Le dinamiche economiche della provincia di Avellino nel 2014 e le prime prospettive per il 2015 Luglio 2015 1 Il presente lavoro è stato realizzato dall’Unione regionale delle Camere di commercio campane e dalla Camera di Commercio di Avellino, in collaborazione con l’Istituto Guglielmo Tagliacarne. Gruppo di lavoro Istituto Guglielmo Tagliacarne Domenico Mauriello, Direttore Giacomo Giusti, Responsabile Ufficio di Statistica Riccardo Achilli, Ricercatore 2 INDICE 1 Lo scenario economico nazionale e internazionale (*) ............................................................................... 4 2 L’economia della provincia di Avellino nel 2014 .......................................................................................13 3. Nuove linee di sviluppo: l'economia della cultura ....................................................................................21 4. Nuove linee di sviluppo: la green economy .............................................................................................27 5. Il ruolo della provincia di Avellino nell'agroalimentare ............................................................................32 6. La digitalizzazione delle imprese campane ..............................................................................................40 7. I segnali del mercato del credito .............................................................................................................48 8. Prime tendenze per il 2015: L'evoluzione della base imprenditoriale .......................................................54 9. Prime tendenze per il 2015: Il primo trimestre del settore manifatturiero e previsioni per il secondo .....60 10. Prime tendenze per il 2015: Il primo trimestre del settore dei servizi e delle costruzioni e previsioni per il secondo ......................................................................................................................................................65 11. I recenti trend del mercato del lavoro e l'andamento della Cassa Integrazione Guadagni ......................69 12. L’inizio del 2015 del commercio estero avellinese .................................................................................77 3 1 Lo scenario economico nazionale e internazionale (*) (*) Il presente capitolo è integralmente tratto dal Rapporto Unioncamere 2015 "Alimentare il digitale - Il futuro del lavoro e della competitività dell'Italia" presentato a Roma il 21 maggio 2015 4 5 Nel 2014, la crescita economica a livello mondiale ha confermato la performance dell’anno precedente, attestandosi al+3,4% come sintesi di un lieve aumento della crescita delle economie avanzate e di un rallentamento di quelle dei paesi emergenti e in via di sviluppo (4,6%, contro il 5% dell’anno precedente). In particolare, i Paesi dell’area euro hanno invertito la tendenza negativa riscontrata nel 2013, evidenziando, tuttavia, una crescita (+0,9%) ancora inferiore a quella degli Stati Uniti (+2,4%) e del Regno Unito (1,7%); in controtendenza l’economia italiana, ancora in fase recessiva (-0,4%) seppur in miglioramento rispetto all’anno precedente. Variazioni del Prodotto Interno Lordo in termini reali Consuntivi Anni 2013 e 2014 e previsioni anni 2015 e 2016 Paese 2013 2014 2015 2016 Economie avanzate 1,4 1,8 2,4 2,4 Stati Uniti 2,2 2,4 3,1 3,1 Area Euro -0,5 0,9 1,5 1,6 5,0 4,6 4,3 4,7 Russia 1,3 0,6 -3,8 -1,1 Cina 7,8 7,4 6,8 6,3 Mondo 3,4 3,4 3,5 3,8 - di cui: Mercati emergenti ed Economie in via di sviluppo - di cui: Fonte: FMI - World Economic Outlook Nei primi mesi del 2015,lo scenario economico presenta molteplici elementi di novità a sostegno della crescita. L’area euro vedrà un deciso miglioramento rispetto all’anno precedente (+1,5%), pur restando ancora ben al di sotto di quanto previsto per gli Stati Uniti (+3,1%); meno incisivo e con trend contrastanti continuerà ad essere l’andamento nei paesi emergenti, e nei cosiddetti BRIC in particolar modo, elemento che porterà la crescita complessiva a livello mondiale ad un +3,5% annuo. In Italia, agli auspici di un recupero trainato dal ciclo internazionale si vanno affiancando stimoli più concreti delle politiche monetarie e di bilancio in grado di imprimere un abbrivio alla domanda interna. A questo sostegno si aggiungono altri mutamenti di portata eccezionale, quali il dimezzamento delle quotazioni del petrolio e il deprezzamento del cambio dell’euro. Con una decisione approvata dal Consiglio direttivo lo scorso 22 gennaio, la Banca centrale europea (Bce)ha varato un programma di acquisto di titoli emessi dagli Stati e da altre istituzioni europee, di titoli oggetto di cartolarizzazioni e di obbligazioni garantite. Il programma, che ha ad 6 oggetto solo titoli negoziati sul mercato secondario (escluse, dunque, le nuove emissioni) impegnerà 60 miliardi di euro al mese e durerà, nelle intenzioni, sino al settembre 2016. Nei diciannove mesi di durata del programma l’Italia beneficerà di acquisti di titoli del debito pubblico per 130 miliardi di euro, un volume corrispondente a circa il 9% del nostro Pil. L’iniziativa, che ha visto i primi acquisti nel mese di marzo, configura nei fatti una monetizzazione del debito pubblico che proseguirà sino a quando le attese d’inflazione non si riporteranno verso valori inferiori ma prossimi al 2%.L’avvitamento tra bassa crescita e deflazione dovrebbe dunque essere scongiurato. La decisione della Bce presenta una serie di benefici congiunti per l’economia italiana: la discesa dei rendimenti dei titoli di Stato favorirà risparmi nella spesa per interessi, liberando spazi di manovra nel bilancio pubblico; la discesa dei rendimenti contribuisce poi a rinforzare il patrimonio delle banche e a ridurre il costo della raccolta di fondi da parte di queste ultime, che dovrebbe tradursi anche in maggiore disponibilità di risorse per concedere più credito e a condizioni economiche più vantaggiose a famiglie e imprese. La politiche espansiva contribuirà poi a rivalutare le attività, finanziarie e reali, generando effetti ricchezza e un sostegno indiretto alla domanda interna. Un ulteriore beneficio del nuovo programma di politica monetaria è offerto dall’indebolimento della moneta comune, con un euro sceso a minimi decennali, sotto 1,10 dollari: un deprezzamento del 15% rispetto ai livelli dell’ultimo biennio che potrà aiutare la ripartenza delle esportazioni, in particolare verso il continente americano, e al contempo sostenere l’inflazione, attraverso un aumento dei prezzi dei prodotti importati. Cambio dollaro-euro Evoluzione dal 2008 al 2015 Fonte: elaborazioni Unioncamere e REF Ricerche su dati Thomson Reuters Datastream 7 Banca d’Italia ha stimato che il programma di acquisto di titoli pubblici potrà offrire all’Italia un sostegno di 1,4 punti di Pil nel biennio 2015-2016, e favorire una maggiore inflazione al consumo di 0,5 punti percentuali. Per le significative implicazioni che produce in termini di livello generale dei prezzi, un ulteriore sostegno alla ripartenza del ciclo economico è dato dalla discesa delle quotazioni del petrolio. Tra l’estate del 2014 e i primi mesi del 2015,la quotazione del barile è passata da oltre 100 dollari a 5060 dollari. Diversi sono gli elementi che contribuiscono a spiegare il forte calo delle quotazioni. Da un lato, la flessione della domanda aggregata mondiale, favorita dal rallentamento delle economie emergenti e dalle prospettive di contenimento delle emissioni inquinanti da combustibili fossili al centro del recente accordo Stati Uniti-Cina sul clima; dall’altro, l’espansione dell’offerta di petrolio statunitense, che beneficia dei progressi tecnologici nell’estrazione (“ShaleOil”) e di un livello adeguato delle scorte: l’Agenzia internazionale dell’energia ha recentemente stimato in una misura compresa tra 1,6 ed 1,8 milioni di barili al giorno la capacità produttiva non utilizzata. Il beneficio per l’economia italiana dal ribasso dei costi del petrolio è quantificabile in 10 miliardi in meno per la bolletta energetica e potrà favorire un recupero del potere d’acquisto delle famiglie di circa un punto percentuale. Al miglioramento dello scenario congiunturale europeo sul versante interno si sommano alcune novità di rilievo che contribuiscono a consolidare il rasserenamento in atto. Il 2015 è atteso beneficiare di un’inversione di segno della politica di bilancio pubblico, che potrà offrire un sostegno al reddito disponibile delle famiglie. Le misure previste dalla Legge di Stabilità per le famiglie (tra le quali la conferma del bonus fiscale degli 80 euro, la possibilità di smobilizzo del Tfr e il sostegno alla natalità), oltre agli interventi in favore delle imprese, tra i quali gli sgravi contributivi triennali e l’abolizione dell’Irap sul lavoro, configurano una discontinuità rispetto alle politiche di austerità degli ultimi anni. Come si vedrà in dettaglio più avanti in questo Rapporto, i recenti provvedimenti di riforma del mercato del lavoro (“Jobs Act”) sembrano altresì offrire garanzie di maggiore flessibilità, che unite ai provvedimenti di decontribuzione triennale delle nuove assunzioni a tempo indeterminato, potranno favorire la conversione di contratti di lavoro “precario” in contratti a tempo indeterminato. Più incerti sembrano, tuttavia, essere gli effetti del provvedimento sull’occupazione, atteso che per il 2015 questi ultimi appaiono legati più alla ripartenza del Pil che all’esito delle riforme. Il complesso delle misure descritte, unitamente alla discesa delle quotazioni petrolifere, configura un sensibile slancio per il potere d’acquisto delle famiglie, che potrà mettere a segno progressi anche superiori al punto e mezzo percentuale nel 2015. E’ ancora presto per valutare il successo dell’insieme delle politiche economiche nell’assicurare un ritorno alla crescita, anche se la positiva accoglienza da parte di famiglie e imprese sembra suggerire che le misure vanno nella direzione da più parti auspicata. 8 In effetti, i primi mesi del 2015 restituiscono uno scenario all’insegna di un maggiore ottimismo: il recupero della fiducia ha assunto dimensioni apprezzabili tra le famiglie e le imprese. Le prime si sono recentemente portate a livelli che non si registravano da oltre un decennio, con giudizi più lusinghieri sulla situazione economica del paese, una diminuzione dei timori di disoccupazione e maggiore fiducia nel futuro, pur continuando a lamentare difficoltà a quadrare il bilancio familiare. Tra le imprese, il miglioramento della fiducia è più cauto ma comunque presente, in particolare tra quelle operanti nei servizi di mercato e nel commercio al dettaglio, con progressi più limitati per la manifattura, e difficoltà ancor non superate di natura occupazionale e prospettica per il settore delle costruzioni. Il più contenuto ottimismo manifestato dagli imprenditori del manifatturiero sembra essere la diretta conseguenza di segnali contrastanti che provengono dall'andamento della produzione industriale e delle esportazioni. Se, infatti, l'indice tendenziale del mese di marzo - corretto per tener conto degli effetti del calendario - evidenzia una decisa spinta in avanti rispetto al corrispondente mese del 2014 (+1,5%), il valore basato sul complesso dei primi tre mesi sconta gli effetti di un mese di gennaio estremamente negativo e di un febbraio in cui certamente non si riscontravano ancora decisi cenni di ripresa, collocandosi per un decimale al di sotto dell'analogo valore dell'anno 2014. Va però detto che, all'interno di questo complessivo andamento, si distinguono in senso positivo i beni di consumo, il cui confronto fra primo trimestre 2015 e analogo periodo 2014 vede una crescita dello 0,3%, sostenuta in particolare dal +0,6% del capitolo dei beni non durevoli, a fronte di una discesa molto netta di quelli durevoli (che hanno subito una significativa contrazione del 2%). Anche sul versante delle esportazioni, il 2015 sembra scontare la partenza lenta del mese di gennaio. Infatti, il bilancio dei primi due mesi di quest'anno, a confronto con l'analogo periodo dello scorso anno, è (nonostante una crescita fra febbraio 2014 e febbraio 2015 del 3,7%), lievemente negativo per un decimo di punto. Si conferma l'ottimo momento del comparto dei mezzi di trasporto per le vendite all’estero (+19,7%), trascinato in particolare dagli autoveicoli, che hanno fatto segnare un vero e proprio boom (+27,4%) in conseguenza della decisa ripartenza delle immatricolazioni su scala europea che vede il nostro Paese ai vertici europei dopo la Spagna . Va però detto che, di fatto, questa è l'unica voce che mostra significativi passi in avanti. Per quasi tutti gli altri comparti merceologici, la situazione può invece definirsi stazionaria, ad eccezione dell'agricoltura (che ha messo a segno un ottimo +6,3%), dei mobili (+3,1%) e dell’alimentare (+1,8%). Non va però dimenticato che sia l’andamento della produzione industriale, sia quello delle esportazioni possono essere condizionati (si spera solo temporaneamente) dal blocco operato dalla Russia nel comparto agroalimentare per i beni provenienti dai Paesi che hanno imposto o appoggiato le sanzioni dopo la crisi in Ucraina (vale dire i paesi dell’Unione Europea, gli Stati Uniti di America, Canada, Australia, Giappone, Svizzera e Corea del Sud). Gli effetti di questo blocco (che dovrebbe durare fino al prossimo mese di agosto) sono evidenti. L’export italiano verso la Russia 9 (che ha un valore economico complessivo di circa 615 milioni di euro nel 2014 e oltre 700 nel 2013) nei primi due mesi dell’anno ha subito una contrazione in termini economici di circa un terzo, al quale si aggiungono anche pesanti perdite nell’ambito dei Paesi del cosiddetto Mercosur (di fatto l’America Meridionale) e l’Africa settentrionale. Fortunatamente, il quadro si è quasi totalmente riequilibrato grazie a un vero e proprio boom delle vendite negli Stati Uniti (avvantaggiate probabilmente dal miglioramento del cambio euro-dollaro), che ha interessato un po' tutti i prodotti del manifatturiero. Anche i più recenti dati relativi al mese di marzo confermano e, anzi, accentuano l’ottimo stato di salute dell’export italiano verso i paesi al di fuori dei confini dell’Unione Europea. Il bilancio complessivo dei primi tre mesi dell’anno, messi a confronto con l’analogo periodo del 2014,evidenziano una crescita del 6,1% (a fronte di un bilancio di +2% dei primi due mesi), con una maggiore accentuazione della crescita delle vendite negli Stati Uniti (la cui variazione oramai veleggia verso il 40%) e nel Medio Oriente, cui si aggiungono alcuni primi segnali di miglioramento nei confronti dei Paesi del Mercosur, pur in un contesto ancora fortemente negativo. Inoltre, si segnala un recupero anche dei mercati finanziari, sull’onda del nuovo programma di acquisto di titoli da parte della Bce: le quotazioni di Borsa dai minimi di gennaio hanno segnato un progresso vicino al 30% e anche il rendimento dei titoli di Stato decennali è sceso a nuovi minimi storici, poco sopra il punto percentuale. Per l’insieme delle considerazioni espresse, il quadro dell’economia italiana nel 2015 sembra volgere in questi mesi al sereno. Le previsioni più recenti per il nostro Paese evidenziano una prima timida ripresa già nel corso di questo 2015, valutabile in una forbice compresa fra lo 0,5% dichiarato dal Fondo Monetario Internazionale nell'ultimo aggiornamento del World Economic Outlook e lo 0,7% stimato dal Governo nel Documento di Economia e Finanza (DEF) e dall'Istat nel documento di prospettiva dell'economia italiana rilasciato lo scorso 7 maggio. Ripresa che si dovrebbe poi ulteriormente sedimentare sia nel corso del 2016 che del 2017, con incrementi annui intorno all'1,1-1,3%. Le previsioni dell'economia italiana Variazioni % rispetto al corrispondente periodo dell'anno precedente Variabili di riferimento 2014 2015* 2016* Prodotto interno lordo -0,4 0,7 1,1 Consumi delle famiglie 0,3 0,6 0,7 Tasso di disoccupazione 12,5 12,5 12,3 Reddito reale disponibile 0,7 1,7 1,2 Fonte: stime Unioncamere e REF Ricerche * Previsioni Considerata la congiunzione eccezionale di fattori che agiscono in sostegno della crescita, il 2015 rappresenta, pertanto, un’occasione di rilancio della domanda interna che non va sprecata. 10 Come già accennato, le indicazioni sui primi mesi dell’anno suggeriscono un recupero delle immatricolazioni di autoveicoli, con un progresso sia dalle componente privata (+7.4% nei primi tre mesi) sia dei veicoli commerciali (+6.6%). Il bene durevole, a lungo penalizzato dal rinvio degli acquisti (e, come visto, ancora in difficoltà), rappresenta in questa fase la direzione più promettente per una ripartenza dei consumi, sostenuto dai bassi tassi di interesse e dalla ripartenza del credito al consumo. E in tal senso anche il mercato immobiliare sembra evidenziare qualche segnale di ripresa come testimoniato dal fatto che nel primo trimestre 2015 il saldo tra le quote di agenzie che esprimono giudizi favorevoli e sfavorevoli relativi al mercato in cui opera l’agenzia ha raggiunto i livelli massimi dal 2011. Segnali positivi sono da evidenziare anche sul fronte delle vendite al dettaglio di generi di largo consumo intermediate dalla Grande Distribuzione e dalla Distribuzione Organizzata (GDO): dopo un biennio di forte contrazione, nei primi mesi del 2015 i volumi di vendita hanno guadagnato terreno (+2.2%), sostenendo anche un consolidamento del giro d’affari degli operatori del settore. Vendite nella GDO a volume Vendite nella GDO a volume Variazioni % tendenziali Variazioni % tendenziali 4.0 2.2 2.0 0.0 -0.8 -2.0 -1.4 2013 2014 2015* * Progressivo gennaio-febbraio 2015 Fonte: elaborazioni Unioncamere e REF Ricerche suIRI dati IRI Fonte: elaborazioni Unioncamere e REF Ricerche su dati * progressivo gennaio-febbraio 2015 Nei prossimi mesi rimane, pur tuttavia, da valutare la misura in cui il recupero del reddito disponibile che sta materializzandosi verrà effettivamente consumato, ovvero risparmiato per fare fronte alle incertezze del futuro. Una scelta nella quale un ruolo decisivo sarà giocato dai segnali che giungeranno dal bilancio pubblico e dalla credibilità delle politiche di revisione della spesa (Spending Review) e di discesa della pressione fiscale. Per queste ragioni, il cammino dei consumi rimane condizionato dall’eventualità di un aumento delle imposte indirette: la Legge di Stabilità 2015, a salvaguardia del pareggio di bilancio, ha infatti previsto un nuovo aumento dell’Iva qualora i risparmi di spesa non dovessero essere raggiunti. 11 L‘esercizio della cosiddetta clausola di salvaguardia postula un aumento di due punti dell’aliquota Iva ridotta (dal 10 al 12%) e ordinaria (dal 22 al 24%), a partire dal 1° gennaio 2016. Un percorso che si completa con un innalzamento delle aliquote di un punto percentuale anche nel 2017 (dal 12 al 13% e dal 24 al 25%) e, ancora, con un aumento di mezzo punto percentuale dell’aliquota ordinaria dell’Iva nel 2018. La dimensione dei risparmi che vanno trovati nel bilancio pubblico (12,8 miliardi di euro nel 2016, ulteriori 6,4 miliardi nel 2017 e 2 miliardi nel 2018) è tale da lasciare presagire che, in assenza di adeguate risposte, le ripercussioni sul potere d’acquisto vanificherebbero ogni recupero dei consumi. In ogni caso, le previsioni fin qui formulate non devono far dimenticare due aspetti. Il primo di questi è legato al fatto che si tratta comunque ancora di una "crescita lenta", ovvero inferiore- e talvolta non di poco - rispetto non solo a quanto si prevede possa accadere per l'area euro ma anche al cospetto di quei paesi dove la crisi ha colpito con maggiore intensità, come ad esempio la Spagna. L'altro aspetto da non dimenticare è che - anche se le previsioni attualmente formulate fino al 2017 dovessero essere confermate in pieno - la nostra economia si collocherebbe ancora a fine 2017 su livelli decisamente inferiori rispetto a quelli del 2011, con ancora sei punti percentuali da recuperare rispetto all'ultimo anno prima della crisi, ovvero il 2007. È evidente, quindi, che queste prospettive, pur confortanti, non dovrebbero portare benefici particolarmente significativi con riferimento a quella che può essere definita in questo momento come una delle principali emergenze del Paese, ovvero quella occupazionale. Come si vedrà in dettaglio più avanti nel presente Rapporto, il fronte del lavoro avrà dei segnali di miglioramento graduali che, tuttavia, potranno portare al massimo a una contrazione nell’ordine di pochi decimi di punto percentuale del tasso di disoccupazione nel prossimo futuro. Se le previsioni di cui abbiamo parlato fino a questo momento dovessero confermarsi, ci troveremmo quindi a fine 2017 in una situazione in cui il Pil si colloca intorno ai valori del 2009 e la disoccupazione vicino a quelli osservati nel 2013. Appare evidente, quindi, l'esistenza di un lag temporale tra andamento del Pil e della disoccupazione, che può essere spiegato primariamente con il fatto che le componenti che saranno maggiormente interessate dalla ripresa dell'attività produttiva sono costituite primariamente da quel consistente insieme di cassa integrati, che - vale la pena ricordarlo - non sono definibili come disoccupati dalle statistiche sul mercato del lavoro. Con il rischio che le prospettive sopra illustrate possano portare a una "ripresa senza (o con poca) occupazione". 12 2 L’economia della provincia di Avellino nel 2014 13 14 Avellino chiude il 2014 con una riduzione molto rapida del suo valore aggiunto (-2,1%) ben più rapida di quella sia campana che meridionale (-1,1%) oltre che rispetto all'andamento medio nazionale, evidenziando quindi una condizione recessiva ancora molto evidente. In pratica nel 2014 l'economia irpina ha bruciato quanto di buono avevo fatto nel 2013 quando in termini nominali la sua economia era cresciuta in termini nominali dell'1,5% (il che significa comunque che in termini reali, anche nel 2013 la provincia irpina era in recessione o al più in stagnazione) E di conseguenza, anche il valore aggiunto pro capite, che è una sintetica misura del benessere medio evidenzia un arretramento. Arretramento però che è solamente parziale a causa del fatto che il territorio irpino negli ultimi anni non è stato interessato in alcun modo dal processo di crescita demografica che ha visto aumentare di circa 100.000 unità la popolazione regionale e anzi ha perduto un migliaio di residenti negli ultimi quattro anni. A causa di questo fenomeno (e solo a causa di questo) la provincia di Avellino pur avendo visto erodere la sua ricchezza in termini assoluti assoluta vede oramai i suoi livelli procapite collocarsi al di sopra di quelli medi regionali fin dal 2013 recuperando anche otto posizioni nella graduatoria nazionale costruita su questo indicatore passando dal 93 esimo posto del 2011 all'85 esimo attuale. Variazioni % del valore aggiunto a prezzi base e correnti fra 2013 e 2014 nelle province campane, regione Campania, Sud e Isole e Italia. 0,5 0,2 0,0 -0,5 -0,4 -1,0 -1,1 -1,5 -1,3 -2,0 -2,5 -1,1 -2,2 Caserta -2,0 -2,1 Benevento Napoli Avellino Salerno CAMPANIA SUD E ISOLE ITALIA Fonte: Elaborazione su dati Istituto Guglielmo Tagliacarne Sul versante dei sistemi produttivi, il triennio 2012-2014 è sempre stato contraddistinto da una espansione anche crescente nel tempo (+0,16% nel 2012, +0,35% nel 2014). Detto trend però è stato però sempre largamente inferiore (talvolta largamente) a quello regionale, meridionale e nazionale, testimoniando quindi di una specifica difficoltà di espansione dell’economia provinciale, soprattutto sul versante dei tassi di natalità delle imprese, declinanti (dal 5,81% del 15 2012 al 5,69% del 2014) e sempre inferiori a quelli del resto della regione e del Paese, segnalando quindi una difficoltà ad innescare processi di rinnovamento del tessuto produttivo di fronte alla chiusura di attività legata alla crisi. Nonostante i livelli di crescita precedentemente esposti, alcuni processi legati probabilmente a trasferimenti di imprese già esistenti in altri territori al di fuori della provincia hanno comunque portato a una riduzione nel numero di imprese iscritte di circa 229 unità ponendo la provincia di Avellino per la seconda volta sotto quota 44.000 unità. Nati-mortalità delle imprese nelle province della Campania - Anno 2014 Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Unioncamere-InfoCamere, Movimprese Con specifico riferimento alle crisi aziendali, peraltro, il numero di imprese sottoposte a scioglimento o liquidazione cresce, dalle 1.672 unità del 2013 alle 1.741 del 2014, così come cresce il numero di imprese sottoposte a procedure concorsuali (spesso l’anticamera dello scioglimento) a 1.194 unità, dalle 1,185 nel 2013. Le imprese che risultano inattive sono 3.519, con un incremento del 5,7% sul 2013. C’è quindi la fotografia di un sistema produttivo che genera sempre più situazioni di criticità, se non di patologia aziendale. Le imprese “problematiche” oramai raggiungono il 14,8% del tessuto produttivo irpino, a fronte del 16,9% regionale, del 15,7% meridionale e del 14,8% nazionale. Tale quota, nella provincia in esame, era del 13,8% nel 2011, e la sua crescita è lo specchio dell’avanzamento della crisi. A livello settoriale si evidenzia nell'arco temporale 2011-2014 si segnala come la riduzione più significativa si evidenzi in agricoltura (627 unità in meno) colpita da duri processi di crisi e ristrutturazione, specie delle micro attività familiari o individuali. Ma anche le costruzioni (-223 imprese) ed la cosiddetta industria in senso stretto (-55 imprese) pagano di fatto per le seguenti motivazioni: le costruzioni pagano lo scotto derivante dal calo dei mercati immobiliari e delle opere pubbliche dovute anche da quella che molti definiscono una sempre più pressante imposizione fiscale sulla casa che non sembra essere compensata dal perpetuarsi nel tempo dei cosiddetti bonus fiscali sui lavori di ristrutturazione domestici; 16 l'industria paga le difficoltà competitive e di mercato che si accentuano maggiormente in un territorio come quello irpino che assume performance esportative di rilievo solo nel cospetto del Mezzogiorno mentre rimane molto lontana dai risultati medi del paese. Il terziario cerca di compensare tali andamenti: cresce il commercio (+198 imprese, un impulso derivante anche dalla componente straniera che spesso preferisce questa collocazione settoriale come evidenzia la crescita di 45 unità di imprese di questo settore) ma soprattutto il terziario non commerciale (+495 imprese) segnalando però un processo di terziarizzazione e indebolimento della base produttiva irpina, sempre più dipendente da attività di servizi con bacini di mercato perlopiù locali, minacciati dalla stagnazione della domanda interna. In prospettiva appare come potenzialmente florido il settore dei servizi sanitari e assistenziali, visto che il livello di vecchiaia già oggi molto alto rispetto alla media del Mezzogiorno tenderà ad accentuarsi nei prossimi dieci anni per subire poi una impetuosa crescita nei successivi dieci, laddove si dovessero confermare le più recenti previsioni demografiche. La crisi manifatturiera colpisce perlopiù l’industria dell’abbigliamento (-45 unità produttiva sul 2011) del legno e del mobile (-24 imprese) e l’alimentare (-12 imprese). L’artigianato risente delle difficoltà, finanziarie e di mercato, tipiche della micro impresa, e perde 471 imprese registrate fra 2011 e 2014, ovvero il 6,1% del totale, valore non irrilevante, se paragonato al 3,9% regionale ed al -5,3% nazionale. Il saldo negativo fra imprese artigiane iscritte e cancellate dalla sezione speciale del registro imprese tocca le 159 unità nel solo 2014, ma è negativo anche nel triennio precedente e soprattutto nel 2014 il tasso di crescita di questa forma imprenditoriale si evidenzia come decisamente peggiore rispetto al 2013. Nati-mortalità delle imprese artigiane nelle province della Campania - Anno 2014 Stock al Tasso di Tasso di Province Iscrizioni Cessazioni Saldo 31.12.2014 crescita 2014 crescita 2013 Caserta 800 1.081 -281 11.259 -2,43 -1,74 Benevento 245 369 -124 4.899 -2,47 -1,24 Napoli 1.858 2.916 -1.058 29.185 -3,50 2,73 Avellino 385 544 -159 7.188 -2,16 -1,38 Salerno 1.097 1.408 -311 19.662 -1,55 -2,13 Campania 4.385 6.318 -1.933 72.193 -2,61 0,00 Sud e Isole 18.701 27.256 -8.555 345.994 -2,41 -2,01 Italia 88.498 108.891 -20.393 1.382.773 -1,45 -1,94 Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Unioncamere-InfoCamere, Movimprese I cali della domanda e la flessione di credito disponibile ha consentito e anzi accentuato il processo di inspessimento del tessuto produttivo locale che già dal 2013 aveva evidenziato il superamento della soglia del 20% delle società di capitale che a fine 2014 costituivano il 21,6% del totale delle imprese. Il bacino di conquista delle società di capitale sono state chiaramente le società di persona e in maniera ancora più evidente le ditte individuali che sono sempre l'ampia maggioranza delle imprese con il 62,3% del totale. Piuttosto in difficoltà appare la cooperazione. Un segnale negativo se vediamo questo strumento come cardine positivo di 17 ricostruzione e riallacciamento di meccanismi di coesione sociale e di mutualismo, come possibile risposta alla crisi ed ai suoi effetti disgreganti sul piano sociale. Prosegue invece inarrestabile la discesa del numero di imprese giovanili che perdono fra 2011 e 2014, 495 unità, rivelando la fragilità di molte iniziative di autoimpiego di giovani, che richiederebbero quindi una assistenza tecnica nei primi anni dello start up. Peraltro, la voglia di fare impresa dei giovani irpini è vivace, poiché le imprese giovanili sono il 12,9% del totale, a fronte del 10,6% medio nazionale, e quindi vi è una potenzialità per promuovere occupazione di giovani tramite l’impresa, se adeguatamente assistiti. 62,3 63,1 63,9 70 63,4 Distribuzione percentuale delle imprese registrate nella provincia di Avellino per forma giuridica. Anni 20112014 60 50 12,8 13,0 13,5 20,6 19,7 13,5 20 19,1 30 21,6 40 0,9 0,9 0,8 0,8 2,4 2,4 2,7 2,6 10 0 Società di capitale Società di persone Imprese individuali 2011 2012 2013 Cooperative Altre forme 2014 Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Unioncamere-InfoCamere, Movimprese L'imprenditorialità può essere vista anche come un veicolo di integrazione sociale dei migranti, ed anche di rigenerazione di un tessuto produttivo declinante. Avellino però sembra pagare pegno ad un fenomeno che sembra caratterizzare l'imprenditoria immigrata campana che sembra preferire più le aree più vicine al mare piuttosto che quelle interne. Infatti fra 2011 e 2014 le imprese straniere registrate in Campania si sono incrementate del 32,8% trainate dal +56% di Napoli. Ma ad Avellino (come nel beneventano) questa crescita è stata decisamente più ridotta collocandosi intorno al 6% portando come conseguenza quasi inevitabile il fatto che la quota di imprese straniere sul totale sia inferiore anche rispetto a quella del Mezzogiorno. 18 Una corsa che sembra non conoscere ostacoli, invece, è quella dell''imprenditoria femminile. Insieme alla attigua Benevento, la provincia irpina rappresenta uno dei grandi capisaldi territoriali dell'impresa rosa del nostro paese. Con oltre il 30% delle imprese (13.258 in valore assoluto), la provincia di Avellino si colloca al secondo posto della classifica delle province italiane a maggiore incidenza di impresa femminile con un distacco di appena 3 decimi di punto e che potrebbe quindi consentire ad Avellino di diventare in breve la patria dell'impresa femminile. Un traguardo raggiunto anche grazie agli incentivi pubblici che, nel Mezzogiorno, sono stati specificamente rivolti all’imprenditoria femminile sono perlopiù attive in settori in difficoltà, come l’agricoltura (che concentra il 42% del fenomeno) la filiera della moda (279 imprese “rosa”) le costruzioni (391 imprese femminili) ed il commercio (23,8% del totale). Inoltre, quasi tutte (77,8%) sono ditte individuali, cioè micro imprese che come abbiamo visto sono quelle maggiormente esposte alla crisi. il profilo dell’impresa femminile ad Avellino è quindi particolarmente robusto da un punto di vista quantitativo ma altrettanto fragile per quanto riguarda la sua tenuta sul mercato. Il risultato economico preoccupante del 2014 è il frutto di un sistema produttivo ancora poco propenso a posizionarsi sui mercati esteri, che quindi risente negativamente della stagnazione di quello interno. Infatti, la contrazione del valore aggiunto si verifica persino in presenza di un buon risultato esportativo (+3,2% sul 2013) che recupera dalla flessione del 2% registrata nell’anno precedente. L’ammontare delle vendite all'estero provinciale, infatti, movimenta una quota troppo piccola dell’economia e del sistema produttivo provinciale (anche se comunque rispetto al contesto del Mezzogiorno sembra cogliersi qualche segnale di irrobustimento). o . Le struttura per Paesi di destinazione dell'export avellinese può ritenersi anomala rispetto a quello che è il contesto complessivo del paese e sembra essere il classico profilo di quei territori che non avendo ancora un export ben strutturato sono caratterizzati da una maggiore pluralità di destinazioni. Infatti il peso dell'export verso l'Unione europea a 15 pesa solo per il 40%, a fronte del 44-45% campano e nazionale, mentre ben il 20%, quattro volte più che nella media nazionale, è destinato all’Africa. Anche la quota di export diretta all’Estremo Oriente (10%) è superiore a quella nazionale (8,5%) e nettamente più alta di quella regionale. Avellino esporta dunque in una misura più ampia verso i mercati “nuovi” ed emergenti, con tutti i vantaggi (ma anche le difficoltà ed i rischi) a ciò connessi, e tale struttura può spiegare, in parte, le difficoltà di espansione delle capacità di internazionalizzazione locali derivante da una "maggiore" lontananza fisica e se vogliamo anche culturali con questi paesi. Rispetto al 2011, l’export irpino, nel 2014, è cresciuto soprattutto in direzione dell’Africa (+52,5%), dell’America del Nord, sfruttando la ripresa USA (+23%), dell’Oceania (+13%) mentre si è contratto del 37% in direzione dell’America Centro Meridionale (anche a causa della stagnazione brasiliana), del 18% nei Paesi di nuovo ingresso nella Ue, e dell’11% in Estremo Oriente. L’aumento complessivo nel triennio è comunque positivo (+6%) segnalando un sistema produttivo reattivo, che cerca di farsi strada sui mercati internazionali. 19 Nel dettaglio, i più importanti mercati di riferimento per l’export di Avellino sono, nell’ordine, la Tunisia, il Regno Unito, la Germania, la Francia, la Spagna e gli USA. Rispetto al 2011, cambia molto poco (la Spagna perde qualche posizione anche a causa della sua crisi interna di domanda) se non per il fatto che in sesta posizione vi era l’Ungheria, oggi scesa al nono posto. I mercati di provenienza delle importazioni sono costituiti per il 29%, essenzialmente, dalla Bulgaria (che da sola costituisce circa il 29% del totale delle importazioni) una vera anomalia rispetto al 2,6% nazionale, seguita dal Cile (secondo più importante fornitore) che insieme ad altri Paesi latinoamericani costituisce il 25% delle importazioni provinciali (a fronte del 2,7% italiano) mentre i partner più tradizionali della Ue a 15 costituiscono il 22% del totale, meno della metà del dato nazionale. La composizione merceologica del commercio estero fornisce qualche chiarimento maggiore su tali anomalie nei mercati di origine e destinazione. Sul versante dell’export, la filiera agroalimentare rappresenta il 31,7% del totale, a fronte dell’8,6% nazionale, e la parte più rilevante, ovvero l’agroindustria, cresce di quasi il 24% sul 2011, alimentando quindi la crescita di esportazioni verso mercati emergenti come quelli nordafricani, che con i sommovimenti delle Primavere Arabe potrebbero aver incrementato il loro fabbisogno alimentare proveniente dall’Europa del Sud. Il comparto metalmeccanico, che costituisce il 42% dell’export, è sostanzialmente stabile sui valori del 2011 (+1% di crescita) mentre sono in evidente regresso (7,9% e -6,3%) rispettivamente la chimica e gomma-plastica ed il sistema della moda, che pure rappresentano ancora, rispettivamente, il 4% ed il 14% dell’export (e in quest'ultimo caso si parla di una delle aree più significative del Mezzogiorno). Sul versante degli acquisti dall’estero, aumentano, fra 2011 e 2014, del 65% le importazioni di prodotti agricoli, e dell’1,6% quelli alimentari, così come cresce del 37% l’importazione di “altri prodotti industriali”, essenzialmente materie prime, spiegando la rilevanza di mercati di acquisto, come quello cileno, ricchi in materie prime, o quello bulgaro, che può fornire prodotti agricoli ed alimentari. 20 3. Nuove linee di sviluppo: l'economia della cultura 21 22 La cultura è un grande serbatoio di opportunità di sviluppo ed occupazione, anche di qualità, in grado di valorizzare territori meno vocati per altre tipologie di sviluppo, ed aree più interne. Di fatto, la filiera della cultura consente di valorizzare un patrimonio immateriale, ed anche spesso inespresso, oppure (si pensi ai mestieri artigiani) in via di sparizione, che spesso non ha avuto ancora una valorizzazione economica, e che quindi consente di fare entrare nel circuito dello sviluppo “nuove forze”, coinvolgendo territori che spesso fino a quel momento erano marginali. Anche su scala europea, il Libro Verde della Ue sul potenziale delle imprese culturali e creative segnala che il settore contribuisce per il 2,6% al PIL dell'Unione europea, ha un elevato tasso di crescita e offre impieghi di qualità a circa cinque milioni di persone in quelli che all'epoca della realizzazione del Libro Verde erano i 27 paesi membri dell'UE. Valore aggiunto ai prezzi base del sistema produttivo culturale per settore e provincia e loro incidenza sul totale economia. Anno 2014. Dati assoluti in milioni di euro Province e regioni Caserta Benevento Napoli Avellino Salerno CAMPANIA SUD E ISOLE ITALIA Architettura Comunicazione e branding 121,1 55,9 410,2 68,6 174,7 830,5 2.709,9 13.176,3 40,9 22,3 80,6 28,2 45,4 217,4 676,1 4.122,3 Design Made in Film, video, Videogiochi Libri e Musica Italy radio-tv e software stampa 5,8 69,1 2,0 53,1 30,4 278,1 2,8 113,1 8,1 136,8 49,0 650,2 189,2 2.494,1 2.351,6 16.858,9 40,9 20,2 228,2 49,5 70,9 409,7 1.175,7 8.556,5 50,0 29,7 523,8 48,9 95,0 747,4 1.750,4 13.039,6 0,6 86,7 0,9 43,1 10,9 371,4 0,0 58,3 1,5 134,6 13,9 694,1 60,3 1.935,4 428,0 14.720,0 Musei, biblioteche, Rappresentazioni archivi e artistiche, Totale Incidenza gestione di divertimento e Cultura % luoghi e convegni e fiere monumenti storici 6,5 32,2 453,8 3,9 0,0 11,5 238,6 6,3 33,5 137,0 2.104,2 4,2 5,8 25,9 401,0 6,2 9,9 60,0 736,9 4,7 55,7 266,6 3.934,5 4,5 261,4 700,2 11.952,7 4,0 1.167,9 4.148,6 78.569,7 5,4 Fonte: Unioncamere - Fondazione Symbola Occupati del sistema produttivo culturale per settore e provincia e loro incidenza sul totale economia. Anno 2014. Dati assoluti in migliaia Province e regioni Caserta Benevento Napoli Avellino Salerno CAMPANIA SUD E ISOLE ITALIA Architettura Comunicazione e branding 2,0 0,8 8,3 1,2 3,1 15,4 56,4 229,0 0,8 0,4 2,0 0,6 1,0 4,9 17,9 82,0 Design 0,1 0,0 0,9 0,1 0,2 1,3 5,4 50,6 Made Film, video, Videogiochi Libri e Musica in Italy radio-tv e software stampa 1,8 1,4 8,0 3,3 3,6 18,2 72,1 389,4 0,4 0,2 2,1 0,5 0,7 3,8 14,6 76,1 0,8 0,5 9,8 0,9 1,8 13,7 36,8 239,2 0,0 0,0 0,1 0,0 0,0 0,2 0,9 5,1 1,4 0,6 6,7 0,9 2,5 12,1 37,6 240,6 Musei, biblioteche, Rappresentazioni archivi e artistiche, Totale Incidenza gestione di divertimento e Cultura % luoghi e convegni e fiere monumenti storici 0,2 0,9 8,5 3,8 0,0 0,3 4,2 5,6 0,5 2,9 41,4 4,3 0,2 0,8 8,4 6,8 0,3 1,5 14,5 4,7 1,1 6,4 77,0 4,6 6,0 20,5 268,2 4,6 23,7 88,3 1.424,1 5,9 Fonte: Elaborazioni Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Unioncamere, Fondazione Symbola Tutti gli indicatori a disposizione sulla misurazione dell'apporto che questo comparto trasversale alle varie attività economiche offre all'intera economia di un territorio emettono un dato molto chiaro. Avellino si può considerare una delle patrie della cultura italiana e in special modo del Mezzogiorno almeno come significato economico della sua presenza. L’industria culturale e creativa avellinese produce infatti il 6,2% del valore aggiunto provinciale nel 2014, incidenza 23 elevata, se paragonato al 5,4% nazionale, che colloca la provincia in esame fra le prime venti province italiane per peso della cultura nella loro economia (precisamente, è sedicesima) insieme a vere e proprie aree artistico-culturali di eccellenza del Belpaese (Firenze, tredicesima, oppure Padova, diciannovesima). La forte vocazione culturale della provincia di Avellino proviene da una forte specializzazione nel Made In Italy, vale a dire a tutto quel complesso di produzioni in qualche modo riconducibili all'artigianato che pesa per il 28,2% nella determinazione del computo della ricchezza artigiana. Segue a distanza (17%) il settore dell’architettura, e poi la produzione di libri e stampa e il settore della creazione di software e videogiochi. La filiera nel suo insieme occupa circa 8.400 persone, il 6,8% dell’occupazione provinciale, valore ancora una volta superiore a quello nazionale (5,9%). La ripartizione occupazionale, che si concentra nel Made in Italy, seguito dall’architettura e dai libri e stampa e dal software, ricalca quello del valore aggiunto. E ancora. Questo sistema economico si articola in 2.985 imprese locali, il 6,8% del totale provinciale, un punto in più rispetto all’incidenza media regionale e con una distribuzione settoriale delle imprese totalmente dissimile da quanto accade per l'esame degli altri due aggregati economici. Poco meno del 40% di iniziative imprenditoriale è attivo nel settore dell’architettura, seguite dall’artigianato (19%) e dalla produzione di stile. Il settore risente però in modo particolare della crisi: dal 2011 perde l’1,7% delle sue imprese, una emorragia superiore a quella campane (-1,3%) e nazionale (-0,9%) e che quindi evidenzia l’esigenza di un sostegno specifico di policy. Particolarmente pesante è la flessione delle imprese del settore della gestione dei musei, biblioteche e monumenti (-16,7%) così come quella delle imprese del design (-22,7%) e della musica (-14%). Anche il settore dell’architettura perde imprese. Il numero di imprese cresce invece nei settori della produzione di film, video, radio-tv (+33%), delle rappresentazioni artistiche, divertimento e convegni e fiere (+21%) e della produzione di stile (+5,6%). Tali settori costituiscono quindi, pur dentro un periodo di crisi, le migliori opportunità per lo sviluppo culturale della provincia. 237 imprese culturali e creative provinciali, ovvero il 7,9% del totale, sono a gestione giovanile, confermando il fatto che detta filiera è particolarmente idonea per le imprese di giovani. E’ un valore superiore a quello nazionale (6,3%), e conferma quindi il dinamismo e la reattività dei giovani irpini in questa fase di crisi economica ed occupazionale. Il 26,5% delle imprese culturali giovanili è attivo nel settore dell’artigianato, che quindi contribuiscono a “svecchiare”, recuperando anche mestieri a rischio di sparizione, ed il 17% circa è presente, rispettivamente, nei settori del software e dell’organizzazione di rappresentazioni artistiche, divertimento e convegni e fiere. Relativamente meno presenti rispetto alla media nazionale sono invece le imprese culturali a conduzione femminile, che costituiscono il 12,8% del totale, a fronte del 13,3% italiano, e sono presenti soprattutto nell’artigianato, nella produzione di stile e nell’organizzazione di rappresentazioni artistiche, divertimento e convegni e fiere. La rilevanza, anche prospettica, del 24 settore, è tale che anche una imprenditoria immigrata vi si è installata. Ad Avellino, a fine 2014, 75 imprese culturali sono a conduzione straniera. Erano 80 tre anni fa, quindi tendono a mantenere sostanzialmente inalterato il loro numero e quindi innestandosi in un processo il loro numero, sia pur nel contesto di una filiera che perde attività produttive. Sono attive soprattutto nell’artigianato (creando una combinazione particolare fra know-how artigiano tradizionale del territorio e know-how imprenditoriale proveniente da stranieri) e nell’industria dello stile. Numero di imprese del sistema produttivo culturale per settore e provincia, e loro incidenza percentuale sul totale economia. Anno 2014 Province e regioni Caserta Benevento Napoli Avellino Salerno CAMPANIA SUD E ISOLE ITALIA Architettura Comunicazione e branding 1.580 754 5.114 1.171 2.608 11.228 43.530 152.846 252 96 1.187 128 439 2.102 7.214 32.452 Design Made in Italy 62 1.087 29 433 295 4.142 27 1.012 137 1.842 551 8.515 2.266 31.906 14.985 105.399 Film, Videogiochi Libri e video, Musica e software stampa radio-tv 71 28 477 56 138 770 2.632 12.132 322 156 2.092 174 584 3.328 9.913 45.809 14 3 122 6 23 168 446 2.328 341 178 2.166 235 808 3.728 12.482 48.820 Musei, biblioteche, Rappresentazioni archivi e artistiche, Totale Incidenza gestione di divertimento e Cultura % luoghi e convegni e fiere monumenti storici 3 297 4.029 4,5 2 133 1.812 5,2 22 1.294 16.909 6,1 5 170 2.985 6,8 21 646 7.247 6,1 53 2.539 32.982 5,8 368 8.682 119.440 6,0 952 27.485 443.208 7,3 Fonte: Unioncamere - Fondazione Symbola Variazione percentuale del numero di imprese registrate del Sistema Produttivo Culturale per settore nel periodo 2011-2014 -3,6 -1,0 -1,2 Industrie creative 1,7 Industrie culturali -3,1 -1,4 Musei, biblioteche, archivi e gestione di luoghi e monumenti-16,7 -15,9 storici 4,3 21,0 Rappresentazioni artistiche, divertimento e convegni e fiere 1,9 5,5 -1,7 -1,3 -0,9 Totale Sistema Produttivo Culturale -20 Avellino -15 Campania -10 -5 0 5 10 Italia Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Unioncamere - Fondazione Symbola 25 15 20 25 30,2 Percentuale di incidenza delle imprese giovanili, femminili e straniere sul totale imprese nel sistema produttivo culturale e nel totale. Situazione al 31 dicembre 2014 35,0 5,0 5,6 5,9 5,9 8,7 10,0 2,5 1,6 2,2 3,9 15,0 7,9 7,7 7,7 6,3 20,0 12,8 13,5 13,7 13,3 25,0 12,9 14,2 13,3 10,6 23,0 23,5 21,6 30,0 0,0 Avellino Campania Sud e Isole Italia Fonte: Elaborazioni Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Unioncamere, Fondazione Symbola 26 4. Nuove linee di sviluppo: la green economy 27 28 La green economy è una grande opportunità di sviluppo, in particolare per il Mezzogiorno ed i suoi territori. Secondo Srm ed Enea , Gli “investimenti verdi” potrebbero determinare nei prossimi anni un importante abbattimento delle emissioni di CO2 a livello italiano e internazionale. Ma non solo. Le stime di Confindustria tracciano un possibile bilancio tra gli oneri per lo Stato in termini di incentivi alla Green Economy e l’impatto per occupazione, industria e casse pubbliche. Il risultato è a somma positiva: a fronte di un onere netto per lo Stato cumulato nel periodo 2010-2020 pari a 16,6 miliardi di euro,si risparmierebbero circa 31 miliardi di euro in energia e minori emissioni di CO2. Gli incentivi attiverebbero inoltre 130 miliardi di euro di investimenti, da cui potrebbe derivare un aumento della produzione industriale per 238,4 miliardi di euro e una crescita dell’occupazione per 160mila nuovi posti di lavoro. D’altra parte, l’energia eolica è prodotta per il 98% nel Mezzogiorno (26% in Puglia, 22% in Sicilia, 18% in Campania). Nel comparto eolico su 487 impianti, l’85% si trova nelle regioni meridionali. Per il fotovoltaico,su circa 178mila impianti, 43.366 sono al Sud e la potenza installata nelle regioni meridionali supera il 35% del totale nazionale. Passando alle bioenergie, su un totale di circa 670 impianti, 97 sono nel Mezzogiorno con una potenza installata pari al 32% del totale nazionale. E le aree italiane con la maggiore ricchezza geotermica sono proprio nel Mezzogiorno, lungo il Tirreno meridionale,in Campania, Sicilia. Anche Avellino, come il resto del Sud, avrebbe grandi opportunità di sviluppo da tale settore. Iniziando dalla raccolta dei rifiuti, che, con la chiusura del ciclo, porterebbe a grandi benefici occupazionali. Infatti, da un lato Avellino ha una percentuale di raccolta differenziata (oltre il 55%) superiore, oltre alla media campana, anche a quella italiana (42,3%). Sotto il profilo energetico, la Campania è la terza regione meridionale per consumi elettrici generati, a differenza dell’Italia, dove predomina il consumo industriale, da consumo terziario e domestico (per via della debolezza del comparto industriale regionale) con la sola eccezione di Caserta, dove prevale ancora, sul modello nazionale, il consumo industriale. La produzione elettrica da fonti rinnovabili, rispetto al consumo, è ancora sottodimensionata, rappresentando appena il 75% della media nazionale, ed il 61% di quella meridionale, che ne fa la 38-ma provincia italiana per valore di tale indicatore, e la quinta fra quelle meridionali. Certo, a tale risultato contribuisce anche un basso livello di rifiuti da raccogliere (337 chili ad abitante, a fronte dei 433,6 della Campania, e dei 487 dell’Italia) grazie ad una pressione antropica sul territorio meno rilevante rispetto alle province costiere campane, dall’altro ospita una delle due discariche ancora attive nella regione, con un impatto negativo sull’ambiente. Un potenziamento dell’impiantistica per il riciclaggio, sia a livello macro che a livello micro (ad es., compostiere di comunità) consentirebbe di creare posti di lavoro e materiali utilizzabili nei cicli produttivi, quindi valore aggiunto. Analogo discorso vale per il fotovoltaico, che, oltre a produrre energia pulita ed a basso costo, sia per fini domestici che industriali, genera un indotto, nell’installazione, manutenzione, 29 smaltimento, ecc. che a sua volta produce posti di lavoro. Con 0,16 kw per abitante generati dal fotovoltaico, Avellino, con una produzione derivante soprattutto da impianti inferiori a 20kw, si colloca al di sopra della media campana (0,11) ma ancora ben lontano dalla media nazionale (0,29) benché le condizioni di esposizione solare e climatiche consentano uno sviluppo potenzialmente maggiore di tale tipologia di energia rinnovabile sul territorio. Il fotovoltaico costituisce infatti solo l’8% del totale della produzione di energia rinnovabile ad Avellino, a fronte del 17% campano, e del 19,3% nazionale. D’altra parte, l’eolico, che presenta una serie di controindicazioni sotto il profilo ambientale e paesaggistico, rappresenta più dell’85% della produzione di energia pulita, a fronte del 13% nazionale. E le biomasse, nonostante le risorse forestali del territorio, producono soltanto l’1,6% del totale, a fronte del 15% nazionale. Ed il geotermico, che a livello nazionale produce il 5% dell’energia rinnovabile, non è per niente coperto. E’ quindi necessario che si riequilibrino, sul territorio irpino, tali “quote” di produzione di energia rinnovabile derivanti dalle diverse fonti. Avendo soprattutto come obiettivo l’energia a fini industriale, posto che l’industria irpina assorbe il 44% dei consumi elettrici provinciali nel 2013, a fronte del 27,3% campano e del 43% italiano. Anche perché in questo modo Avellino potrebbe, in una certa misura, “compensare” un impatto energetico non ottimale derivante da una elevata quota di autovetture circolanti ancora con la qualifica “Euro 0” (16,5%, a fronte dell’11,1% nazionale) mentre le “Euro 6” sono solo lo 0,4% del totale (1% su base nazionale) a causa delle condizioni reddituali della popolazione, che ostacolano il rinnovo del parco circolante. Green economy non significa soltanto cura dell’ambiente, ma anche applicazione dei metodi ambientali dentro i cicli produttivi delle aziende. Il 22,6% delle imprese irpine ha in effetti investito, o programmato di investire, in metodologie produttive di tipo green fra 2008 e 2014, a fronte di un più modesto 19,7% regionale, ma anche al di sopra della media nazionale (21,8%). Avellino è nella metà alta (46-ma) della graduatoria delle province italiane per incidenza delle imprese che investono, o pensano di investire, nel green, e ciò costituisce un indice di creatività e capacità innovativa del sistema produttivo locale. Come nel resto del Paese, le imprese irpine sono spinte ad investire in metodi green soprattutto dalla ricerca di riduzione dei consumi, e quindi dei costi, di materie prime ed energia, quindi da considerazioni di competitività da costi (80% del totale delle imprese “green” di Avellino). Va però segnalato un 12%, superiore all’11% regionale, ed allineato alla media nazionale, di imprese che investono per incorporare metodi green nei loro prodotti o servizi finali, facendo quindi innovazione o diversificazione di prodotto, una tipologia di investimento particolarmente raffinata e complessa. Tale scelta produce posti di lavoro, dato rilevantissimo in questa fase di grave crisi economica: le imprese irpine che hanno investito o programmato di investire nell’ambiente prevedono di produrre, nel 2014, 940 nuovi posti di lavoro, spesso peraltro posti di lavoro qualificati, quindi fornendo un contributo a contrastare la fuga dei cervelli. Poco più del 31% di tutte le assunzioni previste dalle imprese provinciali dell’industria e dei servizi è quindi assorbito dal segmento 30 “green” del sistema produttivo locale, a fronte del 30% campano e del 40% nazionale, segnalando quindi come vi siano ulteriori spazi per investire e creare posti di lavoro nel green. Imprese che hanno investito o programmato di investire in prodotti e tecnologie green*, per finalità degli investimenti e relative assunzioni programmate per provincia nel 2014 Province e regioni Imprese che hanno investito/programmato di investire nel green tra il 2008-2014 Valori assoluti** Caserta Benevento Napoli Avellino Salerno CAMPANIA SUD E ISOLE ITALIA 3.400 1.400 12.750 2.200 4.320 24.070 93.510 341.410 Imprese che hanno investito nel green tra il 2011-2013 per tipologia di investimenti*** (%): Assunzioni programmate per il 2014 dalle imprese che hanno investito/programmato di investire nel green tra il 2008-2014 Riduzione Incidenza % consumi di Sostenibilità Prodotto/ Incidenza % Valori su totale materie del processo servizio su totale assoluti** imprese prime ed produttivo offerto assunzioni energia 18,5 82,0 18,3 12,6 1.820 30,6 20,8 86,1 14,3 9,7 590 29,3 21,0 77,0 21,1 11,1 9.070 31,6 22,6 80,3 18,0 12,3 940 31,1 16,5 81,6 20,4 9,5 2.940 25,4 19,7 79,3 19,9 11,0 15.350 30,0 21,8 80,9 17,7 11,7 53.600 32,3 21,8 79,7 18,8 12,4 245.550 40,0 Fonte: Unioncamere - Ministero del Lavoro, Sistema Informativo Excelsior 31 5. Il ruolo della provincia di Avellino nell'agroalimentare 32 33 La filiera agroalimentare è di primaria importanza per l’economia irpina, ed in molti aspetti la caratterizza in maniera molto forte, come una autentica vocazione produttiva del territorio. La sola agricoltura, al netto della trasformazione industriale dei beni alimentari, incide per il 3,6% sul valore aggiunto provinciale nel 2013, al di sopra del 2,9% regionale e del 2,3% nazionale. Una incidenza rilevante, e oltretutto in crescita dal 3,5% del 2011. La produzione agricola totale ai prezzi base, pari ad oltre 292 milioni di euro nel 2013, privilegia il comparto cerealicolo (17,6% del totale, a fronte dell’8,8% nazionale), olivicolo (4,3%), ortofrutticolo e leguminoso (10,2% a fronte dell’8,7% della composizione nazionale della produzione agricola), così come anche i prodotti forestali (6,5% della produzione agricola provinciale). Di minore volume, ma di un certo pregio, è anche la produzione vitivinicola. Da notare anche le coltivazioni industriali, che rappresentano il 4,2% del totale, quasi 4 volte l’incidenza complessiva a livello nazionale. Si tratta di un sistema che ha anche delle punte di eccellenza, atteso che 213 operatori (pari al 6,8% del totale Campania) sono certificati DOP/IGP nell'ambito delle sei certificazioni che contraddistinguono il territorio, soprattutto (in più della metà dei casi) nel settore di particolare vocazione dell’agricoltura irpina, ovvero i cereali e l’ortofrutta, ma anche nella lavorazione delle carni e nel settore oleario. Settore quest'ultimo che caratterizzato dal brand Irpinia-Colline dell'Ufita (che dal 2010 ha conquistato la Dop) ha vissuto un vero e proprio boom di operatori passati da un anno da 108 a 134 unità e che di fatto ha trainato da solo la crescita del complesso degli operatori nei prodotti a marchio. La produzione vitivinicola, come detto, è meno rilevante che in altre province, anche campane (essendo, dal punto di vista delle quantità, superata da quella di Salerno e Benevento) ma non è affatto secondaria, anche in termini di qualità. Nella campagna 2014, sono stati infatti raccolti più di 268.000 quintali di uva, di cui il 99% è uva da vinificazione. L’annata è stata peraltro caratterizzata da eventi meteorologici non favorevoli, segnando un calo del 36,5% sul 2013, non dissimile da quello registrato in tutta la regione (-35,2%). Inoltre, sono stati prodotti 180.000 ettolitri di vino, anch’essi, per gli stessi motivi, in riduzione sul 2013. La produzione cerealicola nel 2014, che è una delle vocazioni tipiche del comparto primario provinciale, si focalizza soprattutto sul frumento duro (56,5% del totale) che è ovviamente legato alla produzione di pasta, seguito dall’avena, dall’orzo e dal frumento tenero. Anche questo comparto ha subito un netto ridimensionamento rispetto alla raccolta del 2013. La filiera, ivi compreso il settore della trasformazione industriale, può contare su 11.909 imprese registrate, a fine 2014, presso gli archivi della CCIAA (il 27,1% del totale delle imprese provinciali, a fronte del 12,6% regionale e del 13,8% nazionale). In pratica, circa un sesto della filiera agroalimentare campana è ubicato in provincia di Avellino. Di questo stock, il 93,3% è composto da imprese agricole, il restante 6,7% da imprese industriali di trasformazione del prodotto agricolo di base, fra le quali 417, ovvero il 3,8%, hanno natura artigiana (contro il 6,2% regionale e il 5,3% nazionale, segnalando quindi un comparto manifatturiero dell’agrifood provinciale organizzato prevalentemente in forma industriale, e non come microimpresa). La filiera è quindi più spostata 34 sul comparto primario rispetto al resto della Campania, in cui le imprese manifatturiere di lavorazione dei generi alimentari o delle bevande sono l’11,7% dell’intero sistema agroalimentare. Questa maggiore specializzazione sul segmento primario della filiera ha esposto maggiormente Avellino alla crisi che ha investito l’agricoltura in questi anni, prodotta da una combinazione micidiale di aumento di alcuni costi di produzione, tassazione elevata, domanda finale stagnante se non declinante, credito bancario pressoché azzerato e cattive condizioni meteorologiche. In tre anni (2011-2014) Avellino perde infatti 627 imprese agricole, il 5,3% del totale, a fronte di un calo dell’8,5% a livello nazionale. La specificità negativa del territorio in esame, però, si manifesta in un calo di imprese a valle, cioè di imprese agroindustriali (-12 unità fra 2011 e 2014) quando invece la loro numerosità aumenta sia in Campania che in Italia nel suo insieme. Le difficoltà produttive dell’agricoltura locale, quindi, si scaricano negativamente anche sulle imprese di trasformazione a valle, nonostante, o forse a causa, della loro relativamente maggiore strutturazione organizzativa (mostrata dalla bassa quota di artigiani). Numero indice (2004=100) del numero di imprese nella provincia di Napoli per alcuni target di impresa. Serie storica 2011-2014. 99,5 98,5 97,5 96,5 95,5 94,5 93,5 92,5 2011 Totale alimentare 2012 Totale manifatturiero 2013 2014 Alimentare artigiano Totale artigianato Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Istat Il tema dell’età anagrafica degli imprenditori agricoli è molto rilevante, poiché il comparto primario è caratterizzato da imprenditori relativamente “attempati”, e ciò ha effetti negativi sulla produttività e sulla propensione all’innovazione colturale e di prodotto. Per questo, le politiche agricole comunitarie e nazionali sostengono ed incentivano il primo impianto di imprenditori 35 agricoli giovani, anche con finanziamenti specifici a valere sui piani di sviluppo rurale cofinanziati dal FEASR. In provincia di Avellino, 755 imprese agricole, ovvero il 6,8% del totale, sono gestite da giovani. Si tratta della stessa media vigente a livello italiano, però mentre su scala nazionale la crisi, associata alle difficoltà dello start up, ha ridotto del 17,1% il numero di tali imprese nel periodo 2011-2014, detta contrazione è stata pari al 20,8% in provincia di Avellino sullo stesso periodo, e tale scostamento segnala, probabilmente, una carenza specifica di interventi di sostegno ed assistenza ai giovani agricoltori che tentano di avviare l’attività. peraltro, anche nel segmento industriale, nel medesimo lasso di tempo si perdono 12 imprese di giovani locali. La filiera può rappresentare anche uno sbocco lavorativo e di auto impiego per i lavoratori immigrati (sebbene il tema dell’immigrazione, ad Avellino, sia meno rilevante che in altre province campane, essendo gli stranieri regolarmente residenti pari ad appena il 2,6% della popolazione provinciale). Le imprese agricole in mano ad imprenditori non italiani si attestano, ad Avellino, su 333 unità, valore modesto e più o meno costante nel periodo 2011-2014, evidenziando quindi una maggiore “tenuta” nei confronti della crisi (e di conseguenza, forse, anche migliori capacità gestionali) di tali imprese rispetto a quelle gestite da italiani. Vi è anche una presenza nell’agrifood industriale, con 33 imprese (il 4% del totale) di proprietà di stranieri, anche in questo caso senza variazioni sostanziali nel triennio 2011-2014. La presenza di imprenditoria femminile è attestata dalle 5.571 imprese agricole “rosa”, la metà esatta del totale delle imprese primarie registrate presso la CCIAA di Avellino. Valore di gran lunga superiore a quello regionale (36,6%) e nazionale (28,7%). Tale diffusione lascia presumere frequenti fenomeni di intestazione dell’impresa alla moglie, per usufruire di incentivi o benefici (ad es. nelle graduatorie per i bandi di incentivazione) legati all’imprenditoria femminile. Però probabilmente vi è anche un fenomeno sociale, ad esempio legato alla gestione di terreni ed imprese lasciati alle vedove dai mariti deceduti, stante l’età media del comparto. Il fenomeno non è, infatti, così diffuso nell’industria alimentare, dove costituisce solo il 27,2% del totale, non lontano dal 21,3% nazionale. Va peraltro evidenziato come pressoché il 100% delle imprese agricole femminili registrate presso gli archivi camerali risulta anche attivo, cioè effettivamente funzionante. L’interscambio commerciale di prodotti agroalimentari vede la bilancia commerciale agroalimentare provinciale in strutturale avanzo (per 50,3 milioni di euro nel 2014), ed in crescita dell’1,7% fra 2011 e 2014 grazie ad un rapido aumento dell’export agroalimentare (+17,2%, nettamente superiore al 6% del totale dell'economia locale) che, oramai, costituisce il 31,6% del totale delle vendite sull’estero di Avellino, rispetto al 28,6% del 2011. E’ da notare che le esportazioni della filiera sono costituite prevalentemente da prodotti alimentari trasformati (l’89,5% del totale) che relegano quelli agricoli a un ruolo decisamente più marginale. La struttura delle importazioni, invece, è più equilibrata, con il 58,8% di prodotti alimentari trasformati, ed il 41,2% di prodotti primari. Ciò lascia presumere che una parte non irrilevante della materia prima lavorata dalle imprese alimentari irpine sia importata dall’estero. 36 Infatti, fra le importazioni provinciali nel 2014, la carne è al terzo posto, i prodotti di coltivazioni permanenti al quarto, il pesce fresco al sesto, e quello lavorato al nono, l’olio al settimo. Viceversa, nella “top ten” delle esportazioni provinciali nel 2014, figurano i prodotti da forno e farinacei (ad es. la pasta) al secondo posto, l’ortofrutta al quarto, l’olio al nono. Incidenza percentuale delle esportazioni del comparto agroalimentare sul totale delle esportazioni nelle province campane. Anno 2014 70 57,8 60 50 40 32,1 31,6 28,8 30 20,1 20 17,3 15,0 8,6 10 0 Caserta Benevento Napoli Avellino Salerno Campania Sud e Isole Italia Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Istat Ma probabilmente il risultato se vogliamo più significativo arriva dal fronte occupazionale e non è relativo solamente alla regione Campania (e alla provincia di Avellino) ma si può estendere a tutto il complesso del paese. Se infatti in Italia il triennio 2011-2014 ha evidenziato una perdita di circa 320.000 occupati, l'agroalimentare ha seguito un andamento completamente in controtendenza producendo un arricchimento della base occupazionale di 28.000 unità. Stessa cosa è avvenuta in Campania ma non nel Mezzogiorno nel suo complesso. Se la base occupazionale complessiva ha ceduto circa 3.000 posti di lavoro, l'agroalimentare ha messo a segno una eloquente crescita di 14.000 occupati. Una crescita che ha riguardato tutti i territori ad esclusione di quella Salerno che abbiamo visto già in difficoltà sul fronte del tessuto imprenditoriale e che ha ceduto circa 4.000 posti di lavoro. Quindi le altre 4 province hanno messo a segno complessivamente un incremento 37 di oltre 18.000 occupati che si suddividono in modo pressoché paritetico su tutte le aree e quindi tenendo conto dei diversi assetti dimensionali delle stesse sono particolarmente significativi a Benevento e ad Avellino e relativamente minori nelle aree del casertano e di Napoli. Più in particolare nella provincia irpina dopo un 2012 in cui il numero di occupati nel settore ha subito una contrazione di 400 unità rispetto all'anno precedente, gli anni successivi hanno fatto segnare un vero e proprio nell'occupazione nel comparto dapprima con una crescita di quasi 2.000 occupati nel 2013 a cui si sono aggiunti altri 3.000 teste impiegate in più nell'anno concluso da qualche mese. In pratica la crescita dell'occupazione irpina complessiva riscontratasi fra 2011 e 2014 è interamente ascrivibile ad un comparto agroalimentare che è cresciuto del 41% in quattro anni. Un ulteriore rilievo dell'importanza del connubio fra agroalimentare e occupazione è dato poi dal peso che il settore nella composizione occupazionale del territorio. Parliamo di una incidenza del 10,6%. Analizzando gli andamenti occupazionali nelle singole componenti agricole si nota che a pesare di più continua a essere il comparto agricolo che assorbiva a fine 2014 quasi 8.000 occupati e che questo peso continua ad essere sempre maggiore nel corso del tempo se si considera che la crescita occupazionale nel quadriennio 2011-2014 del settore primario si è aggirata intorno al 45,5% a fronte del 36,1% della componente improntata sulla trasformazione che va detto si è fortemente ripresa nell'ultimo anno dopo un triennio in cui si erano persi oltre 1.300 posti di lavoro incrementando l'occupazione negli ultimi dodici mesi di ben 3.100 unità. Variazione percentuali 2011-2014 delle esportazioni del comparto agroalimentare e del totale economia nelle province campane. Anno 2014 -1,1 -2,4 Caserta 15,3 Benevento Napoli 8,0 -6,1 Avellino 17,2 6,0 15,0 13,8 Salerno Campania Sud e Isole 11,5 0,0 9,2 -4,2 Italia -10,0 24,4 13,5 5,9 -5,0 0,0 5,0 10,0 Agroalimentare Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Istat 38 15,0 Totale 20,0 25,0 30,0 Numero di occupati nel settore agroalimentare e nel totale dell'economia per provincia. Media anni 2011-2014 2011 2012 2013 2014 Provincia Agroalimentare Caserta 15.450 18.361 20.233 19.554 Benevento 9.406 8.808 11.057 14.727 Napoli 24.242 27.142 28.261 28.992 Avellino 10.379 9.901 11.790 14.639 Salerno 33.800 38.006 33.465 29.943 Campania 93.277 102.218 104.807 107.854 Sud e Isole 533.599 547.043 522.795 515.927 Italia 1.246.452 1.256.040 1.237.610 1.274.005 Totale economia Caserta 236.048 246.193 246.459 233.498 Benevento 85.906 82.881 73.593 71.814 Napoli 766.095 774.945 780.956 789.782 Avellino 133.577 139.461 145.228 137.684 Salerno 341.462 342.960 334.216 328.213 Campania 1.563.087 1.586.440 1.580.452 1.560.992 Sud e Isole 6.179.079 6.156.212 5.901.158 5.856.170 Italia 22.598.244 22.565.971 22.190.535 22.278.917 Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Istat 39 6. La digitalizzazione delle imprese campane 40 41 L’accesso all’Ict è uno dei temi fondanti della prossima programmazione 2014-2020 dei fondi strutturali europei. Fa parte integrate delle strategie di smart specialisation delle regioni meridionali, oltre che del PON Impresa e Competitività, ed è trasversale alla strategia S3 campana, in diversi ambiti (sanitario, trasportistico, di valorizzazione del patrimonio storico culturale, ecc.). Un sistema economico e sociale che mette sempre più l’informazione alla base dei suoi processi produttivi non può che basarsi su uno sviluppo sempre più rapido dell’Ict, che diviene quindi un fattore di superamento del ritardo di sviluppo cruciale, per il Mezzogiorno e la Campania. Il primo problema da superare, per potenziare la società della conoscenza regionale, è quello della connettività infrastrutturale. Problema che peraltro in Campania appare essere meno rilevante rispetto a quella che può essere la "cultura del digitale" presso le imprese. Sia pure con qualche distinguo nell'ambito dei singoli territori provinciali e all'interno degli stessi. Percentuale di popolazione coperta da banda larga per regione e tipologia 1 di banda larga . Situazione al 6 luglio 2015 Regione % % % popolazione popolazione popolazione raggiunta da raggiunta da raggiunta da banda larga banda larga banda ultra fissa e wireless fissa wireless larga Piemonte Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste Lombardia Trentino-Alto Adige/Südtirol Veneto Friuli-Venezia Giulia Liguria Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna ITALIA Fonte: Infratel Italia 1 86,2 87,1 98,4 94,0 89,9 83,0 92,7 92,4 92,2 88,2 94,1 96,5 89,8 75,9 93,6 96,6 80,4 85,2 95,0 95,0 93,1 7,2 8,1 1,2 3,1 5,8 8,6 4,5 4,5 3,9 5,7 3,0 2,2 4,5 10,7 3,4 2,6 10,7 5,6 3,3 2,7 3,8 20,0 0,0 22,3 0,0 15,9 20,4 37,4 30,2 25,8 17,4 12,3 38,3 9,5 0,0 20,8 16,7 22,0 11,1 25,0 8,5 22,1 Per banda larga fissa e wireless si intende una banda compresa fra 2 e 20 Mb mentre per banda ultra larga si intende una copertura a 30 Mb. Dati per quanto riguarda la connessione a 100 Mb non sono attualmente disponibili 42 Secondo le più recenti valutazioni sulla copertura dei vari servizi di connettività emerge come la situazione della Campania sembri essere complessivamente accettabile almeno nel contesto nazionale pur scontando diversi ritardi (come peraltro tutto il paese) per quanto riguarda i servizi evoluti. La regione infatti si colloca all'ottavo posto in Italia come quota percentuale di popolazione coperta da servizi di banda larga fissa e wireless precedendo in tal senso numerose realtà economicamente più avanzate come ad esempio l'Emilia-Romagna e Toscana e possiede una quota di popolazione coperta da banda ultra larga assolutamente in linea con quella del paese. All'interno della regione però esistono differenziali piuttosto ampi che possono frenare l'accesso da parte delle imprese a quei fenomeni di digitalizzazione che recentemente il sistema delle Camere di Commercio sta spingendo ad esempio con il programma "Eccellenze in Digitale". Si tratta di un progetto che nel 2015 è giunto oramai al terzo anno di vita e che per quanto concerne il 2015 prevede che due giovani per ognuna delle province che aderiscono all'iniziativa (che nel caso della Campania sono Avellino, Caserta e Napoli) appositamente individuati dopo un processo di selezione in base alle loro conoscenze del contesto locale e alle competenze nei settori del marketing, con esperienza nell’uso del web e dei social media, da giugno 2015 ad aprile 2016 supporteranno un numero selezionato di aziende locali in attività di promozione online, attivazione di forme di e-commerce e nella definizione di una campagna di online marketing, favorendo, attraverso la digitalizzazione, un migliore accesso delle PMI ai mercati internazionali. Percentuale di popolazione coperta da banda larga nelle province campane per tipologia di banda larga. Situazione al 6 luglio 2015 Provincia % % % popolazione popolazione popolazione raggiunta da raggiunta da raggiunta da banda larga banda larga banda ultra fissa e wireless fissa wireless larga Caserta 93,7 3,4 5,0 Benevento 83,7 8,1 5,3 Napoli 98,2 1,3 34,5 Avellino 86,1 7,0 0,0 Salerno 86,4 6,7 9,0 CAMPANIA 93,6 3,4 20,8 ITALIA 93,1 3,8 22,1 Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Infratel Italia e Istat Tornando alle indicazioni sulla copertura infrastrutturale sul territorio campano i divari intra territoriali appaiono essere piuttosto netti. Al di la del fatto che esistono quote di popolazione in condizione di digital divide (ovvero assenza di copertura a banda larga) in 245 dei 550 comuni, nella regione convivono province come quella di Napoli che hanno una copertura pressoché integrale (98,2% superiore ad esempio alla copertura media europea) a cui fanno da contraltare realtà come quelle di Benevento la cui quota di popolazione coperta (83,7%) di fatto costituisce una realtà più vicina ai livelli che si riscontrano nel Molise a cui il Sannio sembra essere più simile 43 anche da un punto di vista geografico. Ma piuttosto in ritardo appaiono anche le aree dell'Irpinia e del salernitano che superano di poco l'86%. Per quanto riguarda la banda ultra larga possiamo parlare invece di un fenomeno che al netto della provincia di Napoli (dove la copertura sfiora il 35%) è pressoché sconosciuto negli altri territori. Totalmente assente in Irpinia, nelle altre province al massimo si inerpica al 9% della provincia di Salerno caratterizzandosi di fatto per essere presente solamente nei comuni capoluogo di provincia fatta eccezione per alcuni comuni dell'hinterland napoletano come Casoria, Giugliano in Campania, Pozzuoli e Torre del Greco. Oltre ai differenziali territoriali in senso "amministrativo"meritano di essere evidenziati anche quelli che tengono conto delle caratteristiche morfologiche del territorio che nella provincia di Avellino sono piuttosto significativi. Con riferimento solamente alla quota di popolazione coperta da servizi di banda larga (che a livello di tutta la provincia raggiunge l'86%), si nota ad esempio che nei comuni classificati dalla Legge sulla Montagna del 1952 come totalmente montani 2la quota di popolazione coperta ammonta appena al 72,2% che rende i comuni irpini montani come quelli meno coperti della Campania se si eccettuano quelli della provincia di Salerno in cui tale quota arriva al 65,7%. Il problema si ridimensiona un pochino se si considera che in queste aree arriva in soccorso la banda larga wireless che contribuisce a ridurre significativamente il digital divide limitandolo in questa zona all'11% complessivo (comunque decisamente superiore al 3% complessivo della regione). Passando dalla infrastrutturazione all'utilizzo delle tecnologie informatiche3, la Campania ha il 90,3% di imprese4 che operano in banda larga fissa, ed il 54,6% in banda larga mobile, percentuali inferiori alla media nazionale (rispettivamente, pari al 93,5% ed al 60%). Occorre quindi portare più connettività sulla banda ultralarga, mentre non sembra esservi un problema di domanda di accesso, posto che le imprese campane presenti su Internet sono il 98,5% del totale, a fronte del 98,2% nazionale. Il problema è sulle connessioni veloci di ultima generazione, ad oltre 30 Mbps, per le quali sono presenti solo il 16,2% delle imprese campane, a fronte del 65,2% presente su velocità inferiori ai 10 Mbps. Vi è poi, accanto al tema della connettività, un problema di valorizzazione della presenza aziendale sul web. Infatti, le imprese campane presenti in Internet, 2 I comuni etichettati con questa definizione sono Andretta, Aquilonia, Ariano Irpino, Bagnoli Irpino, Bisaccia, Cairano, Calabritto, Calitri, Caposele, Carife, Casalbore, Castelvetere sul Calore, Chiusano di San Domenico, Conza della Campania, Greci, Guardia Lombardi, Lacedonia, Lioni, Montaguto, Montefusco, Montella, Montemarano, Monteverde, Morra De Sanctis, Nusco, Quadrelle, Rocca San Felice, San Nicola Baronia, San Sossio Baronia, Sant'Andrea di Conza, Sant'Angelo a Scala, Sant'Angelo dei Lombardi, Santa Paolina, Savignano Irpino, Scampitella, Senerchia, Sirignano, Summonte, Taurano, Teora, Torrioni, Trevico, Vallata, Vallesaccarda, Villanova del Battista, Volturara Irpina, Zungoli 3 Le risultanze che vengono presentate in queste pagine derivano da una elaborazione realizzata dall'Istituto Guglielmo Tagliacarne realizzata a partire dai microdati dell'indagine " Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione nelle imprese" relativa all'anno 2014 (cfr. http://www.istat.it/it/archivio/143752) e fanno riferimento esclusivamente al complesso della regione Campania non essendoci la possibilità di territorializzare ulteriormente queste informazioni per motivi di significatività statistica 4 Nell'analisi di questi dati ci si riferirà sempre a imprese con almeno 10 addetti 44 pur essendo più frequenti della media nazionale, usano un proprio sito aziendale solo nel 60,4% dei casi (69,2% nazionale) usano i social media (ottimi strumenti di marketing e promozione) solo nel 26,1% delle situazioni, a fronte del 29,3% nazionale, e usano tali strumenti male, nel senso che in larga maggioranza utilizzano un solo social media, quando invece il maggiore impatto conoscitivo sulla rete deriva dall’accesso a numerosi canali di tipo sociale. Solo otto imprese su dieci utilizzano siti di elaborazione di contenuti multimediali, quindi siti di particolare impatto visivo e promozionale, così come anche il commercio elettronico B to B è poco diffuso, forse anche per una scarsa conoscenza/fiducia dei consumatori finali. Infatti, il commercio elettronico è praticato dal 34,5% delle imprese campane, a fronte del 42,5% italiano, e quasi tutte le imprese campane che lo utilizzano si limitano agli acquisti da fornitori, mentre la diffusione sul mercato finale di vendita è molto rara (solo il 7,9% vende on line, dato peraltro non dissimile da quello italiano, che segnala come vi siano ancora notevoli problemi di sicurezza, ma anche di conoscenza dello strumento, per tale modalità di commercializzazione). Percentuale di popolazione coperta da banda larga secondo il livello di montuosità dei comuni per tipologia di banda larga. Situazione al 6 luglio 2015. Provincia di Avellino 100 90 80 89,7 93,6 72,2 70 60 50 40 30 16,8 20 10 3,7 2,5 0,0 0,0 0,0 0 % popolazione raggiunta da banda % popolazione raggiunta da banda % popolazione raggiunta da banda larga fissa e wireless larga fissa wireless ultra larga Non montano Parzialmente montano Totalmente montano Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Infratel Italia e Istat I sistemi Erp, fondamentali per poter avere una gestione integrata dell’attività aziendale, facendo dialogare tutte le funzioni, e quindi per consentire una pianificazione strategica evoluta, sono presenti in appena un terzo delle imprese campane, a fronte del 37,2% nazionale, andando quindi a costituire un elemento di ritardo competitivo del sistema produttivo regionale. 45 I 41 indicatori di diffusione della tecnologia della comunicazione nelle imprese campane e in Italia (% di imprese che dichiarano di realizzare quella'attività). Anno 2014 INDICATORE CAMPANIA ITALIA 10,3 Imprese che hanno assunto o hanno provato ad assumere personale con competenze specialistiche ICT Imprese che dispongono di una connessione a Internet 9,4 10,5 98,5 98,2 Imprese che acquistano servizi di cloud computing 41,4 40,1 Imprese che utilizzano connessioni in banda larga fissa o mobile 93,3 95,0 Imprese che acquistano servizi di cloud computing: servizi di posta elettronica 38,3 34,5 Imprese che utilizzano connessioni in banda larga fissa 90,3 93,5 Imprese che acquistano servizi di cloud computing: software per ufficio 21,1 16,5 54,6 Imprese che acquistano servizi di cloud computing: applicazioni software di 60,0 finanza e contabilità 14,1 13,4 65,2 66,0 Imprese che acquistano servizi di cloud computing: archiviazione di file 12,4 12,7 18,6 21,1 Imprese che acquistano servizi di cloud computing: hosting di database dell'impresa 12,0 11,1 Imprese con connessione a internet che hanno ha una connessione in banda larga fissa con almeno 30 Mbit/s 16,2 12,8 Imprese che acquistano servizi di cloud computing: applicazioni software CRM per gestire le informazioni relative ai propri clienti 5,3 5,8 Imprese con addetti provvisti di dispositivi portatili con tecnologia di connessione mobile forniti dall’impresa per finalità lavorative 63,5 66,8 Imprese che acquistano servizi di cloud computing: potenza di calcolo per eseguire il software dell'impresa 3,2 3,2 Imprese con più del 10% di addetti provvisti di dispositivi portatili con tecnologia di connessione mobile forniti dall’impresa per finalità lavorative 30,8 38,1 Imprese che acquistano solo la posta elettronica come servizio di cloud computing 13,4 12,2 Imprese con più del 20% di addetti provvisti di dispositivi portatili con tecnologia di connessione mobile forniti dall’impresa per finalità lavorative 14,9 19,5 Imprese che utilizzano servizi cloud su server condivisi (cloud pubblico) 26,7 28,2 Imprese che hanno un sito web 60,4 69,2 Imprese che utilizzano servizi cloud su server riservati (cloud privato) 15,6 14,4 Imprese che utilizzano almeno un social media Imprese che utilizzano un solo social media (sul totale imprese che utilizzano social media) Imprese che utilizzano i social network 27,9 31,8 Imprese che effettuano vendite e/o acquisti on-line 34,5 42,5 70,1 62,9 Imprese che vendono on-line 7,9 8,2 26,1 29,3 Imprese che raccolgono ordini di vendita via web 6,9 6,3 10,3 Imprese che raccolgono ordini di vendita attraverso sistemi di EDI 2,0 2,6 31,5 39,6 5,4 5,0 3,8 3,6 Imprese che utilizzano connessioni in banda larga mobile Imprese con connessione a internet che hanno ha una connessione in banda larga fissa di meno di 10 Mbit/s Imprese con connessione a internet che hanno ha una connessione in banda larga fissa da 10 a 30 Mbit/s 3,3 Imprese che utilizzano siti web di condivisione di contenuti multimediali 8,2 Imprese che inviano fatture elettroniche ad altre imprese o P.A. in un formato adatto alla elaborazione automatica dei dati (eInvoice) 7,1 Imprese che inviano fatture elettroniche ad altre imprese o P.A. in un formato non adatto alla elaborazione automatica dei dati (pdf, jpg, tif, email, ecc.) 47,7 Imprese che fatturano solo in modalità cartacea Imprese che utilizzano sistemi ERP 8,7 33,5 15,2 INDICATORE CAMPANIA ITALIA Imprese che utilizzano applicazioni CRM per finalità di raccolta, archiviazione e 22,7 28,2 condivisione Imprese che impiegano esperti ICT 4,2 Internet delle cose: uso di RFID 5,4 Imprese che acquistano on-line 56,7 Imprese che vendono via web a consumatori privati Imprese che vendono via web ad altre imprese o alla Pubblica 8,2 Amministrazione 37,2 Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Infratel Italia e Istat Viceversa, la fatturazione elettronica, forse anche per via dei frequenti contatti commerciali con la PA di molte imprese di diversi settori dell’economia regionale che lavorano per il pubblico, è leggermente più frequente della media, coinvolgendo il 7,1% del totale, circa 1,7 punti al di sopra del dato italiano generale. Solo Basilicata ed Umbria hanno valori più alti. Il tema dei dispositivi portatili assegnati ai dipendenti è di particolare rilevanza, perché vi si connettono le recenti, dibattute, norme del Jobs Act relative ai controlli a distanza, ed alle connesse tematiche della privacy. Il 63,5% delle imprese della regione in esame forniscono ai propri addetti dispositivi portatili con connessione mobile, una percentuale non molto lontana dal 66,8% dell’Italia, e che segnala come tale tematica sia molto rilevante, anche in Campania. Altro tema rilevante, per gli sviluppi, in termini di potenza di calcolo e di capacità di archiviazione di dati, è quello costituito dalle tecnologie di cloud computing, una delle frontiere dell’informatica. Il 41,4% delle imprese campane acquista servizi di cloud, una frequenza superiore a quella italiana (40,1%) che segnala il dinamismo di molte attività produttive della regione nel dotarsi di strumenti sofisticati (e quindi, tornando a quanto detto sopra, richiede con urgenza un potenziamento della 46 connettività super veloce, che sorregge tali strumenti). In particolare, fra i diversi servizi che può offrire il cloud, prevalgono, sulla media nazionale, le imprese regionali che acquistano servizi di posta elettronica, software per ufficio, software di finanza e contabilità, hosting di database aziendali, e, rispetto al comportamento delle imprese di altre regioni, prevale, per motivi di sicurezza, l’utilizzo di servizi privati di cloud. Le ricadute occupazionali del settore dell’Ict, per una tipologia di occupazione peraltro qualificata, che quindi potrebbe dare anche risposte ad una disoccupazione intellettuale come quella campana, sono anch’esse non trascurabili. Il 10,3% delle imprese campane ha assunto esperti di Ict, un valore ancora inferiore a quello italiano (pari al 15% circa) che dovrebbe crescere con lo sviluppo di quei servizi ancora non appieno utilizzati dalle imprese della regione, di cui sopra si è discusso. 47 7. I segnali del mercato del credito 48 49 La crisi finanziaria iniziata nel 2008, e poi protrattasi come crisi dei debiti pubblici, ha avuto effetti molto pesanti sugli attivi dei bilanci bancari, sia come crediti deteriorati, che come svalutazione del portafoglio titoli detenuto. Di conseguenza, in ragione degli automatismi contenuti in Basilea 3 quanto a rapporto fra attività ponderate per i rischi e patrimonio di sorveglianza, le banche hanno praticato una forte contrazione del credito, soprattutto in quelle aree (localizzate prevalentemente nel Sud) in cui il rischio di credito è tradizionalmente alto. Sul versante della raccolta, mentre a livello regionale e nazionale le banche hanno spinto molto per aumentare il volume dei depositi, fra 2010 e 2014 questi sono rimasti pressoché invariati (con una crescita complessiva pari a solo lo 0,7%, dieci volte inferiore a quella nazionale) in provincia di Avellino, Un chiaro segnale di esaurimento della capacità di risparmio da parte di famiglie ed imprese locali, la cui liquidità è stata compromessa dagli effetti della crisi. Ciò dipende dal fatto che la quota di depositi costituita dalle famiglie consumatrici (91,9%) è nettamente superiore alla media regionale (84,3%) ed a quella nazionale (70,5%) e quindi risente in modo particolarmente forte della compressione dei redditi familiari indotta dalla recessione. Anche come conseguenza delle difficoltà di raccogliere risparmio addizionale, la contrazione del credito bancario ad Avellino, fra 2011 e 2014, è stata particolarmente intensa (-7,2%, in linea con il trend regionale, ma più pesante del -6% registrato a livello nazionale). In particolare, il credito verso le Amministrazioni Pubbliche, in linea con un comportamento comune a tutto il Paese, si è ridotto molto rapidamente (-10,2%) per via dei limiti sempre più stringenti che le nuove normative hanno posto sulla possibilità di indebitamento delle PPAA. Diminuisce, a tassi superiori all’8%, il credito alle imprese non finanziarie, piccole e medio-grandi, anche come effetto della riduzione della domanda di investimenti in un quadro di aspettative ancora recessivo. Diminuisce, seppur in forma più moderata (-4,5%) il credito alle famiglie, che detengono il 36,8% degli impieghi totali, nove punti in più della media nazionale, mentre aumenta rapidamente (+10,6%) quello a società finanziarie, evidenziando come una delle distorsioni che hanno portato alla crisi attuale, ovvero l’utilizzo di risparmio bancario per alimentare investimenti speculativi, non è affatto stata superata. Una riduzione degli impieghi particolarmente marcata nella provincia in esame trova conferma anche sul versante del numero degli affidati, che fra 2011 e 2014 diminuisce del 2,2%, a fronte di una crescita del 9,5% su base nazionale. Una riduzione degli affidati meno rapida di quella del volume degli impieghi significa che molti clienti consolidati hanno visto ridursi le proprie linee di credito offerte. La riduzione più forte è fra le famiglie (-9,3%) che costituiscono quasi i due terzi degli affidati, mentre le altre categorie di clientela accrescono il numero di affidati, con particolare riferimento alle società di capitali del terziario e delle costruzioni. Grazie alla forte riduzione degli impieghi, nonostante la sostanziale stagnazione dei depositi, il rapporto fra queste due grandezze tende quindi a portarsi verso valori sempre più prudenziali per le banche, ovvero dallo 0,58 del 2011 allo 0,53 del 2014. I valori inferiori ad uno indicano che il sistema bancario sta esercitando un effetto recessivo sull’economia, perché toglie liquidità al 50 circuito economico in misura maggiore di quanta ne eroghi sotto forma di prestiti. Quindi, quello che già nel 2011 era un ruolo recessivo del sistema creditizio locale nello sviluppo economico provinciale, nel 2014, causa l’ulteriore contrazione degli impieghi, diventa ancora più prociclico. La contrazione creditizia, oltre che per i motivi sopra citati, dipende anche dal livello elevato, ed ulteriormente crescente, dei crediti inesigibili, che, per le regole automatiche di Basilea 3, comportano un aumento della ponderazione dei rischi del numeratore dei ratios di sorveglianza, inducendo una riduzione pressoché automatica del volume di impieghi erogabili. I crediti inesigibili (sofferenze) che già costituivano il 10,4% degli impieghi totali nel 2011, quasi il doppio della incidenza media nazionale, ed anche al di sopra del già elevato 8,6% campano, nel 2014 arrivano al 15,2%, a fronte del 9,3% italiano e del 13,9% campano. Di fatto, fra 2009 e 2014 l’ammontare delle sofferenze degli istituti che operano in provincia di Avellino cresce del 123% circa, meno della crescita nazionale (+187%) solo perché lo stock di sofferenze di partenza è già, percentualmente sugli impieghi, molto più alto ad Avellino. Depositi bancari e risparmio postale per il complesso dei settori della clientela residenziale nelle province campane. Serie storica 2011-2014. Numero indice 2011=100 Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Banca d'Italia Le famiglie irpine detengono il 16,1% di tale monte-sofferenze, meno che in Campania (22,8%) ed anche meno rispetto all’Italia (17,4%) e questo forse spiega la minore contrazione degli impieghi destinati alle famiglie osservata in precedenza. Di contro, le società di capitali detengono il 71,3% delle sofferenze (e ciò spiega la contrazione particolarmente severa del credito nei loro confronti) 51 concentrate soprattutto nelle attività industriali e nei servizi. Le micro imprese aventi natura di ditta individuale o di società semplice (famiglie produttrici) detengono il 10,1% dei crediti non solvibili, a fronte dell’8% circa in Campania e in Italia. Come è evidente, l’aumentato rischio di credito ha anche effetti negativi sui tassi di interesse praticati alla clientela, che riflettono una valutazione del rischio di solvibilità del prenditore. Nel 2014, i tassi su operazioni in essere “caratteristiche”, come quelle di finanziamento per cassa con rischi a revoca sono pari ad una media dell’8,9%, che arriva al 9,3% per i prestiti concessi ad imprese (e si ferma al 4,2% per le famiglie). Si tratta di uno spread di 266 punti-base rispetto al valore medio nazionale, interamente attribuibile ai prestiti ad imprese (particolarmente rischiosi, come si è visto) poiché il tasso medio applicato alle famiglie è leggermente inferiore a quello nazionale (per 44 punti-base). Ciò ha un evidente riflesso negativo sulla competitività delle imprese irpine, meno incentivate a fare investimenti, e quindi a rilanciarsi sui mercati, rispetto alle concorrenti di altre regioni, che hanno un costo del denaro meno elevato. Impieghi bancari per il complesso dei settori della clientela residenziale nelle province campane. Serie storica 2011-2014. Numero indice 2011=100 Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Banca d'Italia Un cenno infine, va fatto sul processo di riorganizzazione territoriale delle banche, indotto da esigenze di risparmio dei costi operativi, e da innovazioni tecnologiche come l’Internet banking, che riducono l’utilità degli sportelli fisici sul territorio. Ad Avellino, nel periodo 2010-2014, lo stock di sportelli bancari si è ridotto di 7 unità, ovvero il 5,1% in meno. È stato un processo meno 52 radicale di quello regionale (-8,4%) e nazionale (-8,7%) perché già nel 2010 Avellino aveva un numero di sportelli per 100.000 abitanti (32,1) inferiore a quello nazionale (56,7). Nel dettaglio, la perdita di sportelli è concentrata nelle banche aventi natura di società per azioni (41) ed in particolare in quelle medie e piccole, come risultato di processi di acquisizione ed aggregazione, che hanno ridotto la rete territoriale, divenuta pletorica dopo il merger. Viceversa, il mondo cooperativo, ed in particolare quello delle banche popolari, accresce di 33 unità i propri sportelli, evidenziando una strategia commerciale profondamente diversa da quella delle banche non cooperative, fatta di maggiore vicinanza territoriale al cliente-socio, e quindi di una rete di rapporti più personalizzata. Continua a non esservi alcuna presenza di filiali di banche straniere. 53 8. Prime tendenze per il 2015: L'evoluzione della base imprenditoriale 54 55 I primi tre mesi del 2015, in termini di demografia d’impresa, cioè di nascita e mortalità di imprese come fotografata dagli archivi della CCIAA di Avellino, confermano l’impressione, già rilevata dalle indagini congiunturali degli altri paragrafi, di un’economia provinciale ancora in recessione, in attesa di riscontrare miglioramenti nel prosieguo dell’anno. Il tasso di crescita del primo trimestre del 2015 è infatti negativo, per 0,71 punti, registrando un andamento persino peggiore di quello del primo trimestre dell’anno scorso (-0,69%). Ciò si traduce in una riduzione netta, fra imprese iscritte e cessate dal registro imprese, pari a 314 unità. Serie storica delle iscrizioni, delle cessazioni e dei relativi tassi nel I trimestre di ogni anno. Provincia di Avellino Totale imprese Cessazioni Tasso di Tasso di Tasso di Anno Iscrizioni non Saldi iscrizione cessazione crescita d'ufficio 2009 774 2010 845 2011 919 2012 846 2013 851 2014 2015 Anno 1.019 -245 1,70 2,24 -0,54 925 -80 1,86 2,03 -0,18 1.086 -167 2,06 2,44 -0,37 1.185 -339 1,91 2,68 -0,77 992 -141 1,93 2,25 -0,32 772 1.077 -305 1,76 2,45 -0,69 725 1.039 -314 1,65 2,36 -0,71 Iscrizioni di cui imprese artigiane Cessazioni Tasso di Tasso di Saldi non iscrizione cessazione d'ufficio Tasso di crescita 2009 73 273 -200 0,88 3,30 -2,42 2010 139 245 -106 1,71 3,02 -1,31 2011 145 229 -84 1,86 2,95 -1,08 2012 110 253 -143 1,44 3,30 -1,87 2013 185 248 -63 2,48 3,32 -0,84 2014 104 262 -158 1,42 3,57 -2,15 2015 94 230 -136 1,31 3,20 -1,89 Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Infocamere Si tratta di un dato peggiore sia rispetto alla media regionale (-0,14%) essendo di fatto il secondo peggiore dopo quello di Benevento (confermando la sensazione, già rilevata, di una difficoltà delle aree più interne della regione ad agganciare una ripresa che si manifesterà in anticipo nelle province costiere) sia in confronto con quella nazionale (-0,31%). Peraltro va anche detto che le difficoltà della provincia di Avellino sono complessivamente trasversali a tutto il territorio. Se infatti suddividiamo il territorio irpino a seconda del livello di montuosità dei comuni su tre livelli (non montano, parzialmente montano o non montano) si evidenzia che il tasso di crescita premia certamente di più le aree non montane (tasso di crescita totale: -0,55%) ma il distacco fra queste e le aree montane appare decisamente meno sensibile rispetto a quanto accade in altre 56 circoscrizioni provinciali. Quello che si nota in montagna (ed in particolare nelle zone totalmente montane) è lo scarso livello di creazione di nuova impresa che si ferma nel trimestre appena concluso a 1,45 (circa due decimi in meno del totale provinciale) che viene fronteggiato da una mortalità relativamente modesta a testimonianza di una complessiva staticità imprenditoriale. Tassi di crescita del totale imprese nel primo trimestre 2014 e 2015 nelle province campane Province Caserta Benevento Napoli Avellino Salerno 1.788 2.115 -327 Tasso di Tasso di crescita I crescita I trimestre trimestre 2015 2014 89.971 -0,36 -0,16 644 911 -267 34.388 5.243 4.845 398 725 1.039 -314 Iscrizioni Cessazioni Saldo I trimestre 2015 Stock al 31 marzo 2015 -0,77 -1,03 277.324 0,14 -0,14 43.627 -0,71 -0,69 2.435 2.740 -305 118.517 -0,26 -0,51 CAMPANIA 10.835 11.650 -815 563.827 -0,14 -0,32 SUD E ISOLE 36.628 42.765 -6.137 1.977.634 -0,31 -0,41 114.502 133.187 -18.685 6.013.167 -0,31 -0,38 ITALIA Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Infocamere Tassi di crescita delle imprese artigiane nel primo trimestre 2014 e 2015 nelle province campane Province Caserta Benevento Napoli Avellino Salerno Iscrizioni Cessazioni Saldo I trimestre 2015 Tasso di Tasso di crescita I crescita I trimestre trimestre 2015 2014 11.098 -1,43 -2,11 Stock al 31 marzo 2015 191 352 -161 76 158 -82 4.816 -1,67 -2,13 627 755 -128 29.055 -0,44 -1,40 94 230 -136 7.050 -1,89 -2,15 231 511 -280 19.381 -1,42 -1,33 CAMPANIA 1.219 2.006 -787 71.400 -1,09 -1,62 SUD E ISOLE 5.516 10.024 -4.508 341.317 -1,30 -1,70 28.366 42.940 -14.574 1.367.487 -1,05 -1,18 ITALIA Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Infocamere Sembra essere soprattutto la micro impresa, meno capitalizzata, a soffrire maggiormente degli effetti ancora recessivi della congiuntura, evidentemente per via delle maggiori difficoltà organizzative nell’internazionalizzarsi, e delle maggiori difficoltà finanziarie e di accesso al credito. Il segmento artigiano del tessuto produttivo locale, infatti, nel primo trimestre dell’anno subisce un tasso di variazione negativo per ben 1,89 punti, più leggero del (-2,15%) registrato nel primo trimestre 2014, ma, ancora una volta, più grave del dato regionale e nazionale, a testimoniare di specifiche difficoltà. Il contributo che sembra venir meno, sia sul versante del tessuto produttivo nel suo insieme, che su quello artigiano nello specifico, consiste nell’iscrizione di nuove imprese. A livello generale, il tasso di iscrizione, che nel primo trimestre 2013 era del’1,93%, nei primi tre 57 mesi del 2015è sceso all’1,65%. La contrazione è anche più forte nell’artigianato, evidenziando quindi, a fronte della costanza del tasso di cessazione, un minore ricambio imprenditoriale, e quindi un “invecchiamento” ed un declino del tessuto produttivo locale. Dal punto di vista settoriale, il calo più evidente riguarda le imprese edili, che perdono l’1,6% delle imprese, in termini tendenziali, nel primo trimestre dell’anno, e nonostante il fatto che, come si illustra nel capitolo del mercato del lavoro, il comparto delle costruzioni metta in luce una ripresa occupazionale, che evidentemente riguarda una élite di imprese, mentre le altre sono ancora in crisi. Soprattutto la micro impresa edile artigiana è ancora in pesanti difficoltà, risentendo della crisi di liquidità e dei problemi di rapporto con i committenti per chi si posiziona nei segmenti più deboli della catena del valore, spesso in condizioni di subappalto poco favorevoli dal punto di vista della redditività. Stock delle imprese registrate al 31 dicembre 2014 e 31 marzo 2015 e variazione percentuale trimestrale per settore di attività economica. Provincia di Avellino Stock al 31 marzo 2015 Settori di attività economica Agricoltura, silvicoltura pesca Totale di cui imprese artigiane 10.968 43 Estrazione di minerali da cave e miniere Attività manifatturiere Stock al 31 dicembre Var. % trimestrale dello 2014 stock Totale di cui Totale di cui imprese artigiane imprese artigiane 11.116 44 -1,3 -2,3 28 4 28 4 0,0 0,0 4.131 1.719 4.171 1.748 -1,0 -1,7 0,0 Fornitura di energia elettrica, gas, vapore 75 1 73 1 2,7 Fornitura di acqua; reti fognarie 65 13 64 13 1,6 0,0 Costruzioni 4.977 2.465 5.057 2.553 -1,6 -3,4 Commercio 10.595 652 10.684 657 -0,8 -0,8 770 298 778 303 -1,0 -1,7 Attività dei servizi alloggio e ristorazione 2.392 257 2.408 260 -0,7 -1,2 Servizi di informazione e comunicazione 558 30 562 30 -0,7 0,0 Attività finanziarie e assicurative 673 0 679 0 -0,9 - Attività immobiliari 597 1 598 0 -0,2 - Attività professionali, scientifiche e tecniche 861 136 873 135 -1,4 0,7 Noleggio, agenzie di viaggio, servizi alle imprese 829 134 831 135 -0,2 -0,7 Trasporto e magazzinaggio Amministrazione pubblica e difesa; ass. sociale 1 0 1 0 0,0 - Istruzione 169 25 165 26 2,4 -3,8 Sanità e assistenza sociale 293 2 290 2 1,0 0,0 Attività artistiche, sportive, di intrattenimento Altre attività di servizi 387 15 388 15 -0,3 0,0 1.478 1.254 1.476 1.261 0,1 -0,6 Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Infocamere Seguono, per gravità della riduzione del numero di imprese, il settore dei servizi professionali, scientifici e tecnici (-1,4%) dove però i micro studi a carattere artigiano segnalano un incremento dello 0,7%, e l’agricoltura (-1,3%) anch’essa connotata da particolari difficoltà, sul versante della liquidità e dei costi, sopportate dal segmento artigiano e più in generale dai piccoli coltivatori diretti. Pesa anche il calo di un punto delle imprese manifatturiere, che diventa di 1,7 punti nel segmento delle manifatturiere artigiane. In calo anche il numero di imprese del commercio, dei 58 servizi di trasporto e logistica, e dei servizi turistici e pubblici esercizi, ancora una volta con cali particolarmente accentuati nella componente artigiana e della micro impresa. I soli settori in crescita del numero di imprese si annidano in alcune aree del terziario, ad esempio nei servizi privati di istruzione (+2,4%), in quelli di sanità ed assistenza sociale (+1%), e nelle utilities idriche ed energetiche. Evidentemente, la crisi particolarmente accentuata della micro impresa e dell’impresa artigiana è il riflesso di una selezione competitiva esercitata dalla crisi, che espelle dal mercato le unità produttive meno patrimonializzate e meno in grado di raggiungere livelli produttivi tali da conseguire economie di scala e di scopo. Tale fenomeno si rileva anche dall’esame dell’andamento delle imprese per forma giuridica. Mentre il tasso di variazione delle imprese più elementari e meno capitalizzate, le imprese individuali, è negativo (-1,4%) e moderatamente negativo è anche quello delle società meno strutturate, ovvero le società di persone (-0,41%) le società di capitali crescono dell’1%, in buona misura come effetto del cambiamento di status di quelle imprese più semplici che, nonostante la crisi, sono riuscite ad avere un sentiero di crescita, ed in parte come scelta fatta da chi ha impiantato una nuova impresa, consapevole della necessità di realizzare, in un contesto di mercato così difficile e selettivo, un’iniziativa robusta sotto il profilo della capitalizzazione iniziale e della struttura di governance ed organizzativa. Colpisce anche il calo (-0,27%) delle “altre forme”, in buona misura costituite da cooperative, un calo costante, registrato anche nel primo trimestre dell’anno scorso, nelle stesse proporzioni. Ciò evidenzia le difficoltà del sistema cooperativo, colpito anche da una sua specifica crisi di fiducia, nonché dall’indebolimento dei legami di coesione sociale, indotto dalla crisi economica, che evidentemente influisce negativamente anche sulla propensione al mutualismo. Riepilogo della nati-mortalità per forme giuridiche – I trimestre 2015. Provincia di Avellino Forme giuridiche Iscrizioni Cessazioni Saldo I trim. Stock al 2015 31.03.2015 Tasso di crescita I trim. 2015 Tasso di crescita I trim. 2014 Totale imprese Società di capitali 240 145 9.615 1,00 1,14 -23 5.564 -0,41 -0,05 -382 26.997 -1,40 -1,45 -4 1.451 -0,27 -0,27 1.039 -314 di cui imprese artigiane 43.627 -0,71 -0,69 Società di persone 66 89 Imprese individuali 396 778 23 27 Altre forme TOTALE 725 95 Società di capitali 11 11 0 273 0,00 0,00 Società di persone 3 22 -19 996 -1,91 -1,28 Imprese individuali 80 197 -117 5.911 -1,98 -2,39 Altre forme TOTALE 0 0 0 8 0,00 0,00 94 230 -136 7.188 -1,89 -2,15 Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Infocamere 59 9. Prime tendenze per il 2015: Il primo trimestre del settore manifatturiero e previsioni per il secondo 60 61 I primi tre mesi del 2015, per il comparto manifatturiero irpino, si chiudono con una tendenza, invero comune a tutta l’economia campana, verso la stabilizzazione dei parametri produttivi e di mercato. Infatti, i livelli produttivi delle imprese manifatturiere provinciali risultano, rispetto al quarto trimestre 2014, stabili nel 53% dei casi (60% in Campania), in un quadro in cui, però, il saldo fra aumenti e riduzioni produttive su base congiunturale è ancora negativo per 17 punti (14 a livello regionale). La tendenza alla stabilizzazione del quadro produttivo è dunque più lenta rispetto alle altre province campane, segnalando una specifica difficoltà del manifatturiero avellinese nell’agganciare i primi venti di una possibile ripresa. Tal quadro trova conferma anche nelle variazioni tendenziali: rispetto al primo trimestre 2014, nei primi tre mesi del 2015 la variazione produttiva del manifatturiero irpino è negativa per 2,2 punti, a fronte del (-1,6%) campano. Se la maggiore quota di imprese (46%) stabilizza su base annua la sua produzione, tale quota è comunque inferiore al 52% regionale. La capacità produttiva utilizzata, a marzo 2015, è comunque pari al 76,9%, valore piuttosto alto, se paragonato al 73,9% medio campano (si tratta del livello più alto fra le cinque province campane) e ciò spiega la maggiore lentezza nel processo di stabilizzazione produttiva: le imprese manifatturiere irpine utilizzano già gli impianti su livelli più alti rispetto alle altre imprese campane, per cui il margine di miglioramento è più ristretto. Gli andamenti produttivi sono ovviamente modellati su quelli di mercato. Il fatturato totale delle imprese irpine dell’industria in senso stretto tende ad una stabilizzazione sui livelli del trimestre precedente nel 43% dei casi, mentre lo scarto fra imprese in aumento ed in riduzione è ancora di venti punti percentuali. Dati che sono peggiori di quelli regionali (56% di imprese in stabilizzazione di fatturato e spread di 12 punti fra aumenti e riduzioni dello stesso). L’andamento tendenziale (3,6%) è il peggiore fra le imprese campane, e solo il 48% dell'imprenditoria irpina stabilizza il giro d’affari nell’arco di un anno. Ancora una volta, i dati medi regionali sono migliori. Scomponendo il fatturato totale nelle sue componenti estera ed interna, nel primo caso esso flette dello 0,8% sul primo trimestre 2014, in controtendenza rispetto alla crescita (+1,3%) regionale, indicando una perdita di competitività all’export preoccupante, nel momento in cui le imprese campane iniziano invece ad accrescere le loro esportazioni. In positivo, vi è che il 38% delle imprese irpine vede migliorare le proprie performance estere, ed il 37% le stabilizza. Il sistema manifatturiero provinciale tende quindi ad accusare andamenti duali. Gli ordinativi hanno una componente anche previsionale, essendo rivolti a produzioni che verranno materialmente realizzate solo successivamente all’acquisizione degli stessi. Su base congiunturale, la succitata tendenza alla stabilizzazione di mercato si traduca in un 46% di imprese irpine che segnalano gli stessi livelli del trimestre precedente, pur se lo scarto fra aumenti e riduzioni è ancora negativo, per 6 punti, ed è lievemente meno pesante (-10 punti) rispetto a quello regionale, che però ha il 57% di imprese in stabilizzazione. Tuttavia, il 24% delle imprese manifatturiere provinciali aumenta i suoi ordinativi sul trimestre precedente, a fronte del 17% regionale, confermando quindi la natura duale fra un manifatturiero più rapido nell’agganciare la 62 ripresa ed uno di tipo più tradizionale, ancora in affanno. Lo stesso quadro duale si presenta anche nell’analisi tendenziale annua: se gli ordinativi diminuiscono del 3%, a fronte di un calo di due punti su scala campana, le imprese irpine in miglioramento sono il 28%, a fronte del 21% regionale. Saldi percentuali tra indicazioni di aumento della produzione e indicazione di diminuzione nei periodi quarto trimestre 2014/primo trimestre 2015 e primo trimestre 2015/secondo trimestre 2015. Provincia di Napoli -39 Industrie alimentari 4 -35 Industrie tessili, dell'abbigliamento e delle calzature 33 -18 Industrie del legno e del mobile 12 -26 Industrie dei metalli 22 25 Industrie meccaniche e dei mezzi di trasporto -20 -33 Altre industrie 31 -17 INDUSTRIA MANIFATTURIERA 10 -37 - di cui: Artigianato 2 -41 2-9 addetti 9 -9 10 addetti e oltre 11 -50 Consuntivo 4°trimestre 2014-1°trimestre 2015 -30 -10 10 30 50 Preconsuntivo 1°trimestre 2015-2°trimestre 2015 Fonte:Unioncamere-Istituto Guglielmo Tagliacarne - Indagine congiunturale sull'industria manifatturiera per la regione Campania La componente estera degli ordinativi conferma la difficoltà del manifatturiero provinciale, nel suo insieme, ad agganciare i mercati internazionali: essi, su base annua, crescono dello 0,7%, invertendo una fase di declino, ma rimanendo sotto il trend regionale (+1,4%). Ancora quasi una impresa irpina su cinque registra un calo di ordini esteri, a fronte del 16% campano. Il livello complessivo del portafoglio ordini acquisito rimane modesto, frenando le prospettive di incremento produttivo nei prossimi trimestri: gli ordini totali acquisiti garantiscono infatti solo 7,8 settimane di produzione, a fronte delle 10,1 settimane regionali. Di conseguenza, le previsioni produttive formulate per il secondo trimestre del 2015 sono ancora improntate alla stagnazione, mentre nelle altre province campane si segnala un inizio di espansione. Infatti, ben il 60% delle imprese irpine prevede lo stesso livello produttivo del primo trimestre (a fronte del 49% campano) mentre solo il 25% lo aumenterà (contro il 38% regionale). Continua quindi a profilarsi un “andamento lento” della produzione, che si riflette fedelmente negli ordini, che rimarranno invariati, nel secondo trimestre, per il 58% degli intervistati, e migliorerà per appena il 27% (confrontandosi con valori medi regionali, rispettivamente, del 50% e 63 37%). A tale stagnazione contribuirà una persistente difficoltà nel posizionarsi sui mercati esteri: solo il 16% delle imprese manifatturiere irpine aumenterà, nel secondo trimestre, gli ordinativi esteri (contro il 51% regionale). Il saldo fra aumenti e diminuzioni sarà ancora negativo per quasi 20 punti, mentre sarà positivo nelle altre province campane (ad esclusione di Benevento). In qualche modo, le province interne della Campania, come Avellino, scontano una maggiore difficoltà di posizionamento sui mercati globali, che rallenta la loro ripresa produttiva. Di conseguenza, anche il fatturato avrà questo andamento stagnante: rimarrà immutato, fra primo e secondo trimestre, nel 57% dei casi, ed aumenterà solo per il 26% delle imprese di eccellenza, a fronte del 39% regionale. 64 10. Prime tendenze per il 2015: Il primo trimestre del settore dei servizi e delle costruzioni e previsioni per il secondo 65 66 Come già verificato per il manifatturiero, anche il terziario irpino tende, nel primo trimestre del 2015, ad una stabilizzazione dei livelli di attività e di mercato, che ancora non è una vera e propria ripresa. Rispetto al quarto trimestre 2014, infatti, le imprese provinciali che non modificano il loro volume d’affari sono il 61% del totale (56% regionale) mentre c’è ancora uno scarto negativo per 16 punti percentuali fra aumenti e riduzioni, un dato lievemente peggiore di quello campano, che si ferma a 14 punti. Su base annua, il volume d’affari delle imprese terziarie di Avellino diminuisce del 3,2%, a fronte del calo del 2,3% regionale, evidenziando la profondità della crisi di mercato attraversata dal tessuto produttivo locale. Le indicazioni delle imprese relativamente al proprio settore di appartenenza confermano questa tendenza alla stabilizzazione, in un quadro ancora moderatamente recessivo. Il 59% delle imprese di servizi locali infatti giudica inalterato il livello del proprio settore rispetto al trimestre precedente (64% rispetto al primo trimestre 2014), mentre vi è uno scarto di quasi venti punti fra miglioramenti e peggioramenti. Tuttavia, i miglioramenti del settore sono percepiti dall’11% dei rispondenti, a fronte dell’8% regionale, quindi vi è qualche grado di ottimismo in più. In effetti, l’ottimismo si manifesta rispetto alle previsioni. Per quanto riguarda le aspettative per il secondo trimestre dell’anno, il terziario provinciale si allinea al dato regionale, iniziando ad intravedere una prima ripresa. Il 29% delle imprese intervistate prevede infatti un aumento del volume di affari rispetto al primo trimestre, mentre solo il 13% sconta un peggioramento. La tendenza alla stabilizzazione è ancora molto forte, coinvolgendo il 58% dei rispondenti. Ma è rispetto alle previsioni per i prossimi 12 mesi che il quadro si fa decisamente più roseo. Le aspettative circa l’evoluzione della propria attività nei prossimi 12 mesi sono improntate allo sviluppo nel 31% dei casi (non dissimile dal 34% regionale) ed alla stabilità nel 62% delle situazioni. Solo il 4% degli intervistati prevede ancora una contrazione. Nello specifico del commercio, le questioni sono leggermente più problematiche, a causa di una domanda interna per consumi che permane debole. Il primo trimestre è infatti ancora piuttosto complesso, risentendo del più generale ritardo dell’economia irpina nell’agganciare le prime prospettive di una ripresa. Infatti, rispetto al quarto trimestre 2014, è ancora del 45% la quota di esercizi commerciali provinciali che diminuisce le sue vendite, il secondo peggior risultato fra le province campane. Un risultato di dimensioni tali, da non poter essere giustificato soltanto con la stagionalità del periodo post-natalizio. Solo il 6% degli esercizi aumenta il proprio fatturato alla vendita, e di fatto il saldo complessivo fra aumenti e riduzioni è di cinque punti peggiore rispetto al già non particolarmente soddisfacente risultato regionale. Su base annua, a marzo 2015 le vendite sono diminuite del 3,4%, il secondo peggior risultato fra le province della Campania, anche se il 61% di imprese che evidenziano una situazione di stabilità lascia presagire, anche per detto settore, un progressivo miglioramento del trend di mercato. Un altro elemento di relativo ottimismo è costituito dalle giacenze, che nel 12% dei casi sono ritenute scarse rispetto alla domanda, quando a livello regionale tale percentuale si ferma al 6%. 67 L’esigenza, più diffusa che nelle altre province campane, ancorché minoritaria, di rifornire il magazzino, è indicativa di una certa previsione di ripresa della domanda. Ed infatti, le previsioni per il secondo trimestre vedono un balzo in avanti di oltre venti punti dei rispondenti che si aspettano un aumento delle vendite (27%) valor allineato alla media regionale, anche se ancora un 16% di esercizi (12% a livello campano) prevede un ulteriore calo. C’è quindi una ripresa che non è ancora generalizzata al complesso del comparto commerciale irpino, ma che si intravede chiaramente. Saldi percentuali tra indicazioni di aumento e indicazioni di diminuzione del volume di affari (vendite per i settori ipermercati, supermercati e grandi magazzini, commercio al dettaglio di prodotti non alimentari e commercio al dettaglio di prodotti alimentari) nei periodi quarto trimestre 2014/primo trimestre 2015 e primo trimestre 2015/secondo trimestre 2015. Provincia di Avellino -25 Costruzioni 16 -33 Commercio ingrosso e di autoveicoli 22 -41 Commercio al dettaglio di prodotti alimentari -2 -34 Commercio al dettaglio di prodotti non alimentari 12 -64 Ipermercati, supermercati e grandi magazzini 32 -38 Alberghi, ristoranti e servizi turistici 37 Trasporto movimentazione merci logistica e serv. conn. 15 -1 -44 Mense e servizi bar 18 -30 -28 Informatica e telecomunicazioni -9 Servizi avanzati 38 1 Servizi alle persone -10 Altri servizi -80 Consuntivo 4°trimestre 2014-1°trimestre 2015 -60 -40 -20 19 10 0 20 40 60 Preconsuntivo 1°trimestre 2015-2°trimestre 2015 Fonte:Unioncamere-Istituto Guglielmo Tagliacarne - Indagine congiunturale sul commercio e sui servizi per la regione Campania La ripresa delle vendite trascina con sé una previsione di ripresa degli ordinativi, che coinvolgerà, nel secondo trimestre, il 20% degli esercizi, più o meno come nella media regionale, anche se la forza di tale ripresa sarà ancora moderata, talché il 68% dei rispondenti lascerà invariato il livello degli ordini. Le previsioni su un orizzonte temporale più ampio, ovvero sui prossimi 12 mesi, sono solo leggermente migliori, senza un vero e proprio salto di qualità: la quota di imprese che prevedono una espansione della loro attività sale lievemente, al 22%, meglio che nelle altre province campane, mentre solo un residuo 5% avrà ancora problemi di contrazione dell’attività. La ripresa continuerà ad essere di entità moderata, per cui il 73% dei rispondenti non varierà il suo volume di lavoro. 68 11. I recenti trend del mercato del lavoro e l'andamento della Cassa Integrazione Guadagni 69 70 71 La provincia di Avellino risente della perdurante recessione nelle sue performance di mercato del lavoro per il 2014. Rispetto al 2013, infatti, perde circa 7.500 occupati, una vera e propria emorragia, par, percentualmente, ad una riduzione del 5,2%, molto più pesante del calo regionale (-1,2%) ed in controtendenza rispetto alla stabilità occupazionale su scala nazionale (+0,4%). La maggiore flessibilità al ciclo recessivo di un sistema produttivo basato su settori particolarmente esposti alla crisi, o poco proiettati sui mercati extralocalistici, fa pagare un pesante pegno al territorio, in termini di stock di occupati. Va però anche detto che questo crollo avvertito nel 2014 è arrivato a differenza di quanto accaduto in altri territori non a consolidare ulteriormente un trend negativo ma a fare diventare negativo un fenomeno che tutto sommato durante la crisi non aveva pagato un dazio particolarmente significativo. Infatti al di la del valore minimo storico degli ultimi dieci anni sancito nel 2011 a quota 133.600 unità, lo stock occupazionale avellinese è sempre rimasto tutto sommato costante nel corso degli anni peggiori rimanendo sempre molto vicino ai livelli pre crisi. Una problematica del mercato del lavoro di Avellino che è particolarmente acuta in questi ultimi tempi è quella della femminilizzazione del tessuto occupazionale. Se infatti in Italia, il numero di donne al lavoro è praticamente su livelli record, ad Avellino i livelli massimi sono ancora quelli del 2007 e negli ultimi sette anni le donne occupate sono 4.500 in meno. Numero indice (2004=100) del numero degli occupati nella provincia di Avellino e in Italia per genere. Serie storica 2004-2014. 110 105 100 95 90 85 2004 2005 AVELLINO - Totale 2006 ITALIA - Totale 2007 2008 2009 AVELLINO - Maschi 2010 ITALIA - Maschi 2011 2012 AVELLINO - Femmine 2013 2014 ITALIA - Femmine Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Istat Ma se le donne in un arco temporale lungo piangono, in un contesto temporale più ristretto sono gli uomini ad aver versato il tributo più cruento alla crisi con -5.300 unità fra 2013 e 2014). 72 Conseguenza di tutti questi movimenti al ribasso è che il tasso di occupazione generale (fra 15 e 64 anni) perde quindi 2,4 punti sul 2013, attestandosi al 47,8%, valore ancora nettamente superiore a quello delle altre province campane ed a quello meridionale (41,8%), ma pari ad appena l’85,8% del tasso di occupazione nazionale. Il differenziale fra tasso di occupazione maschile e femminile passa dai 28,5 punti del 2013 ai 27 punti del 2014, ancora di molto superiore ai 23,7 punti della Campania, evidenziando un particolare problema di gender gap che in questi anni non è si ridimensionato sul territorio irpino. Il tasso di occupazione giovanile (15-24 anni) regredisce addirittura di 4,3 punti sul 2013, scendendo al 15,4%, rimanendo ancora su valori migliori rispetto al resto della Campania e del Mezzogiorno, ma attestandosi sul dato più basso dal 2011. Buona parte dell’emorragia occupazionale è stata quindi sopportata dai giovani, spesso occupati con contratti precari, che quindi sono i primi a pagare ristrutturazioni occupazionali. In termini settoriali, mentre gli occupati in agricoltura diminuiscono di circa 300 unità (in controtendenza rispetto al “ritorno ai campi” registrato a livello regionale e nazionale) ed il comparto del commercio, alberghi e pubblici esercizi, soggetto al calo della domanda per consumi locale, perde ben 5.000 addetti (addirittura il 14,5% del totale del suo stock occupazionale) insieme ai servizi non commerciali e non turistici (-7.900 unità). Di converso l’occupazione industriale torna a manifestare segnali di ripresa. In particolare, l’industria in senso stretto, dopo il pesante calo del 2013, torna sui livelli del 2012 grazie ad un incremento di 1.800 unità, che lascerebbe presumere la fine della fase più dura del processo di deindustrializzazione locale. Le costruzioni, dal canto loro, in declino occupazionale su tutto il periodo 2010-2013, nel 2014 hanno una ripresa, che si sostanzia in un incremento di 2.700 addetti, che ne riporta il dato occupazionale vicino al valore del 2010. Anche qui, probabilmente, la fase più dura della crisi di mercato potrebbe esser stata superata. Mentre gli occupati indipendenti (imprenditori, lavoratori autonomi, liberi professionisti, soci di cooperative, ecc.) perdono 4.300 unità sul 2013, interrompendo un aumento del bacino occupazionale che durava dal 2009, i dipendenti ne perdono solo 3.200. Ciò significa che la crisi occupazionale del 2014, oltre che sul tessuto della piccola e micro imprenditoria, si è scaricata anche sulla fascia più grave del precariato, ovvero i lavoratori a partita IVA, i soci di cooperative che in realtà svolgono attività parasubordinata a tutti gli effetti, ecc. Parallelamente all’emorragia occupazionale, i senza lavoro crescono di 4.900 unità, raggiungendo quasi i 28.000 individui, il valore più alto degli ultimi dieci anni, una vera e propria emergenza occupazionale, che porta il tasso di disoccupazione al 16,8%, più di tre punti in ascesa rispetto a quello dell’anno precedente. Ancora una volta, è poco consolatorio verificare che tale indice è tuttora meno pesante di quello regionale (21,7%) e meridionale (20,7%) quando oramai raggiunge il 132,5% della media italiana. Peraltro, il dato generale nasconde enormi differenze nella capacità di accesso ad un lavoro. Ad esempio, nella fascia di età fra i 15 ed i 24 anni, più della metà (51,8%) è senza occupazione, 73 depauperando una gigantesca risorse per la crescita economica provinciale, e generando un differenziale di opportunità di vita di tipo generazionale. Ancora, il tasso di disoccupazione maschile è pari ad appena il 67,8% di quello femminile, che raggiunge il 21,1%. Accanto all’aumento della disoccupazione, cresce anche l’area dell’inattività, per fenomeni di scoraggiamento nella ricerca di un’occupazione, correlati alla difficile situazione produttiva provinciale. Il tasso di mancata partecipazione al mercato del lavoro, per la fascia anagrafica fra i 15 ed i 74 anni di età, cresce di ben 3,8 punti in un solo anno, arrivando al 33,5%, valore analogo a quello del 2011-2012, certo meno rilevante di quello campano e meridionale, ma pari al 146% di quello italiano. Lo scoraggiamento nel ricerca un lavoro, e quindi l’inattività, riguardano purtroppo soprattutto i più giovani (che d’altra parte pagano le maggiori difficoltà nell’accesso ad una occupazione, anche quando la ricercano attivamente). Nella fascia fra i 15 ed i 24 anni, infatti, il tasso di mancata partecipazione raggiunge il 69,3%, con un progresso impressionante rispetto al 2013, pari a ben 14,3 punti. Si tratta di un valore di ben 12 punti superiore a quello nazionale, che mette in luce una realtà sociale drammatica, fatta, oltre che di fenomeni fisiologici (giovani che studiano, e quindi non cercano lavoro) anche di fatti patologici, ovvero di giovani che sono tagliati fuori da qualsiasi speranza di reperire una occupazione, e che vivono a carico delle famiglie di provenienza. I primi segnali per il 2015 evidenziano una tendenza, anche prospettica, al miglioramento del mercato del lavoro provinciale. Il ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni, nei primi tre mesi del 2015, crolla (-88,6%) rispetto al primo trimestre 2014, soprattutto in ragione della componente straordinaria (-95,7%) come conseguenza dell’esaurirsi di cicli di crisi manifatturiera in stabilimenti importanti per l’industria provinciale (spesso però tradottisi nella chiusura definitiva dello stabilimento e nel passaggio degli addetti in CIG alla disoccupazione, come nel caso Irisbus) mentre l’aumento della CIG ordinaria (+18,9% rispetto al primo trimestre 2014) segnala come vi siano ancora diffuse situazioni di temporanee difficoltà congiunturali nel tessuto produttivo locale peraltro già evidenziate dai segnali balbettanti che provengono dalle imprese campane come sottolineato nei due capitoli precedenti. Numero di ore di cassa integrazione autorizzate per provincia e tipo di intervento nei primi cinque mesi degli anni 2014 e 2015 Province Caserta Benevento Napoli Avellino Salerno CAMPANIA SUD E ISOLE ITALIA Totale 2014 4.113.153 1.667.260 11.751.607 3.136.618 5.425.434 26.094.072 96.261.321 453.923.433 2015 2.071.832 725.633 7.252.901 811.813 2.786.899 13.649.078 59.794.934 297.576.621 -di cui ordinaria 2014 619.728 508.033 1.873.822 437.494 1.585.899 5.024.976 22.746.136 122.435.084 2015 411.185 164.925 1.431.823 410.487 1.130.931 3.549.351 15.971.039 96.268.768 Fonte: Inps 74 -di cui straordinaria 2014 1.589.652 608.080 5.565.284 1.981.183 2.036.343 11.780.542 50.028.099 239.809.850 -di cui in deroga 2015 2014 2015 1.323.358 1.903.773 337.289 317.461 551.147 243.247 4.861.695 4.312.501 959.383 304.388 717.941 96.938 1.159.234 1.803.192 496.734 7.966.136 9.288.554 2.133.591 37.546.178 23.487.086 6.277.717 179.720.514 91.678.499 21.587.339 E’ però sul versante delle previsioni di assunzione delle imprese locali dell’industria e dei servizi per il secondo trimestre dell'anno che si colgono i primi, veri, segnali di inversione positiva di tendenza, dopo un primo trimestre ancora incerto, come mostrano i dati che fino a qui abbiamo illustrato sopra illustrati. Le previsioni degli imprenditori locali, elaborate dal sistema informativo Excelsior di Unioncamere-Ministero del Lavoro, per il secondo trimestre 2015, prevedono 1.190 assunzioni complessive, delle quali l’82% sarà alle dipendenze (pari a circa 970 unità) con interinali e co.co.pro che vengono messi decisamente in secondo piano anche in virtù del fatto che il mutato panorama normativo del mercato del lavoro prevede il superamento di questa ultima forma di inserimento lavorativo. Il 71,5% dei dipendenti assunti non sarà stagionale (a fronte del 57,6% campano e nazionale) e nel 48% dei casi saranno assunzioni stabili, ossia con un contratto a tempo indeterminato o di apprendistato, mentre nel 51% saranno a termine. Particolarmente eclatante appare in tal senso la quota di assunti a tempo determinato e a tutele crescenti. Quasi il 45% delle assunzioni sarà con questa tipologia di contratto. E particolarmente confortanti appaiono anche altri tre aspetti. Il primo è che questa aliquota supera nettamente (sedici punti percentuali) quella media nazionale e rende Avellino una delle province italiane con la maggiore quota di assunti a tempo indeterminato. La seconda è che uno dei settori trainanti in tal senso è rappresentato da quelle costruzioni che sono senza tema o quasi di smentita uno dei settori maggiormente toccati dalla crisi economica e che ora sembrano riemergere dando quindi continuità a quei segnali occupazionali positivi precedentemente tracciati. Costruzioni dove oltre 3 assunzioni su 4 saranno a tempo indeterminato. Infine l'ultima nota positiva è che l'82% delle assunzioni sarà fatto dalle piccole imprese che nonostante la crisi si rivelano più reattive nel percepire i primi segnali di ripresa. Quindi potremmo dire poca occupazione (almeno rispetto a quelle che sono le necessità del territorio ma decisamente buona). Da un punto di vista settoriale sarà il comparto turismo e ristorazione ad essere il settore più dinamico, con 280 nuove assunzioni, seguite dalle già citate costruzioni (260), dall’industria in senso stretto (170 assunzioni) e dai servizi alle imprese (150). Tuttavia, l’occupazione prevista si rivolgerà solo nel 24% dei casi a giovani, a fronte del 39% nazionale, mentre la quota di assunzioni di difficile reperimento, per caratteristiche occupazionali, sarà pari a più del doppio della quota nazionale, arrivando al 17% (raggiungendo un picco del 33% nelle costruzioni). La combinazione di questi due dati, unita al fatto che il 64% dei neoassunti dovrà avere una esperienza pregressa, indica che c’è una diffusa difficoltà a produrre, da parte del sistema formativo locale, profili aderenti alle esigenze delle imprese, e ciò colpisce soprattutto i giovani alla ricerca del primo impiego, mantenendo la grave distanza, in termini di opportunità occupazionali, che caratterizza i giovani irpini. Ed è una ulteriore conferma che il profilo professionale irpino si sia "inspessito" nel corso del tempo (a differenza di quanto accaduto a livello nazionale) con una crescita negli ultimi anni di figure dirigenziali, intellettuali e scientifiche che oggi costituiscono il 15,8% degli occupati avellinesi a fronte del 13,8% del 2011. Un fenomeno che comunque sembra aver raggiunto una certa maturità visto che queste professioni cosiddette “high skill” previste, ovvero il reclutamento di profili dirigenziali o tecnico75 scientifici, riguardano solo il 10% del totale, a fronte del 12% nazionale, mentre il 41% del totale si focalizza su operai specializzati (l’80% delle assunzioni dell’industria) ed il 29% su professioni commerciali o dei servizi. Di fatto, quindi, il gap formativo riguarda soprattutto il sistema della formazione tecnico-professionale, in grado di fornire una base professionale specialistica minima, poiché il 40% delle assunzioni previste riguarderà personale privo di un titolo di studio specifico. Le imprese fanno più affidamento sull’esperienza professionale che sul titolo di studio. Gli assunti con qualifica professionale saranno infatti solo un quarto del totale. Il segnale di sfiducia sul sistema formativo è quindi evidente. Percentuali di incidenza di assunzioni di lavoratori alle dipendenze secondo alcune caratteristiche. Secondo trimestre 2015 80 AVELLINO CAMPANIA SUD E ISOLE ITALIA 71,5 70 60 57,6 57,6 52,6 50 44,7 40 35,0 30,3 30 28,7 20 16,7 11,9 8,6 10 9,3 0 Assunzioni non stagionali Assunzioni a tempo indeterminato a tutele crescenti Assunzioni di difficile reperimento Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Unioncamere - Ministero del Lavoro, Sistema Informativo Excelsior, 2015 Peraltro, continua a permanere un significativo gap di genere: solo il 19% delle assunzioni previste per il secondo trimestre è potenzialmente rivolto a donne, valore nettamente inferiore a quello campano e nazionale, nonostante il fatto che la maggior parte delle previsioni di assunzione provenga dai servizi, normalmente un comparto meno “discriminante”, in termini di genere, rispetto all’industria. Quindi, la ripresa occupazionale prevista per il secondo trimestre, allargherà ulteriormente il gap anagrafico, a sfavore dei giovani, ed anche quello di genere. 76 12. L’inizio del 2015 del commercio estero avellinese 77 78 Nel primo trimestre 2015, su base annua, le esportazioni irpine hanno sperimentato una accelerazione (+6,1%) rispetto al 3,2% registrato, sempre su base tendenziale, nel quarto trimestre 2014, e rispetto al decremento di 1,1 punti contabilizzato al primo trimestre dell’anno precedente. Una accelerazione che spicca anche rispetto alle altre province campane; solo Benevento (+8,8%) fa meglio. Si tratta di poco meno del doppio dell’aumento su base nazionale (+3,2%), quindi di un dato molto brillante. Talmente positivo che oggi l'export avellinese rappresenta il 10,4% di tutte le vendite della Campania e rappresenta l'incidenza più alta nell'ambito di tutti i primi trimestri degli ultimi quattro anni. L’andamento è particolarmente favorevole rispetto ai Paesi extra Ue (+6,9%) anche se un buon incremento, superiore alla quasi-stagnazione regionale e nazionale si registra pure nelle destinazioni, più tradizionali, interne all’Unione Europea (+5,2%) nonostante le difficoltà di domanda interna di molti partner comunitari sottoposti a piani di austerità, e nonostante l’incipiente spirale deflazionistica che sta colpendo l’area-euro. Ciò dimostra una capacità equilibrata del settore export-oriented dell’economia irpina di andare a posizionarsi su una pluralità di mercati internazionali, ed è sintomatico di un miglioramento di competitività estera incoraggiante. Variazioni percentuali delle esportazioni delle province della Campania fra primi trimestri. Anni 2012-2015 -4,1 -4,2 Caserta 7,0 -6,1 8,8 Benevento Napoli -1,8 0,9 -7,7 2,3 9,8 6,1 -1,1 Avellino 4,1 4,8 3,3 Salerno CAMPANIA SUD E ISOLE -3,5 8,4 11,2 7,6 -1,8 8,6 ITALIA -10,0 5,2 2,3 1,5 -1,5 -7,6 37,4 0,7 1,4 -0,6 -5,0 3,2 5,8 0,0 5,0 10,0 2015 15,0 2014 2013 20,0 25,0 30,0 35,0 40,0 2012 Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Istat I grandi protagonisti dell'export avellinese parlano spesso una lingua araba. Più nello specifico, Avellino riesce a migliorare le sue esportazioni verso la Tunisia, che è il suo principale mercato di 79 sbocco (+4,1%) nonostante le difficoltà socio economiche e di instabilità politica che affliggono tale Paese ancora oggi, ed inoltre ottiene un incremento esplosivo di vendite (+238%) sul mercato egiziano ed un ottimo risultato (+58,9%) su quello saudita e, in misura minore (+36%) in Corea del Sud. Fra i Paesi non Ue, risultano in discesa le vendite sul mercato statunitense (-5,8%) mentre si registra un ottimo risultato su quello svizzero (+27,7%). Ma, oltre ai Paesi arabi e più in generale a quelli non appartenenti alla Ue, Avellino vede crescere anche il suo export verso la Germania (+41,3%) ed altri Paesi Ue come Austria, Ungheria e Regno Unito (ma non verso la Francia, altro tradizionale mercato di sbocco, dove nel primo trimestre l’export irpino ha una variazione tendenziale negativa per 4,4 punti, così come è in calo l‘export verso la Spagna). Variazioni percentuali delle esportazioni della provincia di Avellino fra il primo trimestre 2014 e 2015 per alcuni paesi di destinazione (*). Valori assoluti in euro PAESI PIU'SIGNIFICATIVI IN AUMENTO VAR % AMMONTARE AMMONTARE PAESI I-2014EXPORT I 2014 EXPORT I 2015 I 2015 Egitto 2.045.528 6.915.170 238,1 Arabia Saudita 4.928.501 7.831.005 58,9 Germania 17.452.784 24.667.813 41,3 Corea del Sud 7.160.310 9.745.281 36,1 Svizzera 6.859.612 8.761.514 27,7 Austria 6.298.953 7.031.570 11,6 Ungheria 6.902.921 7.516.389 8,9 Regno Unito 19.490.593 21.053.366 8,0 Tunisia 41.167.972 42.850.759 4,1 Polonia 7.049.126 7.188.498 2,0 PAESI PIU'SIGNIFICATIVI IN DIMINUZIONE VAR % AMMONTARE AMMONTARE PAESI I-2014EXPORT I 2014 EXPORT I 2015 I 2015 Belgio 2.363.815 2.321.474 -1,8 Canada 4.281.034 4.145.025 -3,2 Francia 21.674.107 20.719.940 -4,4 Stati Uniti 12.185.433 11.483.227 -5,8 Spagna 15.617.248 14.161.944 -9,3 Grecia 2.164.978 1.856.432 -14,3 Hong Kong 5.747.112 4.646.815 -19,1 Giappone 4.488.283 3.072.682 -31,5 Australia 2.849.951 1.532.439 -46,2 Turchia 3.513.399 1.564.055 -55,5 (*) I paesi che vengono presi in considerazione sono i primi dieci paesi per valore dell'export che hanno presentato un aumento fra I trimestre 2014 e I trimestre 2015 e i primi dieci paesi per valore dell'export che hanno visto una diminuzione nel medesimo periodo Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Istat 80 Venendo invece è quella che è una disamina merceologica dell'andamento fra primo trimestre 2014 e 2015 si nota come in questo trimestre i metalli di base preziosi ed altri metalli non ferrosi sono non solo il prodotto di gran lunga più esportato con quasi 50 milioni di vendite negli ultimi tre mesi ma sono anche un comparto in significativa crescita. Al secondo posto invece si assiste ad una sorta di testa a testa fra i prodotti da forno e farinacei e il cuoio e gli articoli da esso derivanti con i primi che prevalgono per qualche centinaio di migliaia di euro nonostante una contrazione su base tendenziale di circa il 3% a cui la concia ha risposto con un +7,1%. Ma al di la delle difficoltà riscontrate dai prodotti da forno, il comparto alimentare sembra riservare più sorrisi che delusioni all'export agroalimentare campano in corrispondenza di quella che era la vigilia di Expo 2015. Infatti molto brillante appare il comportamento dell'ortofrutta locale che rappresenta sempre il quarto capitolo merceologico più significativo della provincia con un ottimo +8,1% messo a segno su base tendenziale. E che potrebbe avere ulteriori margini di cresciti visto che la Zuegg, noto marchio della trasformazione della frutta con sede a Verona e che già oggi da lavoro a oltre 400 persone in Irpinia, ha recentemente affermato per bocca del suo titolare Oswald Zuegg di voler far diventare la provincia di Avellino il "frutteto del mondo" grazie a un piano di acquisizioni di terreni abbandonati per metterli in coltura e che prevede da qui ai prossimi mesi l'acquisizione di altri quaranta ettari di terreno da destinare essenzialmente alla produzione di particolari "cultivar" di albicocche, fichi, fragole, ciliege e pere. Se quindi le prospettive per l'ortofrutta avellinese appaiono rosee, l'attualità ci dice che ancora meglio di questo comparto sono andati quei prodotti che da un punto di vista definitorio vengono definiti come altri prodotti alimentari e che contemplano al loro interno la produzione di zucchero e confetterie, pasti e piatti pronti, caffè, tè e spezie, alimenti confezionati deperibili e prodotti alimentari specializzati. La crescita di vendite di questi prodotti è stata in dodici mesi di oltre 2,2 milioni di euro attestandosi oggi a 7,2 milioni con un incremento quindi del 44,1% che nell'ambito delle voci merceologiche più significative viene dopo le altre macchine di impiego generale (forni, bruciatori e sistemi di riscaldamento, macchine e apparecchi di sollevamento e movimentazione, macchine ed attrezzature per ufficio (esclusi computer e unità periferiche), utensili portatili a motore, attrezzature di uso non domestico per la refrigerazione e la ventilazione) che hanno venduto merci per quasi 8 milioni di euro con un incremento del 62,5%. Tornando all'alimentare c'è da segnalare il passo falso del comparto delle bevande che ha perso poco oltre il 30% di volumi di vendita. Un dato che può essere spiegato in parte se non in toto con la enorme perdita che la produzione di vino locale ha subito fra 2013 e 2014 visto che secondo le più recenti valutazioni Istat in tema di agricoltura, la produzione di vino è passata negli ultimi dodici mesi da 275.000 a 180.000 quintali. Una perdita che accomuna Avellino al complesso della Campania ma che chiaramente per la provincia irpina ha un significato molto diverso rispetto al resto della regione in termini di esposizione verso i mercati internazionali se solo si pensa che delle quattro DOCG presenti nella regione Campania ben tre sono attribuibili ai confini territoriali della provincia di Avellino (Fiano di Avellino, Greco di Tufo, Taurasi). 81 Variazioni percentuali delle esportazioni della Campania fra il primo trimestre 2014 e 2015 per alcune merci (*). Valori assoluti in euro MERCI PIU'SIGNIFICATIVE IN AUMENTO AMMONTARE AMMONTARE VAR % MERCI EXPORT I 2014 EXPORT I 2015 I-2014I 2015 4.824.707 7.840.792 62,5 Altre macchine di impiego generale 5.020.107 7.232.647 44,1 Altri prodotti alimentari 9.606.406 12.894.682 34,2 Altri prodotti in metallo 3.598.842 4.173.617 16,0 Altre macchine per impieghi speciali 7.659.983 8.816.573 15,1 Aeromobili, veicoli spaziali e relativi dispositivi 3.701.962 4.093.647 10,6 Articoli di carta e di cartone Metalli di base preziosi e altri metalli non ferrosi, 44.766.188 49.195.488 9,9 combustibili nucleari 17.652.938 19.080.043 8,1 Frutta e ortaggi lavorati e conservati 8.823.350 9.496.034 7,6 Oli e grassi vegetali e animali Cuoio conciato e lavorato, articoli da viaggio, borse, pelletteria e selleria, pellicce preparate e tinte 26.800.109 28.695.155 7,1 MERCI PIU'SIGNIFICATIVE IN DIMINUZIONE VAR % AMMONTARE AMMONTARE I-2014EXPORT I 2014 EXPORT I 2015 I 2015 12.632.182 12.477.039 -1,2 29.828.239 28.932.537 -3,0 3.204.070 3.101.904 -3,2 11.779.462 11.010.504 -6,5 2.250.545 2.091.744 -7,1 1.627.224 1.426.016 -12,4 MERCI Locomotive e di materiale rotabile ferro-tranviario Prodotti da forno e farinacei Prodotti della fusione della ghisa e dell'acciaio Vetro e di prodotti in vetro Articoli in gomma Altri prodotti tessili Motori, generatori e trasformatori elettrici, 6.299.307 5.394.144 -14,4 apparecchiature per la distribuzione e il controllo della elettricità 3.716.284 2.598.481 -30,1 Bevande Prodotti in legno, sughero, paglia e materiali da 3.888.420 2.370.582 -39,0 intreccio 2.992.607 1.488.421 -50,3 Parti ed accessori per autoveicoli e loro motori (*) Le merci che vengono prese in considerazione sono le prime dieci merci per valore dell'export che hanno presentato un aumento fra I trimestre 2014 e I trimestre 2015 e le prime dieci merci per valore dell'export che hanno visto una diminuzione nel medesimo periodo Fonte: Elaborazione Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati Istat 82