Cure palliative: non guarire ma
curare.
Dr. M. DIVELLA
Dirig. Medico Clinica Anestesia e rianimazione
Az. Ospedaliero-Universitaria
Udine
A chi sono rivolte
 Le cure palliative si rivolgono, oltre a chi soffre di cancro in fase avanzata, anche a
tutta una serie di pazienti con patologie considerate inguaribili. Tra queste, ad
esempio, molte malattie croniche che, nonostante non riducano il paziente in "fase
terminale", pongono l'ammalato in un profondo stato di sofferenza, facendogli
perdere autonomia ed equilibrio psico-fisico.
 Più in generale, ogni qualvolta le terapie destinate a controllare l'evoluzione della
malattia non sono più efficaci e non è più realistico l'obiettivo di prolungare la vita
stessa del paziente.
 E' in questi casi, quindi, che diventa importante migliorare la qualità della vita del
paziente e questo si traduce nel controllare il dolore nei suoi diversi aspetti, gestire
i disturbi fisici che si accompagnano all'estendersi della malattia e dare un sostegno
psicologico al malato e alla famiglia, evitandone l'isolamento e la solitudine.
Corli O. "Che cos'è la medicina palliativa", in Corli O. (ed.) Una medicina per chi
muore. Il cammino delle cure palliative in Italia. Città Nuova. Roma. 1988.
L'obiettivo principale
 Eliminare il dolore: è questo il principale scopo delle terapie
palliative. In ogni malattia o semplice disturbo che sia, infatti, quello
che più spaventa è sicuramente la sofferenza, a maggior ragione in
chi è costretto a conviverci ogni giorno! Per conoscere il valore del
dolore totale la terapia palliativa richiede al medico: di fidarsi del
malato e credere in ciò che dice;
 di raccogliere un'accurata storia del tipo di dolore del paziente;
 di valutare l'intensità del dolore e le sue caratteristiche;
 di valutare gli indici di qualità della vita (le ore di sonno,
l'interferenza con il lavoro o con gli hobby, le influenze sulla vita di
coppia, …);
 di indagare sulle terapie effettuate in passato o ancora in atto.
Ultimi giorni dignitosi anche in corsia
 Il termine hospice, l'idea di una struttura che assiste chi
non può essere curato ma, semmai, deve essere aiutato
a morire con dignità non sono più estranei all'opinione
pubblica. Tuttavia questo ha spesso spinto a identificare
un trattamento idoneo con la presenza dell'hospice,
quasi che si potesse trattare adeguatamente i malati
terminali soltanto disponendo di un edificio apposito.
In realtà, non è proprio così, non fosse altro che per il
fatto che gli specialisti in cure palliative sono presenti in
buona parte degli ospedali e che comunque, a volte,
basta poco per garantire un trattamento più umano.
Formare il personale
 Che sia possibile (quasi) ovunque un approccio corretto agli ultimi giorni di vita del
paziente lo ricorda un'esperienza statunitense, condotta in un ospedale della
Veteran Administration (il servizio pubblico che si occupa di reduci). In questa
struttura di 162 letti è stato attuato un programma di intervento mirato
all'assistenza dei malati terminali, che prevedeva sia la formazione del personale
medico e infermieristico dei reparti per acuti sia la predisposizione di un
"pacchetto" di provvedimenti da prendere, sempre per il medico e l'infermiere, e
una griglia per valutare se ci si trova davanti a un paziente terminale o no. Per
esempio, si invitava a considerare se era in stato semi-comatoso, se presentava un
forte declino della funzionalità renale, se incominciava a manifestarsi l'incapacità di
assumere fluidi e altri aspetti importanti. Dopo l'introduzione del programma, che
si avvaleva ovviamente anche dell'apporto degli specialisti di cure palliative
dell'ospedale, si è controllato se l'approccio era cambiato.
Bailey FA et al. Improving processes of hospital care during the last hours of life. Arch
Intern
Med.
2005
Aug
8-22;
165(15):1722-7.
Più attenzione al dolore- 1
 La valutazione è stata condotta considerando diversi indicatori. Al
primo posto veniva la prescrizione di oppiacei, che sono la scelta più
razionale per controllare due dei sintomi più devastanti per molti
malati terminali: lo stress respiratorio e il dolore. Poi la presenza di
un ordine di non rianimare, elemento importante perché testimonia
che il medico ha affrontato con il paziente l'argomento della morte e
che, se effettivamente non ci sono stati tentativi di rianimazione, le
sue volontà sono state rispettate. Un altro indicatore fondamentale
è il tipo di reparto in cui è avvenuto il decesso. Infatti le unità di cure
intensive sono inadatte, sia perché significa che il paziente è
sottoposto a trattamenti a quel punto inutilmente invasivi (presenza
di sonde, intubazioni..) sia perché non consentono ai famigliari di
assistere il malato nelle sue ultime ore.
Risultati
 I risultati della valutazione sono stati positivi.
 Il numero delle prescrizioni di oppiacei è aumentato: dal 57% all'83%, così come è aumentato il
numero degli ordini di non rianimare. Di conseguenza è sceso anche il numero dei pazienti che,
nell'imminenza della morte, sono stati sottoposti a tentativi di rianimazione (dal 34% al 15%).
 Non ci sono stati soltanto dati positivi: per esempio non è calato significativamente il numero di
pazienti cui era applicato il sondino nasogastrico, probabilmente, dicono i ricercatori, perché è più
facile aggiungere un trattamento che non sospenderne uno;
 è, invece addirittura aumentato il numero di pazienti sottoposti a contenzione (cioè legati al letto),
un fatto triste ma che, si legge nello studio, può essere attribuito al fatto che erano cambiate le
regole in fatto di assicurazione sugli incidenti.
 Ovviamente è anche aumentato il numero dei pazienti non più trattabili cui sono state proposte cure
palliative a domicilio o il trasferimento a un hospice.
 Però, è la conclusione, il fatto più importante è che anche i medici formati alla cura tradizionale, cioè
a puntare alla guarigione, hanno cominciato a prestare maggiore attenzione a tutti questi aspetti.
Insomma, costruire gli hospice è importante e deve diventare una delle priorità. Ma si può fare
molto, con un impegno di risorse anche contenuto, per rendere da subito più umana e dignitosa la
morte.
Gli hospice in Italia
 L’esperienza italiana in fatto di hospice ha radici non molto lontane, nel 1987 ne esisteva solo uno e
nel 1999 erano ancora 5, i modelli erano quelli esteri non condivisi in Italia, e non erano riconosciuti
come servizio utile e indispensabile.
 La spinta è arrivata proprio nel 1999 con la Legge n.39 che istituiva dei fondi per la loro costruzione
e nel 2002 le strutture sono diventate circa 50, la cui distribuzione sul territorio rimane, però,
piuttosto disomogenea: sono presenti in 31 province di 11 regioni, prevalentemente al Nord.
 Anche la loro gestione è multiforme: il 45% sono attribuibili al Servizio Sanitario Nazionale, il 33%
sono Onlus convenzionate, il 12% sono strutture private convenzionate e il 10% sono strutture
religiose.
 La metà degli hospice italiani è collocata all’interno di ospedali, la maggior parte prevede dei criteri
di ingresso per i pazienti come, per esempio, una definita e limitata attesa di vita, solitamente
compresa tra 60 e 180 giorni, e accetta pazienti con stato funzionale più o meno gravemente
compromesso.
 Il 98% provenienti da reparti oncologici, i restanti sono malati terminali con Aids, sclerosi laterale
amiotrofica, morbo di Alzheimer, cirrosi, ictus, cardiomiopatia.
 Il responsabile dell’hospice è generalmente un medico che oltre alla coordinazione clinica deve
rispondere
di
problematiche
economiche
con
risposte
tecnico-organizzative.
Dalla teoria alla pratica….
• progetto EoLO (End of Life in Ospedale)
Ricerca in Medicina Palliativa “Lino Maestroni”
di Cremona, mirato a riconoscere i modi e le
circostanze nelle quali i malati muoiono in
Dr.
Franco Toscani, direttore dell’Istituto di Ricerca in Medicina Palliativa
ospedale.
“Lino Maestroni”, ONLUS di Cremona.
Lo studio EoLO
 Un dato su tutti. Se è vero che l’ospedale è considerato il luogo
presso il quale si deve guarire, il 70% delle persone finisce lì i suoi
giorni. Diventa fondamentale perciò che, con l’affermarsi delle cure
palliative, medici ed infermieri riconoscano l’importanza dovuta alla
malattia terminale, anche se i passi avanti in questa direzione sono
già stati moltissimi.
 Lo studio ha riguardato 370 pazienti maggiorenni, tutti deceduti in
un periodo di tempo di almeno 1 settimana, ricoverati in 3 ospedali
dell’Umbria, 5 della provincia di Firenze e 32 lombardi, tutte
strutture con un numero di ricoveri annui superiore a 8000.
 Per conoscere come i malati muoiono in ospedale sono state
consultate le cartelle mediche ed infermieristiche ed è stato
intervistato il personale medico ed infermieristico presente al
momento del decesso. I risultati sono degni di nota.
L’assistenza non cambia
 Due gli aspetti più rilevanti messi in evidenza. La terapia non è condizionata dall’imminenza della
morte, con sensibile rischio di accanimento terapeutico, e persistono in modo preoccupante sintomi
come il dolore forte senza che siano adeguatamente trattati.
 La causa di morte della maggioranza dei pazienti è l’insufficienza cardiorespiratoria (70%), mentre
una minoranza muore per infezione e per altre cause.
 Per più della metà dei pazienti la morte era un evento atteso, dato desunto dalla domanda rivolta
agli infermieri su quanti sarebbero stati d’accordo se il giorno prima qualcuno avesse detto loro che
il paziente sarebbe morto entro 24 ore. Eppure trattamenti come idratazione per via endovenosa,
prelievi ematici di routine, esami invasivi non vengono accantonati.
Accanimento terapeutico?
Va detto che molto spesso i curanti cedono alle richieste pressanti dei famigliari, in molti casi restii a che
il malato venga a conoscenza delle proprie condizioni. Ma, secondo Paola Di Giulio, infermiera e codirettore dell’Istituto cremonese, non basta questo a giustificare ed approvare simili comportamenti.
D’altro canto almeno 1/3 dei pazienti la cui morte era attesa sono stati sistemati in camera da soli o
in camere multiple a ridotto tasso di occupazione, in modo da garantire la privacy, in ultima analisi
offerta da un paravento intorno al letto.
La situazione di terminalità, inoltre, non modifica l’assistenza, perciò i pazienti sono cambiati, lavati e
posizionati su un materasso antidecubito nella grande maggioranza dei casi.
Dolore trascurato
 Il 90% dei pazienti nelle 24 ore precedenti il decesso ha un livello totale di dipendenza, non riesce
cioè a mangiare, vestirsi, muoversi, lavarsi e il 52% ha un livello di coscienza compromesso, fino al
coma (27%).
 I sintomi più frequenti sono anoressia e astenia, condizioni che normalmente accompagnano la
morte non improvvisa.
 Il 72% dei pazienti, poi, ha almeno un sintomo grave, il dolore su tutti. Quasi il 43% dei pazienti,
infatti, soffre di dolore cosiddetto importante, di grado forte e fortissimo. Eppure solo il 10% dei
pazienti ottiene un controllo completo del dolore con farmaci, una percentuale che sale per i
pazienti oncologici.
Perché una percentuale così bassa?
Esistono procedure accettate e di notevole efficacia, in grado di controllare i sintomi. Il dolore, per
esempio, può essere abolito mediante sedazione farmacologica profonda del malato. Sintomi come
la sofferenza e il distress tra l’altro vengono percepiti anche in condizioni di alterazione dello stato di
coscienza.
Nonostante queste premesse oltre l’80% degli infermieri intervistati al termine della ricerca giudicano
buona o ottima la loro gestione dei malati. Ma, concludono gli autori della ricerca, non è da
escludere l’aspetto culturale che ancora sottovaluta la qualità di vita del malato a vantaggio della
componente tecnico-scientifica. Come a dire che in una lista di priorità prima viene la correttezza
degli interventi eseguiti sul malato poi la sua qualità di vita.

Verso una nuova cultura
 Il quadro complessivo emerso dallo studio, comunque,
è tutto sommato positivo. Alcuni passi però vanno
ancora fatti perché la buona cura dei morenti diventi
uno degli indicatori tout court dell’assistenza.
 Perché il percorso sia completo deve essere annoverata
una efficace gestione dei sintomi e la cura di elementi
tradizionalmente considerati secondari come privacy e
comfort.
 E soprattutto va rifiutato qualsiasi tentativo di
accanimento medico e diagnostico. Ecco perché è
necessario un Osservatorio Nazionale sulla morte in
ospedale, rivolto a tutti gli operatori sanitari e agli
amministratori sensibili al problema, con il dichiarato
intento di traghettare la trasformazione in questo
Ma lo spinello non c’entra!
 I farmaci sono tre in realtà e si chiamano dronabinolo, nabilone più
la miscela sintetica dei due.
 Il nabilone è un derivato sintetico del tetraidrocannabinolo (THC),
che è il capostipite delle svariate sostanze chimiche appartenenti
alla famiglia dei cannabinoidi. La sua efficacia è stata dimostrata in
vari studi clinici nei casi di nausea e vomito secondari a
chemioterapia. E per tale uso è stato registrato, per esempio, in
Gran Bretagna. Ma un altro utilizzo già ampiamente sperimentato
riguarda il trattamento sintomatico dei disturbi correlati all’AIDS.
 Dronabinolo, l’altro farmaco approvato THC sintetico, si è dimostrato
efficace nella stimolazione dell’appetito dei pazienti malati di AIDS. E
con questo uso è stato registrato dall’esigente FDA statunitense. A
questi utilizzi si aggiunge naturalmente la terapia del dolore, visto
che le proprietà analgesiche dei cannabinoidi sono note da tempo.
 La prospettiva futura è quella di poter utilizzare questi farmaci nella
terapia del dolore per malattie che vanno dalla sclerosi multipla
all’artrite reumatoide. A lenire il presunto scandalo poi potrebbe
Gli ultimi giorni: gestione
• Quando oltre ai criteri “tecnici” causa di
sospensione di cure specifiche (avvenuta
settimane o mesi prima) si osservino tutti o
alcuni di questi segni:
– Allettamento prolungato o totale
– Astenia profonda
– Episodi di disorientamento temporo-spaziale o
allucinazioni
– Sonnolenza prolungata
– Evidente rifiuto di cibo e liquidi
Bisogni relazionali
• La prima necessità del paz. e familiari è la
richiesta d’ascolto  domande sulle scelte
obbligate  causa di tensione
disorientamento e conflitto.
• Nel paz. avviene un “ingorgo emotivo”
derivante dalla sproporzione tra bisogno di
prossimità dei cari e brevità di tempo o di
forza fisica per farlo (sopore)
• Nei familiari è il momento dei bilanci
sull’assistenza che stanno fornendo rabbia,
Bisogni fisici
• Trattamento del dolore
• Trattamento sintomi:
– Respiratori
– Gastrointestinali
– Neuropsichiatrici
– Ritenzione /incontinenza urinaria
– Eventi drammatici: emorragia massiva
Trattamento dolore
 Nel 44% dei paz. È richiesto un aumento della
posologia, nel 43% invariato e per il resto una
diminuzione.
 Attenzione alle vie di somministarzione:
abbandonare la via orale e preferire s.c., e.v.,
(rettale) con elastomeri con farmaci
compatibili
tra
loro
(es.
morfina,
desametazone, metoclopramide, ioscina,
ciclizina, midazolam, aloperidolo)
 Prevenire snd. Astinenza
 Attenzione a vocalizzi o espressioni di
Sintomi respiratori
 Dispnea: da anemia  sollevare dal disagio della
mancanza di fiatoansia e panico (drammatico per i
parenti) “aprire la finestra” e contatto, morfina per
ridurre la FR a 15-20 /min, incrementando il dosaggio
del 25 - 50%. Diazepam a dosi piene 5-10 mg (1/2 dose
> 70 aa.) proseguendo con i. c. di 60 mg nelle 24 ore.
 Rantolo: non riesce a rimuovere le secrezioni (31 e
92%)  migliorare la posizione o PLS, aspirazione e
prevenzione con idrobromuro di ioscina o scopolamina
0.4 mg s.c., butilbromuro di ioscina 20 mg e poi 20-40
mg in 24h
 Tachipnea rumorosa degli ultimi minuti: morfina sc o ev
+ bdz (midazolam 10 – 15 mg ev o sc, diazepam 10 mg
ev)
 Ossigenoterapia? Meglio sempre associarla ma
Sintomi gastrointestinali
• Scrupolosa cura del cavo orale, ghiaccio
triturato o garze per inumidire le labbra
• Nausea /vomito: occlusione intestinale ?
Ioscina butilbromide 60-120 mg/24h,
octreoide 0.3-0.6 mg sc /24 ore che oltre a
ridurre le secrezioni gi favorisce il
riassorbimento di acqua ed elettroliti
• SNG inevitabile nelle ostruzioni alte (ab
ingestis, rantoli da aspirazione….)
Idratazione si o no?
 Non è possibile prendere alcuna decisione a priori,
valutata giorno per giorno
 Il desiderio diminuisce. Studi clinici limitati ma
suggeriscono che non influenza la sua sopravvivenza né
il controllo dei sintomi, viceversa può costituire
un’intrusione non necessaria.
 Sete o sensazione di bocca secca è spesso causa dei
farmaci, l’idratazione infatti non la migliora.
 Necessaria quando causata da diuretici, vomito,
diarrea, ipercalcemia
 I parenti spesso esprimono opinioni sulla sua necessità.
Non subordinare l’interesse del paz. all’ansia dei
familiari.
Sintomi neuropsichiatrici
• Delirium: agitazione psicomotoria ad
incidenza molto elevata negli ultimi gg, per i
familiari diventa uno “sconosciuto” per le sue
espressioni verbali che per le reazionio spesso
serali e notturne.
• Aloperidolo 2-30 mg sc in 24h
• Midazolam 60 mg ev/24h o diazepam 10-20
mg per via rettale ogni 6-8 ore associato a
aloperidolo 20 mg sc in 24h.
Eventi drammatici
• Emorragia nei tumori cranio-collo e alte vie
respiratorie: conduce a morte in pochi minuti
 intervento tempestivo con sedazione
rapida midazolam 10 mg ev/ sc e
contenimento con lenzuola di colore azzurro o
verde piuttosto che bianchi.
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Cure palliative - Corso di Laurea in Infermieristica