Museo Etnografico del Friuli Nuovo Museo delle Arti e delle Tradizioni Popolari Palazzo Giacomelli, Borgo Grazzano 1, Udine Crudo& cotto La fortuna della ciotola Dagli scavi di via Grazzano al design Galvani, con riproposte dell’attuale artigianato ‘O bev in comunele Te’l crepp o in te’, scudjele Pietro Zorutti, Poesie. “ Orari Invernale, da Martedì a Domenica dalle ore 10.30 alle 17.00 Estivo, da Martedì a Domenica dalle ore 10.30 alle 19.00 Informazioni tel. +39 0432 271920 fax +39 0432 271907 1 MUSEO ETNOGRAFICO DEL FRIULI SALA “LE ARTI DEL FUOCO” Percorso espositivo 2014 - 2015 La sala nei suoi allestimenti a rotazione propone ora il tema della ceramica e in particolare un percorso intorno a una suppellettile da mensa: la ciotola. Viene analizzata la lunga storia di questo contenitore, a partire dai ritrovamenti archeologici nelle fornaci presso il Museo, attraverso manifatture nel corso del secoli. In particolare sono analizzati i modelli di produzione ottocentesca in diverse varianti. Molte scodelle di questo periodo sono state donate al Museo da Geremia Nonini, recuperate e ricomposte attestano una tipologia ad uso popolare ma con piavecole ricerca cromatica e decorativa. Angela Borzacconi analizza ed propone le tipologie di manifattura antica, provenienti dagli scavi nell’area di borgo Grazzano Testi di Angela Borzacconi, Geremia Nonini e Tiziana Ribezzi, 2 Che cos’è la ceramica Dal punto di vista etimologico ceràmica deriva dal greco κεραµικη , ovvero “argilla, terra da stoviglie” e per prodotto ceramico si intende tutto ciò che pur con metodologie diverse, viene ottenuto dalla materia prima argilla, qualunque sia la sua composizione chimica, la sua provenienza, la sua reperibilità ed il suo costo; pertanto è ceramica un mattone o un vaso da fiori in terracotta, come la più pregiata e raffinata porcellana. L’argilla, qualsiasi sia il suo impiego, è una materia prima composta da diversi minerali e con una composizione chimica in certi casi molto complessa La lavorazione della ceramica Preparazione Essa viene raccolta da cave o da letto di fiume e successivamente sottoposta dell’argilla a ulteriori lavaggi in vasche di decantazione alimentate da acqua corrente, che la rendono sempre più raffinata ed omogenea. Una volta raggiunta la qualità desiderata, l’acqua verrà eliminata dalla vasca e la terra sarà pronta per essere lavorata dopo un’adeguata stagionatura. Foggiatura Rimane, nonostante l’avanzare della tecnologia, il momento cruciale. La formatura è a blocco o per pezzi separati. Tra le più antiche tecniche manuali vi è la semplice premitura, alla quale si può aggiungere quella “a colombino”, consistente nel creare dei “salsicciotti d’argilla” da far aderire ai bordi del vaso o da sovrapporre l’uno sull’altro. Con il tornio, ideato già dalla fine dell’età del bronzo, è possibile produrre oggetti in modo più veloce e regolare. Altri procedimenti di formatura adottati nella produzione artigianale sono la lavorazione “a lastre” e quella “a stampo”. La logica evoluzione della formatura a pressione entro stampo è la tecnica “a colaggio” di tipo industriale, nella quale è utilizzata l’argilla semiliquida. Essicamento È la fase che determina l’evaporazione dell’acqua in eccesso dall’oggetto foggiato. Si tratta di un processo apparentemente semplice, che richiede tuttavia un accurato controllo, pena il rischio di rottura o di insuccesso nella successiva cottura. Prima cottura È la fase che consente la trasformazione dell’argilla in prodotto ceramico (biscotto), il quale determina il tipo di cottura necessaria. Per ottenere la terracotta, per esempio, la temperatura dovrà raggiungere i 900° C. Se i primi forni erano delle semplici buche scavate nel terreno, in seguito si costruiscono vere e proprie fornaci, con apposite strutture in argilla o mattoni. In Italia, il forno più usato fu il cosiddetto toscano, a legna, costituito da un focolaio, una camera di cottura, un fornaciotto, o camera di recupero, e un camino. Una struttura caratteristica era quella dei forni per la ceramica in Inghilterra, che andavano anche a carbone. Decorazione Vi sono vari metodi di decorazione dell’oggetto ceramico. A seconda del tipo di argilla utilizzata è possibile procedere direttamente alla decorazione sulla superficie del biscotto oppure creare un rivestimento apposito. Uno di questi prende il nome di ingobbio. Si tratta dell’applicazione sull’oggetto di terracotta di un impasto di argilla bianca. Su questo vengono praticate incisioni che lasciano intravedere, dopo la cottura, il colore sul fondo della terracotta oppure si procede alla decorazione pittorica. Un altro tipo di rivestimento è quello caratteristico delle maioliche, cioè lo smalto stannifero opaco, di bell’aspetto e particolarmente adatto alle successive rifiniture. Altre tipologie decorative sono la barbottina, la lavorazione a reticolo, la doratura e il “transfer-printing”. Invetriatura Ad eccezione del grès, la cui superficie appare naturalmente vetrificata dopo la o smaltatura cottura, le altre argille, compresa la porcellana, devono venire protette per essere 3 Successive cotture impermeabili all’acqua, facili da pulire, resistenti all’usura. L’invetriatura serve, oltre che ad uno scopo pratico, anche per fissare la decorazione del manufatto e renderlo più brillante ed esteticamente pregevole. La “copertura” può consistere in vernice o “vetrina” trasparente o in smalto opaco. In entrambi i casi si tratta di sostanze che, una volta applicate, richiedono una seconda cottura. Esse possono essere colorate facilmente con l’aggiunta di ossidi metallici. A meno che il prodotto desiderato non sia un semplice biscotto, sono necessarie successive cotture per fissare i processi di vetrificazione, ingobbiatura, smaltatura e decorazione. Ogni diverso tipo di vernice esige una cottura particolare, a seconda della sua temperatura di fusione. Sono pochi i colori che reggono le alte temperature: il verde, il blu, il porpora e il giallo; gli altri sono applicati a fuoco più basso. La perizia nell’uso del forno come quella nel preparare i colori, usanza oggi perduta per l’impiego di colori già pronti dall’industria, era il vero momento “alchemico” del mestiere, la chiave di trasmutazione dell’oggetto, la magia della vera sapienza artigianale. G. Agricola, De re metallica, 1556. Raffigurazione con sequenze relative alla preparazione dell’argilla fino alla modellazione e levigatura. I vasi sono lasciati asciugare sotto una tettoia; si vedono anche i manufatti cuocere nella fornace. da C. Piccolpasso Durantino, Li tre libri dell’arte del vasaio, 1550 ca. Vasai lavorano al tornio a pedale Scena dell’invetriatura in ditta ottocentesca Biscotto: materiale ceramico di prima cottura senza rivestimento Ingobbio: rivestimento cremoso di argilla e acqua che si applica sulla ceramica asciutta ma non cotta. Vetrina: miscela di sostanze trasformate in stato vetroso per cottura, usata come rivestimento. 4 Tipologie ceramiche: caratteristiche, fasi di lavorazione e cottura, produzione Terracotta Pasta porosa, tenera e scalfibile il cui principale componente è l’argilla di colore variabile dal giallo paglierino al rosso in base alla percentuale di ossidi ferrosi presenti. E’ priva di rivestimento. Formatura, essiccazione, cottura fra gli 880 e il 980 ° C Fin dall’antichità utilizzata per la produzione di laterizi, vasellame ordinario, decorazioni architettoniche, scultura. Ceramica L’impasto di argilla (spesso con digrassanti) è oggetto di diverse lavorazioni. Il prodotto finito è quindi descritto come: • Ceramica grezza: formatura, essiccazione e cottura. Invetriata: rivestimento con vetrina incolore o colorata e cottura. • Ceramica ingobbiata: rivestimento di ingobbio, essicazione, rivestimento con vetrina, cottura. • Ceramica ingobbiata e decorata, dopo prima cottura, rivestimento con ingobbio, essiccazione, decorazione, rivestimento con vetrina, seconda cottura • Ceramica graffita. Come la precedente ma prima della decorazione vengono graffiti disegni incidendo l’ingobbio fino al biscotto con una punta o una stecca. Le ceramiche ingobbiate, ingobbiate e decorate, graffita sono dette anche “mezza maiolica”. E’ stata prodotta fin dall’antichità per uso comune, vasellame da cucina, da mensa, distilleria, erboristeria, farmacia, oggetti di arredo. La ceramica tradizionale carnica è di questo tipo, prodotta in fornaci la cui primaria produzione è di laterizi. Materiale a pasta porosa di colore fra bianco e avorio che rimane tale anche dopo la prima cottura: è costituito da un impasto più puro di argille ricche di caolino. Il biscotto può essere ricoperto da una cristallina trasparente per avere un prodotto finito impermeabile. La decorazione avviene con la tecnica a gran fuoco, con colori sottovernice direttamente sul biscotto, poi coperti da vernice trasparente (vetrina) e passato a seconda cottura. In base alla composizione e alla cottura di distingue fra terraglia forte (feldspatica) e tenera (calcarea). Formatura, essiccazione, prima cottura tra i 1000 e i 1280 ° (biscotto), rivestimento con vetrina, seconda cottura di 920-980° C oppure decorazione su biscotto, rivestimento con vetrina, seconda cottura Produzione di stoviglieria, vasellame, oggetti di arredo. Si afferma in Inghilterra nella sec. metà del XVIII sec. e si diffonde rapidamente per l’economicità di produzione. In terraglia è la produzione della ditta Galvani e di molte fabbriche di area veneta. Impasto non poroso e impermeabile di argille naturali autofondenti e quindi vetrificabili spontaneamente. Di vari colori fra il giallo, il bruno e il grigio; è un prodotto caratterizzato da alta resistenza Formatura, essiccazione, prima cottura (a 1200-1300° C), rivestimento con vetrine opache o trasparenti, seconda cottura, oppure decorazione dopo prima cottura, invetriatura e cottura Stoviglieria e vasellame. Terraglia Gres 5 Maiolica Porcellana La pasta porosa generalmente rossastra, ferruginosa e calcarea, selezionata e depurata, facilmente scalfibile, viene rivestita da smalto stannifero bianco opaco o trasparente. Le maioliche hanno forme spesse data la debole resistenza del biscotto. La decorazione è eseguita sopra lo smalto crudo con la tecnica del gran fuoco Formatura, essiccazione, prima cottura a 950° (biscotto) e rivestimento con smalto, essicazione, decorazione, seconda cottura. a temperatura più bassa L’arte della maiolica, ampiamente documentata in culture di diversi paesi, si diffonde in Italia dal XIII sec. in numerosi centri manifatturieri specializzatisi in particolari tradizioni decorative. Si producono vasellame da mensa pregiato, oggetti d’arredo e di pregio artistico. Pasta compatta ottenuta dalla mescolanza di caolino, quarzo e feldspato. La foggiatura è un’operazione molto delicata. La decorazione avviene di solito con la tecnica del piccolo fuoco. A seconda dei componenti e della cottura è dura o tenera; bianca e transulucida se di spessore inferiore ai 2 mm. Formatura, essiccazione, prima cottura fra i 1200 e i 1400 ° C., rivestimento, essiccazione, decorazione, seconda cottura. Talvolta si procede a terza cottura (a piccolo fuoco) dopo la decorazione “sopra vetrina” per i colori che non sopportano le alte temperature della seconda cottura. È il materiale ceramico più pregiato, per materia e raffinatezza di forme e decorazione; trae origine dalla Cina e approda in occidente tramite Bisanzio e Venezia. Nel XVI alla corte medicea si lavora p. tenera, così in Francia e Inghilterra (XVIII sec.); dalla Sassonia (Meissen) si sviluppa la lavorazione della p. dura simile alla cinese per trasparenza e lucentezza. Seguirono, in Italia, Venezia, Doccia e Capodimonte. Le tecniche di decorazione La pittura a pennello Questa tecnica, prerogativa di manodopera femminile, utilizza colori preparati in fabbrica, composti da ossidi minerali o metallici polverizzati e corretti in sostanze fondenti come i silicati e gli alluminati. I pigmenti derivavano dall'impiego dei vari: dagli ossidi di ferro si ottenevano tonalità differenti di rosso e di bruno dagli ossidi di rame prevalentemente verde - turchesi dagli ossidi di cobalto il blu intenso dagli ossidi di manganese i bruni, violetti, il nero dagli ossidi di antimonio i gialli. Ogni fabbrica conservava le ricette di composizione dei colori, frutto di ripetute esercitazioni. Le mani delle decoratrici eseguivano a pennello soggetti di naturalezza espressiva completando con la filettatura, che consisteva nel tracciare fili o fasce – filetti – sul corpo del manufatto; l'esecuzione avveniva con l'ausilio del tornio o, per le forme più articolate, a mano libera. 6 La tamponatura "a velo" o a "merletto" Nel corso del XIX secolo si diffonde una piacevole forma seriale di decoro che consiste nel timbrare la suppellettile con un tampone, realizzato in diverse misure con pezzi di stoffa ripiegati. Il tampone veniva imbevuto nel colore e rivestito con merletto, pizzo ricamato o tulle, imprimendo così sul manufatto ceramico una trama decorativa o una delicata campitura a velo. Sebbene semplice, la tecnica richiede sicurezza per risultati nitidi nitidi.. Tra i colori più usati varianti di blu, o marrone. Il transfer print Il procedimento consiste nell'inchiostrare con un colore blu o nero, una lastra di rame precedentemente incisa; il disegno viene trasferito su una carta particolare che, applicata con pressione sulla superficie dell'oggetto da decorare, ne riporta il motivo.Questa tecnica, introdotta alla metà del Settecento in Inghilterra, è attribuita all'irlandese John Brooks o a John Sadler di Liverpool e incontra successo diffondendosi nel corso dell'Ottocento in Europa, consentendo di produrre in serie interi servizi a costi contenuti Il willow pattern A partire dagli anni '80 del Settecento lo Staffordshire comincia a produrre molti servizi in terraglia stampati in blu, a quell'epoca l'unico colore, capace di rimanere stabile alle alte temperatura del forno. Una delle principali fonti di ispirazione era rappresentata dalle ceramiche cinesi, largamente importate in Gran Bretagna e molto di moda. Immensa popolarità conobbe il willow pattern (motivo del salice), prodotto per lungo tempo dalle manifatture inglesi e, in seguito, anche nel continente e in America. Il Ferrara Castle Il motivo decorativo Ferrara Castle (castello di Ferrara), tratto da una stampa incisa da William Brookers, fu molto utilizzato dalla manifattura Wedgwood a partire dal 1832 e ancora nel XX secolo, soprattutto per i servizi da tè e applicato anche dalla Galvani Il disegno rappresenta un porto italiano con il castello dei duchi d'Este sulla sinistra; un canale collega il porto con il fiume Po, solcato da un gruppo di navi estrapolate da una serie di incisioni disegnate da Samuel Austin e pubblicate nel 1832 sul “Lancashire Illustred”. Colandine Il decoro denominato "Colandine" dal nome della manifattura inglese nel Galles che lo diffuse a metà ottocento è caratterizzato da un giardino favoloso di gusto orientale con pagode, fiori e onde spumose di un corso d'acqua in primo piano e fu molto copiato da manifatture italiane ed europee. Era realizzato a decalcomania e con colori monocromatici, perlopiù marrone. 7 Decorazioni a stampino, mascherina Intorno alla metà del XIX secolo nelle manifatture viene avviata una semplificazione dei moti decorativi grazie all’impiego di tecniche seriali a scapito dell’uso del pennello. I temi tradizionali continuarono ad essere rappresentati, insieme con disegni geometri, mediante spugne, mascherine e timbri in gomma. Per la mascherina sono utilizzati lamine di rame o cartoni traforati appoggiati sull’oggetto per trasferire il disegno e ripassando poi a pennello o tamponando con la spugna. Nella decorazione a spugna si utilizza una spugna ritagliata nella forma desiderata, imbibita di colore e premuta come un timbro sul manufatto: è una tecnica semplice che contribuisce alla serializzazione dei prodotti.. La decorazione con stampo di gomma serve ad es. per l’apposizione del marchio di fabbrica o per particolari texture Marmorizzatura E’ una lavorazione, effettuata con tecniche leggermente diverse, che decora il manufatto con caratteristiche venature e sfumature. Pigmenti colorati vengono applicati sul biscotto, oppure il pezzo crudo. Si procedeva quindi come di consueto. Aerografia Questa tecnica utilizza una pistola ad aria compressa per spruzzare i colori polverizzati sul biscotto, creando superfici colorate in modo uniforme o sfumate. Conosciutà già nell’800 entra in uso soprattutto nel ‘900 con l’applicazione a livello industriale. La tecnica consente di ottenere effetti sfumati. Il massimo utilizzo è nel corso degli anni Trenta anche nella ditta Galvani. La foggiatura a rilievo La tecnica di modellazione di oggetti con parti rilevate si praticava sia ando un pane di argilla pastosa all’interno di due forme a stampo con i rilievi in negativo. Significative sono le serie in monocromia verde con grandi foglie in rilievo alla green glaze di Wedgwood, decorate con la tecnica degli émaux ombrants. Il procedimento tecnico consisteva nel modellare a rilievo sul corpo ceramico il motivo decorativo, rivestendolo poi di una vernice colorata monocroma: nelle parti cave in cui si concentrava, la vernice assumeva tonalità più scure, creando un’efficace illusione ottica con effetti di “ombreggiamento”. 8 La ciotola. Fortuna di una suppellettile da mensa Ciotole o scodelle, catini o terrine sono recipienti di forma aperta ad uso prevalentemente alimentare - di misura variabile, troncoconici o emisferici - che fin dai tempi antichi con continuità hanno costituito una suppellettile semplice e onnipresente sulle mense e nelle pratiche quotidiane. Da sempre, poi, accanto a una produzione più semplice o grezza, destinata all’uso comune, è stato fabbricato un genere più fine, sia nella stessa ceramica, sia con l’introduzione progressiva dell’uso di metalli nobili. Dal punto di vista lessicale non esiste una definizione precisa; possiamo dire che il catino ha il fondo piatto, mentre scodelle e terrine hanno piede a disco, più o meno rialzato. Tuttavia vi sono altri nomi con cui in passato si sono nominati questi contenitori: conca, bacino, alzata, coppa... Come hanno dimostrato tanti ritrovamenti, forme e misure si differenziano nel profilo del cavetto, con calotta più o meno arrotondata o svasata, dalle pareti di diversa dimensione e nell’orlo (o labbro), che può essere diritto o diversamente conformato: rovesciato, estroflesso, sporgente, a leggera tesa, verticale. In genere c’è uno stretto rapporto fra forma e funzione dell’oggetto; la foggia cambia a seconda dell’utilizzo specifico (per esempio contenere solidi o liquidi, se per il consumo del pasto o recipiente da dispensa) ma anche per tradizione manifatturiera. Fino al Rinascimento l’uso di scodelle da tavola è comunque limitato. Piatti e ciotole di legno costituiscono l’arredamento delle mense povere; le classi medie hanno ciotole di peltro e di stagno, le cui sagome vengono poi imitate dai maiolicari quattrocenteschi italiani; le classi privilegiate vantano anche stoviglie lussuose - argenterie e vasi d’oro - esposte sulle credenze. p.9 In alto: Tacuinum Sanitatis, La preparazione della ricotta (Casanatense, 4182); Miniatura da libro di cucina medievale; Pietro da Rimini, Ultima Cena, sec. XIV, Pomposa, Abbazia; Giotto, Esaù respinto da Isacco, sec. XIII, Assisi, Basilica superiore. p.10 Ciclo dei mesi: settembre, sec. XV, Magredis di Povoletto, chiesa di S. Pietro 9 In ogni caso la flessibilità d’uso ha favorito la lunga durata di questa suppellettile. Infatti la forma e il materiale ceramico si sono prestati a contenere, conservare, consumare, lavorare e mettere in mostra ingredienti e cibi crudi o cotti, solidi e liquidi. Nell’uso tradizionale, il legno, la latta e l’alluminio hanno avuto un impiego modesto: più durevoli soprattutto gli ultimi, su tante mense scolastiche o da ricreatorio, non rivestono il fascino dell’argilla modellata dalle mani del vasaio. L’iconografia illustra il versatile utilizzo di queste ceramiche nel tempo, nelle culture e nelle diverse occasioni o pratiche di lavoro. Troviamo ciotole nelle fasi di lavorazione del latte, nella miscelazione delle erbe da parte degli speziali, per assaggiare la spillatura dalla botte o per bere usualmente il vino, per raccogliere il sangue durante la macellazione del maiale, ma anche per dare da mangiare a un malato e se ne serve il chirurgo durante la pratica dei salassi. Nelle raffigurazioni di antichi libri di cucina viene illustrato l’ampio impiego in modelli svariati. Ricordiamo infine che nella cucina tradizionale una ciotola è sempre a portata di mano sul focolare, o in un cestello dell’alare, per avere il sale a portata di mano e per mescolare gli odori. Ricettari invitano a servirsi di una “scodeleta” per cucinare a bagnomaria pietanze delicate. La scodella costituisce l’unità di misura per il pasto di una singola persona, secondo l’evoluzione dei consumi alimentari: la zuppa, i legumi, minestra e minestrone, polenta e latte, brodo e vino, l’orzo, il caffelatte. Il modello è solitamente semplice, da trattenere fra le due mani con pollice e indice a serrare l’orlo dal quale si sorseggia direttamente o servendosi di un cucchiaio; ma nella più recente forma di “tazza”, - bassa, rotonda, a bocca più larga del fondo - è munita di uno o due manici e in questo caso serve per bere a piccoli sorsi il brodo. E’ questo il modello ricorrente negli eleganti servizi da mensa. Riguardo alle forme ampie e capaci, grandi catini e terrine figurano al centro di tavole comuni e i singoli commensali vi attingono a turno in una ritualità di gesti e ruoli, come raffigurano le scene dell’Ultima Cena o di sontuosi banchetti. Qui sono utilizzati anche come unico grande contenitore collettivo per mettere in vista pesci, crostacei - di largo consumo nel Medioevo - e poi selvaggina, composizioni di frutta e ortaggi. Analogamente, nella cultura tradizionale, la memoria va anche all’ora del pasto serale nella casa contadina, quando la famiglia era seduta a tavola secondo una gerarchia di ruoli. Nelle terrine si portavano in tavola le patate, il radicchio, la polenta condita, le minestre caratteristiche; la donna prendeva la porzione da dare a ciascuno poi consumata nella scodella individuale (la sope, il ‘zuf, minestre di pane) o i commensali - dopo l ’anziano di casa prendevano a turno la loro parte. In ambito locale fino al XV secolo scodelle e bacini sono in terracotta ingobbiata, graffita e decorata con motivi geometrici, vegetali e figurativi zoomorfi (animali veri o fantastici) o antropomorfi (piccoli volti), presumibilmente utili a sottolineare una proprietà individuale e una collocazione d’uso, laica o conventuale. In quest’ultimo caso il cavetto riporta segni religiosi, il monogramma bernardiniano (I:H:S.), la croce del Golgota, il simbolo francescano. 10 Nei secoli successivi la lavorazione della ceramica è ricordata sporadicamente, anche se l’attività di ceramisti è attestata. Mancano rinomate e grandi manifatture - forte è infatti la presenza delle fabbriche venete - ma per uso ordinario nelle fornaci presenti sul territorio si continuano a produrre stoviglie. Fino allo scorcio del ‘900 in Carnia sono diffuse piccole botteghe che affiancano alla produzione di laterizi vasellame comune, fra cui la scodella, la ciotola, il catino e la terrina scudiele, ràine, plàdine, terine, cjadin). Fra le più conosciute ci sono la fornace di Cella in Val Degano e quella di Cercivento nella Val But. Catini e terrine, di misure variabili (fino ai 50 cm di diametro, ma generalmente intorno ai 30), anno alte forme aperte in genere troncoconiche, dalle pareti spesse, con piede. Si tratta di mezzemaioliche con decorazione realizzata sotto vetrina nella parte interna, mentre quella esterna è grezza o con residui di colatura. Nell’allestimento espositivo sono esposte diverse varianti. La tipica modellatura profonda e svasata si presta per pietanze da condimento e per servire in tavola gli agnolotti carnici, le minestre di fagioli oltre ad altri piatti. Le ceramiche - prive di marchio - sono ornate perlopiù lungo il bordo del cavetto, o sul fondo, in verde e giallo-bruno, colori realizzati in loco da scarti ferrosi. Ricorrono semplici segni astratti ottenuti dalla colatura di pigmenti prima della cottura, lineari elementi a tralci di volute e petali anche graffiti, motivi geometrici o festoni con foglie e fiori. Il recipiente era dono di nozze e in questo caso riportava una scritta commemorativa, un motto o figurette. Altre forme sono costituite dai catini con l’interno interamente smaltato di verde o con effetto di Annibale Carracci, Il mangiatore di fagioli, 1583, Roma, Galleria Colonna Georges La Tour, Contadini mangiano ceci da una scodella, 1620, Berlino, Gemäldegalerie; Diego Velàzquez, Il pranzo, 1617, Pietroburgo, Hermitage;Pietro Longhi, Negli orti dell’estuario, 1759 ca, Venezia Cà Rezzonico 11 In alto: momenti conviviali di vita contadina. A sinistra un uomo mangia nella pladine; in refettorio ognuno ha la sua scodella, unica stoviglia; Il consumo del pasto nella casa contadina: commensali attingono dalla terrina di terraglia e mangiano nella scotella; A sinistra: In una foto di Paul Scheuermeier: l’ambulante conciabrocche; sotto: il mercato dei creps a Udine in via Zanon. 12 In una stampa remondiniana. L’uomo seduto a tavola mangia dalla ciotola, ma una ciotola analoga serve ser avere a portata di mano le monete G.M. Mitelli, Venditore di stoviglie di coccio Roma 1660 Sotto: Esempi di pubblicità: l’uso multiforme di ciotole e terrine in cucina e per il consumo del pasto marezzatura o recipienti a tesa ampia e aperta e decori floreali policromi. Le più rustiche fra queste suppellettili servivano anche per rigovernare le stoviglie nell’acquaio o per lavare le verdure. Gli ambulanti comperavano i manufatti e poi giravano di paese in paese esponendo le stoviglie in bella vista su ampi teli nelle piazze. Chi acquistava i creps ne aveva cura e provvedeva anche a far riparare all’ambulante (cjalzumìt) i manufatti rotti. Il “conciabrocche” utilizzava di un trapano rudimentale a corda che serviva a praticare ai due lati della rottura dei forellini attraverso i quali veniva fatto passare del filo metallico. Nel trapano la punta di ferro inserita in un disco di legno che funge da volano gira grazie allo svolgimento e riavvolgimento della corda, fissata all’estremità della traversa. Chiuso poi l’utilizzo primario, la scodella in coccio serve ad altri scopi che la cura domestica suggerisce (proteggere ad esempio i salumi da roditori indesiderati!) o viene data ai bambini per dare da mangiare agli animali o serve ad avere gli spiccioli a portata di mano. Nella vita contadina, infine, la scodella di minestra concessa al povero – viandante o vicino – era la misura della solidale carità. L’ottocento vede affermarsi la terraglia in Veneto, come in tutti i centri di produzione regionali, complice l’abbondanza di terre adatte: Simile al creamware di Wedgwood, è un una produzione 13 gradevole, dura ma leggera, color bianco crema, di bella forma e durevole, di costo contenuto e accessibile a una vasta clientela; incontra quindi incontra ampio favore e si diffonde nelle case anche di ceto modesto. Le fabbriche, di diverso livello artistico, si diffondono un po’ ovunque. Fra i primi centri italiani a produrre terraglia è Trieste che si ispira a manifatture inglesi: Pietro Lorenzi e Santini Sinibaldi producono ceramiche dalla linea sobria ed elegante che non hanno nulla da invidiare alle coeve produzioni inglesi allora molto ricercate. Il tipo di produzione progressivamente diventa seriale a colaggio e stampaggio secondo una gamma decorativa di piacevole effetto. Il bianco della terraglia fa risaltare forme semplici e decori innovativi concessi da nuove tecniche e da una più ampia scelta di colori e di lavorazioni . Il design della ditta Galvani nel XX secolo fa della scodella un prodotto di gusto con disegni essenziali, piacevole cromìe ricorrendo alla tecnica dell’aerografo. La fabbrica di Giuseppe Galvani di Terraglie Majoliche e Terre ordinarie nasce a Pordenone nel 1811 e si sviluppa in pochi anni, impegnando lavoranti e incrementando i pezzi lavorati, smerciati in Friuli presso classi popolari che non avevano la possibilità di acquistare suppellettili più costose provenienti dalle rinomate botteghe venete. Successo e crescita è opera di Andrea Galvani che nel 1836 assumendo la fabbrica, agevolato anche da un divieto del Regno Lombardo-Veneto di importazione di terraglia estera, adotta tecniche di produzione innovative, migliorando la qualità, il decoro e adottando un marchio, prima con l’ancora e quindi con il galletto. La continuità imprenditoriale è esercitata da nuove generazioni che adottano l’ornato con procedimento di trasferimento a stampa (transfer printing) e decorazione a riporto bene accette sul mercato estero. Il nuovo secolo e anche la ripresa posbellica vedono progressivamente piani di adeguamento tecnico dell’azienda, con maggiore offerta a un mercato allargato - europeo e oltreoceano con produzione differenziata – ma anche una progressiva qualificazione stilistica grazie all’impiego di disegnatori e collaboratori esterni e con la partecipazione a fiere e manifestazioni nazionali. Alla produzione con decoro di taglio tradizionale rivolta a un mercato consolidato si affiancano proposte innovative secondo il gusto del design italiano. Il direttore artistico Angelo Simonetto a partire dagli anni Venti propone nuove scelte formali e di gusto modernista, applicando anche la decorazione ad aerografo con mascherina: il catalogo della “Galvani” è in grado di proporre una vastissima gamma di modelli per una clientela diversificata. Oggi il settore ceramico ha subito trasformazioni, ma la scodella è ancora reinterpretata nell’artigianato attuale. Felice Casorati, L’attesa, Torino; Un disegno di Simonetto per la ditta Galvani: le belle ciotole, forggiate a colaggio e dal tipico corpo semiglobulare sono dipinte all’aerografo con decorazione a “bande e strisce” verticali in varianti di diversi colori sfumati. 14 Ceramisti di via Grazzano e dintorni tra XVI e XVIII secolo. La tradizione delle botteghe La vocazione artigianale della città di Udine, soprattutto nell'ambito delle manifatture ceramiche, è ben attestata sia dalla documentazione d'archivio, che dai rinvenimenti archeologici che negli ultimi vent'anni hanno contribuito a delineare un'articolata mappa delle fornaci locali di epoca bassomedievale e rinascimentale. Particolarmente vivace sotto il profilo della produzione era proprio la zona che gravitava su via Grazzano, dove gli scavi hanno individuato la presenza di due impianti produttivi che si sono avvicendati nella produzione di stoviglie da tavola dal Cinquecento fino alla fine del XVIIII secolo. Era il 1991 quando, al civico 31 di via Brenari, durante la ristrutturazione di un fabbricato pertinente ad un cortile interno (proprietà Savoia-Giacomelli, confinante con lo stesso Palazzo Giacomelli sede del Museo Etnografico), emersero i resti di una fornace di età rinascimentale attiva tra gli inizi e la metà del XVI secolo. La scoperta, inattesa per la notevole quantità di materiale rinvenuto e per l’eccezionalità rappresentata dalla presenza stessa dell’impianto di cottura, permise di recuperare una grande quantità di frammenti ceramici pertinenti Ritratto femminile su un piatto soprattutto alla produzione graffita, anche se non rinvenuto in via Brenari; Pisanello, mancano esemplari in ceramica ingobbiata e invetriata, ritratto di Margherita Gonzaga, sia monocroma che dipinta. Si tratta di prodotti finiti e di 1440 ca.. Parigi, Louvre. scarti di lavorazione che, assieme ai numerosi treppiedi Ritratto virile su un piatto della in terracotta funzionali all’impilamento, offrono una bottega di via Brenari; suggestiva immagine di quello che dovevano contenere le botteghe dei ceramisti, ingombre di prodotti semilavorati in attesa di finitura e di prodotti scartati in procinto di smaltimento. In generale netta predominanza hanno le forme aperte, rappresentate da ciotole, piattelli, piatti e bacini, mentre tra le forme chiuse sono attestati solo boccali, olpi e alcuni vasetti cilindrici usati per contenere spezie, medicinali, salse o unguenti. Il campione restituito dagli scavi è relativo ad una produzione specializzata negli apparati da mensa, che offriva stoviglie legate ad un uso quotidiano più corrente, senza rinunciare a qualche esemplare di maggior pregio estetico che costituiva il dono per occasioni speciali, per esempio fidanzamenti e matrimoni o per l’arrivo di un figlio. Il repertorio decorativo di questa produzione graffita riflette ancora un gusto pienamente rinascimentale che trova corrispondenza con le raffigurazioni dei coevi dipinti murali e delle tavolette lignee da soffitto. Vi compaiono elementi vegetali (palmette, fiori, mele, foglie), ornati geometrici, motivi religiosi (in genere croci e monogrammi), soggetti zoomorfi dal significato allegorico (conigli, quadrupedi, leoni); non mancano i “ritratti” resi di profilo o a tre quarti (in realtà legati all'idealizzazione delle virtù muliebri e virili), spesso realizzati mediante l’uso di cartoni, oltre a elementi araldici e rappresentazioni allegoriche dell'amore. I motivi sono resi mediante la consueta 15 bicromia verde-giallo (ottenuti rispettivamente dall’ossido di rame e di ferro) delle produzioni graffite, talora associata al blu cobalto. Nel 1997, all’interno di un cortile del civico 60/5 di via Grazzano, uno scavo per la posa della rete di infrastrutture a banda larga porta alla luce un’ingente quantità di ceramica sminuzzata e compattata. Un vero e proprio scarico di materiale, con ogni probabilità proveniente da una bottega limitrofa, utilizzato per innalzare e livellare il piano di calpestio del cortile. Questo riempimento era costituito da frammenti di vasellame (relativi alla produzione ingobbiata e dipinta e a quella graffita), nonché da laterizi e da resti di combustione pertinenti all’impianto di cottura smantellato. Numerosi gli elementi distanziatori, adeguati per dimensioni e tipologia al vasellame che dovevano supportare in fase di cottura: i treppiedi, detti anche “zampe di gallo” generalmente usati per le forme aperte, e i dischi realizzati al tornio con bordi sagomati e un foro centrale utilizzati per forme di difficile impilamento, per esempio i boccali. I reperti ceramici di via Grazzano, legati alla produzione di un'officina specializzata soprattutto in piatti e boccali, mostrano una casistica diversificata di scarti relativi alle varie fasi di lavorazione (tornitura, colorazione, cottura). Il rinvenimento, inoltre, attesta la persistenza di manifatture di antica tradizione, per esempio la graffita, una tipologia particolarmente amata e ricorrente nei corredi da tavola friulani. Questo contesto sottolinea infatti come il vasellame decorato “a sgraffio”, ancora memore dei decori rinascimentali pur molto semplificati e talora ridotti solo a brevi citazioni ornamentali, era ancora prodotto nel corso del Seicento e continuò ad essere realizzato per tutto il Settecento, fino ad essere progressivamente soppiantato dalla produzione dipinta che caratterizza la ceramica sette-ottocentesca cosiddetta “popolare”, tipica del grande mercato teso a soddisfare il fabbisogno quotidiano. da C. Piccolpasso Durantino, Li tre libri dell’arte del vasaio, 1550 ca: punteruoli per lo sgraffio, caselle e treppiedi distanziatori per separare gli oggetti in fase di cottura. Due ciotole graffite provenienti dagli scavi di via Brenari 16 17