COMUNICATO 21
Lirio Abbate e Ascanio Celestini: se la coppola non fa il
mafioso (ma la colonna sonora del Padrino sì)
PER AMORE DEI LIBRI
Palazzo dei Congressi (Roma), 4-8 dicembre 2015
Roma, 8 dicembre. Tutto esaurito ieri per l’incontro con Lirio Abbate e Ascanio
Celestini su Mafia Capitale, Dichemafiaparliamo, che riprende il filo dell’inchiesta
avviata l’anno scorso e che ha portato al banco di tribunale i primi imputati. Il concetto
chiave dell'incontro: “Non sono gli omicidi o l’accento siciliano, calabrese o
campano a identificare le persone come mafiosi: è il sistema, è la pratica
strutturale di intimidazione, usura, corruzione di pubblici ufficiali, violenza e, se proprio
non si può evitare, l’omicidio”, ha spiegato Lirio Abbate. E Ascanio Celestini insiste:
“Spesso non ci rendiamo conto della criminalità di certi atti o persone perché li
abbiamo accanto”.
Ma da cosa deriva questa incapacità di comprendere? “Noi siamo abituati più che a
decodificare le informazioni, a goderne la narrazione in modo acritico”, spiega
Celestini: “il mafioso ce lo immaginiamo con la coppola nelle campagne siciliane
o il camorrista nei quartieri spagnoli, la mafia a Roma ci fa strano, a Roma
pensiamo ci siano solo i politici che rubano ma niente di più. Invece che gente
che imbraccia le armi”.
Abbate sottolinea quindi che ad essere coinvolti in Mafia Capitale erano dirigenti,
politici, amministratori delegati, interi apparati amministrativi sono stati penetrati. E
Celestini mette in evidenza quello che secondo Abbate è il cuore del problema: “Tutta
questa macchina funziona se la fanno funzionare i personaggi della zona grigia, i
tanti funzionari che stanno lì e quanto meno non la arginano”. “I tanti passaggi
burocratici alimentano la corruzione e impediscono la trasparenza. La mafia ruba i
soldi dalle tasche prima ancora che uno se ne accorga, non servono gli omicidi”.
Il giornalista spiega poi come queste persone siano orgogliose della propria immagine
criminale, ne godono e ne traggono giovamento nei loro rapporti, a mo’ di deterrenza:
“Questo è anche un po’ colpa di noi giornalisti, che ne abbiamo esaltato le doti
criminali, il potere incontrastato, invece di sottolinearne la violenza, i crimini, la
droga, l’usura – dettagli che guarda caso danno fastidio”, commenta Abbate.
E a proposito di narrazione mediatica, Celestini ricorda lo scalpore suscitato dal
funerale dei Casamonica: “io non mi sono stupito, abito di fronte a uno dei cugini e a
duecento metri dal Casamonica famoso: loro sono così sempre. Ma indovinate un po’?
Di colpo tutti hanno detto che i Casamonica sono mafiosi e a Roma è arrivata la
mafia solo perché quelli hanno suonato la musica del Padrino al funerale! Non
perché rubano, praticano usura, intimidazione, ricatti e violenze, no: per la
musica del Padrino. E così per Mafia Capitale: solo perché parlano in romanesco e
non portano la coppola non possono essere mafiosi?”.
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Lirio Abbate e Ascanio Celestini: se la coppola