Vito Spoleto
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23 settembre 2008
2 3 S et t em b r e 2 0 0 8
Stampato in occasione
del 50° anniversario
della morte dello Scrittore
1959 – 2009
a cura di
Vito Spoleto
Palazzo Ducale
Mappa
S a n C es a r i o d i L ec c e
Chiesa Parrocchiale
Vito Spoleto
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23 settembre 2008
Premessa
Benché non amante delle premesse, mi vedo costretto, per amor del vero, a puntualizzare
le circostanze di questo mio lavoro.
Nel 1971 mi trovavo nel Seminario Regionale di Taranto, mi preparavo a sostenere gli
esami di maturità classica presso il “Liceo Classico D. Bosco” di Taranto, di cui faceva parte la
scuola del Seminario.
Durante una pausa festiva a San Cesario di Lecce, mio paese natale, il mio sguardo si
posò sulla casa paterna di Michele Saponaro, distante 50 metri dalla mia casa.
Avevo deciso... la “tesina” per gli esami di maturità l’avrei dedicata allo scrittore,
consapevole che il lavoro sarebbe servito a me ed anche ad amici e compaesani.
Mia madre, Abatianni Maria, mi mise in contatto con Donna Lina, (così la nipote dello
Scrittore, Anna Saponaro, in data 23/09/2008, mi ha confermato chiamarsi la cognata e
abitante nella casa paterna dello scrittore sita in via Verdi, angolo via Saponaro), la quale mi
aprì lo studio della casa, in cui custodiva libri e ritagli di giornali riguardanti lo scrittore.
Con parlare raffinato e con squisita gentilezza la signora ebbe l’occasione di ritornare
con i propri ricordi nel passato. La ricordo con sincero affetto.
Il tempo era limitato, per questo focalizzai la mia attenzione quasi esclusivamente sui
ritagli di giornali e di riviste, i quali potevano andare persi o difficilmente utilizzabili da altri
e su questi ho basato il lavoro, che non ha nessunissima pretesa se non quella di essere lo spunto
per ulteriori approfondimenti.
Oggi ho ripreso questo lavoro - fatto allora con tutti i limiti di tempo, di organizzazione,
di visione delle cose, di possibilità di consultazioni vicini allo zero - e l’ho elaborato col computer
in modo che una nuova stampa, risultasse di forma più vivace, più moderna, lasciando
totalmente inalterato il contenuto e le parole che usai durante la stesura della ricerca.
Sono state aggiunte solo le foto, il manoscritto e naturalmente questa premessa.
Le foto dello scrittore le ho acquisite dal libro di Arturo Lanocita “Scrittori del Tempo Nostro” del
1928 - Milano.
Il disegno dello scrittore proviene dalla rivista “Comoedia”, la caricatura è di Mateldi.
Il manoscritto mi è stato donato dal carissimo e mai dimenticato Don Carmelo, Sacerdote
pio, umile e dotto, a cui ero particolarmente affezionato in quegli anni.
Oggi, 23 settembre 2008, il lavoro è stato integrato in occasione del 50° anniversario
(2009) della morte dello Scrittore, con l’aggiunta dell’elenco delle opere, tratto dal sito internet
dedicato allo Scrittore.
Invito i Sancesariani, soprattutto giovani, a valorizzare i compaesani che si sono
distinti umanamente e professionalmente.
San Cesario di Lecce (Residente a Como), 23 settembre 2008
Vito Spoleto
... l’attingervi è consentito solo citando la fonte...
Vito Spoleto
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IL “DECADENTISMO”
La “Scapigliatura”, il “Verismo” ed il ritorno al classicismo in modi definiti del Carducci sono il processo
evolutivo dell’elemento realistico del “Romanticismo”, mentre il “Decadentismo” ne è l’accentuazione
esasperata dell’elemento idealistico.
Nel “Decadentismo” si nota tutta l’ansia romantica ad intuire i valori assoluti ed infiniti, a percepire
l’inconscio e l’ignoto, a superare il mondo del limitato, ma, quando l’uomo si accorge che ciò gli è impossibile,
ripiega deluso su se stesso e considera il suo travaglio e la sua disfatta di creatura superiore e vede nella morte
la soluzione tragica e meravigliosa d'ogni ideale e passione.
Il “Decadentismo” comprende la crisi religiosa e letteraria, conseguenza della raffinatezza e della preziosità
culturale raggiunta, procurata da una civiltà giunta al limite della sua maturazione.
IL “CREPUSCOLARISMO”
Tale denominazione sorge nel 1910, quando il critico Antonio Giuseppe Borgese, sul quotidiano la Stampa,
definiva la poesia di alcuni scrittori come “crepuscolare”.
Con loro si andava spegnendo la nostra grande lirica, iniziata dal Parini, “in un mite e lunghissimo
crepuscolo”.
Il “Crepuscolarismo” é prodotto da una reazione sentimentale, non programmata, alla retorica patriottica
del Carducci, al paganeggiante estetismo del D’Annunzio.
L’essenza poetica di tale corrente è il fascino segreto delle piccole cose, delle emozioni e delle sensazioni
quotidiane, il rimpianto per le grandi idealità e per le forti passioni, contemplazione ironica di un passato
ormai trascorso.
I poeti crepuscolari evitano la proiezione verso il futuro e non intendono magnificare le forze del mondo,
ma elevano a materia della loro poesia la vita quotidiana nei suoi più dimessi e banali aspetti, priva di ogni
ornamento e libera dal peso della tradizione.
Essi sono accomunati dal bisogno di compianto e di confessione, dal rimpianto per i valori tradizionali
persi e da una perenne insoddisfazione che non si sfoga in ribellione, ma cerca solamente tranquilli angoli del
mondo e luoghi conosciuti dell'anima, in cui rifugiarsi.
Il movimento è da intendersi anche come un ripiegamento dello spirito, stanco di tante esperienze, verso più
intime regioni del sentimento.
La parte negativa è la predilezione di mezzi toni, l'ostentata modestia di temi e la voluta prosaicità di
espressioni.
I principali scrittori di questo tempo sono Michele Saponaro, Corrado Govoni, Tito Marrone, Sergio
Corazzini, Guido Gozzano, Aldo Palazzeschi, Gian Pietro Lucini, Marino Moretti, Fausto Maria Martini.
Benché Michele Saponaro avesse affermato in più occasioni di non appartenere a tendenze o a correnti del
suo tempo, tuttavia noi per motivi didattici e letterari siamo costretti a vedere in quale ambiente letterario egli
ha operato.
I critici lo hanno collocato nel movimento crepuscolare, ma parte della sua opera lo fa ritrovare anche in
altre correnti.
Si distacca decisamente dalle correnti estremiste, quali la “Scapigliatura” ed il “Futurismo”.
Infatti, egli più che alla ricerca esasperata di una poetica nuova e di una concezione della vita, si rifugia
presso zone più serene per esprimere il suo mondo interiore.
Si può anche inquadrare nell’ “Ermetismo”, nel “Neorealismo” ed ha anche qualche estrema suggestione
estetica dovuta al dannunzianesimo allora imperante.
Dell’ “Ermetismo” si nota in lui il tema dell’umanità che soffre, descrivendola con una pacata e
melanconica mestizia, anche se da lui si distacca, ornando la frase di un linguaggio ricco di espressioni, che
meglio e compiutamente palesano il suo intimo.
In Saponaro si nota in parte l’osservazione naturalistica della realtà per un abbandono personale al
ripensamento lirico proprio del “Neorealismo”, il quale non ha il carattere documentario e scientifico delle
precedenti correnti realistiche.
Alla realtà obiettiva delle correnti realistiche, il Saponaro sostituisce una realtà d’animo, che è indice non di
un rifiuto alla pura verità esistenziale, ma che indica la precisa aspirazione a una pienezza di vita.
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MICHELE SAPONARO
Vita - Personalità
Michele Saponaro nacque il 2 gennaio 1885 a San Cesario di Lecce, figlio dell’insegnante elementare
Giambattista, discendente da una famiglia di notai.
Terzo di dodici figli Michele trascorse la sua
infanzia e l’adolescenza in una casa di campagna,
situata tra verdi e ombrosi alberi, circondata da una
natura ostile e fiorente al tempo stesso.
Usciva dalla scuola per nascondersi nel suo podere
e, dato il carattere introverso, non aveva compagni.
Coltivava la terra - come lui stesso affermò - con le
sue mani e l’amava di amore fisico, sensuale. (1)
Imparò i segreti degli alberi e delle piante, coltivava
la terra e leggeva i libri soprattutto di Foscolo, di
Leopardi, di Carducci e di D’Annunzio.
Suo padre era un carducciano e tale preferenza fu ereditata da Michele tanto, che fra i quindici ed i
vent’anni il Carducci era diventato il suo idolo.
Vivendo così solo tra gli alberi della sua terra e lontano dagli uomini, la sua vocazione divenne artistica.
Affrontò gli studi con tanta caparbietà e coraggio,
che i suoi genitori e le sorelle con privazioni riuscirono a
fargli frequentare l’Università di Napoli, come avevano
già fatto con gli altri suoi fratelli, per farlo dedicare agli
studi giuridici.
Si laureò in legge a vent’anni con il massimo dei voti
e la lode. Si sposò con la compaesana Maria Carlà, che
gli rimarrà fedele compagna per tutta la vita.
Nel 1910 vinse un concorso come bibliotecario e
trovò impiego come direttore della biblioteca
universitaria a Catania.
Alto, filiforme, scarnito, con vividi occhietti di topo,
densi i capelli a spazzola sulla breve fronte, lunghe le braccia,
ossute le mani, insaccato in un vestito grigio di taglio
campagnolo, questa - come lo descriveva il Villaroel - era la
sua figura. (2)
Fraternizzò subito con i coetanei del luogo con il suo carattere
cerimonioso e sorridevole, anche se era taciturno e monosillabico.
Scriveva racconti, novelle, prose liriche di nascosto, covando un
suo segreto sogno di gloria.
Il suo stipendio era magro e tutte le sue speranze erano riposte
nell’arte.
Incontrò poi il Verga, Capuana, De Roberto e pian piano
acquistò maggiore fiducia nel suo talento artistico, confortato
dalle autorità e dalla saggezza e dalla umanità di questi grandi
spiriti.
Pirandello gli voleva bene e gli donò per ricordo l’autografo de
“ La Patente ”, una fra le sue più famose commedie.
La fortuna gli arrise all’improvviso, vincendo il concorso
nazionale di teatro con un’atto unico: “Mammina” e fu
costretto trentenne a partire da Catania per Milano.
_____________________________________________________________
(1) C. Falconi: Saponaro biografo di Cristo in “La fiera letteraria”, Roma, 25 dicembre 1949.
(2) G. Villaroel: Ricordo di Saponaro in “Il giornale d’Italia” Sabato, 31 ottobre 1959, pag. 3.
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Nella città lombarda, vincitore di un concorso,
ebbe il posto di impiegato come vice-bibliotecario al
Brera, anche se nel cuore gli restò sempre la nostalgia
della sua terra e il ricordo di un sole indimenticabile.
Si dimise dalla biblioteca Brera e nello stesso
pomeriggio,
durante una
passeggiata, incontrò
l’editore Emilio Treves, che lo esortò a scrivere un
romanzo.
Divenne narratore senza contaminarsi, senza subire
influenze e senza appoggiarsi a facili successi. Si
impose un distacco preciso da quelle correnti letterarie,
nelle quali prevalevano tendenze di brutale realismo e dominava una retorica falsa, non sentita.
Si fece notare per il suo piacevole modo di raccontare, per la calda intimità delle pagine stese come diario.
Era rimasto magro, slanciato, con occhietti vividi, con braccia lunghe e mani ossute; possedeva una casa
con un ampio studio, con grandi finestre, con librerie; aveva tre figli: Giovanni, Aldo e Silvia.
Collaborava al “Corriere della Sera” come critico drammatico e usufruiva di tutti gli altri vantaggi, che la
nuova sede gli offriva, essendo anche i suoi romanzi in voga, editi ora dal Treves ora dal Mondadori.
Il suo sorriso non era più sarcastico; era divenuto indulgente e protettivo, manifestandosi diplomatico,
coperto e tuttavia deciso.
Era rimasto il provinciale scontroso e magari ruvido, ma in fondo cordiale e schietto; aveva quella
gentilezza e delicatezza di modi, che erano propri dei suoi personaggi femminili più belli.
Saponaro fu originale, personalissimo; aveva ereditato lo spirito ottocentesco della narrativa sentimentale e
amorosa, rifiutando sempre le troppo facili leggerezze della letteratura del tempo e veniva additato come un
possibile erede di Verga e Capuana.
Era elegante e moderno, curato nello stile e classicamente perfetto,
quanto bastava per farsi leggere e capire.
Seppe fuggire nei suoi racconti agli effetti del basso erotismo, trovando un compenso nel delicato senso di
poesia, del quale amava colorare le sue pagine.
Era il poeta dei suoi personaggi, li descriveva con un’aderenza e verità che richiamavano l’arte del Verga,
ma faceva degli istinti espressioni che gli nascevano dal cuore. Partecipava ai loro amori, ai loro odi, alle loro
delusioni, alle loro speranze, seguendoli con trepida vigilanza.
Saponaro sembrava un seguace del “Verismo” allora ancora fiorente, ma, pur usandone i metodi come
scrupolo d’analisi e severità d’indagine, dal “Verismo” si distaccava per un suo lirismo interiore. (3)
La sua prosa andava sempre più semplificandosi, liberandosi da certi giovanili preziosismi e i suoi
personaggi venivano sottratti ad un certo giovanile desiderio di violenza e a certa ampollosità cronistica, che
non appartenevano al carattere più schietto dello scrittore, le aspirazioni ad un mondo redento, ad un lavoro
reso nobile, ad un superamento dell’odio e delle divisioni sociali, che allora non venivano approvate,
sopravvivevano nello scrittore, raffinate pertanto da una squisita esperienza d’arte.
Fu per vari anni critico teatrale per il “Corriere della sera”.
Il giornalismo e le collaborazioni letterarie lo distoglievano forse dalla calma necessaria per uno scrittore
devoto alla musa dell’elegia e della reminiscenza.
Diresse la “Rivista d’Italia” dal 1918 al 1920 in un piccolo ufficio della Galleria, cercando in tal modo di
mantenere vivo a Milano un centro di esigente intelligenza critica, un poco indifferente a certe sottigliezze
letterarie. Tentò, ma senza successo, il teatro.
Non partecipò - come Saponaro stesso affermò in un'intervista - a movimenti e tendenze; si tenne lontano,
perché le ritenne una dannosissima accademia, qualcosa tra il convento e il carcere, ma soddisfava liberamente
le sue inclinazioni, le sue predilezioni, le sue preferenze ragionevoli o irragionevoli, anche se cercava di non
farsene un programma. (4)
(3) E. Possenti: Ricordo di Michele Saponaro in la “Domenica del Corriere” - 15 Novembre 1959.
(4) C. Falconi: Saponaro biografo di Cristo in “La Fiera letteraria”, Roma, 25 Dicembre 1949.
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Come narratore era rimasto senza infamia e senza lode eccessiva. Aveva avuto un suo mondo e qualcosa di
tipicamente personale da dire: il mondo della sua infanzia pugliese, la nostalgia, l’amore, i costumi e la poesia.
Non aveva cinquant’anni, quando abbandonò la narrativa e, tornato nelle biblioteche, si ritrovò amico degli
studi, delle lunghe letture, delle ricerche minuziose, attento ai dati della storia, sottile indagatore delle ragioni
spirituali, vivace evocatore di personaggi. Il motivo di quest'improvviso cambiamento letterario - come egli
stesso affermo - fu il carattere mai molto propenso al romanzo. (5)
La narrativa mostrava quello che Michele era, mentre nella biografia dei grandi, lasciava trasparire quello
che avrebbe voluto e forse anche potuto essere.
Dalla considerazione delle sue umili creature, si elevò alla conoscenza dei grandi poeti e pensatori, finché si
rivolse a considerare la misteriosa vita di Cristo.
Il mirare sempre più in alto era certamente il suo scopo, perché l’attività artistica si rese per lui un’ascesi
continua. Come se lo scrivere storie di piccoli protagonisti non fosse scopo, che potesse soddisfare
completamente un artista, egli puntò verso le anime grandi e si mescolò con loro e ne divenne l’interprete,
l’amico, l’indagatore e il cantore.
Egli amava i suoi personaggi, non n’era un analizzatore indifferente, né si poneva al di sopra di loro, ma
rimaneva accanto a loro schivo, riservato, con un’umiltà degna di un alto spirito, per lasciare brillare soltanto
loro.
Saponaro aveva anche nella mente e nel cuore ideali di libertà, di giustizia e di dignità umana contro la
dittatura e poiché non poteva esprimersi liberamente, n'affidò il compito al Foscolo e agli altri, anche perché
questi grandi di tali ideali n'erano stati i divulgatori nel loro tempo.
Dedicò perciò la sua nuova stagione letteraria di storico e di biografo con più larga vendita e autorevole
risonanza al Foscolo, al Leopardi, al Carducci, al Mazzini, in cui la capacità di giudizio e l’informazione
storica si univano alla virtù di rendere accessibile a tutti un grande maestro con un racconto profondo e
semplice. Senza cadere nel romanzato, si atteneva minutamente ai documenti, alle testimonianze, alle fonti,
tenendo pur conto delle confessioni, degli epistolari, dell’opera stessa dei grandi letterati. Aveva indagato, oltre
i fatti, il carattere dei suoi grandi personaggi e ne aveva seguito le vicende, studiandone l’intimo.
La sua immaginazione e la sua spontanea vena di narratore offrivano
molto brio e molta vitalità alle biografie.
Nel tempo in cui il Nostro scriveva, l’estetica in voga dubitava a
collocare la biografia dello scrittore nella letteratura, considerandola una
produzione anfibia, contaminazione di poesia e di storia.
Ma in verità la biografia, intesa da un Saponaro, è una realtà artistica
perfettamente simile alla narrativa, in quanto è perfettamente indifferente
cercare i propri personaggi nella storia, anziché nella cronaca ordinaria.(6)
Intanto con il passare degli anni, i folti capelli neri erano diventati
candidi, un po' curva la persona, affilate le
diafani mani; ma lo sguardo manteneva la
penetrazione del tempo giovanile con quegli
occhietti limpidi e vivaci.
Presiedeva solo una giuria, quella che ogni
anno esaminava i mille e mille casi di oscura bontà umana per il premio “Notte
di Natale”.
Un cancro al fegato intanto lo consumava lentamente tra atroci sofferenze.
La parola di Saponaro fu udita per l’ultima volta, quando Milano
commemorò il cinquantenario della morte del Carducci.
Consapevole del male e della morte imminente attese coraggiosamente e
serenamente la fine, affermando: “ sono nato povero, ho vissuto
onestamente e muoio libero”.
Morì il 28 ottobre 1959 a Milano.
(5) C. Falconi: Saponaro biografo di Cristo in “La Fiera letteraria”, Roma, 25 Dicembre 1949.
(6) L. Giusso: Ristampe di Saponaro in “Il tempo di Milano”, Giovedì, 30 agosto 1951;
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Fu uno spirito puro di socialista e di fervente cristiano, mostrandosi in tutto un galantuomo e restando
sempre coerente con se stesso.
Saponaro con Moretti e Panzini costituisce un trinomio, legato da indissolubili vincoli che non hanno
prestato ascolto alle correnti non sempre valide della loro epoca.
Il tono predominante della migliore narrativa di Saponaro è l’idillico, ma inteso tale idillismo come
desiderio di pienezza di vita, non d’evasione dalla vita.
La critica ufficiale sottovalutò la narrativa del Saponaro, un po' romantica, un po' leggera, se vogliamo, ma
tuttavia sofferta e ricca di una certa grazia.
I critici, studiando la sua opera, hanno affermato che è un minore. Egli stesso, parlando di se, affermava di
possedere una flebile voce, ma che ha saputo liberarsi dalle influenze non sempre accettabili del tempo.
L’impegno tuttavia di uno scrittore è da ricercare all’interno e non all’esterno del suo lavoro.
Era infatti di moda allora definire “d’evasione” l’opera aliena al dibattito di quei problemi, soprattutto di
natura sociale d’allora e si accettava al contrario e si esaltava l’opera anche più superficiale e scadente, purché
seguisse la linea della corrente neorealistica allora in atto. (7)
Ma la distinzione per un giudizio critico esatto fra letteratura d’evasione e letteratura d’impegno è
pericolosa e azzardata, perché può disviare facilmente da un retto intendimento e da una esatta valutazione.(8)
Casa paterna di Michele Saponaro - San Cesario di Lecce
Veduta aerea
del podere del
Saponaro
(7) - (8) M. Tondo: Saponaro all’aria aperta, in “La Gazzetta del Mezzogiorno” Bari, Martedì, 30/9/58, p. 3.
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LE
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OPERE
• Le novelle del verde, con una prefazione di L. Capuana, Napoli, Bideri, 1908
• Rosolacci (novelle), Ancona, Puccini, 1912
• La vigilia (romanzo), Roma, C. A. Bontempelli, 1914; L’idillio del figliol prodigo (La vigilia), Milano, Vitagliano,
1920; poi col titolo originario, Milano, Mondadori, 1924; Milano, Garzanti, 1941
• Peccato. Sette mesi di vita rustica (rom.), Milano, Treves, 1919; Peccato, Milano, Mondadori, 1925; Milano,
Garzanti, 1946 (messo all’indice),
• Fiorella (rom.), Milano, Vitagliano, 1920; poi Milano, Mondadori, 1922
• La casa senza sole (rom.), Milano, Mondadori, 1920
• Amore di terra lontana (nov.), Milano, Treves, 1920
• Le ninfe e i satiri (nov.), Milano, Vitagliano, 1920
• La perla e i porci, Milano, “Modernissima”, 1920
• Il nostro amore, Roma, Formaggini (“Simpaticissima”), 1920 (disegni di Angoletta)
• Nostra madre (rorn.), Milano, Mondadori. 1921
• Le mie cinque fidanzate (nov.), Milano, Mondadori, 1921
• Tra la vita e il sogno. L’altra sorella (rom.), Milano, Mondadori, 1922
• Le sette stelle dell’orsa (racconti per ragazzi), Milano, Mondadori, 1922 (ill. di S. Saponaro); n. ed., Milano,
Mondadori, 1956 (ilI. di V. Accornero)
• Mentre a Roma si disputa, Milano, Ed. Gandolfi (“Decameron”), 1922
• Guerre senza sangue (racconti per ragazzi), Milano, Imperia, 1923; poi Milano, Mondadori, 1931
• Un uomo L’adolescenza (rom.), Milano, Mondadori, 1924; poi Milano, Garzanti, 1941;
• Adolescenza, a cura di M. Tondo, Galatina, Congedo, 1985
• La bella risvegliata. Viaggio nel mio giardino (rom.), Milano, Mondadori, 1924
• Inquietudini (nov.), Milano, Mondadori, 1925
• Viaggio in Norvegia (reportage), Milano, Mondadori, 1926
• Un uomo — La giovinezza (rom.), Milano, Mondadori, 1926
• Io e mia moglie (rom.), Milano, Mondadori, 1929
• Paolo e Francesca (rom.), Milano, Mondadori, 1930
• Avventure provinciali (nov.), Milano, Mondadori, 1931
• Erba tra i sassi (nov.), Milano, Mondadori, 1932
• Puglia, Firenze, Nerni (“Visioni spirituali d’Italia”, a cura di J. De Blasi). 1932
• Zia Matilde (nov.), Milano, Istituto Tipografico Editoriale, 1934
• La città felice (rom.), Milano, Mondadori, 1934
• Lettere dal villaggio (racconti), Urbino, R. Istituto del Libro, 1934
• Bionda Maria (rom.), Milano, Mondadori, 1936
• Lo sconosciuto (rom.), Milano, Tip. del “Corriere della Sera” (“Il romanzo mensile”), 1937 (cop. e disegni di G.Tabet)
• Vita amorosa ed eroica di Ugo Foscolo (biografia), Milano, Mondadori, 1938;
• Ugo Foscolo, Milano, Mondadori, 1940
• Il cerchio magico (rom.), Milano, Mondadori, 1939
• Carducci (biografia), Milano, Mondadori, 1940
• Prima del volo. Avventure di fanciulli che divennero grandi uomini (narrazioni per giovani), Milano, Garzanti,
1940
• Leopardi (biografia), Milano, Garzanti, 1941
• Mazzini (biografia), Milano, Garzanti, 2 volI., 1943-1944
• Michelangelo (biografia), Milano, Garzanti, 1947
• L’ultima ninfa non è morta (rom.), Milano, Garzanti, 1948
• Gesù (biografia), Milano, Mondadori, 1949
• I discepoli (racconto storico), Milano, Mondadori, 1952
• Andromaca. Tragedia in tre atti, Milano, Ceschina, 1955
• Antigone (tragedia), Milano, Ceschina, 1955
• Racconti e ricordi, Torino, SEI., 1957
• Romanzi all’aria aperta (contiene i romanzi, tutti riveduti: Peccato, Fiore/la, Adolescenza, Io e mia moglie, Il
cerchio magico), Milano, Mondadori, 1957
• Il sole di Carducci (elzeviri), Bologna, Cappelli, 1957
Postumi: • Il romanzo diBettina (biografia), Milano, Mondadori, 1959
• Diario, Milano, Ceschina, 1962
• Poesie, a cura dell’Amministrazione Provinciale di Lecce, Bari 1963
(*) L’indice di queste opere è stato tratto in data 06/09/2008 dal sito:
http://www.michelesaponaro.eu/index.php?option=com_content&task=view&id=1&Itemid=27
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“Vigilia”
La “Vigilia” è un romanzo dell’età giovanile, che ha qualche lato autobiografico e riuscì vittorioso da un
concorso, avendo ottenuto un singolare favore di critica.
Fu dedicato tale romanzo alle cinque sorelle lontane e fu scritto da Saponaro su invito di Emilio Treves,
che lo incontrò in una passeggiata pomeridiana proprio nel giorno in cui il giovane scrittore s’era dimesso
dalla biblioteca Brera.
All’uscita di questo libro Luigi Ambrosini additava Saponaro come un possibile erede di Verga e di Capuana.
Lo scrittore con questo romanzo si è affacciato ad un mondo in cui la dignità del vivere, il tormento e
l’ascesi dell’arte, concepita come superiore missione, anzi come una impresa, che impone terribili sacrifici ed a
cui si può soccombere, erano serie verità e non giochi declamatori. (1)
“Peccato”
Il romanzo “Peccato” è stato scritto nel 1919, necessità critica la data, per una ideale collocazione storica e
per comprendere certe parti strutturali dell’opera stessa.
E’ la terza opera che diede a Saponaro improvvisa notorietà.
Descrive in questo libro un suo soggiorno in casa del fratello. Si sofferma e riesce per ricavare dalla vita
monotona, genuina, incantatrice e a volte invidiabile della campagna un racconto lineare, pieno di immagini
gioiose, romantiche, semplici, con personaggi che prendono la vita con sereno e pacato abbandono.
Lo sfondo del romanzo è la campagna salentina, dove ad un periodo lungo di siccità caratteristica, subentra
un periodo di rigoglioso risveglio della natura.
E’ impossibile concepire in questo ambiente gli uomini senza confonderli nella natura, perché sono e
formano con essa un tutt’uno. Il Saponaro, soprattutto da giovane, è stato un romantico e melanconico cantore
della vita agreste della sua terra ed egli, sia pure in piena corrente neorealistica, è rimasto attaccato ad un
romanticismo autentico, che gli temprò un carattere ottimista.
Michele riesce con mirabile arte e con un verismo sorprendente, che gli nasce però dal cuore, a descriverci
la gioia di vivere, i personaggi plasmati nella natura, il sentimento dell’amore, le passioni umane, la
giovinezza, l’amicizia, la solitudine, la malinconia, la natura fiorente, il pianto che si apre alla speranza, il
lavoro dei campi, l’aria pura della campagna.
Saponaro in altre parole si sofferma con compiacimento a considerare soprattutto la parte migliore
dell’uomo, il sentimento umano con le sue manifestazioni.
Il naturalismo regionalistico, dal quale egli è partito, si è già mutato in un sentimento più aperto, più vivo e
fresco della natura, dimenticando così l’intento documentaristico del racconto.
Se resta qualche estrema suggestione la si deve appunto al D’Annunzio, infatti ha sapore dannunziano la
soluzione finale dell’amore tra Guido e Cia, anche se l’episodio nasce dalla preoccupazione della trama, dalla
necessità di fare il romanzo. (2)
Il sentimento idillico dello scrittore costituisce il nucleo dell’opera. Non si tratta di superficiale
descrittivismo, infatti, finché Cia rimane nell’ambito del sentimento idillico perfettamente inserita nel
paesaggio, è figura bellissima ed ha la delicatezza, freschezza e vivacità, caratteristiche queste, che
apparterranno poi sempre ai personaggi femminili di Saponaro.
La delicata scrittura del Saponaro nel descrivere la campagna fresca e fiorente diviene sensibile pittura,
ricca di caldo, ma puro calore.
“Fiorella”
Il romanzo “Fiorella” del 1920 risente in alcune parti della passione d’amore propria della corrente
neorealistica, in cui il libro è stato scritto, nella sua veemente eloquenza e sono le pagine più deboli del
romanzo.
Quando invece il racconto ritorna nelle sue linee usuali, quando si fa cioè tenero e delicato idillio, allora
acquista anche verità artistica e si inquadra perfettamente nel paesaggio che fa da sfondo, nella ridente
campagna e nei folti boschi tra il lago Maggiore e quello di Varese.
(1) L. Giusso: Ristampe di Saponaro, in “Il Tempo di Milano”, Giovedì, 30 agosto 1951
(2) M. Tondo: Saponaro all’aria aperta, in “La Gazzetta del Mezzogiorno”, Martedì 30.09.1958, pag. 3.
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Il romanzo fu un autentico successo editoriale; è il romanzo di una metamorfosi amorosa, idillio sbocciato e
consumato nella cornice dei laghi lombardi.
“Adolescenza”
La progressiva liberazione del tema genuino dalle preoccupazioni di trama e dalle suggestioni esterne
raggiunge il culmine nell’Adolescenza”, che sembra la prova più alta della narrativa saponaria.
Lo scrittore non si preoccupa più di fare romanzo e ne deriva un racconto bellissimo, lineare, unito e
armonioso nelle sue parti.
Lo scrittore traduce direttamente in figure ed avvenimenti la sua vita, un’esistenza semplice e vivace in
mezzo agli affetti familiari, con le prime esperienze esaltanti o dolorose, anche se si tratta di un’autobiografia
ideale, con personaggi e luoghi inventati, in cui descrive la sua giovanile esperienza.
Non descrive casi complicati o personaggi di eccezione, ma si sofferma a considerare tutto ciò che vi è di
umano e di autentico nei personaggi più umili, acquistando in tal modo i fatti e i personaggi una profonda
sostanza umana, un netto rilievo e una grande risonanza.
Le tre parti “Fiordalisi, Circe, La Bionda Maria”, in cui si divide il romanzo, si fanno naturale simbolo
delle varie esperienze d’amore, attraverso le quali il ragazzo diventa uomo: dai primi fantastici sogni
dell’adolescenza, quando la donna è vista con occhi limpidi e innocenti; alla prima sconvolgente rivelazione
della vita dei sensi e la donna ne è la Circe; a un più maturo e sano sentimento, quando la donna si ama con
tutto il proprio essere e si sente compagna e consolatrice. (3)
Lo scrittore diviene preciso indagatore nel presentare l’intimo dei vari personaggi: il fanciullo, protagonista
del romanzo con la psicologia propria dei primi anni di vita, che attraverso l’esperienza quotidiana si protende
verso la giovinezza e la virilità, il padre, la zia, la sorella che va sposa ad un individuo tanto diverso, meno
autentico di loro e per il quale il fanciullo sente una innata avversione.
Vi sono i propri dolori, le nausee, i rancori del fanciullo e tutto è raccontato con uno stile pacato, con una
chiarezza cristallina. Le scene soprattutto della fattoria si colorano di una espressione campestre genuina, i
personaggi vengono studiati in rapporto alla campagna, anzi personaggi e paesaggio si fondono in
meravigliosa armonia.
Lo scrittore ama la solitudine a contatto con la natura, ove la sua fervida e vivace fantasia, che trasporta
nel fanciullo, può spaziare, creando avventure di sogno.
Pina piano che i sogni svaniscono e cozzano contro una realtà dura, il fanciullo mostra un animo
battagliero, quasi odio conseguente all’essere stato distolto da quel paradiso terrestre, quale è la fanciullezza,
avvertendo a volte il pianto come unico conforto e appagamento pieno nei momenti di più nero sconforto.
A una conoscenza fantastica con una natura rigogliosa subentra la Circe ingannatrice, che fa aprire il
fanciullo alla vita e alla consapevolezza del peccato compiuto e i personaggi sono presi ora così come sono
con intorno una natura spoglia.
Zia Elisa è in realtà una creatura debolissima, che gli ingiusti sorprusi della vita, anziché fortificarla, hanno
reso più debole.
Il ricordo di Elisa si rende a volte pressante, incantatore ed al ragazzo è rimasto in bocca “tutto l’amaro del
dolce frutto assaporato” e il ricordo è tanto forte che “nel sradicarlo lascia sanguinante la ferita”.
La ragazza Noemi nella terza parte è il primo grande amore corrisposto dell’età giovanile, che difficilmente
si dimentica, lasciando nel suo animo un segno indelebile.
E’ la parte più lirica e idilliaca del romanzo.
Ritorna la descrizione del paesaggio, i prati in fiore, l’albero fiorito di pesco; il racconto ritorna
nell’ambiente del fanciullo, infatti lo stesso scrittore afferma che ogni uomo innamorato ritorna fanciullo.
Noemi è una figura romantica di squisita bellezza.
Decisamente i luoghi e la natura, che circondano il personaggio principale, sono parte indispensabile e
insostituibile nello studiare e nel presentare nel racconto l’ animo dello scrittore con tutti i suoi sentimenti
realmente e maestralmente colti.
Le ultime pagine di tale racconto palesano la lontananza dello scrittore dalla sua terra e una modesta fama
raggiunta, infatti si nota la nostalgia pungente della sua terra e la sicurezza di quello che il futuro gli offrirà.
(3) M. Tondo: Saponaro all’aria aperta, in “La Gazzetta del Mezzogiorno”, Martedì 30.09.1958, pag. 3.
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“Io e mia moglie”
Il protagonista, partendo da soggettive considerazioni e convinzioni sulla ripugnanza per il corpo umano e
dopo una fallita esperienza di studente in medicina, arriva all’incontro con la creatura che sarà sua moglie.
Costui, che vuole educare la giovane montanara sposata, è in fondo il personaggio saponariano inetto alla
vita di società, amante della campagna e della natura. Della donna il protagonista vuol fare la pianta più bella
del suo giardino; ma il risultato andrà oltre le sue aspettative e aspirazioni, e Bianca, inseritasi ormai nella vita
moderna, gli sfuggirà di mano. (4)
Il tema idillico è capovolto, perché lo scrittore ci rappresenta il fallimento del suo personaggio, costretto a
vivere in un mondo borghese, complicato e falso. (5)
L’ingenuità, lo smarrito stupore di Bianca, così diversa dalle sofisticate donne che questi sposi provinciali
incontrano nella metropoli, conducono alla riconquista di un senso d’amore, che è fusione spirituale e carnale
dotata di un ideale equilibrio. (6)
“Cerchio magico”
Anche la protagonista del “Cerchio magico” finisce per abbandonare il marito e la vita mediocre e vana
impersonata da costui, abbandonandolo proprio per un’anelito ad una esistenza vera, per sentirsi ancora
creatura viva.
Sarà per Anita, seguendo un rude ingegnere, la liberazione dall’esistenza misera, ristretta e opprimente del
paese e dalle convenienze, che ostacolano e falsano l’esistenza.
Il “Cerchio magico”, racconto prediletto dallo stesso scrittore, è uno dei migliori libri di Saponaro
soprattutto per la sua linearità. Si nota in esso anche un ritmo serrato e unitario, che si riflette sul
procedimento stilistico, sul colorito della scrittura.
La protagonista è intuita con profonda verità umana e l’ambiente mediocre dei professori e delle loro
consorti, che opprime Anita, è descritto con tocchi rapidi, ma precisi.
Su questo ambiente lo scrittore esercita la sua ironia e forse questo rende individuabili un poco i vari
personaggi, talvolta anche il marito. Ma queste figure sono soltanto lo sfondo e la cornice del racconto, poiché
Saponaro si industria a trarre l’attenzione tutta al dramma della donna, accontentandosi a disegnare l’ambiente
a tratti sommari.
Anita ricorda nella sua irrequietezza e insofferenza delle strettoie sociali Ugo Foscolo, anche se Anita è
creatura, che nasce dall’intimo dello scrittore. (7)
“Carducci”
Saponaro, per la conoscenza e la popolarità della figura di Carducci, ha fatto da solo più che interi collegi
di critici professionali. Il maremmano è infatti passato da un’alternativa di ingrandimento esagerato, dovuto
anche a contingenze politiche, ad una depressione grottesca e ripugnante da parte dei fanatici superstiziosi
della poesia pura.
La biografia è condotta al modo delle cosiddette biografie romanzate, ma il racconto è attentamente
controllato in base ai risultati più attendibili. (8)
Carducci, grande educatore, è stato collocato da Saponaro nella sua giusta luce.
Egli ha voluto l’Italia e la poesia come supremi ideali, che egli ha amato con tutta la passione garibaldina
del suo cuore, con tutta la serenità classica del suo alto intelletto.
La rivelazione di questo volume è l’uomo innamorato.
E’ sembrato per molto tempo, a chi ha ignorato il suo intimo, che egli non abbia mai amato, ne mai cantato
l’amore, ma al contrario la vita del Carducci è stata pervasa da un segreto e intenso amore, che gli è divenuto
il clima indispensabile alla riuscita delle più soavi e forti fantasie.
Su dei carteggi di scarso valore del Carducci, su settimanali e quotidiani ingialliti Saponaro non si è
chinato per prenderli in considerazione.
Solo un poeta come lui ha potuto intuire del Carducci una natura delle meno unilaterali, anche se nella
molteplicità e infinita gamma di slittamenti, di oscillazioni, di furori letterari e familiari.
(4)-(5)-(7) M.Tondo: Saponaro all’aria aperta, in “La Gazzetta del Mezzogiorno”, Martedì 30.9.1958, pag. 3
(6)
G. D’Arpe: Ricordo di Saponaro, in “La Gazzetta del Mezzogiorno”, Venerdì, 30 ottobre 1959, pag. 3
(8)
G. Citanna: Giosuè Carducci, in la “Letteratura italiana - I maggiori” del Dott. Carlo Marzorati Ed., Milano-1/B7, 1956
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Polemiche, controversie di idee e di partiti passano nella sua carriera di poeta e anche il costume
documentario del tempo e il gran pathos amoroso di Carolina, giustamente elevata da Saponaro a motivo
centrale.
Senza la Lina, Carducci avrebbe composto ancora una serie di giambi ed epodi che non sarebbero balzati
fuori, mentre le più belle composizioni fra le “Rime nuove” e le “Odi barbare” sarebbero rimaste sepolte in lui.
Ed ecco vediamo Carducci geloso, trepidante, che spia l’arrivo di lunghe lettere d’amore, che abbandona
poi da distratto incurabile, sui libri.
Si vede Carducci pellegrinante, non più giovane, lungo strade pittoresche, spalti e ruderi di Brescia, Verona
e Desenzano. Carducci ha quaranta anni con i segni delle prime rughe, quando lo si scorge trepidante per una
malattia paventata nella donna amata.
Saponaro ha intuito così che l’amore della Lina è servito ad alleggerire la pagina di Carducci, a infondere
levità e delicatezza d’animo alle sue più belle opere.
La decisiva rottura di equilibrio nel suo animo di professore dei classici e di repubblicano storico, l’ha
prodotta l’amore profondo e sovvertitore per la Lina.
Il libro dello scrittore salentino non ha ancora perduto la sua freschezza, anzi ci appare un documento
impareggiabile, rischiaratore di atteggiamenti psicologici, del costume di una intera generazione e d’una
società, in cui alla severa disciplina di prima è subentrato un rumoroso ed anarchico sbandamento. (9)
La parola di un vero poeta è sempre più rischiaratrice di quella dei critici idonei ai servizi sedentari.
In definitiva Saponaro ci ha rivelato a un tempo il singolare e malinteso avvenimento, svelando quell’amore del
Carducci maturo, che è stato per lui il grande e decisivo amore, che ha reso l’uomo delle grandi ire politiche, il
poeta della trepidazione amorosa.
“Foscolo”
A Michele Saponaro va il merito di aver reso popolare il Foscolo con un’opera che nel suo primo titolo
“Vita amorosa ed eroica di Ugo Foscolo” meglio traduce l’indole e la prospettiva del lavoro. (10)
Nella successiva edizione il racconto è stato ritoccato anche se vi rimane il gusto del pittoresco e del
commento piccante, proprio del cronachista mondano. (11)
Il “Foscolo” di Saponaro, più che un “ritratto immaginario”, che vuole sintesi ed arte per idealizzarlo, è al
contrario colmo di avvenimenti e di minuzie, al fine di offrire al contenuto la maggiore illusione di veridicità
psicologica e d’ambiente, infatti i particolari aggiunti dal biografo, hanno l’aria del tempo e si colorano di
quell’ambiente. (12)
L’opera dello scrittore ha una verità di tono, fondendo e completando l’epistolario foscoliano e il lavoro di
ritrattisti del primo Ottocento.
Il Saponaro, tra i biografi più recenti, ne ravviva il sembiante, il costume, la vicenda umana, caricando di
bei colori il cauto disegno tracciato dai biografi eruditi e accomodando i documenti in modo che il personaggio
risulti sempre eccentrico; più che un uomo è un’eroe dalla vita inimitabile. (13)
Lo studio della vita va fatto con quello dell’arte, perché si può avvertire e cogliere l’influenza che la vita
può avere avuto sull’arte. Ma si tratta di elementi di atmosfere inponderabili, perciò quando la critica
idealistica e positivistica, le più importanti dell’800, acquistarono più chiara coscienza degli scopi e dei
procedimenti, la biografia si attenne alla pura informazione, mentre la critica all’intima analisi e agli
svolgimenti e alle modificazioni storiche.
Il Saponaro ci mostra con compiacimento il Foscolo innamorato, perché sull’esperienza amorosa
confluirono e si agitarono in più forte e anche pittoresca battaglia i suoi vizi di barbaro e le sue virtù di
raffinato.
Lo stesso Foscolo parla di se, descrivendosi amante forsennato, tremendo, patetico.
(9)
L. Giusso: Ristampe di Saponaro, in “Il Tempo di Milano”, Giovedì, 30 agosto 1951.
(10-11) G. Marzot: Ugo Foscolo dalla nota in “La letteratura italiana - I Maggiori” del dott. C. Marzorati Ed. Milano
1B/7, 1956, pp. 772-773.
(12)
G. Marzot: Ugo Foscolo dalla nota in “La letteratura italiana - I Maggiori” del dott. C. Marzorati Ed. Milano
1B/7, 1956, pp. 772-773.
(13)
G. Marzot: La fortuna di Ugo Foscolo, dall’appendice della “letteratura italiana”, op. cit., p. 912
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“Gesù”
La natura di questo racconto - scriveva Giuseppe Villaroel subito dopo la pubblicazione del libro - si perde
nella notte dei tempi e sconfina nella leggenda, trovando sulla breccia altre famose vite del genere molto più
valide forse e documentate fra le quali quella del Ricciotti. (14)
Nel libro troviamo accanto ad inesattezze storiche e talvolta dogmatiche, a particolari arbitrari e uscite
curiose, notevoli ed indubbie bellezze artistiche, non comuni doti di espositore geniale e limpido nella
suddivisione della materia, ambiziose e brillanti più volte. (15)
Forse Saponaro è stato troppo umano in quest’opera sul Salvatore, ma gli si deve riconoscere il merito di
aver divulgato la conoscenza di Gesù e di aver spronato i suoi lettori all’avvicinamento di Dio.
Il “Gesù” di Saponaro si differenzia dagli altri per il tono più umile, più narrativo, più raccontativo.
Il Saponaro non si è proposto di interpretare Gesù o di opporre le leggi della sua morale alla civiltà moderna,
ma piuttosto ricostruire l’ambiente, in cui il Redentore operò, gli uomini e le donne che incontrò nella sua vita,
i personaggi e i luoghi che videro la sua predicazione e il suo martirio. (16)
Lo scrittore si è adeguatamente preparato nello stendere il libro, visitando e ripercorrendo l’itinerario e le
tappe del Cristo.
Questo viaggio offre al libro quel tanto di “reportage” giornalistico, di racconto vissuto e di esplorazione
umana, che è perfettamente consono alle abitudini e al gusto del Saponaro.
Il libro insiste giustamente sul valore perenne del sermone della montagna, che indica l’unico modo di
vivere con autenticità il messaggio di Cristo.
Ma il perenne contrasto tra coscienza e storia, adombrato da quel discorso, è più profondo di quanto non
sembri dall’accenno ai soli avvenimenti del mondo moderno, alle degenerazioni ultime della violenza. (17)
Per Michele Tondo il tenero e delicato idillismo di questo racconto si traduce in un tono di casta semplicità
evangelica, arioso e colorito come una pittura dell’Angelico. (18)
Il racconto è stato scritto con umiltà e spirito di poesia, rievocandolo sullo sfondo agreste del paesaggio
della Galilea.
Saponaro è passato dagli uomini grandi della letteratura italiana a Gesù per una ricerca di ostacoli e
pericoli maggiori; e sempre è andato dal difficile al più difficile, avendo bisogno di questi stimoli, forse per
mettersi al lavoro.
Lo stesso Saponaro, intervistato a proposito di questo racconto da Carlo Falconi, ha affermato: “Molte
sono le vite di Gesù scritte, ma un racconto non l’ho trovato; o sono libri di erudizione teologica, filosofica e
storica, tutti insieme buon materiale da costruzione, per chi vorrà costruire o sono prediche.
E’ incredibile come un artista, che voglia scrivere di Gesù, cada nel tono retorico e gonfio, che è il più
lontano dal chiaro e fresco linguaggio della buona novella.
Con quel linguaggio poco umile è naturale, che l’autore sia portato a mettere in primo piano se stesso, con
tutte le sue passioni e il lettore che vorrebbe vedere solo il volto di Gesù, spesso lo perde di vista, rannuvolato
entro le collere, le intolleranze dell’autore.
Ora io penso che, specialmente in un soggetto di così alto e severo impegno, necessita nel biografo molto
spirito di umiltà e trarsi discretamente in disparte.
Io mi son messo al lavoro con tale spirito e ho inteso scrivere solo un racconto, trasferendolo dagli Evangeli
in una prosa moderna, d’idillio prima e poi di tragedia.” (19)
E ancora in una intervista a Giorgio Monicelli Saponaro ha asserito: “Ho detto anch’io qualcosa di nuovo,
però non l’ho messo in mostra, ma l’ho riposta a tempo e luogo nelle pieghe del tessuto narrativo, in modo che
al lettore attento non possa sfuggire.” (20)
A coloro che si sono meravigliati per la mancata introduzione al libro Saponaro ha replicato affermando
che chiunque mette avanti le mani prima di compiere qualcosa lascia il sospetto, che si regga piuttosto male
sulle gambe. Il libro in realtà deve parlare da se stesso, aperto a tutte le critiche e a tutti i commenti.
Ha aggiunto ancora lo scrittore: “Ho scritto un racconto storico e nello stesso tempo, essendo quella storia
altissima poesia, anche un racconto poetico.
(14) G. Villaroel: Saponaro il vecchio giovane, dai Profili in “Il giornale d’Italia”, Sabato 19 maggio 1951.
(15)
G. Bonetto: Michele Saponaro, scrittore solitario, da “La galleria delle arti”, in ‘Orizzonti’, 15.11.1959.
(16-17) G Spadolini: Vite di Gesù, -Notiziario letterario- in “Il Messaggero di Roma” Mercoledì 12 aprile 50.
(18)
M. Tondo: L’ultima creatura di Saponaro, in “La Gazzetta del Mezzogiorno”, Domenica, 6.3.60, pag. 4
(19)
C. Falconi: Saponaro biografo di Cristo, intervista in “La fiera letteraria”, Roma, Domenica 25.12.1949.
(20)
G. Monicelli: Michele Saponaro e la buona novella, in “La Gazzetta del Mezzogiorno” Sabato 26.11.49.
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Ho cercato dove ho potuto, farmi con lo spirito contemporaneo di quei narratori e vedere i fatti e ascoltare
le parole della buona novella così come quei narratori-cronisti vedevano e ascoltavano, diversamente dallo
storico odierno, che ha l’obbligo di vedere quei fatti e ascoltare quelle voci attraverso venti secoli di studio
teologico.
C’è infine una verità artistica, come c’è una verità storica, le quali quasi sempre coincidono e dove la
seconda, per mancanza di documenti non sia rintracciabile, la prima può bene sostituirla.” (21)
Un dotto esegeta di quei tempi - padre Casella - affermava, che una vita di Gesù, presentata con la tecnica
e lo spirito della romantica moderna, forse non esisteva e che Saponaro è riuscito brillantemente a regalarci.
(22)
Risulta in tal modo - come continua padre Casella - un Gesù vivo, reale, infinitamente umano e divino
insieme, un Gesù tanto vicino a noi che ci si illuderebbe quasi di poterlo incontrare anche oggi su le rive dei
nostri laghi, sui sentieri delle nostre colline, tra i prati in fiore e tra le messi dei campi. (23)
Si è accusato lo scrittore di aver molto fantasticato, ma si sono rilevate molte espressioni solo trasposizioni
e amplificazioni su lo schema narrativo di fatti e detti rigorosamente storici.
“Non è arbitrario infatti” - come replica lo stesso scrittore - “mettere sulla bocca degli Apostoli delle frasi,
mentre erano ancora con Gesù, infatti se tali espressioni i suoi seguaci le scrissero nelle lettere posteriori, a
maggior ragione erano presenti nella loro mente all’inizio della loro chiamata”. (24)
Infine il Saponaro ha dato alla trama narrativa una disposizione logica e psicologica, senza tuttavia
intaccarne ne lo spirito ne la forma, conferendo in tal modo al racconto un certo movimento e un colore
appropriato.
“I Discepoli”
I biografi di Cristo delle più diverse tendenze, dal Renan, all’Omodeo, all’abate Ricciotti, non hanno osato
di mettere la parola fine al loro racconto sull’agonia del Golgota o sulla scomparsa in gloria del Salvatore.
Chi ha rievocato il dramma umano e divino del Cristo, dopo l’ascensione al cielo di Cristo, difficilmente
resiste alla seduzione di narrarne l’epilogo, che è stato il glorioso preludio di tanta nuova storia e di evocare in
particolare quel Paolo, che, benché mai vide sulla terra Gesù, è stato a buon diritto chiamato il secondo
fondatore del cristianesimo. (25)
Saponaro, dopo essersi tra le biografie dei grandi accostato a Gesù e avere in un fortunato volume tentato
l’ardua e affascinante biografia, ci ha dato poi come epilogo la storia dei Discepoli, soffermandosi
naturalmente sulla prepotente personalità dell’apostolo delle genti.
Le fonti di questa storia sono gli “Atti degli Apostoli” di San Luca, l’epistolario paolino, le poche altre
epistole del Nuovo Testamento, qualche raro accenno delle fonti classiche e poi una gran quantità di leggende,
antichissime, antiche e relativamente moderne, occidentali e orientali, classiche e medioevali, prive di ogni
valore storico le più, ma qualcuna avente forse una qualche imponderabile parte reale entro la scorsa
variopinta della fede e della poesia.
Il Saponaro, anche se non è storico e critico neotestamentario di professione, è troppo accorto e scaltrito
uomo moderno, per fondere indiscriminatamente fonti di così disparata provenienza e valore; e nella sua
narrazione egli distingue la storia, o quella che ritiene di poter considerare tale, dalla ‘leggenda dalle ali
d’oro’; leggenda in cui annega la personalità e l’opera di quasi tutti i dodici, tolti Pietro e Giacomo in parte
almeno della loro opera e l’indomito ebreo di Tarso. (26)
Nelle pallide, evanescenti storie degli altri, si può notare nel biografo questa consapevolezza critica, questo
desiderio di distinguere la storia certa dalla pia leggenda o discretamente accennare al probabile fondo di realtà
storica trasparente nella luce della leggenda. (27)
Ma con certezza è espresso, che gli uomini, che più erano stati vicini a Gesù e che avevano udito e accolto
direttamente il suo messaggio, si dispersero per il mondo ad annunziarlo e quasi tutti in luoghi, tempi e
circostanze storicamente mal note, sacrificarono per Esso la vita.
(21-22-23-24) M. Saponaro: Nota per il lettore malevolo, nel libro “Gesù, Arnoldo Mondadori Editore Ed., Milano
(25-26-27)
F. Gabrieli: La storia dei Discepoli, in “La Gazzetta del Mezzogiorno”, Giovedì, 5/2/1953.
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Di Pietro noi conosciamo nel riflesso della luce di Paolo, il contrasto di Antiochia, la venuta ed il finale
martirio in Roma.
Dal libro apprendiamo anche la storia di Giovanni, il giovane ed il diletto discepolo, che divenne poi
l’aquila ispirata di Patmo, che invecchiò solitario, spegnendosi quale venerato Patriarca delle Chiese d’Asia,
tra visioni apocalittiche e tra mistiche rievocazioni del Logo.
Il vero protagonista dell’epoca cristiana in piena luce storica è Paolo e le più impegnative pagine di questo
libro vengono a diritto destinate a lui.
Saponaro conosceva bene l’epistolario e i problemi essenziali dell’immensa letteratura paolina e si è
documentato coscienziosamente sullo sfondo storico e geografico e su tale base ha narrato con semplicità, con
onestà, con delicato e candido abbandono.
Il racconto così scorre leggero, senza mai lasciare la base della verità storica, ma allargandolo
discretamente nell’ambito della verosimiglianza e della interpretazione psicologica.
Tali interpretazioni dell’intimo umano spesso persuadono con la suggestione della consumata esperienza
umana e con la chiaroveggenza di una attenta e onesta coscienza morale. (28)
Nella truce e miserabile Roma neroniana Paolo trascorse i suoi ultimi anni in catene e chiude la vita in
giorno e luogo ignoti fuorché alla leggenda, dopo aver mantenuto il giuramento e combattuta la sua buona
battaglia di soldato di Cristo.
Il Saponaro a questo punto resiste alla tentazione di colmare con fatti immaginari il sacro silenzio e
l’ombra di questa fine.
Il credente può leggere in definitiva con edificazione il suo libro e lo storico vi trova quasi nulla, che
offenda i canoni della più cauta indagine storica.
Saponaro è certo, che mai il divino, in cui ha pur sempre creduto, e l’umano si incontreranno come in quei
lontani giorni, fra quelli uomini, che ebbero l’inestimabile ventura di udire la voce di Gesù, di narrare con
occhi terreni o in un misterioso bagliore soprannaturale la sua figura e l’aurora senza paragone di virtù, di
speranza e di martirio, che si irradiò da quel contatto, da quell’incontro. (29)
“Nostra Madre”
E’ un romanzo, edito nel 1921, in cui l’autore cerca di scavare nel proprio intimo, nei suoi sentimenti di
figlio, nei suoi ricordi d’infanzia, facendosi trascinare da una malinconia struggente, ma nello stesso tempo
consapevole dell’essenza stessa della vita.
Nelle pagine seguenti sono riportate, scannerizzate, le prime nove pagine del manoscritto
originale in prima stesura del romanzo, che sono in possesso del sottoscritto, dove si può notare
tutta l’umanità e la sensibilità del figlio, del fratello e dell’uomo (aveva circa 35 anni), che
ritorna nella casa paterna, dove sono rimaste la madre, Antonietta Santo, anziana e le tre sorelle.
(28-29) F. Gabrieli: La storia dei Discepoli, in “La Gazzetta del Mezzogiorno”, Giovedì, 5/2/1953.
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“Il romanzo di Bettina”
“Il romanzo di Bettina”, scritto nelle pause delle crudelissime sofferenze del male, che lo consumava
lentamente, è come la voce d’addio dello scrittore dopo una esistenza operosissima.
“Il romanzo di Bettina” riassume i motivi più genuini dello scrittore, quell’idillismo autobiografico, che si è
manifestato in una irrequieta aspirazione ad una esistenza non impacciata dalle strettoie sociali; ma
liberamente espandentesi in mezzo alla natura. (30)
Perciò anche il personaggio Bettina non è che un trasparentissimo ritratto dello scrittore, il quale con
schietto candore ha amato la natura e non si è vergognato affatto di palesarlo, segno evidente questo che tali
sentimenti non sono stati divagazioni di letterato illustre, quanto piuttosto la sostanza stessa della sua
personalità e il legame profondo che lo ha unito alla terra natia, dalla quale si è allontanato, ma mai staccato
sentimentalmente.
Saponaro ci delinea a tratti nitidi e illuminati la figura di Bettina Brentano, la giovane amica dell’ormai
canuto Goethe e che a ragione fu chiamata dai contemporanei “Sibilla del Romanticismo”. (31)
La Bettina, che Saponaro ama, è la creatura, che scrive di se ad un’amica: ”Io sono libera sorgente
montanina, che prorompe come vuole il suo corso e che allegramente se ne va, correndo attraverso campi e
solitudini”. (32)
A questo tema si ambienta anche una poesia del 1947, che Saponaro ha pubblicato circa nel 1959 con altre
sei sull’Osservatore politico letterario:
“Quando nelle ore stanche e disilluse
il ricordo di te, non più veduta,
al cuor ritorna, gli appassiti giorni
s’aprono come cieli,
ed il tempo è un giardino.
Risento a me vicino
odor d’alba, di steli
teneri, di convolvoli dischiusi
in altri verdi d’umida frescura.
Risento la calura
meridiana di pampini e biade
sconfinate,
senza alitar di vento,
sotto silenzi torridi”. (33)
Nella primissima giovinezza
Bettina viene costretta a stare in
collegio per la morte della madre,
ma nello stesso tempo è attratta
dal mondo esterno, dalla natura
che la circonda.
Veduta laterale della casa paterna di San Cesario
Ritorna a Francoforte in famiglia, dove può trovare un ambiente più consono alla sua irrequieta sensibilità
e persone del tutto disposte ad assecondare le sue liberissime inclinazioni soprattutto il fratello Clemente, che
la esorta alla poesia, ma “la sua amorosa canzone ha preferito viverla. E la vivrà tutta la vita”. (34)
Così essa docile solo agli slanci del suo cuore o del suo intelletto, ma sempre con verità d’intenti, è vissuta
libera da ogni imposizione, non trovando difficoltà ad avere una affettuosa amicizia per una giovane cucitrice
ebrea, quando già gli Ebrei sono visti con avversione e lasciandosi baciare dal bellissimo duca di Aremberg,
che è cieco.
(30)
M. Tondo: Cronache di narrativa contemporanea, marzo 1960, BC 66, - F.lli Montemurro E., Matera 66
(31-32-33-34-35)M. Tondo: L’ultima creatura di Saponaro, in “La Gazzetta del Mezzogiorno”, Domenica, 6 marzo 1960-p-4
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In tale atmosfera idillica esaltante è trasferito anche l’incontro di Bettina con colui, che della Germania del
primo ottocento è stato l’olimpico nume: “Goethe”.
E anche Bettina si sente un giorno colma di questo nome, che non è soltanto un gran nome, ma è divenuto
nel suo spirito presenza viva, enorme, prepotente, inebriante, che tutta la pervade. (35)
Anche se ormai Bettina è divenuta la baccante, conserva tuttavia sempre qualcosa della cerbiatta: “gli
scrive di tramonti, di amore, di stelle, di notti lunari, di cieli aperti, di selve sconvolte dalla tempesta e di altri
spettacoli che fanno sognare, sognare di lui”. (36)
Rimarrà sempre “colei che a dieci anni si arrampica sulle cime degli alberi e i merli delle torri, cercherà poi
sempre montagne da scalare, pericoli da affrontare, minacce da sfidare”. (37)
Bettina avrà sempre un delicato sentimento, pronta all’aiuto incondizionato, non indugiando ad aiutare nei
servizi più umili chi ne avrà bisogno.
Dietro questa bella immagine di fanciulla, ritroviamo la gentilezza d’animo e il nobile e fermo sentimento
morale di Saponaro, che si traducono sulla pagina in una casta limpidezza e in un’ariosa semplicità. (38)
Veduta del viale della casa paterna e degli alberi e arbusti dove lo scrittore si rifugiava
Veduta aerea
(35) M. Tondo: L’ultima creatura di Saponaro, in “La Gazzetta del Mezzogiorno”, Domenica, 6 marzo 1960, pag. 4
(36-37-38) M. Tondo: Cronache di narrativa contemporanea, marzo 1960, BC 66, - F.lli Montemurro E., Matera 66
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BIBLIOGRAFIA
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Marzorati Editore, Milano, via privata Borromei 1B/7, 1956.
Gustavo D’Arpe:
Ricordo di Saponaro, in “La Gazzetta del Mezzogiorno”, Venerdì, 30 ottobre 1959.
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Saponaro biografo di Cristo - intervista - in “La Fiera Letteraria”, settimanale delle
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Scrittori del tempo nostro, Casa Editrice Ceschina - Milano - 1928 - Interviste.
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Ricordo di Michele Saponaro.
Giorgio Monicelli: Michele Saponaro e la Buona Novella in“La Gazzetta del Mezzogiorno”, sabato,
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Nota su Ugo Foscolo, in la “Letteratura Italiana - I Maggiori”, del dott. Carlo
Marzorati Editore, Milano, via Privata Borromei 1B/7, 1956.
Eligio Possenti:
Ricordo di Michele Saponaro, in la “Domenica del Corriere”, 15 novembre 1959.
Michele Saponaro: “Gesù” - Nota per il lettore malevolo - Arnoldo Mondadori Editore.
Michele Saponaro: Adolescenza - romanzo, V edizione, Ed. Garzanti, Milano, Stab. Lito-Tipografico
Macciachini, 30 novembre 1944.
G. Spadolini:
Notiziario Letterario - Vite di Gesù, in “Il Messaggero di Roma” Mercoledì 12.4.50.
Michele Tondo:
Saponaro all’aria aperta in “La Gazzetta del Mezzogiorno”, Martedì 30 settembre 58.
Michele Tondo:
L’ultima creatura di Saponaro in “La Gazzetta del Mezzogiorno” Domenica, 6.3.1960.
Michele Tondo:
Il Romanzo di Bettina del marzo 1960 in “Cronache di Narrativa Contemporanea”,
BC 66, f.lli Montemurro Editori, Matera 1966.
Orio Vergani:
Michele Saponaro si è spento ieri sera, in “Il
Corriere della Sera” Giovedì 29.10.1959
Giuseppe Villaroel: Ricordo di Saponaro in “Il giornale d’Italia”
Sabato 31 ottobre 1959.
Giuseppe Villaroel: Saponaro il vecchio giovane in “Il Giornale
d’Italia”, Sabato 19 maggio 1951
Giuseppe Villaroel: Gente di ieri e di oggi - Cappelli Editore – 1954
Sito internet:
su Michele Saponaro (anno 2008) “Le Opere”
(http://www.michelesaponaro.eu/index.php?option=com_content&task=view&id=1&Itemid=27)
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SAPONARO MICHELE