CENT’ANNIASTONMARTIN
La fabbrica di Victoria Road a Feltham. Siamo attorno al 1935:
in quell’anno l’Aston Martin raggiunse le 140 automobili,
un traguardo impressionante per un costruttore di modelli sportivi.
A destra, il primo laboratorio, alle spalle di questa Standard degli anni ’20,
porta ancora il nome dei fondatori Lionel Martin e Robert Bamford.
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CENTA’NNIASTONMARTIN
Uno dei marchi più esclusivi e leggendari di sempre,
incarnazione di eleganza e classe tipicamente “british”
Cent’anni vissuti tra successi planetari e tracolli economici, tra il mito e la dura realtà
Buon compleanno Aston Martin!
N
on c’è marchio che più dell’Aston Martin abbia ricevuto da
Hollywood fama indelebile. Legate alle imprese di James
Bond, le supercar britanniche hanno dominato la scena nelle
pellicole cult fin dal 1964, quando la DB5 esordì al servizio dell’agente 007
in «Missione Goldfinger», ripetendosi l’anno dopo in «Operazione tuono».
Poi toccò alla DBS («Al servizio di Sua Maestà», 1969) e dopo qualche anno
di pausa alla V8 Vantage («Zona pericolo», 1987), ancora alla mitica intramontabile DB5 («Golden Eye», 1995, e «Il domani non muore mai», 1997),
alla V12 Vanquish («La morte può attendere», 2002), alla DBS V12 («Casino
Royale», 2006, e «Quantun of Solace», 2008). Nell’ultimo film della saga
(«Skyfall») lo scorso anno Bond - nel frattempo interpretato dai diversi successori di Sean Connery - è tornato a servirsi della prima DB5, una vettura
iconica arricchita da rostri, mitragliette, sedili eiettabili, magici servocomandi
per sfuggire agli inseguitori. Con il suo motore 4 litri da 282 CV, resta l’Aston
Martin per eccellenza, quella che eccita ancora la fantasia e nella versione
di Piero Bianco
hollywoodiana viene esposta come trofeo in numerosi Saloni internazionali,
ad esempio l’AutoShow di Los Angeles dello scorso novembre. Il mito non
muore mai, anzi si ingigantisce col passare degli anni.
A Goodwood l’Aston
Martin si consacra regina
indiscussa: vince quattro
volte la 9 Ore e due il TT.
L’immagine si riferisce
a quello del 1959: dopo
una dura battaglia con
la Ferrari, in testa alla
classifica, l’Aston Martin
conquista il Campionato
Marche. (da sinistra,
Carrol Shelby, Stirling
Moss e il “patron”
David Brown).
Lionel Martin apporta le ultime modifiche
ad una vettura prima della gara.
Siamo a Brooklands nel 1921 o 1922.
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CENT’ANNIASTONMARTIN
Punta di diamante della gestione di David Brown
è il moderno stabilimento di Newport Pagnell.
Ne sono trascorsi cento da quando, il 15 gennaio 1913, il meccanico Robert Bamford e il pilota Lionel Martin si lanciarono in una nuova avventura automobilistica fondando una concessionaria nell’area Henniker
Mews di Chelsea. La chiamarono Bamford & Martin. È datato 1914 il
primo prototipo da competizione, realizzato su telaio della milanese Isotta
Fraschini con un motore Coventry Simplex: con Lionel Martin al volante, vinse la cronoscalata Londra-Aston Clinton e per celebrare l’evento la
vettura venne battezzata Aston Martin. Sei anni dopo Bamford abbandonò l’azienda e il socio co-fondatore evitò la chiusura grazie al consistente
contributo di un ricco pilota franco-polacco, Louis Zborowski.
Ma la situazione dell’Aston Martin Motors non migliorò. Nel 1926, messa in liquidazione, rischiò la bancarotta per i problemi sorti a causa della
Grande Guerra. Fu decisivo l’intervento (ieri come oggi) di un italiano,
Augusto Cesare Bertelli, copilota di Vincenzo Lancia e progettista nel
Reparto corse della Fiat. L’imprenditore piemontese rilevò la società e la
rilanciò facendo esordire nelle gare un motore straordinario, il 4 cilindri
bialbero di 1.500 cm³. Una storia lunga e tormentata. Nel 1933 la maggioranza azionaria passò ad Arthur Sutherland, che orientò la produzione
verso vetture stradali in piccola serie, lasciando a Bertelli la conduzione
tecnica. Nel ‘48 il controllo passò a David Brown, che con 20 mila sterline
diventò padrone della «nuova» Aston Martin: proprio dalle sue iniziali
DB deriva il nome di tanti modelli che hanno scandito la leggenda del
marchio. Nel 1959 (l’anno del primo trionfo nella 24 Ore di Le Mans) la
Casa britannica si fuse con Lagonda. Fu tentata, ma senza successo, l’avventura della Formula 1 con i piloti Carroll Shelby e Roy Salvadori, nel
‘60 con Maurice Trintignant.
Pur producendo macchine di raffinata tecnologia e di straordinario appeal,
anche lussuosi modelli ad alte prestazioni in partnership con la carrozzeria
I MODELLI SIGNIFICATIVI
COAL SCUTTLE (1915)
Nonostante il primissimo prodotto realizzato da Robert Bamford e Lionel Martin sia stato un
prototipo da corsa del 1914 con motore di 1,4 litri su un telaio Isotta Fraschini FENC (che vinse
la poco prestigiosa gara di Aston Clinton, che insieme al cognome del fondatore, diede il nome
“Aston-Martin”), la prima vettura ufficiale del neonato costruttore inglese, fu la Coal Scuttle “Secchio di carbone” - del 1915. Il modello è una spider a due posti, non molto moderna ma
compatta e nel complesso piacevole nel design, adatta ai gentiluomini inglesi che volessero
un mezzo per scorazzare nelle campagne attorno a Londra. Monta un 1389 cm³ a 5 cilindri
da 12 CV. Il telaio è in legno e il propulsore ha le valvole laterali. Lo scoppio della Prima Guerra
Mondiale però, è lì da venire tanto che non si riesce neppure a ultimare il secondo esemplare.
Sono in molti a credere che la Coal Scuttle sia solo un esperimento sfortunato, soprattutto
dopo la morte del conte polacco Zborowski prezioso benefattore dei giovani inglesi. Ma questa
volta qualcuno si sbagliava.
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DB1 (1947)
Nonostante le esperienze più o meno vittoriose alle 24 Ore di Le Mans e ad altre
gare come il TT del 1934 dove le “Aston” conquistano il podio - grazie anche al lavoro
dell’eclettico progettista e pilota italiano Augusto Bertelli - l’Aston Martin, all’indomani
del Secondo Conflitto Mondiale che ancora una volta ne ha cancellato i sogni di gloria,
è in liquidazione. È così che ai cancelli di Feltham si presenta David Brown, uno dei più
eclettici, geniali e pragmatici imprenditori inglesi che consacrerà la Aston Martin come
una delle Case automobilistiche più amate e apprezzate del mondo. Il suo primo prodotto ha molto della sua personalità, fin dal nome, DB1: D e B sono infatti le iniziali del
suo nome, 1 indica il nuovo inizio. Basata sulla Atom di Claude Hill del 1938 (motore 2
litri da 95 CV), viene prodotta nel 1947 in 16 esemplari tutti scoperti. È un’auto moderna
e lussuosa ma dalle linee ormai superate: per rappresentare il futuro della casa bisogna
andare a lezione in Italia.
CENTA’NNIASTONMARTIN
milanese Touring Superleggera, l’Aston Martin
faticò a mantenersi sul mercato. Nel 1972 Brown
cedette l’azienda, che passò di mano in mano a imprenditori diversi, finché nel 1986 arrivò la Ford.
Detroit ne fece un’operazione di immagine arricchendo il Premier Group che comprendeva anche
Jaguar, Land Rover, Volvo e Lincoln-Mercury.
Miliardi di dollari di investimento, due nuovi impianti a Bloxham e Gaydon (ancora oggi il quartier
generale), nuovi prodotti come la piccola DB7 e la
Vanquish. I numeri cominciarono a crescere, toccando il record di 6.500 vendite nel 2007. Il feeling
industriale con Detroit durò, fra alti e bassi, sino
al 2007 quando il colosso americano cominciò a
disfarsi dei gioielli di famiglia per risanare i bilanci. Toccò allora a una cordata di investitori guidata
da Frederic Dor, John Singers e soprattutto David Richards, che gestiva le sovvenzioni dei fondi
kuwaitiani Investment Dar e Adeem Investment i
quali iniettano nell’impresa 475 milioni di sterline. L’azienda, guidata da Ulrich Bez, un ingegnere
tedesco ex Porsche e Daewoo, naviga a vista, allarga la rete dei dealers (oggi sono 146 in 41 Paesi) e
punta a nuovi sfoghi nei mercati asiatici, ma i conti
non tornano. Nel 2011 l’Aston immatricola circa
4.000 vetture, pochine, l’impianto di Gaydon opera al 40%. Il fatturato si aggira sui 630 milioni di
euro e il bilancio è in rosso.
Sua Maestà la Regina Elisabetta II visita
gli stabilimenti Aston Martin in compagnia di Brown.
DB2 (1950)
Il frutto di questa avanscoperta nel design del Bel Paese sarà la DB2: la carrozzeria coupé a 2 posti, opera
di Frank Feeley, è subito un icona di stile british, con quella mascherina anteriore arrotondata, la carrozzeria
(realizzata da Mulliner) compatta con ampia vetratura e la coda alta ma sfuggevole, quasi fosse quella di una
fastback. Ma anche sotto al cofano la DB2 si rivela innovativa ed esclusiva: grazie infatti agli stretti accordi con
la Lagonda - partnership che dura ormai dagli anni 30 - il nuovo modello può montare il 6 cilindri di 2,6 litri di
cilindrata da ben 105 CV progettato per Lagonda da Bentley e Watson. Il risultato è una berlinetta sportiva
dal fascino indiscusso, con opulenti interni in pelle e radica. L’auto viene presentata, prima che al pubblico,
alla 24 Ore di Le Mans del 1951 per sottolinearne l’animo sportivo. L’auto viene subito proposta in numerose
versioni come la potenziata (125 CV) Vantage - capostipite di una fortunata serie di versioni vitaminizzate del
costruttore inglese - o la DB2/4 a quattro posti. Nell’estate del 1954 il motore viene portato a 3 litri e 140 CV
modello che inaugura i celebri stabilimenti di Newport Pagnell.
DB3 e DB3S (1951)
Nonostante negli anni sia diventata raffinata produttrice di Granturismo di lusso, Aston Martin non si è dimenticata delle corse alle quali
continua a partecipare anche con modelli dedicati. Fra questi, uno
dei più famosi è sicuramente la DB3. realizzata da David Brown più
come sfizio che con un vero ideale sportivo, in realtà non sarà un
gran successo. Cosa che non accadrà invece con la successiva DB3S
(ossia Sport) con una bellissima linea rinnovata e resa più sportiva
da Frank Feeley. Ma l’elemento che più porterà gloria alla DB3S, sarà
il pilota che più di altri si siede al suo volante, Roy Salvadori. Il suo
battesimo è a Charterhall i 23 maggio 1953, quando l’auto comincia
a vincere con Reg Parnell ma le soddisfazioni maggiori arriveranno
nella stagione 1955 grazie anche al nuovo cambio ZF: Silvertsone,
Aintree, Goodwood, Le Mans, Oulton Park sono tutte sue.
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CENT’ANNIASTONMARTIN
Lo stabilimento di Bloxham (ex Jaguar) è il simbolo della rinata Aston Martin
sotto l’egida Ford: nonostante sia iniziata la produzione in serie,
l’impianto ha ancora il sapore dell’atelier.
La catena di montaggio della V8.
Il resto è storia recentissima. Come già era successo agli albori, è un italiano a salvare la «griffe» inglese. Andrea Bonomi, numero uno del fondo Investindustrial, è diventato a dicembre azionista di maggioranza
del marchio cui ha destinato 190 milioni di euro per acquistare il 37,5%
delle azioni. Una nuova esaltante avventura nelle mani dell’uomo che
già aveva rilanciato la Ducati (poi ceduta ad Audi) e che ha promesso di riportare la leggendaria Aston Martin agli antichi splendori, su strada e su pista. Investirà 625 milioni di euro e amplierà la gamma: obiettivo minimo 7.000 auto l’anno. Tra i piani, anche una partnership tecnolo-
I MODELLI SIGNIFICATIVI
DB4 GT ZAGATO (1961)
Quando nel 1958 l’Aston Martin, con a capo il nuovo direttore John Wyer, presenta la DB4, il costruttore può essere a buon diritto incluso fra i marchi di lusso mondiali: linea dallo stile italiano che interpreta
superbamente l’animo british realizzata da Carlo Felice Bianchi Anderloni in forza alla Touring Superleggera, motore, potente ed elastico, 6 cilindri in linea bialbero interamente in alluminio di 3,7 litri da
240 CV e interni quintessenza del lusso anni ’60. Ma l’esclusività, secondo i vertici Aston Martin, deve
essere ancora raggiunta appieno. Per farlo, il segreto sembra quello di rendere la linea, già seducente
e fuori dal tempo, eccezionale. Nascerà così uno dei sodalizi più proficui tra Casa automobilistica e
stilista, quello tra Aston e Zagato. In realtà non è solo un fattore di esclusività. Le corse continuano a
mettere in duro confronto Ferrari e Aston Martin tanto che la sfida si trasferisce inevitabilmente anche
tra le stradali. L’obiettivo del costruttore di Newport Pagnell è uno solo, la Ferrari 250 GT. Nonostante
infatti, venga realizzata, nel 1959 la DB4 GT con motore da 302 CV, la 250 SWB rimane superiore.
L’intervento drastico deve partire quindi anche dalle prestazioni oltre che dalla linea. È così che un
giovanissimo Ercole Spada in forza alla Zagato realizza una delle auto più sportive e leggendarie di
sempre, la DB4 GT Zagato. Il motore ora è arrivato a 326 CV ma ciò che veramente lascia stupiti è la
linea della carrozzeria: alleggerita ed accorciata, è subito riconoscibile per la doppia gobba sul tetto e
per il frontale compatto e raccolto. La Zagato sarà anche l’ultima Aston Martin a gareggiare ufficialmente con una squadra corse.
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DB5 (1963)
È curioso a volte, come nella storia delle case automobilistiche, modelli che dovrebbero essere “di passaggio”, semplici evoluzioni di predecessori, diventino in
realtà dei miti indimenticabili. È quello che succede anche alla Aston Martin con
la DB5, niente di più che un restyling della DB4. Il motivo di questo successo si
svela in un nome: James Bond. Per la fortunata trasposizione cinematografica
delle vicende dell’agente segreto 007scritte da Ian Flaming (Goldfinger, Thunderball le prime), viene infatti scelta l’ultima creatura Aston Martin. Il fascino
senza tempo di un indimenticabile Sean Connery che guida disinvoltamente
dopo aver bevuto fiumi di Martini, ne completa l’immagine mitica. L’auto, come
ogni veicolo in dotazione al più abile degli agenti di Sua Maestà, è equipaggiata con optional eccezionali quali rame rotanti nascoste dietro i mozzi ruota,
sedile del passeggero eiettabile, vetri antiproiettile, radiotelefono, radar e mitragliette celate dai rostri anteriori. Per i comuni mortali che invece possono
permettersela, la DB5 - disponibile dal luglio del 1963 - è equipaggiata con un
4 litri 6 cilindri in linea bialbero che sviluppa 282 CV. L’alimentazione è garantita da 3 carburatori SU e il cambio è manuale a 4 marce con differenziale ZF
o automatico Borg
Warner a 3 rapporti. La linea ancora
una volta è di Touring. Fra le dotazioni
di serie, spiccano gli
alzacristalli elettrici.
La vettura in Italia
è la più costosa del
mercato: 9 milioni di
lire (contro i 6,5 della
Ferrari 330 GT).
CENTA’NNIASTONMARTIN
Lo dimostrano queste immagini della linea della Vanquish, attualmente ammiraglia della gamma.
gica con il Gruppo Mercedes, che vanta una consolidata sezione sportiva (AMG).
E proprio con il nuovo padrone italiano - chi l’avrebbe mai detto? - si celebrerà quest’anno il centenario. Già dal 15 gennaio all’Henniker Mews di Chelsea, il quartiere londinese dove partì l’avventura, sono esposte celebri Aston Martin del passato e del presente,
dall’antica A3 alla più recente Vanquish GT. Senza mai abbandonare il Dna storico, le pelli raffinate e il prezioso mogano
che addobba gli interni, il mito britannico viaggia verso nuovi
traguardi.
Alle spalle della V8,
l’avveniristica Lagonda,
berlina sportiva dalla
linea a cuneo, troppo
in anticipo sui tempi
per avere successo.
DBS e V8 (1967)
L’era David Brown è stato il periodo di maggior fulgore per Aston Martin ma, all’alba degli
anni ’70, sembra che qualcosa inizi ad andare storto. Intanto l’agognanto V8: Brown ha
chiesto ai suoi progettisti di realizzare una granturismo con un 8 cilindri a V che sostituisse il vetusto 6 in linea, considerato anche che le DB6 iniziano a non vendere. Nonostante
questo, la nuova DBS viene ancora equipaggiata con il 6 in linea. È la goccia che fa traboccare il vaso. Anche se nel 1969 sulla DBS viene montato l’8 cilindri - ultimo baluardo
simbolo di tradizione e continuità - Brown è deciso a lasciare l’azienda, cosa che avverrà
nel 1972. La nuova amministrazione, guidata dal magnate William Wilson, sceglie di fare
del V8 l’emblema del rilancio della casa presentando un’auto che porta lo stesso nome.
Evoluzione della DBSV8, l’auto, pur potente ed esclusiva (390 CV), è massiccia e la
linea ha perso la classe e l’eleganza delle progenitrici risultando appesantita e dallo stile
inutilmente “americano”. Le difficoltà finanziarie inoltre, costringono l’azienda a continui
cambi di proprietà e numerose amministrazioni controllate. Solo con la Ford l’azienda di
Newport Pagnell potrà considerarsi fuori dal tunnel.
DB7 (1993)
Il rilevamento del 75% delle azione dell’azienda da parte del gruppo Ford, arriva puntuale
nel 1987. Ora Aston Martin è un produttore in grado di realizzare 1000-1200 vetture l’anno. È finita quindi l’era del “fatto a mano”, inizia la produzione in serie. Fortunatamente,
il modello frutto di questa rivoluzione, non fa rimpiangere il passato ma anzi, riporta agli
antichi fasti la classe e il fascino del marchio. Stiamo parlando della DB7 del 1993. L’auto,
realizzata negli ex stabilimenti Jaguar (anch’essa entrata nell’orbita Ford) di Bloxham, è
molto vicina alla cugina XJS con cui condivide parte della piattaforma. La meccanica è
invece inedita e caratterizzata da un 3,2 litri 6 cilindri da ben 335 CV. Ma ciò che stupisce
è la linea: elegante e sportiva, aggressiva e fascinosa, che fa subito cancellare dalla mente l’idea che sia una “Super Jaguar”. Il successo commerciale è immediato - nonostante
numerosi problemi di gioventù - l’Aston Martin va verso un entusiasmante futuro.
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Aston Martin – (ottobre 2013 – pag. 24)