CAPITOLO 1 Principi di endocrinologia SEU Sistema endocrino .......................................................................................................... 1 Classificazione degli ormoni .......................................................................................... 2 Ormoni peptidici .......................................................................................................... 4 Ormoni steroidei ......................................................................................................... 5 Ormoni derivati dagli aminoacidi ................................................................................ 6 Recettori ormonali ........................................................................................................... 7 Recettori di membrana ............................................................................................... 8 Recettori nucleari ..................................................................................................... 13 Effetti fisiologici degli ormoni......................................................................................... 14 Sistemi di retroregolazione o di regolazione ormonale a feedback .............................. 14 Ritmi endocrini .............................................................................................................. 16 Ormoni e sistema immune ........................................................................................... 17 Malattie endocrine .......................................................................................................... 18 Prevalenza .................................................................................................................... 18 Classificazione .............................................................................................................. 18 Endocrinopatie da insufficienza ormonale ........................................................................... 18 Endocrinopatie da eccesso ormonale ...................................................................... 19 Diagnosi ........................................................................................................................ 20 Anamnesi ed esame obiettivo ................................................................................... 20 Indagini di laboratorio ................................................................................................ 20 Indagini per immagini ................................................................................................ 22 Terapia .......................................................................................................................... 22 Terapia ormonale in malattie non endocrine e nello sport ......................................... 23 Eritropoietina: impiego clinico e nel doping....................................................................... 23 ROMA Sistema endocrino Il sistema endocrino è un sistema di comunicazione tra cellule deputato al controllo della crescita, della riproduzione e delle funzioni essenziali per la sopravvivenza. Il termine endocrino, dal greco ενδο (interno) e κρινω (secerno), indica la secrezione di molecole biologicamente attive, i cosiddetti ormoni, all’interno del corpo; il termine esocrino indica, invece, il processo di secrezione di specifiche sostanze all’esterno oppure all’interno di un lume attraverso appositi dotti escretori. Le cellule secernenti ormoni sono localizzate in organi specifici, le ghiandole endocrine, oppure sono disperse nell’ambito di tessuti non endocrini, costituendo il sistema endocrino diffuso. Il termine ormone deriva dal greco ορµαω (mettere in moto, eccitare) e indica una sostanza che è prodotta da una cellula endocrina, viene rilasciata nel circolo sanguigno ed evoca risposte funzionali in cellule distanti dalla sua sede di produzione. Pertanto 2 Endocrinologia gli ormoni sono considerati molecole informazionali o messaggeri chimici in quanto responsabili della comunicazione intercellulare. Si sottolinea che gli effetti biologici variano in base al tipo di ormone. Per l’espletamento dell’azione ormonale è necessario che l’ormone, una volta sintetizzato e secreto, venga trasportato nel circolo sanguigno fino a raggiungere i tessuti bersaglio, dove sono presenti i recettori ormonali, strutture specializzate che riconoscono specificamente l’ormone e ne traducono il messaggio nella cellula bersaglio. Nella definizione di comunicazione endocrina è implicito il concetto di trasporto dell’ormone dalla sua sede di produzione all’organo bersaglio. La comunicazione affidata agli ormoni avviene soprattutto attraverso il circolo ematico, ma anche attraverso altre modalità: alcune molecole agiscono sulle cellule circostanti alla cellula di origine (comunicazione paracrina), mentre altre interagiscono con la stessa cellula che li ha prodotti (comunicazione autocrina). Esistono infine sostanze sintetizzate da neuroni che sono responsabili della comunicazione neurocrina, una forma specializzata di comunicazione intercellulare che si distingue in sinaptica, se la molecola viene secreta attraverso una struttura sinaptica, e non sinaptica o neurosecretoria, se viene rilasciata nel circolo sanguigno o nello spazio extracellulare, Fig. 1.1. Nella Tab. 1.1 sono schematicamente riportati i principali ormoni attualmente noti. SEU Classificazione degli ormoni In base alla struttura chimica gli ormoni sono distinti in tre classi principali: peptidi, steroidi e derivati dagli aminoacidi, Tab 1.2. La struttura molecolare degli ormoni ne determina le caratteristiche funzionali. Gli ormoni peptidici sono idrosolubili e pertanto circolano liberi nel plasma ed esplicano i loro effetti dopo il legame con recettori localizzati sulla membrana delle cellule bersaglio, senza penetrare all’interno ROMA Figura 1.1 – Principali meccanismi di secrezione. Principi di endocrinologia 3 Tabella 1.1 – Ormoni principali. Sede di produzione Ipotalamo Adenoipofisi Neuroipofisi Tiroide Paratiroidi Cute, intestino Nome Somatostatina Ormone stimolante il rilascio di GH Dopamina Ormone stimolante il rilascio di ACTH Ormone stimolante il rilascio di TSH Ormone stimolante il rilascio di gonadotropine SEU Sigla SRIH GHRH DA CRH TRH GnRH Ormone della crescita o somatropina Prolattina Adrenocorticotropina o corticotropina Ormone stimolante la tiroide o tireotropina Ormone luteinizzante Ormone follicolostimolante GH PRL ACTH TSH LH FSH Ormone antidiuretico o vasopressina Ossitocina ADH OT Tiroxina o tetraiodiotironina Triiodotironina o triiodiotironina Calcitonina Ormone paratiroideo T4 T3 CT PTH Vitamina D3 o colecalciferolo – Corticale surrenale Cortisolo Aldosterone Deidroepiandrosterone Androstenedione 17-OH-progesterone – – – – – Midollare surrenale Adrenalina Noradrenalina Sangue Angiotensina II Ovaio Testicolo Rene Fegato 17 β−estradiolo Progesterone Testosterone Inibina Eritropoietina Diidrossivitamina D o calcitriolo ROMA Fattore di crescita insulino-simile 1 Idrossivitamina D o calcidiolo A NA E2 Pg T – EPO 1,25(OH)2D IGF-1 25(OH)D Sistema gastroenterico Secretina Gastrina Colecistochinina Peptide inibente lo stomaco Peptide glucagone-simile 1 Motilina Peptide intestinale vasoattivo Somatostatina Bombesina Glucagone Ghrelina Polipeptide pancreatico – – CCK GIP GLP-1 – VIP SRIH – – – PP Pancreas Insulina Glucagone Somatostatina Sostanza P Ins Glu SRIH Tessuto adiposo Leptina Epifisi Melatonina Tessuto trofoblastico Gonadotropina corionica Lep – hCG 4 Endocrinologia Tabella 1.2 – Classificazione degli ormoni in base alla struttura chimica. Peptidici Peptidi e polipeptidi CRH, GnRH, GHRH, TRH, PRL, ACTH, GH, IGF-1, ADH, ossitocina, angiotensina II, renina, ormone natriuretico atriale, calcitonina, PTH, colecistochinina, gastrina, ghrelina, glucagone, GIP, GLP-1, insulina, VIP, polipeptide pancreatico, somatostatina, leptina Glicoproteine FSH, LH, TSH, hCG Peptidi Steroidi Tiroidei pro-ormone enzimatica enzimatica enzimatica deposito in granuli passaggio diretto deposito nella nel plasma colloide idrosolubili liposolubili Recettore SEU Catecolamine Meccanismo d’azione Steroidei Cortisolo, aldosterone, androstenedione, deidroepiandrosterone, estradiolo, estriolo, estrone, progesterone, testosterone, diidrotestosterone, calcidiolo, calcitriolo Derivati da aminoacidi Derivati dal triptofano Melatonina, serotonina Derivati della tirosina Adrenalina, noradrenalina, dopamina, tiroxina, triiodiotironina di queste. Al contrario gli ormoni steroidei sono liposolubili e quindi diffondono liberamente all’interno della cellula esercitando la loro azione dopo legame con recettori localizzati nel nucleo, Tab. 1.3. Tabella 1.3 – Caratteristiche generali degli ormoni. Sintesi Secrezione Solubilità Trasporto Variazione dei livelli plasmatici Emivita Metabolismo Effetto biologico deposito nei granuli cromaffini liposolubili idrosolubili non legati a proteine legati a proteine plasmatiche plasmatiche legati a proteine plasmatiche non legati a proteine plasmatiche rapida lenta lenta rapida minuti (peptidi), ore (glicoproteine) ore giorni secondi/minuti ROMA organo bersaglio, plasma fegato fegato organo bersaglio, plasma membrana nucleare nucleare membrana attivazione di enzimi, sintesi proteica trasporto ionico sintesi proteica attivazione di enzimi, trasporto ionico rapido lento rapido lento Ormoni peptidici Comprendono peptidi, polipeptidi e glicoproteine. Sintesi. È simile a quella di tutte le altre proteine e si realizza a partire da geni specifici che vengono trascritti con formazione di RNA, rimodellato nel nucleo attraverso il processo di splicing con produzione di RNA messaggero maturo. Il fenomeno dello splicing varia nei diversi tessuti e determina la formazione di ormoni differenti a partire dalla trascrizione di un gene comune. Una volta trasferito dal nucleo al citoplasma l’RNA messaggero viene tradotto in una catena peptidica in corrispondenza del reticolo endoplasmatico rugoso. La sintesi dell’ormone peptidico Principi di endocrinologia 5 si completa attraverso modificazioni co-traduzionali e post-traduzionali (rimozione di alcune sequenze, formazione di ponti disolfuro, iodazione, fosforilazione, solfatazione, acetilazione glicosilazione, assemblaggio di più subunità proteiche, ecc.). Le modificazioni post-traduzionali si realizzano nelle cisterne dell’apparato di Golgi, nel quale gli ormoni proteici neosintetizzati vengono trasferiti mediante apposite vescicole di trasporto. L’ormone peptidico finale viene immagazzinato in appositi granuli di secrezione, che si accumulano all’interno della cellula. Secrezione. Si realizza attraverso due modalità: la secrezione costitutiva, che consiste nella rapida esocitosi di ormone neosintetizzato a livello della membrana apicale della cellula, e la secrezione regolata, che prevede invece la formazione di scorte di ormone, immagazzinato e concentrato nei granuli, e rilasciato in risposta ad uno stimolo in corrispondenza della superficie laterobasale. La presenza di depositi intracellulari di ormone consente alla cellula di rispondere agli stimoli secretori in un tempo più breve rispetto a quello necessario per la sintesi “de novo” delle molecole ormonali. Trasporto e metabolismo. Gli ormoni peptidici circolano in forma libera nel plasma, con poche eccezioni. L’emivita dei peptidi è di pochi minuti, mentre gli ormoni glicoproteici hanno un’emivita più lunga, compresa tra i 50 minuti e le 4 ore e proporzionale ai residui di acido sialico delle catene oligosaccaridiche. Infatti gli ormoni glicoproteici sono metabolizzati a livello epatico e la presenza di acido sialico ne previene la degradazione. Gli ormoni peptidici non glicoproteici sono invece degradati dalle cellule bersaglio e solo in minima parte vengono distrutti dalle proteasi plasmatiche; una piccola quota è escreta direttamente con le urine. SEU Ormoni steroidei Gli ormoni steroidei sono accomunati dalla presenza del nucleo steroideo del ciclopentanoperidrofenantrene derivato dal colesterolo. Si distinguono ormoni con nucleo steroideo integro, che comprendono gli steroidi gonadici e surrenali, e ormoni con nucleo steroideo aperto, rappresentati dalla Vitamina D e dai suoi metaboliti. Steroidi gonadici e surrenali. Si dividono in sottogruppi in base al numero di atomi di carbonio del nucleo steroideo: il progesterone, i glucocorticoidi e i mineralocorticoidi derivano dal nucleo del pregnano che contiene 21 atomi di carbonio mentre gli estrogeni derivano dal nucleo dell’estrano con 18 atomi di carbonio e gli androgeni dal nucleo dell’androstano con 19 atomi di carbonio, Fig. 1.2. La sintesi degli ormoni steroidei inizia da un precursore comune, il colesterolo, e procede attraverso tappe biosintetiche che sono identiche nel surrene, nell’ovaio e nel testicolo. La distribuzione tessuto-specifica degli enzimi coinvolti nella steroidogenesi consente la produzione differenziale degli steroidi nelle tre ghiandole: i glucocorticoidi e i mineralcorticoidi sono sintetizzati dal surrene, gli androgeni sono prodotti dalle cellule di Leydig del testicolo, dal surrene e dalle cellule della teca dell’ovaio, ed infine gli estrogeni e il progesterone sono i principali ormoni steroidei sintetizzati dall’ovaio; gli estrogeni sono prodotti anche per conversione periferica dagli androgeni, che avviene soprattutto a livello del tessuto adiposo. Contrariamente agli ormoni peptidici, gli steroidi non sono immagazzinati all’interno delle cellule, ma vengono secreti subito dopo essere stati sintetizzati. Inoltre gli ormoni steroidei circolano nel plasma legati a specifiche proteine di trasporto; solo l’ormone libero è in grado di interagire con i recettori e quindi di esprimere le sue azioni biologiche. ROMA 6 Endocrinologia SEU Figura 1.2 – Nucleo dei principali ormoni steroidei. Il legame con le proteine di trasporto controlla la clearance dell’ormone proteggendolo dal catabolismo, garantisce una riserva ormonale circolante e controlla la disponibilità dell’ormone per le cellule bersaglio, senza influenzarne l’attività biologica. Il metabolismo degli steroidi consiste in modificazioni dei gruppi funzionali con formazione di composti idrosolubili e quindi eliminabili attraverso il rene. Per maggiori informazioni si rimanda ai capitoli Corticosurrene, Ipertensioni endocrine, Sistema riproduttivo femminile e maschile. Vitamina D. È uno steroide di cui esistono due forme naturali, l’ergocalciferolo (vitamina D2) di derivazione vegetale e il colecalciferolo (vitamina D3) di derivazione animale, prodotto per irradiazione ultravioletta del 7-deidrocolesterolo contenuto nella cute. Sia la vitamina D2 che la vitamina D3, per poter diventare biologicamente attive, necessitano di modificazioni metaboliche: l’idrossilazione epatica determina la formazione di calcidiolo o 25(OH)D, che è poi trasformato a livello renale in calcitriolo o 1,25(OH)2D, dotato della massima attività biologica. Tutte le forme di vitamina D circolano nel sangue legate a specifiche proteine di trasporto e la principale via di eliminazione è il rene. Per maggiori informazioni si rimanda al capitolo Paratiroidi. ROMA Ormoni derivati dagli aminoacidi Comprendono i derivati del triptofano (serotonina e melatonina) e i derivati della tirosina (ormoni tiroidei e catecolamine). Gli ormoni tiroidei, prodotti dalle cellule follicolari della tiroide, sono delle iodotironine (T3 e T4). Per maggiori informazioni si rimanda al capitolo Tiroide. Le catecolamine dotate di effetti ormonali sono l’adrenalina e la noradrenalina sintetizzate, oltre che dai neuroni del sistema nervoso simpatico, anche a livello della midollare del surrene. Per maggiori informazioni si rimanda al capitolo Ipertensioni endocrine. Principi di endocrinologia 7 Recettori ormonali Gli ormoni circolano nel plasma a concentrazioni bassissime (10-15-10-9 M) e pertanto le cellule bersaglio devono riconoscerli selettivamente in presenza di un eccesso di molecole con struttura chimica simile. La capacità di riconoscimento selettivo è garantita dalla presenza di strutture di ricezione specializzate, i recettori, che legano gli ormoni e ne mediano le azioni. I recettori sono localizzati sulla superficie plasmatica o all’interno della cellula bersaglio in base alla struttura chimica dell’ormone: gli ormoni che non possono attraversare la membrana (peptidi, catecolamine) si legano a recettori localizzati sulla membrana plasmatica, mentre quelli che diffondono attraverso la membrana plasmatica all’interno della cellula (steroidi, iodotironine) riconoscono recettori intracellulari, Fig. 1.3. I recettori hanno caratteristiche strutturali comuni: tutti presentano una regione o “dominio” che riconosce e lega l’ormone e una regione deputata alla generazione di un segnale intracellulare che traduce il messaggio ormonale in risposte funzionali della cellula bersaglio. Anche le proprietà che regolano il legame ormone-recettore sono le stesse in quanto tutti i recettori sono caratterizzati da specificità, elevata affinità, saturabilità e proprietà di trasduzione del segnale. La specificità è la capacità di riconoscere un solo ormone o più ormoni con funzioni analoghe. L’affinità definisce il legame preferenziale con uno specifico ormone in maniera stabile e reversibile, rappresenta cioè il grado di complementarietà strutturale che determina la forza dell’associazione. La saturabilità indica la capacità di legare l’ormone fino ad un massimo che corrisponde all’occupazione di tutti i recettori. La capacità di trasduzione rappresenta la proprietà di evocare risposte specifiche a livello delle cellule bersaglio. Queste caratteristiche distinguono i recettori da altre strutture in grado SEU ROMA Figura 1.3 – Meccanismo d’azione degli ormoni. 8 Endocrinologia di legare l’ormone quali, ad esempio, le proteine di trasporto presenti nel plasma, che riconoscono e legano l’ormone ma che hanno una bassa affinità, una bassa specificità di legame, un’elevata capacità e non sono in grado di trasdurre il segnale veicolato dall’ormone. Agonisti, superagonisti, antagonisti. Sono molecole che presentano caratteristiche strutturali simili ad un determinato ormone e che pertanto sono in grado di interagire con il suo recettore evocando o meno una risposta ormonale. Gli agonisti si legano al recettore con la stessa affinità dell’ormone naturale, attivando il meccanismo di trasduzione del segnale ormonale e provocando la medesima risposta cellulare. I superagonisti interagiscono con il recettore con un’affinità maggiore rispetto all’ormone naturale evocando una risposta più intensa e duratura, come accade per esempio nel caso del desametasone, un glucocorticoide di sintesi utilizzato a fini terapeutici per le sue proprietà antinfiammatorie. Invece, gli antagonisti non evocano risposte biologiche perché incapaci di attivare il meccanismo di trasduzione; pertanto competono con l’ormone naturale per il legame al recettore inibendo la risposta delle cellule bersaglio. Tra gli antagonisti di sintesi si ricorda il tamoxifene, un antagonista degli estrogeni impiegato nel trattamento del carcinoma della mammella. Alcuni composti si comportano come agonisti-antagonisti parziali in quanto, dopo il legame al recettore, evocano risposte funzionali inferiori rispetto a quelle prodotte dall’ormone naturale e quindi esercitano anche una parziale inibizione. Modificazioni quantitative dei recettori. L’espressione di specifici recettori è determinata geneticamente nei diversi tessuti. Tuttavia, in condizioni fisiologiche, sia il numero di recettori che la loro affinità sono regolati da stimoli ormonali. I meccanismi molecolari che intervengono in questi fenomeni sono molteplici e possono coinvolgere la modulazione dell’intensità di sintesi e di degradazione dei recettori, il loro sequestro in comparti subcellulari inaccessibili all’ormone e anche il cambiamento delle loro proprietà funzionali. Il numero di recettori nelle cellule bersaglio è regolato dagli stessi ormoni attraverso tre modalità: la down-regulation consiste nella riduzione del numero dei recettori a causa di un’eccessiva stimolazione ormonale, con desensibilizzazione delle cellule bersaglio che mostrano una ridotta capacità di rispondere all’ormone; la up-regulation rappresenta il meccanismo mediante il quale alcuni ormoni (angiotensina II, prolattina) inducono l’espressione dei propri recettori nelle cellule bersaglio, un fenomeno dovuto alla sintesi di nuove molecole di recettore oppure alla “ricomparsa”, a livello della membrana plasmatica, di recettori precedentemente internalizzati; il priming indica il fenomeno per cui l’espressione del recettore di un ormone è controllata da un diverso ormone (ad es. l’FSH induce la sintesi di recettori per l’LH nelle cellule di Leydig). SEU ROMA Recettori di membrana Sono strutture localizzate sulla membrana cellulare deputate a trasmettere il messaggio di ormoni che non sono in grado di diffondere all’interno della cellula perché non liposolubili. Sono distinti, in base al meccanismo d’azione, in 4 sottoclassi: 1) recettori tirosino-chinasici; 2) recettori guanilato-ciclasici; 3) recettori accoppiati alle proteine G; 4) recettori citochinici. I recettori appartenenti alle prime 2 sottoclassi sono dotati di funzione effettrice in quanto svolgono attività chinasica o consentono l’afflusso di ioni, mentre quelli delle sottoclassi 3 e 4 necessitano dell’intervento di un secondo messaggero (proteina G o tirosino-chinasi intracitoplasmatiche) per adempiere alla propria funzione. Principi di endocrinologia 9 Recettori tirosino-chinasici. I recettori ad attività tirosino-chinasica, il cui prototipo è rappresentato dal recettore per l’insulina, sono in grado di attivare direttamente le risposte cellulari senza la mediazione di sistemi di trasduzione del segnale e di messaggeri intracellulari. Sono circa 100 i recettori tirosino-chinasici noti, che si caratterizzano per un’elevata omologia di sequenza nella regione chinasica, mentre differiscono sostanzialmente nella porzione extracellulare così da poter riconoscere ligandi diversi. Strutturalmente sono costituiti da tre regioni, una extracellulare, una intracellulare e una trasmembrana che unisce le due porzioni intra- ed extracitoplasmatica. Il requisito iniziale per la traduzione del segnale è la dimerizzazione del recettore indotta dal legame con l’ormone. Dopo la dimerizzazione del recettore i residui tirosinici presenti nella porzione intracitoplasmatica vengono fosforilati. Questo processo comporta cambiamenti conformazionali del recettore che acquisisce la capacità di legare sia l’ATP che altre proteine definite “accessorie”, che vengono fosforilate con conseguente attivazione di altre vie di trasduzione del segnale (ad es. la via della fosfoinositolo 3 chinasi). Recettori guanilato-ciclasici. La guanilato-ciclasi regola la via del GMP-ciclico, un nucleotide ciclico che media gli effetti di numerosi peptidi e, tra gli ormoni, dell’ormone natriuretico atriale. Il recettore di questo ormone è costituito da una singola regione transmembrana con una porzione extracitoplasmatica che riconosce l’ormone e da un’ampia regione intracellulare che presenta un sito ad attività simil-chinasica. Si ritiene che l’interazione ormone-recettore determini dei mutamenti conformazionali che interrompono l’azione inibitoria sul sito simil-chinasico consentendo l’attivazione della guanilato-ciclasi. Recettori accoppiati alle proteine G. La maggior parte dei recettori di membrana è accoppiata a sistemi di trasduzione del segnale rappresentati dalle proteine G. Il meccanismo d’azione consiste nel legame dell’ormone al recettore con successivo intervento di un sistema di trasduzione del messaggio che, agendo su un sistema effettore, porta alla formazione di un secondo messaggero; quest’ultimo regola la risposta funzionale delle cellule bersaglio allo stimolo ormonale, Fig. 1.4. SEU ROMA Figura 1.4 – Rappresentazione schematica di un recettore di membrana accoppiato alle proteine G. 10 Endocrinologia I recettori accoppiati alle proteine G, pur essendo eterogenei dal punto di vista strutturale, hanno caratteristiche comuni. Sono proteine integrali di membrana costituite nella maggior parte dei casi da sette segmenti peptidici trasmembrana e dotate di un dominio extracellulare deputato al legame con l’ormone e di una porzione intracellulare che interagisce con le proteine G. Le differenze nella sequenza aminoacidica che caratterizza i molteplici recettori accoppiati alle proteine G, permettono di individuare tre famiglie recettoriali, a loro volta suddivise in base alla lunghezza della porzione aminoterminale. Le proteine G sono membri di una superfamiglia di proteine leganti il guanosin-trifosfato (GTP), che comprende proteine del citoscheletro come la tubulina, proteine che regolano la sintesi proteica e i prodotti del protoncogene ras. Sono associate al versante citoplasmatico della membrana cellulare e presentano una struttura eterotrimerica essendo costituite da tre subunità, α, β e γ, ciascuna codificata da un gene diverso. Quando la proteina è in condizioni di riposo le subunità sono associate mentre durante l’attivazione che segue il legame ormone-recettore si dissociano in α e β-γ. In assenza di stimolazione ormonale la proteina G in forma inattiva (αβ-γ) è legata al GDP, Fig. 1.5. L’attivazione del recettore, determinata dal legame dell’ormone, catalizza lo scambio GDP-GTP attraverso un cambiamento conformazionale della subunità α che ne induce il legame al GTP. Il legame del GTP causa la dissociazione di α dal recettore e dal complesso β-γ e il complesso subunità α-GTP interagisce con l’effettore. La subunità α è dotata di attività GTP-asica che idrolizza il GTP e riporta il meccanismo allo stato di riposo. I sistemi effettori regolati dalle proteine G sono numerosi; quelli di maggiore interesse endocrinologico sono l’adenilato ciclasi, attivata dalla proteina Gs, e la fosfolipasi C, attivata dalla proteina Gq. Adenilato-ciclasi. È una glicoproteina localizzata sul versante citoplasmatico della membrana cellulare, che converte l’ATP in AMP-ciclico (cAMP). Il cAMP, che funge da messaggero intracellulare, si lega alla proteino-chinasi A, proteina tetramerica costituita da due subunità regolatorie e due subunità catalitiche. Il cAMP interagisce SEU ROMA Figura 1.5 – Meccanismo d’azione delle proteine G. Principi di endocrinologia 11 con le subunità regolatrici permettendo il distacco delle subunità catalitiche e trasformando quindi la chinasi nella sua forma attiva, Fig. 1.6. La proteino-chinasi attivata catalizza reazioni di fosforilazione trasferendo il fosfato dall’ATP ai residui di serina e treonina delle proteine, la cui funzione viene così attivata o inibita. Nel caso in cui le proteine fosforilate siano enzimi, la loro attivazione si traduce in risposte funzionali metaboliche che regolano le attività controllate dall’ormone. Se invece si tratta di fattori di trascrizione, questi una volta attivati agiscono a livello nucleare modulando la trascrizione genica: è stato infatti identificato un fattore di trascrizione (c-AMP response element-binding protein, CREB) in grado di legarsi a sequenze geniche responsive all’AMP-ciclico (cAMP response element, CRE). Il meccanismo mediato dall’AMP-ciclico permette un’amplificazione a cascata del segnale. Infatti ciascun complesso ormone-recettore può attivare circa 10 molecole di proteina Gs, ognuna delle quali attiva una molecola di adenilato ciclasi producendo 100-150 molecole di AMP-ciclico. Il segnale ormonale viene quindi amplificato di circa 1.000 volte. Le catecolamine, il glucagone, gli ormoni glicoproteici ipofisari, il PTH agiscono aumentando le concentrazioni di AMP-ciclico. Per altri ormoni, come la somatostatina, il messaggio ormonale non è mediato dall’aumento ma dalla riduzione dell’AMP-ciclico, dovuta ad una diminuzione dell’attività dell’adenilato ciclasi di membrana mediata da proteine Gi. Fosfolipasi C. Alcuni ormoni, quali TRH, GnRH, catecolamine e angiotensina II, attivano una classe di secondi messaggeri rappresentata dai componenti della via del fosfatidilinositolo 4,5-difosfato. L’interazione ormone-recettore determina l’attivazione del sistema di trasduzione mediato da una classe di proteine G dette Gq. L’attivazione del trasduttore stimola la fosfolipasi C che scinde il fosfatidilinositolo SEU ROMA Figura 1.6 – Rappresentazione schematica dell’attivazione dell’adenilato-ciclasi ed eventi intracellulari regolati dall’AMP- ciclico. 12 Endocrinologia 4,5-difosfato (PIP2) con formazione di diacilglicerolo (DAG) e inositolo 1,4,5-trifosfato (IP3) che agiscono come secondi messaggeri, Fig. 1.7. L’IP3 induce il rilascio di Ca++ dal reticolo endoplasmatico, mentre il DAG, in presenza di Ca++ e fosfatidilserina, attiva una specifica proteino-chinasi detta proteino-chinasi C o Ca++/fosfolipide dipendente. Un ulteriore ruolo del Ca++ è rappresentato dal suo legame alla calmodulina, proteina in grado di regolare specifiche proteino-chinasi. La fosforilazione dei residui di serina e di treonina delle proteine, catalizzata dalla proteino-chinasi C, si traduce in modificazioni funzionali delle attività enzimatiche e dei processi metabolici della cellula. Recettori citochinici. Hanno un meccanismo d’azione simile a quello dei recettori tirosino-chinasici, con la differenza che non possiedono una capacità di fosforilazione intrinseca ma necessitano di una proteina associata. I ligandi per questi recettori comprendono ormoni come il GH, la prolattina, la leptina, l’eritropoietina e gran parte delle citochine, responsabili della regolazione della risposta immune. Sono costituiti da un’unica regione transmembrana e presentano un’omologia strutturale sia nella regione citoplasmatica che in quella extracellulare. Generalmente ciascuna molecola del ligando si lega a 2 subunità uguali (omodimero) che formano il recettore attivo. In alcuni casi tuttavia il legame può avvenire con subunità diverse tra di loro (eterodimero); questo fenomeno consente ad uno stesso ligando, in genere una citochina, di legarsi a differenti coppie di subunità così da ottenere una risposta cellulare più modulata. L’attività tirosino-chinasica è svolta da una famiglia di proteine, note come JAK (Janus family of tyrosine kinases), le quali dopo la dimerizzazione del recettore si attivano e fosforilano se stesse attivando a cascata altre proteine tra le quali i fattori di trascrizione STAT e la via della MAP chinasi. SEU ROMA Figura 1.7 – Rappresentazione schematica dell’attivazione della fosfolipasi C. Principi di endocrinologia 13 Recettori nucleari Gli ormoni liposolubili, come gli steroidi e gli ormoni tiroidei, attraversano la membrana cellulare esercitando i loro effetti dopo essersi legati a recettori intracellulari. Il complesso ormone-recettore riconosce, all’interno del nucleo, specifiche sequenze di DNA e regola la trascrizione di geni specifici e la loro traduzione in RNA messaggero e proteine. I ligandi che riconoscono i recettori nucleari sono accomunati dal basso peso molecolare e dal fatto di non essere codificati direttamente dal genoma in quanto derivano tutti da precursori assunti con la dieta e successivamente modificati nel nostro organismo. Inoltre la liposolubilità che caratterizza questi ormoni ne garantisce un rapido assorbimento a livello intestinale, permettendo così il loro impiego a fini terapeutici. Alcuni recettori nucleari sono localizzati nel citoplasma, mentre altri si trovano solamente all’interno del nucleo. Dal punto di vista funzionale i recettori nucleari possono essere suddivisi in 2 famiglie: la prima, che include i recettori per glucocorticoidi, mineralocorticoidi, androgeni e progesterone è detta la famiglia dei recettori per gli ormoni steroidei; la seconda, comprendente i recettori per ormoni tiroidei, estrogeni e vitamina D, è indicata come famiglia dei recettori per gli ormoni tiroidei. Recettori degli ormoni steroidei. La loro sequenza aminoacidica è organizzata in porzioni, dette dominii, dotate di proprietà funzionali differenti. Nella parte aminoterminale è presente il dominio di transattivazione che partecipa alla regolazione genica, mentre nella porzione carbossiterminale è localizzato il dominio deputato al legame con l’ormone. La parte centrale della sequenza aminoacidica contiene invece il dominio che si lega al DNA, caratterizzato da una struttura digitiforme determinata da un legame tra un atomo di zinco e quattro residui di cisteina (zinc finger region). Questa porzione è la più conservata tra i vari recettori della superfamiglia. In assenza dell’ormone i recettori degli ormoni steroidei sono presenti nel citoplasma in forma di complessi inattivi con proteine non recettoriali, definite proteine da shock termico (heat shock proteins = HSP) perché inducibili dopo esposizione delle cellule ad elevate temperature. Il legame con l’ormone induce modificazioni conformazionali del recettore che permettono la dissociazione dalle HSP con formazione di dimeri del complesso ormone-recettore ed esposizione del dominio che interagisce con il DNA. Esistono specifiche sequenze geniche ormono-responsive (hormone response elements = HRE), che sono denominate in base all’ormone a cui si riferiscono (glucocorticoidi, progesterone, androgeni) e che rappresentano gli elementi di regolazione della trascrizione da parte degli ormoni steroidei, cioè permettono il controllo dell’espressione del gene da parte dell’ormone specifico. Recettori degli ormoni tiroidei. I recettori nucleari degli ormoni tiroidei, codificati dal protooncogene c-erbA, hanno una struttura simile a quella dei recettori per gli steroidi; la regione che si lega al DNA è quella che presenta la maggiore omologia tra i membri della superfamiglia c-erbA, mentre differiscono la regione C-terminale, che lega l’ormone, e la regione N-terminale, più corta di quella dei recettori degli steroidi. I recettori della famiglia degli ormoni tiroidei sono localizzati nel nucleo, legati alla cromatina e non sono associati alle HSP. Il legame dell’ormone al recettore trasforma quest’ultimo in una forma funzionalmente attiva che interagisce con specifiche sequenze di DNA localizzate nella regione regolatoria del gene. Recenti studi hanno dimostrato che alcune azioni degli steroidi e degli ormoni tiroidei possono essere mediate da meccanismi non genomici. Infatti, alcuni recettori per gli estrogeni sono localizzati sulla membrana cellulare; inoltre recettori per SEU ROMA 14 Endocrinologia la T3 sono stati riscontrati sulla superficie interna della membrana mitocondriale nel fegato, nel rene e nel muscolo, tessuti nei quali gli ormoni tiroidei stimolano la fosforilazione ossidativa. I rapporti di eventuale cooperazione o inibizione tra le azioni genomiche e non genomiche sono oggetto di approfonditi studi e non sono stati ancora ben compresi. Effetti fisiologici degli ormoni SEU Gli ormoni, interagendo con recettori localizzati a livello delle cellule bersaglio, evocano risposte multiple e specifiche, regolando le attività enzimatiche, l’espressione genica e la sintesi proteica. Virtualmente tutti i tessuti dell’organismo sono sensibili agli ormoni e, sebbene ciascun ormone svolga funzioni ben definite, descritte in dettaglio nei capitoli successivi, nel complesso gli effetti fisiologici degli ormoni possono essere distinti in quattro categorie. Sviluppo e crescita. L’influenza degli ormoni sullo sviluppo è evidente fin dalla vita fetale, come dimostrato per esempio dalle alterazioni del sistema nervoso centrale dovute alla carenza di ormoni tiroidei. Nel periodo postnatale i principali ormoni deputati al controllo della crescita sono il GH e l’IGF-1; contribuiscono in maniera determinante anche la vitamina D, necessaria per la maturazione scheletrica, gli steroidi sessuali, che inducono la saldatura delle epifisi, e gli ormoni tiroidei. Produzione e conservazione di energia. L’insulina, il glucagone, il GH, le catecolamine, gli ormoni tiroidei e i glucocorticoidi regolano il metabolismo di carboidrati, lipidi, proteine e acidi nucleici e promuovono la conversione dei composti introdotti con la dieta in energia utilizzabile immediatamente o in riserve. Questi ormoni agiscono in maniera coordinata in modo da assicurare una risposta adeguata alle esigenze dell’organismo, esigenze che variano per esempio in condizioni di digiuno o di stress. Riproduzione. Gli ormoni controllano lo sviluppo e la funzione delle gonadi e contribuiscono in modo cruciale alla differenziazione anatomica, funzionale e comportamentale dei due sessi. Gli estrogeni, il progesterone e gli androgeni, regolati dalle tropine ipofisarie, consentono la maturazione sessuale, l’acquisizione e il mantenimento della capacità riproduttiva, la gravidanza, l’espletamento del parto e la lattazione. Mantenimento dell’omeostasi. Gli ormoni sono responsabili del mantenimento e della regolazione delle condizioni ottimali di tutti gli organi e apparati anche in rapporto alle modificazioni ambientali. Tutti i principali sistemi omeostatici (pressione arteriosa, frequenza cardiaca, bilancio idroelettrolitico, equilibrio acido-base, temperatura corporea, composizione dei tessuti corporei), tranne la respirazione, sono sottoposti a controllo ormonale. ROMA Sistemi di retroregolazione o di regolazione ormonale a feedback Il feedback o meccanismo di retroregolazione è una caratteristica fondamentale dei sistemi endocrini, mediante la quale gli ormoni controllano gli effetti biologici che essi determinano e questi, a loro volta, regolano la secrezione degli stessi ormoni. Il sistema di feedback consiste in un flusso bidirezionale continuo di informazioni tra la sede di produzione dell’ormone e il tessuto bersaglio ed è pertanto fondamentale per il mantenimento dell’omeostasi. Il feedback è definito positivo o negativo a se- Principi di endocrinologia 15 conda che provochi una stimolazione o un’inibizione dell’azione ormonale. In base alla distanza che intercorre tra l’ormone e il tessuto bersaglio, il feedback è distinto in lungo, corto e ultracorto. Il feedback lungo è quello che si verifica tra ipotalamoipofisi e ghiandola bersaglio, con effetto sia stimolatorio che inibitorio. Un esempio è il feedback esercitato dagli ormoni tiroidei sulla secrezione di TRH-TSH, Fig. 1.8: la riduzione degli ormoni tiroidei circolanti induce un rapido incremento delle concentrazioni di TRH e TSH, che stimolano la ghiandola tiroidea a sintetizzare ormoni, con lo scopo di normalizzare i valori sierici di T3 e T4; al contrario l’elevazione dei livelli degli ormoni tiroidei sopprime la produzione di TRH e TSH. Il feedback corto si verifica invece tra gli ormoni ipofisari e i loro releasing hormones ipotalamici con effetto sia stimolatorio che inibitorio; con questo meccanismo il TRH stimola la produzione di TSH che, a sua volta, inibisce la secrezione di TRH, Fig. 1.8. Infine il feedback ultracorto è quello per cui l’ormone controlla la sua secrezione inibendo, con meccanismo autocrino e paracrino, la funzione delle cellule che lo producono e di quelle circostanti. La regolazione a feedback interessa anche sistemi che non coinvolgono l’ipofisi: ad esempio il calcio con questo meccanismo modula la secrezione di PTH, mentre la glicemia regola i livelli sierici di insulina. L’esistenza dei sistemi di feedback riveste una grande importanza diagnostica e la conoscenza di questi meccanismi di regolazione è fondamentale per la corretta interpretazione dei risultati delle indagini ormonali. Ad esempio, bassi valori di ormoni tiroidei generalmente si associano ad un’elevazione del TSH (ipotiroidismo primario); quando ciò non accade bisogna considerare la presenza di un deficit tiroideo secondario ad una patologia ipotalamo-ipofisaria (ipotiroidismo centrale). Inoltre la maggior parte dei test dinamici (vedi il paragrafo Malattie endocrine) si basa sulla valutazione dell’integrità dei sistemi di feedback, che risultano alterati in numerose patologie endocrine. SEU ROMA Figura 1.8 – Feedback lungo (gli ormoni tiroidei inibiscono la secrezione di TSH e TRH) e corto (il TSH inibisce la secrezione di TRH). 16 Endocrinologia Ritmi endocrini Il sistema endocrino è regolato in modo dinamico con oscillazioni temporali variabili (da pochi minuti a 1 anno) delle secrezioni ormonali. Le variazioni regolari nel tempo sono definite ritmi e possono essere rappresentate con un modello matematico sinusoidale, che consente di quantificare i ritmi biologici utilizzando 5 parametri: il periodo, l’ampiezza, lo zenith, il nadir e il mesor. Il periodo di un ritmo è l’intervallo di tempo che intercorre tra 2 episodi identici nel corso della variazione ed è quindi una misura della frequenza delle variazioni dei livelli ormonali. A seconda della lunghezza del periodo i ritmi si dividono in ultradiani, circadiani e infradiani, Fig. 1.9. Il ritmo ultradiano ha una durata inferiore alle 20 ore ed è caratteristico degli ormoni ipofisari, che presentano oscillazioni episodiche della secrezione ad intervalli di 1-4 ore; il ritmo circadiano, con una durata compresa tra 20 e 28 ore, si verifica nella secrezione della maggior parte degli ormoni; il ritmo infradiano presenta una durata superiore alle 28 ore ed è tipico della secrezione delle gonadotropine durante il ciclo mestruale. L’ampiezza del ritmo viene definita come la differenza tra il valore massimo e quello minimo. L’acrofase o zenith di un ritmo corrisponde al massimo dell’oscillazione, cioè al picco di secrezione, mentre il nadir corrisponde al minimo, cioè al valore più basso della concentrazione dell’ormone. Il mesor (midline estimating statistic of rhythm) corrisponde alla media aritmetica dei valori dell’ormone. I ritmi endocrini, e più in generale i ritmi biologici, sono necessari per il mantenimento dell’omeostasi e sono espressione delle capacità adattative dell’organismo alle variazioni ambientali (ciclo buio-luce) e alle esigenze fisiologiche (ciclo sonnoveglia), rappresentando una sorta di orologio interno che regola la sequenza temporale degli eventi fisiologici. In condizioni patologiche i ritmi endocrini, essenziali per la normale funzione della maggior parte degli ormoni, sono invece alterati. Queste alterazioni sono importanti dal punto di vista clinico e diagnostico perché permettono la corretta interpretazione delle variazioni temporali dei valori ormonali. Ad esempio, la secrezione di ACTH e di cortisolo è caratterizzata da un ritmo circadiano, con valori massimi al mattino che si riducono gradualmente durante il resto del giorno raggiungendo livelli minimi nella notte; la perdita della ritmicità circadiana della SEU ROMA Figura 1.9 – Ritmi endocrini. Principi di endocrinologia 17 secrezione di cortisolo è un indice di ipercortisolismo più importante di un singolo valore ormonale. La conoscenza del ritmo ormonale è rilevante anche dal punto di vista terapeutico; infatti, nella terapia di un paziente con insufficienza surrenale, la dose sostitutiva di cortisone deve essere somministrata rispettando il ritmo fisiologico dell’ormone, cioè 2/3 al mattino e 1/3 al pomeriggio. Al contrario, se si desidera ottenere la soppressione dell’asse ipofisi-surrene, la dose di corticosteroidi deve essere somministrata alla sera, prima dell’incremento circadiano dell’ACTH. SEU Ormoni e sistema immune I processi infettivi, infiammatori, autoimmunitari, e più in generale tutti gli eventi di danno tessutale sono caratterizzati dall’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, da modificazioni dei livelli plasmatici degli ormoni tiroidei, da inibizione della funzione riproduttiva e da alterazioni del metabolismo dei carboidrati. Queste modificazioni rappresentano delle risposte non specifiche allo stress, all’aumentato catabolismo o alla riduzione dell’apporto calorico; i mediatori dell’infiammazione esercitano peraltro un’azione diretta sul sistema endocrino e viceversa. Infatti il sistema endocrino e quello immune sono integrati attraverso un circuito bidirezionale mediante il quale gli ormoni e i neuropeptidi influenzano il sistema immune e la risposta immune, a sua volta, modifica il sistema endocrino. Effetti del sistema endocrino sul sistema immune. Il sistema endocrino produce ormoni e neuropeptidi che regolano la risposta immune attraverso specifici recettori presenti sulle cellule del sistema immune. In linea generale i glucocorticoidi, gli estrogeni, i progestinici e gli androgeni deprimono la risposta immune mentre il GH, la PRL, il TSH, gli ormoni tiroidei, l’insulina e il CRH la stimolano. Il sistema immune produce peraltro ormoni e neuropeptidi la cui secrezione è controllata dall’ipofisi: peptidi correlati alla proopiomelanocortina, GH, PRL, TSH, LH, FSH e peptidi derivati dalla proencefalina. Gli ormoni che influiscono maggiormente sul sistema immunitario sono i glucocorticoidi, che per le loro proprietà antinfiammatorie ed immunosoppressive sono ampiamente sfruttati in ambito clinico per il trattamento delle patologie autoimmuni e delle malattie infiammatorie croniche. Va rilevato che nella risposta immune dopo la pubertà si riscontrano differenze tra i due sessi: in generale la risposta immune, sia umorale che cellulo-mediata, è più attiva nei soggetti di sesso femminile rispetto a quelli di sesso maschile, ad eccezione del periodo della gravidanza. Queste differenze sono riconducibili al fatto che gli estrogeni esercitano effetti sia inibitori che stimolatori sul sistema immune: inducono un aumento dell’immunità umorale ma deprimono l’immunità cellulo-mediata riducendo l’attività dei linfociti T, l’attività natural-killer e la produzione di fattori timici che stimolano la proliferazione dei linfociti T suppressor. Questi effetti determinano un incremento della produzione anticorpale e rivestono pertanto un ruolo rilevante nella patogenesi delle malattie autoimmuni, la cui prevalenza è infatti significativamente maggiore nel sesso femminile. Si rileva, inoltre, che gli effetti immunosoppressivi degli estrogeni e del progesterone sono responsabili della tolleranza immunologica tipica della gravidanza, che impedisce la reazione immune contro il feto. Nel postpartum la caduta dei livelli di estrogeni e progesterone stimola la reattività immunologica, potendo determinare un’esacerbarsi delle malattie autoimmuni preesistenti alla gravidanza. ROMA 18 Endocrinologia Effetti del sistema immune sul sistema endocrino. Il sistema immune influenza le cellule endocrine attraverso le citochine prodotte dalle cellule immuni attivate. Le molecole che influiscono maggiormente sulle funzioni endocrine comprendono l’interleuchina 1 (IL-1), l’interleuchina 2 (IL-2), l’interleuchina 6 (IL-6), il fattore di necrosi tumorale α (TNFα) e l’interferone γ (IFNγ). Nel complesso il meccanismo di feedback citochine/asse ipotalamo-ipofisi-surrene stimola la produzione di glucocorticoidi, che a loro volta limitano la risposta infiammatoria. L’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide viene invece inibito dalle citochine infiammatorie. Inoltre la produzione di IFN-γ da parte dei linfociti intratiroidei induce l’espressione aberrante di antigeni del complesso MHC di classe II innescando il processo autoimmune. L’IL-1 a livello ipotalamico esercita un effetto inibitorio sulla secrezione di GnRH con un meccanismo mediato dagli oppioidi endogeni, mentre a livello gonadico inibisce l’azione di FSH ed LH e riduce la sintesi degli steroidi sessuali. Infine le citochine contribuiscono alla sintesi di GH, di PRL, di vasopressina e di ossitocina. SEU Malattie endocrine Le malattie endocrine, o endocrinopatie, sono caratterizzate da una carenza o da un eccesso di ormoni, che nella maggior parte dei casi sono riconducibili, rispettivamente, a ipo o iperfunzione di una determinata ghiandola endocrina. Prevalenza La prevalenza varia in rapporto a fattori ambientali, genetici e sociali. Nei Paesi occidentali le malattie endocrine rappresentano la seconda causa di consultazione del medico; le endocrinopatie più frequenti comprendono le tireopatie, il diabete mellito, l’obesità, le dislipidemie, gli ipogonadismi, le patologie ipofisarie e quelle surrenali. Inoltre, nelle popolazioni ad elevato tenore socio-economico, le endocrinopatie costituiscono la 7a causa di morte; va peraltro rilevato che la causa più frequente di morte, cioè la malattia cardiovascolare nelle sue molteplici espressioni cliniche (cardiopatia ischemia, ictus cerebri, vasculopatia periferica), rappresenta spesso una complicanza del diabete e delle iperlipidemie ed è quindi significativamente correlata alle malattie endocrino-metaboliche. Nei Paesi del Terzo Mondo la patologia endocrina più frequente è il gozzo, che in alcune aree colpisce fino all’80% della popolazione generale, mentre le altre endocrinopatie sono più rare, data l’elevata prevalenza delle malattie infettive e di quelle da carenza alimentare. ROMA Classificazione Endocrinopatie da insufficienza ormonale La carenza ormonale si manifesta con una sindrome clinica da insufficienza endocrina della ghiandola corrispondente. Nella maggior parte dei casi l’alterazione è dovuta ad una ridotta produzione ormonale, mentre più raramente si verifica una resistenza tessutale all’azione dell’ormone. 1. Distruzione o assenza della ghiandola endocrina. Il deficit ormonale può essere dovuto ad ipo-agenesia o disgenesia, a distruzione autoimmune (dia- Principi di endocrinologia 19 bete mellito di tipo 1, ipotiroidismo da tiroidite di Hashimoto, ecc.), a danno iatrogenico (chirurgico, radiante o farmacologico), ad infarto (ad es. apoplessia ipofisaria), a distruzione flogistica o neoplastica. 2. Deficit della sintesi ormonale. I difetti dell’ormonogenesi possono essere dovuti ad alterazioni del gene che codifica per l’ormone carente (ad es. deficit di GH), a deficit di attività enzimatiche (ad es. alterazioni della steroidogenesi surrenale e dell’ormonogenesi tiroidea), a farmaci che interferiscono con la biosintesi ormonale o a carenze alimentari (ipotiroidismo da insufficiente apporto di iodio, deficit di vitamina D). 3. Aumento del catabolismo ormonale. L’insufficienza ormonale può essere indotta da farmaci che stimolano il metabolismo ormonale (ad es. la fenitoina e gli ormoni tiroidei aumentano il catabolismo dei glucocorticoidi). 4. Resistenza ormonale. Può essere dovuta a deficit recettoriali (ridotto numero di recettori o diminuita affinità del recettore per l’ormone) o postrecettoriali (alterazioni del sistema di trasduzione del segnale ormonale a valle del recettore). L’insufficiente azione ormonale a livello degli organi bersaglio comporta un’alterazione del meccanismo di feedback con aumento della produzione dell’ormone, i cui livelli circolanti sono pertanto normali o elevati. La riduzione del numero di recettori può essere dovuta anche alla somministrazione di ormoni esogeni, come si osserva nei pazienti trattati con analoghi del GnRH a lunga durata d’azione, nei quali si verifica inizialmente un aumento della produzione di gonadotropine, seguito da una diminuzione della risposta ormonale e castrazione funzionale. L’azione dell’ormone può essere compromessa anche dalla produzione di anticorpi anti-ormone (deficit pre-recettoriale), come accade in presenza di anticorpi che bloccano il recettore dell’insulina impedendone l’azione sulle cellule bersaglio. La resistenza ormonale comprende anche i casi di alterata trasformazione dei precursori ormonali nella forma attiva: ad esempio il deficit della 5α−reduttasi comporta l’incapacità di trasformare il testosterone in diidrotestosterone, metabolicamente più attivo, con conseguente ipoandrogenismo tessutale e pseudoermafroditismo maschile. Un altro esempio riguarda il deficit dell’enzima renale che idrossila la 25(OH)D in posizione 1α con conseguente mancata produzione dell’ormone attivo 1,25(OH)2D. SEU ROMA Endocrinopatie da eccesso ormonale Le sindromi da eccesso ormonale sono riconducibili ad un’eccessiva presenza di ormoni a livello delle cellule bersaglio, dovuta a diversi meccanismi. 1. Iperfunzione primaria della ghiandola endocrina. In genere è dovuta ad un’alterazione primitiva della ghiandola che produce l’ormone. Nella maggior parte dei casi è causata dall’iperplasia o dalla proliferazione neoplastica, benigna o maligna, di cellule endocrine (adenomi ipofisari, noduli tiroidei autonomi, iperaldosteronismo, iperparatiroidismo primario, insulinoma, ecc.). Nella malattia di Basedow-Graves l’iperproduzione ormonale è dovuta ad autoanticorpi diretti contro il recettore del TSH che mimano l’azione dell’ormone tireotropo stimolando la ghiandola tiroidea. 2. Iperfunzione secondaria da eccesso di tropine ipofisarie. L’iperfunzione ghiandolare è secondaria ad iperplasia o adenoma ipofisario con iperproduzione di una determinata tropina ipofisaria ed iperstimolazione della ghiandola 20 Endocrinologia 3. 4. 5. 6. 7. bersaglio (ad es. ipercorticosurrenalismo da adenoma ACTH-secernente o malattia di Cushing). Produzione ectopica ormonale. La produzione ectopica è dovuta a tumori derivanti da cellule che normalmente non producono l’ormone (ad es. sindrome di Cushing da iperproduzione di ACTH da parte di un microcitoma polmonare). Ipersensibilità tessutale. È dovuta ad un aumento del numero o dell’affinità dei recettori per l’ormone. In alcuni casi sono state riscontrate mutazioni che attivano il recettore o il sistema di trasduzione del segnale indipendentemente dal legame con l’ormone (ad es. attivazione costitutiva della subunità α della proteina G nella sindrome di McCune-Albrigth) Riduzione del catabolismo ormonale. Può essere correlata all’assunzione di farmaci o a condizioni patologiche intrinseche all’organismo (ad es. iperprolattinemia dovuta a ridotta eliminazione nei pazienti con insufficienza renale). Iperproduzione periferica dei precursori. L’eccesso ormonale è dovuto all’iperproduzione da eccessiva trasformazione periferica dell’ormone attivo a partire dai suoi precursori (ad es. iperestrogenismo da trasformazione dell’androstenedione in estrogeni nelle epatopatie). Eccesso di somministrazione esogena. L’eccesso ormonale è dovuto all’eccessiva somministrazione di ormoni o sostanze con azione ormonale (sindrome di Cushing da terapia steroidea, somministrazione di anabolizzanti, GH o eritropoietina negli atleti). Diagnosi SEU Il quadro clinico associato alle endocrinopatie varia in rapporto alla gravità e alla durata della disfunzione endocrina. Inoltre talvolta si verificano meccanismi di compensazione per cui la malattia si manifesta soltanto in una fase molto avanzata, come accade nell’ipotiroidismo da deficit dell’ormonogenesi tiroidea, nel quale la ridotta produzione di tiroxina determina un’ipersecrezione di TSH con conseguente ipertrofia compensatoria della tiroide e formazione di gozzo. Alcune sindromi da disfunzione endocrina, ad esempio la tireotossicosi grave, presentano una sintomatologia evidente fin dall’inizio, ma spesso le endocrinopatie esordiscono lentamente e le prime manifestazioni cliniche sono lievi, sfumate e non facilmente riscontrabili all’anamnesi e all’esame obiettivo, per cui la malattia può essere svelata soltanto con opportune indagini di laboratorio. ROMA Anamnesi ed esame obiettivo L’accertamento clinico dello stato endocrino di un paziente si fonda sugli elementi emersi da un’anamnesi approfondita, familiare e personale, fisiologica e patologica, e da un esame obiettivo accurato. Bisogna comunque considerare che molti sintomi e segni associati alla malattie endocrine sono spesso dovuti a cause non endocrine. Inoltre, dato che gli ormoni influenzano la funzione di tutti i tessuti e di tutti gli organi, gli aspetti clinici associati alle malattie endocrine sono estremamente vari e possono essere generalizzati o localizzati. Indagini di laboratorio Il sospetto diagnostico deve in ogni caso essere confermato attraverso opportune indagini di laboratorio. Principi di endocrinologia 21 Determinazione dei valori ormonali basali nel sangue e/o nelle urine. Lo studio della funzione di una data ghiandola endocrina prevede innanzitutto la determinazione dell’ormone prodotto e/o dei suoi metaboliti nel plasma e/o nelle urine in condizioni basali. Infatti la diagnosi di endocrinopatia è spesso basata sulla dimostrazione di valori ormonali aumentati o diminuiti, tenendo comunque presente che per la corretta interpretazione dei risultati bisogna considerare anche l’età, il sesso, l’ora del prelievo, il ritmo circadiano, l’esercizio fisico, lo stato emotivo, la funzione epatica e renale, la presenza di altre malattie e l’eventuale assunzione di farmaci. Le indagini ormonali su sangue permettono di dosare i livelli dell’ormone in un determinato momento, pertanto nel caso degli ormoni con lunga emivita (per esempio la tiroxina) consentono di accertare lo stato funzionale ghiandola con buona attendibilità, mentre per gli ormoni con breve emivita (come l’adrenalina o l’insulina) l’indagine fornisce informazioni solo sulla quantità di ormone presente al momento del prelievo. Pertanto un feocromocitoma che rilascia adrenalina in maniera episodica è associato ad elevati livelli plasmatici dell’ormone solo nel periodo dell’immissione in circolo dell’adrenalina. La sindrome di Cushing può essere associata ad un’aumentata frequenza dei picchi del cortisolo con livelli plasmatici normali dell’ormone tra i picchi. Per gli ormoni che vengono secreti e rilasciati in maniera episodica è quindi necessario determinare più volte l’ormone su prelievi distanziati nel tempo oppure misurarlo su un pool di campioni prelevati a distanza di 30 minuti l’uno dall’altro. Molti ormoni, come la tiroxina e gli steroidi, circolano legati a proteine di trasporto e quindi il dosaggio delle frazioni totali è indicativo solo se non esistono anomalie quantitative o qualitative delle proteine di trasporto; pertanto il dosaggio delle frazioni libere degli ormoni fornisce risultati più attendibili. Va infine notato che i valori plasmatici di numerosi ormoni oscillano in uno scarto (range) anche molto ampio, per cui è bene determinare non solo l’ormone di interesse ma anche quello che lo regola tramite il meccanismo di feedback perché il loro rapporto è costante e quindi all’elevazione di uno corrisponde l’abbassamento dell’altro e viceversa, con l’eccezione delle sindromi da resistenza. La determinazione urinaria di un ormone o dei suoi metaboliti riflette i valori plasmatici dell’ormone e la sua secrezione ghiandolare e in genere si effettua sulle urine totali delle 24 ore. Il dosaggio urinario in alcuni casi è vantaggioso rispetto a quello plasmatico in quanto indica la quantità totale di ormone secreto nelle 24 ore, un dato molto utile per la valutazione degli ormoni secreti in maniera episodica e dotati di una breve emivita. Affinché la determinazione sia valida deve essere misurata la creatinina urinaria, che conferma l’adeguatezza della raccolta urinaria. Si ricorda che le alterazioni della funzione renale inoltre possono modificare l’escrezione urinaria dell’ormone e quindi fuorviare la diagnosi. Indagini dinamiche (di stimolo e di soppressione). Quando la disfunzione endocrina non è ancora così evidente da modificare i valori ormonali basali è necessario ricorrere alle prove dinamiche di stimolo o di inibizione, basate sulla somministrazione di sostanze che modificano la produzione endogena dell’ormone in studio. Infatti queste indagini permettono di evidenziare il significato di valori ai limiti della norma: le prove di stimolo evidenziano condizioni di insufficienza e quelle di inibizione rilevano stati di iperfunzione. I test di stimolo inoltre consentono di distinguere un’insufficienza endocrina primaria da una secondaria e di determinare la riserva endocrina della ghiandola bersaglio. SEU ROMA 22 Endocrinologia Determinazione degli autoanticorpi. In alcune endocrinopatie la determinazione di anticorpi diretti verso ormoni o tessuti endocrini è fondamentale per stabilire la diagnosi. Gli anticorpi possono essere stimolanti, inibenti o bloccanti e nello stesso individuo possono coesistere più tipi di anticorpi. Indagini per immagini In alcuni casi è fondamentale sia per la diagnosi che per la localizzazione dell’endocrinopatia. L’ecografia consente una visualizzazione bidimensionale della struttura esplorata identificando formazioni solide di almeno 3-4 mm e lesioni cistiche di 2 mm. La tomografia computerizzata (TC) e la risonanza magnetica (RM) permettono di individuare lesioni di 2-3 mm e di distinguere l’iperplasia dal tessuto normale. La TC è un’indagine basata sull’impiego dei raggi X che consente l’elaborazione elettronica dei dati fornendo immagini degli strati trasversali della struttura esaminata; il suo potere analitico è cento volte superiore rispetto a quello della radiografia convenzionale. La RM fornisce immagini orientate sui piani assiale, frontale e sagittale. Si tratta di una tecnica fondata sul principio della risonanza emessa dai nuclei atomici sollecitati da impulsi ad alta energia all’interno di un campo magnetico; la RM si avvale pertanto dell’interazione di un campo magnetico esterno con quello intrinseco delle strutture corporee. La scintigrafia è basata sull’assunzione e sulla dismissione di un radioisotopo (ad es. radioiodio, pertecnetato, MIBG) e fornisce informazioni sia morfologiche che funzionali della ghiandola in esame. Terapia SEU Il trattamento dei deficit ormonali si avvale della terapia endocrina sostitutiva, che tuttavia non è sempre di facile attuazione a causa della mancata disponibilità dell’ormone carente o della difficile somministrazione di questo, oppure perché non è possibile evitare l’instaurarsi di complicanze. Gli ormoni polipeptidici impiegati per il trattamento sostitutivo sono attualmente sintetizzati in vitro attraverso le tecniche del DNA ricombinante, che permettono di produrre su scala industriale proteine identiche alla sostanza nativa. Rispetto alle preparazioni estrattive animali (insulina) o umane (GH) precedentemente impiegate, le molecole sintetizzate in laboratorio non solo offrono il vantaggio di avere una disponibilità praticamente illimitata e a basso costo, ma sono anche più sicure e presentano una minore immunogenicità. L’ingegneria genetica peraltro consente di ottenere proteine parzialmente modificate rispetto alla molecola nativa, in modo da avere caratteristiche farmacocinetiche differenti mantenendo invariata l’affinità per il recettore; ciò offre notevoli vantaggi clinici, come evidenziato dalla possibilità di impiegare diversi tipi di insulina a seconda della situazione clinica specifica. Alcuni ormoni sintetizzati mediante le biotecnologie sono impiegati anche a fini diagnostici. In caso di iperfunzione la terapia si pone come obiettivo quello di ridurre la sintesi ormonale o di diminuirne l’azione periferica dell’ormone prodotto in eccesso: a tale scopo possono essere impiegati appositi presidi farmacologici oppure, in alcuni casi, si ricorre alla rimozione chirurgica o radiante della causa dell’eccesso ormonale, rappresentata in genere da un tumore, da un’iperplasia o da una ghiandola intera affetta da una malattia autoimmune (malattia di Basedow-Graves). ROMA Principi di endocrinologia 23 Terapia ormonale in malattie non endocrine e nello sport Le molteplici azioni degli ormoni hanno permesso il loro impiego anche nel trattamento di malattie non endocrine. Gli ormoni più frequentemente utilizzati sono i glucocorticoidi, dotati di una potente azione antinfiammatoria. Altri farmaci ampiamente utilizzati nella pratica clinica sono gli antiandrogeni nel trattamento del carcinoma prostatico, i modulatori selettivi del recettore degli androgeni (tamoxifene) nelle donne affette da carcinoma mammario e gli analoghi del GnRH a lunga durata d’azione, usati in entrambe queste condizioni per indurre una castrazione funzionale e minimizzare gli effetti degli steroidi sessuali sulla progressione tumorale. Va infine ricordato che numerosi ormoni (GH, IGF, eritropoietina, steroidi anabolizzanti, insulina) sono utilizzati dagli atleti per migliorare le prestazioni agonistiche; purtroppo tale impiego è ingiustificato perché induce dei danni spesso irreversibili per l’organismo, determinando in alcuni casi complicazioni anche mortali. In questa sede sono riportati gli aspetti fondamentali riguardanti l’uso dell’eritropoietina, secreta dal rene; per la trattazione degli altri ormoni usati illegalmente nello sport si rimanda ai capitoli specifici. SEU Eritropoietina: impiego clinico e nel doping L’eritropoietina (EPO) è un ormone glicoproteico di origine renale che promuove la produzione dei globuli rossi e la cui secrezione è regolata da un sistema di feedback: l’ipossia aumenta la produzione di EPO e di conseguenza anche quella dei globuli rossi, mentre l’iperossia riduce le concentrazioni dell’ormone. Le principali indicazioni per l’impiego clinico dell’EPO comprendono l’anemia secondaria ad insufficienza renale e quella che compare in pazienti affetti da cancro o in conseguenza di trattamenti radio- e chemioterapici. Dato che l’EPO naturale non può essere facilmente purificata in quantità rilevanti, questo ormone viene prodotto con le tecniche dell’ingegneria genetica. L’EPO ricombinante in realtà non è costituita da una singola proteina, ma da una miscela di sialoproteine con residui zuccherini attaccati in varia maniera a 4 potenziali siti. In ambito terapeutico viene utilizzata anche la darbopoietina, una proteina prodotta mediante tecnologia ricombinante che differisce dall’EPO in cinque porzioni; la darbopoietina ricombinante ha due siti aggiuntivi per l’attacco di due carboidrati e pertanto è composta da un numero maggiore di entità chimiche. L’EPO è in genere somministrata per via sottocutanea, ma anche endovenosa, 3 volte a settimana ad una dose iniziale complessiva di 200 UI; la darbopoietina è invece somministrata in un’unica dose settimanale di 1 μg. Il dosaggio viene modificato in base al valore dell’emoglobina. Dagli anni ’80 è iniziato l’impiego di EPO anche a scopo di doping, soprattutto negli atleti sottoposti a sforzi fisici prolungati (ciclisti, maratoneti, ecc.). La finalità dell’abuso di EPO in ambito sportivo è quella di aumentare la massa circolante degli eritrociti e quindi la capacità di trasportare l’ossigeno ai tessuti ed in particolare ai muscoli. Spesso all’EPO viene associato l’impiego di broncodilatatori, che aumentano lo scambio gassoso a livello polmonare. Il Comitato Olimpico Internazionale ha proibito l’uso di EPO in manifestazioni ufficiali a partire dal 1989; per identificare le eritropoietine ricombinanti usate dagli atleti vengono impiegate tecniche che sfrutta- ROMA 24 Endocrinologia no le differenze nell’attacco dei carboidrati e quindi il diverso numero di molecole di acido sialico rispetto all’EPO naturale. Ovviamente il limite di queste determinazioni è correlato all’emivita urinaria dei farmaci impiegati (48 ore per l’EPO e 1 settimana per la darbopoietina). Va rilevato che l’impiego dell’EPO, sia a fini terapeutici che nello sport, non è scevro da rischi e complicanze anche gravi, che comprendono ipertensione, mialgia, trombosi, incidenti cerebrovascolari e infarto miocardio. Una complicanza rara è l’aplasia specifica della serie rossa, dovuta alla formazione di anticorpi anti-EPO. È da rilevare che la maggior parte dei dati disponibili è comunque riferita a popolazioni di pazienti e pertanto non sono direttamente confrontabili con i potenziali rischi dell’impiego dell’EPO negli atleti. Bibliografia SEU Borrione P, Mastrone A, Salvo RA, et al, Oxygen delivery enhancers: past, present, and future, J Endocrinol Invest, 2008, 31(2), 185. Buonamano A e Romagnani P, Doping con eritropoietina, l’Endocrinologo, 2003, 4, 90. Federman DD, The endocrine patient, in “Williams Textbook of Endocrinology”, XI Ed, Kronenberg HM, Melmed S, Polonsky KS, Larsen PR Eds, Saunders Elsevier, Philadelphia, 2008, 12. Gaudard A, Varlet-Marie E, Bressolle F, Audran M, Drugs for increasing oxygen and their potential use in doping: a review, Sports Med, 2003, 33(3), 187. Kronenberg HM, Melmed S, Larsen PR, Polonsky KS, Principles of endocrinology, in “Williams Textbook of Endocrinology”, XI Ed, Kronenberg HM, Melmed S, Polonsky KS, Larsen PR Eds, Saunders Elsevier, Philadelphia, 2008, 3. 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