René DESCARTES
• LA VITA
Descartes nacque a La Haye, non molto lontano
da Parigi, nel 1596, dal padre Joachim, avvocato
e membro del parlamento di Rennes, e da
Jeanne Brochard.
Studiò dal 1604 al 1612 al “Collegio Reale Enrico
il Grande”, gestito sin dal 1604 dai Gesuiti a La
Fleche (circa 250 km a sud est di Parigi), scuola
istituita da Enrico IV come istituto d’eccellenza,
dove saranno convogliate le migliori energie
intellettuali dei giovani del tempo.
1
A “La Fleche”
• In seguito, nella prima parte del Discorso sul metodo
sottoporrà a critica l’impostazione degli studi dai Gesuiti:
“Sono stato allevato nello studio delle lettere fin dalla
fanciullezza, e poiché mi si faceva credere che con esse
si poteva conseguire una conoscenza chiara e sicura
di tutto ciò che è utile nella vita, avevo un estremo
desiderio di apprendere. Ma non appena ebbi concluso
questo intero corso di studi, al termine del quale si è di
solito annoverati tra i dotti, cambiai completamente
opinione: mi trovavo infatti in un tale groviglio di dubbi
e di errori da avere l'impressione di non aver ricavato
alcun profitto, mentre cercavo di istruirmi, se non
scoprire sempre più la mia ignoranza» (Discorso sul
metodo, I).
2
I viaggi
• La sete di conoscenza e di esperienza che la scuola non aveva
completamente soddisfatto lo spinge a viaggiare. Nel 1618 si
arruola nelle armate del principe di Nassau, che partecipava alla
guerra dei Trent’anni, nelle quali, in quanto nobile, godeva di ampia
libertà. Grazie a ciò egli può attraversare l’Europa e al contempo
approfondire gli studi di matematica e di fisica.
• Un notevole impulso ad essi lo dà la conoscenza del medico
olandese Isacco Beekman, con il quale stringe una fraterna
amicizia intellettuale, cementata dai comuni interessi fisicomatematici
• Dal 1620 al 1629 continua i suoi viaggi (nel 1622 lascia l’esercito):
“in tutti i nove anni seguenti (al 1620, n.d.r.) non feci altro che
vagare qua e là per il mondo, cercando di essere spettatore
piuttosto che attore in tutte le commedie che vi si rappresentavano”.
3
In Olanda
• Nel 1629 si stabilisce in Olanda e decide di vivere dei
proventi dei suoi possedimenti terrieri, senza svolgere
alcuna professione particolare, per dedicarsi completamente
ai suoi studi. L’Olanda a quel tempo era la terra della libertà e
della tolleranza filosofica e religiosa dove, lontano dagli
impegni della società, poteva attendere serenamente ai propri
interessi.
• Sin dal 1619 Cartesio aveva intuito i tratti fondamentali del
suo metodo filosofico inteso a connettere tutte le scienze in
una sola disciplina guidata da regole che le permettano di
fondare con certezza le sue acquisizioni, ma solo dal 1628
egli cominciò a mettere per iscritto in modo sistematico i
risultati delle sue ricerche, componendo le REGULAE AD
DIRECTIONEM INGENII che verranno pubblicate postume
nel 1701.
4
“Il trattato sul mondo” e il “Discorso
sul metodo”
• Nel 1633, dopo aver iniziato un trattatello di metafisica
che costituirà la base delle successive MEDITAZIONI,
porta a termine il TRATTATO SUL MONDO, ma evita di
pubblicarlo dopo aver ricevuto la notizia della condanna
ecclesiale di Galilei a causa della sua accettazione del
copernicanesimo, opinione che anch’egli aveva accolto
favorevolmente nel suo scritto.
• Prudentemente decide di scomporre il suo trattato
emendandolo delle parti più “rischiose” e di pubblicarne
tre parti nel 1637 LA DIOTTRICA, LE METEORE e LA
GEOMETRIA, fatte precedere da una prefazione che
avrà un grande ed autonomo successo: IL DISCORSO
SUL METODO
5
Dalle “Meditazioni” alla morte
• Nel 1641 - dopo averlo concluso e sottoposto al giudizio di M.
Marsenne, un coltissimo filosofo gesuita cui era rimasto legato sin
dai tempi di La Fleche - pubblica il trattato di metafisica iniziato più
di un decennio prima con il titolo MEDITATIONES DE PRIMA
PHILOSOPHIA (in qua Dei existentia et animae immortalitas
demonstrantur). Nel 1647 l’opera sarà pubblicata in francese.
• Del 1644 è un’altra e più completa rielaborazione filosofica del
“Trattato sul mondo”, che egli pubblica con il titolo di PRINCIPIA
PHILOSOPHIAE e che ha la struttura e l’intento didattico di un
manuale scolastico.
• Nel 1649, su invito della regina Cristina che vuole essere
adeguatamente istruita nella filosofia, si reca in Svezia, dove a
causa di una polmonite si ammalerà e morirà nel 1650. Del 1649 è
l’ultima opera pubblicata in vita: LE PASSIONI DELL’ANIMA.
6
Opere postume
• Dopo la morte saranno pubblicate le seguenti
opere:
1650: COMPENDIUM MUSICAE;
1662 e 1664: TRATTATO SULL’UOMO;
1664: TRATTATO SUL MONDO O TRATTATO
DELLA LUCE;
1657-67: LETTERE;
1701: REGULAE AD DIRECTIONEM INGENII e
INQUISITIO
VERITATIS
PER
LUMEN
NATURALE.
7
Le critiche al sapere tradizionale
•
-
-
Dalla esperienza di La Fleche, Cartesio elabora delle precise critiche al
sapere tradizionale da lui ricevuto nel collegio dei Gesuiti:
Riguardo allo studio umanistico delle lingue classiche egli afferma che
la curiosità per il passato in realtà non fa altro che distogliere
l’attenzione dal presente. Inoltre
l’elemento favolistico delle
letterature classiche allontana dalla realtà. Infine la retorica quale
scienza del ben parlare e del persuadere è inutile: colui che sa pensare
correttamente convince in virtù della verità del suo pensiero senza
bisogno di ulteriori artifici.
Riguardo alla logica classica egli afferma che la sillogistica aristotelica
è in grado di dedurre con certezza le conseguenze dalle premesse, ma
nulla dice circa il modo di individuare la verità delle premesse stesse.
Riguardo alla matematica (di cui a La Fleche gli erano stati impartiti
solo i primi superficiali rudimenti), egli dice che è l’unica scienza che si
salva per la certezza ed evidenza dei suoi ragionamenti. Il
fondamento di tutto il sapere va cercato proprio in questa disciplina.
8
La matematica e l’unità della
ragione
• La matematica, quale architrave dell’edificio del sapere, va
unificata. In particolare vanno unificate algebra e
geometria, cosa che Cartesio realizzerà con l’elaborazione
della geometria analitica.
• La matematica è disciplina in cui la ragione è esercitata
nella maniera più pura e veritiera, dunque va applicata a
tutti gli oggetti del sapere. Infatti la ragione è unica e non
cambia a seconda degli oggetti cui si applica: “Tutte le diverse
scienze non sono altro che la sapienza umana, la quale
rimane sempre una e identica per quanto si applichi a
differenti oggetti, né riceve da questi maggior distinzione di
quanto ne riceva la luce del sole dalla diversità delle cose che
illumina” (Regulae, I).
• Essa consiste nella “facoltà di giudicar bene e distinguere il
vero dal falso” (Discorso sul metodo, I), giungendo così ad
una verità che non si possa mettere in dubbio.
9
Mathesis universalis
• Attraverso la matematica si deve dunque costruire una scienza
generale delle proposizioni e degli oggetti misurabili, ossia una
“mathesis universalis”. Ciò perché la matematica è lo strumento che
garantisce la chiarezza e la certezza della conoscenza.
• Il sapere infatti per giungere a verità deve preliminarmente saggiare
le sue possibilità e i suoi limiti, trovando lo strumento migliore, ossia
il metodo, la via migliore che conduce a conoscere la realtà. Esso
si ottiene distillando la matematica e, una volta ottenuto, può essere
applicato a tutti gli oggetti della realtà.
• Ciò significa che per Cartesio il problema della conoscenza ha un
primato assoluto: prima dobbiamo sapere in che modo
possiamo conoscere le cose e poi possiamo capire la loro
natura, ovvero il loro essere.
• Ciò inaugura la preminenza della gnoseologia sull’ontologia che
diverrà il tratto caratteristico di tutta la filosofia moderna.
10
•
Le regole del metodo
(Regulae ad directionem ingenii; Discorso
sul metodo)
Dunque, prima di stabilire che il mondo è fatto in un certo modo, devo individuare
un metodo che mi garantisca che ciò che dico è vero, che il mio sapere è
CERTO.
Vi sono quattro criteri fondamentali per arrivare a conclusioni certe:
1)
L’EVIDENZA. Non devo accettare come vera nessuna idea che non sia evidente.
Per essere evidenti, le idee devono essere CHIARE e DISTINTE.
Sono chiare le idee che si impongono immediatamente alla nostra mente con forza e
vivacità
Sono distinte le idee che non che non possono essere confuse con altre idee.
Ma che cosa sono le idee? Idea è qualsiasi rappresentazione, cioè qualsiasi
contenuto che mi rappresento con il mio pensiero, sia esso relativo ad oggetti
sensibili (p. es. un tavolo, quando è pensato da una persona, nella sua testa è
l’idea di un tavolo), sia esso di oggetti intellegibili (per es. l’idea di un triangolo, o di
una retta).
La verità dunque è una caratteristica delle idee: le idee evidenti, quindi chiare e
distinte, sono vere. Non si tratta quindi di stabilire quanto un’idea sia adeguata alla
cosa rappresentata, secondo il modello aristotelico, ma di valutare esclusivamente
la qualità della rappresentazione: abbiamo qui una nozione mentalistica e
soggettiva della verità, e non realistica e oggettiva.
11
Le regole del metodo (2)
2) Analisi: per giungere all’evidenza,
bisogna scomporre il problema nei suoi
elementi semplici (per es. se io devo
capire come è fatto un oggetto complesso,
come un computer, devo innanzitutto
capire il funzionamento delle sue singole
parti, l’hard disk, la tastiera, il mouse, lo
schermo, le parti elettriche, il chip etc.)
Solo degli elementi semplici è infatti
possibile farsi idee chiare (Discorso,2).
12
Le regole del metodo (3)
3) LA SINTESI. E’ necessario poi ricomporre gli
elementi cosi ottenuti nel loro ordine conducendo
i propri pensieri “cominciando dagli oggetti più
semplici e facili a conoscersi, per salire poco a poco,
come per gradi, fino alle conoscenze più complesse,
supponendo che vi sia un ordine anche tra gli
oggetti che non procedono naturalmente gli uni dagli
altri” (Regulae, 6; Discorso, 2).
Insomma la sintesi insegna a trovare un nesso, un
collegamento razionale e deduttivo tra molteplici
oggetti sparsi, e a ricostruire con quelli una totalità
coerente.
13
Le regole del metodo (4)
4) L’enumerazione. Si tratta di “fare
dappertutto enumerazioni così complete e
revisioni così generali da essere sicuro di
non omettere nulla” (Regulae, 7,
Discorso,2). Bisogna che nessuna parte
dell’oggetto in questione, che abbiamo
scomposto nelle sue parti e ricostruito
razionalmente, sia tralasciata, che nessun
aspetto di un dato problema sia rimasto
nell’ombra.
14
Il rigore matematico ovunque
• Queste regole
• hanno come modello le dimostrazioni
matematiche che riconducono le tesi da
dimostrare agli assiomi semplici, per poi,
da questi, giungere a delucidare il teorema
complesso, secondo una catena di
ragionamenti evidenti;
• vanno estese a tutti i tipi di ricerca,
all’interno di tutti gli ambiti del sapere.
15
Il fondamento dell’evidenza
(Meditationes de prima philosophia)
• Il principio dell’evidenza, che costituisce il
fondamento delle regole, va però ulteriormente
fondato dal punto di vista filosofico, in modo che
la costruzione di tutte le scienze, che su di esso
si regge, possa essere salda.
• Che cosa rende un’idea evidente, cioè chiara
e distinta? Perché noi possiamo affidarci
all’evidenza delle nostre idee per costruire il
nostro sapere?
16
Il dubbio metodico
• Per capire la radice dell’evidenza dobbiamo
sottoporre ad una sorta di prova del fuoco tutte
le nostre idee al fine di trovare qualcosa che
abbia assoluta certezza. Questa prova è il
dubbio: dobbiamo provare a dubitare di tutto per
vedere se veramente si può dubitare su tutto o
se invece di qualcosa non è assolutamente
possibile dubitare. Questo qualcosa, se trovato
sarà fondamento di ogni ulteriore evidenza e
certezza.
17
Il dubbio sui sensi e sulle verità
matematiche
• Innanzitutto è più che noto che i sensi possono
ingannare producendo rappresentazioni di cose
in realtà inesistenti (allucinazioni, abbagli, errori,
sogni, etc.).
• Tuttavia possiamo anche ipotizzare che una
sorta di Genio maligno ci porti a ritenere
assolutamente vere conclusioni matematiche
che in realtà non lo sono. Potremmo pensare
che qualcuno di estremamente potente, ci
induca a ritenere che 2+2=4 mentre il risultato
giusto sarebbe 5.
18
La risoluzione del dubbio: il cogito
• Se il Genio maligno mi inganna, egli, per farlo, deve
rivolgersi a me e in particolare al mio pensiero. Il mio
pensiero pensa qualche cosa e il Genio deve
convincerlo a pensare qualcos’altro. Dunque, anche
nella peggiore delle ipotesi, non può esservi dubbio che
per dubitare devo pensare (dubito quindi penso) e
che per pensare devo esistere in quanto essere
pensante (penso dunque sono: cogito ergo sum).
• IL PENSIERO (cogito) è ciò che rimane dopo aver
dubitato di ogni cosa, e dal pensiero io posso dedurre
logicamente e senza incertezza la mia esistenza come
essere pensante.
19
Evidenza primaria
• Il Cogito è la prima verità indubitabile: su tutto
posso ingannarmi, eccetto che sul fatto di
esistere, perché per essere ingannato devo
pensare, e se penso allora esisto.
• Analogamente a quanto aveva fatto Agostino
nella confutazione del dubbio scettico, Cartesio
giunge a ritenere che la certezza del pensare
viene riconfermata dallo stesso dubbio che io
posso esercitare su questa certezza, e quindi
risulta
essere
assolutamente
ferma
e
irremovibile.
20
Il cogito e la realtà
• Ora, dopo aver raggiunto l’evidenza
indubitabile del cogito, mi devo chiedere:
“E tutte le altre idee?”. Le idee che ho
della realtà che mi circonda, del mondo,
del
mio
stesso
corpo?
Come
giustificarne l’evidenza? Per fare ciò
devo in certo modo uscire dalla gabbia del
pensiero, per andare verso il reale,
mantenendo però come base di ogni
evidenza la mia capacità di ragionare.
21
Le idee
• Vi sono tre tipi di idee
1) Avventizie: idee di qualcosa al di fuori di
me, che sembra provenire dall’esterno;
2) Fattizie: fantasticherie sicuramente
prodotte da me;
3) Innate: che provengono dalla mia natura
(per es. idee di enti geometrici).
22
Chi ha prodotto le idee?
• Sicuramente le idee fattizie sono state prodotte
da me.
• Le idee avventizie e le innate anch’esse
possono essere state prodotte da me.
Infatti
la causa deve essere maggiore o uguale all’effetto
che produce e in queste idee non vi è nulla di
più perfetto e veritiero di quanto non sia io
stesso. Dunque io posso esserne la causa.
23
L’idea che non posso aver prodotto
Tra le idee innate ve n’è una che non posso
aver prodotto. E’ l’idea di un ente
perfettissimo, senza difetti, onnipotente
e onnisciente, cioè l’idea di Dio. Non
essendo
io
né
onnipotente,
né
onnisciente, né perfettissimo, e dunque
non potendo io esserne la causa, da dove
posso aver tratto questa idea?
24
Dal cogito a Dio
• “Così rimaneva solo che fosse stata posta
in me da una natura veramente più
perfetta di quella che io fossi, anzi avente
in sé tutte le perfezioni di cui potevo
avere qualche idea, cioè, per dirla in una
parola, che fosse Dio” (Discorso, IV).
25
Dio deve esistere
•
Questo ente perfettissimo, origine di ogni
cosa, deve esistere, infatti
a) se io fossi causa di me stesso, mi sarei dato
tutte le perfezioni delle quali c’è in me un’idea,
ma tali perfezioni non possiedo;
b) se viceversa, fossi causato da una causa
meno perfetta di Dio, non si spiegherebbe la
presenza in me di quelle stesse perfezioni;
c) inoltre: il concetto di un ente perfettissimo
presuppone da parte sua il possesso della
perfezione dell’esistenza, ergo Dio esiste (cfr.
Anselmo d’Aosta).
26
Dio non inganna
• L’identità di un Dio siffatto, esclude a priori
la possibilità che egli possa ingannare (a
differenza del genio maligno). Dunque
quando io ho delle cose un’idea
evidente, le cose stanno realmente
così.
• Ecco dimostrata e fondata la realtà non
solo del cogito, ma di tutto il mondo
esterno che io, attraverso il cogito, mi
rappresento mediante idee.
27
L’errore
• La possibilità di sbagliare e di ingannarsi
deriva dall’interferenza delle passioni nel
processo
conoscitivo,
cioè
dagli
atteggiamenti
sbagliati
che
queste
inducono ad assumere, facendo perdere
di vista quel rigore metodico che altrimenti
condurrebbe infallibilmente alla verità.
Così siamo portati a considerare chiare e
distinte, cioè evidenti e vere, idee che non
lo sono affatto.
28
Idee di materia e di pensiero
Tra le idee avventizie, la più evidente è quella di
un qualcosa di materiale (il mio, gli altrui corpi, e
tutto ciò che è sensibile nelle tre dimensioni
geometriche della lunghezza, larghezza e
profondità). Questa è la res extensa ed ha la
caratteristica fondamentale di essere divisibile e
misurabile. Essa va ad aggiungersi a quella già
trovata con il cogito, la res cogitans, o pensiero,
la cui caratteristica principale e di non essere né
divisibile, né misurabile.
29
Sostanze
• Res cogitans e res extensa sono idee che si riferiscono
a sostanze.
• Per Cartesio il termine sostanza ha un duplice
significato:
Sostanza in senso forte è ciò che per esistere ha bisogno
solo di se stesso, cioè qualcosa di assolutamente
autonomo che dà a se stesso l’essere e l’esistenza, in
una parola Dio
Sostanza in senso debole è ciò che per esistere non ha
bisogno di altro che di Dio e del suo atto creatore.
Dunque Dio è sostanza suprema mentre RC e RE sono
sostanze in senso derivato.
30
Dualismo
• Res cogitans e res extensa sono sostanze definite in
modo tale che non vi può essere confusione né
addirittura relazione fra esse. Infatti le caratteristiche
dell’una escludono quelle dell’altra. L’unico mondo
sarebbe dunque costituito dall’accostamento di due tipi
di essere diversi e alternativi: la materia e il pensiero,
dove c’è l’una non c’è l’altro e viceversa.
• Questa spiegazione rende difficile comprendere in
che modo le due sostanze possano influenzarsi tra
loro, come avviene, per esempio, quando una
condizione del nostro corpo determina, almeno in parte,
l’andamento dei nostri pensieri.
31
Morale
• Una volta elaborato il nuovo metodo, è
necessario per Cartesio rifondare su tali basi il
sapere umano.
• Ma questa è un’opera non da poco che richiede
tempo, studio e applicazione.
• Il sapere è anche però il punto di partenza per
ogni azione: io agisco in quanto SO che cosa
fare. La scienza dell’agire è la morale. Dunque
anche la morale attende una ridefinizione dal
metodo matematico e dall’opera di ricostruzione
del sapere cui il metodo ha dato avvio.
32
Volontà e intelletto
“La nostra volontà, infatti, per sé, non è
portata a seguire o a fuggire cosa alcuna
se non in quanto l’intelletto gliela presenta
buona o cattiva; e dunque basta giudicar
bene per bene fare, e giudicare il meglio
che si può per fare anche in tutto il proprio
meglio, ossia per acquistare tutte le virtù e
insieme tutti gli altri possibili beni”
(Discorso, III).
33
Nel frattempo…
• Come regolarsi nel periodo che intercorre
tra l’abbandono del vecchio sapere (quello
della tradizione aristotelico-scolastica) e la
costruzione del nuovo (quello fondato sul
metodo dell’evidenza matematica)?
• Cartesio per rispondere utilizza la
metafora di un inquilino che deve
completamente rinnovare la propria casa:
34
Casa vecchia e casa nuova
“Prima di por mano alla ricostruzione della
casa che abitiamo, non basta abbatterla e
provvedere ai materiali e all’architetto, o
farci noi stessi architetti e averne anche
disegnato accuratamente il progetto;
occorre, anzitutto, provvedersi di un altro
alloggio, dove sia possibile abitare
comodamente finché durano i lavori”
(Discorso, III).
35
Morale provvisoria
• Di questa considerazione Cartesio trae la
necessità di elaborare una morale
provvisoria
che
permetta
di
comportarsi nella maniera migliore,
mentre si attende ad una più ampia e
rigorosa rifondazione dl pensiero e dunque
anche di quel pensiero che guida, come fa
l’intelletto, la volontà e l’azione che ne
scaturisce.
36
TRE MASSIME
(ossia tre criteri personali per regolarsi nei nostri
comportamenti)
• La morale provvisoria si specifica in 3 massime
fondamentali:
• 1) obbedire alle leggi e ai costumi del proprio paese e
ai precetti della religione in cui si è stati allevati,
seguendo per il resto le opinioni più moderate. Infatti
queste ultime
a) sono quasi sempre le più comode
b) sono quasi sempre le migliori
c) nel caso siano sbagliate, sono sempre le meno
lontane dall’estremo giusto
(qui vi sono echi della morale aristotelica della virtù come
giusto mezzo)
Ogni eccesso nei comportamenti inoltre è tale da limitare la
nostra libertà.
37
TRE MASSIME (2)
2) Mantenere un atteggiamento fermo, risoluto e
costante, una volta che si sia presa una
decisione, scegliendo, nell’impossibilità di
individuare il vero (perché le circostanze
richiedono comunque che una decisione sia
presa e non c’è tempo per riflettere e ricercare
ulteriormente), il probabile. Dal momento che la
decisione è stata presa, bisogna considerare il
probabile come se fosse certissimo e verissimo,
non ritornando sulla propria decisione, poiché la
cosa peggiore e più dannosa è ondeggiare di
qua e di là.
38
TRE MASSIME (3)
3) “Vincere sempre se stessi piuttosto che la
fortuna”, infatti nulla, all’infuori dei nostri
pensieri, è realmente in nostro potere: per
convincersi di ciò vi è bisogno di “un lungo
esercizio” e di una “ripetuta meditazione”, ma
questa è la strada che meglio può condurre ad
una condizione di felicità.
(Qui sono esplicitamente menzionati i filosofi stoici
da cui Cartesio ha attinto questa impostazione).
39
Fisica
• La res extensa è ciò che costituisce tutto il
mondo fisico ed è oggetto delle scienze fisiche.
Essa
- riempie di sé il mondo (non esiste il vuoto, ciò
che appare vuoto è riempito di materia più
sottile)
- è corporea
- è infinitamente divisibile
- possiede un movimento che Dio gli ha impresso
nel momento in cui l’ha creata.
40
MECCANICISMO
• Estensione, divisibilità, movimento sono i
princìpi che spiegano tutti i fenomeni fisici
e le loro leggi razionali basate sulla
nozione di causa-effetto
• Così Cartesio vede l’universo come un
enorme meccanismo, una macchina che
funziona perché è governata da
leggi matematiche e razionali
(meccanicismo).
41
Le leggi fisiche
Le leggi che regolano i fenomeni fisici stabiliscono
la redistribuzione del movimento che Dio
originariamente ha impresso alla res extensa e
quindi la disposizione delle parti di materia e il
loro ordine reciproco.
Esempio di tali leggi sono il principio di inerzia
(un corpo rimane in stato di quiete o moto fino a
che non interviene un altro corpo a modificarlo)
e la legge di conservazione del movimento (la
quantità di moto si trasferisce da corpo a corpo
rimanendo complessivamente costante).
42
L’uomo e il suo corpo
Anche le funzioni vitali umane si spiegano in base
alle medesime leggi fisico-meccaniche che
regolano la res extensa in generale
Ciò pone Cartesio in contrasto con la tradizione
aristotelica, secondo la quale un’anima
(vegetativa e sensitiva) presiede alle funzioni dei
corpi viventi.
Per Cartesio invece non esiste nessuna anima che
svolga questo ruolo, ma l’anima è SOLO
l’anima razionale che Dio ha insufflato nel
corpo umano, Ma che rimane ontologicamente
differente e distinta da quest’ultimo.
43
Come funziona il meccanismocorpo umano?
Perno del suo funzionamento è la
circolazione del sangue. Il cuore ne è il
centro propulsivo. Esso possiede un
originario calore interno che produce una
serie di effetti al cui termine vi è la appunto
la dinamica della circolazione che da vita e
movimento a tutti gli organi e le membra
corporee.
44
Cuore e sangue
• Con il suo calore il cuore scalda il sangue
rarefacendolo cioè rendendolo meno denso
fino a trasformarlo quasi in una sorta di vapore
sanguigno.
• Il calore del sangue rarefatto a sua volta dilata il
cuore e fa in modo che il sangue stesso si riversi
in un condotto che lo conduce al polmone, dove
per mezzo dell’aria inspirata il liquido sanguigno
viene nuovamente raffreddato e condensato e di
qui si irradia in tutto il corpo.
• Altro sangue freddo e denso giungerà quindi al
cuore per rinnovare il ciclo.
45
Nutrimento
• Il cuore manda il suo calore anche
all’apparato digerente. Il calore scioglie i
cibi e fa in modo che le loro virtù nutritive
possano essere acquisite dal sangue che
poi le distribuisce a tutti gli altri organi
(Discorso, V).
46
Spiriti animali
• Il sangue genera al suo interno gli “spiriti
animali”, delle parti più sottili di esso, che
sono “come un vento sottilissimo o
piuttosto come una fiamma purissima e
molto viva” che sale dal cuore al cervello
e, attraverso fori sottilissimi, penetra nel
cervello, e che infine dal cervello,
attraverso i nervi, si dirama in tutte le
membra del corpo, mettendole in moto.
47
Meccanicismo biologico
• Ecco così spiegato in modo esclusivamente
meccanicistico il funzionamento e il movimento del
corpo.
• C’è da dire che la teoria della circolazione sanguigna era
stata da Cartesio attinta attraverso lo studio delle
scoperte del medico inglese Harvey, che aveva spiegato
tuttavia in modo più adeguato il funzionamento del
muscolo cardiaco e la dinamica delle sistole e delle
diastole. L’idea degli “spiriti animali” è chiaramente
un residuo di medicina medievale, con una
componente “mistica” difficilmente compatibile con la
pretesa meccanicistico-matematica di Cartesio.
48
Un corpo e un’anima
Accanto o meglio dentro il corpo dell’uomo vi è
l’anima, res cogitans e sostanza autonoma
dotata di libertà e immortalità.
Come sono possibili i rapporti tra i due? (come
l’anima per esempio, può ricevere sensazioni?
Come può comandare al corpo?).
La spiegazione di Cartesio, che non vuole
comunque
rinunciare
alla
separazione
ontologica di pensiero ed estensione, è
fortemente aporetica.
49
Un incontro difficile
• Anima e corpo si incontrano
- (in modo appunto estremamente
problematico, giacche per incontrarsi,
l’anima che non ha estensione, dovrebbe
essere collocata in un luogo fisico e di lì
entrerebbe in contatto – come? – con il
corpo) in un organo situato al centro del cervello e
chiamato ghiandola pineale o epifisi.
50
Il contatto tra anima e corpo
Il contatto tra res cogitans e res extensa avviene
per mezzo degli spiriti animali.
Sono questi che penetrano nel cervello e giungono
al suo centro.
Essi provengono dalla periferia, entrano nella
ghiandola pineale e provocano con il loro
movimento la fuoriuscita di altri spiriti che vanno
dal centro alla periferia (ciò potrebbe spiegare
per es. i riflessi, cioè i processi di azione e
reazione meccanica tra stimoli esterni e
movimenti del corpo).
51
La formazione delle idee avventizie
• Ma ciò che più importa è che gli spiriti nella ghiandola
pineale entrano in relazione con l’anima. Tale evento è
all’origine della formazione delle idee avventizie
(quelle relative ad oggetti al di fuori di noi).
• Esse si formano grazie al movimento impresso
dall’oggetto esterno ali organi di senso, movimento
che si trasmette agli spiriti animali, i quali giungono fino
al ghiandola pineale a “toccare” l’anima.
• L’anima avverte tale movimento e raccoglie lo stimolo
formando l’idea del corpo esterno origine del movimento
stesso.
52
Fallacia delle idee avventizie
• Le idee avventizie non sono però garantite nella loro
veridicità, anzi.
• Infatti tra l’aspetto delle cose esterne e le modificazioni
da esse prodotte nel corpo tramite la messa in
movimento degli spiriti animali non vi è alcuna relazione
necessaria.
• Così la “notizia” che i sensi ci portano relativamente alle
cose esterne, non è affatto degna di fiducia
(svalutazione della conoscenza sensibile).
• Solo Dio, che non inganna, fonda la veridicità delle
nostre idee e la loro corrispondenza con il mondo.
53
La volontà
• La ghiandola pineale non riceve solo
passivamente i movimenti impressi agli spiriti
dagli oggetti esterni.
• La libera volontà può anche esercitarsi su di
essa.
• In tal modo la volontà può autonomamente
generare una contrazione della ghiandola
che produce l’irradiarsi degli spiriti in
periferia mediante i nervi.
• (tutto ciò è ovviamente problematico: come può
la res cogitans causare un movimento della res
extensa, data l’eterogeneità delle due?).
54
Il movimento volontario
• La volontà che contrae la ghiandola
pineale e mette in moto gli spiriti verso la
periferia, cioè verso le membra del corpo,
è all’origine dei movimenti volontari.
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Passioni corporee, morali e
psicologiche
• Se l’anima viene influenzata da un fattore
esterno, come nelle idee avventizie, si
determinano le passioni corporee (piacere e
dolore).
• Se viene influenzata dalla liberà volontà, si
determinano le passioni razionali o morali
(generosità).
• A metà tra le due vi sono le passioni determinate
dal concorso di un oggetto esterno e della
volontà, cioè le passioni psicologiche come
amore e odio.
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Un abbozzo di morale definitiva
• La morale definitiva è quella in cui la
ragione
o
l’intelletto
dominano,
muovendo interamente la nostra volontà e
determinando i nostri comportamenti a
partire da decisioni completamente libere
e razionali.
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