Roberto Weitnauer
19 Febbraio 2010
(29 pagine, 24 illustrazioni)
www.kalidoxa.com
Diritti riservati
Dribbla meglio il calciatore alto o quello basso?
Il dribbling richiede nel gioco del calcio una serie di prestazioni fisico-mentali. Se
però ci limitiamo a interpretarlo come la capacità dell’atleta di modificare
rapidamente l’assetto dinamico o, viceversa, di mantenerlo stabile in condizioni
critiche ci accorgiamo di una circostanza inaspettata: un baricentro elevato opera
favorevolmente in molte condizioni. Ciò si deve principalmente al modo in cui si
combinano il peso, la forza centrifuga e il punto d’appoggio sul terreno. In questa
dispensa divulgativa si mostra come ciò avvenga e si aggiungono varie altre
considerazioni fisiche e biomeccaniche riconducibili alla corporatura del giocatore.
Introduzione
Nel calcio, così come in altri giochi di squadra, sentiamo spesso affermare che
l’atleta col baricentro più basso è costituzionalmente più agile. La considerazione è
talmente ribadita anche in TV che alla fine la si dà per scontata. Sembra anche
intuitiva. Ma è davvero corretta? Diciamolo subito, non è necessariamente così. Anzi,
non è così in un gran numero di casi. Per capire bisogna però scomporre il problema
nei suoi principali elementi costitutivi. E in questo ci può aiutare la fisica.
Ovviamente, dobbiamo ragionare a parità di prestazioni agonistiche complessive,
ossia a parità d’intelligenza di gioco, di senso dell’equilibrio, di riflessi e di efficienza
muscolare. In altre parole, si assume che tutti siano ugualmente abili (o ugualmente
“brocchi”) e che le considerazioni da fare siano ristrette a un ambito prettamente
meccanico, laddove si discute solo dei principali effetti dinamici che vengono a
interessare il corpo dell’atleta in campo; un corpo che, a seconda dei casi, può essere
alto, basso, magro, tozzo. In greco “dinamikòs” significa “forza”; ed è proprio
attaccando il discorso sul fronte delle interazioni scambiate che possiamo fare un po’
di chiarezza.
Un caso tipicamente citato in questo contesto è quello del dribbling. Il termine
inglese, ormai da decenni entrato anche nel vocabolario sportivo italiano, si riferisce
etimologicamente al fenomeno dello sgocciolamento (dribble) su una superficie.
Quando infatti osserviamo una goccia di pioggia che scivola su un vetro notiamo
come essa si muova repentinamente e lungo una traiettoria irregolare e imprevedibile.
Questo movimento assomiglia per taluni versi a quello compiuto da un giocatore
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quando con la palla ai piedi supera gli avversari, infiltrandosi verso il campo opposto
con una serie di manovre difficilmente anticipabili (ovviamente senza ricorrere a
scorrettezze di tipo fisico). Si tratta di un termine inglese che vale anche per altri
giochi di squadra, tipicamente per la pallacanestro.
Già dalla radice etimologica della parola s’intuisce comunque che discriminanti
nel dribbling sono le improvvise variazioni di assetto. Queste si accompagnano
immancabilmente a un gioco di inclinazioni del corpo. A loro volta, le inclinazioni,
più o meno pronunciate, hanno ricadute sulla possibilità del giocatore di effettuare un
buon gioco di gambe, di spiccare piccoli balzi, di controllare la stabilità e così via.
Conviene allora concentrarsi in principio proprio sull’assetto dell’atleta che tiene
l’asse corporeo inclinato per saggiare quali considerazioni di tipo dinamico si
possano formulare. Come si può intuire, gli assetti e le corrispondenti variabili fisiche
in gioco sono innumerevoli e configurati nel modo più complesso. Le nostre
argomentazioni saranno invece molto semplificate, tuttavia risulteranno sufficienti a
fornire alcune interessanti delucidazioni, in buona parte inattese. Con buona pace di
molti cronisti e giornalisti sportivi.
Una classica manovra di scarto laterale. La riuscita dipende da una serie di fattori,
primi tra i quali: velocità, controllo e scelta della direzione. Dal punto di vista del
contendente il pallone problema è riuscire a non farsi sorprendere. Il suo quesito di
fondo è: quale manovra verrà effettuata, in che istante di tempo e in che direzione? Chi
ha la palla, oltre che dal ritardo di reazione dell’avversario, è avvantaggiato dalla
visione di gioco alle spalle dello stesso.
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Riferiamoci all’equilibrio dinamico
Consideriamo dunque le forze che vengono esercitate su un atleta nel momento in
cui si trova in movimento col corpo inclinato, una condizione paradigmatica ai nostri
fini. Immagineremo allora d’immortalare un momento di equilibrio dinamico, quale
potrebbe essere anche quello di un duecentometrista che sta percorrendo in pieno
assetto corsaiolo l’arco di pista nell’arena. In tal caso il corpo intero s’inclina verso
l’interno della curva, un po’ come capita a un motociclista che “piega”. Per il
calciatore assumeremo semplicemente che la curva sia molto più stretta.
Cos’è un equilibrio dinamico? Si tratta semplicemente della condizione meccanica
che viene a instaurarsi quando un corpo, ancorché in movimento, mantiene il proprio
assetto e la propria configurazione. In un certo senso, sta fermo mentre si muove.
Questo lo si capisce bene col parallelo della motocicletta. Quando il veicolo è in
assetto le forze che scambia con l’aria e col suolo sono costanti e l’inclinazione si
mantiene nel tempo.
In realtà, proprio come capita a un motociclista che affronti una “chicane” o freni
nell’inserimento in curva, l’equilibrio dinamico di un giocatore di calcio viene
continuamente alterato durante il dribbling. S’instaurano allora effetti dinamici che in
fisica vengono detti “del secondo ordine”. Di cosa si tratta? Si tratta di termini
caratteristici che compaiono nelle equazioni del movimento, allorquando le velocità
non siano costanti. Non preoccupiamoci ora di sapere esattamente quali siano questi
termini. Facciamo piuttosto un esempio.
Forse non è molto noto che se un’auto urta contro un muro a 50 km/h mentre
accelera o mentre frena non subisce nei due casi le medesime sollecitazioni sulla
propria struttura: ne subisce di più se è in corso una frenata. In tal caso, infatti, l’auto
sta smaltendo l’energia di velocità precedenti che erano superiori; è come se avesse
alle spalle un carretto. È esattamente questo che le equazioni del moto implicitamente
traducono con i termini di cui sopra. Anche un calciatore che si muova variamente sul
campo è coinvolto da effetti del secondo ordine, dovuti ad accelerazioni e
decelerazioni continue.
Tutto ciò, come si accennava, dipende dalla circostanza che un vero e proprio
equilibrio dinamico non si verifica quasi mai nella realtà. Le velocità non sono
costanti. Questo ci complica la vita? Beh, tecnicamente parlando, un po’ sì. Il
problema principale è che gli effetti del secondo ordine sono difficili da “mettere
insieme”, perché non si sviluppano in modo proporzionale o, come si dice, in modo
“lineare”. Cosa vuol dire questo? In soldoni, vuol dire che il risultato della loro
combinazione è più complesso della loro semplice sovrapposizione. Ci sarebbero un
bel po’ di calcoli da fare.
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È dunque bene sapere dell'esistenza di questi aspetti non-lineari. Dal nostro punto
di vista pratico, per fortuna, la faccenda non influisce troppo sul problema. Se
prescindiamo dagli effetti del secondo ordine e facciamo finta che tutti i movimenti
dei calciatori possano intendersi come passaggi da un equilibrio a un altro non
commettiamo un grosso errore. Il fatto di trascurare la rapidità con cui un assetto si
trasforma in un altro non inciderà insomma in maniera critica sulle conclusioni che
c’interessa trarre sul dribbling dei longilinei o dei brevilinei.
A
Assetto equilibrato
B
Transitorio
Assetto equilibrato
Un generico sistema passa da un equilibrio A a un equilibrio B seguendo un percorso
di condizioni squilibrate che si chiama “transitorio”. Ciascuna fase del transitorio è
complessa perché risente degli effetti di tutte le fasi precedenti. I tragitti che vanno da A
a B sono i più vari. Ad equilibrio raggiunto, tuttavia, non resta più alcuna traccia del
passato e la condizione è più facilmente rappresentabile. Nel nostro caso il sistema è il
corpo del calciatore che risulta praticamente sempre in fase transitoria. Per
semplificarci la vita considereremo però solo stati equilibrati.
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Vediamo quali siano le forze in gioco
A questo punto, diamoci una mossa e vediamo dove stia la “ciccia”. Lasciamo
dunque il lato descrittivo e scendiamo un po’ di più nei dettagli delle forze fisiche da
considerare. Non c’è da preoccuparsi per i tecnicismi; nella nostra semplificazione
queste forze sono davvero poche. E pochi sono anche i concetti che le legano. Però
sono concetti critici.
Per avere un quadro razionale dell’insieme ci riferiremo alla semplice grafica
presentata qui appresso. In essa è raffigurato un giocatore di calcio in equilibrio
dinamico. L’inclinazione del corpo è volutamente marcata, in modo da esaltare certe
diversità dinamiche che chiariremo tra poco. Teniamo d’occhio lo schema, perché ci
tornerà utile per le successive fasi.
Abbiamo innanzitutto la forza peso P data dalla massa del giocatore. Ovviamente,
questa esiste sempre, a prescindere dal movimento. Poi c’è la forza centrifuga C che
deriva dal fatto che il giocatore segue una curva. Questa sollecitazione è tanto
maggiore quanto più stretta è la curva e quanto più velocemente viene percorsa, il che
è anche intuitivo. Tutto qui. Con gli elenchi siamo a posto.
Un momento, però. Non dimentichiamo che queste forze devono essere
compensate da forze uguali e contrarie. Se non fosse così non potremmo infatti
parlare di equilibrio, mentre l’equilibrio è proprio la condizione che c'intessa
conoscere. Come vengono compensate la forza del peso e quella centrifuga? Non c’è
che una risposta: attraverso il contatto col terreno.
Per il principio di azione e reazione (del vecchio Newton) in corrispondenza delle
scarpette si sviluppano allora due reazioni uguali e opposte rispetto alla
summenzionate forze. È come quando spingiamo la mano contro un muro e questo
trasmette alla mano una reazione opposta. Le due forze si equivalgono e la mano sta
ferma.
Stesso dicasi per il calciatore, solo che quest’ultimo non sta fermo in assoluto; sta
fermo nel nostro modello, mentre percorre una curva, come nel caso del motociclista
in assetto (in verità, il calciatore muove braccia e gambe, ma per il momento faremo
conto che sia una specie di robot su rulli). È la differenza che intercorre tra un
equilibrio statico e uno dinamico.
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Ricaviamo la risultante delle forze
Nel caso (instabile) raffigurato un solo piede è appoggiato al suolo. Attraverso
quella scarpetta si dovranno scaricare quindi le interazioni che riguardano il nostro
atleta (peso ed effetti centrifughi). Se entrambi i piedi sono a terra possiamo pensare
che il punto equivalente di scambio sia in una posizione intermedia, ma in linea di
principio non cambia niente: questo punto è sempre spostato un po’ a destra o a
sinistra riaspetto alla mezzeria tra i piedi quando il giocatore percorre una curva.
Il cerchio bicolore rappresenta la posizione del baricentro dell’atleta. Ecco dunque
l’oggetto del contendere. Questa coordinata dipende anche da come l’atleta stesso
(che è un corpo articolato) pieghi gli arti e il tronco. Faremo però conto per
semplicità di essere alle prese con un corpo rigido, così che il baricentro sia sempre
nello stesso punto, circa in corrispondenza dell’ombelico, ma all’interno dei visceri.
Ogni punto materiale del giocatore è soggetto a un piccolo peso e a una piccola
forza centrifuga. Se sommiamo questi contributi otteniamo il peso complessivo P e la
forza centrifuga complessiva C che possiamo pensare entrambe applicate nel
baricentro, come risulta dallo schema. Per un corpo rigido è infatti la stessa cosa.
Ora, combinando il peso P e la forza centrifuga C, otteniamo la risultante R,
ovviamente anch’essa uscente dal baricentro. Il metodo di costruzione è quello solito
del parallelogramma che c’insegnano a scuola, che poi equivale a posizionare la coda
di ogni forza (un vettore) sulla punta di un’altra. Per la cronaca, sembra che questo
criterio di composizione possa storicamente ricondursi a Leonardo da Vinci.
L’immagine illustra chiaramente l’effetto della velocità in curva. Per mantenere
l’equilibrio dinamico il giocatore deve contrastare la forza centrifuga con
l’inclinazione del corpo e con l’apertura di un braccio verso l’interno.
http://www.coastalsoccerusa.com/images/img-soccer-player.jpg
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Dov’è diretta la risultante R? Per rispondere, ricordiamo che siamo in equilibrio.
Ciò significa che la risultante deve risultare compensata da una reazione uguale e
contraria che può provenire solo dal contatto col suolo. L’avevamo del resto già
anticipato. Ergo, la risultante deve orientarsi proprio verso la scarpetta; e dalla
scarpetta proverrà una forza identica, ma orientata al contrario. Le due forze allineate
si elidono ed ecco che abbiamo l’assetto equilibrato. Per non affollare troppo la
grafica le reazioni del suolo non sono state riportate; le diamo per sottintese.
Se la risultante fosse orientata verso un punto del terreno più a destra o più a
sinistra della scarpetta avremmo un effetto ribaltante (tecnicamente un “momento”),
una specie di leva che tenderebbe a ruotare il giocatore in senso orario o antiorario,
facendogli variare l’inclinazione.
C’è dunque sempre una ben precisa inclinazione di equilibrio che fa sì che l’atleta
possa mantenere il suo assetto costante, mentre percorre la curva sul campo di gioco a
una data velocità. Come si può intuire, questa obliquità dipende anche da come è
posizionato il baricentro, il che ci porta immediatamente al punto successivo.
Introduciamo il giocatore più alto e snello
Adesso passiamo a un giocatore di differente fisionomia. Facciamo ad esempio
conto di lavorare su una corporatura più snella e sviluppata in altezza. Dov’è questo
atleta nel disegno? Non c’è. Avrebbe creato un po’ di confusione sovrapporlo al tizio
più basso. Però, possiamo benissimo pensare di spostare solo il baricentro. Tanto,
abbiamo visto che è lì che si fanno i giochi e che è lì che sono applicate le forze.
Dove dobbiamo riportare il nuovo baricentro? Questa è proprio la domanda cui
dobbiamo rispondere. Procediamo per tentativi, in maniera da capire a posteriori
quale correzione apportare. La modifica stessa sarà infatti per noi alquanto
esplicativa. Ricordiamo che dobbiamo sempre ragionare in termini di equilibrio.
In un banale primo approccio, supponiamo di far migrare verso l’alto il baricentro
lungo l’asse del giocatore più basso che abbiamo appena trattato. Cos’è quest’asse?
Se il corpo fosse simmetrico e omogeneo, oltre che rigido, sarebbe semplicemente
l’asse di simmetria. Ammettiamo che sia così. Ammettiamo cioè che il nuovo
baricentro derivi da una specie di stiramento per il lungo dell’atleta già disponibile.
Anche in questo caso lo schema mostra un’esagerazione. Il nuovo baricentro è
immensamente distante, manco in campo scendesse una giraffa. Ma, non fa nulla.
Anzi, va benissimo per le nostre esplorazioni. Applichiamo dunque le forze a questo
nuovo punto più distante. Quali forze? Le stesse di prima, giacché supporremo che
l’atleta (alto e magro) abbia la medesima massa e corra con la stessa velocità lungo la
stessa curva. Così, facciamo un confronto omogeneo. Faremo dopo i distinguo.
Il parallelogramma di forze va dunque semplicemente traslato lungo l’asse, come
si vede nella grafica. Già, ma che succede ora? Guardiamo bene la risultante: non è
affatto orientata verso il punto di contatto al suolo. Così, quella non può affatto essere
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una condizione di equilibrio. In effetti, si nota che l’immaginario “pennellone” con
baricentro elevato tende a cadere all’interno della curva, non è cioè in assetto. E
allora? E, allora, deve diminuire la propria inclinazione.
La condizione di equilibrio del soggetto longilineo è riportata nello schema dal
baricentro indicato a sinistra. Si realizza subito che con tale spostamento la risultante
finisce gradualmente per allinearsi al punto di contatto della scarpetta. Quella è
l’inclinazione di equilibrio. Essa è indicata nel disegno dalla linea tratteggiata posta
più a sinistra. Cosa ci fa comprendere tutto questo? Semplice: che, a parità di massa
e di velocità lungo la stessa curva, il giocatore più alto resta meno inclinato.
Possiamo però dire anche di più. Torniamo per questo al baricentro a destra. Non è
proprio possibile ottenere un equilibrio per questa posizione? Sì che è possibile.
Dobbiamo però aumentare la forza centrifuga C. In questo modo la risultante R si
sviluppa in lunghezza, ma si orienta anche di più verso sinistra, fino a puntare verso
la scarpetta. A quel punto abbiamo l’equilibrio. Come facciamo ad aumentare la forza
centrifuga C? Si ottiene questo risultato, aumentando la velocità in curva o
percorrendo una curva più stretta.
C’
C
Aumentando la velocità
in curva o diminuendo il
raggio di curvatura,
aumenta la forza
centrifuga C.
Aumenta quindi la
risultante R e la sua
obliquità.
R’
R
P
Pedana inclinata per esercitare la forza
propulsiva al variare dell’inclinazione e della
forza centrifuga.
http://www.pistacentrifuga.com/images/Pista_2.jpg
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Teniamo conto delle diverse corporature
Tutto quanto fin qui esaminato riguarda il confronto tra due calciatori che abbiano
lo stesso peso e diverse stature. In realtà, quando allunghiamo idealmente il calciatore
determiniamo contestualmente anche un incremento della sua massa. Quale ruolo
gioca questa circostanza sull’equilibrio dinamico? Come varia nella realtà il peso
dell’atleta al variare della sua statura?
Non è possibile assegnare una relazione universale, dal momento che sussistono
diverse tipologie di fisico. Ad esempio, un longilineo si distingue da un brevilineo
essenzialmente per la maggior lunghezza degli arti rispetto al busto. Così, a parità di
statura, un longilineo ha il baricentro un po’ più alto. In ogni caso, un longilineo alto
potrebbe pesare meno di un brevilineo basso.
Per comprendere come vari il peso con la statura potremmo prendere come
riferimento il cosiddetto “Indice di massa corporea” il quale ci indica una fascia
statistica considerata ottimale in termini di efficienza e salute. Al centro di questa
fascia sta un rapporto secondo il quale il peso forma cresce nella popolazione
all’incirca col quadrato della statura.
Si osservi che se l’incremento della statura fosse uguale all’incremento delle
lunghezze in ogni altra direzione il volume e quindi peso dovrebbe per questioni
geometriche aumentare col cubo della statura. Come dire che se un atleta alto 1,70 m
e pesante 70 kg venisse uniformemente gonfiato sino a una statura di 1,90 m
dovrebbe pesare 98 kg. Invece, l’Indice di massa corporea stabilisce che con gli stessi
rapporti di forma il peso dovrebbe essere 87 kg. Questo accade, perché nella
popolazione l’incremento in statura in condizioni ottimali non è in media
accompagnato da un pari incremento in larghezza e in spessore.
Alcune misure antropometriche primarie.
http://www.ilpedalefrancavillese.com/images/busto.png
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Prendiamo allora atto di una circostanza: il rapporto antropometrico tra altezza e
larghezza del corpo tende a diminuire all’incrementarsi dell’altezza stessa. Questo
sta a significare che, in linea di massima, i corpi umani più sviluppati
longitudinalmente vengono stirati maggiormente nel senso della statura che in quello
dell’ingombro trasversale.
Il nostro apparto visivo non si accorge molto di questa situazione, in quanto non
assegna la stessa rilevanza visiva alle varie parti della fisionomia di chi osserviamo.
In un certo senso, è un po’ come se guardassimo attraverso una lente deformante; una
lente cerebrale, non ottica. A parità di rapporti di misure (per esempio, il rapporto tra
altezza e larghezza), un tizio alto ci sembra di primo acchito molto più largo che
lungo. Se osserviamo bene ci accorgiamo che non è così. Malgrado ciò, siamo in
grado di stabilire se due soggetti appartengano alla medesima classe antropometrica,
per esempio se, date differenti stature, siano entrambi normotipi oppure no.
Il fatto che il peso forma aumenti con il quadrato dell’altezza è comunque un dato
che può tornare utile per considerazioni di massima quando si confrontino atleti della
medesima tipologia fisica, ma di statura differente. C’è a questo riguardo
un’osservazione dinamica essenziale da fare a proposito del peso.
Torniamo allora al nostro schemino. La massa incide in maniera direttamente
proporzionale sulla forza peso P. Ma influisce esattamente nello stesso modo anche
sulla forza centrifuga C. Così, al variare della massa il nostro parallelogramma
cambia dimensioni, ma mantiene identicamente la sua forma. Per esempio, se
aumenta il peso la risultante R delle forze risulterà più lunga, ma ugualmente
orientata.
Abbiamo così riscontrato un fatto interessante: l’inclinazione che si ha
all’equilibrio non dipende affatto dal peso dell’atleta, ma solo dall’eccentricità del
suo appoggio e dalla posizione del suo baricentro.
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C
C = m x v2/r
P=mxg
R
P
Quando aumenta la massa m aumentano proporzionalmente sia la forza peso P che la
forza centrifuga C. Il parallelogramma di forze si dilata, ma non cambia di forma. La
risultante R mantiene la direzione.
Consideriamo meglio l’eccentricità dell’appoggio
Le conclusioni del punto precedente possono spingerci ad affermare che, fissate la
statura e l’eccentricità, la classe antropometrica non gioca un grande ruolo nel
determinare l’obliquità in curva dell’asse corporeo. Questo è corretto. Bisogna però
fare attenzione, perché l’eccentricità può dipendere proprio dalla classe
antropometrica. Quale ruolo gioca dunque all’equilibrio in curva il valore d di
eccentricità, cioè la distanza tra l’asse del corpo e il punto d’appoggio?
La questione qui sollevata riguarda la possibile diversità tra gli ingombri
trasversali del corpo dell’atleta. Stiamo in sostanza riferendoci allo sviluppo del
bacino. Un bacino largo proietta al suolo una base d’appoggio maggiore (distanza tra
i due piedi dell’atleta ritto in piedi). Ebbene, questa è una misura che influisce
sull’inclinazione all’equilibrio.
Consideriamo innanzitutto che se il corpo fosse filiforme il punto di contatto
sarebbe sempre sull’asse corporeo. In tal caso non subentrerebbe alcuna modifica
dell’inclinazione al variare dell’altezza del baricentro.
Questa situazione è abbastanza ben rimarcabile nel caso del ciclismo. Poiché la
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base di appoggio della bicicletta è molto stretta, il punto di contatto del pneumatico è
sempre prossimo all’asse del sistema costituito dal veicolo e dall’atleta. Non a caso
ciclisti alti e bassi non evidenzino grandi variazioni d’inclinazione, allorquando
percorrano le stessa curva alla stessa velocità (abbiamo già visto che il peso non
influisce su questa condizione).
Se lo pneumatico si allarga l’eccentricità del punto di scarico delle reazioni si fa
sempre più sentire. È il caso tipico di uno pneumatico per motocicletta.
L’esempio degli pneumatici. La gomma reale ha una sezione bombata e, inoltre, si
deforma sotto sforzo (angolo di deriva). Tuttavia, per semplicità si suppone qui un
contatto puntiforme. A parità d’inclinazione l’oggetto con inferiori ingombri trasversali
determina un’eccentricità minore del punto di appoggio. Alla ruota di destra più sottile,
parimenti obliqua, corrisponde una maggiore velocità in curva. Le ruote hanno lo
stesso diametro, ma il baricentro di quella di destra è a quota inferiore. La larghezza
degli pneumatici rispecchia in questo contesto la larghezza del bacino di un calciatore.
Per affrontare il problema facciamo un’operazione inversa rispetto
all’allungamento dell’atleta. Immaginiamo allora di dilatare quest’ultimo
trasversalmente rispetto al suo asse corporeo. Dopodiché, girando e riposizionando,
facciamo in modo che il punto dello spazio in cui si trova il baricentro non si sposti.
La conseguenza delle nostre operazioni è un aumento dell’eccentricità
dell’appoggio. Nella grafica sottostante si osserva il passaggio dal valore d al valore
d’. Dalla costruzione geometrica raffigurata si vede subito che l’operazione
determina un incremento dell’inclinazione che il giocatore deve assumere
all’equilibrio.
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C
R
P
Punto di scarico
d
d’
La grafica sopra mostra un baricentro d’assetto condiviso tra un giocatore snello e uno
col bacino più largo. Nell’ipotesi di lavoro presentata entrambi corrono in curva alla
stessa velocità. Al soggetto più largo corrisponde una superiore eccentricità: d’ al posto
di d. Il calciatore più largo deve assumere un rollio più pronunciato.
Come si osserva, la maggiore larghezza della base d’appoggio impone che
all’equilibrio dinamico il giocatore assuma una maggiore obliquità in curva (linee
tratteggiate degli assi corporei). Si noti anche che se il baricentro d’assetto è
condiviso è perché il giocatore più largo è anche un po’ più alto. Questo vuol dire
che, malgrado la sua statura, la grande eccentricità dell’esempio grafico lo obbliga a
una maggiore obliquità. È chiaro che se il giocatore più largo avesse la stessa statura
o fosse addirittura più basso (tarchiato) la condizione sarebbe ancora più pronunciata.
Pertanto, un bacino più largo richiede più coricamento per l’assetto in curva: Il
calciatore che, a parità di altri parametri, possiede una maggiore base d’appoggio
(bacino più largo) avrà più necessità d’inclinarsi lateralmente per assicurare
l’equilibrio dinamico in curva.
Abbiamo poc’anzi considerato che le dimensioni trasversali del corpo crescono
meno di quelle longitudinali (ad esempio, secondo l’Indice di massa corporea).
Questo significa che in media il bacino si allarga meno di quanto non s’incrementi la
statura. Da una costruzione grafica eseguita col nostro schemino si evince allora che,
sempre in condizioni medie, la limitazione del rollio determinata dalla statura
prevale sull’accentuazione del rollio indotta dall’eccentricità.
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Atleta deformata a titolo esemplificativo. Alla giocatrice stretta di destra con una
minore base d’appoggio corrisponde una minore inclinazione del corpo. Questa è anche
la condizione dinamica reale a pari velocità di percorrenza di curva.
http://media.northjersey.com/images/GerardDribble_0924_cn_tif_.jpg
Elenchiamo i vantaggi del baricentro alto in curva
È venuto il momento di tirare alcune somme riguardo al ruolo giocato da questo
famigerato baricentro. Se confrontiamo un giocatore basso con uno alto che abbia la
stessa massa e percorra a un dato istante lo stesso arco di curva, possiamo dire che il
secondo può permettersi di mantenere minori inclinazioni del corpo a parità di
velocità. Ma perché diciamo “può permettersi”? Perché la minore obliquità comporta
dei vantaggi. C’è un’intera lista da fornire. Vediamo.
• Prima di tutto, poter adottare una minore inclinazione consente di meglio
distribuire le reazioni sui due piedi (nel nostro schema, ciò porterebbe anche il
secondo piede a toccare il terreno). Questo è importante per ovvie ragioni di
controllo sul movimento e sul gioco di gambe. Chi fa pugilato, ad esempio, sa
bene come il continuo spostamento del peso da una parte all’altra possa
stabilizzare l’assetto.
• In secondo luogo, una maggiore verticalità si dimostra proficua nei salti che il
dribbling immancabilmente richiede per superare le gambe di tutti quelli che
contendono il pallone. Da questo punto di vista è importante anche il
mantenimento della velocità di corsa, come ben sanno gli specialisti di salto
triplo.
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• In terzo luogo, se la reazione trasversale del suolo (che sappiamo uguale e
contraria alla forza C) si suddivide meglio tra i due appoggi, è meno probabile
ch’essa superi quel valore di soglia oltre il quale si ha lo scivolamento. Così, un
atleta alto tenderà in questa ottica a scivolare in curva meno di uno basso, per
quanto non lo si direbbe.
Quelli elencati sono i benefici a parità di raggio di curvatura e velocità. Come però
abbiamo osservato, sussiste anche una questione centrifuga. Se infatti ragioniamo a
parità d’inclinazione, all’equilibrio l’atleta alto deve essere più rapido in curva,
oppure seguire una traiettoria che chiude di più. Naturalmente, la reazione trasversale
al suolo aumenta, il che avvicina il soggetto alla soglia di scivolamento. Nondimeno,
entro quel limite ha una marcia in più. Vediamo bene perché.
Supponiamo che l’atleta alto e quello basso arrivino entrambi alla forza centrifuga
C oltre la quale si ha lo scivolamento. In questa condizione limitrofa il secondo risulta
allora molto più inclinato del primo. Ciò implica una maggiore sollecitazione a livello
di anca, ma soprattutto di ginocchia e caviglie. Questo ci porta ad aggiungere alla
lista un quarto indubbio beneficio apportato dalla posizione più alta del baricentro:
• Il giocatore alto arriva alla soglia di scivolamento trasversale in condizioni di
efficienza articolari migliori. Con un terreno in ottime condizioni il limite
potrebbe essere proprio articolare, prima ancora che di aderenza. Lungo
percorsi veloci ampiamente variati il longilineo gode dunque di un vantaggio
biomeccanico. È una condizione che talvolta si riscontra nelle rincorse tra
felini e prede erbivore più alte e lente che però riescono a salvare la pelle,
chiudendo meglio le curve.
L’immagine mostra una condizione piuttosto difficoltosa per le articolazioni.
Un’inclinazione molto pronunciata all’equilibrio dinamico impone soprattutto a
ginocchia e caviglie angolazioni che limitano il rendimento agonistico e inoltre
incrementano il rischio di traumi, peraltro frequenti nel calcio.
http://i.ytimg.com/vi/Mfn4PYHQx4I/0.jpg
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Ci accorgiamo dello svantaggio del peso in curva
Abbiamo visto che l’aumento della massa produce più forza centrifuga C a parità
di velocità nella curva. All’equilibrio viene quindi prodotta una maggiore
controreazione trasversale al suolo.
Ebbene, questo significa che, malgrado l’obliquità dell’asse corporeo sia la
medesima (lo abbiamo visto prima col parallelogramma delle forze), la soglia di
scivolamento risulta più vicina. Possiamo quindi sostenere che un giocatore pesante
incorrerà in superiori probabilità di scivolamento in percorrenza di curva.
Questo svantaggio riguarda il peso, non l’altezza. Tuttavia, l’altezza è
statisticamente legata al peso. Nell’ambito di una certa classe antropometrica l’atleta
più alto è certamente anche più pesante. Questo significa in poche parole che il
vantaggio del baricentro alto nel controllo dello scivolamento (terzo punto
precedente) può essere più o meno inficiato dall’incremento di peso corporeo.
Come facciamo a stabilire cosa prevale? Prevale di più il beneficio dato da una
minore inclinazione o la difficoltà creata da una superiore forza trasversale sul
terreno? È chiaro che la risposta dipende da caso a caso, in funzione della
corporatura. Possiamo eventualmente fare una casista generale, assumendo, ad
esempio, che il peso aumenti con la statura come indicato dall’Indice di massa
corporeo.
Ma la risposta dipende anche da quanto sia lontano il limite di scivolamento.
Possiamo pensare che in condizioni di buona aderenza prevalga il beneficio della
statura, mentre in condizioni di erba bagnata si faccia sentire di più il rischio
causato dal peso.
Valutiamo la stabilità statica
Abbiamo appurato con il nostro schema fisico che, contrariamente alle aspettative,
la posizione alta del baricentro consente al giocatore di sfruttare tutta una serie di
condizioni favorevoli nell’ambito dell’agilità e, in particolare, del dribbling. Ci
chiediamo a questo punto: possibile che non ci sia qualche contropartita?
Nella fattispecie, consideriamo che, come impariamo a scuola, un baricentro basso
assicura maggiore stabilità. Possibile insomma che questo aspetto non giochi alcun
ruolo? In realtà, il quesito così posto ingenera qualche confusione. Infatti, è mal
posto, nel senso che non è formulato in modo completo.
Il fatto è che la posizione del baricentro da sola non ci dice proprio nulla sulla
stabilità. Quello che invece discrimina le situazioni è la posizione del baricentro
rispetto alla base di appoggio. Lo si vede chiaramente nella grafica sotto riportata.
L’oggetto di destra ha il baricentro più basso di quello di sinistra, ma è in condizioni
instabili, perché la proiezione del baricentro è al limite della base di appoggio:
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α
α
Per valutare la stabilità di un oggetto in condizioni statiche possiamo considerare gli
effetti di piccoli spostamenti del suo baricentro, ottenuti ruotando il corpo. Quando la
proiezione verticale del baricentro cade all’esterno della base di appoggio il peso
finisce per far ribaltare l’oggetto. L’angolo di equilibrio nel caso di sinistra è
decisamente maggiore che nel caso di destra.
Il discorso si sposta dalla combinazione delle forze all’equilibrio alle condizioni
che assicurano il mantenimento di quello stesso equilibrio, proprio ciò che s’intende
con stabilità. Ebbene, qui abbandoniamo il nostro precedente schema dinamico e
andiamo alla scoperta di altri aspetti fisici e geometrici. Com’è la situazione della
stabilità per atleti che possono avere corporature più o meno longilinee?
Gli alti, una volta messi dritti in piedi, o con le gambe divaricate a una prefissata
angolazione, tendono ad avere una minore base relativa di appoggio rispetto alla
quota del baricentro (il loro angolo di equilibrio è inferiore). Come dire che risultano
staticamente meno stabili. Ecco dunque un handicap di assetto. Si può pensare di
ovviare ad esso?
Interpretiamo le braccia come l’asta del funambolo
Lo sviluppo trasversale della massa può concorrere alla stabilizzazione di un
oggetto. Nel caso del corpo umano si tratta delle braccia. Che vuol dire questo? Vuol
dire semplicemente che le braccia possono assumere una funzione simile a quella
dell’asta del funambolo (ci sono funamboli che se la cavano senza asta).
Questa condizione può essere facilmente sperimentata da chi va in palestra:
sollevare con una mano un manubrio da 20 kg, ad esempio, è più difficile che
sollevare con una mano un bilanciere (ben afferrato al centro) che abbia lo stesso
identico peso. La stranezza si spiega appunto con una superiore possibilità di
controllo dell’equilibrio nel secondo caso. Provare per credere.
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Un funambolo gioca con l’asta equilibrante regolandone l’inclinazione e la
traslazione laterale e anche modificandone l’altezza. Infatti, abbassare l’asta migliora
la stabilità. Ma tenerla troppo bassa ostacola il suo controllo. Con le braccia distese il
controllo è meno preciso e la traslazione laterale produce inevitabilmente anche una
contestuale inclinazione che può complicare l’equilibrio. Si tratta dunque di trovare il
compromesso ottimale.
Per un calciatore la ricerca del compromesso è più restrittiva. Infatti, se è vero che
abbassare le braccia porta più peso verso il suolo, è anche vero che provoca una
diminuzione della distribuzione trasversale della massa. È come se l’asta si
accorciasse. Per converso, braccia tenute molto larghe ostacolano le variazioni di
assetto repentine, proprio perché tendono a stabilizzare. Osservare il controllo delle
braccia durante il dribbling è per tutti questi motivi piuttosto interessante.
Cosa possiamo affermare relativamente al raffronto tra un giocatore alto e uno
basso? Ipotizziamo intanto che la lunghezza delle braccia cresca di pari passo con la
statura. Sappiamo però che per questioni antropometriche in un soggetto alto esse
sono attaccate a una distanza dal baricentro che è maggiore rispetto a quanto non
succederebbe con una semplice proporzionalità di rapporti.
Il giocatore molto alto si trova così nelle condizioni di avere un baricentro che non
può stabilizzare con la stessa efficacia con cui lo stabilizza un giocatore basso.
Risulta inoltre statisticamente che il rapporto tra la lunghezza delle braccia e la
statura (non il busto) sia maggiore nei soggetti bassi che hanno quindi arti superiori
proporzionalmente un po’ più lunghi. Questa è un aggravante per il soggetto alto. Per
tutti questi motivi quest’ultimo tenderà più spesso a chinarsi per mantenere basso il
proprio baricentro nelle manovre prossime alla staticità.
http://www.timboucher.com/journal/wp-content/uploads/2008/04/chinese-tight-rope-walker.jpg
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Lo sviluppo trasversale della massa (a parità di base d’appoggio) incrementa la
stabilità. L’azione del funambolo viene per certi versi replicata dal calciatore che
cerchi l’assetto migliore per mantenere la traiettoria. In quest’ultimo caso non si tratta
di equilibrio statico, tuttavia in assenza di forti inerzie (accelerazioni rettilinee o curve)
la situazione è paragonabile. Un calciatore molto alto tenderà più spesso a chinarsi,
non trovando sufficiente azione equilibrante nelle braccia.
http://www.studlife.com/files/2009/08/soccer1-600x400.jpg
Teniamo conto delle oscillazioni del corpo
Non lasciamoci però ingannare dagli aspetti statici. Ci sono anche fattori dinamici,
anzi questi sono preponderanti. Non possiamo insomma esimerci dal valutare la
stabilità in condizioni dinamiche. Questo può forse ribaltare la situazione? Vediamo.
Per introdurre l’argomento, facciamo per un attimo riferimento ai trampoli. Chi li
ha provati sa bene quanto sia difficile stare fermi su di essi e come convenga oscillare
leggermente da una parte all’altra per mantenere l’equilibrio. Più agevole è il
controllo una volta che si sia preso l’abbrivio e si cammini. Un fatto che la dice lunga
sugli effetti dinamici e che ci avvia alle prossime argomentazioni.
Si dirà che anche un soggetto piccolo può aumentare la sua stabilità, una volta che
si metta a correre. Certo che è così. Tuttavia, il risultato è inferiore a quello ottenuto
dal soggetto alto. Come mai? Ciò dipende da vari fattori, ma soprattutto
dall’oscillazione delle braccia e delle gambe che nel calciatore alto sono maggiori, in
quanto gli arti sono più sviluppati (maggiore peso, maggiore distanza dal fulcro).
Il pendolamento in oggetto assomiglia per certi versi alla stabilizzazione che
produce la rotazione della ruota in una bicicletta o in una motocicletta. In fisica si
parla di “momento d’inerzia” (e di “effetto giroscopico” per una ruota).
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Le antiche biciclette con ruota anteriore enorme erano scomode e poco manovrabili,
ma erano molto stabili in movimento. Si tratta di una questione di “effetto
giroscopico”. Nel caso del corpo umano questo effetto è parzialmente riprodotto
dall’oscillazione degli arti.
http://www.yousaytoo.com/gallery_image/pic2/7469/12_velosipedy_35.jpg
http://rundude.com/Run%20Dude%20Football%20Sports%20Marketing%20Best%20Sneakers
%20RunDude.com_files/Run_Dude_Soccer.jpg
C’è poi un altro elemento da coinvolgere in questo discorso. Durante la corsa il
baricentro umano oscilla su e giù, seguendo una linea ondulata. Quando sale
accumula energia potenziale, quando scende la perde e la trasforma in energia
cinetica; proprio come un pendolo che ogni tanto riceva una spinta. La dinamica di
una camminata è simile a quella di un uovo che rotola, mentre la corsa assomiglia di
più a una palla che rimbalza.
Anche questa alternanza del baricentro produce un effetto stabilizzante che è più
marcato negli atleti alti. Queste circostanze si esprimono meglio nella corsa
sostenuta, ma possiamo pensare che impattino in un certo grado anche nel dribbling.
C’è insomma un punto dove lo svantaggio della minore base relativa d’appoggio
(angolo d’equilibrio) dei calciatori alti inizia a essere compensato dalle varie
oscillazioni biomeccaniche e dagli effetti dinamici che innescano. Da questo
particolare punto di vista possiamo pensare che, in media, l’altezza del baricentro sia
all’incirca indifferente. Per meglio dire: migliore stabilità dei bassi alle andature
inferiori, migliore stabilità degli alti a velocità superiori.
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Consideriamo la rapidità di movimento
Per rapidità di movimento dobbiamo intendere sostanzialmente la capacità di
generare tutta una serie di variazioni dinamiche. Possiamo pensare prima di tutto a
variazioni direzionali e scatti (o arresti). Le prime implicano una modifica
dell’inclinazione laterale del corpo. I secondi implicano invece variazioni
d’inclinazione avanti e indietro. In entrambi i casi stiamo parlando di accelerazioni (o
decelerazioni), cioè di modifiche della velocità nel tempo e nello spazio.
È senz’altro vero che un giocatore alto incontri superiori difficoltà a spostare a
destra e a sinistra il suo baricentro. Il braccio di leva delle forze in esso applicate
(sostanzialmente il peso e la forza centrifuga) che deve essere contrastato dalle masse
muscolari è infatti più lungo e quindi richiede maggiore impegno. A parità di forza
muscolare disponibile, questo può rallentare le variazioni d’inclinazione e dunque
anche la modifica delle traiettorie del calciatore.
Abbiamo tuttavia appurato in precedenza che quando il baricentro è alto si può
ottenere la medesima velocità in curva con una minore inclinazione. Questo significa
che per variare la direzionalità basterà una minore escursione dell’oscillazione a
destra e a sinistra. Difficile dire se nel complesso lo sforzo muscolare risulti maggiore
o minore. Tecnicamente parlando, ci vuole più “momento”, ma su rotazioni inferiori,
di modo che il lavoro (energia spesa) è confrontabile. Grossolanamente, la
condizione dovrebbe essere pari e patta per due giocatori che abbiano la stessa
forza, lo stesso peso e differenti stature. D’altronde, se il peso aumenta con la statura,
aumenta in genere anche la forza. Questo bilancio è meglio valutato al prossimo
punto.
Prendiamo nel frattempo in esame lo scatto in avanti. Potremmo paragonarlo
sommariamente alla partenza di un centometrista. Sappiamo che per l’avanzamento
rapido è necessaria un preventivo sbilanciamento in avanti del corpo. Questo
consente infatti di produrre superiori forze orizzontali di propulsione sul terreno. Che
differenza c’è in questo caso tra il giocatore alto e quello basso?
Ci torna utile all’uopo il nostro vecchio schema. L’unica accortezza è quella di
sostituire la forza centrifuga con la forza d’inerzia orientata all’indietro durante
l’accelerazione (in effetti, anche la forza centrifuga è una forza d’inerzia). Sappiamo
che il soggetto alto s’inclina meno, indipendentemente dal suo peso.
Così, a parità di potenziale muscolare, il giocatore di maggiore statura avrà più
difficoltà a trasmettere a terra forze orizzontali. Discorso analogo per l’arresto,
l’inverso dello scatto. Il giocatore alto dovrà compiere uno sforzo maggiore per
incrementare la sua obliquità allo scopo di rallentare bruscamente l’andatura, senza
per questo cadere.
In sostanza, nello scatto e nell’arresto è avvantaggiato l’atleta piccolo che
“scarica” meglio. Almeno, finché l’aderenza al suolo lo consente. Qui il discorso è
dunque ribaltato rispetto a quanto abbiamo visto con la condizione in curva.
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Il giocatore di minor statura ha la possibilità di meglio trasferire la forza orizzontale di
propulsione sul terreno, perché riesce a inclinarsi prima e di più.
http://cdn.picapp.com/ftp/Images/c/5/7/6/PicImg_Champions_League_Drogba_f852.JPG?
adImageId=2546614&imageId=4109690
Prendiamo in esame la forza del giocatore
Quanto abbiamo discusso sulle accelerazioni (cambio traiettoria e scatto/arresto)
vale in condizioni di sostanziale parità di forza muscolare esercitata. S’intuisce bene
che una forza al di sotto o al di sopra della media potrebbe spostare le conclusioni
precedentemente tratte. Infatti, per la seconda legge di Newton l’accelerazione è data
dal rapporto tra la forza applicata e la massa su cui si applica.
Ora, l’espressione della forza dipende da molti fattori di tipo muscolo-scheletrico
sui quali non ci soffermeremo. Ci sono però alcune indicazioni di massima
interessanti che possiamo qui riprendere.
Se ci riferiamo ai sollevatori di peso notiamo che i chili sollevati crescono meno
dei chili della massa corporea dello sportivo. Il rapporto osservato tra forza e peso
corporeo ci dice in sostanza che gli atleti più leggeri sono proporzionalmente più
forti. Questo vale in generale a parità di altezza, ma sembra valere ancor di più se i
più leggeri sono anche più bassi e in genere è proprio così.
L’influenza dell’altezza si spiega con la circostanza che le leve corte esprimono un
maggiore potenziale a breve raggio. Ad esempio, un pugile brevilineo è favorito a
distanza ravvicinata dove non solo può essere più preciso, ma può imprimere più
impulso ai suoi colpi.
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Poiché la massa complessiva sembra crescere più della forza muscolare, dobbiamo
aspettarci che un soggetto pesante (solitamente più alto) produca mediamente meno
spunti di uno leggero (solitamente più basso).
Le statistiche del sollevamento pesi indicano che gli atleti più leggeri sono
proporzionalmente più forti. Paragonando i chili sollevati ai chili del corpo, le donne
sono in media forti quasi come gli uomini.
http://www.tetractis.it/speciali/olimpiadi_estive/2008/lib/img/discipline_specialita/specialita/33/640.jpg
D’altronde, è anche vero che le leve lunghe esprimono maggiore potenza se solo
hanno lo spazio per farlo. Per esempio, un centometrista è favorito nello scatto dai
blocchetti di partenza dopo pochi metri iniziali se può distendere leve lunghe. Gli
atleti piccoli che fanno record in queste discipline non sono molti.
Se questi dati fossero estrapolabili al calcio e, in particolare, alle forze in gioco nel
dribbling, ebbene l’atleta più alto e pesante, seppure in media più forte (più massa
muscolare), sarebbe svantaggiato nel produrre accelerazioni in spazi ristretti. Però,
potrebbe iniziare a contare su un beneficio biomeccanico nel momento in cui gli spazi
di dribbling dovessero ampliarsi e implicare maggiori velocità di spostamento.
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Nella ricerca di accelerazioni un giocatore basso trarrà maggior beneficio nel
dribblare a gambe larghe senza troppo inclinare l’asse complessivo del corpo ed
evitando di dilatare il gioco prima di riuscire a liberarsi. A un giocatore alto converrà
cercare spazi ampi e dinamicità, senza troppo preoccuparsi dell’inclinazione che, anche
a gambe unite e nelle curve veloci, risulterà comunque più contenuta.
http://www.realsports.it/download/Immagini_Archivio/Calcio/2008_2009/varie/ca_dr_messi_barcelona_p
rimo_piano_01.jpg
http://www.zimbio.com/pictures/k1wDb9YCtn/Real+Madrid+v+Racing+Santander+La+Liga/9mw7Ybh1-SU/Nikola+Zigic
Insomma, la possibilità di esprimere la forza nei due casi dipende dal raggio di
gioco. Se la forza varia con l’altezza nei termini che abbiamo esposto, in media c’è
forse un certo vantaggio per il più piccolo e leggero. Attenzione, il vantaggio di
accelerazione sussiste però se le forze vengono sviluppate senza troppo inclinare il
corpo, altrimenti, come abbiamo visto in precedenza, l’atleta basso incontra più
limitazioni di quello alto. Si tratta quindi di variazioni dinamiche prodotte
essenzialmente tenendo le gambe piuttosto larghe e per spostamenti a bassa velocità.
Al di là di queste considerazioni sulla possibilità che ha un potenziale muscolare di
esprimersi, va comunque ricordato che il mutamento dinamico in sé (accelerazione)
può intendersi come un rapporto generale tra la forza e la massa. Siccome la forza
aumenta in media meno della massa, in linea di massima un atleta di pari fattezze
antropometriche ma che sia più alto riuscirà a produrre minori accelerazioni del
baricentro rispetto a un atleta più basso e quindi più leggero. Possiamo quindi
sostenere che a parità di corporatura un giocatore basso farà guizzare più
velocemente il proprio baricentro.
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La massa è in effetti uno svantaggio in molte condizioni. C’è però una condizione
particolare in cui non lo è: un calciatore pesante viene meno facilmente disturbato
nei contrasti. Non si tratta dopotutto di una questione attinente al dribbling attivo, né
di una questione di espressione della forza, ma più propriamente di un discorso di
“quantità di moto” (prodotto tra velocità e massa).
La forza che viene qui coinvolta è quella che deve applicare il contendente per
vincere la quantità di moto dell’atleta pesante con cui sta competendo.
Ricapitoliamo
Abbiamo elencato una serie di fattori che, in condizioni semplificate, possono
incidere sull’esecuzione del dribbling. In molti casi i singoli fattori, almeno nella
nostra schematizzazione, possono considerarsi in maniera indipendente uno
dall’altro. Questo ha semplificato l’analisi dinamica.
Quando si prende in considerazione una classe di giocatori bisogna comunque
prestare attenzione al fatto che tali fattori possono risultare in qualche modo legati tra
loro. È quanto capita tipicamente per la statura e la massa del giocatore. Abbiamo
anche visto grossolanamente quale possa essere il legame e come si esprima nei
differenti contesti fisico-atletici.
Sarebbe per converso errato credere che il legame sia rigido. Si tratta invece di un
legame statistico. Ci possono essere discostamenti più o meno marcati rispetto alla
traccia mediana di riferimento. Così, possiamo benissimo incontrare soggetti come il
forte filiforme o il fiacco massiccio. Per fare un esempio, il primatista dei cento e
duecento metri, il giamaicano Usain Bolt, è alto quasi due metri, eppure scatta molto
bene dai blocchetti di partenza. In questi casi l’analisi deve separare bene il peso di
ciascuno dei fattori influenti, ricomporlo e capire dove stia il fattore critico di
(in)successo.
Come poi si è premesso fin dall’inizio, gli aspetti fisici sono solo una porzione di
una realtà sfaccettata. Contano anche la preparazione atletica, la dotazione
neurofisiologica, la biomeccanica individuale, la predisposizione mentale, il controllo
del pallone, la visione del gioco e altro ancora. L’approccio fisico ha però il merito
d’inquadrare una multiformità di condizioni dinamiche in modo oggettivo entro classi
ben delimitate.
La fisica è abbastanza rappresentativa ed eloquente nel suo dominio di
applicazione. Essa ci fa infatti sapere che, contrariamente alle aspettative, ci sono
innumerevoli situazioni dinamiche in cui il baricentro alto è piuttosto un beneficio
che non uno svantaggio nell’esecuzione del dribbling. Si direbbe perfino che queste
situazioni siano frequenti, sebbene non manchino certo le controindicazioni. Vale la
pena considerare un semplice specchietto riassuntivo dei principali aspetti fisici
prima incontrati.
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Vantaggi nel dribbling per i giocatori alti
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Distribuiscono più agevolmente il controllo sulle due gambe.
La maggiore verticalità media consente loro di meglio saltare.
La maggiore verticalità media favorisce l’efficienza articolare.
A parità di peso sono più lontani dallo scivolamento.
A parità di corporatura risultano meno facilmente disturbabili.
Nel dribbling allargato sono più stabili.
Nel dribbling allargato esprimono meglio la forza.
Vantaggi nel dribbling per i giocatori bassi
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Nel dribbling stretto sono più stabili.
Nel dribbling stretto esprimono meglio la forza.
Scaricano meglio le reazioni nello scatto e negli arresti.
A parità di tipo di corporatura guizzano più velocemente.
A parità di tipo di corporatura controllano meglio sull’erba bagnata.
Possiamo pensare che il campo dinamico ideale di un corpo sia conosciuto in
automatico dal cervello che sta sopra di esso. E il cervello può anche sapere quale
importanza assegnare a ciascuno dei punti elencati in funzione delle cricostanze. Ma
è anche vero che un ipotetico allenamento errato di un atleta potrebbe imprimere
comportamenti che mortifichino i vantaggi intrinseci di una certa corporatura e che
ne esaltino gli elementi problematici.
In quanto ai comportamenti da attuare c’è una cosa cruciale che ancora va chiarita.
Il dribbling è sostanzialmente una situazione antagonistica che vede la
contrapposizione di due o più giocatori concentrati intorno a una palla. La palla è
sempre la stessa, ma gli atleti che se la contendono possono mutare volta per volta.
Si capisce che se il dribbling vede la contrapposizione tra un giocatore alto e uno
basso il confronto si pone su un piano diverso rispetto al caso in cui a fronteggiarsi
siano due bassi o due alti. E lo stesso dicasi per altre variabili discriminanti, come il
peso, la forza o la struttura fisica. Per esempio, un normotipo potrebbe essere alto
come un longilineo, ma avere gambe e braccia meno sviluppate. Così, avrebbe un
baricentro più basso e minori possibilità di bilanciarsi con gli arti superiori. Però,
avrebbe leve corte, valide in spazi angusti di gioco.
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Nella contrapposizione di atleti con determinate corporature c’è un contenuto
tattico non indifferente. A seconda dei casi, nel dribbling converrà allora insistere ora
su un vantaggio, ora sull’altro. O, magari, converrà costringere il contendente a
esaltare le proprie manchevolezze. Questa è una classica condizione da teoria dei
giochi su cui però non ci dilungheremo.
Squadra B
Squadra A
Alto
Pesante
Leggero
Brevilineo
Bacino largo
Basso
Bacino stretto
Leggero
Bacino largo
Pesante
Longilineo
Longilineo
Alto
Brevilineo
Basso
Bacino stretto
Tattica
dribbling
Nella valutazione della tattica da adottare in un dribbling occorrerebbe valutare
idealmente tutte le possibili condizioni antagonistiche, tenendo conto delle combinazioni
dei singoli fattori discriminanti.
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Concludiamo con un’osservazione: oggi i calciatori sono molto più alti di un
tempo. Certamente, la statura media delle popolazioni occidentali (con qualche
eccezione) si è alzata negli ultimi decenni, quindi anche i vivai da cui si attinge per
trovare sportivi professionisti hanno una composizione differente rispetto al passato.
Ma la statura dei calciatori delle squadre primarie è aumentata di più di quanto non
l’abbia fatto la statistica popolazionale.
Questo non significa che i calciatori più alti siano necessariamente favoriti o che
l’altezza media dei calciatore sarà ulteriormente destinata a crescere rispetto alla
media della popolazione. D’altronde, è indubitabile che questo incremento, stanti le
tecniche di allenamento e d’impostazione agonistica, mal si sposi con alcune
convinzioni del passato per cui la testa non doveva essere troppo distante dai piedi.
Oggi vi sono alcuni calciatori (non portieri) che hanno stature attorno ai due metri e
comunque trovare calciatori oltre il metro e ottanta è tutt’altro che infrequente.
Il dribbling è solo un aspetto del gioco del calcio. Ma è anche vero che il confine
tra ciò che è dribbling e quanto corrisponde invece a una penetrazione più fondata su
potenza e velocità non è netto, è invece sfumato. E lo diventa sempre più, stante le
prestazioni atletiche richieste per vincere una partita. La storia del baricentro basso ha
un suo fondamento in alcuni casi, ma in molti altri è proprio solo una storia.
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Roberto Weitnauer
29/29
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Dribbla meglio il calciatore alto o quello basso? Il