti sottoposti ad orchidopessi monolaterale vs il 38% bilaterale. La mancata paternità nei criptorchidi è correlata non solo con la mancata capacità di produrre spermatozoi maturi da parte della gonade ritenuta e frequentemente in quella controlaterale normodiscesa, ma anche dall’elevata incidenza di malformazioni associate extratesticolari a carico delle vie spermatiche ed in particolare la dissociazione didimo–epididimaria. Controversa rimane la problematica se le alterazioni istologiche sono espressione di un difetto congenito (sindrome malformativa) o acquisito (il testicolo perfettamente normale alla nascita andrebbe incontro a progressive alterazioni degenerative prodotte da una serie di fat- Patologia uro–andrologica 199 tori legati alla malposizione). La teoria della disgenesia gonadica primitiva sembra essere sostenuta dalla presenza di alterazioni istologiche, in una fase molto precoce, nei testicoli fetali situati in posizione intraddominale o intracanalicolare; dalla presenza di alterazioni nel testicolo normodisceso controlaterale e dalla frequente coesistenza al criptorchidismo di anomalie, specialmente a carico del tratto uro–genitale. Numerosi studi istopatologici hanno invece rilevato che il danno testicolare nella gonade ritenuta inizia a rendersi evidente dopo il primo anno di vita e con il persistere della ritenzione si assisterebbe ad un progressivo ed irreversibile deterioramento istologico. Questi dati suggeriscono che solamente un precoce intervento chirurgico, eseguito entro i due anni possa avere un effetto benefico sulla potenziale fertilità. Anche se l’unico fattore predittivo del potenziale di fertilità è risultato essere la presenza di spermatogoni nella biopsia testicolare al momento dell’intervento. Le cause di infertilità nell’adulto sono: il varicocele 35–40%; il criptorchidismo 6–7%; le patologie ostruttive dei vasi seminali 4–6%; la sindrome di Klinefelter 1–2%; le orchiti 1–2%; la chemioterapia/radioterapia < 1%; l’ipogonadismo < 1% e l’insensibilità agli androgeni < 1%. • CRIPTORCHIDISMO E TUMORE TESTICOLARE Il rischio di sviluppare un tumore nel testicolo criptorchide è superiore di 3–3,5 volte rispetto alla popolazione generale, i testicoli intraddominali hanno un rischio più elevato di sviluppare una neoplasia, 4 volte superiore di quelli ritenuti nel canale inguinale. L’aumento del rischio di tumore non è limitato al testicolo criptorchide, ma anche al controlaterale normodisceso. L’orchidopessi, anche se effettuata in età precoce, non sembra ridurre il rischio di neoplasia testicolare, il posizionamento del testicolo in sede scrotale permette solamente una migliore osservazione clinica. 7.3 Scroto acuto Si indica con il termine “scroto acuto” una sindrome caratterizzata da dolore, tumefazione ed iperemia dell’emiscroto. Sebbene possa manifestarsi in tutte l’età, assume nel bambino un significativo clinico particolare. 200 Capitolo 7 Eziologia Cause maggiori sono: 1. Torsione del testicolo (più propriamente torsione del funicolo spermatico). 2. Torsione degli annessi e delle appendici testicolari: – appendice del testicolo o Idatide del Morgagni; – appendice dell’epididimo; – appendice del funicolo o paradidimo o organo di Giraldes; – vasi aberranti di Haller. 3. Epididimite/ Orchite. Cause minori sono: 4. 5. 6. 7. 8. Edema scrotale idiopatico. Ernia. Idrocele. Porpora di Shönlein–Henoch. Tumori. • EPIDIDIMITE E ORCHITE È un processo flogistico a decorso acuto o cronico che interessa il didimo e/o l’epididimo. In età prepubere l’orchi–epididimite non è comune. Clinica Dolore meno acuto rispetto alle altre cause di scroto acuto. Frequentemente si associano disturbi urinari (disuria, urgenza urinaria) e generali (febbre). Palpatoriamente è caratteristico un incremento volumetrico iniziale dell’epididimo con successivo interessamento del testicolo ed eventuale idrocele reattivo. Eziopatogenesi In molti casi l’orchite è una complicanza della parotide epiedemica. Nel 39% dei giovani pazienti con epididimite sottoposti ad indagini urologiche si repertano anomalie urologiche, quali dissinergie Patologia uro–andrologica 201 detrusoriali e sfinteriche, valvole incomplete dell’uretra posteriore. Quest’ultime, determinano aumento della pressione con conseguente reflusso retrogrado di urina, frequentemente infetta, nel deferente e da qui nell’epididimo. Utile è la valutazione dell’appatato urinario per escludere la presenza di anomalie congenite. • TORSIONE DEL TESTICOLO Consiste in una rotazione del testicolo sul proprio asse, rappresentato dal funicolo spermatico, con due possibili varianti: la torsione extravaginale (6% del totale, è una prerogativa dell’epoca neonatale) e la torsione intravaginale (più frequente nel periodo puberale). La torsione del funicolo va distinta dalla torsione del solo epididimo, evenienza che può realizzarsi quando esiste una dissociazione didimo–epididimaria con ampio mesorchio. Patogenesi Inadeguata, o incompleta, o assente, fissazione del testicolo allo scroto, a causa della mancanza del Gubernaculum testis, o per inserzione alta della tunica vaginale sul funicolo; questa condizione può essere favorita da una contrazione brusca del muscolo cremastere, conseguente od a trauma, o ad esercizio fisico o ad esposizione al freddo. Incidenza Colpisce qualsiasi età anche durante la vita intrauterina (l’età media è 13 aa). Interessa più frequentemente il testicolo sinistro, solo nel 2% dei casi è bilaterale. Figura 5a – Torsione neonatale del testicolo. Figura 5b – Testicolo ischemico. 202 Capitolo 7 Clinica Nel neonato e nel lattante la presentazione clinica è insidiosa ed asintomatica, manifestandosi come una tumefazione rossastra. La diagnosi differenziale deve essere posta con un’ernia incarcerata. Nel bambino e nell’adulto sono quasi tutte torsioni intravaginali, si manifestano con dolore improvviso all’emiscroto interessato, irradiato all’inguine lungo il funicolo e ai quadranti addominali inferiori associato a nausea, vomito e talvolta a shock (Fig. 5a–5b). Esame obiettivo Emiscroto aumentato di volume (tumefazione) edema e rossore (che aumentano col passar del tempo) idrocele reattivo, assenza del riflesso cremasterico. Segno di Prehn positivo: dolore provocato alla palpazione se si solleva lo scroto, segno di Gouverneur positivo: testicolo indurito stirato in alto ed orizzontalizzato. Episodi recidivanti di dolore testicolare, con risoluzione spontanea, vanno considerati come “torsione testicolare intermittente”. Nel 18–63% dei casi le torsioni incomplete precedono la torsione completa. • TORSIONE DEGLI ANNESSI TESTICOLARI Gli annessi testicolari, formazioni di piccole dimensioni localizzate sul testicolo e sull’epididimo, sono residui embrionali del dotto mesonefrico e del dotto del Müller. Essi sono presenti nel 90% dei soggetti di sesso maschile. Tali appendici sono suscettibili di torsione e possono sostenere un quadro clinico, sia pure molto attenuato, simile a quello descritto per la torsione del testicolo. Clinica Dolore meno acuto, con minore edema locale. La sintomatologia dolorosa e l’edema possono risolversi dopo 36–72 ore senza terapia chirurgica. Una formazione rotondeggiante scura può essere vista per transilluminazione, mentre nelle fasi tardive (48–72 ore) si può apprezzare in modo “transcutaneo” una formazione ischemica sotto forma di un “punto blu” (segno del Bue Dot) (Fig. 6). Patologia uro–andrologica La torsione dell’annesso paradidimale di Giraldes può causare dolore a livello del funicolo spermatico; simulando un’ernia inguinale incarcerata. Il quadro clinico può risolversi dopo 2–3 giorni senza chirurgia, un idrocele secondario di tipo reattivo può residuare nella parte distale del canale inguinale, all’altezza dell’anello inguinale esterno. 203 Figura 6 – Torsione idatide del Morgagni. Diagnosi di scroto acuto Doppler: registra una diminuzione del flusso arterioso al testicolo. Tale indagine presenta un’alta percentuale di falsi negativi a causa dell’iperemia dello scroto che può mascherare l’ischemia. Ultrasonografia: permette di studiare l’anatomia dello scroto e del suo contenuto (ecodensità del testicolo); l’ipoecogenicità è espressione di edema, l’iperecogencità (focale o diffusa) di infarcimento emorragico cistico o necrosi. Essa è utile nella diagnosi differenziale tra torsione del testicolo e appendice testicolare. Scintigrafia con Tecnezio 99. Nelle prime 6 ore il flusso non differisce da quello normale: “scintiscan blood flow”, solamente dopo 18 ore si evidenzia una diminuzione di flusso con aree centrali fredde. Nell’orchi–epididimite è presente un forte aumento di flusso dal lato interessato. Tale esame permette con buona accuratezza (90%) una diagnosi differenziale tra torsione testicolare e annessi. Terapia – Detorsione manuale con eventuale infiltrazione di anestetico locale nel funicolo spermatico associato e controllo Eco Color Doppler per valutazione del flusso vascolare, essa si basa su una rotazione del testicolo in senso cranio–caudale e dal lato mediale al laterale, perché nella quasi totalità dei casi la torsione avviene in senso opposto. La cessazione rapida del dolore, l’allungamento del funicolo, la risoluzio- 204 Capitolo 7 ne della consistenza del testicolo (passa da duro a soffice) e il ritorno alla normale posizione verticale del testicolo sono espressione del successo della detorsione. Al successo della detorsione manuale deve seguire un intervento chirurgico “differito”. – Detorsione chirurgica: si esegue l’incisione trans–scrotale, o trans–inguinale in caso ci siano dubbi diagnostici. Successivamente si esegue un’incisione della tunica vaginale e la detorsione, si prosegue con la fissazione del didimo al dartos. È necessario fissare la gonade controlaterale per pervenire un’ulteriore torsione. Ovviamente lo scopo della detorsione, sia manuale che chirurgica, è ristabilire il flusso vascolare al testicolo. La prognosi dipende da quanto tempo dopo l’insorgenza della torsione si interviene. Se la detorsione è effettuata entro 6 ore la percentuale di salvataggio è del 85–97%, se viene effettuata tra 6–12 ore la percentuale è del 55–85%, tra le 12 e le 24 del 20–80%, dopo le 24 ore è inferiore al 10%. Quindi tanto più tempestivamente si interviene, tanto più alte saranno le probabilità di “salvare” il testicolo. 7.4 Fimosi Fimosi deriva dal gr. PHIMOSIS “restringimento”, “ è un’affezione rara, spesso malformativa, dovuta ad un restringimento dell’anello prepuziale, con impossibilità di retrarre il prepuzio al di sotto del glande. Embriologia Il prepuzio comincia a svilupparsi nel 3° mese di vita intrauterina e si completa fra il 4° e 5°. Dopo la nascita è presente una “fisiologica” coalescenza fra il rivestimento mucoso interno del prepuzio e quello esterno del glande (aderenze balano–prepuziali). La separazione dei due foglietti mucosi avviene spontaneamente nei primi anni di vita. Il prepuzio è retrattile: nel 4% nel periodo neonatale, Patologia uro–andrologica 205 nel 70% ad 1 anno e nel 90% entro i 6 anni. La “fimosi vera” deve essere quindi, nettamente distinta dalle aderenze balano–prepuziali; condizione in cui l’anello prepuziale (non stretto) non scorre sul glande. Eziopatogenesi e classificazione La fimosi propriamente detta “vera” può essere classificata in congenita: ristretteza dell’anello prepuziale od in un forma acquisita: flogosi locale, errate manipolazioni con conseguenti lesioni cutanee che esitano in cicatrice stenosante od al “Lichen Scleroatrofico” Cronico del prepuzio che porta ad una progressiva scleroatrofia dei tessuti colpiti (Fig. 1). Clinica L’accumulo di smegma tra prepuzio e glande può provocare infezioni del prepuzio (postite), del glande (balanite), o di entrambi (balanopostite). L’ostacolo alla minzione può causare disuria ed infezione delle vie urinarie. All’esame obiettivo si rileva l’impossibilità a retrarre il prepuzio per stenosi del suo anello prepuziale e la presenza di smegma (sostanza caseosa biancastra), di riscontro fisiologico. Figura 1. – Fimosi: lichen scleroatrofico cronico. Figura 2. – Plastica di ampliamento prepulziale 206 Capitolo 7 Terapia Nei casi aderenze balano– prepuziali è indicata la lisi. Nei casi in cui si presenti una fimosi vera si può praticare una plastica di ampliamento del prepuzio, nei casi in cui sia presente Lichen Scleroatrofico la circoncisione reppresenta l’approccio Figura 3 – Papiro di Ebres 3000 a.C. più corretto (Fig. 1–2). Circoncisione. Quest’ultimo intervento viene eseguito da tempi antichissimi, come documentato in un papiro Egizio del 3000 a.C., (Fig. 3). Segni storici di questa pratica si trovano in ogni tipo di cultura. Nu- Figura 4.5.6 – Intervento di circoncisione con uso di colla chirurgica. (Freccia) Applicazione di colla tissutale lungo i margini di incisione mediante beccuccio sterile. Protezione del meato uretrale con garza umida. C.Spinelli et al. Wound approximation by tissue glue in circumcision. Surg. Innovation. 2009. Patologia uro–andrologica 207 merose tecniche sono state descritte in letteratura, le principali sono la “sleeve resection”, “squeeze” e “guillotine”, esse variano dall’escissione senza sutura all’approssimazione dei margini con suture. Lo scopo di ogni tecnica usata per la circoncisione è quello di togliere la cute prepuziale senza danneggiare il glande, il frenulo e l’uretra e al tempo stesso di conseguire un migliore outcome in termini di risultati chirurgici, velocità di guarigione e risultati estetici. L’applicazione della colla chirurgica nella circoncisione è stata introdotta con eccellenti risultati in termini di risultato estetico, dolore, e velocità di guarigione con la significativa riduzione di complicanze post operatorie. Dopo aver escisso il prepuzio e cauterizzato eventuali sanguinamenti viene posta in trazione la cute le la cuffia mucosa mediante quattro punti. Successivamente, dopo aver affrontato i due margini, essi vengono uniti facendo gocciolare la colla in cianoacrilato con l’ausilio di un beccuccio sterile tenuto distante dalla ferita. Questo procedimento viene ripetuto per tutti e quattro i margini liberi proteggendo ogni volta il meato uretrale con una garza umida. I lembi quindi vengono tenuti in posizione per circa un minuto fino alla completa essiccazione del prodotto. Alla fine dell’intervento vengono tolti i quattro punti rimanenti. Dopo circa dieci giorni la pellicola di colla comincia a sfogliare spontaneamente (Fig. 4–6). 7.5 Ipospadia Per ipospadia s’intende un singolare e frequente disordine congenito dell’apparato urogenitale maschile caratterizzato da alterazioni della linea mediana ventrale del pene (Fig. 7–8). Il meato può aprirsi lungo il rafe in un punto qualsiasi compreso fra il perineo e il tratto prossimale del glande. L’incidenza dell’ipospadia è di 3.1/1000 nati. L’ipospadia è caratterizzata da – Incompleto sviluppo dell’uretra anteriore, del corpo spongioso, del glande e del prepuzio. – Meato uretrale in posizione ectopica. 208 Capitolo 7 – Schisi ventrale del prepuzio, che assume il cosiddetto aspetto a “orecchie di cane”. – Glande aperto ventralmente. – Chordee (grado variabile di curvatura ventrale del pene in erezione). – Anomalie dello scroto, che può assumere aspetto bifido, vulviforme, o trasposto. Eziopatogenesi Fattori genetici. Un largo numero di bambini affetti da ipospadia e/o criptorchidismo presenta una facies tipica, caratterizzata da fronte larga e prominente, ponte nasale ampio e ipertelorismo oculare. Sono state evidenziate mutazioni del gene MID1 (Linea Mediana 1), coinvolto nella determinazione dell’asse corporeo verticale. Questa malformazione pertanto può essere considerata parte dello spettro clinico della Sindrome di Opitz attenuata (mild Optiz phenotype), caratterizzata da un disturbo nello sviluppo embriologico della linea mediana con anomalie di sviluppo del corpo spongioso dell’uretra. Fattori ambientali. Endocrine–disrupting chemicals: inquinanti ambientali ad attività estrogenica (pesticidi, DDT, dios- Glandulare 10% Distale 70% Prossimale 20% Figura 7 – Ipospadia distale. Figura 8. – Classificazione anatomica dell’ipospadia Patologia uro–andrologica 209 sine, PVC, conservanti alimentari). In soggetti con predisposizione genetica (alterazione del gene del recettore estrogenico) determinano nella progenie malformazioni quali ipospadia e criptorchidismo. (C. Spinelli et al. Malformazioni urinarie: analisi genetica del recettore estrogenico a ed azione degli estrogeni ambientali. Socetà Ital. Urol. Ped. 2006). Cenni di embriologia La differenziazione dell’uretra subisce l’influsso ormonale esercitato da una sostanza elaborata dalle cellule interstiziali del testicolo embrionale. L’uretra si forma solo in questo breve periodo di tempo. Qualora essa risultasse incompleta al termine della fase di induzione, ne residuerebbe un’ipospadia. La differenziazione della guaina di copertura cutanea peniena non subisce invece influssi ormonali. Essa continuerà a svilupparsi anche in presenza di un incompleto sviluppo uretrale. In questa evenienza la cute sarà costretta a spostarsi dorsalmente determinando il caratteristico aspetto di prepuzio “a ventaglio”. L’ipospadia non è un evento esclusivo del sesso maschile. Nella femmina esiste la possibilità, abbastanza infrequente, di uno sbocco del meato uretrale a livello della parete anteriore della vagina. Tale situazione anatomica può accompagnarsi ad incontinenza urinaria per ipoplasia del complesso sfinterico, oppure ad una sindrome da ostruzione sotto–vescicale secondaria a stenosi del meato uretrale. La formazione del perineo superficiale dipende dalla mesodermizzazione della regione, processo che esprime una migrazione del mesoblasto dai somiti dell’estremità caudale in direzione dorso–ventrale. Le pieghe cloacali, dopo aver contornato quelli che saranno gli orifici fisiologici della regione perineale, si avvicinano alla linea mediana da dietro verso l’avanti e formano verso la quinta settimana di gestazione il tubercolo genitale. Quest’ultimo si allunga trascinando con sé le pieghe genitali che circondano il segmento fallico del seno–urogenitale (parte anteriore della cloaca già suddivisa in due cavità dal setto uro–rettale). Si forma così la doccia uro–genitale e, sul fondo di quest’ultima, la lamina uretrale (di origine ectodermica). Verso il terzo mese di gestazione le pieghe genitali si fondono fra loro sotto 210 Capitolo 7 la doccia uro–genitale dando luogo all’uretra peniena. Questa è circondata dal corpus spongiosum ed è a contatto con le altre due formazioni di origine mesodermica (corpi cavernosi), che partecipano alla costituzione del tessuto erettile. Sulla superficie ventrale del glande appare una cresta longitudinale epiteliale; da essa, per una specie di cavitazione, prenderà origine l’uretra glandulare, destinata ad aprirsi da un lato in prossimità del vertice dell’asta, dall’altro nell’uretra peniena. A differenziazione avvenuta, sarà riconoscibile sulla linea mediana un rafe ventrale a livello del perineo, dello scroto e del pene. Classificazione Su base anatomica possiamo distinguere una ipospadia: – Glandulare (10%) – Distale (70%) • Balanica (30%) • Peniena anteriore (25%) • Peniena media (15%) – Prossimale (20%) suddivisa in: • Peniena posteriore (6%) • Peno–scrotale (5%) • Scrotale (6%) • Perineale (3%) Alterazioni funzionali Se è vero che i problemi posti da un’ipospadia anteriore sono prevalentemente di ordine “estetico”, è altresì vero che un’ipospadia posteriore presuppone limitazioni “funzionali” (del getto urinario e di fertilità per difficoltà di penetrazione e di direzione dell’eiaculato durante l’atto sessuale). Anomalie associate Il 4–20% dei pazienti con ipospadia presenta criptorchidismo. In caso di ipospadia severa associata a criptorchidismo bilate- Patologia uro–andrologica 211 rale, bisogna porre particolare attenzione in quanto può essere espressione di un disordine intersessuale, rendendo necessario una valutazione del cariotipo. Terapia chirurgica Esistono oltre 300 tecniche per la correzione dell’ipospadia ma su quale sia la migliore è ancora aperto un dibattito. Le più utilizzate sono la tecnica di Snodgrass, la Pippi Sale, e nelle forme prossimali severe l’uretroplastica in due stadi secondo Bracka. La scelta tra queste dipende dalla posizione del meato, dal grado del chordee e dall’esperienza del chirurgo. Le fasi della riparazione dell’ipospadia consistono: nella correzione del chordee, nell’uretroplastica dell’uretra assente e nella ricostruzione della porzione ventrale: del glande, del corpo spongioso e della cute. L’età in cui viene raccomandato l’intervento chirurgico è variabile da caso a caso ma preferibilmente prima dei 2 anni. Complicanze chirurgiche La più frequente è la fistola uretro–cutanea (incidenza in letteratura: 15–45%), seguita dalla stenosi del meato. Considerazioni tecniche Noi riteniamo che la tecnica della uretro–spongioplastica debba essere tenuta in alta considerazione nella correzione dell’ipospadia anteriore in quanto associata ad una minore incidenza di complicanze. Essa si basa sulla mobilitazione dei corpi spongiosi divergenti. Il piatto uretrale viene inciso e tubulizzato, usando un monofilamento riassorbibile, ed i corpi spongiosi vengono suturati al di sopra della neourtera, il dartos, quando possibile, viene posto al di sopra della sutura quale ulteriore protezione. L’intervento termina con la ricostruzione del prepuzio. La dissezione e la sutura del tessuto spongioso, rispetto ad una incisione estesa fino all’apice del glande, facilita una corretta ricostruzione delle ali del glande e della neouretra riducendo l’incidenza della 212 Capitolo 7 Figura 9,10,11 – Uretro–spongioplastica modificata (ricostruzione anatomica). Spinelli et al. International Congress Society of Hypospadias and Intersex Disorder 2007; Spinelli et al. Società Italiana di Chirurgia Pediatrica 2008. stenosi del meato e della fistola uretro–cutanea. (Fig. 9–11). 7.6 Masse surrenaliche in età pediatrica • SURRENE: ANATOMIA, EMBRIOLOGIA E FISIOPATOLOGIA Il surrene è una ghiandola retroperitoneale situata superiormente e medialmente al rene. Nel neonato rappresenta circa 1/3 delle dimensioni del rene e pesa 7– 9 gr. Nell’adulto ha un diametro dai 3 ai 5 cm con un peso di 4–6 gr. Embriologicamente il surrene si sviluppa da due componenti: una parte mesodermica da cui deriva la corticale ed una ectoder- Patologia uro–andrologica 213 mica (cresta neurale) da cui deriva la midollare. La midollare sintetizza le catecolamine (dopamina, adrenalina, nor–adrenalina), la corticale produce: la parte più esterna detta zona glomerulare i mineralcorticoidi (aldosterone), la zona fascicolata i glucocorticoidi (cortisolo) e la zona reticolare gli androgeni gli estrogeni. Classificazione delle masse surrenaliche Le masse surrenaliche in età pediatrica sono classificabili in: funzionanti e non funzionanti ed inoltre quelle di derivazione dalla corticale e quelle di derivazione dalla midollare. Il carcinoma adrenocorticale, l’adenoma di Conn (iperaldosteronismo), l’adenoma di Cusching (derivazione corticale ), il feocromocitoma ed il neuroblastoma (derivazione midollare). Altre masse surrenaliche non funzionanti sono quelle emorragiche, metastatiche, gli emangiomi, i leiomiomi/sarcomi, i linfomi di Hodking ed i melanomi. • CARCINOMA ADRENOCORTICALE Il CAC rappresenta nel bambino un raro tipo di tumore maligno (0,2% delle neoplasie). L’incidenza oscilla tra 0,3–0,38 /1000000 di bambini al di sotto dei 15 anni di età. Nel 65% dei casi si manifesta entro 5 anni. Sono descritte associazioni con la Sindrome di Li–Fraumeni, la Sindrome di Beckewitt–Wiedemann e con l’emipertrofia. Il CAC colpisce per lo più le femmine con una percentuale del 65%. La sintomatologia è caratterizzata principalmente da quadri clinici ormonali come la sindrome virilizzante (62%), sindrome di Cusching (38%); isolate o variamente associate (8%). Altri sintomi possono essere il dolore addominale, l’ipertensione ed il ritardo della crescita (Fig. 12). Le indagini di laboratorio comprendono: la determinazione plasmatica di ACTH, cortisolo, testosterone androstenedione, DHES, progesterone, 17–OHP, aldosterone e renina. Dovranno essere valutati: 17–ketosteroidi, 17– idrossicorticosteroidi, catecolamine e loro metaboliti. L’ecografia è l’esame di primo livello per la diagnosi associata alla TC e/o RM. 214 Capitolo 7 I fattori prognostici sono riportati nella tabella 2. La sopravvivenza globale di questi tumori a 5 anni varia dal 54 al 74%; la sopravvivenza al I stadio (chirurgia radicale di una neoplasia di volume <200 cc con normalizzaione dei livelli ormonali) è <90%. • FEOCROMOCITOMA È una neoplasia catecolamino–secernente che origina dalle cellule cromoaffini che sono concentrate nella midollare del surrene o nel sistema paragangliare simpatico (paraganglioma: biforcazione aortica–organo di Zuckerkandl, zona perisurrenalica, vescica/uretere, cavità toracica, cavità intracranica, regione cervicale). Prevale nel sesso maschile tra 11–15 anni ed è noto anche come “ten percent tumor” a causa della sua costante percentuale: 10% di incidenza tra le neoplasie nei bambini, il 10% di localizzazione extrasurrenalica, 10% bilaterale negli adulti (nei bambini 25–30%), 10% multicentrico e 10% familiare. Tutti i pazienti con feocromocitoma dovrebbero essere sottoposti ad uno screening familiare per la ricerca della mutazione specifica del proto–oncogene RET. Quest’ultimo infatti è implicato nella differenziazione di specifiche linee cellulari che originano dalla cresta neurale. Rispetto al feocromocitoma sporadico il feocromocitoma associato ad una mutazione RET ha un’alta percentuale di bilateralità (oltre il 50%) e di multifocalità; Inoltre esso difficilmente è extrasurrenalico e raramente maligno. Nel 24% dei casi il feocromociFigura 12 – Clitoridomegalia in bambina di 2 toma (associato ad alterazione anni affetta da. ca corticosurrenale virilizzante. Patologia uro–andrologica 215 del protooncogene RET) può essere la sola espressione della MEN2 (in assenza di patologia tiroidea e/o paratiroidea). Viene riportato rispettivamente nella Tab.3 e Tab.4 un caso clinico di una bambina di 14 anni affetta da feocromocitoma e MEN 2 ed un caso clinico di una bambina di 12 anni affetta da feocromocitoma e MEN 2B. La sintomatologia del feocromocitoma è caratterizzata da ipertensione arteriosa stabile o parossistica, anche se nel 20% è presente normotensione arteriosa. Talvolta sono presenti crisi ipertensive di breve durata seguite da ipotensione ortostatica accompagnate da sudorazione profusa, tachicardia, cefalea, nausea/vomito ed astenia intensa. La diagnosi differenziale deve essere fatta con altre cause di ipertensione arteriosa nel bambino come: affezioni nefrovascolari, ipertiroidismo, coartazione aortica, tumori corticosurrenalici, sindrome adrenogenitale, tumori cerebrali ed ipertensione essenziale. La diagnosi di feocromocitoma si basa sulle indagini di sede: Eco, Tac, Rmn, scintigrafia con I 131 metiodo–benzilguanidina (M.I.B.G.), analogo della norepinefrina che si localiz- 216 Capitolo 7 za nel tessuto cromaffine patologico sia in sede surrenalica che extrasurrenalica. Gli esami di laboratorio sono basati sul dosaggio delle catecolamine plasmatiche e delle metanefrine urinarie delle 24 ore. Le catecolamine possono aumentare anche nella S.Guillan–Barrè, neuroblastoma, porfiria, tumori cerebrali, sindrome da carcinoide e nella colelitiasi intraepatica. 7.7 Tumori neuroblastici Neoplasie tipiche dell’età pediatrica che originano dai neuroblasti della cresta neurale primitiva. Embriologia ed anatomia del S.N.Simpatico Le cellule della cresta neurale (neuroblastomi) danno origine a: 1. Gangli spinali sensitivi del simpatico (gangli delle radici dorsali) 2. Gangli somatici sensitivi del simpatico 3. Gangli motori post–ganglionari autonomi (s.n. simpatico e parasimpatico) 4. Gangli nervi cranici (VI–VII–IX–X) 5. Cellule di Schwann 6. Meningi (Pia–Aracnoide) 7. Cellule del mesenchima degli archi branchiali faringei 8. Tessuto connettivo del cranio e faccia 9. Odontoblasti 10. Gangli pre–aortici (celiaci–mesenterici) 11. Cellule cromaffini (cellule endocrine) che a loro volta danno origine a: – Surrene–midollare – Glomo carotideo – Cellule melanocitiche di Merkel – Tiroide (cellule C parafollicolari) – Insulae pancreatiche Inoltre sono presenti nel tenue, nell’appendice e nel retto. Patologia uro–andrologica 217 Classificazione istologica Ganglioneuroma: benigno e differenziato. Ganglioneuroblastoma: caratteristiche istologiche intermedie, comportamento prevalentemente maligno. Neuroblastoma: forma più nota, comportamento maligno. • NEUROBLASTOMA È il tumore solido più frequente in età pediatrica originante dalle cellule della cresta neurale, ad eziologia sconosciuta, secondo alcuni autori l’assunzione di idantoina, fenobarbital e alcool durante la gravidanza può favorire l’insorgenza di tale neoplasia. Esso ha una presentazione clinica ed un comportamento biologico estremamente variabile, potendo andare incontro a regressione spontanea o differenziarsi in un ganglioneurinoma benigno. Nella maggior parte dei casi è molto aggressivo e si presenta già metastatizzato al momento della diagnosi. Epidemiologia È il tumore solido extracranico più frequente in età pediatrica, l’incidenza annua è di 9 casi / milione (<15 aa); tipico della prima infanzia: 70% dei casi in età < 5 aa (raro > 10 aa). Esso è il tumore maligno più frequente in epoca neonatale, con possibilità di diagnosi ecografica prenatale. Genetica Delezione del braccio corto (p) del cromosoma 1, locus 36 [1p36] (nel 35% dei casi alla diagnosi). Prognosi sfavorevole: amplificazione del gene n–myc [cromosoma 2] (nel 20% dei casi alla diagnosi); Prognosi favorevole: recettori per le neutrofine: geni trk–a, trk–b, trk–c es. trk–a codifica per il recettore del ngf —> differenziazione. 218 Capitolo 7 Distribuzione Essendo il neuroblastoma un tumore che origina dai neuroblasti può insorgere in qualsiasi sede dell’organismo in cui siano presenti cellule del s.n. simpatico: – – – – 50 % dei casi midollare del surrene; 25 % gangli latero–vertebrali simpatici dell’addome; 20 % gangli latero–vertebrali simpatici del torace; 5 % gangli latero–vertebrali simpatici del collo e della pelvi. Quadro clinico Sintomi sono insidiosi e vaghi. Il quadro clinico è in rapporto alla localizzazione della sede primaria, alla diffusione metastatica ed alle alterazioni metaboliche indotte dai prodotti escreti dalla neoplasia stessa. Il neuroblastoma può simulare, soprattutto quando la malattia è nelle fasi iniziali: una patologia infettiva (osteomielite), una artrite reumatoide o una leucemia acuta. I segni aspecifici sono: astenia, perdita di peso, febbre, sudorazione, rash cutanei, dolori ossei ed articolari. Possono essere segni di malattia metastatica: ecchimosi periorbitali, occhi a panda (Racoon eyes, Fig. 13) ed altre manifestazioni emorragiche. Sindrome paraneoplastica: opsomioclonie (sindrome degli occhi e dei piedi danzanti, movimenti dei muscoli degli arti, degli Figura 13 – Racoon eyes. Patologia uro–andrologica 219 occhi e del tronco) – Diarrea intrattabile con marcata ipopotassemia (secrezione di VIP correlata a ganglioneuroma o ganglio neuroblastoma) – Ipertensione arteriosa: per aumentata increzione di catecolamine (19% bambini con neuroblastoma hanno ipertensione arteriosa). Essa si risolve dopo terapia chirurgica o chemioterapia. Sintomatologia in rapporto alla sede Sede Surrenalica (50%): anoressia, vomito, vaghi dolori addominali, massa palpabile (quadranti laterali dell’addome o regione sottocostale, scarsamente mobile, irregolare, margini mal delimitabili). Essa può determinare compressione vascolare e ostacolo al deflusso venoso: turgore vasi venosi delle estremità, edema scrotale ed edema degli arti. Inoltre può causare ipertensione arteriosa per compressione dell’arteria renale (ipertensione renina mediata). Gangli Paraspinali Retroperitoneali (25%): se la neoplasia si infiltra nei forami intervertebrali, provoca compressione extradurale del midollo e delle radici dei nervi spinali con difficoltà alla deambulazione, areflessia / iperreflessia, paralisi degli arti, vescica instabile, pseudocclusione intestinale (Dumb–Bell Syndrom). Sede Toracica (20%): più frequentemente asintomatico, di solito la diagnosi viene fatta dopo l’esecuzione di un Rx torace per tosse persistente o insufficienza respiratoria (presenti nelle fasi tardive). – Nbl mediastinico: tosse, insufficienza respiratoria, disfagia – Nbl mediastinico paraspinale: penetra all’interno dello speco vertebrale e comprime il midollo spinale “neuroblastoma a clessidra” (Dumbell Syndrome). Sede Cervicale o Mediastinica Alta (<5%): in questa sede i neuroblastomi originano dai gangli del simpatico cervicale, sono normalmente palpabili e visibili come masse cervicali, si possono associare a linfoadenopatia in sede cervicale ed a sindrome di Claude–Bernard–Hörner 220 Capitolo 7 per l’impegno della componente simpatica cervicale, soprattutto del ganglio stellato (ptosi palpebrale unilaterale, miosi e enoftalmo). Sede Pelvica (<5%): essi possono determinare, come il neuroblastoma pelvico dell’organo di Zuckerlandl, compressione vescicale e/ o intestinale con disturbi dell’alvo o della funzione vescicale, tali da simulare disturbi sfinteriali. I tumori pelvici possono essere palpabili dall’addome o dall’esplorazione rettale sottoforma di una massa presacrale dura e bernoccoluta. Correlazione sede primaria / età: la sede primaria varia in relazione all’età del paziente. Neuroblastomi diagnosticati nel periodo pre–natale sono principalmente localizzati in sede surrenalica (93%) ed hanno una biologia favorevole (67%–1° stadio). Nel primo anno di vita esso predilige la sede toracica e cervicale, dopo prevale la localizzazione surrenalica. In oltre il 50% dei pazienti alla diagnosi si riscontrano metastasi: diffusione ematica e linfatica, fegato, tessuto sottocutaneo (noduli bluastri), ossa (predilezione per le ossa cranio–facciali), tessuti periorbitali e retrobulbari (Racoon eyes), polmone, cervello. La sindrome di Pepper è caratterizzata dalla presenza di metastasi epatiche massive ± distress respiratorio (il fegato può crescere a dismisura fino a causare un ostacolo alla respirazione) e metastasi sottocutanee (diffusi noduli bluastri); la sindrome di Hutchinson: zoppie ed irritabilità (per metastasi scheletriche); la sindrome di Kerner–Morrison: diarrea secretoria intrattabile (per aumento di secrezione di vip dai neuroblasti), atassia cerebellare (2% neuroblastomi) per probabile fenomeno immunitario che coinvolge il sistema cerebellare e reticolare. Diagnosi Laboratorio a) Test aspecifici: – Funzione renale (Na; K; Ca; creatininemia plasmatica); – Funzione epatica (bilirubina; transaminasi; proteine totali); – VES; – LDH (orientativo di malattia avanzata) è distribuito in vari Patologia uro–andrologica 221 tessuti come miocardio, muscolo, fegato, cervello, sangue (globuli rossi); aumenta in caso di infarto, epatopatie, linfomi, leucemie, anemie, nefropatie, neoplasie diffuse; – FERRITINA: proteina presente nel fegato, midollo osseo, milza, sintetizzata dal tessuto reticolo endoteliale, viene metabolizzati dal fegato. Le cellule del neuroblastoma producono ferritina. Essa aumenta in caso di epatopatie, siderocromatosi primitive, anemie emolitiche, neoplasie come linfomi, leucemie, neuroblastomi, neoplasie mammarie, pancreatiche, colon–rettali, renali, lupus e. s. ed artrite reumatoide. b) Test specifici: – Adrenalina, noradrenalina, dopamina e catecolamine urinarie (valori elevati nelle urine/24 ore), metanefrina, normetanefrina, ac. vanilmandelico (cellule più mature), ac. omovalinico (cellule meno mature). Sia le catecolamine plasmatiche che quelle urinarie risultano aumentate in caso di feocromocitoma, neuroblastoma, ganglioneurinoma, paraganglioma. Il monitoraggio delle catecolamine, oltre a rivestire un valore diagnostico elevato è utile nella sorveglianza dello stato di remissione, per cogliere precocemente una recidiva, prima di una evidenza clinica. NSE (enolasi neurone specifica): è un enzima glicolitico prodotto dal sistema nervoso centrale, dal sistema nervoso periferico e dal tessuto neuroendocrino. Essa viene espressa dalle cellule neurali; aumenta nel feocromocitoma, carcinoma midollare tiroideo, apudomi, carcinoma bronchiale, astrinomi, carcinoma mammario, carcinoma gastrointestinale, carcinoma pancreatico e nei linfomi maligni. Nel neuroblastoma se si riscontra l’NSE elevata è orientativa di malattia aggressiva; ha una alta sensibilità (90%) e specificità (85%) per i neuroblastomi ed è molto utile nella diagnostica, nel monitoraggio (insieme a LDH e ferritina) e nella diagnosi differenziale tra neuroblastoma e tumore di Wilms. 222 Capitolo 7 Diagnostica per immagini – ECOGRAFIA: prima indagine per le forme addominali e pelviche; essa conferma il sospetto clinico di massa solida o cistica; il pattern ecografico tipico del neuroblastoma è quello di una massa eterogenea con aree di calcificazione e necrosi (nel 50% dei casi sono presenti calcificazioni distrofiche rilevabili). – RX TORACE / DIRETTA ADDOME: si riscontrano micro calcificazioni, fuso paravertebrale (massa ai lati del rachide), slargamento dei forami di coniugazione, alterazioni costali. – (RX CRANIO): cranio tarlato per metastasi ossee. – ANGIO – TC: utile per valutare dimensioni e volume, vascolarizzazione della massa, consistenza cellularità / tessuto fibroso, rapporti tra massa e vasi circostanti, fegato, rene, pancreas, grossi vasi, e la presenza di metastasi (fegato, midollo osseo, teca cranica, femore, cervello). Essa permette inoltre di studiare il coinvolgimento da parte della neoplasia dei grossi vasi (Fig. 14). – MIELO – TC: studio del canale midollare. Figura 14 – Caso clinico – Bambino 4 anni con neuroblastoma. Massa addominale palpabile di consistenza tesa. Tc addome: “voluminosa massa retroperitoneale a carattere espansivo (11.5 X 7.5 cm circa), in minima parte verosimilmente colliquata, che disloca il fegato, il rene destro e la testa del pancreas, di pertinenza surrenalica destra. La massa ingloba l’arteria renale destra e l’arteria mesenterica superiore e disloca la vena cava, che appare compressa, la vena renale destra ed il tripode celiaco”. Patologia uro–andrologica 223 – RMN: indicata nei casi di sospetto coinvolgimento midollare per la sua minima invasività ed alta specificità; oggi è usata largamente sia nella fase diagnostica che nei successivi controlli. – SCINTIGRAFIA con MIBG (meta–iodio–benzil–guanidina): è il marcatore positivo per le cellule neuroendocrine si fissa sul tumore primitivo e sulle sue metastasi nel 90% dei casi. Nel follow–up permette di conoscere e valutare la capacità captante del tumore; è meno utile per la diagnosi differenziale tra tessuto fibroso, metastasi o ripresa locale. La specificità è del 99% e la sensibilità 85%. Essa è attualmente ritenuta l’indagine di stadiazione più affidabile (Fig. 15). – SCINTIGRAFIA con 99Tc: se il tumore non capta. Diagnosi istologica Lo studio citologico su puntato midollare e la biopsia ossea delle creste iliache permettono di eseguire una diagnosi di natura: 1. Neuroblastoma (Schwannian stroma poor): istotipo biologicamente più aggressivo caratterizzato da cellule indifferenziate di piccole dimensioni, rotondeggianti, con scarso citoplasma, nuclei picnotici “tumore a piccole cellule” spesso aggregate a formare “pseudorosette di Homer–Wright”. 2. Ganglioneuroblastoma (“Intermixed”, Schwannian stroma rich): con capacità invasive e metastatiche, costituito da cellule neuroblastiche associate a cellule gangliari mature. 3. Ganglioneuroma (Schwannian stroma dominant): rappresenta la forma benigna del neuroblastoma caratterizzato da cellule gangliari e fibre nervose. 4. Tumore neuroblastico (NAS) non altrimenti specificabile. Figura 15 – Scintigrafia con MIBG (metastasi diffuse da neuroblastoma) 224 Capitolo 7 Diagnosi citogenetica e molecolare: Utile per valutare le anomalie cromosomiche: 1. Delezione braccio corto cromosoma 1 (fattore prognostico negativo). 2. DNA–index (D1) (diploide): viene calcolata la quantità totale del DNA contenuto nei neuroblasti: –Alto contenuto (iperdiploidi–DNA >1) (neuroblastomi localizzati e responsivi alla terapia) – basso contenuto (diploidi–DNA =1) (neuroblastomi avanzati, refrattari alla terapia). 3. Amplificazione del proto–oncogene N–MYC: è legata ad una maggiore aggressività ed a prognosi sfavorevole (neuroblastomi in stadio avanzato di malattia). 4. Espressione del proto–oncogene TRK. Secondo l’ “International Neuroblastoma Staging System” i criteri per la diagnosi di neuroblastoma sono rappresentati dall’esame istologico (tessuto tumorale con microscopia ottica con o senza immunoistochimica e/o microscopia elettronica, con valori normali o aumentati delle catecolamine sieriche o loro metaboliti urinari) oppure dell’agoaspirato del midollo osseo contenente infiltrato di cellule tumorali, associato ad incremento patologico di catecolamine sieriche e/o loro metaboliti nelle urine. Stadiazione Secondo l’International Neuroblastoma Staging System (INSS), basata sulla valutazione clinica, radiologica e chirurgica, si classifica in: – Stadio 1: tumore localizzato, asportato radicalmente senza residui macro/microscopici; linfonodi “rappresentativi” negativi. – Stadio 2: • 2A. Tumore asportato in modo incompleto linfonodi omolaterali negativi. • 2B. Tumore asportato in modo incompleto con linfonodi positivi. Patologia uro–andrologica 225 Stadio 1 + Stadio 2A + Stadio 2B – Stadio 3: tumore inoperabile infiltrante la linea mediana con o senza interessamento dei linfonodi regionali o tumore della linea mediana con estensione bilaterale per infiltrazione o interessamento linfonodale. – Stadio 4: qualunque tumore primitivo con disseminazione ai linfonodi distanti, ossa midollo osseo, fegato, cute. Stadio 3 + Stadio 4 – Stadio 4S: tumore primitivo localizzato (come per gli stadi 1, 2A, 2B) con disseminazione limitata a cute, fegato, midollo osseo, senza interessamento osseo in bambini minori di 1 anno. Lo stadio 4s tipico della primissima infanzia, <1 anno, si presenta abitualmente con tumore primario allo stadio 1 o 2A o 2B o è sconosciuta la sede primitiva ma contemporaneamente è caratterizzata da un interessamento diffuso (fegato–cute, neoformazioni nodulari) e/o midollo osseo mentre risulta assente l’interessamento scheletrico. La prognosi risulta più favorevole nonostante la disseminazione diffusa, con una possibile evoluzione benigna e risoluzione spontanea delle lesioni multiple. L’asportazione chirurgica del tumore primitivo sembra non incidere sulla prognosi; l’exeresi tumorale può essere eseguita quando le condizioni generali del neonato lo permettono. Terapia Chirurgia, chemioterapia e radioterapia, variamente modulate per età, stadio e caratteristiche biologiche: – Stadio I: Chirurgia – Stadio II: Chirurgia + Chemioterapia adiuvante – Stadio III: Chemioterapia Neoadiuvante Chirurgia + Chemioterapia adiuvante – Stadio IV: Chemioterapia a dosi ridotte + Chirurgia Se N–MYC amplificato: megaterapia post–operatoria e trapianto di midollo. 226 Capitolo 7 7.8 Nefroblastoma o tumore di Wilms Il nefroblastoma rappresenta la quasi totalità delle neoplasie renali nell’infanzia ed è un esempio di come molti tumori dell’età evolutiva grazie ad un uso integrato tra chirurgia, radioterapia e chemioterapia abbiano oggi, nella maggior parte dei casi, prognosi favorevole. Epidemiologia L’età media alla diagnosi è di 3,2 anni (75% dei casi in età inferiore a 5 anni) e l’incidenza è di circa 1 caso/10.000 bambini con età inferiore ai 15 anni. Essa è uguale nei due sessi. Il tumore di Wilms nel 5–8% dei casi è bilaterale. Il nefroblastoma viene classificato in una forma isolata ed in una forma associata ad altre anomalie congenite come la sindrome WAGR (aniridia, malformazioni genitourinarie, tumore di Wilms, ritardo mentale), la sindrome di Denys–Drash (insufficienza renale, pseudoermafroditismo e tumore di Wilms) e la sindrome di Beckwith–Wiedemann (neoplasie embrionali, emiipertrofia, macroglossia e visceromegalia). Studi biomolecolari hanno evidenziato alcune mutazioni geniche ricorrenti come nel gene WT1 sul cromosoma 11p13 (gene WT1 che codifica per un fattore di trascrizione implicato nello sviluppo del blastema metanefrico e nella sua interazione con l’epitelio dell’abbozzo ureterico derivato dal dotto mesonefrico). Questa mutazione è stata riscontrata sia nella forma sporadica che in quella familiare. Sono state rilevate mutazioni anche a carico del gene WT2 a livello del cromosoma 11 p15.5. A conferma di questa “predisposizione genetica” in casi di tumore di Wilms sono stati riscontrati foci di lesioni “premaligne” indicati come nefroblastomatosi. Anatomia patologica Il Tumore di Wilms origina dal blastema renale e presenta una miscela di epiteli renali primitivi, elementi stromali e talora anche tessuti eterologhi. Patologia uro–andrologica 227 Nel 10 % dei casi ci troviamo di fronte a forme anaplastiche o sarcomatose che rappresentano un fattore prognostico altamente negativo, con cellule tre volte più grandi, nuclei ipercromici e mitosi. Il Tumore di Wilms si presenta all’osservazione macroscopica nettamente delimitato e variabilmente incapsulato. Al taglio è di colorito grigiorosato con aspetto eterogeneo per la presenza di aree necrotiche, emorragiche e mucinose–encefaloidi. Stadiazione del National Wilms Tumor Study Group (NWTS) Stadio1. Tumore limitato al rene e asportabile completamente mantenendo intatta la superficie capsulare. Stadio2. Tumore si estende oltre il rene, ma può essere completamente escisso. Stadio3. Asportazione incompleta con residuo post chirurgico limitato all’addome. Stadio4. Metastasi ematogene, più frequentemente a carico del polmone. Stadio5. Coinvolgimento renale bilaterale al momento della diagnosi. Quadro clinico La diagnosi viene fatta nella maggior parte dei casi con la scoperta casuale di una massa addominale di notevoli dimensioni inizialmente asintomatica localizzata al fianco, fissa, di consistenza duro–elastica che raramente supera la linea mediana. Quest’ultimo rappresenta un fattore importante per la diagnosi differenziale con il Neuroblastoma. Il dolore addominale e il vomito non sono infrequenti ma sono poco specifici anche se si può arrivare ad un quadro di addome acuto, soprattutto in caso di emorragia intratumorale post–traumatica, che può esitare in ematoma retroperitoneale o in un emoperitoneo. L’ematuria macroscopica è presente in 1/4 dei casi ma raramente si manifesta all’esordio e viene definita “incostante e capricciosa”. L’ipertensione arteriosa viene riscontrata nel 60% dei pazienti. Derivante da ischemia renale dovuta alla pressione esercitata dalla massa sulla arteria renale. 228 Capitolo 7 Esami strumentali Indagine di primo livello è l’ecografia, seguita per la stadiazione da TC con mdc. Queste due metodiche permettono di evidenziare l’estensione della neoplasia all’interno della vena renale o della vena cava ed eventuali metastasi ai linfonodi retroperitoneali, al rene controlaterale o al fegato. Inoltre esse permettono di fare una diagnosi differenziale soprattutto con il neuroblastoma ma anche con l’idronefrosi, le cisti renali, la pielonefrite xantogranulomatosa, il nefroma mesoblastico ed altre forme maligne renali. Nella stadiazione è necessario effettuare una Rx torace per la presenza nel 10% dei casi di metastasi polmonari. Terapia Il valore della chemioterapia adiuvante nel Tumore di Wilms è noto. Essa ha migliorato l’outcome assieme alla chirurgia dal 30%, nel 1930, all’85% dei giorni nostri. Oggi gli studi in corso cercano di stabilire i criteri per massimizzare l’efficacia della terapia in modo da rendere minime la tossicità trattamento–correlata (acuta o a lungo termine), cioè diminuire la terapia per i bambini con tumori a basso rischio o aumentarla nei bambini con tumori ad alto rischio. Il National Wilms’ Tumor Study Group (NWTS) consiglia una chemioterapia post–operatoria, mentre l’International Society of Pediatric Oncology (SIOP) suggerisce di eseguire la chirurgia dopo una chemioterapia pre–operatoria. La chemioterapia pre–operatoria è sicuramente indicata nei tumori bilaterali, in pazienti con rene singolo, in reni a ferro di cavallo, in tumori con invasione trombotica della vena cava inferiore ed in pazienti con distress respiratorio dovuto a metastasi polmonari. Entrambi i trattamenti, sia la resezione primaria seguita da chemioterapia sia la chemioterapia pre–operatoria, hanno ottenuto eccellenti risultati clinici. Chirurgia L’asportazione chirurgica prevede una via di accesso transperitoneale mediante un’incisione ampia sopraombelicale trasversa Patologia uro–andrologica 229 tale da consentire un’agevole esplorazione del cavo addominale, delle catene linfonodali e del rene controlaterale ed un più facile controllo del peduncolo vascolare renale. L’asportazione riguarda il tumore in blocco con il rene, l’uretere, il grasso perirenale ed eventualmente il surrene. La nefrectomia parziale è riservata a casi selezionati Radioterapia La radioterapia postoperatoria è indicata in bambini con tumore avanzato o bilaterale ed in particolare nelle metastasi soprattutto polmonari. Prognosi La prognosi del Tumore di Wilms varia in base allo stadio e soprattutto al tipo istologico. Se l’asportazione è completa e l’istologia favorevole la sopravvivenza a cinque anni è intorno al 100%, al contrario l’istologia anaplastica o sarcomatosa presenta sopravvivenze inferiori al 50%. Le metastasi polmonari solitamente rispondono bene alla terapia mentre le altre abbattono gli indici di sopravvivenza a breve termine. Particolari alterazioni cromosomiche, come la perdita dell’eterozigosi LOH del crom. 1p e 16q, sembrano essere correlate con un maggior rischio di recidiva e mortalità. 7.9 Tumori del testicolo Epidemiologia Sebbene l’incidenza di questa affezione sia aumentata di oltre due volte negli ultimi trent’anni, il tumore del testicolo rimane una malattia piuttosto rara andando a costituire solo il 3–10% di tutti i tumori nell’uomo adulto e l’ 1–2% di tutte le neoplasie maligne pediatriche. L’incidenza varia in relazione a diversi fattori: l’età (esistono 3 picchi di incidenza: in età pediatrica <2 anni, tra i 25 e i 34 anni e 230 Capitolo 7 dopo i 50 anni), la distribuzione geografica (elevata in Scandinavia, Germania, Nuova Zelanda; bassa in Asia) e la razza (maggiore nella razza caucasica rispetto a quella asiatica e soprattutto rispetto alla razza nera). Fattori di rischio – Criptorchidismo: il rischio di carcinoma testicolare in caso di criptorchidismo è aumentato di 4 volte rispetto al testicolo normale ed è maggiore nel caso di testicolo ritenuto in addome rispetto a quello ritenuto nel canale inguinale ed è ancora più elevata nel caso di ectopia crociata. – Atrofia testicolare (vanishing testis): anch’essa favorisce il carcinoma in situ ed invasivo. – Pregresso cancro del testicolo controlaterale. – Pregresso trauma. – Orchite. – Parotite (orchite). – Infezione da HIV. – Stati intersessuali; come nel caso di insensibilità periferica agli androgeni (Sindrome di Morris), difetti 17–ß–HSD e “streak gonads” in soggetti con Sindrome di Turner. – Familiarità (2,5%) e fattori genetici (alterazioni a carico del Cromosoma 12). Classificazione I tumori del testicolo comprendono una vasta gamma di tipi istologici e possono essere suddivisi in due grandi gruppi: I tumori a cellule germinali: derivano da cellule germinali primordiali che verso la 4a–6a settimana di gestazione migrano dall’entoderma del sacco vitellino verso la cresta genitale dorsale formando le gonadi primitive indifferenziate nel maschio, dando luogo alla rete testis ed ai tubuli seminiferi, e nella femmina ai follicoli ovarici; migrano inoltre verso sedi extragonadiche ectopiche (mediastino, retroperitoneo, area perineale e sacrococcigea) dove regrediscono spontaneamente. La maggior parte dei tumori a cellule germinali sono neoplasie molto Patologia uro–andrologica 231 aggressive con rapida disseminazione metastatica anche se, grazie alle moderne terapie, la sopravvivenza e la prognosi sono notevolmente migliorate. I tumori non germinali: derivano dai cordoni sessuali e dallo stroma gonadico e quindi da elementi che originano dall’epitelio celomatico. I tumori non germinali, contrariamente alle neoplasie testicolari a cellule germinali, sono delle entità patologiche generalmente benigne. In alcuni casi la produzione di ormoni steroidei da parte della neoplasia comporta l’insorgenza di particolari sindromi endocrine. Clinica La presentazione clinica del tumore testicolare è subdola. Esso si presenta il più delle volte come una massa indolente sia nei pazienti più giovani che in quelli più anziani mentre più raramente il sintomo d’esordio è dato da una sensazione di disconfort a livello scrotale. In alcuni casi può presentarsi come un versamento vaginale siero–ematico (idrocele). Nel 3% dei casi all’esordio il tumore del testicolo si presenta già in fase metastatica, anche in assenza di massa scrotale, con dolori lombari, segni di stasi urinaria per stenosi ab estrinseco delle vie urinarie, adenopatia retroperitoneale, segni di femminilizzazione come ginecomastia e pigmentazione del capezzolo (Tumori a cellule del Sertoli), segni di virilizzazione precoce quali aumento del volume del pene, comparsa di peli a livello pubico ed ascellare, abbassamento del tono della voce, aumento dell’altezza, sviluppo muscolare sproporzionato rispetto all’età, per iperproduzione di testosterone (Tumori a cellule di 232 Capitolo 7 Leydig). Indagini diagnostiche Esame obiettivo: palpazione del testicolo, trans–illuminazione scrotale e palpazione nelle stazioni linfonodali (inguinali, sovraclaveari). Masse linfonodali in fossa iliaca o paravertebrali possono essere riscontrate alla palpazione profonda in fase avanzata di malattia. Ecografia scroto ed eco–color doppler: rappresentano le principali indagini diagnostiche in quanto permettono nella maggior parte dei casi di fare diagnosi di natura della tumefazione testicolare. Importante è lo studio del testicolo controlaterale per escludere la presenza di un tumore sincrono e la valutazione del retroperitoneo. Tc, Rmn per lo studio della neoplasia Rx torace: per escludere metastasi polmonari e mediastiniche Studi siero ematici: – ß hcg: i cui livelli risultano aumentati in circa il 30–60% dei tumori germinali: corioncarcinoma 100%, t. del sacco vitellino 60%, seminoma 10%. – Ldh: valori aumentati nei pazienti con seminomi puri nell’80% dei casi e nei non seminomi nel 60% dei casi. – Afp: livelli aumentati nei pazienti con non seminomi: T. Del Sacco Vitellino e ca. embrionario dell’adulto 60–100%, Corioncarcinoma 1%, seminoma puro 0%. Biopsia transcrotale: sconsigliata per l’elevato rischio di disseminazione locale della neoplasia nello scroto o ai linfonodi. 7.10 Tumori germinali del testicolo I tumori germinali del testicolo (GCT) sono affezioni rare, essi rappresentano circa l’1% di tutti i tumori nel sesso maschile ed il 95% dei tumori maligni del testicolo andando a costituire la più comune neoplasia diagnosticata nella fascia di età compresa tra 15– 34 anni. I CGT hanno una tipica distribuzione per età, con un primo picco nell’infanzia e con un secondo picco ben più ampio che inizia Patologia uro–andrologica 233 subito dopo la pubertà. L’incidenza del GCT è più che raddoppiata negli ultimi 40 anni (0,5–2 casi su 100.000 bambini all’anno) anche se la dimostrata sensibilità dei GCT alla chemioterapia a base di platino ha permesso di raggiungere, insieme alla radioterapia ed alla chirurgia, una sopravvivenza a lungo termine del 99 % negli stadi iniziali e rispettivamente del 90%, 80% e del 50% negli stadi avanzati con “good”, “intermediate”, “poor” prognosi, secondo i criteri dell’International Germ Cell Cancer Collaborative Group. Differenze citogenetiche fra i GCT degli adulti e quelli infantili, unite all’assenza di riscontro di CIS (Carcinoma In Situ) suggeriscono che il GCT in età pediatrica rappresenti una patologia autonoma. Da un punto di vista prettamente istologico i GCT possono essere suddivisi in due principali gruppi: i non seminomi (NSGCT), più comuni nella prima infanzia, ed i seminomi (SGCT), i quali predominano negli adolescenti e nei giovani adulti; in alcuni casi i due istotipi possono coesistere nella solita neoplasia (GCT combinati) anch’essi più frequenti dopo i 25 anni d’età. Seminomi: (frequenti > 25 anni), da un punto di vista anatomo– patologico possono essere classificati in: – Tipico: meno differenziato, più aggressivo, con massima incidenza tra 30–40 anni, rappresenta il 90% dei seminomi. – Spermatocitico: ben differenziato, meno aggressivo. – Anaplastico: con massima incidenza in soggetti >50 anni. Non seminomi: (frequente< 25 anni), da un punto di vista anatomo–patologico si classificano in: – Carcinoma embrionale: massima frequenza intorno ai 20–26 aa, rari tra pubertà e 18aa. È un sottotipo aggressivo, avendo rapida crescita e frequenti metastasi. – Tumore del sacco vitellino: esclusivo dell’infanzia. – Corioncarcinoma: è il tipo più aggressivo. Si presenta “Puro” tra i 30 ed i 40 anni, comprende due tipi di cellule (citotrofoblasto e sinciziotrofoblasto) e possiede un’alta tendenza a metastatizzare a distanza. – Teratoma: rappresenta il 4–9% dei tumori testicolari, rag- 234 Capitolo 7 giunge un’incidenza del 24–28% se associato a tumori della linea germinale (sopratutto ca. embrionale), comprende diversi tipi di cellule (endodermiche, ectodermiche e mesodermiche), colpisce tutte le età, essendo però più frequente tra i 10–20 anni. Si distinguono in: maturi di solito benigni e immaturi, di regola maligni, scarsamente differenziati, associati a presenza di tessuto nervoso con frequenti metastasi a distanza. 7.11 Tumori non germinali del testicolo Tumori Non Germinali del Testicolo: rappresentano il 40% dei tumori testicolari del bambino e il 5% dei tumori testicolari dell’adulto. Possono essere: – Tumore a cellule di Leydig: bassa invasività, possono produrre androgeni, oppure sia androgeni che estrogeni, o talora corticosterodi, potendo dar luogo a sintomi, tra cui la ginecomastia. – Tumore a cellule del Sertoli: solitamente benigni, anche in questo caso possono produrre androgeni e/o estrogeni, ma raramente causano sindromi endocrine. Stadiazione dei tumori del testicolo Il processo di stadiazione è fondamentale per una corretta strategia terapeutica, dovendo essere quanto mai accurato ed attendibile. È necessaria un’attenta valutazione dell’estensione del tumore primitivo, dell’invasione dei linfonodi asportati in corso di una eventuale linfadenectomia allo scopo di definire il numero, la sede, le dimensioni e l’eventuale infiltrazione della capsula. Stadiazione pre– e post– operatoria può essere: – Clinica – Strumentale – Anatomopatologica: con esame istologico delle stazioni linfonodali di drenaggio. Patologia uro–andrologica 235 CLASSIFICAZIONE TNM T0 Non evidenza di tumore primitivo T1 Tumore limitato al testicolo senza invasione vascolare/linfatica T2 Tumore limitato al testicolo con invasione vascolare/linfatica o esteso oltre la tunica vaginale T3 Tumore con invasione del cordone spermatico con o senza invasione vascolare T4 Tumore infiltrante la parete scrotale con o senza invasione vascolare/linfatica Tx Assenza dei requisiti minimi per definire il tumore primitivo N0 Assenza metastasi ai linfonodi regionali N1 Interessamento di un singolo linfonodo ≤2 cm o multipli, nessuno >2 cm N2 Interessamento linfonodale >2 cm <5 cm o multipli, nessuno >5 cm N3 Interessamento linfonodale >5 cm N4 Interessamento dei linfonodi iuxta–regionali (intrapelvici, mediastinici, sopraclaveare NX Assenza dei requisiti minimi per definire lo stato dei linfonodi M0 Nessuna evidenza di metastasi a distanza M1 Presenza di metastasi a distanza MX Assenza dei requisiti minimi per definire la presenza di metastasi a distanza STADIO I I Nessuna evidenza di metastasi IA Neoplasia limitata al testicolo e all’epididimo (categoria T1–T2–T3) IB – Neoplasia infiltrante il funicolo (categoria T4) – Neoplasia insorta in testicolo ritenuto IC – Neoplasia infiltrante lo scroto – Neoplasia insorta dopo orchiopessi, erniectomia, ferita inguino scrotale 236 Capitolo 7 IX Neoplasia operata radicalmente senza indicazione sulla sua estensione STADIO II Stadio Clinico Stadio Patologico IIA Metastasi con diametro massimo <2 cm Metastasi <2 cm, intralinfonodali e in numero non superiore a 5 IIB Almeno una metastasi di dimensioni comprese fra 2 e 5 cm Metastasi >= 2 cm, o perilinfonodali o in numero superiore a 5 Metastasi retro peritoneali di dimensioni >=5 Metastasi >=5 cm, oppure: – In numero >10 – Invasione delle vene retroperitoneli – Rottura intraoperatoria delle metastasi linfonodali – Intervento non sicuramente radicale per resezione condotta ai margini delle metastasi IIC IID – – Metastasi addominali palpabili o >10 cm Metastasi inguinali fisse Metastasi inoperabili o malattia resistente dopo linfoadenectomia STADIO III III Metastasi ai linfonodi sopradiaframmatici e/o ematogene III0 Malattia residua occulta, identificabile solo alla presenza di marcatori biologici IIIA Metastasi mediastiniche e/o sopraclaveari IIIB Metastasi ematogene unicamente polmonari – “malattia polmonare minima”: meno di 5 noduli metastatici in ciascun campo polmonare, nessuno >2 – “malattia polmonare avanzata”: 5 o più noduli metastatici in ciascun campo polmonare o almeno un nodulo superiore a 2 cm. La concomitanza di versamento pleurico o di metastasi mediastiniche si identifica come malattia polmonare avanzata Patologia uro–andrologica 237 Metastasi ematogene in organi diversi del polmone con o senza concomitanti metastasi polmonari IIIC Si parla di stadio 2 bulky quando le metastasi ai linfonodi retroperitoneali sono di 2r >5cm Presenza di metastasi extralinfonodali a distanza: – – – – MTS ossee MTS cerebrali MTS epatiche MTS testicolo controlaterale Si parla, invece, di: Stadio 3 bulky → se le metastasi ai linfonodi retroperitoneali hanno 2r >3 cm e sono presenti noduli polmonari o invasioni di altri organi come fegato o cervello Stadio 3 non–bulky → se le metastasi sono limitate ai linfonodi e polmoni, con 2r > 3cm. • TERAPIA DEI TUMORI DEL TESTICOLO Terapia dello stadio I: Seminoma: Il seminoma allo stadio I può essere trattato in tre diversi modi: – Orchiectomia Radicale + Radioterapia Profilattica: La radioterapia viene diretta solamente verso i linfonodi lombo–aortici ad una dose di 20 Gy e rappresenta la metodica di prima scelta. Il razionale nell’utilizzo della radioterapia è la bassa percentuale di riprese di malattia (5% rispetto al 15–20% della sorveglianza) e la bassa incidenza di effetti collaterali, grazie alla riduzione dei campi di irradiazione e della dose. Nonostante ciò un overtreatment si verifica nell’80–85% dei pazienti. – Orchiectomia Radicale + Protocollo di Sorveglianza: La radioterapia viene eseguita solo quando compaiono metastasi linfonodali. 238 Capitolo 7 – Orchiectomia + uno o due cicli di chemioterapia con carboplatino. Non Seminoma: Nei pazienti con NSGCT allo stadio I le possibilità terapeutiche sono: – Orchiectomia Radicale + Linfadenectomia Retroperitoneale (RPLND). Il razionale della RPLND si basa sul fatto che il retroperitoneo è la localizzazione metastatica iniziale (e spesso solitaria) nel 75–90% dei pazienti con GCT; ciò è stato osservato grazie ai risultati dei trials clinici sui pazienti allo stadio I trattati con RPLND o seguiti con un programma di sorveglianza. La persistenza di alti livelli di AFP dopo la RPLND è espressione di residuo di malattia o metastasi. Inoltre la stadiazione clinica, nonostante i miglioramenti osservati nelle tecniche di imaging, presenta un’incidenza del 20–30% di falsi positivi nello stadio clinico II. Il retroperitoneo è anche la sede più frequente di metastasi da GCT chemioresistenti e pertanto la RPLND rappresenta l’unica possibilità terapeutica. – Orchiectomia Radicale + Protocollo di Sorveglianza: con un trattamento precoce delle riprese di malattia. Il razionale per un protocollo di sorveglianza si basa sul fatto che la somministrazione di chemioterapia al momento della ripresa di malattia e la RPLND di prima istanza hanno un’uguale prognosi (overall–survival 98–99%). Vantaggi della sorveglianza sono quindi legati alla possibilità di evitare un overtreatment in pazienti ad uno stadio precoce (soprattutto in quelli a basso rischio). Un regime di sola sorveglianza è il gold–standard nei bambini in età prepubere. – Orchiectomia Radicale + Chemioterapia profilattica: Il razionale per una chemioterapia adiuvante nei pazienti a rischio è basato sulla sua efficacia specialmente negli stadi avanzati con metastasi anche se la chemioterapia, seppur di breve durata, continua ad avere possibili effetti collaterali, in particolare la diminuita spermatogenesi nel testicolo residuo. Il vantaggio principale è una percentuale di riprese di malattia Patologia uro–andrologica 239 di circa il 2%, la chemioterapia rappresenta nel 70% dei pazienti ad uno stadio I un overtreatment. Terapia dello stadio II: Seminoma: Nei pazienti con SGCT allo stadio II le possibilità terapeutiche sono: – Orchiectomia Radicale + Radioterapia dei linfonodi retroperitoneali e della fossa iliaca omolaterale al testicolo: Nel caso di seminomi Non Bulky. – Orchiectomia Radicale + Chemioterapia o Irradiazione dei linfonodi addominali e pelvici: In caso di seminomi Bulky. Nei SGCT allo stadio II la terapia di prima scelta, dopo l’orchiectomia, è rappresentata dalla radioterapia ma alternativamente può essere utilizzata anche la chemioterapia. Non Seminoma: I NGCT allo stadio II possono essere trattati in tre diversi modi: – Orchiectomia Radicale + Linfadenectomia Retroperitoneale. – Orchiectomia + Protocollo di Sorveglianza + Chemioterapia o Linfoadenectomia Retroperitoneale. Nei NSGCT allo stadio II (senza elevazione dei markers con sospetto di metastasi) si può eseguire una RPLND iniziale o un protocollo di sorveglianza con successiva chemioterapia (se abbiamo una progressione con i markers elevati) o con successiva RPLND. Nel caso in cui dopo la chemioterapia restino delle masse residue nei NSGCT può essere indicata la RPLND o la sorveglianza (in base alle dimensioni del residuo, all’evoluzione dopo la chemioterapia e alla presenza o meno dei markers), mentre nei SGCT allo stadio II è preferibile una sorveglianza con esame TC. La guarigione è raggiunta nel 95% dei casi. 240 Capitolo 7 Figura 16 – K.L. Bambino di tre anni: tumefazione testicolare destra. Figura 18 – Testicolo destro e funicolo. Figura 17 – Incisione inguinale. Figura 19 – Aspetto macroscopico. York Sac Tumor – Chemioterapia neoadiuvante + Chirurgia: Nel caso in cui la massa sia troppo voluminosa per intervenire chirurgicamente in prima istanza. Terapia dello stadio III: Seminoma: – Orchiectomia Radicale + Chemioterapia Combinata Non Seminoma: – Orchiectomia Radicale + Chemioterapia Standard L’Orchiectomia radicale con accesso inguinale alto e legatura del funicolo a livello dell’anello inguinale interno rappresenta l’atto terapeutico iniziale nella quasi totalità dei pazienti (Fig. 16–19). Il razionale dell’orchiectomia inguinale è la diminuzione del rischio di Patologia uro–andrologica 241 contaminazione scrotale e di successiva diffusione linfatica inguinale. La chirurgia “esplorativa” è riservata solo ai casi dubbi all’esame ecografico o nei giovani pazienti sia con sospetto interessamento leucemico secondario sia per escludere un teratoma maturo. In quest’ultima patologia si esegue l’enucleoresezione con conservazione del parenchima circostante. Altre eccezioni all’orchiectomia radicale iniziale sono: – Pazienti con una neoplasia ad uno stadio avanzato in cui si preferisce sottoporre il paziente a cicli di chemioterapia ed effettuare l’orchiectomia in un secondo momento per l’aumentato rischio a breve termine. – Pazienti con sospetta patologia benigna, con tumori sincroni bilaterali, con tumori metacroni controlaterali, con un livello di testosterone normale, con un tumore di un testicolo singolo (con valori ormonali normali). La RPLND dovrebbe essere eseguita, in accordo con le raccomandazioni dell’EGCCCG (European Urology 2008), in pazienti con NSGCT ad alto rischio (marcatori tumorali sierici elevati ed invasione vascolare/linfatica a livello del tumore primitivo); mentre pazienti a basso rischio dovrebbero essere sottoposti alla sola sorveglianza. C. Spinelli et al. Testicular germ cell tumors in young patients: surgical aspects and follow – up. III Iberoamerican Pediatric Surgery Congress 2008. C. Spinelli et al. Tumori germinali non seminomatosi nei giovani pazienti: svuotamento retroperitoneale o semplice sorveglianza? Società Italiana di Chirurgia Pediatrica 2008. 242 Capitolo 7 Prognosi Secondo un nostro studio eseguito su 155 pazienti la sopravvivenza (Overall Survival) dei giovani pazienti (età < 25 anni) con SGCT è stata del 100%, in assenza di ripresa di malattia, dopo un periodo di osservazione medio di 7 anni. La sopravvivenza è stata del 100% anche nei giovani pazienti con NSGCT, la ripresa di malattia si è verificato nel 3% casi (Fig.15–16). L’ottima prognosi, nei pazienti di tutte le fascie d’età ma specialmente in età giovanile, giustifica la definizione dei CGT come “modello di neoplasia curabile”. 7.12 Displasia congenita del giunto pielo–ureterale Incidenza L’incidenza è di 1 su 500 neonati e colpisce soprattutto i maschi, più frequentemente a sinistra e in più del 10% dei casi essa si associa ad un’altra patologia urologica (idronefrosi bilaterale, displasia cistica renale, rene a ferro di cavallo, duplicità pieloureterale, rene ectopico, reflusso vescico–ureterale). Eziopatogenesi Le cause della displasia congenita del giunto pielo–ureterale possono essere intrinseche (stenosi congenita del giunto pielo–ureterale, impianto alto della pelvi) o estrinseche, compressione da parte di un vaso anomalo polare inferiore. Diagnosi Oggi è possibile diagnosticare tale patologia già in epoca prenatale (durante l’ecografia morfologica del secondo trimestre: 20a–22a settimana). È ben noto il ruolo che l’ecografia prenatale ha assunto nella diagnosi precoce dell’idronefrosi ostruttiva da stenosi della giunzione pieloureterale, ma è altrettanto noto il rischio che tale indagine comporta nel sovrastimare l’incidenza di tale patologia in epoca perinatale. Patologia uro–andrologica 243 La diagnosi di malattia del giunto pielo–ureterale si basa sulla dimostrazione di una pelvi renale dilatata ed uretere non visibile, quindi normale (Fig. 20). Dopo la diagnosi prenatale occorre un attento monitoraggio della gravidanza con controlli ecografici a distanza, al parto a termine, o il più possibile vicino al termine, espletato per via vaginale. Dopo la nascita il piccolo deve essere sottoposto a tutti gli accertamenti del caso in un centro di chirurgia pediatrica. Oggi esiste la tendenza a individuare sempre meglio quei criteri prognostici (indagine scintigrafica con Tc99 MAG3 post–natale e diametro antero–posteriore ecografico della pelvi renale dilatata) che facciano circoscrivere l’attenzione del chirurgo pediatra ai soli casi “a rischio”, tralasciando tutte quelle dilatazioni incidentali del tratto escretore urinario fetale, in cui il follow–up pre e post–natale estensivo può essere elemento di ingiustificata ansia familiare a fronte di un rischio di patologia trascurabile. Alcuni casi di stenosi del giunto p.u. possono essere diagnosticati al momento dell’ecografia di screening delle vie urinarie, che viene eseguita in tutti i lattanti a due–tre mesi di vita (Fig. 21). Altri possono essere diagnosticate perché clinicamente i bambini iniziano a presentare episodi di infezioni delle vie urinarie ricorrenti oppure dolore e peso lombare. È utile monitorizzare la dilatazione pelvica mediante ripetute ecografie esami urine ed urinocoltura per escludere episodi asinto- Figura 20 – Idronefrosi bilaterale 25a settimana. 244 Capitolo 7 matici delle vie urinarie. Importante l’esecuzione di una scintigrafia, per valutare la funzionalità del rene affetto. In alcuni casi selezionati può essere eseguita una urografia. Inoltre viene eseguita una cistouretrografia per escludere un reflusso vescico–ureterale. Da valutare la necessità di instaurare una terapia antibiotica profilattica soprattutto se coesiste un reflusso vescico–ureterale. Terapia dell’idronefrosi asintomatica con funzione renale conservata Il problema della durata del follow–up delle idronefrosi asintomatiche di grado elevato con funzione conservata rimane controverso. La benignità di molte dilatazioni del tratto urinario e la loro documentata spontanea riduzione entro i primi due anni di vita inducono a rallentare e rendere meno approfondito dopo tale data il follow–up. Il riscontro di casi, seguiti a lungo termine, in cui l’idronefrosi si può ripresentare, dopo un’apparente miglioramento verificatosi entro i primi due anni di vita, induce ad ipotizzare che le dilatazioni con diametro antero–posteriore >20mm rappresentino una classe a rischio in cui il quadro ostruttivo si può manifestare anche dopo un lungo periodo di “compenso” e transitoria remissione. Nei confronti di queste forme è consigliabile un’attenzione a lungo termine. Figura 21 – Ecografia rene destro post–natale. Patologia uro–andrologica 245 Terapia chirurgica La terapia chirurgica gold standard per la stenosi del giunto pielo–ureterale sintomatica e con ridotta funzione renale è la pieloplastica sec. Anderson–Hines. Essa può essere eseguita con tecnica open o mini–invasiva. 7.13 Reflusso vescico–ureterale (rvu) Il RVU si instaura quando l’urina depositata in vescica refluisce per via retrograda nell’uretere. Può essere primario o secondario ad altre patologie dell’apparato urinario come le valvole dell’uretra posteriore, ureterocele e la vescica neurologica. Classificazione del R.V.U. L’indagine di elezione per la diagnosi è la cistouretrografia grazie alla quale il reflusso vescico–ureterale viene classificato in 5 gradi: 1° grado reflusso in uretere sottile incompleto; 2° grado reflusso completo, vescico renale, senza dilatazione delle vie urinarie (si evidenzia l’intero apparato escretore) ; 3° grado reflusso completo con modica dilatazione di uretere e cavità renali; 4° grado reflusso completo con cospicua dilatazione di uretere e cavità renali; 5° grado reflusso completo con massiva dilatazione e tortuosità ureterale. Diagnosi Prenatale È stato affermato che il RVU diagnosticato in epoca neonatale, di solito in base ad una segnalazione prenatale costituisce un’entità nosologica a sé stante. Esso interessa prevalentemente pazienti maschi, è di grado elevato, frequentemente accompagnato da un danno parenchimale diffuso, rilevabile sia all’ecografia che alla scintigrafia. Tale danno può essere attribuito ad una lesione congenita di tipo ipo–displasico, espressione di un’anomalia primitiva che coinvolge l’embriogenesi delle strutture uretero–trigonali e renali. Il meato ureterale di questi 246 Capitolo 7 neonati è ampio e lateralizzato, il reflusso grave e persistente e, in alcuni casi, può associarsi un’alterazione funzionale del tratto urinario inferiore. Questa correlazione della “gemma” ureterale e displasia renale, giustifica molti aspetti della nefropatia da reflusso anche se ne lascia irrisolti altri come la prevalenza della lesione nel sesso maschile. Èssa è l’uropatia malformativa che in assoluto costituisce la causa più frequente di danno renale pielonefritico fino al rene grinzo (cicatriziale). Il reflusso vescico–ureterale di grado elevato può essere diagnosticato in utero sulla base di specifici segni ecografici fetali: dilatazione del sistema escretore (idroureteronefrosi) (Fig. 22). Post–natale Frequentemente viene diagnosticato per ripetute infezioni delle vie urinarie che si presentano nel neonato – lattante, con ritardo nell’accrescimento staturo–ponderale, episodi di iperpiressia, inappetenza. Nel bambino più grande le infezioni delle vie urinarie si presentano con disuria, stranguria, pollachiuria e dolore al fianco. Le infezioni delle vie urinarie nel neonato sono più frequenti nel maschio e sono primarie, mentre nel bambino più grande sono più frequenti nelle femmine e spesso secondarie. Il piccolo Figura 22 – Rvu sinistro alla 21a settimana. Patologia uro–andrologica 247 deve essere sottoposto ad esame urine ed urinocoltura mensili, per escludere infezioni asintomatiche che potrebbero essere causa di pielonefriti e danno renale. L’ecografia è utile per monitorizzare la dilatazione ureterale ed eventualmente quella pielica. In alcuni casi viene eseguita l’urografia. La scintigrafia con Tc99 DMSA è fondamentale per valutare la funzionalità renale. La cistouretrografia minzionale rimane l’indagine gold standard per diagnosticare il RVU (Fig. 23). È opportuno valutare nel caso di basso grado di RVU con uretere non dilatato e buona funzione renale la possibilità di prescrivere una terapia antibiotica profilattica a questi bambini. Terapia Il 78% dei reflussi sino al III grado e il 67% di quelli di IV e V grado, diagnosticati in epoca prenatale o neonatale, si risolvono spontaneamente entro il secondo anno di vita. La terapia antireflusso è generalmente considerata solo nei casi di fallimento del trattamento conservativo, sotto forma di infezioni intercorrenti. L’atteggiamento terapeutico, entro i primi due anni di vita, è improntato ad un criterio conservativo sotto stretta osservazione clinica. In assenza di episodi infettivi intercorrenti la valutazione prognostica ha trovato nello stato iniziale del parenchima renale un indice più accurato di quello comunemente basato sul grado del reflusso. La presenza di un danno diffuso/ ipoplasia neonatale fa ipotizzare un’alterazione congenita grave della giunzione uretero–vescicale. In questo caso, l’attesa di Figura 23 – Cistouretrografia: rvu bilaterale. 248 Capitolo 7 una risoluzione o di una significativa riduzione del reflusso appare molto ridotta, ed un eventuale trattamento endoscopico o, in caso di insuccesso, un trattamento chirurgico (ureteroneocistostomia antireflusso), va quindi prospettato in termini di forte probabilità. Tale terapia ha tuttavia l’obiettivo prevalente di controllare in maniera più efficace le infezioni e le loro potenziali conseguenze sul parenchima, mentre rimane incerto il suo ruolo nel “recupero” funzionale di questi reni. L’intervento chirurgico gold standard rimane l’ureteroneocistostomia sec. Cohen. Nei casi di RVU minori, RVU recidivi, RVU associati a vescica neurologica, è possibile eseguire l’iniezione endoscopica sottomeatale–sottomucosa di collagene o simili (Deflux). Capitolo 8 PATOLOGIA GINECOLOGICA IN CHIRURGIA PEDIATRICA 8.1 Visita ginecologica in età pediatrica La presenza di affezioni di natura ginecologica da trattare chirurgicamente è una condizione rara, in età pediatrica e identificabile nella quasi totalità dei casi grazie ad un esame ginecologico accurato. L’esame ginecologo, indipendentemente dalla fascia d’età in cui viene eseguito (neonatale, infantile od adolescenziale), deve essere composto da due diverse parti semeiologiche le quali comprendono: anamnesi ed esame ginecologico propriamente detto composto dall’esame delle zone sessuali extrapelviche, dall’ispezione e palpazione dei genitali esterni e dall’esplorazione vaginale strumentale. Anamnesi La storia clinica può essere ricostruita nella maggior parte dei casi non direttamente, ma con l’ausilio della madre o di entrambi i genitori. In alcuni casi, specialmente nelle bambine più grandi, può essere consigliabile condurre un interrogatorio separato, prima della madre e poi della piccola paziente, così da poter prendere in considerazione il quadro anamnestico risultante dalle notizie fornite da entrambe. Anche nel caso di adolescenti la raccolta di un’anamnesi utile ed accurata può risultare difficoltosa data la particolare sfera emotiva tipica di questa fascia d’età. In ogni caso il medico dovrà presentarsi amichevole e cordiale, dovrà iniziare la conversazione, con argomenti diversi dal motivo della visita così da creare un’atmosfera più favorevole, per poi passare all’anamnesi vera e propria. 249 250 Capitolo 8 Esame ginecologico propriamente detto L’esame ginecologico propriamente detto nella neonata così come nella bambina è fondamentalmente basato sulle indagini di natura ispettiva e palpatoria (addominale e vulvare). Nell’adolescente, se sessualmente attiva, l’esame ginecologico deve, invece essere condotto nella sua completezza. Al momento della nascita o nel periodo neonatale, con grande attenzione e delicatezza deve essere effettuata la prima ispezione dei genitali esterni andando in particolar modo ad esaminare la regione perineale, la presenza e la conformazione delle grandi e delle piccole labbra, il meato urinario, l’aditus vaginale e la conformazione dell’imene. Della regione perineale, un importante parametro da tenere in considerazione è rappresentato dal così detto rapporto ano–genitale. Esso si ottiene dividendo la distanza, espressa in cm, dal centro dell’orifizio anale ed il margine posteriore della forchetta, posta al numeratore, e quella tra il centro dell’orifizio anale e la base del clitoride, posta al denominatore. In condizioni fisiologiche normali tale valore deve essere compreso tra 0,36 e 0,5. Un rapporto ano–genitale superiore può essere indicativo, anche in assenza di clitoridomegalia, di una ridotta fusione labioscrotale dovuta ad un’esposizione androgenica prima della 14° settimana di gestazione come conseguenza di stati intersessuali, di ipertrofia surrenalica congenita o di androgenizzazione materna. Allargando delicatamente le grandi e le piccole labbra si va ad esaminare la conformazione e le dimensioni del clitoride. In condizioni fisiologiche è sempre presente alla nascita un certo grado di ipertrofia clitoridea come conseguenza di estrogenizzazione. Si definisce ipertrofia clitoridea patologica se la sua lunghezza supera 1,5 cm e la sua larghezza 0,7 cm. Essa può essere attribuita a stati intersessuali o androgenizzazione intrauterina. Si procede a questo punto con l’osservazione del meato urinario (possibile sede di caruncole, cisti ed emangiomi) e dell’imene. La conformazione dell’imene può essere estremamente variabile da caso a caso potendosi presentare a tasca, puntiforme, cribriforme e a risvolto di manica. In ogni caso deve comunque essere evidenziabile, anche per mezzo dell’utilizzo della parte terminale di Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica 251 un catetere, uno o più orifizi di accesso alla cavità vaginale. In caso contrario è possibile trovarci di fronte ad una condizione di imene imperforato. In età infantile l’ispezione dei genitali esterni deve comprendere, oltre alla valutazione della regione perineale ed anale, lo studio dello stato della mucosa delle piccole labbra e del vestibolo, così da escludere la presenza di sinechie, di segni di estrogenizzazione della mucosa (imbibizione, ispessimento ed iperpigmentazione), segni di flogosi (edema, iperemia, lesioni da grattamento), escorazioni o macchie iperpigmentate. Si procede all’osservazione del meato urinario, del clitoride (un indice clitorideo maggiore di 15 mm può essere indicativo di esposizione ad androgeni) (Fig. 1). Si passa infine alla visualizzazione dell’aditus vaginale. L’esame dei genitali interni (vaginoscopia e colposcopia) non vengono routinariamente eseguiti in età infantile e neonatale ma solo se sussistono alcune indicazioni quali: sospetto di abuso sessuale, traumatismi estesi oltre l’aditus vaginale, perdite ematiche dai genitali non correlabili a precocità sessuali e flogosi vagiFigura 1 – Ipertrofia clitoridea (s. di Morris). nali ricorrenti. 8.2 Patologia malformativa Vengono definite con il termine di malformazioni del canale utero–vaginale un insieme piuttosto eterogeneo di patologie dovute ad un difetto embriogenetico. Embriologia I condotti genitali femminili derivano dai dotti paramesonefrici o di Müller che in a ssenza del MIS (Müllerian Inhibiting Substance), prodotto dalle cellule del Sertoli, permangono e sti- 252 Capitolo 8 molati dagli estrogeni vanno a formare le tube uterine, l’utero, la cervice e la parte superiore della vagina. I dotti paramesonefrici crescono in strettissimo rapporto con i dotti di Wölf che sono ritenuti una sorta di “guida” per i dotti di Müller stessi. La porzione caudale dei due dotti si fonde in unica struttura mediana, l’utero. Nel frattempo l’estremità caudale dà luogo ad un piccolo rigonfiamento, il tubercolo di Müller, a livello della parete del seno uro–genitale. Da esso si staccano due compatte evaginazioni (bulbi seno vaginali) che proliferano e formano una lamina vaginale compatta che andrà incontro ad accrescimento e canalizzazione. Quindi mentre le salpingi, l’utero e la cervice derivano dal dotto paramesonefrico, la vagina avrà una doppia origine, la porzione superiore derivata dal tubercolo di Müller e quella inferiore derivata dai bulbi seno vaginali. Il lume resta separato dal seno urogenitale da una sottile lamina tissutale, l’imene. Le gonadi invece derivano dalle creste genitali, proliferazione dell’epitelio celomatico e condensazione del mesenchima sottostante. Una volta sviluppate esse non sono affatto influenzate da eventuali noxae che successivamente colpiscono le vie genitali e possono funzionare perfettamente anche in loro assenza, al contrario dei blastemi renali che si atrofizzano e scompaiono se non vengono raggiunti dagli ureteri. APLASIA VAGINALE Con il termine di aplasia vaginale si intende l’assenza isolata, parziale o totale della vagina. • SINDROME DI MAYER–ROKITANSKY–KUSTER–HAUS O IPOPLASIA MÜLLERIANA È la varietà malformativa più frequente di assenza congenita di vagina con un incidenza di 1/20000–50000 ed è caratterizzata nelle forme tipiche da: – normale cariotipo femminile; – normalità dei genitali esterni; – assenza della vagina (più frequentemente i due terzi superio- Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica – – – – 253 ri, mentre il terzo inferiore derivato dal seno urogenitale può essere conservato); assenza dell’utero. Sono state ritrovate anche se raramente forme atipiche con abbozzo uterino o con utero normoconformato ma con cervice atresica; salpingi normoconformate o assenti; normale sviluppo e funzione delle ovaie; presenza in più del 40% dei casi di anomalie dell’apparato urinario e nel 12% di altre malformazioni scheletriche. Sintomatologia ed esordio clinico L’alterazione si presenta frequentemente con un quadro clinico caratterizzato da amenorrea primaria con normale quadro endocrino e normale sviluppo dei caratteri sessuali secondari. In alcuni casi la sintomatologia d’esordio può essere costituita da dispareunia o da algie pelviche. Diagnosi La diagnosi viene formulata durante la visita ginecologica e viene confermata con l’ecografia, la RM e un’ispezione laparoscopica. È obbligatorio effettuare un’indagine urografica e un’analisi del cariotipo. Terapia Il trattamento chirurgico prevede l’asportazione dell’abbozzo uterino (quando presente) e la creazione di una neovagina (mediante un’ansa sigmoidea, con il proprio peduncolo, trasposta in sede perineale) o la dilatazione del terzo distale della vagina. • APLASIA VAGINALE ISOLATA Una condizione di aplasia vaginale in presenza di un utero funzionante è una condizione estremamente rara e si instaura come conseguenza di un difetto di canalizzazione della lamina vaginale compatta. Si manifesta al momento del menarca con dolori ad- 254 Capitolo 8 dominali ricorrenti localizzati al basso ventre e raccolta ematica a monte della vagina atresica (ematometrocolpo). • APLASIA VAGINALE PARZIALE Le aplasie vaginali parziali sono così chiamate in quanto non riguardano la vagina in toto ma sono limitate ad il suo tratto inferiore, medio o superiore sempre associata, come conseguenza di una comune derivazione embriologica, all’aplasia della porzione cervicale uterina. La sintomatologia d’esordio, così come accade anche nel caso dell’aplasia vaginale isolata e nel caso della sindrome di Rokitansky è da attribuire alla ritenzione di sangue mestruale con ematocolpo (nel caso delle agenesie medie ed inferiori) ed ematometra (nel caso di agenesie superiori). Diagnosi La diagnosi di aplasia vaginale parziale può essere posta nella quasi totalità dei casi per mezzo del semplice esame ginecologico. Nel caso di aplasie medie o inferiori per porre la diagnosi è di solito sufficiente l’eplorazione vaginale con catetere di piccolo calibro. Un esame ecografico, eseguito con sonda trans vaginale o trans addominale, può facilmente mettere in evidenza l’ematocolpo. Nel caso di aplasia superiore, invece, l’ispezione vaginale deve essere eseguita per mezzo di vaginoscopio o speculum così da mostrare un canale vaginale di lunghezza variabile che termina alla sua estremità prossimale con una volta, eventualmente distesa da ematometra, priva di portio. Terapia Il trattamento nel caso di aplasia vaginale parziale è chirurgico e consiste, nel caso di aplasie vaginali superiori nella creazione di un canale utero–vaginale mentre nel caso di aplasie medie o inferiori è necessario eseguire lo scollamento dello spazio retto–vaginale, allo scopo di drenare il sangue ivi raccoltosi. Prima dell’intervento può essere utile una terapia medica a base di analoghi del GnRH così da arrestare temporaneamente e reversibilmente il sanguinamento e quindi facilitare l’intervento. Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica 255 • SETTI VAGINALI Vengono, almeno di solito, definiti come setti vaginali un gruppo abbastanza eterogeneo di condizioni patologiche malformative caratterizzate dalla presenza di setti fibrosi all’interno del canale vaginale. I setti vaginali possono essere classificati in base alla loro disposizione all’interno della vagina: setti vaginali trasversali e longitudinali • SETTI VAGINALI TRASVERSALI I setti trasversali sono così chiamati in quanto sono disposti trasversalmente così da occludere parzialmente o totalmente il canale vaginale. I setti vaginali sono generalmente collocati a livello del terzo superiore o inferiore della vagina e sono suddivisi in 2 gruppi che comprendono setti vaginali completi o imperforati e setti vaginali incompleti o perforati Sintomatologia La sintomatologia differisce a seconda che ci si trovi di fronte a setti imperforati o incompleti. I setti perforati sono generalmente asintomatici; solo in alcuni casi possono essere associati a dismenorrea e qualche difficoltà al rapporto sessuale così da giustificare un intervento. I setti completi, invece, si possono manifestare con mucocolpo, nel periodo neonatale, idrocolpo nell’infanzia ed ematocolpo alla pubertà. Il mucocolpo è tipico della neonata e consiste nell’accumulo di muco in vagina e nel canale cervicale. Il setto vaginale viene quindi disteso dall’interno così da apparire traslucido all’ispezione. L’idrocolpo, cioè l’accumulo di secrezione all’interno della vagina, è generalmente una condizione asintomatica, ma in alcuni casi può essere associata a dolore durante la minzione o la defecazione come conseguenza della compressione esercitata dalla vagina distesa sul retto e/o la vescica. L’ematocolpo, invece, consiste in una raccolta vaginale ematica come conseguenza dell’inizio dei cicli mestruali ed è frequentemente associato ad algie intense, tumefazione pelvica e non raramente addome acuto. 256 Capitolo 8 Diagnosi La diagnosi è fondamentalmente clinica e basata sull’anamnesi della paziente (amenorrea primitiva, dolori addominali ricorrenti) e sull’ispezione vaginale. Un’esame ecografico deve comunque essere eseguito allo scopo di differenziare la presenza di un setto vaginale da una condizione di aplasia vaginale. Terapia L’approccio terapeutico per la presenza di un setto vaginale trasverso completo od imperforato consiste ovviamente nella sua escissione chirurgica. L’intervento deve essere eseguito in epoca prepuberale onde evitare l’instaurarsi di un ematocolpo; mentre la sua escissione deve essere eseguita nella prima infanzia solo nel caso in cui la distensione provochi un qualche tipo di sintomatologia. • SETTI VAGINALI LONGITUDINALI I setti vaginali longitudinali sono così chiamati in quanto, contrariamente ai setti trasversali, sono disposti longitudinalmente all’interno del canale vaginale come conseguenza della mancata fusione dei dotti paramesonefrici. Il corpo uterino è unico mentre il setto più o meno completo si presenta sintomatologicamente in età adulta con possibile dispareunia. L’asse vagina–utero può andare inoltre incontro ad un difetto di fusione dei dotti di Müller ad altri livelli con la possibile presenza di duplicazioni utero–vaginali di vario tipo ed a vario livello (utero didelfo, utero bicorne etc.) con una sintomatologia che spazia da una totale assenza di sintomi, con normali capacità riproduttive, ad una sintomatologia più complessa dovuta alla presenza di abbozzi uterini non comunicanti all’esterno che danno origine ad ematometra. Essi possono delimitare: – Due emivagine pervie: tali condizioni sono generalmente Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica 257 asintomatiche e sono scoperte occasionalmente. In questi casi è comunque necessario un approfondimento diagnostico in quanto è possibile l’associazione con una condizione di utero didelfo. Se asintomatica non è necessario alcun tipo di intervento correttivo. – Un’emivagina pervia ed un’emivagina imperforata: in questo caso si possono avere condizioni e quindi quadri clinici diversi. – Cisti del dotto di Gartner: il dotto di Gartner è un residuo del dotto di Wölf non riassorbito durante la vita intrauterina il quale si pone a formare una tasca vaginale disposta parallelamente alla cervice ed al canale cervicale. Solo raramente si tratta di una malformazione isolata essendo spesso associata ad utero bicorne uni cervicale con emiutero non comunicante. Anche in questo caso la sintomatologia è prettamente dipendente dalla funzionalità o meno dell’emiutero. Se esso è funzionante i sintomi derivano dalla raccolta ematica tale da provocare algie pelviche o una massa palpabile. – Sindrome di Wünderlich: è una sindrome caratterizzata dalla presenza di un’emivagina imperforata associata ad utero didelfo e agenesia omolaterale del rene. In questo caso il sintomo guida è dato da dismenorrea ingravescente come conseguenza dell’ematometrocolpo. Terapia Il trattamento per questo tipo di malformazioni è chirurgico. • IMENE IMPERFORATO Si manifesta poco dopo la nascita al contrario della vagina atresica per la raccolta delle secrezioni mucose vaginali a monte del diaframma imenale (idrocolpo) che si rende ben evidente grazie alla protusione visibile dell’imene. La terapia consiste nell’escissione della membrana imperforata. 258 Capitolo 8 MALFORMAZIONI UTERINE Le malformazioni uterine sono un gruppo estremamente eterogeneo di condizioni patologiche le quali devono essere considerate il risultato di una difettosa fusione dei dotti mülleriani. Considerata l’estrema variabilità del difetto, una classificazione adeguata così come anche una precisa stima della loro incidenza è estremamente difficile; in ogni caso essa sembra compresa tra lo 0,1 e lo 0,4 %. Le anomalie più frequenti sono quattro e comprendono: 1. Utero unicorne. In questo caso l’utero si forma come conseguenza dello sviluppo di uno solo dei dotti di Müller così che mentre da tale lato è presente anche la tuba, che rimane in comunicazione con l’ovaio, dal lato opposto è presente solo la gonade. In alcuni casi l’altro emiutero può essere presente come corno rudimentale comunicante o meno con il corno più sviluppato. Nel caso in cui esso sia in comunicazione con il corno maggiore, non sarà presente alcun tipo di sintomatologia mentre in caso contrario avremo ematometra (raccolta di sangue nel corno atresico) e quindi dismenorrea grave. 2. Utero didelfo. L’utero didelfo è caratterizzato dalla presenza di una suddivisione mediana per cui, in realtà, gli uteri devono essere considerati due. Anche il collo dell’utero risulterà essere duplice mentre la vagina può essere unica, come accade più frequentemente, o essere suddivisa da un setto longitudinale per tutta la sua lunghezza. 3. Utero bicorne. L’utero bicorne è costituito da due corni uterini più o meno separati tra loro (si parla, infatti, di forme complete o parziali) tanto che all’esame isteroscopio il fondo dell’utero appare diviso da un’incisione più o meno profonda a seconda del grado di bicornualità. 4. Utero setto. L’utero setto, contrariamente a quanto accade per l’utero bicorne, ha un aspetto laparoscopico normale con il fondo che appare normalmente convesso anche se in alcuni casi può essere segnato al centro da un leggero solco (l’utero bicorne è invece separato in due parti). L’esa- Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica 259 me della cavità uterina mette in evidenza la presenza di due distinte cavità suddivise da un setto che partendo dal fondo dell’utero può raggiungere in alcuni casi anche il collo. 8.3 Patologia vulvo–perineale • SINECHIE DELLE PICCOLE LABBRA È una condizione fisiopatologica abbastanza frequente (1–4% della popolazione femminile) che consiste in una coalescenza, completa o parziale, della linea mediana della cute delle piccole labbra che partendo dalla forchetta e portandosi verso l’alto nasconde totalmente o in parte l’introito vaginale e/o il meato uretrale provocando disturbi minzionali. Le sinechie delle piccole labbra non sono mai presenti alla nascita (non si tratta quindi di una condizione malformativa) ed insorgono di solito in un arco di tempo compreso fra i 13/23 mesi ed i 6 anni cioè nel periodo di latenza di escrezione estrogenica da parte dell’ovaio. L’esatto meccanismo patogenetico non è conosciuto ma la loro formazione sembra essere la conseguenza di una vulvite o di altri fenomeni infiammatori che determinano, in assenza dell’effetto trofico esercitato dagli estrogeni, delle piccole soluzioni di continuo che poi esitano in fenomeni aderenziali. Clinica In una percentuale compresa fra l’80 ed il 90% dei casi la presenza di sinechie delle piccole labbra è una condizione completamente asintomatica. Nei rimanenti casi (10–20%) è, invece, associata a disturbi urinari quali disuria, minzione a ventaglio e uretriti. La diagnosi è clinica e si basa sulla semplice ispezione dei genitali esterni. Nella diagnosi differenziale rientrano sia l’imene imperforato (condizione congenita caratterizzata dalla mancanza del normale ostio 260 Capitolo 8 a livello imenale e associata a seconda dei casi ad ematocolpo o idrocolpo) e l’atresia vaginale bassa. Terapia La risoluzione spontanea alla pubertà è comune e nel caso la bambina sia asintomatica non è necessario nessun trattamento, anche se è importante la rassicurazione dei genitori sulla presenza dalla vagina e sulla probabile risoluzione spontanea. Le linee di trattamento differiscono a seconda che ci si trovi di fronte a forme complete o incomplete sintomatiche o meno. Nel caso di forme incomplete o asintomatiche non è necessario alcun trattamento specifico ma è sufficiente una buona igiene ed eventualmente un trattamento per la flogosi spesso associata. Nel caso, invece, di forme complete e/o sintomatiche il trattamento può essere duplice: medico o chirurgico. Le sinechie possono essere facilmente “divulsionate” con una delicata trazione laterale senza sedazione nelle lattanti; al contrario nelle bambine più grandi può essere richiesta l’anestesia. Una manovra spesso utilizzata è quella di dividere le piccole labbra con un tampone impregnato di gel anestetico. Il trattamento medico si basa sull’uso di una crema estrogenica da applicare localmente, ma è ancora oggetto di discussione in quanto se prolungato più di 10–15 giorni è frequentemente associato ad effetti collaterali locali (pigmentazione locale) e sistemici (ingrandimento dell’areola mammaria). • IPERTROFIA DELLE PICCOLE LABBRA L’ipertrofia delle piccole labbra (fig 2–3) è una condizione parafisiologica caratterizzata da un aumento di dimensioni mono o bilaterale delle piccole labbra. In quest’ultimo caso la causa può essere ricercata in irritazione cronica oppure in un’eccessiva risposta agli stimoli estrogenici a cui la mucosa vulvare va incontro alla pubertà. Clinica L’ipertrofia delle piccole labbra è una condizione completamente asintomatica. In alcuni casi, specialmente nelle forme più pronun- Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica Figura 2. 261 Figura 3 – Ipertrofia delle piccole labbra. ciate, possono essere presenti bruciore, prurito, disconfort vulvare e dispareunia. Da non sottovalutare, inoltre, sono i disturbi psichici e comportamentali cui tale condizione può portare specialmente in epoca adolescenziale. Trattamento L’ipertrofia delle piccole labbra è una condizione completamente benigna la quale non necessita alcun tipo di trattamento a meno di trovarci di fronte a forme particolarmente pronunciate e quindi associate ad un qualche tipo di sintomatologia. In questi casi il trattamento consiste in una riduzione chirurgica delle piccole labbra. • CONDILOMI ACUMINATI I condilomi acuminati, definiti anche con il termine di condilomi ano–genitali, sono delle piccole lesioni iperplastiche della cute e delle mucose ano–genitali che si formano in seguito all’infezione da parte di alcuni ceppi del Papillomavirus Umano (HPV). Questi costituiscono un gruppo estremamente numeroso di virus a DNA, di cui ne sono stati identificati almeno 60 sottotipi (per oltre 200 genotipi) con diversa patogenicità e capacità di riprodursi all’interno delle cellule squamose differenziate della cute e delle mucose. I ceppi principalmente coinvolti nella genesi della condilomatosi pediatrica comprendono il 6, 11, 16, 18, 31 e 33. 262 Capitolo 8 MODALITA’ DI TRASMISSIONE DI HPV NEI BAMBINI 1. TRASMISSIONE ORIZZONTALE INCUBAZIONE, LATENZA INFEZIONE INIZIALE, (INCUBAZIONE) REPLICAZIONE VIRALE LATENZA RIATTIVAZIONE - AUTOINOCULAZIONE - ETEROINOCULAZIONE - ABUSO SESSUALE 2. TRASMISSIONE VERTICALE - IN UTERO (VIA TRANSPLACENTARE, INFEZIONI ASCENDENTI DEL TRATTO UTORGENITALE MATERNO) - PARTO NATURALE O CESAREO, ROTTURA PRECOCE DELLE MEMBRANE DIAGNOSI MALATTIA CLINICAMENTE EVIDENTE - PER FOMITES Il periodo di incubazione sommato ad un eventuale periodo di latenza puo’ variare da diverse settimane al alcuni anni. Età < 2 anni ERADICAZIONE RICORRENZA, PERSISTENZA > Prob di trasmissione verticale Etiologia e patogenesi I vari tipi di HPV appaiono dotati di un trofismo preferenziale per alcuni epiteli; i sottotipi 16 e 18 non causano lesioni cutanee ma solo lesioni a livello delle mucose dove provocano displasie gravi fino al carcinoma in situ (per questo sono stati associati al carcinoma della cervice uterina e dell’endometrio). I sottotipi 6 e 11, invece, hanno uno spiccato trofismo per le cellule squamose della cute e sono quindi ritenuti i responsabili della formazione di condilomi ano–genitali. Per quanto riguarda la modalità di trasmissione del virus si stima che in circa l’80% dei casi l’infezione venga trasmessa verticalmente, o durante la gravidanza, in caso di infezioni ascendenti del tratto urogenitale materno, o durante il parto sia naturale che cesareo. Sembra che si abbia una facilitazione nella trasmissione verticale di questo tipo di infezione nel caso di rottura precoce delle membrane (PROM). Nel rimanente 20% dei casi la trasmissione virale viene considerata orizzontale come conseguenza EZIOPATOGENESI di auto–inoculazione, in caso di Agente eziologico : Papillomavirus Umano (HPV) presenza di lesioni virale in altre Si tratta di un gruppo eterogeneo di agenti virali (circa 200 genotipi), parti del corpo (es. sulle mani), 30-40 dei quali sono stati associati a lesioni ano-genitali. etero–inoculazione da parte di altre persone (es. madre), per fomites oppure per abuso sessuale. La trasmissione dell’infezione come conseguenza di (fam. Papovaviridae) Tipo di HPV Patologie associate 1, 49 Verruche profonde plantari e palmari 2 Verruche comuni benigna 6, 11 Condilomi acuminati usualmente benigna 7 Verruche comuni dei macellai Potenzialità benigna benigna 30, 40 Carcinomi laringei maligna 16, 18, 31, 35, 39 Displasie gravi, carcinomi invasivi altamente maligna Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica 263 abuso su minore è compresa fra il 6,5 e il 71% dei casi e deve sempre essere sospettata. Il virus una volta venuto in contatto con la cute e le mucose della regione genitale si colloca, dopo un periodo di incubazione compreso fra 6 ed 8 mesi, a livello delle cellule dello strato basale che rappresentano probabilmente il punto di attacco. Il virus è capace di localizzarsi. La sintesi del DNA virale sembra avvenire negli strati intermedi mentre la produzione delle proteine del capside e l’assemblaggio delle particelle virali a livello degli strati più superficiali della cute e delle mucose. L’espressione del genoma virale funziona anche da stimolo alla proliferazione epiteliale (formazione di condilomi) ed alle anomalie di differenziazione cellulare (coilocitosi, cellule multinucleate e nuclei ipercromici) caratteristiche del quadro anatomo patologico di questo tipo di infezione. Clinica L’infezione è caratterizzata dalla comparsa di piccole escrescenze cutanee e/o mucose, isolate o multiple, diffuse e talora confluenti, di consistenza variabile (Fig. 4) e colorito biancastro che possono interessare, nelle bambine, la vulva, la vagina, l’uretra e la regione perianale. Nei maschi, invece, sono localizzate quasi esclusivamente alla regione perianale. Nella maggior parte dei casi la presenza di queste lesioni può essere asintomatica; il sintomo patognomonico è il prurito e quindi conseguentemente lesioni da grattamento con possibilità di sovrinfezione batterica. Diagnosi La diagnosi di condilomatosi si basa essenzialmente sulla semplice ispezione clinica essendo l’aspetto delle lesioni alquanto caratteristico. Nei casi Figura 4 – Condilomi anali in bambina di 3 anni. C. Spinelli et al. Condylomes Chez l’enfant: una provocation pour le chirurgien–pediatre. 180° Congress Francis de Chirurgie, Paris 2006. 264 Capitolo 8 dubbi può essere necessario l’esecuzione di un esame bioptico eventualmente associato ad un esame molecolare quale PCR o Ibridazione in situ. L’esame molecolare può anche essere utile da un punto di vista medico legale in quanto è stato dimostrato che alcuni ceppi sono più facilmente trasmessi per via sessuale e quindi in questo caso potrebbe costituire se non una prova quantomeno un sospetto d’abuso. Trattamento In età pediatrica, contrariamente a quanto accade negli adulti in cui la regressione spontanea dell’infezione è un’eventualità praticamente inesistente, è invece possibile la regressione della patologia nel 75 % dei casi entro i 5 anni d’età. Considerato ciò, specialmente al di sotto di questa fascia d’età, si pone il problema di quando ed eventualmente come trattare il bambino. In accordo con le più moderne linee guida il trattamento deve avere come obiettivo primario l’eliminazione delle lesioni clinicamente evidenti quando siano esteticamente indesiderabili, qualora siano causa di sintomatologia e nel caso in cui ci si trovi di fronte a lesioni ricorrenti. La modalità di trattamento è duplice e può essere medica o chirurgica. La terapia medica è basata sulla somministrazione topica di farmaci ad azione antivirale ed antiangiogenetico (imiquimod) allo scopo di favorire la scomparsa delle lesioni presenti e di evitarne la comparsa di nuove. Sull’utilizzo di queste sostanze nei bambini è ancora aperta la discussione tanto che negli U.S.A. La loro applicazione è stata approvata solo per bambini di età superiore ai 12 anni. Il trattamento chirurgico può essere basato su la vaporizzazione a laser CO2, sulla crioterapia e sulla diatermocoagulazione delle lesioni che sembra la tecnica da preferire per la sua efficacia e semplicità. Spesso però la terapia, medica o chirurgica, non è risolutiva in quanto le recidive sono tutt’altro che infrequenti. Questo è il motivo per il quale anche per la condilomatosi, così come anche per il carcinoma della cervice uterina sempre conseguente ad infezione da papilloma virus, è stato elaborato il vaccino anti–papillomavirus tetravalente. Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica 265 8.4 Lesioni ovariche in età pediatrica Le patologie ovariche, pur rare in età pediatrica, richiedono un accurato management diagnostico, medico e chirurgico al fine di prevenire il verificarsi di esiti negativi (subfertilità, formazione di aderenze, dolore addominale cronico) nella fasi successive della vita. Esse comprendono un gruppo estremamente eterogeneo di patologie che vanno da lesioni di natura funzionale fino a neoplasie benigne, maligne o border–line (cioè con caratteristiche intermedie). In accordo con la letteratura il 45% delle lesioni ovariche in età pediatrica ha un’origine funzionale (di queste quella più frequente è la cisti follicolare), il 40% rientra nell’ambito delle neoplasie benigne mentre solo il 15% è costituto da neoplasie maligne, andando a costituire l’1% delle neoplasie tra gli 0 e i 18 anni (Tab.1). La natura di tali lesioni è, dunque, neoplastica in circa il 55% dei casi. Prendendo in considerazione le forme neoplastiche bisogna sottolineare che l’istopatologia di questo tipo di lesioni nelle bambine tende a differire da quella degli adulti; mentre il 70–80% dei tumori della donna ha un’origine epiteliale, la maggior parte delle neoplasie ovariche pediatriche sono di natura germinale (il teratoma maturo cistico è la neoplasia in assoluto più frequente), seguite da neoplasie dello stroma e da quelle epiteliali, eccezionali in questa fascia d’età. Epidemiologia La patologia ovarica è rara in età pediatrica andando a costituire solo lo 0,2% degli interventi di chirurgia tra gli 0 e 18 anni, ma deve essere comunque sempre tenuta in considerazione nella diagnosi differenziale di ogni bambina che presenti un dolore addominale, una tumefazione addomino–pelvica o una disfunzione endocrina. Da un punto di vista epidemiologico le lesioni ovariche in età pediatrica hanno un’incidenza di circa 2–5 casi su 1.000.000 bambine all’anno. Per quanto riguarda la distribuzione per età, esse possono essere riscontrate nelle neonate così come nelle adolescenti: il 17% di esse viene diagnosticato nei primi 4 anni di vita, il 28% tra 5 e 9 anni e il 55% tra i 10 e i 18 anni. 266 Capitolo 8 Tabella 1 – Distribuzione delle lesioni ovariche in età pediatrica. Classificazione Le patologie ovariche possono essere classificate in base a numerosi e diversi criteri di classificazione di cui però quello più semplice ed intuitivo prende in considerazione la loro etiologia permettendo così di identificare tre diverse tipologie di lesioni: le lesioni (o cisti) funzionali, la patologia neoplasica e le lesioni ovariche di altra natura. • LESIONI OVARICHE FUNZIONALI Le lesioni funzionali — comprendenti cisti follicolari, cisti del corpo luteo e cisti teco–luteiniche — sono le patologie non neoplastiche più frequenti in assoluto in età pediatrica dove costituiscono, da sole, il 45% di tutta la patologia ovarica. Essendo la loro etiologia correlata ad uno stimolo di natura ormonale, avremo una diversa distribuzione per età, con incidenza maggiore nel periodo perinatale (0–12 mesi), come diretta conseguenza dello stimolo esercitato sulle ovaie dagli ormoni di origine materna placentare, Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica 267 e nel periodo perimenarcale come conseguenza, invece, dell’attivazione dell’asse ipotalamo–ipofisario e quindi dell’inizio della funzionalità della gonade. Cisti follicolare: le cisti follicolari sono la conseguenza di un’anomalia della follicologenesi per cui un follicolo ooforo, formato da cellule della granulosa (non luteinizzate) e della teca, va incontro a crescita con aumento della cavità in esso contenuto. L’aumento eccessivo del liquido follicolare porta sovente alla scomparsa, per degenerazione, dell’oocita facendo così assumere al follicolo l’aspetto di una cisti. Da un punto di vista anatomo–patologico esse appaiono come delle formazioni cistiche di colorito bianco–grigiastro contenenti un liquido sieroso, limpido o lievemente citrino, che possono essere singole o multiple, uniloculari (più spesso) o multiloculari. Esse hanno un diametro, di solito, compreso tra 5 e 30 cm. Sul piano endocrinologico esse sono generalmente silenti, tuttavia possono occasionalmente produrre un’iperincrezione estrogenica, responsabile di un quadro di pseudo–pubertà precoce o di anomalie del ciclo mestruale. Cisti luteiniche: le cisti luteiniche sono di riscontro pressoché esclusivo dell’epoca post–menarcale e si sviluppano come conseguenza del formarsi di un ematoma o del raccogliersi di un liquido di colore giallo citrino o siero–ematico all’interno del corpo luteo in una donna che ovviamente è andata incontro ad ovulazione. Da un punto di vista anatomo–patologico esse appaiono come delle piccole formazioni cistiche generalmente uniche e uniloculari. Le cisti luteiniche sono rivestite da un epitelio composto da cellule della granulosa e della teca luteinizzate che conferiscono alla sua superficie un colore giallo brillante. Data la loro composizione istologica, esse possono presentare un’increzione ormonale autonoma che si ripercuote sul piano clinico con iperplasia dell’endometrio e irregolarità del ciclo mestruale. Le cisti luteiniche o i corpi lutei cistici possono avere una duplice evoluzione; mentre nella maggior parte dei casi tendono alla risoluzione spontanea in 4–6 settimane, in alcuni casi, vanno, invece, incontro all’organizzazione del loro contenuto ematico in coaguli portando così alla formazione di una lesione cistica non più funzionale ma francamente patologica che prende 268 Capitolo 8 Tabella 2 – Evoluzione Corpo Luteo normale e patologico. C. Spinelli et al Functional ovarian lesions in children and adolescents: when to remove them. World Congress Gynec. Endocrinology 2008. il nome di cisti emorragica del corpo luteo (Tab. 2). Queste sono lesioni che si possono facilmente complicare con torsione, rottura e sanguinamento e quindi presentarsi con i segni clinici dell’addome acuto (Fig. 5–6). Da sottolineare è il peculiare aspetto ecografico che tali lesioni tendono ad assumere. Fintanto che ci troviamo di fronte a cisti luteiniche a contenuto ematico (liquido), esse appaiono come lesioni semplici (ipoecogene) o complesse quando il loro contenuto ematico inizia ad andare incontro ad organizzazione. Le cisti emorragiche del corpo luteo, come conseguenza del contenuto in coaguli, tendono, invece, a presentarsi come lesioni solide o complesse e da qui nasce il problema della diagnosi differenziale con le patologie neoplastiche. Figura 5 – Bambina di 13 anni. Cisti emorragica del corpo luteo complicata da torsione. C. Spinelli et al. Evaluation, manamegent and out come of pediaric ovarian lesions. Revista Cìrurgi Infantil 2009. Figura 6 – Bambina 14 anni. Tac: massa ovarica sx di tipo solido (cisti emorragica del corpo luteo). C. Spinelli et al. Hemorrhagic corpus luteum cysts: an unusual problem for pediatric surgeons. J Ped. Adol. Gynecol. 2009. Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica 269 Per la variabilità morfologica, la cisti emorragica del corpo luteo può essere scambiata con una neoplasia (benigna o maligna) dell’ovaio. Per tale motivo essa viene definita dagli ecografisti il “grande imitatore”. Cisti teco–luteiniche: le cisti teco–luteiniche rappresentano le cisti funzionali meno comuni e pressoché sconosciute in età pediatrica. La vera cisti teco–luteinica si forma in quanto il follicolo non è andato incontro a deiscenza con conseguente luteinizzazione sia delle cellule della teca sia di quelle della granulosa ovarica. A questo tipo di luteinizzazione, definita atresica, segue un aumento di liquido con formazione di una lesione cistica il cui diametro non supera, generalmente i 4–5 cm, anche se in letteratura sono riportati casi di cisti teco luteiniche di dimensioni maggiori. Esse sono generalmente bilaterali e spesso si manifestano associate a gravidanza multipla, gravidanza molare, coriocarcinoma, diabete e terapie ormonali. • NEOPLASIE OVARICHE I tumori ovarici rappresentano le più frequenti neoplasie ginecologiche in età pediatrica e costituiscono un gruppo di neoplasie con diversa istogenesi, storia naturale, prognosi ed epidemiologia e questo è il motivo per il quale possono essere a loro volta classificate in base a numerosi e diversi criteri di classificazione di cui due sono comunemente considerati essenziali al fine di un corretto inquadramento diagnostico e terapeutico. Il primo criterio di classificazione che prende in considerazione il grado di malignità mentre il secondo si basa sulla derivazione istologica della neoplasia. In base a questo primo criterio di classificazione si possono identificare tre diverse tipologie di neoplasie ovariche che comprendono: Neoplasie ovariche benigne: di cui il più frequente in età pediatrica e giovanile è sicuramente il teratoma maturo cistico, di origine geminale, seguito da fibromi e rare forme epiteliali. Neoplasie ovariche maligne: quali il teratoma immaturo, lo yolk sac tumor e il disgerminoma, entrambi di derivazione germinale. 270 Capitolo 8 Neoplasie ovariche border–line: cioè tumori di origine epiteliali con caratteristiche intermedie tra le forme benigne e maligne. Questa peculiare tipologia di neoplasie, infatti, presenta alcune o tutte le caratteristiche citoistologiche della malignità (pluristratificazione epiteliale, formazioni papillari complesse, atipie nucleari ed attività mitotica elevata) ma differiscono dai carcinomi per l’assenza di invasione distruttiva dello stroma, tipica dei tumori maligni. Il secondo criterio di classificazione su base istogenetica prende in considerazione le cellule di origine della neoplasia permettendo di identificare almeno tre diverse tipologie di tumori (se si escludono le metastasi ovariche) che comprendono: Tumori epiteliali: i tumori epiteliali costituiscono meno del 15–20% delle neoplasie ovariche diagnosticate tra 0 e 18 anni. Importante è la distribuzione per età; in epoca pre–menarcale sono le neoplasie più rare costituendo solo lo 0,2% di tutte le neoplasie, la loro incidenza aumenta con l’età (dopo il menarca quando costituiscono circa un terzo delle neoplasie ovariche) fino ad andare a costituire la quota più rilevante di neoplasie nella donna adulta (intorno all’80%). Le neoplasie epiteliali derivano dall’epitelio celomatico cioè dalla sierosa che riveste precocemente durante la vita intrauterina le creste genitali e che da origine, poi, ai dotti di Müller da cui derivano le tube, l’ovaio e la vagina. Con l’evolversi dello sviluppo della gonade l’epitelio celomatico non solo continua a rivestire l’organo ma, in alcuni casi tende ad insinuarsi all’interno dello stroma portando così alla formazione di molte neoformazioni epiteliali benigne nel 55% dei casi, border–line nel 30% e con evidenti caratteristiche di malignità nel 15%. Istologicamente parlando esse possono essere sierose (cioè analoghe al rivestimento tubarico), mucinose (come la mucosa endocervicale), endometrioidi (differenziandosi come l’endometrio), a cellule chiare (cioè cellule ad alto contenuto di glicogeno, simili alle modificazioni dell’endometrio in gravidanza) e nel tumore di Brenner caratterizzato dalla presenza di cellule transizionali simili a quelle del tratto urinario. Le neoplasie epiteliali pediatriche si manifestano nel 90% dei casi con una massa pelvica; essa può essere accompagnata da sintomi quali dolore addominale, anomalie mestruali, disuria, tenesmo rettale e perdita di peso. Inoltre, come nel- Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica 271 l’adulto, possono essere presenti ascite, distensione addominale e versamento pleurico. La diagnosi include indagini strumentali (ecografia, TC, RM, scintigrafia ossea), determinazione dei livelli sierici dei marcatori tumorali, in particolare CA–125 e CEA. La chirurgia è fondamentale per porre diagnosi di natura, definire lo stadio di malattia e ottenere la radicalità nelle forme limitate, o dopo chemioterapia nelle neoplasie più estese. In linea di massima tende ad essere più conservativa in età pediatrica, data anche la minore aggressività delle neoplasie. La prognosi dipende dall’istologia e dallo stadio alla diagnosi: la sopravvivenza a 5 anni è del 70–90% nelle forme borderline e del 20–30% nelle neoplasie francamente maligne. Tumori dello stroma e dei cordoni sessuali: i tumori dello stroma e dei cordoni sessuali costituiscono il 5–18% delle neoplasie ovariche pediatriche ed originano da cellule del blastema mesenchimale specializzato che, durante lo sviluppo embrionale, hanno la potenzialità di differenziarsi sia in tessuto stromale (cellule della teca e cellule di Leydig) che in cordoni sessuali (cellule della granulosa e cellule di Sertoli). Le cellule di Leydig e di Sertoli, normali componenti della gonade maschile, sono presenti anche nell’ovaio, in corrispondenza dell’ilo e sono espressione di un residuo embrionario che rimane “intrappolato” nella gonade prima della differenziazione del sesso. A causa della capacità delle cellule che li compongono di secernere ormoni sessuali, questi tumori si rendono spesso manifesti sul piano clinico con segni di pubertà precoce o virilizzazione. Istologicamente parlando si possono riscontrare neoplasie composte da cellule ben identificabili come i tumori a cellule della granulosa, i tumori con cellule della teca e fibroblasti (tecoma–fibroma–18% dei tumori dello stoma e dei cordoni sessuali), quelli con cellule del Sertoli e di Leydig (10%), il ginandroblastoma, in cui sono presenti sia cellule della granulosa che cellule del Sertoli e il tumore a cellule lipoidee caratteristico in quanto costituito da cellule contenenti abbondante materiale lipidico e spesso androgeno secernente. Meno del 10% delle neoformazioni di questo istotipo sono inclassificabili: tra queste vi è la forma tubulo–anulare, spesso associata con la sindrome di Peutz–Jeghers (poliposi gastroin- 272 Capitolo 8 testinale, iperpigmentazione cutanea e orale). Il quadro clinico cui queste neoplasie danno origine dipende dalla loro capacità o meno di secernere ormoni ed in quest’ultimo caso dal tipo di ormone secreto. Nel caso di neoplasie non funzionali, come ad esempio nel fibroma ovarico, la sintomatologia è da ricondurre all’effetto massa e quindi riconducibile a quella delle forme epiteliali. Nel caso, invece, di neoplasie secernernti estrogeni (estradiolo) le manifestazioni cliniche, in epoca pre–menarcale, includono il riscontro di una massa addominale e segni di pubertà precoce (iperplasia dell’endometrio con sanguinamento vaginale, ipertrofia mammaria, aumento della peluria nella zona pubica, maturazione genitale, aumento dell’età ossea). Dopo il menarca, invece, i segni clinici di una femminilizzazione da iperproduzione di estrogeni sono meno specifici e caratterizzati da distensione, dolori addominali e irregolarità mestruali. Nel caso di tumori secernenti androgeni il quadro clinico può essere caratterizzato da segni di virilizzazione (irsutismo, ipertrofia clitoridea, voce bitonale). Il trattamento chirurgico consiste nell’ovariosalpingectomia seguita, fatta eccezione per gli stadi iniziali, da chemioterapia adiuvante. La prognosi è eccellente con una sopravvivenza a 5 anni del 90–100%; esistono tuttavia casi sporadici di disseminazione peritoneale e recidive, sino all’exitus per progressione di malattia. Tumori a cellule germinali: I tumori a cellule germinali (GCT, Germ–Cell Tumors) costituiscono la maggioranza (60–70%) delle neoplasie ovariche riscontrabili in età pediatrica dove si presentano con caratteristiche di spiccata malignità. L’incidenza annuale dei GCT pediatrici e di 0,24/100.000, con un picco tra 10 e 14 anni d’età, ed essi costituiscono il 3% di tutte le neoplasie sotto i 15 anni. I tumori a cellule germinali prendono origine dalle cellule germinali primitive (ovociti primordiali). Esse, intorno alla IV–V settimana di vita intrauterina, migrano dalla parete posteriore dell’intestino primitivo alla base del sacco vitellino verso la cresta urogenitale, sede della gonade primitiva. Durante tale migrazione nidi di cellule totipotenti, distaccatisi dal nucleo centrale, possono rimanere inglobati nei tessuti circostanti e accrescersi dando origine ad una neoplasia. Tumo- Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica 273 Tabella 3 – Sedi di insorgenza dei GCT in età pediatrica. ri appartenenti a questo gruppo possono infatti ritrovarsi con frequenza variabile lungo l’asse mediano, a qualunque livello del soma, da quello cefalico a quello caudale (Tab. 3). Neoplasie istologicamente simili possono svilupparsi non solo a livelli gonadico ma anche in sede extragonadica andando ad interessare le regioni che rientrano lungo la linea di migrazione delle cellule germinali primitive dalla parete del sacco vitellino alle creste gonadiche. In base alla prima cellula germinale andata incontro a trasformazione maligna si possono identificare; il disgerminoma (omologo del seminoma maschile), neoplasia che riproduce gli aspetti propri della differenziazione gonadica, il carcinoma embrionale, che deriva dalla differenziazione in senso embrionale delle cellule della linea germinale, i teratomi (maturi o immaturi), come conseguenza della trasformazione neoplastica di una cellula differenziatasi lungo la linea embrionale ecto–meso–endodermica, ed il corioncarcinoma ed il tumore del seno endodermico (yolk sac tumor) che, invece derivano dalla differenziazione delle cellule della linea germinale in senso extraembrionario (trofoblasto e sacco vitellino) (Tab. 4). I tumori a cellule germinali devono essere sospettati ogni qual volta un bambino presenti una massa in prossimità della linea mediana. Le indagini iniziali comprendono esami ematici per la determinazione dei livelli sierici di α–FP e β–HCG. La diagnostica per immagini include TC, RM, radiografia del 274 Capitolo 8 Tab. 4 – Istogenesi e interrelazioni dei tumori di origine germinale. torace e scintigrafia ossea. Il management dei GCT ovarici dipende dalla sede e dall’istologia della neoplasia. La chirurgia è la strategia terapeutica fondamentale per i GCT. Se il tumore è confinato alla gonade, non presenta metastasi e può essere rimosso chirurgicamente senza rischi per le strutture circostanti, esso dovrebbe essere completamente asportato preservando, ogni qual volta possibile, il parenchima ovarico funzionante. La sopravvivenza dei pazienti con GCT maligni, con l’introduzione della chemioterapia contenente il cisplastino, è attualmente prossima al 100%. • LESIONI OVARICHE DI ALTRA NATURA Rientrano in questo ambito altri tipi di lesioni ovariche di cui quelle più frequenti, in età pediatrica, comprendono le lesioni di natura infiammatoria (ovariti), l’endometriosi ovarica e le cisti paraovariche. Ovariti: L’ovaio può essere coinvolto da un processo flogistico (ovarite) primitivamente, in età pediatrica per lo più legate al virus della parotite (causa anche di orchite nel maschio con possibile Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica 275 sterilità) e della varicella o secondariamente come conseguenza del coinvolgimento dell’ovaio da parte di un processo flogistico acuto a partenza o dalla tuba omolaterale o da una pelvi–peritonite di varia natura, frequentemente appendicolare. La sintomatologia è caratterizzata da febbre preceduta da brivido, dolore addomino–pelvico, stranguria, alvo chiuso o pseudodiarroico, stato settico. L’addome può essere trattabile ma l’esplorazione rettale evoca dolore vivo. In alcuni casi si può anche avere un blocco della funzione ovarica, con conseguente amenorrea ipergonadotropa, in alcuni casi persistente al risolversi dello stato flogistico. Gli esami di laboratorio mostrano un rialzo degli indici di flogosi. La conferma del sospetto clinico di ascesso è possibile tramite l’ecografia e l’esplorazione laparoscopica. La terapia prevede l’uso di antibiotici a largo spettro e, nel caso di ascesso tubo–ovarico, drenaggio della raccolta. L’ovariectomia non è generalmente necessaria, fatta eccezione per i casi in cui la flogosi cronica abbia lesionato irreparabilmente l’intero parenchima ovarico. Endometriosi ovarica: L’endometriosi è una condizione caratterizzata dalla presenza di tessuto endometriale funzionante in sede ectopica, che si accresce e si sfalda con la mestruazione, con conseguenti emorragie locali e dolori pelvici ricorrenti tanto da costituire la causa più comune (70%) di dolore pelvico cronico nelle adolescenti che non rispondono ad un trattamento medico combinato di contraccettivi orali e FANS. L’ovaio è una delle sedi più frequentemente interessate, con formazione di cisti di dimensioni variabili (6–8 cm), di colorito scuro (cisti “cioccolato” o di Sampson) ed a contenuto corpuscolato per la presenza di prodotti di degradazione del sangue frammisti a cellule endometriali. La diagnosi di certezza dell’endometriosi può essere posta unicamente per via laparoscopica con biopsia intraoperatoria. Cisti paraovariche: sono delle piccole formazioni cistiche localizzate tra l’ovaio e la tuba nella maggior parte dei casi in prossimità del margine distale del legamento largo dell’utero. Esse hanno un’origine mesoteliale o mesonefrica (raramente paramesonefrica), sono benigne e tendono alla risoluzione spontanea. 276 Capitolo 8 Sintomatologia delle lesioni ovariche Le pazienti con patologia ovarica possono giungere all’attenzione del chirurgo pediatra in molteplici modi. Anche se la presenza di una lesione ovarica, funzionale, neoplastica o di altra natura è una condizione spesso asintomatica e quindi riscontrata accidentalmente o come massa addominale palpabile o durante un esame ecografico dell’addome (pre o post natale), in alcuni casi possono presentarsi con una sintomatologia varia, spesso poco specifica caratterizzata da: Dolore addominale (acuto, cronico o ricorrente): il dolore addominale è sicuramente il sintomo più frequente presentandosi, secondo la nostra casistica, nel 65% dei casi. Si tratta per lo più di un dolore addominale cronico, talvolta riferito come disconfort più che come una sintomatologia dolorosa vera e propria. La diagnosi differenziale deve essere posta tra endometriosi o cisti/massa ovarica. Nel caso di cisti ovariche endometriosiche, in epoca post–menarcale, è possibile trovarsi di fronte ad un quadro di dismenorrea ingravescente tipica della malattia. Il dolore addominale acuto è nella maggior parte dei casi associato a complicanze quali la rottura intraperitoneale della lesione (se cistica) o torsione ovarica, a causa della maggiore lunghezza del peduncolo e della localizzazione intraddominale dell’ovaio pre–pubere (Fig. 7, 8). La torsione della gonade femminile è reversibile nel 2,7% dei dolori addominali pediatrici. Essa viene considerata un’emergenza chirurgica, se non trattata tempestivamente comporta il rischio di riduzione della fertilità. Nel 70% dei casi la torsione è favorita da una patologia preesistente (cistica o solida), seppur frequentemente misconosciuta, mentre nei restanti è idiopatica, interessando una gonade normale. In letteratura la torsione interessa le ovaie con un rapporto destra: sinistra variabile tra 3:2 e 5:1. Il più frequente riscontro nella gonade destra può essere dovuto alla maggiore lunghezza e mobilità dei legamenti infundibulo–pelvici e ovarici ed al ruolo protettivo svolto dalla presenza del sigma a sinistra. I principali sintomi riferiti dalle pazienti sono il dolore addominale acuto e la nausea; il rilievo anamnestico di episodi ricorrenti di dolore addominale è suggestivo di torsioni recidivanti con detorsioni spontanee. Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica 277 Anomalie del ciclo mestruale: le anomalie del ciclo mestruale sono tipiche delle lesioni ovariche di natura funzionale. Nel caso di cisti follicolari possono essere presenti manifestazioni correlate ad un picco di estrogenizzazione, più evidente nella bambina pre–pubere, talvolta causa di spotting in soggetti già mestruati, conseguenti ad una transitoria iperstimolazione dell’endometrio. Al contrario le cisti luteiniche, post–menarcali, sono spesso associate a modificazioni del ciclo, per allungamento della fase luteale con produzione più prolungata di progesterone, e ad una sintomatologia di spiccata tensione mammaria. All’involuzione della cisti segue di solito un quadro di ipermenorrea. Sintomi da iperestrogenizzazione: un quadro di pubertà precoce può svilupparsi in presenza di neoplasie ovariche estrogeno — o HCG — secernenti in bambine pre–puberi, mentre nel caso di soggetti che hanno già avuto il menarca l’iperestrogenizzazione si manifesta con sanguinamenti vaginali anomali. Sintomi da iperproduzione androgenica: sono l’irsutismo e virilismo. Iter diagnostico Le indagini diagnostiche non consentono talvolta una diagnosi certa di natura; spesso essa viene appurata unicamente con l’esplorazione chirurgica. In caso di patologia ovarica l’iter diagnostico comprende esami di primo e di secondo livello. Figura 7 – Torsione ovarica idiopatica in una bambina di 9 anni. Figura 8 – Torsione ovarica idiopatica: immagine macroscopica. C. Spinelli et al. Ovarian torsion in children: oophorectomy or simple detorsion? Ibero–American Ped Surg Congress 2008. 278 Capitolo 8 Primo livello diagnostico: è costituito dall’indagine ecografica che può essere eseguita per via trans–addominale (sovra pubica) o ancor meglio per via trans–vaginale ma solo nel caso di adolescenti sessualmente attive. Con tale tecnica è possibile mettere in evidenza il volume dell’ovaio, la sua morfologia ed il suo contorno, così da prestare particolare attenzione a gonadi il cui volume supera la norma per età e per grado di sviluppo puberale. L’esame ecografico ha una capacità nel predirre la natura benigna/maligna di una massa ovarica del 77%. La notevole variabilità degli aspetti morfologici dei tumori ovarici e l’esistenza di neoplasie borderline vanificano ogni tentativo di valutare ecograficamente il carattere benigno o maligno di una lesione espansiva ovarica. Le dimensioni di una massa non sono una indicazione certa per la sua potenziale malignità. Le anomalie strutturali dell’ovaio all’esame ecografico possono manifestarsi come lesioni cistiche (tipo semplici uniloculari o multiloculari, con parete ben delimitata) oppure miste o solide. Una componente solida deve essere considerata sospetta fino a prova contraria. Utile nel caso di lesioni complesse o solide, è l’utilizzo del Color Doppler per la valutazione dei vasi e del flusso vascolare della lesione. L’ecografia e l’eco–color–doppler possono anche essere d’aiuto nel formulare la diagnosi di torsione ovarica, in cui generalmente abbiamo l’assenza unilaterale di flusso associata ad un infarcimento ematico di grado variabile (fig. 9–10); tuttavia, sebbene l’assenza unilaterale di flusso ematico possa orientare verso una torsione, la persistenza dello stesso non ne esclude necessariamente la diagnosi. Secondo livello diagnostico: gli esami diagnostici di secondo livello devono essere eseguiti solo nel caso in cui si abbia, dopo l’esecuzione dell’ecografia, ancora dei dubbi sulla natura della lesione e quindi conseguentemente sull’approccio terapeutico da seguire. Essi comprendono: l’esame radiologico diretto, utile solo in presenza di calcificazioni o di inclusioni dentarie come nei teratomi; la TC, che può contribuire allo studio della lesione annessiale grazie alla sua capacità di definire al meglio la struttura della massa, il contenuto e le caratteristiche dei margini (specificità dell’87%) (fig. 11–12); la RMN permette di eseguire una diagnosi differenziale delle caratteristiche strutturali dalla lesione e di definire i rap- Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica 279 porti con gli organi contigui e, dopo somministrazione del mezzo di contrasto, di identificare le zone vascolarizzate. Il dosaggio dei marcatori tumorali (CA–125, alfa–feto proteina, beta–HCG, LDH, CEA) può risultare utile, anche se non risolutivo, nel differenziare forme neoplastiche benigne e maligne, oltre che nel follow–up post–opratorio. La sensibilità dei marcatori tumorali è inferiore al 50%. Nei tumori di origine epiteliale il CA–125 è elevato in oltre il 70% delle pazienti; l’α–fetoproteina (α–FP) è elevata in presenza di tumori germinali (yolk sac tumor e ca embrionale); la β–gonadotropina corionica (β–HCG) può amuentare nei teratomi, coriocarcinomi e carcinomi embrionali; la lattico–deidrogenasi (LDH) nei disgerminomi e l’antigene carcino–embrionario (CEA) nei cistoadenomi mucinosi. La diagnosi definitiva di natura si ottiene spesso, nonostante tutti gli accertamenti specifici, solamente con l’esame istologico della lesione. Management terapeutico Il corretto comportamento terapeutico di fronte al riscontro di una lesione ovarica è assai difficile da stabilire, soprattutto in età pediatrica. È necessario tenere in considerazione numerose variabili quali l’età della paziente, la sintomatologia, le caratteristiche ecografiche della lesione e la sua evoluzione nel tempo. Le indicazioni al trattamento chirurgico delle masse ovariche in età pediatrica o adolescenziale non sono ben definite; è infatti difficile porre Figura 9 – Ragazza 13 anni ecografia, torsione cisti emorragica del corpo luteo (versamento emorragico intraperitoneale). Figura 10 – Ragazza 14 anni ecografia, torsione cisti emorragica del corpo luteo. 280 Capitolo 8 dei criteri assoluti e incontrovertibili. C. Spinelli et al Funtional ovarian lesions in children and adolescents: when to remove it. Gynec. Endocrinology, 2009 A. Lesione ovarica sintomatica. Se ci troviamo di fronte ad una lesione sintomatica cioè in presenza di dolori addomino pelvici severi, l’indicazione chirurgica deve essere presa in considerazione per l’alto rischio di complicanze come la rottura, la torsione o l’emorragia intraperitoneale, specialmente se le dimensioni della massa sono maggiori di 5 cm o si presenta ecograficamente complessa o solida. Solo un trattamento chirurgico precoce può ridurre il rischio di ignorare una complicanza in atto (Tab. 5). B. Lesione ovarica asintomatica. Se ci troviamo di fronte ad una lesione ovarica asintomatica ed ecograficamente semplice (ipoecogena, senza echi interni o con presenza di echi interni riconducibili ad emorragia) indipendentemente dalle dimensioni della lesione è indicata una rivalutazione clinica–ecografica a distanza di tempo. Se la lesione regredisce (completamente o parzialmente) sarà necessario continuare il follow–up. Se la lesione persiste, devono essere valutare le dimensioni (se rimane costante con diametro inferiore ai 5 cm si può continuare il follow–up, al contrario, se aumenta di dimensioni o se il suo diametro supera i 5 cm, si pone l’indicazione chirurgica (Tab. 6). Figura 11 – Bambina di 2 anni. Yolk sac tumor. Figura 12 – Metastasi polmonari da yolk sac tumor. Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica 281 Tabella 5 – Management di una lesione ovarica sintomatica. Se ci troviamo di fronte ad una lesione ovarica asintomatica ecograficamente complessa (Tab. 7) la prima cosa da fare, nel caso di un’adolescente sessualmente attiva, è escludere una gravidanza ectopica con l’esecuzione di un semplice test di gravidanza. Il passo successivo è valutare se esistono calcificazioni al suo interno; in loro presenza, essendo considerate un indice di malignità, si pone l’indicazione all’intervento. In caso contrario è necessario rivalutare ecograficamente la lesione dopo 2 mesi e comportarsi di conseguenza. Se la lesione va incontro a regressione, totale o parziale, si continua con il semplice follow–up, se invece rimane uguale o addirittura aumentata di dimensioni c’è indicazione all’intervento chirurgico. Le lesioni ovariche asintomatiche ecograficamente solide (Tab.8) richiedono in ogni caso l’asportazione chirurgica. L’intervento chirurgico è infatti imperativo per le masse ovariche che indipendentemente dalle dimensioni, contengono una componente solida. La via laparoscopica è indicata nelle lesioni cistiche. Nelle lesioni solide o complesse l’approccio chirurgico può consistere in una mini–laparotomia o laparotomia secondo Pfannestiel, per il minor rischio di rottura della lesione e quindi evitare, in caso di lesione maligna, una disseminazione. L’approccio chirurgico alla lesione deve essere il più conservativo possibile: cistectomia o enucleazione della massa con conservazione del parenchima ovarico funzionante. Il trattamento chirurgico conservativo non influisce sulla ulteriore fertilità. L’ovariectomia e la salpingo–ovariectomia viene eseguita solamente di fronte o ad una neoplasia maligna o ad una lesione neoplastica, in cui non sia possibile preservare il parenchima ovarico. In caso di torsione ovarica può essere necessaria l’ovariectomia per necrosi massiva dell’ovaio. Anche se alcuni autori consigliano di fissare e lasciare in sede l’ovaio dopo la detorsione del suo peduncolo in quanto non sarebbe possibile stabilire il grado di effettiva compromissione del parenchima gonadico dal solo aspetto 282 Capitolo 8 Tabella 6 – Management di una lesione asintomatica semplice. Tab.7 – Management di una lesione asintomatica complessa. Tab.8 – Management di una lesione asintomatica solida. Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica 283 macroscopico, rischiando in tal modo di asportare un organo magari ancora con capacità di ripresa. Discussa è l’utilità dell’ovariopessi contro laterale, alla fine di prevenire una ulteriore torsione annessiale; sembra infatti che il rischio sia aumentato di cinque volte. 8.5 Disordini intersessuali Definizione Caratteri sessuali primari interni e/o esterni non totalmente differenziati in senso maschile o femminile e/o non in accordo con il cariotipo. Incidenza 1 bambino su 2000/5000 nasce con anomalie della differenziazione sessuale. Valutazione clinica dei genitali ambigui I genitali ambigui possono essere sospettati in presenza di: – – – – Ipospadia severa Micropene: definito nel neonato di dimensioni <2 cm Ipoplasia corpi cavernosi Clitoridomegalia: definita come lunghezza del clitoride >1,5cm e larghezza >7mm – Alla palpazione delle gonadi rilievo di: criptorchidismo bilaterale o tumefazioni palpabili inguinali simulanti un’ernia inguinale bilaterale in paziente con genitali esterni femminili – Aspetto fenotipico discordante con quello genotipico – Iperpigmentazione cutanea dei genitali e dell’areola (↑ACTH tipico della sindrome adrenogenitale congenita). 284 Capitolo 8 Indagini diagnostiche L’iter diagnostico impone: – studio del cariotipo – dosaggio ormonale basale o dopo stimolo di LH, FSH, androstenedione, DHT, 17idrossipregnenolone, diidroepiandrostenedione, androstenedione, MIF – elettroliti: Na+, K+, Ca2+ – ecografica pelvica e surrenalica – genitografia per la valutazione della uretra, della vagina, dell’utero, e dell’eventuale seno–urogenitale (fig 13–14) – cistouretrografia – endoscopia urogenitale – TAC – RMN – Laparoscopia (per la valutazione dei genitali interni delle gonadi o delle strutture mülleriane) Figura 13 – Seno urogenitale (freccia). Figura 14 – Genitografia. Genitali Ambigui: ruolo del chirurgo pediatra Il ruolo del chirurgo pediatra nell’ambito della équipe coinvolta nel trattamento delle gravi anomalie genitali è quello di valutare l’anatomia pelvica/perineale e di indicare la strategia chirurgica di trasformazione dei genitali. Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica 285 • CLASSIFICAZIONE DISORDINI DELLA DIFFERENZIAZIONE SESSUALE: Pseudoermafroditismo Maschile I bambini p.m. si caratterizzano per avere testicoli istologicamente normali, cariotipo XY, genitali esterni con segni di virilizzazione incompleta o completamente femminili. Esso può essere distinto in: Pseudo–ermafroditismo maschile interno: le strutture di origine wölffiana (prostata, vescichette seminali e deferenti) si sviluppano normalmente e il fenotipo può essere quello di un maschio “normale”. L’assenza dell’ormone anti–mülleriano è responsabile del mantenimento degli abbozzi Mülleriani (parte di vagina, utero, tube). L’intervento chirurgico deve prefiggersi il mantenimento del fenotipo maschile e l’exeresi dei genitali interni di origine Mülleriani. Pseudo–ermafroditismo maschile da deficit della biosintesi del testosterone: iperplasia congenita delle surrenali. Esprime una carenza parziale o totale di 20–idrossilasi, 20, 22–desmolasi o 22–idrossilasi con blocco della sequenza enzimatica che trasforma il colesterolo nelle tre serie ormonali. La sindrome è caratterizzata da insufficienza surrenale con perdita di sali, fenotipo femminile, gonadi di natura testicolare e completa assenza di residui mülleriani. Pseudo–ermafroditismo maschile da insensibilità periferica agli androgeni: raccoglie alcune sindromi caratterizzate da alterazione dei recettori citoplasmatici degli organi bersaglio con conseguente insensibilità all’androgeno. Si ricorda che il testosterone viene trasformato nella sua forma attiva, il didrotestosterone, grazie ad un enzima citoplasmatico (5α–reduttasi). L’ormone attivato viene captato da una proteina recettrice e trasferito in forma di complesso nel nucleo, dove stimola la biosintesi proteica. La sindrome di Morris è l’esempio tipico di una femminilizzazione testicolare completa da deficit della proteina recettrice che veicola il diidrotestosterone (presente in quantità normale) nell’organo bersaglio. Il fenotipo è inequivocabilmente femminile con testicoli ritenuti, disgenetici. La vagina è presente, ma è piccola e termina a fondo cieco. Il trattamento chirurgico consiste in un’orchiectomia bilaterale per il rischio di degenerazione maligna delle gonadi associata 286 Capitolo 8 o meno ad una ricostruzione della vagina per una adeguata vita sessuale (Fig. 15). Pseudoermafroditismo Femminile Caratterizzato da ovaie istologicamente normali, cariotipo XX, genitali esterni con vari stadi di virilizzazione (ipertrofia clitoridea, fusione labio–scrotale), genitali interni normali e/o seno urogenitale. Esso è imputabile a: – Cause materne: In presenza di cisti ovariche, luteoma gravidico, tumore o iperplasia surrenale, può manifestarsi una mascolinizzazione dei genitali esterni del feto. Dosaggio ormonale e sviluppo puberale sono normali; queste pazienti possono richiedere un intervento di clitoridolabioplastica e/o vulvo–vagino–plastica. – virilizzazione fetale iatrogeniFigura 15 – Bambino 4 anni (s. di Morris) ca: questa sindrome, legata insensibilità periferica agli androgeni. alla somministrazione in gravidanza di androgeni, anabolizzanti e gestageni con azione androgena residua, richiede una terapia esclusivamente chirurgica (clitoridoplastica e/ o vulvo–vagino–plastica). – iperplasia virilizzante congenita delle surrenali: questa sindrome, comune ai due sessi, è caratterizzata da un deficit di secrezione del cortisolo (da blocco di alcune catene enzimatiche) con conseguente ipersecrezione di ACTH. L’iperstimolazione del corticosurrene induce a sua volta un quadro di intersex nella femmina e una virilizzazione precoce nel maschio. Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica 287 Disgenesia gonadica Disordine istologico delle gonadi con presenza di strie gonadiche, cariotipo variabile, genitali esterni con gradi di variabilità. Sindrome di Turner: 45 XO: fenotipo femminile. Caratteristici: il linfedema neonatale, la bassa statura, il torace a scudo, l’inserzione bassa dei capelli, il micrognatismo, lo pterigium colli ed anomalie dell’apparato scheletrico e cardio vascolare. I rari casi con frammento di Y richiedono l’asportazione laparoscopica delle strie gonadiche per il rischio di degenerazione neoplastica (gonadoblastoma), (Fig 16–17). Disgenesia gonadica pura: è un’affezione caratterizzata da assenza delle gonadi (maschili o femminili) o dalla presenza di residui stromali. Il quadro clinico ricalca quello tipico dell’ipogonadismo ipergonadotropo. La terapia chirurgica si limita all’asportazione dei residui gonadici. La terapia medica è di tipo ormonale sostitutiva e deve iniziare nel periodo puberale. Disgenesia gonadica mista: mosaicismo; fenotipo maschile con ipospadia e criptorchidismo unilaterale. La gonade ritenuta è disgenetica ed è in rapporto con le strutture di origine mülleriana. Il trattamento chirurgico prevede l’exeresi del testicolo disgenetico (rischio di degenerazione neoplastica) ed eventualmente delle strutture di origine mülleriana; comporta inoltre un’uretroplastica e il posizionamento di una protesi testicolare. Figura 16 – Cariotipo 45x0/46xx(y). Sindrome di Turner. Figura 17 – Stria gonadica destra. Immagine laparoscopica. S. di Turner. 288 Capitolo 8 Sindrome di Klinefelter: 47 XXY o mosaicismo; fenotipo maschile caratterizzato da scarsa virilizzazione, testicoli ipoplasici e talvolta ritenuti, ginecomastia, pubertà precoce saltuaria, sterilità; deficit mentale, iI trattamento chirurgico consiste nell’eventuale orchidopessi e nella correzione della ginecomastia. Ermafroditismo vero Presenza di tessuto istologico ovarico e testicolare nello stesso individuo, cariotipo variabile, genitali esterni variabili; malformazione rara (circa il 2% degli stati intersessuali). L’ermafrodita vero può presentare un corredo cromosomico 46XY, 46XX o la contemporanea presenza di due linee cellulari, o ancora mosaicismi e chimerismi. L’ermafroditismo vero può essere distinto in: – bilaterale (tessuto ovarico e testicolare presente bilateralmente, 20% dei casi ); – unilaterale (tessuto ovarico e testicolare da un solo lato associato a un testicolo, 33%, o ad un ovaio, 11%, o una gonade indifferenziata, 3%); – alternante (testicolo da un lato, ovaio dall’altro, 33%). Morfologicamente è possibile riscontrare nello stesso individuo derivati sia mülleriani sia wölffiani, mentre i genitali esterni sono spesso ambigui: pene ipospadico; scroto bifido, vuoto o contenente una od entrambe le gonadi: vagina talvolta ben rappresentata, talaltra rudimentale; prostata presente solo nei soggetti più mascolinizzati (Fig 18 a,b). Il trattamento consiste nell’exeresi della gonade discorde con il sesso assegnato e nella correzione degli organi genitali esterni. In genere l’ermafrodita vero viene femminilizzato. In sintesi le tecniche chirurgiche previste per i pazienti con genitali ambigui sono: – Laparoscopia diagnostica; – Gonadectomia via laparoscopica/laparotomica/ inguinale per l’asportazione delle gonadi, se presenti, ad alto rischio di degenerazione neoplastica; Patologia ginecologica in chirurgia pediatrica 289 – Chirurgia ricostruttiva in senso femminile: clitoridolabioplastica e correzione del seno–urogenitale (vagina–uretroplastica) (Fig. 19). Figura 18 a, b – Genitali ambigui in ermafroditismo vero. 290 Capitolo 8 Figura 19 – Intervento di clitorido–labio–vagino plastica in ermafroditismo vero. C. Spinelli et al. Ambigous Genitalia: a clinical and surgical approach. International Meeting of Anomalies of Sex Differentation. Roma 2006. Capitolo 9 GINECOMASTIA Il termine ginecomastia si riferisce ad un aumento del volume mammario nel maschio determinato dalla proliferazione benigna degli elementi duttuli del parenchima; da questa va distinta la lipomastia, o pseudoginecomastia, condizione caratterizzata da un’eccessiva presenza di tessuto adiposo mammario. La ginecomastia può essere monolaterale o bilaterale, simmetrica o asimmetrica, primaria oppure secondaria a patologie endocrine. Epidemiologia Già dalla nascita, nel 60–90% dei neonati di sesso maschile, sì può rilevare un transitorio e fugace ingrandimento della mammella, che può persistere per alcuni giorni; presumibilmente è legato ad alte concentrazioni di estrogeni a livello dell’unione materno–placentare. Difficilmente si riscontra un ingrandimento delle mammelle nel periodo prepuberale, se ciò accade è segno molto suggestivo di tumore endocrino. Durante la pubertà, tra i 13 ed i 15 anni, si evidenzia nel 60–70% dei casi una lieve ginecomastia vera, fisiologica, che regredisce di solito completamente prima dei 18 anni; tuttavia è possibile palpare la ghiandola mammaria nel 30–65% dei maschi adulti. Anatomia patologica Istologicamente la ginecomastia è caratterizzata dalla proliferazione e dall’iperplasia dei dotti mammari che sono circondati da uno stroma fibroconnettivo. È raro incontrare veri e propri acini, come nel tessuto mammario femminile, in quanto per 291 292 Capitolo 9 lo sviluppo di questi, si rende necessaria l’azione congiunta di estrogeni e progesterone. Nelle ginecomastie di lunga data, la componente ghiandolare è meno presente, mentre predomina la componente stromale fibrosa; la terapia medica, anche per questo motivo, è più efficace nelle fasi precoci. Patogenesi L’eziologia della ginecomastia non è totalmente chiara; il meccanismo d’azione dipende in ogni caso dall’azione di ormoni circolanti su specifici recettori localizzati a livello del tessuto mammario maschile. In questo tessuto, oltre ai recettori per androgeni ed estrogeni, la cui attivazione rispettivamente inibisce e stimola la proliferazione del tessuto mammario, sono stati ritrovati i recettori per la prolattina, GH, LH, hCG. In ogni caso, in ambito prettamente clinico, più del livello assoluto degli ormoni, che peraltro risultano spesso normali, è importante il rapporto percentuale tra estrogeni ed androgeni ed il livello di sensibilità dei recettori periferici, come dimostrano per esempio i casi di ginecomastia monolaterale. Nonostante le forme idiopatiche siano le più frequenti, esistono molte patologie di cui la ginecomastia può essere un sintomo. Le forme secondarie possono dipendere da: 1. Aumentati livelli degli estrogeni Eccessivi livelli di estrogeni circolanti stimolano direttamente la crescita del tessuto mammario maschile; inoltre possono sopprimere la secrezione di LH ed alterare il bilancio tra estrogeni stessi ed androgeni. L’aumento della concentrazione sierica di estrogeni può essere dovuto a somministrazione esogena o iperproduzione endogena: – Tumori delle cellule del Sertoli: tumore testicolare tipico dei giovani; benigno, può essere associato alla sindrome di Peutz–Jeghers, esprime alti livelli di aromatasi; – Tumori delle cellule di Leydig: tumore testicolare che può presentarsi a qualsiasi età ma tipico dei giovani adulti; benigno nel 90% dei casi, secerne direttamente estradiolo. Ginecomastia 293 – Tumori secernenti hCG: soprattutto tumori delle cellule germinali del testicolo. – Sindrome familiare di eccesso di aromatasi: caratterizzata dall’aumentata aromatizzazione degli ormoni androgeni; nei pazienti maschi causa pubertà precoce e ginecomastia con livelli di testosterone e volume testicolare diminuiti; nelle bambine determina pubertà precoce, telarca prematuro e macromastia. – Tumori femminilizzanti del surrene: tumori adrenocorticali, generalmente maligni, poco differenziati. Questi tumori possono secernere estrogeni direttamente o precursori (DHEA, androstenedione), convertiti in estrogeni perifericamente dall’aromatasi. – Somministrazione esogena di estrogeni: possono essere presenti in pesticidi, PVC, creme e lozioni per il corpo, nel cibo, in conservanti e coloranti, in alcune birre e vini, ma soprattutto nella carne bovina. Va ricordato che esistono forme di ginecomastia correlate a particolari categorie professionali (allevatori, parrucchieri ed imbalsamatori). 2. Diminuiti livelli di androgeni – Ipogonadismo primario: anorchia congenita, caratterizzata da assenza di testicoli in maschi XY geneticamente normali; sindrome di Klinefelter, il più comune disordine genetico nell’uomo associato a ipogonadismo, infertilità, ginecomastia ed aumentato rischio di cancro della mammella. – Deficit enzimatici: deficit di 17 α–idrossilasi o deficit di 3 β–idrossisteroide deidrogenasi. – Forme secondarie a malattie virali quali quelle dovute alla parotite epidemica o a echovirus, ad arbovirus del gruppo B o virus della coriomeningite linfocitaria. – Deficit dell’azione periferica degli androgeni: sindrome di Reifenstein (parziale insensibilità periferica agli androgeni) e sindrome di Morris (completa insensibilità periferica agli androgeni), entrambe dovute a mutazioni dei geni che codificano per i recettori degli androgeni. 294 Capitolo 9 3. Alterato rapporto androgeni/estrogeni – Ginecomastia puberale: il 60–70% dei bambini durante la pubertà sviluppa ginecomastia, che può essere asimmetrica ed associata a dolore/discomfort. È dovuta ad un aumento dei livelli sierici di estrogeni più precocemente rispetto agli androgeni. La ginecomastia puberale tende a risolversi, spontaneamente, nella maggior parte dei casi, in uno–due anni. Tuttavia è possibile apprezzare palpatoriamente il tessuto mammario in un’alta percentuale di maschi adulti. – Ginecomastia dell’anziano: è dovuta alla fisiologica variazione dell’asse ipotalamo–ipofisario con diminuita produzione di androgeni. – Ginecomastia nel malnutrito: dovuta all’ipogonadismo ipogonadotropo determinato dalla perdita di peso e dalla carenza calorico/proteica. Quando una corretta dieta alimentare si accompagna alla ripresa del peso corporeo si verifica il ripristino del funzionamento dell’asse ipotalamo– ipofisario, determinando così una “seconda pubertà”. – Insufficienza renale cronica: presenta gli stessi meccanismi patogenetici della ginecomastia nel malnutrito. – Cirrosi epatica: si hanno notevoli mutamenti nel bilancio ormonale, dovuti alla perdita della funzione epatica nel mantenimento dell’omeostasi, soprattutto nel controllo del bilancio androgeni/estrogeni. – Ipertiroidismo: nel 40% dei casi di tireotossicosi si sviluppa ginecomastia, determinata da aumentata conversione periferica degli androgeni e diminuiti livelli di testosterone libero (aumenta la SHBG). – Mastopatia diabetica: presente soprattutto nei pazienti con diabete mellito di tipo 1, ma riscontrata anche in pazienti affetti da tiroidite di Hashimoto e Lupus Eritematoso Sistemico; la causa della patologia va attribuita, probabilmente, a fenomeni autoimmuni, determinanti vasculiti e fibrosi del parenchima mammario. Ginecomastia 295 4. Indotta da farmaci – Numerose sostanze possono determinare ginecomastia: in ambito pediatrico sono da tenere in considerazione la marijuana, l’hashish, steroidi anabolizzanti agenti antipsicotici, antidepressivi, e le benzodiazepine; in ambito urologico, la terapia ormonale del cancro della prostata, inibitori della 5–α reduttasi e GnRH–analoghi. 5. Obesità – L’obesità, oltre a stimolare la ginecomastia di origine endocrina, produce quadri detti di “pseudoginecomastia” in cui alla ipertrofia ghiandolare si associa una marcata adiposità localizzata a livello della regione mammaria. Diagnosi Dal punto di vista diagnostico l’esame clinico è fondamentale, in quanto consente di stabilire l’entità dell’ipertrofìa ghiandolare e dell’adiposità; se vi è associato un eccesso di cute e/o un allargamento del complesso areola–capezzolo, elementi importanti per decidere il corretto trattamento chirurgico. Per differenziare la ginecomastia dalla “pseudoginecomastia” è sufficiente la palpazione; nel primo infatti si apprezzerà un massa sottoaereolare, discoide, concentrica al capezzolo, di consistenza differente rispetto all’adiacente tessuto adiposo sottocutaneo. L’ecografia, consente di obbiettivare e di quantizzare i dati rilevati all’esame clinico. La mammografia, inutile nelle forme adolescenziali, trova una corretta indicazione nell’adulto, ed è finalizzata alla diagnosi differenziale con il cancro della mammella maschile. L’esame clinico dovrà essere completato con la valutazione del grado di virilizzazione, con l’esame dei genitali, con eventuale ecografia testicolare, con l’identificazione di segni di epatopatia e con nefropatia, e la palpazione della tiroide. Gli esami di laboratorio comprendono lo studio della funzione epatica, renale, tiroidea, il dosaggio dei livelli ematici di testosterone, LH, FSH, prolattina, estradiolo, DHEA–s, β–Hcg, α–fetoproteina e dei 17–ketosteroidi urinari. 296 Capitolo 9 Trattamento chirurgico della ginecomastia L’exeresi chirurgica della ghiandola mammaria, in caso di ginecomastia, ha indicazione puramente estetica. L’obiettivo dell’intervento è quello di ristabilire l’aspetto maschile del torace e della regione mammaria senza lasciare cicatrici evidenti. La classificazione della ginecomastia, basata su aspetti puramente clinici, e di facile utilizzo suddivide la patologia in quattro gradi: 1. Grado I: aumento del diametro e protrusione della mammella, limitata alla regione areolare (Fig. 1). 2. Grado II: ipertrofia di tutte le componenti strutturali della mammella. Il complesso areola–capezzolo è sopra il solco inframammario (Fig. 2a, 2b). 3. Grado III: ipertrofia di tutte le componenti strutturali della mammella. Il complesso areola–capezzolo è allo stesso livello o circa 1 cm sotto il solco inframammario (Fig. 3, fig. 4). 4. Grado IV: ipertrofia di tutte le componenti strutturali della mammella. Il complesso areola–capezzolo è più di 1 cm sotto il solco inframammario (Fig. 5, 6). Le procedure liposuttive ed escissionali per il trattamento della ginecomastia sono numerose. Il primo intervento di ginecomastia venne eseguito da Paulus Aegineta nel 650 d.C. La tecnica chirurgica e l’incisione da utilizzare dipendono dal tipo di ginecomastia e dal suo grado. Nelle forme di grado I e di grado II si esegue un’incisione semicircolare periareolare inferiore, o transareolare semplice, oppure Figura 1 – Grado I. Figura 2a – Grado II (visione obliqua). Figura 2b – Grado II (visione laterale). Ginecomastia 297 nel caso in cui il complesso areola–capezzolo sia molto piccolo si utilizza un’incisione transareolare allargata, con mastectomia mini– invasiva con skin–sparing, eventualmente associata ad una lipoplastica ultrasound–assisted nelle forme con componente adiposa. Nelle forme di grado III la mastectomia mini–invasiva non è sufficiente ad ottenere un buon risultato estetico, motivo per cui si esegue, al fine di ridurre il diametro dell’areola, una doppia incisione peri–areolare concentrica (donought) con disepitelizzazione dell’anello interno. Anche in questo caso può essere necessario associare una lipoplastica ultrasound–assisted se è presente una componente adiposa significativa. Nelle forme di grado IV si debbono utilizzare tecniche di mastoplastica riduttiva. In ogni caso a prescindere dal tipo di incisione cutanea utilizzata, l’intervento da eseguire è una mastectomia sottocutanea subtotale lasciando un bottone ghiandolare retroareolare e grasso prepettorale, a sostegno del capezzolo, per evitare l’insorgenza di retrazioni dello stesso. A tale riguardo, per eseguire correttamente l’intervento da un accesso cutaneo che è relativa- Figura 3 – Grado III. Figura 4 – Grado III. Figura 5 – Grado IV (visione obliqua). Figura 6 – Grado IV. (visione frontale). 298 Capitolo 9 mente piccolo, (Fig. 7, 8), la ghiandola può essere preventivamente infiltrata in superficie ed in profondità con una soluzione salina raffreddata a 4° C contenente adrenalina (1:500.000). Attesi 10’, per dare modo alla soluzione di provocare l’effetto vasocostrittivo, si incide la cute secondo il disegno preordinato e, dopo aver isolato il bottone ghiandolare retroareolare, si scolla in maniera smussa la superficie della ghiandola dalla cute sovrastante facendo ben attenzione a mantenere l’integrità del sottocute che dovrà poi svolgere un’importante azione di cuscinetto tra muscolo e cute. Successivamente si dissocia la parte profonda dalla fascia pettorale. Si può completare il modellamento della regione mammaria con una liposuzione ultrasound–assisted marginale della tasca residua così da smussare margini della resezione chirurgica in modo tale da evitare l’effetto scalino. Nelle forme di pseudoginecomastia invece si possono utilizzare semplicemente le tecniche di liposuzione attraverso le quali, riducendo con metodo suttivo il tessuto adiposo localizzato a livello della mammella, si ottiene il rimodellamento desiderato. La complicanza post–operatoria più frequentemente riportata è il sanguinamento o la raccolta ematica. Le complicanze a distanza sono prevalentemente di natura estetica come la retrazione del complesso areola–capezzolo, l’eccessiva depressione cutanea della regione mammaria, la cicatrice ipertrofica, l’iperestesia del complesso areola–capezzolo, l’inadeguata rimozione di tessuto adipo- Figura 7 – Incisione periareolare. Figura 8 – Pezzo operatorio. Ginecomastia 299 so o di ghiandola, la recidiva della ginecomastia e la persistenza di eccesso cutaneo. Nonostante si possano rimuovere considerevoli quantità di tessuto mammario da piccole incisioni, si è visto come l’esposizione limitata del campo operatorio sia un fattore decisivo per l’insorgenza di complicanze come l’ematoma, l’iperestesia e la retrazione. Indice analitico biliari 176 branchiale 32 broncogena 83–85 del coledoco 17, 98 del dotto di Gartner 257 del dotto vitellino 120 dermoidi 30 emorragica del corpo luteo 268–269, 279 epidermoidi 172 follicolare 265, 267 funzionali 269 luteiniche 267, 276 mesenteriche 17 renali 228 spleniche 17 Cloaca 126–129, 133 Condilomi 261–263 Counseling prenatale 15 Criptorchidismo 198–199, 230 A AFI indice 20, 21, 22 Ano imperforato 125–128, 132 Aplasia vaginale 252–254 Appendicite 167 Atresia del colon 109, 120 delle vie biliari extraepatiche 94 duodenale 16, 106 esofagea 23, 88, 90, 92, 109, 160 e stenosi duodenale 83, 105 pilorica 94 rettale 126, 127 B Briglie peritoneali di Ladd 110, 113 C Carcinoma differenziato della ti– roide 50 Cisti 301 302 Indice analitico rettouretrale 125, 130 retto–vescicale 125, 131 rettovestibolare 132 branchiali 31–32 D Dilatazione cistica del coledoco 97 Disgenesia gonadica 199, 287 Dotti di Müller 190, 252, 256 Dotto di Gartner 257 di Wölf 257 epatico 95, 97 mesonefrico 202, 226 onfalo–enterico 83, 116–119 peritoneo vaginale 142 E Ecografia prenatale 18 Emangiomi 65–66, 175 Emorragie digestive 170 Endometriosi 275 Enterocolite necrotizzante 157–159 Ernia crurale 145 diaframmatica 17, 152–154 epigastrica 146 inguinale 141 ombelicale 147 Estrofia della cloaca 128 F Feocromocitoma 56, 60, 214 Fimosi 204–207 Fistola perineale 125, 129 G Ganglioneuroblastoma 217, 223 Ganglioneuroma 217, 223 GCT tumori germinali del testicolo 232–234, 237–238, 272–273 Ginecomastia 291 H Hirschsprung 54, 102, 109, 133– 138 HPV 261 I Idrocele 144, 200 Invaginazione intestinale 165, 170 Ipertiroidismo 294 Ipertrofia delle piccole labbra 260–261 Ipoglicemia 103–104, 148 Ipospadia 207–208, 283 IVG interruzione volontaria di gra– vidanza 15, 149 K Klinefelter 199, 288, 293 Indice analitico 303 L O Lesioni ovariche 265, 274 Linfangiomi 79–82 Linfoadeniti 37 Lipoblastoma 60–62 Liquido amniotico 18–22, 47, 85, 100, 150–151 Obesità 295 Occlusione intestinale 109, 112– 114 Oligoidramnios 21–22 Ovarite 274 P M MAC malformazione adeno–ma– tosa cistica 84–85 Malformazioni anorettali 123, 126 venose 76–78 Mastopatia diabetica 294 MAV malformazioni artero–veno– se 74–76 Megacolon agangliare congenito 133 MEN 49, 53–60, 104, 215 Milza 173–176 N Nodulo tiroideo 48 NGCT tumori non germinali del testi– colo 239 Parto EXIT 24 Polidramnios 22–23, 81, 85, 90, 100, 108 Polipo ombelicale 120 Poliposi 170–173 R Reflusso gastro esofageo 159 RVU reflusso vescico–ureterale 245– 248 S Seminoma 237 Sindrome da ipersplenismo 174 del colon sinistro piccolo 136 di Alagille 94 di Beckwith–Wiedemann 148, 226 di Down 106, 123, 126, 133 di Gardner 172 di Kasabach–Merrit 68 304 Indice analitico di Li–Fraumeni 213 di Opitz 208 di Peutz Jeghers 171 di Rokitansky 252 occlusiva 138 P.H.A.C.E 68 Sinechie delle piccole labbra 259 Stenosi ipertrofica del piloro 163 Surrene 56, 212, 293 T Tumore di Wilms 221, 226–229 V Varicocele 183–186 AREE SCIENTIFICO–DISCIPLINARI Area 01 – Scienze matematiche e informatiche Area 02 – Scienze fisiche Area 03 – Scienze chimiche Area 04 – Scienze della terra Area 05 – Scienze biologiche Area 06 – Scienze mediche Area 07 – Scienze agrarie e veterinarie Area 08 – Ingegneria civile e Architettura Area 09 – Ingegneria industriale e dell’informazione Area 10 – Scienze dell’antichità, filologico–letterarie e storico–artistiche Area 11 – Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche Area 12 – Scienze giuridiche Area 13 – Scienze economiche e statistiche Area 14 – Scienze politiche e sociali Le pubblicazioni di Aracne editrice sono su www.aracneeditrice.it Finito di stampare nel mese di settembre del 2011 dalla « Ermes. 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