Le attività d’impresa Tutte le attività d’impresa, oltre ad assorbire risorse, contribuiscono a creare valore. può essere utile classificarle, per poter comparare: - diversi modelli di business model - a “parità” di business model, nello spazio (diverse imprese) e nel tempo (la stessa impresa) Lo schema adottato si basa sul contributo di ciascuna attività alla produzione dell’output (per semplicità, monoprodotto o focalizzato) • Attività primarie: direttamente ed usualmente volte a rendere disponibile l’output sul mercato, in genere concatenate tra loro in sequenza • Attività di supporto: creano le condizioni perché le attività primarie possano funzionare al meglio e/o predispongono il futuro dell’impresa (a livello di output o di assetto tecnologico-organizzativo) 1 Le attività primarie • progettuali: messa a punto dei pdt in base alle specifiche dei clienti (solo per alcuni business: es. stampi per industria meccanica) • produttive: o “operations” • logistiche: volte a rendere il pdt disponibile presso il cliente e a procedere a tutti gli spostamenti di materie prime, pdt intermedi (semilavorati) e pdt finali richiesti dall’articolazione (fasi e processi) e dalla localizzazione (unità produttive, interne od esterne – cfr. outsourcing) della produzione • di gestione del mercato: attività di vendita, marketing e serevizi complementari in fase di prevendita, vendita e post-vendita 2 Le attività di supporto • di gestione delle risorse: procacciamento, mantenimento e sviluppo di risorse umane, strumentali (comprese le infrastrutture pdt.ve e commerciali); acquisizione (procurement) degli input di beni e/o servizi • di “autotrasformazione”: volte a costruire il futuro a breve e m/lungo termine) dell’impresa, modificndo l’output o l’organizzazione: R&D (insenso stretto : pdt); miglioramento dei processi / qualità; sviluppo rete commerciale; riposizionamento dei brand • complessive di governo: definizione di indirizzi strategici e decisioni operative di valenza generale; controllo di gestione; amministrazione; organizzazione dei flussi informativi; comunicazione; rapporti con le istituzioni / autorità ed affari legali 3 4 Eccezioni e specificità La classificazione vista è pensata: • per una tipica impresa “manifatturiera” • le attività sono descritte in funzione del loro contributo alla produzione, in senso fisico, dell’output deve essere “adattata” per altre imprese; ad es.: • per un’impresa di distribuzione la “vendita” è la sua tipica attività di “produzione”; • la manutenzione è in genere un’attività di supporto, ma è quella principale per chi la fornisce in outsourcing, etc. Spesso il confine tra attività è sottile: es., tra progettazione del pdt e autotrasformazione; il criterio sarebbe la straordinarietà (nel 2° caso) delle attività rispetto alla gestione corrente; nella moda è “ordinario” introdurre prodotti “nuovi” ogni anno, etc. 5 Imprese “conglomerate” Nel caso di portafogli prodotti conglomerali, si può pensare che l’impresa sia costituita da una serie di unità di business focalizzate e separate le une dalle altre, con un certo numero di attività comuni al livello superiore (corporate) Al livello corporate si situano “necessariamente” le attività: • strategiche, che presiedono al governo dell’impresa nel suo complesso (vale per tutte le imprese), la composizione del portafoglio prodotti; in quali BU investire, quali introdurre ex novo, acquistare o alienare; Inoltre, almeno con finalità di coordinamento: • amministrazione, comunicazione, org,ne flussi inf.vi, rapporti con istituzioni • gestione risorse finanziarie e umane (per la loro trasversalità o, anche, intercambibiità) 6 Creazione di valore Per capire la capacità di produrre valore, occorre capire: • dove e perché si formano i differenziali di costo e/o attrattività dei diversi pdt (di diversi produttori) • perché durano nel tempo (dal pdv delle imprese, sono “sostenibili”) • come i fattori che influiscono su costi e attrattività influiscono anche sui margini (dove conta maggiormente l’interazione/competizione con altri attori) In generale, i differenziali di costo e/o attrattività sono connessi a differenze in: • business model adottati • possibilità / capacità di sfruttare le caratteristiche di non linearità e di dinamicità dei sistemi economici 7 Livelli di differenze nei business model A livello superiore, le differenze/scelte di: • assetto giuridico-finanziario • composizione portafoglio di output A livello alto , le differenze/scelte in: • combinazioni prodotto/mercato (mono- o multi-business; clienti, bisogni, canali e aree) A livello intermedio, le differenze/scelte in: • grado di interazione verticale • meccanismi di coordinamento verticale dei processi e di governo delle unità di business A livello basso, le differenze/scelte in: • concezione delle singole attività e loro funzionamento 8 Analisi delle attività e competizione Il modello concettuale di Porter (“Catena del Valore”) è basato sull’individuazione delle caratteristiche / modalità di funzionamento delle Attività primarie e di supporto Utilizzare il modello di Porter per comparare diversi competitori significa focalizzare l’analisi su quello che abbiamo individuato come “livello basso” In altre parole, confrontare le attività (concezioni e/o funzionamento) ha senso “a parità di altre condizioni” (per imprese che operano nella stessa collocazione di mercato, con simile grado di integrazione verticale, etc.) • Ad es., se due imprese scelgono di operare in due diverse combinazioni pdt/ mercato (una produce auto sportive di lusso e l’altra utilitarie) le differenze concezioni / funzionamento delle attività dipendono innanzitutto da questa scelta di livello “alto” (i loro prodotti rispondono a bisogni e si rivolgono a clienti diversi, etc.) 9 Discrezionalità delle scelte Le scelte relative alle caratteristiche del business model, ai diversi livelli, possono essere: • Discrezionali: dipendono ad es. dalla personalità, dai valori, dalla capacità imprenditoriale e gestionale del top management (inclusi gli imprenditori che “gestiscono”) Quasi sempre le differenti caratteristiche / scelte risentono: • dello stato del contesto esterno • dello stato interno dell’impresa • dei conseguenti limiti / condizionamenti alla discrezionalità delle scelte (es.: mancato accesso a canali commerciali o risorse; insufficienti dimensioni di scala, competenze, immagine , etc.) N.B.: il processo è circolare: lo stato ambientale influisce sulle imprese, ma l’ambiente competitivo altro non è che il frutto dei comportamenti delle imprese (più in generale, le imprese contribuiscono a creare il proprio ambiente) 10 Cause dei differenziali di costo/attrattività I differenziali di costo e/o attrattività dipendono dalla capacità delle imprese a sfruttare alcune peculiarità di funzionamento dei sistemi economici: • Le non linearità nei legami tra grandezze (es.: superfici/ volumi, etc.) • L’inerzia e l’irreversibilità nei fenomeni fisici o, cmq, nelle azioni (es.: altoforno; impianti a rete; nodi di scambio dei flussi / trasporti) • Le asimmetrie nell’accesso (tra chi già vi accede e chi no) rispetto a: sbocchi di mercato; specifiche risorse, conoscenze o informazioni • L’elasticità o stretch: la grande variabilità nell’impegno, produttività e creatività delle persone singole e dei gruppi (unità organizzative) in funzione del loro grado di motivazione Avvantaggiarsi di tali fenomeni posizioni di forza Esserne esclusi posizioni di debolezza Le posizioni di forza rispetto ai competitori possono essere riferite all’impresa nel suo complesso, a categorie di attività o attività singole 11 Fattori (drivers) del vantaggio competitivo M. J. Porter mirava ad individuare i drivers del “Vantaggio competitivo”; utilizzando la ns. terminologia, possiamo parlare di “fattori dei differenziali di costo e/o competitività” (che possono sussistere a livello di attività o a livelli superiori): 1. La scala o dimensione 2. Il grado di utilizzo delle risorse o grado di saturazione 3. L’esperienza cumulata o l’apprendimento 4. Le risorse critiche materiali o immateriali (in particolare, lo sono sempre le risorse umane) 5. La localizzazione 6. I fattori istituzionali 7. L’integrazione verticale (livello medio) 8. Il coordinamento verticale dei processi (livello medio) 9. Le sinergie di portafoglio (livello superiore) (Porter evidenziava anche l’importanza del Timing o tempestività nelle decisioni; non considerava esplicitamente le risorse – punto 4) 12 Chi sono i “nemici”? (competizione sui margini) L’impresa non “compete” solo con i concorrenti che vendono il suo “stesso” output (cercando di dotarsi di differenziali di costo / attrattività rispetto ad essi) ma deve affrontare anche COMPETITORI INDIRETTI (che vendono prodotti sostitutivi) e deve battersi per: • tenere elevati i margini (differenze tra prezzi di vendita e costi) unitari • favorire lo sviluppo della domanda (a prescindere della spartizione delle quote con i competitori diretti) Più in generale, nel loro complesso i competitori diretti (le imprese che operano in una combinazione pdt/mkt) hanno interesse a: • far crescere la domanda complessiva • tenere i margini elevati • tener basso il livello di competizione • sbarrare l’accesso ai (potenziali) nuovi entranti 13 Margini e interessi contrapposti Per ottenere margini elevati, le imprese di un’ “area di business” o comparto (in senso stretto) hanno interessi contrapposti rispetto ai: • CLIENTI: prezzi di vendita; qualità e livello di servizio dell’offerta • FORNITORI: prezzi e condizioni contrattuali (conformità dei prodotti, tempi di fornitura, dilazioni di pagamento) • RISORSE UMANE (a tutti i livelli): remunerazione, impegno richiesto, stabilità dell’impiego • SISTEMA BANCARIO-FINANZIARIO: tassi d’interesse, condizioni di erogazione del capitale di debito (garanzie, facilità di accesso, etc.) 14 Attrattività di un’area di business Se le imprese di un comparto riescono a far “prevalere i propri interessi” ed ottenere le condizioni “bassa pressione competitiva”, riusciranno tutte (chi + chi -, a seconda dei differenziali) ad ottenere “buoni” risultati, o meglio: risultati migliori rispetto alla media dell’economia In tal caso, l’area di business risulterà più attraente rispetto alla media dell’economia per chi ha investito (ha intenzione di investire) capitali differenziale di attrattività di un’area di business = quanto un comparto è + o – attraente (profittevole) rispetto alla media dell’economia 15 Attrattività di un’area di business (2) In realtà, la situazione prima delineata è un po’ riduttiva: un’area di business non è attraente solo perché c’è poca competizione al suo interno e riesce ad erodere i margini di tutti gli altri attori economici Non è soltanto un problema di “torta da spartire”: la cosa importante, invece, è proprio la dimensione della torta ! Le imprese di successo, infatti, sono innovative e sanno rispondere ai nuovi bisogni con prodotti apprezzati dai clienti, che per questo sono ben disposti a pagarli Con la domanda in forte crescita ed i prodotti molto attrattivi, il difficile non è sottrarre quote ai concorrenti, ma stare dietro alle richieste (è per questo che c’è poca pressione competitiva)! In questo senso, la ricerca di “bassi livelli di competizione” non è in contrasto con l’interesse allo sviluppo ed all’innovazione dell’intera economia; diverso è il discorso per comportamenti “collusivi” delle imprese, qualora cerchino di affermare e/o sfruttare posizioni monopolistiche o oligopolistiche 16 La posizione competitiva di un’impresa La posizione di un’impresa (cioè la sua capacità di ottenere “buoni risultati”) rispetto alla media dell’intera economia può essere vista come la combinazione (prodotto) di due differenti fattori: - la posizione relativa dell’impresa (o, in una impresa multibusiness, della singola business unit) rispetto ai competitori diretti operanti nella stessa area di business, misurata dai differenziali di costo e/o di attrattività del prodotto - la posizione relativa dell’area di business rispetto alla media dell’economia, misurata dal differenziale di attrattività dell’area La combinazione migliore, ovviamente, è essere “la prima della classe” nell’area di business più attraente! N.B.: è più facile “risalire posizioni” che cambiare area ! 17 Analisi dell’attrattività: le “5 forze” di Porter Le 5 forze che, nel modello di Porter, influiscono sul grado di competizione in senso ampio sono: • la presenza di competitori indiretti, che deprimono la domanda offrendo prodotti sostitutivi (minaccia di pdts sostitutivi) • l’esistenza di “credibili” competitori potenziali; non tanto nel caso in cui entrino realmente (si rientra nel caso preced.) ma per i costi dell’erezione di barriere all’entrata (minaccia di nuove entrate) • l’asprezza del confronto / competizione interni • il potere contrattuale nei cfr. di clienti e fornitori 18 Il modello delle “5 forze competitive” (Porter) COMPETITORI POTENZIALI MINACCIA MINACCIA DI NUOVE DI PDTS ENTRATE SOSTITUTIVI COMPETITORI INDIRETTI CONCORRENTI DIRETTI FORNITORI POTERE CONTRATTUALE CLIENTI ASPREZZA CONFRONTO POTERE CONTRATTUALE 19 L’asprezza del confronto interno Risente dei fattori di scala (n° di competitori), del knowhow, dell’accesso a risorse / localizzazioni riservate, dell’immagine, etc. Se i competitori sono pochi il confronto non è tanto sui prezzi ma su altre caratteristiche dell’offerta Aumentano l’asprezza: • bassa crescita della domanda • livello elevato dei costi fissi o dei costi di stoccaggio • basso grado di saturazione di alcune risorse (es impianti) • differenza nella natura e negli obiettivi dei competitori (es. impresa monobusiness o multibusiness; impresa quotata e cooperativa) • esistenza di barriere all’uscita 20 Le barriere all’uscita Ci si aspetterebbe che i competitori più deboli escano dal business, riequilibrando domanda e offerta Spesso non lo fanno (e l’offerta rimane superiore alla domanda) perché vi sono c.d. “barriere all’uscita” di origine: • economica: è più conveniente proseguire l’attività che liquidarla, perché vi sono asset specializzati (es. impianti) o sinergie con altri business in portafoglio • socio-politica: conseguenze sull’occupazione • emotiva: per l’importanza simbolica che il business riveste per l’imprenditore o per l’impresa 21 La scala o dimensione E’ uno dei concetti che stanno alla base del passaggio dall’artigianato all’organizzazione su scala industriale Se le omogeneità nell’output o nei processi di produzione consentono una standardizzazione, è possibile concepire modalità di organizzazione tali che, al crescere della dimensione: • i costi unitari diminuiscono • (e, talvolta, migliorano le prestazioni/qualità) La principale spiegazione è nella non linearità dei fenomeni N.B.: se non è possibile standardizzare output o processi, la scala è irrilevante 22 Effetti della scala Tutte le decisioni d’impresa (es.: adozione di un modello tecnologico-organizzativo) devono essere: fattibili efficaci rispetto agli obiettivi efficienti • esiste una soglia di scala minima (o di esclusione) al di sotto del quale l’attività risulta infattibile / inefficace / inefficiente • esiste una soglia di scala massima (o DOM: dimensione ottima massima) al di sopra della quale i miglioramenti di efficienza / efficacia sono irrilevanti (prevalgono gli svantaggi dovuti alla maggiore complessità) • è nell’intervallo tra le due soglie che la scala gioca un ruolo differenziante tra le imprese 23 La scala di cosa ? La dimensione può essere rilevante a diversi livelli, anche inferiori all’impresa nel suo complesso, e riguardare specifiche attività o le singole unità produttive Ad es., per l’industria automobilistica: • innanzitutto, oltre alla DOM, bisogna considerare che i clienti amano la diversità e la personalizzazione; • per l’assemblaggio: si è passati dall’automazione “tradizionale” a quella flessibile (robotica, programmabilità) e al “principio del Lego”: fare diversi modelli con gli stessi componenti (telai, motori, cambi, etc.); il livello rilevante è lo stabilimento • per la produzione di componenti: è più difficile avere sistemi di automazione flessibile e rilevano le scale per ciascun componente; per i componenti prodotti internamente, quindi, sarà tanto più facile incrementare la scala quanto più si usa il principio del Lego 24 (segue) La scala di cosa ? (segue es. industria automobilistica): • la logistica (in entrata da fornitori e da altri stabilimenti; in uscita verso mercati di sbocco) influisce nel senso di limitare la concentrazione – e, quindi, la dimensione - degli stabilimenti complessiva (sul presupposto che fornitori e clienti siano distribuiti in aree diverse); ormai si ragiona su scala continentale • per l’attività di vendita e post-vendita (assistenza) la scala conta, ma in senso differente: – – conta la copertura del territorio, che consente la vicinanza al cliente = avere molte concessionarie e officine per la singola concessionaria, c’è un effetto scala25 Scala e modelli tecnologico-organizzativi Accrescere le dimensioni non vuol dire necessariamente continuare a fare le cose in quantità maggiore ma nello stesso modo Per ciascuna attività sono disponibili diverse “soluzioni” tecniche e organizzative Ciascun modello tecnologico-organizzativo ha la “sua” scala dimensionale di riferimento, con una soglia minima ed una massima (o DOM) Al variare della produzione complessiva per unità di tempo, si può passare da un modello ad un altro 26