G It Diabetol Metab 2014;34:206-213
Rassegna
Meccanismi di danno β-cellulare
nel diabete di tipo 2 e possibile
impatto dei farmaci anti-diabete
RIASSUNTO
La disfunzione β-cellulare rappresenta uno dei meccanismi principali nella patogenesi del diabete mellito di tipo 2 e può precedere
di diversi anni l’insorgenza del diabete manifesto. Il deterioramento
della funzione delle β-cellule è un fenomeno progressivo che interessa sia la massa sia l’attività secretiva cellulare e riconosce diversi meccanismi che portano, nel tempo, alla morte β-cellulare.
Fenomeni quali l’infiammazione, lo stress ossidativo, i depositi di
amiloide e lo stress del reticolo endoplasmatico sono stati implicati nel danno cellulare e questi fenomeni possono svilupparsi per
una complessa interazione tra fattori ambientali e fattori genetici.
La preservazione della funzione β-cellulare è un obiettivo importante nella gestione della malattia diabetica e i diversi farmaci oggi
utilizzati nel trattamento per il diabete possono intervenire in maniera differente sulla funzione delle β-cellule, favorendone in alcuni casi il deterioramento o prevenendo, in altri, i fenomeni di
apoptosi che portano alla morte cellulare.
SUMMARY
Mechanisms of β-cell damage in type 2 diabetes and
potential impact of diabetes medications
β-cell dysfunction is one of the main mechanisms in the pathogenesis of type 2 diabetes, often already detectable in the early
stages of the disease. Impaired insulin secretion and cell loss can
both lead to β-cell dysfunction, and several mechanisms appear
to contribute. Factors such as inflammation, oxidative stress, amyloid plaques, and endoplasmic reticulum stress are all involved in
β-cell failure and result from gene-environment interactions.
Preservation of β-cell function should be a goal of type 2 diabetes
treatment, and some of the diabetes medications available today
could play a protective role on this function.
Funzione e “disfunzione” β-cellulare
Il pancreas endocrino di un soggetto sano contiene circa un
milione di isole di Langerhans, sede delle cellule α, β, δ e PP,
G.T. Russo, E.L. Romeo, A. Giandalia,
F. Forte, D. Cucinotta
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale,
Università degli Studi di Messina, Messina
Corrispondenza: prof. Domenico Cucinotta,
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale,
Università degli Studi di Messina, viale Gazzi,
98122 Messina
e-mail: [email protected]
G It Diabetol Metab 2014;34:206-213
Pervenuto in Redazione il 14-10-2014
Accettato per la pubblicazione il 04-11-2014
Parole chiave: diabete mellito di tipo 2,
disfunzione β-cellulare, farmaci ipoglicemizzanti
Key-words: type 2 diabetes, β-cell dysfunction,
hypoglycaemic drugs
Meccanismi di danno β-cellulare nel diabete di tipo 2 e possibile impatto dei farmaci anti-diabete
e di altri tipi cellulari minori. Le β-cellule pancreatiche, adibite
alla produzione e secrezione dell’insulina, costituiscono circa
il 70-80% della componente cellulare delle isole e, assieme
alle altre cellule insulari, hanno la funzione di regolare con
meccanismi piuttosto complessi le concentrazioni plasmatiche del glucosio.
La fisiologia della secrezione insulinica è finemente regolata;
difatti, sebbene diverse sostanze farmacologiche possano
avere un effetto “secretagogo”, cioè di stimolo sulla secrezione di insulina, è il glucosio la principale molecola che regola l’attività secretiva delle β-cellule pancreatiche. Dopo il
suo ingresso a opera di specifici trasportatori, il glucosio
viene fosforilato dalla glucokinasi e il suo successivo metabolismo all’interno della β-cellula porta a un’aumentata sintesi di ATP, che fornisce l’energia necessaria per l’iniziale
secrezione insulinica dai granuli preformati (secrezione rapida), seguita da quella dai granuli di nuova formazione(1). La
secrezione fisiologica di insulina in seguito all’ingresso del
glucosio nella β-cellula si caratterizza infatti per un picco rapido (entro 10 minuti circa), cui segue un rilascio di insulina
più consistente e prolungato. A questo si aggiunge una secrezione basale, pulsatile, con picchi regolari ogni 15 minuti
circa, che è particolarmente rilevante per la regolazione del
metabolismo del glucosio nei tessuti periferici, soprattutto a
livello epatico(1). A livello dei tessuti periferici l’insulina determina infatti due eventi fondamentali nell’omeostasi glucidica:
da un lato sopprime la produzione epatica di glucosio e, dall’altro, favorisce l’ingresso e l’utilizzazione del glucosio in fase
postprandiale.
Nei soggetti con diabete mellito di tipo 2 (DM2), questi meccanismi sono alterati a causa dell’insulino-resistenza periferica e del relativo deficit di secrezione insulinica, che
rappresentano le due principali alterazioni patogenetiche alla
base della malattia. Tuttavia, sebbene entrambi i difetti siano
essenziali per lo sviluppo e la progressione del diabete, il loro
peso può essere estremamente variabile in ciascun paziente.
L’insulino-resistenza rappresenta senz’altro il primo difetto nella
storia naturale del DM2, precedendo anche di anni l’insorgenza dell’iperglicemia(2). Nelle condizioni di insulino-resistenza,
si assiste inizialmente a un incremento della secrezione di insulina, con lo scopo di mantenere l’euglicemia. In questa fase
precoce, infatti, le β-cellule rispondono all’aumentata richiesta
periferica di insulina attivando meccanismi di compenso che
prevedono sia un’espansione della massa β-cellulare sia l’iperfunzione delle cellule esistenti(3), il tutto finalizzato ad aumentare
la quantità di ormone secreto.
Quando all’insulino-resistenza si sovrappone la “disfunzione
β-cellulare”, cioè l’incapacità delle β-cellule di compensare la
resistenza periferica con una secrezione adeguata di insulina,
compaiono l’iperglicemia e il diabete manifesto.
Dal punto di vista clinico questo in genere si traduce dapprima
nella comparsa dell’iperglicemia postprandiale(4). Successivamente, a seguito della perdita della secrezione pulsatile basale
e della mancata soppressione della produzione epatica di glucosio, si manifesta anche l’iperglicemia a digiuno.
Esistono ormai numerose evidenze che dimostrano come la
perdita progressiva della funzione β-cellulare anticipi la comparsa del DM2 manifesto. Come dimostrato dallo United King-
207
dom Prospective Diabetes Study (UKPDS), un deterioramento
della secrezione insulinica è infatti già presente nel 50% dei pazienti diabetici al momento della diagnosi(3).
Meccanismi implicati nella disfunzione
β-cellulare: ridotta secrezione o ridotta
massa β-cellulare?
Il deficit β-cellulare può dipendere da un declino nella massa
e/o nella funzione secretoria delle β-cellule, ma questi due
momenti patogenetici non sono necessariamente correlati.
Le alterazioni delle β-cellule pancreatiche nel DM2 si caratterizzano infatti per alterazioni sia di tipo quantitativo, cioè una
perdita progressiva della massa di β-cellule(5), sia per alterazioni di tipo qualitativo, che portano a un progressivo deterioramento della loro funzione secretiva(6). Quest’ultimo difetto,
come è noto, si caratterizza per la perdita della prima fase rapida di secrezione insulinica, seguito dalla perdita della secrezione pulsatile basale e da un incremento del rapporto
proinsulina/insulina, che indica la ridotta capacità della β-cellula di convertire la proinsulina, precursore dell’ormone, in insulina e C-peptide. L’alterazione della fase precoce di
secrezione insulinica dopo un carico orale di glucosio è infatti
considerata come un predittore di progressione da “prediabete” a DM2 manifesto(4).
La perdita di funzione della β-cellula nei soggetti con “prediabete” è legata in gran parte anche a una riduzione della massa
β-cellulare, come dimostrato da Butler et al. in uno studio su
reperti autoptici, che ha evidenziato una perdita del 40% della
massa β-cellulare nei soggetti con ridotta tolleranza glucidica
e di oltre il 60% in quelli con diabete conclamato(5).
Diversi meccanismi sono stati chiamati in causa per spiegare
la riduzione del numero e della funzione delle β-cellule nel
DM2(5,7) (Fig. 1).
Tra questi vi è lo stress del reticolo endoplasmatico (ER), un
fenomeno che potrebbe essere innescato dall’aumentata richiesta di secrezione insulinica e determina l’accumulo di
proteine non correttamente processate e l’attivazione
dell’unfolded protein response (UPR), con lo scopo di ripristinare le normali condizioni fisiologiche dell’ER. Quest’attivazione innesca però una cascata di segnali responsabili di
stress cellulare con conseguente produzione di radicali liberi
dell’ossigeno (ROS) e attivazione di una risposta infiammatoria(7).
Anche la “gluco-lipotossicità” legata all’overload nutrizionale
riveste un ruolo cruciale(8). Infatti, lo stress ossidativo che ne
consegue, oltre ad alterare l’espressione di fattori di trascrizione che regolano importanti funzioni della β-cellula(7), è stato
associato a un’alterazione della fosforilazione ossidativa e a
una diminuita sintesi di ATP, con conseguente ridotta secrezione di insulina. Oltre a interferire con la sintesi di insulina, i
fenomeni di gluco- e lipotossicità possono anche favorire i
processi apoptotici e alterare i meccanismi di rigenerazione
tipici della β-cellula(8).
La sostanza amiloide è un altro fattore che è stato posto in
208
G.T. Russo et al.
relazione con il danno della massa β-cellulare(7). La formazione
di placche amiloidi a livello delle isole pancreatiche è stata riscontrata infatti in reperti autoptici di circa il 90% dei soggetti
con DM2(9).
Il principale costituente dei depositi di amiloide nel pancreas
è il polipeptide amiloide insulare (IAPP), o amilina, la cui
espressione nelle β-cellule sembra stimolata dalla presenza
cronica di elevati livelli di glucosio e acidi grassi circolanti. Questo peptide, normalmente solubile, viene convertito in fibrille
insolubili che portano alla formazione dei depositi di amiloide(10) e la sua relazione con il danno β-cellulare sarebbe legata agli effetti citotossici a livello cellulare.
Tuttavia, la relazione tra l’amiloidosi delle isole pancreatiche e
la patogenesi del DM2 non è stata del tutto chiarita. L’entità
della formazione delle placche amiloidi nel DM2 è infatti molto
variabile e, in alcuni soggetti diabetici, molto modesta. Inoltre,
non è possibile determinare l’entità di questo fenomeno in
vivo nell’uomo. Si ipotizza pertanto che la formazione dei depositi di amiloide possa rappresentare una conseguenza piuttosto che la causa delle alterazioni della massa β-cellulare
tipiche del DM2(10).
Non ultima, l’infiammazione cronica di basso grado che si accompagna all’obesità e al DM2(11) è un altro fenomeno associato alla disfunzione β-cellulare(11). Il tessuto pancreatico
rappresenta infatti una delle sedi del processo infiammatorio
sistemico, e nel suo contesto è stata descritta la presenza di
infiltrazioni di macrofagi e altre cellule produttrici di citochine
proinfiammatorie che possono interferire con il segnale insulinico a livello dei tessuti periferici o determinare disfunzione
β-cellulare con deficit della secrezione insulinica(12).
Tutti questi fattori “stressanti”, insieme ad altri fattori genetici o
acquisiti, possono portare nel tempo a una progressiva disfunzione delle β-cellule, fino alla perdita della massa β-cellulare per
morte cellulare o possibili fenomeni di de-differenziazione delle
β-cellule mature verso cellule meno differenziate(13), sebbene il
ruolo della de-differenziazione nella patogenesi della disfunzione
β-cellulare nel DM2 debba essere ancora chiarito.
Fattori genetici associati
alla disfunzione β-cellulare
È osservazione comune che nel DM2 l’entità della disfunzione
β-cellulare e della sua progressione siano estremamente variabili da soggetto a soggetto. Al di là dei meccanismi che
sono stati appena citati, tale variabilità è legata alla predisposizione genetica di ciascun soggetto e, ancora di più, all’interazione tra numerosi loci genetici predisponenti e fattori
ambientali (Fig. 1).
Il ruolo della componente genetica nella patogenesi del DM2
ha infatti acquisito nell’ultimo decennio un’importanza sempre
maggiore, e le stime dei genome wide association studies,
GWAS, indicano allo stato attuale oltre 60 loci genici associati al rischio di DM2(14,15).
Sebbene il meccanismo attraverso il quale molte di queste
varianti geniche predispongano allo sviluppo del DM2
non sia ancora stato chiarito, si ritiene che la maggior parte
dei geni coinvolti siano implicati nello sviluppo e nella
funzione della β-cellula o nella regolazione della massa
β-cellulare(15).
Il gene che è stato più fortemente associato al rischio di
DM2 è il gene TCF7L2 (transcription factor 7-like 2), localizzato sul cromosoma 10 e implicato nel WNT signaling, un
network di proteine coinvolte nell’embriogenesi, nella proliferazione e motilità cellulare, anche a livello pancreatico(16).
Studi funzionali suggeriscono che varianti di questo gene,
tra le quali la più studiata è la variante intronica rs7903146,
possano conferire suscettibilità allo sviluppo di DM2 principalmente attraverso un’alterazione della secrezione insulinica(17). Nei soggetti carrier dell’allele di rischio T rs7903146
è stata riscontrata infatti una ridotta secrezione insulinica sia
in risposta al glucosio sia all’arginina rispetto agli omozigoti
wild type, con una riduzione dell’insulinogenic index, un indice di funzionalità β-cellulare (vedi in seguito), del 50%(16).
La compromissione della secrezione insulinica in questi sog-
Disfunzione β-cellulare
Insulina
Fattori ambientali
β-cellula
Insulino-resistenza
Fattori genetici
TCF7L2
Lipotossicità
MTNR1B
HNF1B
MADD
SLC30A8
GIPR
CDKN2A
C2CD4B
CDKN2B
GCK
FADS1
DGKB
KCNJ1
Glucotossicità
Infiammazione
Ridotta funzione/sopravvivenza
Stress ER
Alterazione
integrità
cellulare
Depositi
di amiloide
Stress
ossidativo
Figura 1 Meccanismi alla
base della disfunzione
β-cellulare e risposta della
β-cellula agli stressor.
Meccanismi di danno β-cellulare nel diabete di tipo 2 e possibile impatto dei farmaci anti-diabete
getti sarebbe determinata dall’alterazione dei meccanismi di
esocitosi dei granuli di insulina, oltre a un effetto sull’asse
entero-insulare e sulla risposta delle β-cellule agli ormoni
incretinici(17).
Tra gli altri geni associati alla suscettibilità al DM2, varianti nel
locus MADD sono state associate a un’alterazione nelle fasi
di processamento dell’insulina, dimostrata dall’associazione
degli alleli di rischio con elevati livelli a digiuno di proinsulina
ma non di C-peptide, mentre i geni SLC30A8, GIPR e
C2CD4B sono stati associati a una ridotta secrezione dell’ormone, caratterizzata da elevati livelli di proinsulina e insulinogenic index ridotto, e i loci MTNR1B, FADS1, DGKB e GCK
a una compromissione nella fase precoce della secrezione insulinica(18).
In particolare, il gene MTNR1B (melatonin receptor 1B) codifica per una proteina di membrana che svolge la funzione di
recettore per la melatonina ed è espresso, oltre che nel tessuto cerebrale e retinico, anche nelle β-cellule pancreatiche.
Varianti geniche in questo locus, in particolare la variante
rs10830963, sono state associate a una ridotta secrezione
insulinica dopo carico orale o venoso di glucosio, confermando la relazione tra la secrezione dell’ormone e il ritmo circadiano e suggerendo una possibile alterazione della risposta
della β-cellula alla melatonina(18,19).
Il gene SLC30A8 (solute carrier family 30 member 8) codifica
per il trasportatore dello zinco Znt8, necessario per l’ingresso
dello zinco nei granuli secretori di insulina e la corretta maturazione e storage dell’ormone. Sebbene con risultati non univoci(20), varianti geniche nel locus di questo trasportatore sono
state associate a una ridotta secrezione insulinica e un aumento dei livelli circolanti di proinsulina, per un possibile difetto
nel funzionamento del trasportatore con conseguente riduzione dei livelli intracellulari di zinco e un difetto di cristallizzazione dell’insulina(18).
Nonostante i recenti progressi legati ai GWAS, i geni a oggi individuati rappresentano solo il 5-10% della componente genetica del DM2, suggerendo la necessità di individuare le
varianti più rare, ma con un possibile maggior impatto sulla
suscettibilità alla malattia, e soprattutto la necessità di approfondire gli studi funzionali per chiarire i meccanismi attraverso
i quali le varianti geniche individuate influenzano la biologia
della β-cellula e lo sviluppo del diabete.
Lo studio della funzione β-cellulare
La complessità della funzione β-cellulare fa sì che attualmente
nessun test in vivo sia in grado, da solo, di indagare in maniera
accurata tutti gli aspetti della fisiologia e/o della disfunzione
della β-cellula.
Il dosaggio dell’insulina plasmatica a digiuno, sebbene largamente utilizzato, non riflette in maniera precisa la funzione
della β-cellula, dal momento che le concentrazioni plasmatiche dell’insulina sono influenzate anche da altri meccanismi
successivi alla fase di secrezione, come la distribuzione, la
degradazione e la clearance(21).
Diverse metodiche statiche e dinamiche, oggi supportate
anche da complessi modelli matematici, sono dunque utiliz-
209
zate per ottenere una stima della funzione β-cellulare che
tenga conto non solo della secrezione di insulina, ma anche
della sua correlazione con i livelli plasmatici di glucosio.
Tra queste, l’indice HOMA-B (homeostatic model assessment-B), uno degli indici più utilizzati negli studi clinici ed epidemiologici, si basa sul rapporto tra insulinemia e glicemia a
digiuno e rappresenta una funzione della secrezione β-cellulare, sebbene presenti alcune limitazioni e necessiti di essere
interpretato con cautela(22).
Un’altra metodica basata sullo studio in condizioni di digiuno
è il calcolo del rapporto proinsulina/insulina (PI/I), che valuta la
capacità della β-cellula di convertire la proinsulina in insulina
e può essere utilizzato per stimare il grado di secrezione da
parte della β-cellula(22). L’aumento dei livelli circolanti di proinsulina è considerato un marcatore precoce di disfunzione
β-cellulare e nei soggetti affetti da DM2 il rapporto proinsulina/insulina risulta aumentato di 2-3 volte rispetto ai soggetti
non diabetici(22).
Tra i test dinamici, la risposta acuta dell’insulina dopo un carico ev di glucosio (acute insulin response, AIRg), espressione
della prima fase di secrezione dell’ormone, può essere calcolata valutando l’incremento rispetto al baseline dell’insulinemia plasmatica dopo un intervallo compreso tra i 2 e i
10 minuti dalla somministrazione del glucosio.
I principali dati che si ottengono dall’OGTT sono quelli relativi
alle caratteristiche della prima e seconda fase della secrezione
insulinica, generalmente espressi come area incrementale
sotto la curva (AUC) dell’insulina durante il periodo (2-3 ore) di
esecuzione del test.
Il rapporto tra l’aumento dell’insulina e del glucosio plasmatico
30 minuti dopo OGTT, IVGTT o dopo un pasto misto, noto
come insulinogenic index (∆I/∆G-30), mette in relazione l’incremento dell’insulina circolante rispetto all’entità dello stimolo
rappresentato dal glucosio, che è tipicamente ridotto nei soggetti affetti da DM2.
La “deconvoluzione del C-peptide plasmatico”(23,24) si basa su
un sofisticato modello matematico e consente un’accurata
valutazione della secrezione insulinica totale “pre-epatica”(25).
In base a questo metodo, la cinetica del C-peptide nel plasma
periferico riflette la cinetica della sua secrezione pancreatica,
dal momento che il C-peptide non va incontro al metabolismo epatico come l’insulina, e può essere utilizzato dunque
per avere una stima della secrezione insulinica a partire dalle
concentrazioni plasmatiche del C-peptide.
L’utilizzo della somministrazione di glucosio per os come
durante un carico orale di glucosio o di un pasto misto,
sebbene rappresenti uno stimolo “più fisiologico” alla
secrezione insulinica, è considerato meno specifico per lo
studio della funzione β-cellulare rispetto alla somministrazione per via endovenosa, dal momento che in seguito alla
somministrazione orale altre sostanze possono stimolare la
secrezione pancreatica di insulina, come gli ormoni intestinali(21).
Infine, lo studio della funzione β-cellulare nei soggetti con DM2
non può prescindere dalla sua correlazione con il grado di insulino-resistenza e dall’utilizzo, dunque, delle diverse metodiche di glucose clamp per la valutazione della sensibilità
insulinica(25).
210
G.T. Russo et al.
Ruolo dei farmaci ipoglicemizzanti
sulla funzione β-cellulare
I farmaci oggi a disposizione per il trattamento del DM2 sono
attivi sui principali difetti metabolici che ne stanno alla base:
l’insulino-resistenza (metformina e tiazolidinedioni, TZD) e il
deficit β-cellulare (sulfoniluree, glinidi, incretine), il deficit incretinico e l’eccesso di glucagone (incretine), il riassorbimento
renale di glucosio (SGLT-2 inibitori) o l’assorbimento intestinale di glucosio (inibitori dell’α-glucosidasi).
La possibilità che alcuni di essi possano migliorare la
disfunzione β-cellulare ha un rilievo clinico particolarmente
importante, dal momento che questo può rallentare il peggioramento del compenso glicemico e il passaggio definitivo alla terapia insulinica nei pazienti con DM2.
Il miglioramento della funzione β-cellulare riportata in alcuni
studi sembra riconducibile all’effetto “ipoglicemizzante” delle
diverse terapie(21). Infatti, praticamente tutti i farmaci, seppur
con meccanismi diversi, sono in grado di ridurre il grado di
glucotossicità, migliorando “in acuto” la funzione e lo stunning delle β-cellule(26). Per esempio, nello studio ADOPT, tutti i
farmaci, incluse le sulfoniluree, erano in grado di migliorare
nel breve termine l’indice HOMA-B(27), mentre con il passare
del tempo vi erano differenze nel declino della funzione
β-cellulare in base al tipo di trattamento(27).
Per molti dei farmaci ipoglicemizzanti a nostra disposizione è
stato infatti dimostrato un miglioramento degli indici surrogati
di funzione β-cellulare, anche se la difficoltà di misurare la funzione secretiva delle β-cellule in vivo e le diverse situazioni cliniche e sperimentali complicano l’interpretazione di questi
risultati(21).
Per la metformina, uno dei farmaci da più lungo tempo in
commercio, sono pochi gli studi che hanno valutato gli effetti
sulla riserva β-cellulare, probabilmente poiché il suo meccanismo d’azione è legato principalmente alla riduzione del
grado di insulino-resistenza(28). È noto come la metformina sia
in grado, clinicamente, di ridurre la conversione da prediabete
a diabete manifesto in persone a elevato rischio(29) e che il suo
uso si associ a un declino dell’indice HOMA-B minore rispetto
ad altri ipoglicemizzanti(30).
Al di là del miglioramento della funzione β-cellulare secondario alla ridotta glucotossicità, diverse evidenze sperimentali sembrano indicare un ruolo diretto della metformina sulle
β-cellule. Infatti, studi in vitro hanno dimostrato un aumento
della secrezione insulinica in pancreas isolati e perfusi o
β-cellule esposti alla metformina(31), con un miglioramento
del pattern di secrezione e la prevenzione dell’apoptosi delle
β-cellule in presenza di concentrazioni tossiche di glucosio
o FFA(32). In uno studio condotto su insule pancreatiche isolate da sei donatori di organi affetti da DM2, Marchetti et al.
hanno inoltre dimostrato come concentrazioni terapeutiche
di metformina fossero in grado di migliorare la sopravvivenza
delle β-cellule e di ridurre l’espressione di diversi marcatori
di apoptosi(33).
Molto più numerose sono le segnalazioni per l’altra classe di
farmaci insulino-sensibilizzanti, i TZD, il cui meccanismo
d’azione è legato all’attivazione del peroxisome proliferator-
activated receptor gamma (PPAR-γ) che regola l’espressione
di diversi geni implicati nel metabolismo glicolipidico e nella
differenziazione delle cellule adipose(34). Infatti, diversi studi in
modelli sia animali sia clinici, hanno dimostrato come i TZD
migliorino la funzione β-cellulare(34,35), probabilmente con un
effetto diretto sulla β-cellula, suggerito anche dalla presenza
sulle β-cellule umane di recettori PPAR-γ(36).
Anche le evidenze cliniche sono molto numerose(37) e in generale confermate dalla maggiore durability del compenso
glicemico con questa classe di farmaci(27). Diversi studi, per
esempio, hanno dimostrato come il trattamento con pioglitazone da 12 a 28 settimane, da solo o in associazione alle
sulfoniluree, a metformina e/o a insulina, fosse in grado di
ridurre i livelli di proinsulina o il rapporto proinsulina/insulina
in modo più evidente rispetto agli altri bracci di trattamento(37,38).
Numerosi sono anche gli studi sperimentali che hanno dimostrato un ruolo degli incretino-mimetici sulla funzione e sulla
massa delle β-cellule(39-41).
La terapia incretinica, sia con inibitori degli enzimi DPP4 sia
con analoghi recettoriali del GLP-1, corregge molti dei difetti
patogenetici tipici del DM2, potenziando la secrezione insulinica postprandiale, riducendo le concentrazioni di glucagone,
riducendo l’appetito e il peso corporeo. In aggiunta, diverse
evidenze sperimentali e cliniche suggeriscono un ruolo di potenziale preservazione della funzione β-cellulare. Infatti, studi
in modelli sperimentali hanno dimostrato come la terapia incretinica sia in grado di determinare la proliferazione e la differenziazione delle β-cellule, di indurre neogenesi e ridurre i
fenomeni apoptotici(39,42), di migliorare la massa β-cellulare e
il normale rapporto tra β-cellule e α-cellule anche in modelli
animali di diabete(43).
Per esempio ratti Zucker (Zucker diabetic fatty rats; ZDF), sottoposti a infusione continua di GLP-1 per 2 giorni, mostravano un miglioramento del compenso glicemico, un aumento
della proliferazione delle β-cellule, come dimostrato dagli aumentati livelli di Ki-67, un marcatore di proliferazione delle
β-cellule, e una riduzione dei marcatori di apoptosi(44). Il trattamento con analoghi del GLP-1 inoltre era associato a un
aumento della massa β-cellulare nei soli animali iperglicemici(45). Negli studi di fase 3, liraglutide era in grado di aumentare l’indice HOMA-B del ~25% e di ridurre il rapporto
proinsulina/insulina(39). Risultati simili sono stati ottenuti anche
con gli altri analoghi del GLP-1, come exenatide che, a parità
di effetto sul compenso glicemico, si è dimostrata superiore
alla terapia con insulina glargine sui marcatori di disfunzione
β-cellulare(40).
Inoltre, l’inibizione dell’enzima DPP-4 promuove il ripristino di
un normale rapporto β-cellule/α-cellule in modelli animali (topi)
di DM2(43) e gli studi clinici sugli inibitori del DPP-4 mostrano
un miglioramento della capacità secretiva della β-cellula e
degli indici surrogati di funzione β-cellulare, come l’indice
HOMA-B e il rapporto proinsulina/insulina, sebbene non significativo rispetto ad altri ipoglicemizzanti orali(46).
Ma evidenze di un effetto benefico sulla funzione delle β-cellule esistono anche per sulfoniluree(30), glinidi(47), inibitori dei
co-trasportatori sodio-glucosio 2 (SGLT-2)(48), chirurgia bariatrica(49) e la stessa terapia insulinica(50).
Meccanismi di danno β-cellulare nel diabete di tipo 2 e possibile impatto dei farmaci anti-diabete
Riguardo alle sulfoniluree, l’effetto di “miglioramento” sulla funzione β-cellulare sembra in larga parte dipendere dal tipo di
test utilizzato e mediato dal loro meccanismo d’azione di stimolo della secrezione insulinica(30), mentre altri studi hanno dimostrato come l’uso prolungato di questi farmaci fosse
associato con concentrazioni di insulina uguali o minori rispetto ai valori pre-trattamento(51). Esistono inoltre evidenze
che le sulfoniluree non modificano o aumentano i livelli di
proinsulina(52).
Questa minore protezione offerta dalle sulfoniluree nei confronti della funzione β-cellulare sembra suggerita anche
dall’analisi basale dello studio BetaDecline, uno studio prospettico multicentrico promosso dall’Associazione Medici Diabetologi (AMD), che aveva come scopo quello di identificare
i predittori clinici di progressione della disfunzione β-cellulare
in pazienti con DM2. I risultati di questo studio mostrano, alla
valutazione basale, come i farmaci secretagoghi (sulfoniluree e
glinidi) siano associati a un rischio ~4 volte maggiore (OR 4,2;
IC al 95%, 2,6-6,9) di disfunzione β-cellulare rispetto alle altre
classi prese in esame all’inizio dello studio (metformina, TZD,
acarbosio)(53). Il follow-up di questo studio, appena conclusosi, potrà confermare o meno questa associazione.
Anche la terapia insulinica intensiva per un periodo di tempo
limitato è seguita da un miglioramento della funzione secretoria delle β-cellule. Infatti, il trattamento insulinico precoce è raccomandato in caso di iperglicemia severa
all’esordio o in qualsiasi momento di “scompenso” nella storia del DM2.
Studi clinici hanno dimostrato come una terapia insulinica
intensiva a breve termine (short-term intensive insulin therapy, IIT) in pazienti di nuova diagnosi possa avere effetti benefici sulla funzione β-cellulare, mantenendo il controllo
glicemico fino a un anno dalla sospensione della terapia(50,54).
Questi dati sono stati confermati anche in una recente metanalisi su un ampio numero di pazienti che ha dimostrato
211
come la terapia insulinica fosse in grado di indurre la remissione dal DM2 in oltre il 40% dei pazienti fino a 24 mesi dalla
diagnosi, suggerendo un potenziale ruolo della terapia insulinica precoce nel modificare in maniera favorevole la storia
naturale della malattia(55).
La rapida correzione dell’iperglicemia determina infatti un miglioramento della secrezione insulinica per eliminazione della
glucotossicità. I benefici della terapia insulinica sulle β-cellule
potrebbero però anche essere legati almeno in parte ai suoi
effetti antinfiammatori, in grado di influenzare in modo diretto
la sopravvivenza cellulare(56).
Tutte queste evidenze indicano quindi che diversi farmaci
hanno le potenzialità, se non di arrestare, almeno di rallentare
la progressione del danno β-cellulare. Ma scegliere quale tra
queste opzioni terapeutiche sia quella “giusta” è materia ancora più controversa, dal momento che gli studi di comparazione tra i vari farmaci ipoglicemizzanti sulla funzione
β-cellulare sono a tutt’oggi davvero limitati. Una metanalisi ha
recentemente valutato gli studi randomizzati e controllati che
hanno testato metformina, pioglitazone e sitagliptin sugli indici
HOMA-B e sul rapporto proinsulina/insulina(57). Come mostrato nella figura 2, gli studi presi in esame nella metanalisi,
che avevano una durata media di 12-54 settimane, hanno
evidenziato come la metformina migliorava la funzione β-cellulare più degli altri due farmaci, e l’associazione metforminasitagliptin più delle altre associazioni(57).
In uno studio di comparazione con insulina, dopo 52 settimane di terapia, il gruppo in trattamento con exenatide
aveva un aumento di tutte le misure della funzione β-cellulare, con aumento della secrezione di C-peptide stimolata
da glucosio nella prima e nella seconda fase di 1,53 e 2,85
volte (p < 0,0001) rispetto a glargine(58). Al contrario, uno
studio di Weng et al. ha dimostrato la superiorità della terapia insulinica su altri tipi di intervento in pazienti di nuova diagnosi(50).
Metformina
Nome
Media
dello studio
Figura 2 Metanalisi sull’effetto di metformina, sitagliptin e pioglitazone sul
rapporto proinsulina/insulina(57).
Limite
Limite
Media e IC al 95%
Z
p
inferiore
superiore
Williams-Herman
Goldstein
Aschner
Reasner
Combinato
–0,160
–0,120
–0,083
–0,186
–0,137
–0,195
–0,155
–0,099
–0,209
–0,192
–0,125
–0,085
–0,067
–0,163
–0,082
–9,071
–6,766
–9,882
–5,543
4,895
0,000
0,000
0,000
0,000
0,000
Sitagliptin
Williams-Herman
Aschner1
Raz
Goldstein
Aschner2
Combinato
–0,090
–0,080
–0,050
–0,080
–0,032
–0,064
–0,139
–0,110
–0,110
–0,120
–0,048
–0,092
–0,041
–0,050
0,010
–0,040
–0,016
–0,036
–3,601
–5,254
–1,643
–3,947
–3,810
–4,449
0,000
0,000
0,100
0,000
0,000 –0,50
–0,25
0,00
0,25
0,50
A favore Sita
Contro Sita
0,000
Pioglitazone
Waistein
Wallace
Dorkhan
Combinato
–0,079
–0,057
–0,230
–0,068
–0,101
–0,066
–0,456
–0,093
–0,057
–0,048
–0,004
–0,044
–7,072
–12,423
–1,997
–5,447
0,000
0,000
0,046
0,000 –0,50
–0,50
–0,25
0,00
0,25
A favore Met
Contro Met
0,50
–0,25
0,00
0,25
0,50
A favore Pio
Contro Pio
212
G.T. Russo et al.
Conclusioni
Le evidenze sul ruolo cruciale della disfunzione β-cellulare nell’insorgenza e nella progressione del DM2 sono ormai consolidate. Vi è quindi enorme interesse sui meccanismi
fisiopatologici che ne sono alla base, oggi oggetto di un intenso studio che ha lo scopo finale di individuare quali variabili, cliniche o genetiche, siano in grado da un lato di predire
l’evoluzione della disfunzione delle β-cellule e, dall’altro, di
identificare potenziali target terapeutici per arrestarla.
Uno dei problemi che si incontrano nella pratica clinica è
quello di “diagnosticare” il grado di disfunzione β-cellulare, dal
momento che i test più attendibili sono quelli meno applicabili su larga scala.
Alla luce delle attuali conoscenze, diversi farmaci sono in
grado di incidere sulla funzione delle β-cellule, almeno nel
breve termine. Certo è che nella maggior parte dei pazienti
con DM2 vi è la necessità di intensificare la terapia per mantenere nel tempo il compenso glicemico, e che i farmaci con
maggiore durability sembrano avere migliori performance in
termini di protezione β-cellulare. Quanto questo si traduca in
un’effettiva protezione nei confronti della progressiva perdita
della massa di β-cellule è ancora oggetto di studio.
Conflitto di interessi
Nessuno.
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