Fondazione
Il Vittoriale degli Italiani
Gardone Riviera
Musei Civici
d’Arte Storia e Scienze
di Brescia
Fondazione
Ugo Da Como
Lonato
Le vie dell’arte
Percorsi didattici
Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Fondazione
Il Vittoriale degli Italiani
Gardone Riviera
Musei Civici
d’Arte Storia e Scienze
di Brescia
Fondazione
Ugo Da Como
Lonato
Le vie dell’arte
Percorsi didattici
Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Con il contributo di
Rappresentanti Istituzioni museali
Giordano Bruno Guerri – Presidente Fondazione Il Vittoriale degli Italiani
Elena Lucchesi Ragni – Dirigente Musei Civici di Arte e Storia di Brescia
Antonio Benedetto Spada – Direttore Generale Fondazione Ugo Da Como
Sommario
Progetti didattici
Scuole primarie
18 progetto 2 La storia di questi luoghi
Scuola primaria Statale T. Olivelli – Salò
Coordinatore del progetto “Le vie dell’arte”
Giovanna Ciccarelli – Comitato Scientifico Il Vittoriale degli Italiani
21 progetto 3 I vasi da farmacia
Dal Museo Santa Giulia al Vittoriale passando per Lonato
Scuola primaria Statale T. Olivelli – Salò
Responsabili scientifici del progetto
Stefano Lusardi e Roberta Valbusa – Fondazione Ugo Da Como
25 progetto 4 Sacro e profano
Ovvero San Girolamo (Gerolamo) nelle collezioni bresciane
Scuola primaria Statale T. Olivelli – Salò
Coordinatore tecnico
Franca Peluchetti – Didattica museale Il Vittoriale degli Italiani
31 progetto 5 Ora museo! Ma prima …?!
Scuola Primaria A.Lozzia – Gardone Riviera
Coordinatore amministrativo
Mirella De Santi
Referenti del progetto per i singoli musei
Franca Peluchetti – Il Vittoriale degli Italiani
Angela Bersotti – Musei Civici di Arte e Storia di Brescia
Stefano Lusardi e Roberta Valbusa – Fondazione Ugo Da Como
Scuole secondarie
46 progetto 6 Come le tre dimore divennero museo
Scuola secondaria di primo grado Lana Fermi – Brescia
70 progetto 7 I luoghi ci parlano
Istituto Paritario Paola Di Rosa – Lonato
80 progetto 8 La fiamma è bella
Luce, fuoco e calore nelle case-museo di Gabriele d’Annunzio, Ugo Da Como
e nel museo di Santa Giulia
Istituto Comprensivo T. Olivelli - Scuola Secondaria Papa Giovanni Xxiii – Gardone Riviera
Scuole superiori
90 progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
Presenze femminili reali e immaginarie al Vittoriale e nella Casa del Podestà
Liceo Scientifico N. Copernico – Brescia
126 progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte
Liceo Paritario Paola Di Rosa – Lonato
147 progetto 11 La “Storia all’aperto”
Stemmi, frammenti e terrecotte tra i giardini, i chiostri e il lapidarium
I.I.S.S. Cesare Battisti – Salò
173 progetto 12 L’arte come affermazione di sé
Liceo Scientifico Enrico Fermi – Salò
Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Giunge a conclusione il progetto biennale : Luoghi di vita e d’arte:ricostruire la storia.
Durante l’a.s. 2012/2013 si sono realizzate, come da programma,la seconda e la terza fase del progetto
iniziato lo scorso anno scolastico con il percorso formativo rivolto agli insegnanti.
Tutti i docenti partecipanti con i loro studenti hanno potuto accedere, con relativa visita guidata, ai tre
musei, Vittoriale, Santa Giulia, Ugo Da Como, percorrere cioè le “Vie dell’ Arte”.
Hanno fruito, in tale occasione,di trasporto e ingresso gratuito alle tre realtà museali.
In collaborazione quindi con referenti dei singoli musei, ogni classe ha elaborato un proprio percorso
tematico, secondo scelte didattiche autonome dei vari docenti, precorso che comunque ha visto, come
da programma, varie verifiche intermedie ed una conclusiva di coordinamento generale.
È stato pertanto raggiunto l’obiettivo prioritario di stabilire un rapporto di comunicazione e di
integrazione tra il mondo della scuola e significativi beni culturali del territorio, facendo vivere ai
giovani i musei come luogo di studio attivo e produttivo.
Ora, per ottimizzare l’esperienza vissuta e poterla comunicare, si è giunti all’ultima fase: l’inserimento di
tutti i lavori realizzati sul sito delle “Vie dell’Arte”, perché costituiscano un moderno ed attuale e-book.
L’obiettivo didattico prossimo futuro sarà quello di proporre ad altre scuole, ad altri docenti il percorso
delle “Vie dell’Arte”, attraverso la diffusione all’interno degli istituti scolastici dell’esperienza fin qui
realizzata.
Hanno partecipato a questo progetto n. 10 scuole, 19 classi, tra primarie, secondarie di primo e
secondo grado.
Si ringrazia vivamente per il contributo la Regione Lombardia, la Fondazione Cab, Brescia Musei.
Giovanna Ciccarelli
Coordinatrice del progetto
Comitato scientifico del Vittoriale
4 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Percorsi didattici
Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Scuole primarie
progetto 1 Chi darà il bacio al rospo?
progetto 1 Chi darà il bacio al rospo?
Chi e dove Classi coinvolte Docenti referenti Wunderkammer, cioè le camere delle meraviglie, luoghi dove si poteva stupire
con stranezze della natura, come esseri a due teste, animali orrendi e spaventosi
o vegetali assai strani.
Ne abbiamo visto un esempio nelle raffigurazioni su un antico libro di Ugo Da
Como: draghi marini giganteschi, mostri acquatici, serpenti impressionanti con
coda spinosa…
Scuola primaria Statale G. Mameli – Brescia
Quinta …
Giancarla Laffranchi e Franca Ferremi
progetto 1
Chi darà il bacio al rospo?
Introduzione
La nostra scuola si trova alla periferia di Brescia, una città con molti problemi,
ma anche con moltissime risorse: abbiamo le montagne alle spalle, siamo
circondati da colline e laghi stupendi e la pianura ci offre i suoi vantaggi. Chi
ama le cose belle come noi, non ha che da girare un po’ e godersi la natura o
vedere cosa ha realizzato l’uomo tra questi splendidi paesaggi.
In quest’ottica la nostra classe ha aderito con entusiasmo alle iniziative
proposte dal progetto “Le vie dell’arte”, proprio come se volesse percorrerle
tutte quelle vie di bellezza, consapevoli di apprezzarle sempre più, man mano
che le scopriamo.
Quest’anno il Museo Santa Giulia di Brescia, la Fondazione Ugo Da Como
di Lonato e il Vittoriale degli italiani di Gardone Riviera ci hanno dato la
possibilità di conoscere i nostri “Luoghi di vita e d’arte” da vicino, lasciandoci
entrare in musei importanti, con raccolte preziosissime e permettendoci
di curiosare, fare domande, ricercare… e un po’ anche giocare. Sì, perché
ubriacati da tanta bellezza e cultura, nei luoghi che raccontano la storia
dell’uomo nel suo ambiente e mostrano l’arte che ha saputo creare, noi siamo
andati a caccia degli intrusi, cioè di quegli oggetti che ci lasciavano a bocca
aperta, più stupiti che ammirati, come se ognuno fosse una specie di brutto
rospo nel regno delle principesse.
Ma andiamo con ordine: per prima cosa ci siamo chiesti: che cosa sono
esattamente i musei e, in particolare, le case-museo?
Ci siamo fatti un’idea a riguardo: sono luoghi dove personaggi importanti e
famosi hanno vissuto e collezionato tanti oggetti belli o stravaganti, preziosi o
comunque rari e interessanti. Questi personaggi hanno lasciato alle generazioni
future le loro raccolte e la casa che avevano arredato e creato.
L’idea del museo viene dalla Germania, dove i collezionisti allestivano le
6 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
D’Annunzio aveva sicuramente conservato lo stesso desiderio di stupire i
visitatori, perché in ogni stanza della sua casa ci sono rarità tali da lasciare a
bocca aperta, degne di un’antica camera delle meraviglie.
Quando le insegnanti, tra una visita e l’altra, ci hanno domandato se è utile
entrare nei musei, non abbiamo avuto dubbi: venti risposte entusiaste, con
motivazioni varie, ma tutte concordi. Sì, si deve, per crescere, conoscere e
imparare, per incontrare il passato e conoscere se stessi, per dissetare la nostra
ricerca di bellezza.
Ecco il nostro viaggio nei luoghi di vita ed arte della provincia di Brescia.
Prima tappa: la Fondazione Ugo Da Como di Lonato
Fantastica! Una grande casa antica molto elegante ai piedi di un castello, su una
dolce collina che domina il paese di Lonato.
Il padrone di casa, Ugo Da Como, era stato un personaggio importante
all’inizio del 1900: un colto politico con nobili principi, che amava l’ospitalità
e, soprattutto, i libri. Infatti si era circondato di mobili raffinati (l’avo di una
nostra compagna è stato un suo falegname!), dipinti, oggetti d’arte e tanti, tanti
libri. Solo tra le loro pagine trovava veri e fedeli compagni.
Dopo averne collezionati più di trentacinquemila, prima della sua morte,
espresse il desiderio di destinare la sua casa e i suoi libri alla cultura dei giovani
7 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Pagine di un libro di Ugo
Da Como con mostri
marini.
progetto 1 Chi darà il bacio al rospo?
progetto 1 Chi darà il bacio al rospo?
e così anche noi abbiamo potuto visitare
le sue stanze eleganti, quella rossa, quella
azzurra… e la sua incredibile biblioteca
con libri antichissimi, enormi o minuscoli,
illustrati e rilegati.
Luogo ideale per la nostra caccia al mostro,
a qualcosa di buffo o grottesco, o per lo
meno curioso: cosa poteva nascondere il
gusto raffinato del senatore Ugo Da Como
? Ecco che uno degli esploratori inviati in
avanscoperta ci segnala un indizio: un bel
vasetto solo, sopra un mobile imponente, in
cui campeggia la scritta “Sangue di drago”!
Che sarà mai? Che ci fosse dentro davvero
sangue di drago, magari del terribile mostro
di Comodo? Abbiamo tirato un sospiro
di sollievo quando abbiamo saputo che
conteneva la foglia di una pianta rossa
capace di cicatrizzare le ferite.
Oggetto misterioso nella
casa di Ugo Da Como
La nostra fidata guida ci ha mostrato anche un altro oggetto: una scatola di
legno con un pesante coperchio da chiudere con una leva che nessuno sa come
utilizzare. Noi abbiamo ipotizzato che servisse a spremere qualche frutto, magari
gli agrumi o le melagrane. Oppure era un’antica stampante. Ma abbiamo anche
pensato che potesse servire come strumento di tortura per schiacciare lingue o
cervelli o per storpiare le dita ai ladri (così imparano)!
Facendo attenzione abbiamo scoperto che in una sala della Fondazione,
sopra ad ogni porta, ci sono dei rosoni in ceramica. Uno è particolarmente
interessante: raffigura un serpente che si mangia la coda e rappresenta il ciclo
della vita che è inevitabile per tutti.
Accanto all’inquietante serpente, vola una piccola farfalla: essa rappresenta la
nostra anima che è sempre libera. Lei infatti sopravviverà grazie al suo volo
leggero al di sopra di ogni cosa; saprà sfuggire al tempo e alla morte.
L’anima secondo noi è ciò che proviamo, le nostre sensazioni e i nostri
sentimenti, ciò che siamo al di là del corpo.
Sempre grazie ai nostri esploratori, nella sala da pranzo, sopra a una lunga
tavola, abbiamo individuato uno strano lampadario a forma di serpente a due
teste, che fissa i due commensali a capotavola.
È fatto di bronzo con riflessi rame e verderame.
Forse i due serpenti rivolgevano il loro sguardo a Ugo Da Como e sua moglie
perché erano le sue prede preferite essendo i padroni di casa…
Il sangue di drago
Il lampadario
Il sangue di drago proviene infatti da alcune
piante tropicali.
La loro strana resina rossa come il sangue
era usata non solo per cicatrizzare, ma
anche per laccare il legno e come tinta per
capelli, anche se usata in piccole quantità
perchè costosissima.
Curiosamente si può mescolare all’alcool
ma non all’acqua.
I documenti più antichi rivelano che il primo
sangue di drago abbondantemente raccolto
e commerciato fu quello derivato dalla
Dracaena Cinnabari, una pianta dell’isola di
Socotra. L’isola di Socotra è una misteriosa
e lontana isola dell’Oceano Indiano.
Pochi viaggiatori vi sono approdati: parlano
di una terra ricca di magie e di stregoni,
capaci addirittura di rendere l’ isola
invisibile ai naviganti.
In effetti, per sei mesi l’anno le isole sono
pressoché irraggiungibili a causa delle
tempeste monsoniche, e la mancanza di
approdi riparati rende difficile lo sbarco.
Una delle piante più caratteristiche è la
Dracaena di Socotra, una incredibile pianta
dalla chioma a forma di ombrello rivoltato
da cui ancora oggi si estrae il sangue di
drago.
Il lampadario ligneo ci sembrava emanare un’oscura energia.
È di genere antico e, dopo qualche indagine, siamo giunti alla conclusione che servisse a sostenere due ceri
o candele.
È l’ipotesi più probabile!
Le nostre ricerche riconducono il serpente alla rinascita, alla rigenerazione, all’eliminazione dei mali fisici o al
potere e alla fertilità oscura della terra.
Il serpente è anche il simbolo della profezia: le pythie, erano le sacerdotesse pitonesse, che percepivano,
come i serpenti, la voce misteriosa e magica della terra madre .
Per la cultura ebraica e cristiana il serpente è simbolo del male che si oppone alla verità divina.
8 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
9 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Seconda tappa: il Vittoriale degli italiani a Gardone Riviera
Alla casa di D’Annunzio siamo rimasti a bocca aperta: la sua casa-museo era
sicuramente il luogo più stravagante che avessimo mai visto!
Ovunque c’erano oggetti curiosi, alcuni preziosissimi, altri da quattro soldi,
moltissimi esotici, come pelli di animali o statuette di elefanti e pappagalli.
D’Annunzio doveva aver viaggiato molto per trovare tutte quelle meraviglie e
doveva essere un vero originale: quello che noi chiamiamo un “bell’elemento”!
Vissuto all’inizio del ‘900, si ritirò nella sua casa con un panorama mozzafiato
sul lago di Garda, dopo aver vissuto incredibili avventure in guerra: era partito
come volontario e ne era tornato come “Orbo veggente”, così si era lui stesso
definito dopo aver perso un occhio per un incidente in volo. Fu un famosissimo
scrittore e poeta, un amante della vita, delle cose belle e, da quanto abbiamo
capito, anche delle donne… Un esuberante artista che dava valore agli oggetti
che per lui erano belli o significativi, indipendentemente dal loro prezzo. Fece
progetto 1 Chi darà il bacio al rospo?
progetto 1 Chi darà il bacio al rospo?
della sua casa la sede di una raccolta incredibile, quasi un ambiente soffocante!
Inoltre, poichè aveva problemi di vista, teneva le camere oscurate con pesanti
tendaggi e tutto sembrava ancor più misterioso e strano.
È stato davvero facile trovare le cose buffe che noi cercavamo! Anzi,
probabilmente D’Annunzio aveva la stessa nostra stessa voglia di giocare!
Aveva una stanza fatta apposta per gli ospiti non graditi, dove si faceva attendere
per ore. Messaggi poco rassicuranti, se non vere e proprie minacce, inquietavano
gli ospiti che li leggevano su porte e pareti.
Ma in realtà decise di lasciare a tutti gli italiani oltre a ciò che aveva scritto,
anche la sua casa museo, garantendosi i massimi onori per sempre. Anche noi lo
abbiamo ammirato.
Ha destato la nostra impressione un’enorme tartaruga che occupava il posto
d’onore a capotavola nella sala da pranzo per gli ospiti. Quello era il posto di
D’Annunzio, che non mangiava con gli amici perché era senza denti!
La tartaruga aveva il guscio vero e il corpo di bronzo.
Gabriele D’Annunzio
Era appartenuta a D’Annunzio e aveva più di cent’anni, poi era morta perché
aveva fatto indigestione di fiori! Proprio per questo era stata messa sul tavolo:
doveva avvertire gli ospiti di non abbuffarsi troppo, altrimenti avrebbero fatto la
sua stessa fine! Forse però D’Annunzio voleva solo risparmiare!
Infatti D’Annunzio era un bel furbetto: abbiamo scoperto che aveva fatto
mettere una mano insanguinata (!) sulla porta dello studio per dire agli
scocciatori che non poteva rispondere alle loro lettere, perché non aveva più la
mano. Ma noi sappiamo che non era vero! Sembrava la mano che tiene sulla
spalla il maggiordomo della famiglia Adams.
La tartaruga
Nella Sala della Cheli c’era una testuggine gigante
che stava al posto d’onore.
La tartaruga era sul tavolo della sala da pranzo
degli ospiti più importanti che D’Annunzio aveva,
stava proprio lì perché voleva dire agli ospiti di
non mangiare troppo, altrimenti avrebbero fatto la
sua stessa fine. D’Annunzio negli ultimi anni non
mangiava con gli ospiti, preferiva mangiare da
solo nella Zambracca. La tartaruga aveva il corpo
di bronzo e il guscio vero, il corpo fu realizzato da
Renato Brozzi.
10 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
11 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
La Sala della Cheli.
in basso, la tartaruga
sul tavolo da pranzo di
D’Annunzio.
progetto 1 Chi darà il bacio al rospo?
progetto 1 Chi darà il bacio al rospo?
La mano mozza
D’Annunzio non voleva rispondere alla grande quantità di lettere che riceveva ogni giorno.
Sulla porta d’ingresso dello studio, D’Annunzio aveva fatto scolpire una mano sinistra scorticata e ricoperta
di sangue. La mano era poggiata su un pezzo di legno in cui era scritto “Recisa quiescit” che significava
“mozzata riposa”. D’Annunzio voleva far intendere ai suoi ospiti che non poteva rispondere alle loro lettere,
anche se lui era destro. Questo ci fa capire che era molto furbo e anche un po’ asociale, cioè che non
voleva avere conoscenza con i suoi ammiratori.
Quella mano faceva davvero impressione perchè era appoggiata lì in bella vista: tutti la vedevano.
La mano mozza della famiglia Adams è disgustosa e impressionante come lo è quella di D’ Annunzio che
faceva gli scherzi ai turisti e perfino ai familiari.
Una mano particolare e spaventosa: chissà cosa ne avranno pensato i suoi parenti e amici!
Il bagno blu
Nella casa di D’Annunzio ci ha colpito molto il bagno, un luogo impraticabile
con novecento oggetti i cui i toni dominanti sono il verde e il blu.
A fianco della vasca da bagno c’è una stupenda collezione di piastrelle in
ceramica cui D’Annunzio teneva molto.
Ma la cosa che ci ha impressionato di più sono i mascheroni.
Essi avevano volti mostruosi e feroci, con nasoni pieni di brufoli, bocche
gigantesche da cui fuoriuscivano denti affilati come un coltello, occhi indiavolati
o spalancati, capelli e baffi arruffati con strambe pettinature, corna somiglianti a
quelle del diavolo.
Le maschere servivano a D’Annunzio per prendere l’ispirazione. Ma per cosa?
Bè, ve lo lasciamo immaginare… pensate solo che queste maschere venivano
chiamate… caccatoie!
I mascheroni del bagno blu
Le maschere venivano usate nell’antichità dai giapponesi per il teatro, ma non solo. Infatti venivano usate
anche per richiamare i morti sulla terra. L’attore ne incarnava lo spirito.
Nei drammi più antichi le maschere erano addirittura considerate delle divinità.
Gli Oni sono mascheroni mitologici del Giappone, simili ai demoni, raffigurati anche dai cartoni animati
giapponesi.
Sono creature giganti e mostruose, con artigli taglienti, con capelli selvaggi e due lunghe corna; la loro pelle
può essere di colori diversi ma quelli più comuni sono: rosso, blu, nero, rosa e verde.
Si diceva che gli stanieri e i barbari fossero Oni.
Erano considerati imbattibili, questo significa oni, e spesso accentuavano la loro ferocia con la pelle di tigre.
I racconti teatrali iniziarono a descriverli come brutti e stupidi e come dei sadici felici di distruggere.
In realtà era solo per renderli odiosi alla gente.
Un altro oggetto stravagante presente nella Prioria di D’Annunzio è di sicuro
l’aquila dagli occhi di diamante.
Dell’aquila però vi è soltanto il capo.
La testa d’aquila
L’aquila si trovava nell’anticamera, una stanza di servizio che precede il reparto notte della casa. D’annunzio
la usava come spogliatoio, studiolo, e a volte ci mangiava pasti veloci e solitari. Questa stanza si chiamava
Zambracca. Proprio lì D’Annunzio, seduto alla sua scrivania, accanto alla testa d’argento dell’aquila, morì,
colto da un’emorragia cerebrale.
La statua dell’aquila era stata realizzata da Renato Brozzi, che aveva già ornato, con altre sculture, la casa di
D’Annunzio; Brozzi era uno scultore, orafo e incisore italiano, mentre la doratura della statua venne invece
eseguita dallo stesso D’Annunzio. L’aquila era un simbolo di Fiume, che il poeta aveva occupato in guerra.
Secondo noi l’aquila è un simbolo di dominio.
12 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
13 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 1 Chi darà il bacio al rospo?
“Non umile dinanzi alla vita, umile dinanzi all’arte”.
Con queste parole, posizionate all’entrata della stanza chiamata Officina,
D’Annunzio dà il benvenuto al visitatore.
Nel vedere queste parole, siamo rimasti molto meravigliati.
D’Annunzio aveva fatto costruire la porta bassa perchè tutti, entrando,
s’inchinassero al suo lavoro. Il nome Officina deriva dalla definizione che
D’Annunzio amava dare a se stesso: ‘operaio della parola’. In questa stanza sono
custoditi gli attrezzi indispensabili alla scrittura: i vocabolari, i manuali, le guide
turistiche…ma anche molti oggetti stravaganti e curiosi.
La donna velata
Subito siamo stati attratti da una statua che raffigura la sua amante: Eleonora Duse, opera di Minerbi,
alle spalle della scrivania. Sul volto della compagna amata-odiata che più l’aveva spronato al capolavoro,
D’Annunzio ha posto un foulard: il velo copre un amore finito ma mai dimenticato.
Eleonora Duse era stata una grande attrice teatrale italiana della fine dell’Ottocento e degli inizi del
Novecento.
La stanza del lebbroso
Ma il luogo più impressionante della casa di D’Annunzio era senza dubbio la
stanza funebre.
progetto 1 Chi darà il bacio al rospo?
La stanza del lebbroso
Questa stanza veniva chiamata Stanza del Misello, oppure Cella dei puri sonni; qui D’ Annunzio si
soffermava a meditare per la morte della madre, della Duse e degli amici più cari. Nel quadro in fondo
alla parete è raffigurato San Francesco che abbraccia un lebbroso, e, sorpresa, quel lebbroso è proprio il
ritratto di Gabriele D’ Annunzio. Quel grande uomo che era D’annunzio, e che fino a poco prima credevamo
si sentisse questo originale poeta, aveva bisogno del tenero sostegno di un piccolo e povero uomo come
San Francesco, che amava i più umili ed emarginati… Alcuni di noi se ne sono chiesti il motivo. Forse
D’Annunzio in realtà era fragile o consapevole che si sarebbe sentito fragile davanti alla sofferenza.
Il lebbroso, da cui deriva il nome della stanza, è proprio toccato dal santo, quindi reso sacro. Quel tocco è un
dono di cui D’Annunzio pensa di aver bisogno…
Sempre in fondo alla stanza c’è una statua di Gesù Cristo nell’ atto di benedire la Maddalena. Poi ci sono
i ritratti della sorella Elvira, della madre Luisa e di Eleonora Duse con la Coppa delle Vestali in vetro di
Vittorio Zecchin. Il letto assomiglia a una culla e una bara, per questo è chiamato letto delle due età. Ai lati
scendevano due pelli di leopardo.
Nel Camerun ci sono stregoni della “società uomini-leopardo” che credono che il loro corpo sia diviso in due
parti: forze vitali e anima. L’elemento che non può morire è l’anima. Durante il sonno l’anima può sfuggire
dal corpo per incarnarsi in un animale (iena, leopardo, pitone) e agire in esso, compiendo cose terribili.
La stanza del lebbroso è una delle stanze più ordinate della Prioria. La decorazione del soffitto risulta la
scomposizione di un puzzle di pitture con rappresentate cinque sante che D’Annunzio immagina gli siano
apparse per convincerlo a rinunciare ai beni terreni; esse sono: Sibilla di Fiandra, Elisabetta d’Ungheria,
Odilla D’Alsazia, Giuditta di Polonia e Caterina da Siena.
Pensare alla morte come ha fatto D’Annunzio, con sante che ti proteggono dai peccati, santi che ti
accolgono, anche se sei impuro e santoni che ti salvano l’anima, ci inquieta un po’… ancora una volta
proviamo una certa tenerezza per un uomo che invece voleva far paura al mondo.
Ricorderemo la visita alla casa Museo di D’Annunzio come una delle esperienze
più emozionanti della nostra classe!
Ricorderemo D’Annunzio come un uomo scontroso e pieno di manie, ma dal
cuore generoso e sensibile: ecco perché era un grande poeta e un vero artista!
Terza tappa: il Museo di Santa Giulia di Brescia
Ed eccoci a casa! Nella nostra città. Eppure solo uno di noi era già stato al
Museo Santa Giulia, in occasione della Mostra degli Inca. Il Museo si trova sulle
rovine dell’antica città romana, dove il re longobardo Desiderio fece costruire
la chiesa di San Salvatore con un monastero dove si conservarono le reliquie di
Santa Giulia, una giovane martire cristiana.
Col tempo il monastero si trasformò, furono costruite altre parti, come il
bellissmo coro delle monache tutto affrescato e la chiesa di Santa Giulia.
Intorno al 1700 Napoleone trasformò il convento in un magazzino per
l’esercito.
Solo alla fine dell’800 il Comune di Brescia riacquistò l’intera area, così preziosa
dal punto di vista storico e culturale. Ne fece un museo “stratificato”, così
abbiamo imparato a definirlo, dove si sono depositate man mano opere di
varie epoche, dai reperti romani delle domus, ai resti longobardi con oggetti
particolarissimi e splendidi come la famosa Croce di Desiderio, fino ad affreschi
cinquecenteschi davvero magnifici.
Siamo rimasti particolarmente colpiti dalla statua del Lacoonte di marmo
bianco che rappresentava un uomo con i suoi due figli uccisi da due serpenti
perché il padre aveva fatto una cosa che non doveva fare. La scena era
raccapricciante: il padre aveva uno sguardo disperato e combatteva cercando di
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progetto 1 Chi darà il bacio al rospo?
progetto 1 Chi darà il bacio al rospo?
salvare i figli, essi venivano stritolati da due orribili serpenti fortissimi. Per non
sognarcela di notte, e anche perché siamo curiosi, siamo andati alla ricerca della
storia che la scena rappresenta. Altro che brutto rospo, questo era vero horror!
avevano stampata sul volto un’espressione indescrivibile, con gli occhi tristi e la
bocca felice. Una di loro aveva dei baffoni grandissimi che si tuffavano verso il
basso e si confondevano con la fitta barba. Sembrava Babbo Natale quando era
giovane. Un’altra aveva i capelli arricciati che gli arrivavano alle orecchie e con
la barbetta ugualmente arricciata. Sul volto aveva il sorriso più largo che noi
avessimo mai visto! Non ci crederete, ma quel mascherone assomigliava tanto
alla guida che ci accompagnava!
Anche il bel quadro esposto nelle sale del Santa Giulia di San Giorgio e il drago
ci ha interessato molto ed abbiamo subito cercato informazioni sulla sua storia.
Il grande quadro era stato realizzato con una tecnica interessante da riprodurre
perché vi erano state incollate pietre preziose. Naturalmente lo abbiamo subito
copiato, realizzando un bel quadro di genere diverso, in cui sono rappresentate
delle foglie di vite dorate come le guarnizioni del cavallo.
Si narra che, quando i troiani portarono nella città il celebre cavallo di Troia, Lacoonte corse verso di esso
scagliandogli contro una lancia che ne fece risonare il ventre vuoto, urlando:“Temo i Greci, anche quando
portano doni”. Atena, che parteggiava per i greci, punì Laocoonte mandando Porcete e Caribea, due
enormi serpenti marini, che uscendo dal mare avvinghiarono i suoi due figli; egli accorse in loro aiuto e
fu stritolato assieme ad essi.
Un altro particolare davvero curioso che abbiamo osservato presso il museo
Santa Giulia è nascosto nei bellissimi quadri sullo stile di Arcimboldo. Questo
pittore dipingeva con una tecnica strana: eseguiva ritratti umani utilizzando
esclusivamente forme e colori di frutta, fiori, foglie o piccoli animali.
Ad esempio raffigurava l’estate con un uomo fatto di frutta: un fico al posto del
naso, ciliegie al posto degli occhi, banana al posto della bocca, un’anguria per
testa e carote per dita.
I suoi quadri erano originali e divertenti, catturavano la nostra attenzione e ci
perdevamo alla ricerca dei particolari raffigurati.
Non vedevamo l’ora di provare a scuola la sua stessa tecnica!
In un altro quadro esposto nelle sale del Santa Giulia era dipinto un orribile
drago-diavolo con la testa da pipistrello, le orecchie a sventola, gli occhi rosso
fuoco e sangue che usciva dal naso e cadeva in pozzanghere vicino al suo
spaventoso, lucido corpo nero. Il diavolo veniva schiacciato e quindi sconfitto
da un santo con l’aiuto di alcuni angeli.
Sempre nell’area in cui erano esposti quadri, abbiamo notato figure umane
raccapriccianti: mendicanti o poveretti sporchi e malati, alcuni con il gozzo
che veniva per mancanza di alcune vitamine, quando gli uomini poveri erano
costretti a nutrirsi solo di polenta. Erano tele scure, tristi e con colori spenti.
Davano proprio il senso della miseria vissuta in quell’epoca dai contadini ai
quali il ricco proprietario dei terreni portava via tutto il raccolto. Questi quadri
erano stati dipinti meravigliosamente dal Pitocchetto.
I pitocchi
Giacomo Antonio Melchiorre Ceruti, detto il Pitocchetto, è stato un pittore italiano del ‘700, in un periodo
artistico chiamato tardo barocco italiano. Era bravissimo nel dipingere ritratti. Nacque a Milano, ma la sua
patria di elezione fu Brescia, città in cui l’artista si guadagnò il soprannome di Pitocchetto per il genere
pittorico che aveva come soggetti principali i poveri, i reietti, i vagabondi, i contadini (i pitocchi, appunto),
raffigurati in quadri a grande formato. In Lombardia c’erano stati altri artisti che, come lui, avevano voluto
raffigurare la gente comune e la loro vita poverissima, ad esempio Vincenzo Foppa, il Moretto, Savoldo e
Caravaggio. Eppure allora si dipingevano soltanto persone importanti e ricche…
I suoi pitocchi sono davvero “brutti rospi”, senza speranza alcuna di diventare bei principi! Hanno piedi
nudi e sporchi, mani senza forma e vesti a brandelli; i loro sguardi sono tristi e brutti, com’è brutta la loro
miseria!
Ci sono piaciute anche le maschere ridicole su piedistalli altissimi di gusto greco.
Erano quattro, una più strana e divertente dell’altra, e raffiguravano persone con
capelli lunghissimi o baffoni da cow boy o barba tutta arricciata e sciolta. Tutte
16 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
San Giorgio e il drago
Draghi vengono descritti come creature dal corpo da serpente, le zampe da lucertola, le fauci da
coccodrillo, gli artigli d’aquila, i denti da leone e le ali da pipistrello; il corpo era ricoperto di squame
protettive e, la maggior parte di loro, era in grado di sputare fuoco e volare per percorsi indefiniti.
Estremamente intelligenti e sorprendentemente longevi, sopravvivevano a numerose generazioni di
umani...
Si può dire che ogni paese avesse una leggenda che raccontava di un mostro che viveva in un luogo
vicino al quale la comunità sacrificava esseri umani perchè non li distruggesse e di un guerriero che lo
affrontava e lo vinceva, salvando una donzella, l’ultima vittima predestinata.
La storia di San Giorgio ed il Drago forse nasce durante il XII secolo, portata dai Crociati che
tornavano dalla Terra Santa e narravano che il santo, (nato in Palestina e martirizzato, sotto Diocleziano
per decapitazione nel 287), uccise un terribile drago che era in procinto di mangiare una giovane
principessa.
Un secolo dopo, in Inghilterra, quando il re Edoardo III nel 1348 elesse San Giorgio protettore
dell’Inghilterra, il Santo era ormai diventato l’assassino dei draghi per antonomasia, dipinto da tutti i
pittori nel gesto di trafiggere il drago.
La leggenda di San Giorgio e il Drago fu diffusa notevolmente dalla Chiesa che raffigurava il Drago come
il peccato e San Giorgio come la Grazia divina, la Fede o qualche altra forza benefica.
Abbiamo cercato rospi, mostri e ogni oggetto orripilante che fosse nascosto in
regni di bellezza assoluti come i musei. Ne abbiamo trovati tanti, al punto che
abbiamo pensato che i collezionisti si divertivano, proprio come noi quando
giochiamo con i nostri super eroi che, a dire la verità sono piuttosto bruttini…
Abbiamo anche cercato di capire perché ci attirino tanto oggetti strani, animali
poco rassicuranti, draghi e mostri vari…forse per fare intimorire un po’ gli
amici, forse perché vogliamo sentirci forti come i nostri mostriciattoli, forse
perché essi ci difendono, o ci divertono…
In ogni caso ci piacciono ed è stato divertente trovarli nei musei e pensare che
siano stati accuratamente scelti da importanti collezionisti.
Per noi i “brutti rospi” trovati al museo non sono affatto brutti, anzi ci hanno
interessato molto, perciò un bel bacio glielo diamo, perché scoprendo la loro
storia abbiamo rivelato ai nostri occhi la loro vera natura, abbiamo capito che
meritano quel posto d’onore nel palazzo della bellezza che è una casa museo!
17 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 2 La storia di questi luoghi
Chi e dove Classi coinvolte Docente referente
Scuola primaria Statale T. Olivelli – Salò
Quinta D
Isabella Salmi
progetto 2
La storia di questi luoghi
Premessa
Le classi quinta sezione C/D dell’Istituto comprensivo di Salò, hanno scelto di
inserire, tra le uscite didattiche, un percorso attinente alle vie dell’arte, che vede
coinvolte le località importanti, dal punto di vista artistico, del Lago di Garda.
Ci riferiamo in particolare a:
1) Museo di S.Giulia (Brescia)
2) Casa del Podestà (Lonato)
3) Vittoriale (Gardone)
La storia di questi luoghi
Museo di S. Giulia (Brescia)
Il museo di S. Giulia è il principale museo di Brescia, situato in via dei Musei 55,
lungo l’antico Decumano Massimo della Brixia.
Il museo è ospitato all’interno del monastero di S.Giulia, fatto erigere da re
Desiderio in epoca longobarda e variamente ampliato e modificato in più di mille
anni di storia. All’interno vi sono ubicate stanze allestite con reperti differenti,
in maggioranza compaiono oggetti, appartenenti all’epoca romana esempio: le
Domus dell’Ortaglia.
Tra le numerose opere d’arte si ricordano: la Vittoria alata, la croce di Desiderio e
la lipsanoteca.
La casa del Podestà (Lonato)
La casa del Podestà sorse verso la metà del quattrocento quale sede del
rappresentante di Venezia.
Lonato fu sottoposta alla dominazione della Serenissima Repubblica di Venezia
dal 1441 per oltre 350 anni, interrotti solamente dal breve governo del marchese
Francesco Gonzaga(dal 1509 al 1516).
18 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Dopo che Napoleone cadde,la casa del Podestà passò,prima come proprietà
del demanio austriaco,in seguito al Comune di Lonato che si disinteressò
completamente dell’edificio.
Nel 1906 venne acquistata ad un’asta pubblica dall’allora avvocato e deputato
liberale: Ugo Da Como.
Questi, consapevole dell’importanza storica del luogo, lo fece completamente
“restaurare” dal maggior architetto bresciano Antonio Tagliaferri (1835-1909).
L’intento del committente era quello di restituire l’antica dignità all’edificio veneto
corredandolo di una serie di arredi adeguati che ne facessero una casa-museo da
abitare,secondo una moda molto diffusa tra 800 e 900.
Ugo Da Como
Nacque a Brescia nel 1869 e si laureò a Roma in giurisprudenza.Fu fedele allievo
e continuatore di Giuseppe Zanardelli, nella corrente liberale democratica.
Morì a Lonato nel 1941 e la sua casa fu destinata ad accogliere la straordinaria
Raccolta Libraria, costituita con grande attenzione.
La biblioteca che lasciò a Lonato è una delle collezioni private più importanti
dell’Italia settentrionale. Essa conta oltre 30.000 titoli, a partire dal XII secolo.
Vittoriale (Gardone)
Il Vittoriale degli Italiani è un complesso di edifici, vie, piazze e di un teatro
all’aperto. Giardini e corsi d’acqua ne caratterizzano l’intero parco.
Il Vittoriale fu eretto tra il 1921 e il 1938, costruito a Gardone, sulle rive del lago
di Garda, da Gabriele D’Annunzio con l’aiuto dell’architetto: Giancarlo Maroni,
a memoria della “vita inimitabile” del poeta-soldato e delle imprese degli italiani,
durante la prima guerra mondiale. Il Vittoriale è oggi, una fondazione aperta al
pubblico e visitata ogni anno da circa 180.000 persone. Si estende per circa nove
ettari sulle colline di Gardone Riviera in posizione panoramica dominante il lago.
I visitatori sono accolti da un ingresso monumentale costituito da una coppia di
archi al cui centro è collocata una fontana.
A sormontare la fontana una coppia di cornucopie e un timpano con il famoso
motto d’annunziano: “Io ho quel che ho donato”. Dalle arcate d’ingresso si snoda
un duplice percorso:
– in leggera salita (conduce alla prioria, alla casa museo e salendo ancora alla nave
militare Puglia e al mausoleo degli eroi con la tomba del poeta)
– porta verso i giardini, l’arengo (attraverso una serie di terrazze degradanti verso il
lago, fino alla limonaia e al frutteto).
Gli stemmi
Abbiamo osservato, in queste visite didattiche, la presenza, su ogni edificio da noi
considerato, di stemmi, differenti ma molto interessanti. In conseguenza abbiamo
preso in esame alcuni di essi,cercando di esporne il significato e la storia.
Lo stemma di Brescia
Gli stemmi, anticamente, servivano per differenziare le famiglie ricche da quelle
povere. Lo stemma di Brescia è contraddistinto dai suoi colori differenti cioè:
il leone azzurro con la corona d’oro e la scritta in argento con la dicitura Brixia
fidelis. La blasonatura dello stemma è stata emanata con un decreto comunale il
25/06/1925.
19 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 2 La storia di questi luoghi
progetto 3 I vasi da farmacia
A differenza di quanto comunemente si crede, a causa dell’appellativo Leonessa
d’Italia (attribuito alla città da Giosuè Carducci), quello che figura sullo stemma
di Brescia è un leone maschio.
Lo stemma di Brescia introdotto da Napoleone Bonaparte prevedeva la
sostituzione del leone azzurro con un leopardo rosso, sebbene definito “illeonito”
ovvero nella tipica posizione rampante del leone.
Lo stemma napoleonico durò ben poco, poiché meno di un anno dopo, con il
ritorno degli austriaci, il comune di Brescia chiese la reintroduzione del precedente
stemma.
Chi e dove Classi coinvolte Docente referente
Lo stemma di Lonato
Il nome “Lonato” deriva dal termine celtico “laghetto”. Lo stemma di Lonato
raffigura un leone rampante rivolto a sinistra, con due chiavi incrociate nella zona
anteriore destra, in alto compaiono tre gigli.
L’interno dello stemma è azzurro, lo stemma possiede inoltre in alto, la corona
civica.
progetto 3
Il Vittoriale
La composizione di stemmi e gonfaloni provinciali generalmente è considerata
di pubblico dominio. Questo principio è applicabile solo alla definizione dello
stemma. La rappresentazione di uno stemma è invece considerata una creazione
artistica.
Scuola primaria Statale T. Olivelli – Salò
Quinta A
Cittadini Gloria
I vasi da farmacia
Dal Museo Santa Giulia al Vittoriale passando per Lonato
Introduzione
Prima di visitare il museo Santa Giulia, la casa del Podestà e il Vittoriale
abbiamo parlato di collezioni .
Cos’è una collezione?
- Figurine Animali, Basket…
Gli esempi che hanno riportato i bambini sono stati molteplici:
- Carletti (personaggi Sofficini)
- Gioielli
- Magic
- Libri Geronimo Stilton
- Automobili giocattolo
- Accessori vari (Vasi, Monili..)
Stemma presente
all’entrata del Vittoriale.
Conclusioni
A noi ragazzi di quinta D di Salò ha fatto piacere poter, con le nostre forze e con
i nostri strumenti far parte, anche se per poco, di un passato che resterà sempre
fondamentale per il futuro.
20 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Si è definito pertanto che una collezione è una raccolta
di molti oggetti simili.
Noi abbiamo scelto i vasi da farmacia.
Ed ora che sappiamo cos’è una collezione siamo pronti
ad andarle a cercare nel Museo Santa Giulia, alla Casa
del Podestà e al Vittoriale degli Italiani.
L’insegnante ha preparato una scheda per favorire
l’atteggiamento attivo dei bambini nel momento
dell’osservazione dei vasi.
Dando indicazioni precise si vuole attivare le
conoscenze dell’alunno.
21 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 3 I vasi da farmacia
progetto 3 I vasi da farmacia
I vasi a Santa Giulia
Martedì 23 ottobre 2012 siamo andati al museo S. Giulia per vedere i vasi.
Durante la visita abbiamo osservato vari tipi di vasi, erano tutti vasi antichi che
sono stati ritrovati nelle Necropoli Greche e Romane. Vi erano: vasi da usare in
cucina, vasi che usavano per il trasporto e vasi da mensa. Uno di questi era di
terracotta, serviva a contenere vino ed olio e proveniva d’Atene. Sul vaso c’erano
dipinte delle persone ed era uno dei vasi più grossi e più belli.
La maggior parte degli altri erano di vetro e servivano a contenere le ceneri dei
morti.
Alice e Marta
Il vaso con il nome del contenuto più originale è quella con il “Sangue di
drago”una resina cicatrizzante chiamata così perché è la resina dell’albero
del drago, che è una palma spinosa originaria delle isole Canarie, quando la
corteccia o le foglie venivano recise secernevano una resina di colore rosso.
Carla, Pietro, Nicola e Marco
Martedì 23 ottobre siamo andati al museo di Santa Giulia ad osservare i vasi.
Abbiamo visto molti vasi come : quelli da cucina, quelli per metterci dentro il
vino e l’olio e i vasi di terracotta, i vasi funerari; inoltre c’erano anche dei piccoli
vasi per contenere profumi ed essenze, che sono stati soffiati da cannucce di
vetro. In centro alla stanza c’era un favoloso vaso dipinto con dei disegni di
guerra, che è stato fatto ad Atene.
Asia e Luisa
Martedì 23 ottobre siamo andati al museo di Santa Giulia a
Brescia per vedere i vasi di epoca romana o greca.
In una teca c’era un anfora greca,era di forma circolare con
il collo stretto e due maniglie vi erano messe ai lati; era in
ceramica nera con una figura arancione che rappresentava
un uomo barbuto senza vestiti che tirava un toro con un
leone che rendeva difficile il lavoro.
Quest’anfora serviva per i trasporti di cibo o liquidi.
Un altro vaso era di epoca romana: era in alabastro bianco
e serviva per contenere le ceneri dei defunti. Non aveva
decorazioni e aveva una forma simile all’anfora greca.
In una teca molto grande erano custoditi dei vasi sempre
di epoca romana, in vetro e leggermente rovinati dal
tempo. Servivano per contenere il cibo o le ceneri; erano
tondeggianti alla base, il collo era lungo e molto stretto .
I vasi in terracotta messi in un’unica teca erano di color
arancione e marrone, servivano per il cibo e per trasportare
merci. Erano della stessa forma solo con il collo più largo.
Riccardo e Ivan
Vaso di terracotta greco.
Realizzato da Ivan
Martedì 23 ottobre le classi V a-c-d sono andate in gita alla
“Casa del Podestà”.
Arrivati nella “Sala del caminetto” abbiamo notato vari tipi
di vasi.
Ci hanno colpito due vasi da farmacia: due albarelli
contenenti “Sangue di drago” (una resina rossa cicatrizzante)
e “Melissa” (una pianta erbacea con foglie grandi e pelose
dall’odore gradevole).
Il vaso che conteneva il “Sangue di drago” era un albarello
in maiolica decorato con motivi floreali blu ed una
forma piriforme rovesciato su base ad anello.
L’altro vaso che ci è piaciuto molto, conteneva la
Melissa, era un albarello in maiolica con figure
armoniche: vi sono delle foglie o delle ali che si
attorcigliano ad una linea color ocra; la scritta blu
in stampatello minuscolo si trova al centro del
vaso.
Federico e Giuseppe
I vasi della casa del Podestà
Al museo della “ Casa del Podestà” di Lonato c’è una collezione di vasi da
farmacia che contengono erbe curative e altri medicinali dell’ epoca.
I vasi di ceramica hanno un’apertura fatta in modo da permettere di chiuderli
con un pezzo di stoffa e una stringa. Nella collezione sono presenti anche
teiere. Sia i vasi che le teiere sono decorati con disegni a fiori blu sia sulla parte
inferiore che su quella superiore, nella zona centrale vi è il nome del preparato
che conteneva il vaso.
Martedì 23 ottobre siamo andati alla Casa del Podestà.
Dopo aver aspettato qualche ora, siamo entrati nella casa di Ugo Da
Como e abbiamo osservato tutti i soprammobili presenti nella casa.
C’erano: quadri, stoviglie, centri tavola, libri e vasi da farmacia. Noi
Vaso realizzato da Pietro,
abbiamo osservato i vasi da farmacia. C’erano alcuni vasi colorati e altri solo
Nicola e Carla.
bianchi e blu.
In alto a sinistra,
Abbiamo fatto un breve giro della casa e
Albarello in maiolica.
abbiamo visto altri vasi non solo da farmacia Realizzato da Federico.
In basso, Alberello
ma anche vasi per i fiori. Alcuni avevano
in porcellana. Foto
scritture strane sopra di essi come: troch
da”I quaderni della
gordonii, troc alhand, rosato, sangue di drago
Fondazione Ugo Da
e Ext. Ratan, queste scritte indicavano il
Como”.
contenuto.
C’era un vaso che conteneva: Ext. Ratan
(estratto di ratania); questo vaso ci è
piaciuto in modo particolare: per primo
perché la ratania è un frutice spinoso
originario del Perù e della Bolivia. Per
secondo perché la radice, tortuosa e
rossastra, era utilizzata come dentifricio
e come antinfiammatorio del cavo
22 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
23 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 3 I vasi da farmacia
orale. L’estratto si ricavava dalla macerazione della pianta in acqua o alcool;
successivamente il liquido veniva filtrato e bollito fino ad una sua riduzione e
concentrazione.
Il vaso aveva il coperchio con presa a pomolo era fatto di ceramica maiolica; la
decorazione era costituita da una coppia di cornucopie colme di piccoli fiori
variopinti che incorniciavano l’ovale centrale dove vi era scritto il nome del
medicamento in stampatello maiuscolo. Questa gita ci è piaciuta molto.
Martina F., Martina e V. Sibilla
Albarello da farmacia
in maiolica. Stanza del
Mappamondo.
I vasi del Vittoriale degli Italiani
Martedì 27 novembre 2012 siamo andati al Vittoriale (la casa di G.
d’Annunzio). Nella casa vi è
una stanza chiamata “Sala del
Mappamondo” perché ha un grande
mappamondo al centro, ed è stata
la stanza più importante per noi
perché vi è una libreria con molti
vasi da farmacia; la collezione di
vasi, abbiamo notato, che è uguale
alla collezione di vasi della “Casa del
Podestà”.
Nell’officina vi è una teca contenente
altri vasi da farmacia.
I vasi erano bianchi, blu e certe volte
dipinti anche con altri colori.
Erano quasi tutti a forma di anfora:
albarello; i restanti a brocca: orciolo.
Nell’albarello l’apertura aveva un orlo
obliquo e si poteva chiudere con un panno e uno spago.
Alcuni vasi si utilizzavano per versare i liquidi e altri per contenere pasticche
o erbacei: il diverso utilizzo del vaso faceva si che la forma della “bocca”
cambiasse; tant’è che nei vasi contenenti pasticche o erbe da prelevare con la
mano l’apertura risultava essere più larga.
I vasi da farmacia hanno le scritte delle diverse sostanze che contengono sul
lato della maiolica.
Francesco e Gian Luca
Conclusioni
La visita in questi musei è servita per far riflettere gli alunni sul fatto che
il museo non è solo contenitore ma è un luogo in cui si ha l’occasione di
conoscere aspetti di una civiltà.
Inoltre gli alunni hanno notato che uno stesso oggetto può essere utilizzato
in molti modi; quindi che è importante osservare gli oggetti da punti di vista
diversi.
La classe Quinta A
24 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Chi e dove Classi coinvolte Docenti referenti Scuola primaria Statale T. Olivelli – Salò
Quinta C
Rimoldi Carla
progetto 4
Sacro e profano
Ovvero San Girolamo (Gerolamo) nelle collezioni bresciane
Premessa
Nel territorio bresciano esistono realtà museali diverse sia per origine sia per
tipologia. Quelle che la nostra ricerca prenderà in esame sono: Santa Giulia in
Brescia, la collezione Tosio-Martinengo temporaneamente collocata in Santa
Giulia, la Casa del Podestà in Lonato e il Vittoriale in Gardone Riviera.
Origine e scopo dei musei
“Il museo è l’istituzione culturale di una società per conservare la propria
memoria e per trasmettere i propri ideali e valori”.
Santa Giulia
Già nel 1860 da parte della Municipalità Bresciana
si era manifestata l’intenzione che le tre chiese del
monastero (Santa Giulia, San Salvatore, Santa Maria in
Solario) divenissero la sede per conservare i manufatti
antichi legati al Cristianesimo. Il progetto fu realizzato
nel1882. In seguito a lavori di scavo furono scoperti
resti romani all’interno del complesso. Oggi in Santa
Giulia sono collocati reperti di varie epoche storiche
provenienti dalla città e dal territorio con
particolare attenzione a quelli romani.
Pinacoteca Tosio-Martinengo
Ha origine dal lascito delle collezioni d’arte del Conte Paolo Tosio
nel 1832 e di quello successivo della moglie al Comune di Brescia.
Nel 1906 le opere furono unite ai quadri donati alla Municipalità
nel 1884 dal Conte Martinengo e da quelli provenienti da palazzi
demoliti o fatiscenti e da edifici di culto dismessi.
25 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 4 Sacro e profano
progetto 4 Sacro e profano
Casa del Podestà
Nel 1906 l’edificio ormai fatiscente, che
era stato l’abitazione del Podestà durante la
dominazione veneta del lago di Garda, fu
acquistata dall’avvocato arne la sua dimora
e riportarla agli antichi splendori. Egli fece
del palazzo un luogo di “memoria storica”
arricchendolo con dipinti, sculture, oggetti
del passato.
Iconografia di san Girolamo
Il santo è raffigurato secondo due tipologie: il cardinale e l’eremita. Nel primo caso è
ritratto nello studiolo vestito con l’abito e il cappello cardinalizio rossi e circondato
da libri; nel secondo caso è seminudo, coperto da un panno lacero inserito in un
paesaggio naturalistico. La sua identificazione risulta facile poiché a lui sono legati
numerosi simboli:
– abito e cappello cardinalizi e/drappo rosso, secondo la tradizione medievale colui
che era stato segretario del papa doveva essere stato precedentemente nominato
cardinale;
– leone: secondo una leggenda Gerolamo aveva curato la zampa ferita di un leone e
questi l’aveva seguito e mai più abbandonato;
– libro: collegato alla sua fama di studioso e in quanto revisore della traduzione
biblica;
– clessidra e/o candela; indicano la caducità della vita terrena;
– teschio: rappresenta la meditazione sulla morte e la fugacità della vita terrena;
– croce: suggerisce la meditazione e la fede;
– pietra: indica la penitenza;
– chiesa: legata alla sua scelta di vita, al suo sostegno al monachesimo femminile e
alla vera fede per la sua corretta traduzione delle Sacre Scritture;
– gabbietta con uccellino: era ritenuta abitudine degli eruditi tenere nel proprio
studio un volatile il cui canto favoriva la concentrazione.
Vittoriale
Dopo la spedizione di Fiume d’Annunzio aveva la necessità di trovare una
dimora a lui consona. La scelta cadde su una proprietà a Gardone Riviera: una
semplice e vasta casa di campagna, circondata da un parco recintato che poteva
essere modificata per divenire il luogo in cui celebrare sé stesso, le proprie idee e
le proprie gesta. La trasformazione d’interni, esterni e di spazi verdi avvenne con
la collaborazione dell’architetto Maroni, ma
l’ideazione fu dello stesso d’Annunzio. In questo
nuovo ambiente furono poste le collezioni del
Vate che si fusero con quelle del proprietario
precedente e, in seguito, si arricchirono con
donazioni e acquisti. Le scelta di un oggetto, la
sua collocazione in una determinata stanza in una
certa posizione, la relazione con altri era legata a
ricordi, a reminescenze letterarie, ad abbinamenti
cromatici e assumevano una valenza simbolica
che rispecchiava il gusto estetico di d’Annunzio,
la sua tendenza all’originalità e all’artificio e il suo
stile teatrale di vita.
Osservazioni
Nelle nostre visite ai musei abbiamo rilevato che sono presenti una o più opere
avente come soggetto san Girolamo (Gerolamo) e queste saranno oggetto della
nostra indagine.
San Girolamo fra storia e leggenda
Gerolamo nacque in Dalmazia da famiglia di nobile origine. Fu istruito dal
padre nelle lettere e, per ampliare le sue conoscenze, si recò a Roma, in Gallia e in
Germania.
Successivamente fu battezzato, viaggiò per approfondire i suoi studi. In seguito
divenne monaco e si ritirò nel deserto come eremita per cinque anni. Più tardi fu
nominato segretario del papa e revisionò l’antica traduzione della Bibbia dal greco al
latino.
Conclusa l’esperienza romana si ritirò a Betlemme in un monastero. Il santo è
sempre stato amato dagli studiosi di ogni tempo che in lui ritrovavano la loro sete di
sapere e l’aspirazione alla conoscenza; è stato modello per i monaci per la sua scelta
di vita comunitaria, ascetica e penitenziale.
26 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
San Gerolamo nelle collezioni
Pinacoteca Tosio-Martinengo presso Santa Giulia
Il dipinto, olio su tavola, è stato eseguito dal Romanino in data non
certa e misura cm 149,3x91,8. La figura del santo, seduto all’entrata
della propria grotta in primo piano, risulta plastica e vigorosa; il profilo
del suo viso energico è ornato da una folta barba fluente; i suoi occhi
fissano il crocifisso che stringe nella mano sinistra protesa in avanti. Il
suo corpo è ruotato verso l’esterno e coperto da una veste bianca-rosata
lacerata sul fianco; nella mano destra impugna una pietra. Dietro i piedi
scalzi del santo è accucciato un leone che cela parte del rosso cappello
cardinalizio. Il ginocchio sinistro dell’eremita sfiora un rustico tavolo
ligneo su cui poggiano alcuni libri di cui, uno aperto In secondo piano e
sullo sfondo sono raffigurate una serie di alture, e, sulla sommità di una
di esse, una chiesa. Nel paesaggio, rappresentato in modo naturalistico
con predominanza di toni di verde e marrone, vi è la presenza di figure
umane quasi mimetizzate con l’ambiente stesso mentre spicca Gerolamo
reso con tinte chiare. In basso si nota un rospo, simbolo della tentazione.
Santa Maria in Solario presso Santa Giulia
Gli affreschi, aventi come soggetto San Gerolamo, sono collocati al piano superiore
sulla parete meridionale dell’oratorio e sono stati eseguiti dallo stesso Floriano
Ferramola e dalla sua bottega fra il secondo e il terzo decennio del Cinquecento.
Uno di essi è molto deteriorato perciò la nostra trattazione verterà sul dipinto
collocato in alto, nei pressi di una finestra ad arco. La figura del santo è imponente,
il viso è contornato da una folta barba bianca, il braccio destro è piegato al gomito
e in linea con il corpo e quello sinistro, sollevato al petto, regge una chiesa, Indossa
27 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 4 Sacro e profano
una bianca veste, una sopravveste rossa e, sulla spalla destra, una stola verde.
In testa porta il cappello cardinalizio.
Ai suoi piedi è accucciato un leone. Dietro si nota un frondoso albero. Lo
sfondo evidenzia una netta divisione fra l’azzurro cielo e terra ocra.
Casa del Podestà
Il quadro è stato eseguito dal pittore cremonese Giovanni Andrea Sicco ed
è datato 1536. È posto nella. Il santo è raffigurato nello studiolo, seduto alla
scrivania in primo piano, in atteggiamento meditativo, con il busto torso
verso l’interno. La mano destra sorregge il viso avvolto da un morbida barba,
la fronte è corrugata, gli occhi vivi fissano il visitatore.
Il gomito destro poggia sul libro posto sopra leggio sul piano
del mobile; accanto al leggio si nota un teschio su cui lo
studioso rotea il suo indice sinistro. Sul piano sono collocati
un candeliere con moccolo e spegnitoio, una clessidra, un
calamaio, due stili, alcuni fogli.
L’erudita indossa la vesta bianca, la sopravveste rossa come il
copricapo. Alle sue spalle è accucciato un leone assonnato in
atto di fusa. Sullo sfondo è posizionata la libreria contenente
alcuni tomi chiusi ed uno aperto e in alto, in corrispondenza
di questo, una gabbietta con un uccellino. Dal soffitto pende
una lampada; sulla parete destra è appeso un cappello e sul
lato opposto si apre una finestra dai vetri piombati,
Vittoriale
Sembra che già fosse stato stabilito, in tempi antichi, dal
destino una sorta di legame fra quella che divenne la Prioria
e san Gerolamo, Infatti sulla facciata della casa colonica acquistata da d‘Annunzio
si trovava un’effige del santo quasi del tutto scomparsa nei lavori di ristrutturazione
voluti dallo stesso poeta. Il Vate stesso ornò la sua dimora di oggetti e mobili aventi
come ispiratore il santo erudita. Nella visita al Vittoriale si scopre che nella casa sono
collocate due statuette lignee; la prima è posta all’ingresso dell’Officina sulla parete
nord; è datata intorno alla metà del XVI sec di manifattura dell’Italia settentrionale.
L’opera, alta 114 cm, è in massello di larice intagliato, è dorata e alcune parti sono
dipinte. Il santo è eretto, con il capo leggermente
piegato verso la sua spalla sinistra; il viso dipinto è
scarno munito di baffi e folta barba castani come
i capelli. Il braccio destro è proteso in avanti con il
gomito flesso, il braccio sinistro è mozzato.
La veste è dorata e ricca di panneggi; dalla spalla
sinistra scende una stola. Il piede destro esce dall’abito
e sormonta il leone messo sulla base. La seconda
scultura è nella Stanza delle Reliquie sulla trabeazione
della parete nord e non è di semplice individuazione
poiché sono presenti innumerevoli manufatti di
soggetto religioso e simbolico. L’opera risale al 1500
e di area Italia nord-orientale. Ha uno sviluppo
tondeggiante ed è alta 84 cm. Il santo è in posizione
eretta, il braccio sinistro è staccato dal corpo come
28 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 4 Sacro e profano
il moncherino del destro; la mano sinistra è poggiata sopra una sorta di
colonna. Sul viso, con baffi e barba castani fluenti, sono evidenti gli occhi. La
veste panneggiata, la mantellina e lo zucchetto sono rossi, la sopravveste con
leggere pieghette è bianca. A lato del santo è accucciato l’inseparabile leone.
Evidente la presenza dell’erudita è nell’Officina, pur non essendo nessuna
effige a lui riconducibile. È l’impostazione stessa della stanza, la tipologia e il
colore dei mobili e in particolare della libreria, chiusa da ante, che ricordano
il quadro “San Girolamo nello studio” di Antonello da Messina.
Sempre al Vittoriale nell’Oratorio Dalmata, la stanza che ricorda l’impresa
fiumana del poeta-guerriero e il legame “sacro” di d’Annunzio con i suoi
fedeli, si può ammirare in un ambiente arredato con sedili di legno scuro
simili a quelli di un coro monastico e dipinti di santi e oggetti d’uso religioso,
un olio su tela il cui soggetto dichiarato è Giobbe, ma molti ravvisano San
Gerolamo. Il quadro, collocato sulla parete ovest ed eseguito dal De Ribeira
intorno alla metà del 1600, è alto 103 cm e largo138 cm.
Il profeta o il santo è seduto a terra, il viso di profilo, il busto ruotato verso l’esterno;
il dorso proteso in avanti, la gamba destra è flessa con il ginocchio verso l’alto e
il piede poggiato al suolo; la gamba sinistra è leggermente piegata verso l’esterno
e il piede è adagiato sopra il destro. La mano destra, posta sul fianco sinistro,
trattiene il panno verde-azzurro che copre
la parte inferiore del busto del santo; il
braccio sinistro è ricurvo e la mano afferra
l’indumento. Il volto, non proporzionato
rispetto al corpo coperto di pustole, è ornato
da una corta barba grigia, ha un’espressione
estatica. Lo sfondo è scuro ed omogeneo e
contrasta con il biancore del corpo in cui
sono evidenti i giochi d’ombra.
La doppia identificazione del ritratto è dovuta all’ubicazione dello stesso
nell’Oratorio Dalmata, aggettivo legato all’origine di San Girolamo; lo stesso
d’Annunzio invece definisce in modo diverso il personaggio dell’opera in una sua
missiva all’architetto Maroni:
– Stanotte ho sorpreso il Giobbe del Riberia, ignudo uscito dall’Oratorio, salire
la sua scala esterna! Avendolo interrogato sul compimento, nei secoli egli mi ha
risposto in napoletano “Speremmo a Dio” Indovina chi?
– Fu erudita di nobile famiglia
– Divenne santo
– Fu segretario del papa
– Fu monaco ed eremita
– Una leggenda fu a lui legata
– Revisionò la traduzione in latino della Bibbia
– Era molto amato dagli uomini di cultura
– Nelle raffigurazioni è posto nello studiolo o in un paesaggio
selvaggio e solitario
– È accompagnato da un animale
– I simboli che lo identificano sono: il teschio, la clessidra, la
candela, il libro
– Nelle opere indossa il cappello cardinalizio
29 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 4 Sacro e profano
progetto 5 Ora Museo! Ma prima…?
Poetando
Sotto un cielo di stelle dorate
Il monaco celato s’intravede
Nello sfumato d’un chiarore lieve.
In penitenza, via dalla civiltà,
nell’anfratto tra l’oscura selva
con la fiera il pio eremita sta
Nell’antica dimora del Podestà
l’erudita medita, l’aria mesta
ha, nello studiolo leggendo resta.
Nei pressi dell’Officina amata
sotto forma lignea, dorata, pinta
il saggio santo sul Vate vegliava.
Nel mistico Oratorio Dalmata
egli, uomo dalla doppia identità,
ci nasconde la sua personalità.
Chi e dove Classi coinvolte Docenti referenti progetto 5
Ora museo! Ma prima …?!
Acrostico
Santo
Amato
Nei
Gloriosi
Irenici
Religiosi
Oratori
Lo
Adorano
Monaci
Osservanti
Anagrammi
“Amar il sogno”
“Solingo amar”
30 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Scuola Primaria A.Lozzia – Gardone Riviera
Quarta attuale Quinta
Saletti Udilla, Tripodi Eufemia
Introduzione
Nella nostra scuola è consuetudine, ormai da molti anni, in classe quarta,
avvicinare gli alunni alle realtà culturali ed artistiche del territorio ed in
particolare far conoscere il monumento locale: il Vittoriale degli Italiani.
All’inizio dell’anno scolastico 2011/2012 è stato avviato il laboratorio”Alla
scoperta del Vittoriale”.
Poco tempo dopo ci è stato proposto di aderire al progetto delle Vie
dell’Arte”Luoghi di vita e d’arte. Ricostruire la storia”.
L’idea è stata illustrata alla classe, cercando di valutare insieme ai bambini,
se il tema proposto potesse inserirsi nella ricerca che si stava attuando e se si
potesse realizzare un itinerario di lavoro interessante, avvincente e curioso,
ma anche impegnativo, che andava ad aggiungersi a quello curricolare. Gli
alunni, consapevoli che tale iniziativa avrebbe costituito un ulteriore impegno,
hanno accolto la proposta positivamente e con entusiasmo, anche perché
l’attuazione del progetto prevedeva alcune uscite: la visita al Museo di Santa
Giulia a Brescia, al complesso monumentale della Fondazione Ugo Da Como
a Lonato e al Vittoriale.
È così che tutta la classe è stata coinvolta nella progettazione, nella ricerca,
nelle visite ed elaborazione dei testi, mentre gli alunni frequentanti le attività
opzionali si sono occupati della “fase redazionale”, riordinando, organizzando
il materiale, i contenuti, trascrivendo testi a computer e facendo disegni.
Volutamente non sono state fornite anticipazioni riguardo i tre musei, perché
solo dagli spunti offerti dai Luoghi oggetto della ricerca , dalla curiosità e
dalla fantasia dei bambini,si sarebbe scelto il tema da approfondire.
Come già scritto inizialmente, la “scoperta del Vittoriale” era già stata avviata
e si è deciso di mantenere lo stesso percorso anche per gli altri Luoghi di vita e
d’arte.
31 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 5 Ora Museo! Ma prima…?
progetto 5 Ora Museo! Ma prima…?
I nostri alunni avevano espresso le loro idee sul Vittoriale:
Per noi il Vittoriale è…
• Monumento importante perché ha vissuto una persona importante
• Casa dove ha vissuto Gabriele d’Annunzio
• Museo dove ci sono tante statue
• È’ un teatro in cui si interpretano idee di persone importanti
• Luogo pieno di storia dove si possono scoprire cose del passato e la storia
• di d’Annunzio
• Il centro storico di Gardone, tipo “il museo” di Gardone
Il Vittoriale si chiama così perché…
• Gli italiani hanno vinto una guerra
• D’Annunzio si chiamava Vittorio
• In onore della regina Vittoria che amava molto l’arte e aveva simpatia
• per d’Annunzio
• D’Annunzio era stato fortunato, “vittorioso” per essere sopravvissuto
• all’incidente con il suo aereo
• Sono le iniziali della sua fidanzata e dei suoi figli:
VITtoria
TOmmaso
Riccardo
ALEssandro
Durante la prima visita al Vittoriale, gli alunni hanno fatto degli schizzi di alcuni
scorci significativi della Cittadella.
Una volta in classe, consultando anche la mappa del percorso artistico ed
architettonico del monumento, i bambini hanno scritto una relazione della visita e si
sono poi divertiti a scrivere acrostici sui diversi luoghi.
Immagina
eNtrare
Gabriele e
MaRoni
Esaminando
Schizzi,
diSegni
Originali
Torna
E
Ascolterai
Tragedie,
dRammi
Opere
Portano
In
aLto
Ideali
sEmicerchio
Singolare
comprEnde
corriDoi
tRa
Archi
32 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Particolare
Residenza
Inspiegabilmente
Originale
Racconta e
rIcorda
d’Annunzio
Noi
Per
immAginiamo
Un
avVenture
Grande
mEravigliose
Lontano
Indimenticabile
viaggio
Maroni
Aveva
Uno
Schizzo per
tOmbe
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Originali
Fra
Dominano
l’Ombra
DonnainsiEme
uN
E
La
TorrentedeLfino
Fontana
Alimenta
Invitando
laNciare
Nuova
AcquasOldini
Continuando le nostre visite al Vittoriale, gli alunni hanno scoperto i giardini privati
attraverso una “caccia al tesoro” ideata con gli alunni che,qualche anno fa, avevano
partecipato al progetto”Sulle orme dei collezionisti”. Hanno così potuto conoscere i
luoghi che caratterizzano i giardini e realizzare altri acrostici.
MAPPA DEI GIARDINI PRIVATI
B1. Ingresso Fontana circolare
C3. D3. Limonaia
C1. Portico del Parente Arco con scritta in latino
D3. D4. Terrazza dell’oca
A2. Pilo della Reggenza
A4. Cimitero dei cani
B2. Statua di San Francesco
B4. Tomba di Renata
B2. C2. Massi del Piave
C4. D4. Giardino all’italiana
D2. Arengo
B5. C5. D5. Frutteto
A3. Porta ad arco Serra
B6. C6. D6. Frutteto
B3. Colonna Marciana
Piazza
Due
Interna
Auto
dAvanti
Lussuose,
AbitaZione.
Mentre
D’AnnunZiogArdonesi
parchEggiavasTupiti,
abiTualmente Ammiravano!
Tipo 4 e
IsottA
33 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 5 Ora Museo! Ma prima…?
gabriele
possano
indica
realizzarsi:
a
in
maroni
viali,
dove
arengo,
i
tombe
nuovilimonaia
schizzi
GRANDE
IMMENSA
VARIETà DI
ARBUSTI.
D’ANNUNZIO
RICERCA
NUOVE
ISPIRAZIONI
progetto 5 Ora Museo! Ma prima…?
Guardate!
Innumerevoli
Azalee
Rose Dai
Profumi
Inebrianti
INVITANO A
PASSEGGIANDO
TRA
SENTIERI,
VIALI,
STATUE.
TUTTO
INCREDIBILE!!!
Passeggiare
Tra
I
Viali
Ammirando
Tanti
Fiori
GALANTI
INVITI
A
RAGAZZE E
DONNE IMPORTANTI.
NUMEROSI
i
PIATTI
raFFINATI
SUI
VASSOI
ARGENTATI.
PORTICO
GREMITO!!
GABRIELEPER
INSIEME
RICERCARE
AI
MARONI
VARI
DISCUTONO ANGOLI DEL
DI
TUTTO
NUOVE
INSOLITI
IDEE
A questo punto del lavoro i bambini avevano ormai una conoscenza globale del
“loro” Vittoriale e avevano potuto verificare se le ipotesi che avevano formulato
all’inizio della ricerca fossero più o meno confermate.
Rimaneva da verificare cosa originariamente ci fosse in quel luogo prima che
diventasse Vittoriale.
Le loro ipotesi erano state:
In quel luogo prima c’era…
• Un ospedale di guerra
• Una grande piazza dove c’era stata una battaglia importante
• Una casa dove si riunivano generali,colonnelli per decidere il da farsi sulla
guerra
• La croce rossa
• Il ritrovo di combattenti
• Il municipio di Gardone
• Una pista d’atterraggio per gli aerei
34 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
A questo punto il nostro lavoro si è accentrato proprio su questo tema, da qui il
titolo del progetto: Ora museo, ma prima…?
A riguardo sono state fornite alcune notizie storiche:
Il Vittoriale degli Italiani, così Gabriele d’Annunzio definì la Casa-Museo che
l’avrebbe ospitato negli ultimi anni della sua vita,occupa un terreno molto vasto in
cui si trova un complesso di edifici, tra cui il Museo D’Annunzio eroe, gli Archivi, le
Biblioteche e il Teatro, piazzette, viali e fontane, rappresentando non semplicemente
una dimora, ma un vero e proprio museo in cui sono contenute reliquie, ricordi,
oggetti preziosi.
Nel gennaio del 1921, D’Annunzio,terminata l’impresa di Fiume, si trovò
praticamente senza casa. Fu ospitato in casa di amici e, nel frattempo, incaricò
l’amico Tom Antongini di cercargli una casa sul lago di Garda.
“Sono desideroso di silenzio dopo tanto rumore, e di pace dopo tanta guerra”. La scelta cadde sulla villa Cargnacco, a Gardone Riviera: immersa nel verde, su
un illustre tedesco studioso d’arte che fu costretto ad abbandonare la sua residenza
italiana. Era una costruzione simile alla casa di un parroco e per questo D’Annunzio
la chiamerà “Prioria”. Sorgeva all’incrocio di tre strade campestri:una conduceva a
“Gardone Soprano”, l’altra a Fasano Sopra (l’attuale viale Aligi) e un’altra scendeva
verso il lago, in direzione dell’attuale Casinò. A sinistra della costruzione c’erano una
macina per le olive e una legnaia, di fronte al lavatoio.
D’Annunzio visitò la casa e ne fu subito colpito:
Hic manebimus optime (“Qui starò ottimamente”) affermò il poeta che, stipulato il
contratto d’affitto per 600 lire al mese andò ad abitarci il 14 febbraio 1921. L’intenzione iniziale era quella di un breve soggiorno ma, poco dopo, si delineò
il proposito di acquistare la villa: d’Annunzio, dall’indole irrequieta e itinerante,
non aveva mai abitato una casa di proprietà e il 31 ottobre 1921, per la somma di
130.000 lire, entrò in possesso della casa.
Oltre alla villa, con i rustici annessi, d’Annunzio entrò in possesso anche dei circa
seimila volumi della biblioteca di Thode, mobili, tra cui un pianoforte, quadri e
suppellettili.
Successivamente acquistò anche i terreni vicini, costituendo una vera e propria
cittadella fortificata.
L’aspetto della sua nuova residenza contrastava fortemente con il lusso e le
stravaganze del poeta: la villa del Cargnacco era una semplice casa di campagna,
che bisognava stodeschizzare e che aveva la necessità di interventi di manutenzione.
Dapprima soprannominata Eremo, in seguito prese il nome che conserva tuttora
di Prioria. La modificò e la arredò secondo i suoi gusti.
Nei giardini della Prioria, d’Annunzio allestì, in un boschetto di magnolie, un luogo
per le riunioni con i legionari: scanni in pietra in circolo, un trono e tra i fusti degli
alberi diciassette colonne simboleggianti le vittorie della guerra. Il poeta chiamò quel
luogo con il nome di Vittoriale ma, ben presto, il luogo di raduno muterà il suo
nome in Arengo.
D’Annunzio aveva bisogno di denaro per compiere l’opera che man mano prendeva
corpo nella sua mente: costruire attorno a sé una città-museo dove poter esaltare le
proprie imprese,continuando a vivere nell’agiatezza e nel lusso.
Decise allora di donare il Vittoriale in cambio delle risorse necessarie alla sua
realizzazione: maggiori contributi avrà, più grandioso sarà il dono.
Inciso sul frontone all’ingresso del Vittoriale, tra due cornucopie, il motto: “Io ho quel che ho donato”.
35 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 5 Ora Museo! Ma prima…?
progetto 5 Ora Museo! Ma prima…?
Il 22 dicembre 1923 il Vittoriale venne donato allo Stato Italiano e diventò
Monumento Nazionale.
La stipula dell’atto che dichiarò la donazione del Vittoriale allo Stato, garantì il
finanziamento necessario alla sua costruzione: prese dunque avvio la Fabbrica, subito
qualificata come” Santa” da d’Annunzio, il quale si avvalse del giovane architetto
Gian Carlo Maroni, battezzato ‘Maestro delle pietre vive”.
La casa si arricchì di statue, tappeti, stemmi, soprammobili, oggetti preziosi e non, e
per ogni stanza creò un nome diverso.
Poi si occupò degli esterni: nascono giardini, viali, fontane, vallette che si popolavano
di statue e di trofei di guerra
Ogni luogo ha un nome diverso, alcuni ricordano la tradizione marinara;
D’Annunzio amava farsi chiamare”Comandante”
I lavori continuarono anche dopo la morte del poeta, fino al 1950, prendendo
l’aspetto attuale. Ascoltata la storia i bambini hanno liberato la loro fantasia e,
attraverso il disegno, hanno immaginato il luogo occupato oggi dal museo.
Nel gennaio del 1921, D’Annunzio incaricò l’amico Tom Antongini di cercargli
una casa sul lago di Garda. La scelta cadde su Villa Cargnacco immersa nel verde,
su un colle terrazzato, tra un uliveto e una limonaia, era di proprietà di Henry
L’Architetto Gian Carlo
Maroni
Dal momento in cui D’Annunzio
si stabilì a Gardone, attraverso
fotografie d’epoca, si è cercato di
ricostruire le tappe della
“Fabbrica del Vittoriale”.
Il 31 ottobre 1921 D’Annunzio
acquista Villa Thode, con annessi
rustici; la casa colonica allora abitata
dal sindaco del paese e situata poco
più giù quasi dirimpetto alla villa;
la casa del giardiniere ancora più giù
sulla strada di Cargnacco, verso il lago.
Quando D’Annunzio, stabilito già a
villa Cargnacco, decise di assumere un architetto che lo aiutasse a “tradurre
in pietre vive” ciò che lui aveva in mente, i bambini hanno immaginato
l’incontro tra il poeta e l’architetto.
Thode, illustre tedesco studioso d’arte che fu costretto ad
abbandonare la sua residenza italiana.
La villa era una costruzione simile alla casa di un
parroco e per questo D’Annunzio la chiamerà “Prioria”.
Sorgeva all’incrocio di tre strade campestri. A sinistra
della costruzione c’erano una macina per le olive e una
legnaia, di fronte un lavatoio.
Dalla fase” artistica” i bambini sono poi passati a quella
narrativa, immaginando l’amico Tom Antongini
indaffarato a “cercar casa al poeta”.
36 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
– Bel posto. Non è niente male – pensava D’Annunzio osservando il luogo
dove viveva da alcuni mesi.
– Buona scelta. Tom mi è stato di grande aiuto, ma vorrei dare a questo
luogo “qualche ritocco!” Non posso fare tutto da solo, qualcuno mi dovrebbe
aiutare…
Ah,adesso ricordo!… da qualche parte ho conservato il nome di un architetto
di cui mi hanno parlato bene!
Mattoni? Marconi Mosconi?!
D’Annunzio fra la marea delle sue scartoffie trova un biglietto…
– Ecco, Maroni, è proprio lui che cercavo! Fisso subito un appuntamento!
Dopo alcuni giorni l’Architetto arriva a Gardone e D’Annunzio lo riceve.
– Piacere, sono l’Architetto Maroni e per me è un vero onore conoscerla – esclama
37 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 5 Ora Museo! Ma prima…?
Maroni porgendo la mano a D’Annunzio.
– Onore mio! Ho sentito parlare molto
bene di lei, so che ha idee originali! Vorrebbe
lavorare per me?
Maroni chiede:
– Ma che lavori intende fare? Qui mi
sembra già tutto molto bello, anzi perfetto!
– “I soliti campagnoli” sospira D’Annunzio.
– Io sono un tipo creativo, originale e vorrei
trasformare questo luogo, un po’ modesto
per i miei gusti, ma mi serve il suo aiuto!
– Accetto la sfida – esclama Maroni – ma non mi
deve più chiamare “campagnolo” – aggiunge un po’
risentito!
– Allora mettiamoci al lavoro!
– L’avverto però,s ono molto esigente, un po’ pignolo
e mi piace fare di testa mia!
Maroni pensa:
–Mi starò cacciando in un mare di guai?…
Questo scrittore mi sembra un tipo estroso e
anche capriccioso! Pignolo è dir poco!
Forse non è stata una buona idea accettare subito!
– Signor D’Annunzio con quali lavori vorrebbe
iniziare? –
chiede l’Architetto.
– Ah, non c’è che l’imbarazzo della scelta! Demolire
qualche edificio,abbellire il giardino, realizzare un
bell’ingresso alla mia residenza, sistemare le stanze
della casa… trovarmi una bella donna… (scherzo
In questa pagina
eh, ne ho già a sufficienza)… costruire un teatro…
dall’alto, una vecchia
Maroni tra sé:
fotografia di Gardone.
– Caspita, ma questo vuole scherzare, sarà un’impresa che mi
Sopra e del Cargnacco.
occuperà
per
anni!! Speriamo almeno di essere pagato abbondantemente.
Casa del sindaco, quasi
D’Annunzio continua:
fronteggiante la villa,
demolita per far posto ai – Poi vorrei creare tanti viali, luoghi rilassanti e
loggiati dell’Esedra.
particolari in ricordo alla guerra e alle Vittorie, per
Villa Tthode (Prioria).
questo chiamerò questo luogo “Vittoriale”. Maroni conclude :
Cortile villa (oggi cortile
– Allora, si parte! Si dia inizio alla
degli Schiavoni).
“Fabbrica del Vittoriale”!
Schizzi per la
sistemazione della
Piazzetta dalmata.
In basso a sinistra,
il Casseretto.
Per la trasformazione degli interni ed esterni
del Vittoriale, D’Annunzio fu affiancato da un
pazientissimo architetto trentino di Arco, Gian
Carlo Maroni, che si stabilì nel Casseretto sede della
direzione dei lavori della “Fabbrica del Vittoriale”.
Con lui D’Annunzio tenne una fitta corrispondenza
fatta di messaggi, bigliettini, schizzi, con i quali il
poeta dava le sue disposizioni o chiedeva consiglio
all’architetto. Maroni continuò i lavori del Vittoriale
38 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 5 Ora Museo! Ma prima…?
La villa vista dai giardini
privati. D’Annunzio fu
affascinato dall’ampio
giardino a terrazze,
ideale per lunghe
passeggiate con i suoi
amati levrieri.
Lettera di D’Annunzio
(che spesso si firmava
Gabriel) a Maroni
anche dopo la morte di D’Annunzio e fu sepolto nel Mausoleo. Nelle tappe
della costruzione del Vittoriale, i nostri alunni si sono divertiti a scrivere dei
testi nei quali immaginavano i vari momenti in cui D’Annunzio e Maroni
completavano la “Fabbrica del Vittoriale”.
Nave Puglia
D’Annunzio ebbe un’idea: modificare una delle sue colline per insediarvi la nave
Puglia (perché la Marina militare gliel’aveva generosamente regalata). Chiese
suggerimento all’architetto Giancarlo Maroni come fare a portare la nave Puglia
fino al Vittoriale.
– Oh mio saggio amico! – domandò – come possiamo
posizionare la nave Puglia sul promontorio della Fida ?
Sperduto e un po’ sconsolato per l’insolita richiesta,
l’architetto Maroni rispose:
– So che a te piacciono le imprese azzardate… ma
abbiamo già qui il Mas! Ma D’Annunzio testardo
continuò:
– Potremo trovare il modo per farci stare anche la nave
Puglia! Potremo portarla con dei vagoni ferroviari fino
a Brescia, caricarla a pezzi su speciali camion e arrivati al
Vittoriale rimontarla, posizionarla con le gru giganti che ci
prestano i cantieri navali di Marghera, dove conosco alcuni
ingegneri…
Al sessantatreesimo compleanno di D’Annunzio arrivò
la nave Puglia trasportata su venti vagoni ferroviari non a
Brescia, ma a Desenzano e da lì con i camion e le gru di
Marghera la posizionarono su altri camion giganteschi.
I pezzi della nave, senza disguidi ed incidenti, arrivarono a
Gardone Riviera.
– Noi adesso possiamo costruire una funivia e portare i vari
39 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 5 Ora Museo! Ma prima…?
progetto 5 Ora Museo! Ma prima…?
pezzi della nave al Vittoriale, così da poterla montare!!-disse D’Annunzio – e, vedrai
che meraviglia, tutti la vorranno vedere…!
Poi tutto funzionò alla perfezione e la nave Puglia venne posizionata sul
promontorio della Fida!!
Alla fine dei lavori D’Annunzio salutò tutti gli operai e disse a Maroni:
– Caro architetto, un po’ più di fantasia avrebbe condito meglio la nostra impresa,
eppure anche così sono soddisfatto!
E Maroni pensò:
– Ma questo comandante oltre che essere originale, fantasioso e… a volte
rompiscatole, non è mai contento! (Siegfried )
Sarà un teatro all’aperto, enorme, come quelli greci! Tanto qui di spazio ce n’é a
volontà!
– Ma cosa ci farà in quel teatro!?
– Tu pensa a progettarlo che io ho già le mie idee! Ti do una settimana di tempo per
andare a vedere alcuni teatri e prendere spunto!
– Una settimana è un po’ troppo poco, però farò del mio meglio! Lei Comandante
ha sempre ragione!
Nel 1930 D’Annunzio manda Maroni con lo scultore Brozzi a visitare il teatro di
Pompei e Taormina e nel 1934 inizia la costruzione del Teatro , concluso dopo varie
interruzioni nel 1953.
La prua della nave Puglia, regalata dalla Marina Militare, fu trasportata in 20 vagoni
ferroviari fino a Desenzano e poi su autocarri fino a Gardone, dove venne costruita
una teleferica per trasferire i pezzi al Vittoriale.
Mausoleo
Mentre passeggiavano lungo il Viale
Aligi, D’Annunzio disse a Maroni:
– Ascolta, voglio già progettare la mia
tomba… saresti disposto a farmi un
progetto?
Maroni tutto perplesso per questa nuova
iniziativa con sicurezza affermò:
– Ma certo! Gabriel puoi contare su di
me!
D’Annunzio iniziò:
– Non vorrei una semplice tomba ma la
vorrei così e cosà… e vorrei anche che
fosse “vista lago”.
– Sì…ho capito, lei non vuole una
tomba come le altre, ma vuole una
tomba dentro un masso di pietra che si
veda anche da lontano.
– Lei ormai mi capisce al volo!
– Domani avrò pronto il progetto! – esclamò Maroni.
L’indomani D’Annunzio accolse l’architetto:
– Buon giorno Maroni, allora è pronto il progetto?
– Certo! Allora le va bene avere undici amici che la
circondano, anche loro con la bara dentro la pietra, e lei
al centro… avrà la vista lago come voleva, allora le piace
sì o no?
– Va bene il progetto mi piace. Accetto, sei un vero architetto! Mi sa che
anche da morto ti vorrò vicino!
Maroni gli lancia un’occhiataccia, mentre dietro la schiena fa le corna per
scaramanzia! (Allegra)
Teatro
Un giorno Maroni ricevette un biglietto da D’Annunzio.
– Guai in vista! sento puzza di bruciato! Mi sa che ha escogitato qualcosa di nuovo!
Maroni apre la busta e legge:
“Caro Giancarlo, vorrei un posto dove far conoscere le mie opere. Vieni da me alle
17 in punto! Gabriel”
–Lo sapevo, pensa sempre in grande! Abbiamo appena finito la Prioria, l’Esedra, la
nave Puglia e adesso… che vorrà ancora?!
Maroni si recò da D’Annunzio con aria sospetta...
– Eccomi qua, cosa desidera Comandante?
– Sai ,Giancarlo, è da un po’ che mi frulla per la testa di avere qui nella mia cittadella
un bel teatro…
– Mmh, bella idea! dove potremmo farlo? Nella Prioria le stanze sono un po’ piccole
… ma D’Annunzio subito lo interrompe:
– Ma no, cosa sta dicendo?! Non voglio un teatro sempliciotto da oratorio.
40 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Un colle, che fu poi chiamato Mastio, venne spianato e iniziarono i lavori per la
costruzione del Mausoleo che fu concluso nel 1955. La città di Vicenza nel 1932
donò al Vittoriale undici arche romane che furono disposte circolarmente. C’è
anche la tomba dell’architetto Giancarlo Maroni.
La salma di d’Annunzio fu trasferita dal Tempietto delle memorie al Mausoleo nel
1963.
41 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 5 Ora Museo! Ma prima…?
progetto 5 Ora Museo! Ma prima…?
Come gli abitanti di Gardone hanno accolto l’arrivo di D’Annunzio
nel nostro paese
Conclusa la parte riguardante la “Fabbrica del Vittoriale” i bambini erano incuriositi
di come gli abitanti di Gardone avevano vissuto l’arrivo di un personaggio così
famoso, hanno cercato alcune testimonianze tra i loro nonni nativi di Gardone.
Cercavano qualcuno che ricordasse se i loro genitori raccontavano qualcosa riguardo
D’Annunzio, ma hanno saputo ben poco.
- Il nonno di Mattia ha ricordato che un suo zio era stato assunto nel 1922 da
D’Annunzio con mansione di giardiniere, doveva coltivare l’orto e badare ai
cani, tutti levrieri che spesso gli rovinavano l’orto, gli prendevano le scarpe e
gli rosicchiavano le giacche. D’Annunzio era molto contento dell’ operato del
giardiniere e ogni tanto lo omaggiava con piccole offerte e ringraziamenti scritti,
dove il poeta chiamava Pietro, il giardiniere, “fra Pierolino di san Damiano. San
Damiano frate benedettino, prega e lavora!
- Un’ altra persona ci ha detto che D’Annunzio raramente si faceva vedere a
Gardone. Usciva dal Vittoriale in auto e riceveva molte persone importanti.
Aveva un farmacista ed un medico personale.
- La nonna di Giulia ci ha detto che D’Annunzio era un uomo interessante e che
aveva tante ammiratrici.
- La nonna di Francesca non ha conosciuto D’Annunzio, ma ricorda la moglie la
principessa di Montenevoso.
il complesso monumentale hanno pensato
che in quel luogo in origine ci fosse:
- Un castello circondato da una rigogliosa
vegetazione, la quale nascondeva l’edificio
da eventuali attacchi.
- Luogo di avvistamento di nemici
- Villa abitata da persone nobili
Dopo aver visitato la casa ed ascoltato le
spiegazioni della guida, i bambini hanno
tradotto le informazioni in disegni,
arricchendoli anche con la fantasia.
L’antica rocca con casa.
Caserma proprietà del demanio austriaco
Edificio abbandonato in cui trovavano riparo
i poveri.
Questo il percorso didattico attuato per conoscere la trasformazioni del luogo in
cui sorge il Vittoriale. Contestualmente al lavoro sul monumento locale, i bambini
hanno visitato la Casa del Podestà a Lonato e il Museo Santa Giulia a Brescia.
Il tema di “cosa c’era prima”, delle origini storiche, ha riguardato anche gli altri
due musei, anche se le attività svolte sono state notevolmente ridotte rispetto al
Vittoriale.
Del Museo S.Giulia i bambini sapevano solo che c’erano reperti storici che avevano
visto di sfuggita in occasione della visita ad una mostra di pittura.
Le ipotesi riguardo a quel luogo sono state che prima c’era:
- una chiesa o un duomo.
- la dimora di una regina e della sua corte.
- una piazza intitolata a Santa Giulia che era la protettrice della città.
- un riparo per i senzatetto.
- un orfanotrofio.
- una casa romana.
- Il luogo dove una donna è stata torturata ed uccisa e poi è diventata santa.
Della Casa di Ugo Da Como i bambini non avevano nessuna conoscenza. Vedendo
Anche per questo museo, dopo la visita e le informazioni della guida, i bambini
hanno rappresentato le trasformazioni storiche del complesso monumentale:
42 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
43 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 5 Ora Museo! Ma prima…?
- centro storico dell’antica Brixia
Romana.
- Terme per la nobiltà.
- Invasioni barbariche durante le quali
tutto venne distrutto.
- Monastero benedettino costruito nel
753 D.C. dedicato a S. Giulia voluto da
Re Desiderio e sua moglie.
A conclusione di questo lavoro che i
bambini hanno trovato impegnativo,ma
anche divertente, abbiamo riproposto
una mappa ( non finalizzata al progetto)
che inizialmente era stata realizzata sulle
differenze tra “monumento” e “museo
Percorsi didattici
Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Scuole secondarie
Per noi un monumento è….
- Luogo che una volta era una casa, un castello ed è diventato simbolo di un paese.
- È qualcosa che è rimasto come è stato trovato.
- Vecchia casa abitata da persone importanti del passato.
- Può essere una statua o un luogo.
- Simbolo significativo per una città.
Per noi un museo è….
- Luogo pubblico dove le persone possano ammirare oggetti del passato.
- Luogo dove vengono esposti gli oggetti importanti di una città.
- Esposizione di quadri e opere d’arte.
- Può essere una casa non abitata.
- Luogo per ricordare la vita di qualcuno.
Rileggendo la mappa gli alunni si sono resi conto che le ipotesi che loro avevano
formulato potevano trovare riscontro nei tre musei considerati , poiché tutti sono
Luoghi che conservano oggetti antichi, preziosi da vedere e conoscere.
Questi importanti musei hanno avuto un’origine diversa, i luoghi in cui sono sorti
si sono modificati, sicuramente cambieranno ancora e in futuro, forse, potrebbero
non esistere più. Ci auguriamo che questo non accada mai. È nostro compito,
proprio attraverso un lavoro di ricerca e di studio, far conoscere e tutelare i nostri
patrimoni culturali ed artistici locali.
44 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
45 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 6 Come le tre dimore divennero museo
Chi e dove Classi coinvolte Docenti referenti
Scuola secondaria di primo grado Lana Fermi – Brescia
Seconda E
Dora Tartaglia, Iolanda Piantoni e Roberta Guaita
progetto 6
Come le tre dimore
divennero museo
Il Vittoriale degli Italiani
Subito dopo il suo ritorno da Fiume, occupata e governata per quindici gloriosi
mesi, Gabriele D’Annunzio incarica i suoi amici di trovargli una casa nella zona
dei laghi lombardi. La scelta cade su un’abitazione immersa nel verde, affacciata sul
Garda tra un uliveto ed una limonaia, requisita come risarcimento per i danni di
guerra allo studioso tedesco Heinrich Tode e scovata dall’amico e segretario, nonché
biografo Tom Antongini.
Questi, dopo aver scartato la vicina Villa Alba, “pomposa parodia del Partenone” ed
il fasto umbertino di Villa Zanardelli, rimane colpito da “un’onesta e modesta casa
di campagna” per il giardino di azalee, viole, garofani, fresie – ma soprattutto rose –
ideale per un poeta.
All’interno della casa elementi di seduzione per D’Annunzio, uomo colto e amante
dell’arte, una stanza tappezzata di volumi dal pavimento al soffitto ed un grande
pianoforte a coda appartenuto a Franz Liszt.
La villa di Cargnacco, da rifugio appartato e provvisorio, diviene così la dimora
definitiva del Poeta e la casa di campagna si trasforma nel Vittoriale. Subito
affittata e ben presto acquistata, la proprietà è affidata per la ristrutturazione a Gian
Carlo Moroni, architetto giovane ed ex combattente: il suo compito immediato
è “stodeschizzare” la villa per dirigere poi la “Santa Fabbrica” del Vittoriale. L’atto
di donazione di questo agli Italiani è del 1923 e i lavori si susseguono nei giardini,
nella casa chiamata Prioria e nel nuovo ampliamento detto, sempre dal Poeta,
Schifamondo. A Maroni il difficile compito di accontentare e di far coabitare il
collezionista avido di oggetti, ‘l’artista estroso che vuole imprimere in ogni cosa
la sua impronta, il soldato che intende affidare al Vittoriale la memoria delle sue
imprese e della vittoria italiana nella Grande Guerra.
I lavori per allestire ogni angolo, gli arrivi degli oggetti da collocare – dalla piccola
statuetta alla prua della Regia nave Puglia (venti vagoni ferroviari per trasportarla) –
proseguono anche dopo la morte di Gabriele D’Annunzio, avvenuta il primo marzo
del 1938.
La casa del Podestà
Per il Vittoriale il passaggio da dimora a museo è, nonostante la grande mole di
lavori, abbastanza semplice e naturale. Un poco più vivace la storia della casa del
Podestà. Costruita quando Lonato entra a far parte della Repubblica di Venezia,
è la dimora per oltre trecentocinquant’anni del rappresentane di San Marco sul
territorio. Quando, con l’arrivo di Napoleone, Venezia è ceduta all’Austria la
casa diventa una caserma ed il degrado dell’edificio non si arresta con il passaggio
all’Italia, quando il comune di Lonato la utilizza come alloggio per i poveri.
Nel 1906 l’avvocato e deputato liberale Ugo Da Como la acquista ad un’asta:
il suo disegno è di far rivivere, nell’architettura e negli arredi, la dimora storica
cinquecentesca e di abitarla personalmente, trasformandola in una casa-museo dove,
soprattutto negli ultimi anni, vivere e lavorare.
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progetto 6 Come le tre dimore divennero museo
progetto 6 Come le tre dimore divennero museo
Il compito del restauro è affidato a Tagliaferri, famoso architetto bresciano
specializzato nel ricreare, per i suoi committenti, l’atmosfera “storica” del passato. Il
Senatore, col tempo, completa la sua proprietà acquistando la rocca visconteo-veneta
che sorge alle spalle della casa ed alcune abitazioni ai suoi piedi, con lo scopo di
salvare la memoria storica dell’antica “cittadella” lonatese.
Alla sua morte, nel 1941, le proprietà con la grande Biblioteca – ricca di oltre
trentamila volumi – viene lasciata alla Fondazione, un ente creato per promuovere e
sostenere la cultura.
nel 1830 la chiesa di S. Maria in Solario è cella per i condannati a morte e durante
le Dieci Giornate ha sede vengono ricoverati e curati i feriti. Ormai unito al
Regno d’Italia, il Comune prende in affitto le tre chiese, che vengono usata come
magazzini; solo nel 1882 viene allestito dal Tagliaferri, nella chiesa di S. Giulia, il
Museo dell’Età Cristiana. Il convento intorno, purtroppo, quando cessa di essere
caserma diventa sede della polizia, offre poi una sede ai Balilla e un tetto temporaneo
agli sfollati dell’Africa Orientale.
Finita la guerra, in alcuni locali fanno lezione gli alunni della scuola media Ugo
Foscolo e nell’ortaglia del monastero l’affittuaria società Bettini costruisce campi da
tennis.
Bisogna giungere al 1977 perché il professor Emiliani e la Direzione dei Musei
preparino un piano per la sistemazione di tutto il complesso come sede del Museo
della Città.
Notizie raccolte e rielaborate dagli “storici” Martina, Oscar, Zeenat, Alessandro L.
e Andrea.
Il monastero di S. Salvatore e S. Giulia
Ancora più lungo e avventuroso è il percorso da dimora a museo del monastero
benedettino di S. Giulia a Brescia, divenuto ora Museo della Città.
Sopra i resti delle domus romane, sopra le tracce delle primitive capanne
longobarde, affacciato sull’antico decumanus maximus e in prossimità della porta
per Verona, viene fondato nel 753, per volontà del re longobardo Desiderio, il
convento femminile di S. Salvatore. Nel 763 vengono trasportate qui dall’isola
Gorgona le reliquie della martire cartaginese S. Giulia ed il luogo, divenuto meta di
pellegrinaggi, aggiunge al nome primitivo quello della santa.
Per oltre mille anni il monastero attraversa la storia della nostra città, alternando
Qualcosa in comune?
Cosa può mai accomunare la storia di tre dimore così diverse, abitate poi da persone
così lontane tra loro, un estroso artista eroe di guerra, un senatore del regno d’Italia
colto e saggio, delle monache benedettine dedite alla preghiera?
Nella storia delle case ci sono, è vero, alcuni punti di contatto. D’Annunzio ed il
Senatore hanno dato vita a due case- museo ( luoghi per viverci ma destinate ad
essere lasciate ai posteri) situate entrambe sulle colline moreniche che circondano il
lago di Garda. Un momento comune nella storia della Fondazione di Lonato e del
Monastero bresciano è l’uso, dopo l’arrivo di Napoleone, degli edifici come caserma
e come rifugio per senzatetto, con il conseguente loro degrado.
C’è però qualcosa di più profondo che lega le tre dimore: sono il luogo che i
loro abitatori scelgono per appartarsi dal mondo. D’Annunzio definisce la sua
casa sul Garda “eremo” e le dà il nome di Prioria, Ugo Da Como dichiara sulla
porta d’ingresso di voler lasciare fuori dalla casa il “duro vivere”, confortato da
quiete e dagli amici, e non c’è bisogno di spiegare come allontanino dalla vita
secolare le mura di un convento di clausura. Sulla porta della Prioria compaiono
proprio le parole “silentium” e “clausura”, e la biblioteca del Senatore assume
la forma di una chiesa per sottolineare il carattere sacro della vita dedicata alla
cultura.
Tutte le dimore non sono però luoghi per fuggire il mondo; il loro compito è,
invece, lavorare per il mondo, trasmettere agli uomini che vivono e vivranno di fuori
i Valori sacri ai loro abitanti, l’arte e l’eroismo per D’Annunzio, la storia e la cultura
per Ugo Da Como, la salvezza e la vita eterna per le monache di S. Giulia.
Andiamo per musei
momenti di fervore spirituale ad altri di minor rigore morale, affiancando alla
preghiera l’assistenza ai bisognosi e interpretando, soprattutto nel Medioevo, un
importante ruolo economico e politico.
Nel 1798, all’arrivo di Napoleone, il monastero viene soppresso e le monache
ricevono l’ordine di sloggiare entro venti giorni. Le proprietà dell’ordine vengono
messe all’asta e gli edifici, sia sotto i Francesi che sotto gli Austriaci, passano al
demanio e sono usati come caserma.
Nel tempo si susseguono utilizzazioni non sempre adatte ad un luogo consacrato:
Nel rifugio del Poeta-Soldato
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49 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
L’impressione più viva, camminando nei giardini del Vittoriale , guardando il lago e
le verdi colline, è di armonia e di pace. Eppure, accanto alla statua di S. Francesco,
non lontano dalla tomba dove riposa la figlia dal Poeta chiamata “Sirenetta”, ci sono
i massi del Grappa e del Sabotino, ci sono i proiettili di una guerra sanguinosa. Il
nostro ideale accompagnatore, il solito Antongini, ci invita, per superare questa
contraddizione, a leggere le parole sull’arco d’ingresso della Prioria, non a caso
progetto 6 Come le tre dimore divennero museo
decorata con due Vittorie: “Sia pace a questa casa. Spirito di vittoria dia pace a questa
casa d’uomo prode”.
Ci vien mostrata anche la scritta che in un primo momento ci era sfuggita, l’ultimo
verso aggiunto dal Poeta al Cantico delle creature di S. Francesco: “E beati quelli ke
morranno a buona guerra”.
Qualcuno ha definito la salita fino al Mausoleo, dove riposa D’Annunzio, una Via
Crucis laica: noi ne cerchiamo e seguiamo le stazioni. Possiamo partire
dal pilo della reggenza del Carnaro, passare presso i massi dei monti
dove sono stati più aspri i combattimenti della Grande Guerra, e ci
fermiamo presso l’Arengo. In un boschetto di magnolie, dei sedili in
cerchio ci indicano dove D’Annunzio riuniva i suoi compagni d’arme
nell’avventura fiumana per rinnovare il giuramento di fedeltà alla
patria. Intorno, diciassette colonne simboleggiano le battaglie vittoriose
nella prima guerra mondiale. Più scura, la colonna di Caporetto: noi
associamo a questo nome una disastrosa ritirata dell’esercito italiano, ma
per il Poeta era il punto di partenza per la riscossa. Sopra, in un’urna,
una reliquia laica, la terra del Carso.
Più in alto, lungo il percorso che termina al mausoleo, la radura dove
sgorga l’acqua della Fontana del delfino potrebbe sembrare solo un
fresco luogo di bellezza, ma lì accanto è stato posto l’obice usato nella
Grande Guerra.
Salendo ancora la prua della nave Puglia è rivolta verso l’Adriatico e
Fiume. È stata donata, una volta in disarmo, per onorare la memoria
delle imprese dannunziane ma commemora un evento doloroso, la morte del
comandante nel mare di Spalato durante i gloriosi giorni dell’impresa fiumana, che
continuamente ritorna.
All’ultimo anno della guerra contro l’Austria risale invece la beffa di Buccari,
una temeraria impresa nella quale D’Annunzio con alcuni compagni penetrò
nella guarnitissima baia nemica: la ricorda, nella penultima “stazione” del nostro
progetto 6 Come le tre dimore divennero museo
ideale pellegrinaggio, il MAS 96, motoscafo antisommergibile, la cui sigla è stata
reinterpretata dal Poeta per ricordare il dovere di osare sempre, fino al sacrificio.
La nostra Via Crucis termina al Mausoleo: là, nel punto più alto, chiamato
dall’architetto Maroni “Colle Santo”, riposa D’Annunzio, circondato da dieci
compagni d’arme, che hanno vissuto con lui la sfortunata ma eroica impresa di
Fiume. Qui , al culmine di una salita, ci viene recitata una breve ode di Simonide
non da Antongini ma da una nostra insegnante – che riesce a “ficcarla” un po’
dovunque – che parla della Virtù e dell’Eroe.
È fama
che abiti la virtù su impervie rupi
e che di ninfe veloci la circondi
un coro; ad occhi mortali cela il volto.
Solo appare all’eroe cui, nell’attesa
-fin che alla vetta giungal’animo morda l’ansia della meta.
A questo punto, però, la fine del percorso ed il panorama richiedono una foto di
gruppo prima della discesa verso la casa, dove un gruppetto di nostri compagni sarà
condotto a visitare l’interno della Prioria.
Il percorso fino al mausoleo è stato compiuto dagli “eroici” Michele M, Michele R,, Luisa,
Davide e con Grazia.
Nella casa l’atmosfera è diversa: la nostra guida, Antongini, non esita a definirla
“opprimente”. Le stanze, non grandi ma nemmeno tanto piccole, unite da stretti
corridoi sembrano sostenere una lotta per contenere “il cumulo degli oggetti,
dei libri ornati, dei ninnoli più impensati, delle stoffe più rare, dei cuscini più
imprevedibili…”. Ci spiega che lo stesso Comandante – così lo chiama – un giorno
gli aveva confidato di voler costruire un bar per quando doveva ricevere i veterani di
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progetto 6 Come le tre dimore divennero museo
guerra, che non potevano muoversi nelle stanze, piene come erano di oggetti d’arte e
di cose che potevano cadere e rompersi.
Ma ci racconta anche che D’Annunzio era solito illustrare ogni cimelio e sapeva,
“con la potenza inimitabile e suggestiva della sua parola”, creare un’atmosfera
di passione e di gloria che quasi impedivano ai visitatori di crearsi un giudizio
autonomo e spassionato sulla disposizione degli oggetti.
La conclusione di Tom Antongini, che ci sembra di condividere in parte, è che
“chi entra nel Vittoriale entra nella dimora di Aladino, delle Mille e una Notte.
Uscendone, dopo qualche ora, ha la sensazione di svegliarsi, non sa bene se da un
sogno o da un incubo, e, nove volte su dieci, gli sarebbe impossibile descrivere quel
che ha visto“.
Noi , comunque, siamo rimasti stupefatti e affascinati. Come
esempio di questa ricchezza e preziosità da fiaba orientale
abbiamo scelto una stanza dove è ancora più strano trovare
più di novecento oggetti, il Bagno blu. La stanza è illuminata
dalle mattonelle smaltate appese alle pareti nelle quali prevale
il colore azzurro, come pure nella leggiadra vetrata degli
Aironi. Ci sono preziosi oggetti da toeletta in avorio e argento,
bottiglie in cristallo per profumi e unguenti ma anche eleganti
animali acquatici ed il bagno nella vasca blu avviene sotto gli
occhi di divinità greche e di imperturbabili idoli orientali.
Hanno visitato per noi la casa gli “estrosi” Alessandro T., Martina
e Isacco.
Un tuffo nel passato
È questa la sensazione che il Senatore voleva suscitare in noi, una volta varcata la
soglia che lascia fuori il duro vivere contemporaneo. Fin dall’ingresso la galleria evoca
il glorioso passato della dimora Martina, Alee della città: su una parete gli stemmi
delle famiglie a cui appartenevano i podestà che governarono Lonato, di fronte a
progetto 6 Come le tre dimore divennero museo
chi entra quattro grandi ritratti di Uomini d’arme, personaggi famosi dipinti agli
inizi del Cinquecento. Il Senatore non solo li aveva cercati sul mercato antiquario,
ma aveva anche studiato per trovare chi fossero, come testimonia un raro libro
cinquecentesco, aperto su un mobile sotto un dipinto. Grazie ad un’incisione,
permette di individuare il personaggio ritratto. Ed intorno mobili ed oggetti
dell’epoca, come il grande mortaio di bronzo.
Tutte le stanze che si susseguono sono state restaurate ed arredate per farci vivere in
epoche storiche passate e numerosi sono gli oggetti cercati e collocati con cura, ma ,
nel confronto con le stanze della Prioria dannunziana, qui si riconosce chiaramente
la destinazione degli ambienti e i numerosi arredi ci sembrano appropriati. Nella
sala da pranzo il tavolo è apparecchiato con eleganti piatti e bicchieri; nello studio
immaginiamo il senatore seduto al lavoro alla scrivania massiccia, sotto lo sguardo
dei ritratti antichi; nella Sala Rossa e nel Salottino dipinto di blu poltrone e
divani sono pronti ad accogliere gli amici. L’aspetto antico è dato, ai nostri occhi,
dai grandi camini, dai soffitti in legno spesso decorati da formelle dipinte, dalle
finestre con i vetri piombati ; dai mobili massicci e solidi. Qui siamo -ci viene
detti – nella casa di un appartenente all’alta borghesia e non nel rifugio di un artista
estroso. E dappertutto tanti quadri e tanti libri, non solo nelle librerie ma anche
sulle cassapanche, chiusi negli armadi e, soprattutto, nella biblioteca, costruita
apposta, con la strana forma di una antica chiesetta lombarda. L’inaspettata forma
dell’edificio, il coro monastico all’interno, le frasi latine dipinte fuori e dentro
contribuiscono a comunicarci il carattere “sacro” della cultura e dei libri. “Non riesco
a saziarmi di libri”, “Soltanto con i libri...io sempre parlerò” sono due frasi , qui
tradotte dal latino, con cui il Senatore comunica a noi la sua filosofia di vita.
Hanno visitato per noi la casa i “ passatisti” Daniele, Alessio e Alessandro G.
Tra chiese e chiostri
In questo percorso abbiamo una guida d’eccezione, la badessa Angelica Baitelli, che
nel Seicento ricostruì, sulla base di documenti, la storia del Monastero. Chi meglio
di lei conosce questi luoghi? Eppure la vediamo come spaesata: la fila di stanze
anonime, tutte dipinte di bianco, sono ideali per esporre i reperti di un museo, non
certo per ricordare i luoghi di vita con le consorelle. È invece nelle chiese che, con
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progetto 6 Come le tre dimore divennero museo
sollievo, si ritrova a casa. E ci conduce nella più
antica, la suggestiva chiesa di S. Salvatore.
Qui ci mostra come le colonne ed i capitelli
siano diversi per materiale e disegno: noi li
chiamiamo “ di spoglio”, lei preferisce dire
che sono venuti da lontano nel tempo e nello
spazio per glorificare qui il nostro Salvatore.
A dare un’impronta unitaria ci pensa la
delicata decorazione a stucco nei sottarchi e
gli affreschi, disposti su tre fasce, narravano
episodi della vita di Cristo e le vicende di santi
martiri. Purtroppo delle primitive decorazioni
rimangono solo delle tracce, mentre dei colori
più vivi sfoggiano le pitture del Romanino, di molti secoli più recenti. Non sempre
noi troviamo di nostro gusto questo accostamento e sovrapposizione di stili diversi,
ma la badessa stenta a capire la nostra perplessità: anche le case degli uomini nel
tempo vengono sistemate e abbellite. E che cosa è una chiesa se non la casa di Dio e
del suo popolo?
Per accogliere le reliquie della martire santa Giulia fu costruita la cripta nella quale
scendiamo. Anche qui colonne di reimpiego, ma la monaca si guarda intorno
preoccupata: non ritrova i capitelli più belli quelli decorati con scene bibliche,
con gli evangelisti e soprattutto quello con il martirio della Santa. Tocca a noi ora
rassicurarla: sono stati sostituiti per salvarli dal degrado agli inizi dell’Ottocento e
sono poi stati esposti nel 1882 nel Museo dell’età cristiana.
Posto in alto, si affaccia sulla chiesa di S. Salvatore il rinascimentale Coro delle
monache. Le suore potevano rispettare meglio la clausura assistendo alle funzioni
dall’alto, non viste dai presenti.
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progetto 6 Come le tre dimore divennero museo
Le pareti del coro sono un’esplosione di colori fra i quali predomina l’azzurro vivo
della scena della Crocifissione, al centro del ciclo pittorico che presenta la storia della
salvezza, dalla passione di Cristo alla resurrezione, al suo ritorno al Padre.
Qui troviamo il mausoleo di Bernardino Martinengo, una splendida opera in
marmo dai colori tipici del rinascimento bresciano, il bianco, il rosa ed il grigio. La
nostra guida, esperta di arte, la sapeva collocata nella vicina chiesa di S. Cristo: forse
questa è andata distrutta? La rassicuriamo. Il manufatto è stato asportato per esporlo
nel neonato Museo dell’Età Cristiana, che aveva sede proprio qui e nella adiacente
chiesa di S. Giulia, che ora è stata trasformata in sala conferenze. Non vogliamo
turbarla con la notizia che qui si svolgono numerosi matrimoni civili.
Quando entriamo nell’oratorio di S. Maria in Solario, alle pareti coloratissime si
sostituiscono muri possenti di pietra e nella stanza quadrata la luce entra a fatica solo
da sottili feritoie: anche dall’esterno l’edificio sembra proprio una fortezza. Qui, al
piano terra, veniva conservato il tesoro delle monache, un patrimonio di suppellettili
liturgiche preziose che, dai tempi di re Desiderio, si era via via arricchito. Questi
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progetto 6 Come le tre dimore divennero museo
oggetti naturalmente non erano valutati solo per la loro bellezza o per il valore dei
materiali preziosi, ma era vivo il senso della loro antichità e della loro funzione, come
abbiamo letto, di “testimoni di una tradizione”. Il vero tesoro di S. Giulia sono però
le reliquie: sono queste, ci ha solennemente confermato la badessa, che hanno reso
“Venerabile e Sublime” il convento, a sua volta “Tesoro inestimabile dell’Illustrissima
Città di Brescia” (le maiuscole sono quelle usate dalla nostra guida negli “annali
istorici” del monastero) . Non può che lodare quindi la scelta di chi ha posto in
questo luogo solo tre splendidi oggetti, diversi tra loro, ma tutti riportabili al “culto
delle reliquie”, come ben spiega un pannello illustrativo.
Il pilastro centrale è un’ara romana dedicata al dio Sole. Qui il reimpiego non ha
tanto una funzione pratica, ma un valore simbolico. L’antica età ha avuto il compito
provvidenziale di preparare il mondo alla rivelazione della Verità ed il sole è divenuto
un simbolo dell’unico e vero Dio.
Una volta saliti al piano superiore ci accoglie nuovamente l’esplosione di colori
delle pareti e del soffitto interamente affrescati. In alto il cielo stellato con Dio
padre benedicente, sulle pareti la vicende del martirio di S. Giulia, nelle absidi
la Vergine, S. Caterina e S. Benedetto sono circondati da numerosi santi legati
all’ordine benedettino ed al culto delle reliquie: numerosi sono coloro che reggono
la palma del martirio. Questi affreschi ci richiamano alla mente quelli del Coro delle
Monache. Là protagonista era il Redentore, qui ci sono i Santi che lo hanno seguito
sulla via della croce e della salvezza.
In mezzo un oggetto stupefacente, collocato dove era conservato anticamente e
posto proprio sopra l’ara del Sole: la Croce di re Desiderio. Duecentododici cammei
e pietre dure, paste vitree e miniature appartenenti ad epoche diverse fanno da
cornice al Re dell’universo, Cristo raffigurato nei due lati crocifisso e in trono: come
ricorda la liturgia cattolica all’inizio – che è anche la conclusione- dell’anno liturgico,
“Cristo ha regnato dalla croce”.
Ci hanno guidato per il Monastero i “ pii” Benedetta, Giovanni, Chiara e Milena.
Ancora qualcosa in comune
Nella ricerca della somiglianza delle tre dimore troviamo ancora con facilità elementi
simili nelle case-museo del Poeta e del Senatore: entrambi hanno la casa piena
di libri, entrambi ricercano sul mercato antiquario arredi ed oggetti, per dare un
carattere alla loro abitazione, anche se lo scopo e l’effetto sono molto diversi, come
diverso è il carattere dei loro abitanti.
Ci sembra di vedere una somiglianza più profonda nel reimpiego di elementi più
antichi. Tra le colonne di “spoglio” di San Salvatore e della cripta e le formelle lignee
trasportate – come il grande camino – dal palazzo Cigola di Brescia alla Sala Antica
di Lonato la differenza non sta nel loro utilizzo, ma solo nei Valori degli abitanti:
glorificare Dio per le monache, ricreare e tramandare la Storia per Ugo Da Como.
E D’Annunzio? Voleva certamente esaltare e trasmettere il Bello ed il Vero che
giunge da lontano nel tempo ed nello spazio, anche se accompagnati dal suo tocco
personale di artista.
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Case e oggetti che parlano
“Casa parlante” è una definizione di D’Annunzio per la Prioria, che bene si adatta
alla dimora del Senatore, dove compaiono scritte che esprimono sempre qualcosa
del carattere e della filosofia di vita degli illustri abitanti. Meno facili da interpretare
quelli dannunziani, che spesso alludono più che ammonire apertamente, più chiari
i motti di Ugo Da Como che affida ad essi il suo amore per la cultura, per i Classici,
per i libri.
Una differenza che facilmente si nota è che le scritte nella casa del Podestà sono in
latino , anche perché per lo più sono frutto della saggezza degli Antichi, mentre
nel Vittoriale alcune sono in italiano: la cosa ci sembra logica, visto che il Senatore
era un amante della storia e dei classici, mentre D’Annunzio era un poeta e usar le
parole era il suo mestiere.
Nonostante i due personaggi siano profondamente diversi nel carattere e negli
atteggiamenti, ci sembra che due scritte abbiano molto in comune: nella camera da
letto di Ugo Da Como è dipinta una frase che spesso egli metteva come conclusione
di importanti documenti o lettere: “Recti facti fecisse recte est” (“La ricompensa di una
buona azione consiste nell’averla compiuta”).
All’ingresso del Vittoriale ci accoglie un motto dannunziano dal
significato non molto diverso: “Io ho quel che ho donato”.
In S. Giulia le scritte sono sostituite dagli affreschi che, come sappiamo,
non erano un semplice abbellimento ed arricchimento delle chiese, ma
“la bibbia” dei poveri che erano quasi tutti analfabeti.
Nei nostri musei la filosofia di vita degli abitanti non è soltanto scritta
o dipinta sui muri, ma ci parla anche attraverso alcuni oggetti di forte
valore simbolico.
All’ingresso del Vittoriale ci è venuta incontro la Vittoria del Piave, con
le sue ali spiegate e protese verso l’alto. I piedi incatenati raccontano la
strenua resistenza dei combattenti che, difendendo il fiume, legarono a
sé ed alla Patria la vittoria.
Tra le statue che ornano le stanze del Senatore ci sembra importante il
ritratto di Cicerone presente nella Sala Rossa. L’antico scrittore classico
era un avvocato come Ugo Da Como, e come lui aveva a cuore le virtù
civili e la sorte della sua patria; questo busto in marmo, inoltre, è giunto
progetto 6 Come le tre dimore divennero museo
a Lonato come lascito ereditario di Giuseppe Zanardelli, grande uomo di legge e di
stato per cui il senatore nutriva ammirazione ed amicizia.
Difficile scegliere tra gli oggetti esposti in gran numero nel Museo della Città. Quali
erano più vicini al cuore delle monache che vi abitarono per dieci secoli?
Ne abbiamo scelti solo alcuni. Il Gallo di Ramperto non è originario del convento,
poiché segnava la direzione del vento sul campanile di S. Faustino. Già per i monaci
di questo convento simboleggiava la vigile costanza nella preghiera, ma soprattutto
ricorda il tradimento di Pietro, che per tre volte tradisce Gesù, ma che viene per
sempre perdonato. Ricorda quindi come l’uomo sia peccatore, ma come sia stato
perdonato e destinato alla salvezza eterna.
La lastra del pavone, esposta in S. Salvatore, non è solo un raffinato esempio di
scultura ma era sicuramente il simbolo della principali verità cristiane: c’è la vite
dell’Eucarestia ed i tralci ricordano pure l’unione dei fedeli con Cristo; il pavone poi
rappresenta Gesù stesso, poiché la sua carne non si corrompeva con la stessa facilità
di altre. Questo simbolo dell’immortalità dell’anima e della resurrezione apparteneva
probabilmente ad un ambone, da cui venivano annunciate parole di Verità.
progetto 6 Come le tre dimore divennero museo
Fra tutti gli oggetti giunti fino a noi un
posto speciale meritano le due immagini – di
epoca diversa – del martirio di S. Giulia. Nel
capitello originariamente posto nella cripta,
l’anima della santa crocifissa esce dal corpo
e vola verso la mano del Padre che l’accoglie
con amore. La statua del Carra ci ha colpito
perché è insolito vedere una santa a seno
scoperto: ci siamo ricordati delle torture e
della crocifissione che ha subito, ma ci ha
fatto capire che la martire ha testimoniato
la sua fede non solo con la rinuncia alla vita,
ma sacrificando anche la sua giovinezza e
la sua bellezza. E ci siamo ricordati che alla
fine dei tempi non solo l’anima è destinata
a sopravvivere in eterno, ma anche il nostro
corpo: “credo nella resurrezione della
carne…”.
Le reliquie
Una domanda che ci siamo posti fin
dall’inizio del nostro lavoro è stata: cosa
hanno in comune le collezioni così diverse presenti nei tre musei? La risposta ci è
venuta scoprendo che D’Annunzio aveva nella sua casa una Stanza delle Reliquie.
Ecco un legame con il Monastero, per il quale il culto delle reliquie era una delle
ragioni di vita. Era dunque possibile che un’attenzione alle reliquie fosse presente
anche nella casa del senatore Ugo Da Como?
Naturalmente che cosa fosse reliquia poteva variare a seconda delle convinzioni
religiose e della concezione della vita che è diversa per il Poeta eroe di guerra, per lo
studioso ed uomo politico Ugo Da Como e per le religiose dedite alla preghiera, ma
un significato comune forse era possibile trovarlo.
Siamo partiti cercando la definizione del termine nel dizionario..
“Gli avanzi di quanto è stato distrutto o perduto” : questo ci porta fuori strada. E poi
così, in un museo, ogni cosa è reliquia?
“Dicesi di cosa conservata come sacro ricordo” ci sembrava ancora generico.
È più appropriato partire dal significato attribuito al nome dalla traduzione
cristiana:” Ogni resto del corpo o anche ogni oggetto appartenuto ad una persona
venerata come santa”.
In classe poi abbiamo discusso come si potesse estendere questo significato al di
fuori del contesto religioso. Ci siamo accordati su questo: una reliquia è un oggetto
prezioso, degno di venerazione poiché incarna ed invita a trasmettere Valori: le
reliquie non solo sopravvivono nel tempo, ma vincono la morte e la caducità delle
cose e degli uomini.
Con questo in testa ritorniamo nei nostri musei alla ricerca delle reliquie.
Nel monastero di S. Salvatore e S. Giulia
Partiamo da un luogo di fede, dove è più facile parlare di reliquie in senso proprio.
La nostra guida , badessa Angelica Baitelli, così introduce l’elenco delle Reliquie
presenti nel convento a metà del Seicento.
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progetto 6 Come le tre dimore divennero museo
progetto 6 Come le tre dimore divennero museo
“Formano le preziosissime, e Santissime Reliquie, che rendono Venerabile il nostro
Monastero, un Santuario così sublime, che con ogni ragione si può chiamare
Tesoro inestimabile dell’Illustrissima Città di Brescia. Sono le Beatissime Reliquie
ben proprj regali della grandezza dei Sommi Pontefici, d’Imperatori, dè Re, e dè
Principi negl’ ingressi delle Figliuole, Nipoti, Sorelle, e Mogli delle Maestà nel nostro
Monastero, nè tempi, che si sottoposero con comitiva della maggiori Principesse
d’Europa al giogo soavissimo della Regola di S. BENEDETTO nostro Patriarca”.
Imparentate con i potenti della terra, queste donne avevano scelto il meglio per la
loro vita – la preghiera – ed avevano portato in dote quanto di più prezioso esistesse:
le Reliquie.
Ai giorni nostri il loro culto ci sembra una pratica superstiziosa, quando non un atto
di simonia come per Lutero. Abbiamo però capito che la venerazione di frammenti
appartenenti al corpo dei santi era legata alle grandi e consolatrici verità della nostra
religione: noi siamo destinati alla vita eterna non solo con l’anima, ma anche con
il corpo e sulla strada della salvezza, se sorretti dalla Fede, possiamo attingere al
patrimonio di Grazia che i Santi hanno accumulato con la loro vita esemplare,
spesso con il loro martirio.
Con la soppressione del Monastero in epoca napoleonica le reliquie sono andate
disperse o, in parte, hanno trovato collocazione in altre chiese, ma nel luogo dove
questo Tesoro era conservato sono stato posti pochi ma preziosi oggetti che ci
ricordano il loro culto.
per utilizzare la grande lastra come reliquiario. Sul retro infatti sono
visibili gli incassi che dovevano servire ad agganciare i contenitori delle
Reliquie.
La piccola croce collocata in una vetrinetta compare nell’elenco delle
Reliquie compilato nel Seicento dalla nostra badessa Baitelli: “ una
Crocetta d’oro da collo piena si Rubini. (Nel testo della religiosa le
lettere maiuscole sono numerosissime, ad indicare sia l’importanza di
ciò di cui si parla, sia la devozione da cui deve essere circondato).
Fu di S. Elena, fatta nella forma stessa della Santissima Croce d’oro, e
fiamma, piena di legno della Santissima Croce”.
L’oggetto più famoso nella stanza è però la Lipsanoteca, contenitore
di reliquie in avorio risalente al IV secolo. La sua esecuzione finissima
è attribuita ad una bottega milanese che lavorava all’epoca del vescovo
S. Ambrogio, sostenitore dell’ortodossia contro l’eresia ariana. Al
centro dello scrigno compare la figura di Cristo che nella sinagoga di
Nazareth sostiene la propria natura divina. La decorazione, disposta su
tre fasce -quella centrale con scene del Nuovo Testamento- , è molto
ricca ed il pannello illustrativo ci spiega che il sistema narrativo allude
alla tesi della salvezza e dell’immortalità dell’anima. Noi abbiamo infatti facilmente
riconosciuto – anche perché occupano da soli il fianco destro e quello sinistro- gli
episodi della resurrezione di Lazzaro, che esce dal sepolcro al richiamo di Cristo ed
Un posto centrale nella sala è occupato da un fregio di età romana decorato con
animali e girali. Noi non ne conosciamo esattamente la collocazione originaria, ma
la preziosità del marmo bianco con venature grigie e la ricchezza della decorazione ci
fanno pensare che appartenessero al fregio decorativo di un grande edificio pubblico.
La sua collocazione qui è però dovuta ai due fori ovali, praticati nel medioevo,
60 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
il miracolo del richiamo in vita della figlia di Giairo. Gesù, rivolgendosi alla folla
radunata fuori dalla casa, dice: “Ritiratevi, perché la fanciulla non è morta, ma
dorme”. L’immagine fissa le parole dell’Evangelista Matteo:” Egli entrò, prese la sua
mano, e la fanciulla si alzò”.
Ci hanno descritto il Tesoro delle Monache i “pii”Benedetta, Siria, Luca, Alessio M e
Milena.
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progetto 6 Come le tre dimore divennero museo
progetto 6 Come le tre dimore divennero museo
Nella Stanza delle Reliquie al Vittoriale
Non solo qui sono collocate quelle che D’Annunzio
considerava reliquie. Nelle diverse stanze, ci ricorda
il solito Antongini, “l’antico patinato vaso di Persia
vi è sfiorato dal pugnale di un ardito fiumano morto
combattendo...una rozza granata inesplosa trovata in
una dolina del Carso occhieggia fra delicate anfore
colme di profumi rari”. Per non parlare del giardino,
dove la terra ed i massi dei luoghi di guerra ricordano
il sacrificio di tanti. Oltre alle reliquie, qui ci sono
anche i martiri.
La stanza delle Reliquie, però, è stata volutamente
organizzata dal Poeta per trasmettere i suoi Valori. Vi
si celebra la fede espressa dalle diverse Religioni, ma
anche la fede nell’Uomo, nell’Eroe e nella Bellezza.
Ci introduce nella stanza nella stanza il calco
dell’Ermes di Prassitele: quando il Poeta aveva visto
per la prima volta, ad Olimpia, la statua originale
aveva provato” un sentimento religioso e quasi il
bisogno... di baciare la pietra o d’inginocchiarsi
pregando”.
In questa stanza sono esposti ben 374 oggetti: al
culto cristiano appartengono i numerosi reliquiari
ed ostensori e una serie di statue lignee raffiguranti
la Vergine ed i santi; fra le divinità orientali, in
compagnia di idoli cinesi e della Trimurti indù sono
qui radunati molti Budda (Ne abbiamo notato
uno benedicente, uno sorridente, uno in meditazione…). Sulla travatura che
sorregge i santi lignei, i versi incisi chiariscono il pensiero di D’Annunzio:”Tutti gli
idoli adombrano il Dio vivo/ Tutte le fedi attestan l’uomo eterno/ Tutti i martiri
annunciano un sorriso..”.. Un’immagine lieta è accostata al
martirio, non dissimile dalla gioia che esprimono attraverso
il simbolo della palma i martiri cristiani, dei quali non a caso
viene festeggiato, invece del giorno della nascita, quello della
morte.
Tra le reliquie laiche alcune ci hanno incuriosito o colpito
particolarmente
Sul soffitto è disteso il rosso gonfalone della
Reggenza del Carnaro. Al centro il serpente
che si morde la coda è simbolo di eternità
ed il motto latino “Quis contra nobis?” ha il
significato di “Chi potrà sconfiggerci?”
E sempre dell’impresa di Fiume parla il leone
di S. Marco, dipinto da Marussig: questo quadro
ornava lo studio del Comandante e reca ancora la scheggia di granata
che lo ha colpito durante il “Natale di sangue” del 1920. Il motto
che solitamente viene accostato al simbolo dell’evangelista Marco
recita: “Pax tibi Marce, evangelista .meus” ma qui al termine pax è
stata sostituita la parola “Victoria” , che ben si associa a chi ,
sacrificando la propria vita, non esce sconfitto, ma vittorioso.
In mezzo ai reliquiari dall’aspetto prezioso e dalla lavorazione
antica contrasta un oggetto singolare, il volante spezzato di un
motoscafo da corsa. Vuole celebrare un martire laico, l’amico
inglese Sir Henry Segrave, campione di entrobordo, morto
nel tentativo di superare il record di velocità. Le guide ci
presentano, tra i valori di D’Annunzio, il rischio; più dell’eroe
romantico e incosciente, a noi è parso di vedere invece l’atleta
delle Olimpiadi classiche, che gareggiava prima di tutto per
superare se stesso ed i propri limiti.
Hanno osservato per noi gli”estrosi” Ibrajm, Alessandro T., Isacco
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Nella casa del Podestà
Qui , nella dimore di Ugo Da Como, laico liberale, il termine di Reliquia
sembrerebbe fuori posto: Ma è proprio vero?
Cominciamo dalle parole con cui il Senatore spiegava la mission della sua
Fondazione: “lasciare qualcosa che giovi, che educhi, che induca a meditare e a
comprendere ciò che non è tra i mortali mortale…”.
E gli strumenti di questa immortalità,i libri, sono ospitati in una Biblioteca a forma
di chiesa, perché non sfugga nemmeno a noi sprovveduti il carattere sacro della
Cultura. D’Annunzio aveva la sua “Via Crucis” laica nel giardino del Vittoriale, Ugo
Da Como aveva come suo “Reliquiario” laico la casa piena zeppa di libri.
Che questi – più di 30.000 – ricercati con impegno e passione e collezionati con
amore, siano reliquie non lo diciamo noi, ma lui stesso, attraverso le parole della sua
casa parlante.
NON RIESCO A SAZIARMI DI LIBRI è scritto – in latino naturalmente – sul
soffitto della sala Cerutti;
progetto 6 Come le tre dimore divennero museo
progetto 6 Come le tre dimore divennero museo
QUI VIVONO I MORTI; MUTI SVELANO ORACOLI è scritto a lato del
camino all’interno della Biblioteca;
e sul soffitto, QUI PARLANO LE ANIME IMMORTALI, TU LAVORA PER I
POSTERI;
SOLTANTO CON I LIBRI SOLO CON QUESTI IO SEMPRE PARLERO’ è
il motto, ora non più leggibile, sulla facciata della chiesa-biblioteca, che si completa
con le parole sull’ex libris del Senatore AFFINCHE LA MALIGNA GIORNATA
(la morte) NON CONSUMI TUTTO.
neonata stampa a caratteri mobili è aumentato dal fatto di
essere stata stampata a Brescia e di essere la prima stampa con
illustrazioni. Naturalmente non c’è bisogno di sottolineare la
venerazione per la Commedia dantesca da parte del Senatore,
grande sostenitore della Società Dante Alighieri , che ha lo
scopo di tutelare e diffondere la lingua e la cultura italiana nel
mondo.
Accanto a questa edizione preziosa ne abbiamo visto una
curiosa: un libro piccolissimo, con le pagine di 15 x 9
millimetri, stampata nel 1896 con un carattere appositamente
studiato, il “Dantino”.
Per ultima ricordiamo qui la prima edizione de i sepolcri” di
Ugo Foscolo, stampata a Brescia e recante una dedica all’amata
contessa Marzia Martinengo. Naturalmente quest’opera era
cara a Da Como per gli ideali che condivideva con Foscolo,che
amava insieme la Patria, la Cultura classica e la Poesia e non
per il gossip, anche se nella biblioteca sono conservate molte
delle lettere scritte dal Foscolo a Marzia.
Tutti i libri sono contrassegnati dall’ex libris personalizzato
del Senatore. Oltre al motto che abbiamo già citato, ci è
piaciuta l’immagine dell’ulivo: questa pianta, cara alla cultura classica, tipica del
Mediterraneo ma anche delle colline gardesane, ha radici che scendono molto in
profondità per permettere all’albero di produrre la sua ricca chioma.
Hanno con reverenza frequentato la biblioteca del Senatore i “bibliofili” Alessio G. e
Daniele.
Con curiosità e rispetto abbiamo visto e pure toccato
alcune di queste Reliquie.
Questo prezioso manoscritto su pergamena ha tutte
le caratteristiche per essere vicino al cuore di Ugo Da
Como: è bello, è raro, è un documento storico e riguarda
la città di Lonato. Il 5 marzo 1512 Francesco II concede
solennemente ai “diletti e fedele sudditi di Lonato”, per
breve tempo governati dal marchese di Mantova, numerosi
privilegi: libertà di commerciare, di organizzare fiere,
di coltivare ed esercitare l’artigianato senza pagare dazi
diversi da quelli già in uso. Viene concesso di esercitare
l’avvocatura e di fare i notai liberamente nel territorio del
Marchese, che si impegna a scegliere governanti dotati di
“integrità, ingegno ed esperienza delle cose”. Tutto ciò è
inserito in una elegante decorazione a carattere floreale
con il capolettera arricchito con foglia d’oro, a sottolineare
l’importanza del documento.
È un incunabolo l’edizione della Divina Commedia che ci è
stata mostrata: il pregio di appartenere ai “primi vagiti” della
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progetto 6 Come le tre dimore divennero museo
progetto 6 Come le tre dimore divennero museo
IL SOLITO GIOCO DELL’OCA
Il nostro gioco didattico ha lo scopo di trasmettere a compagni di altre classi quanto
abbiamo appreso durante il lavoro: utilizza il classico schema del gioco dell’Oca,
arricchito da una serie di domande a scelta multipla sulle dimore e la loro storia
(caselle arancio) e sulle collezioni (caselle rosse). Si gioca con un solo dado e, se si
capita su una casella colorata, si può rimanere solo se si risponde correttamente.
Altrimenti, si torna indietro.
Al numero 90 la nostra Vittoria attende il vincitore.
Abbiamo potuto contare per la costruzione del gioco della collaborazione artistica di John,
Davide, Zeenat e Stefano.
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5.
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Chi era D’Annunzio?
Un grande comandante, amato dai suoi soldati, ma
rozzo e collerico
Un poeta, amante del bello e delle donne, eroe della
Grande Guerra
Uno storico che raccoglieva cimeli delle guerre del
Risorgimento
•
Chi era Ugo Da Como?
Un uomo politico liberale, amante della storia e dei
libri
Un Podestà di Lonato, con gli stessi poteri di un sindaco dei giorni nostri
Un eroe del Risorgimento, morto nella spedizione dei Mille
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8.
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Chi ha fondato, nel 753, il monastero di S. Salvatore?
Carlo Magno, per ringraziare Dio per la sua vittoria
sui Longobardi
S. Benedetto da Norcia, famoso per il motto “Ora
et labora”
Il re longobardo Desiderio, che nominò sua figlia prima badessa
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17.
Sulla facciata della Prioria, accanto al levriero,
sono citate due virtù che, secondo D’Annunzio,
meglio lo definivano. Quali?
La fedeltà ai propri ideali e la fermezza nel
perseguirli
L’amore e la bellezza, rappresentata dalla grazia
dell’animale
L’eleganza e la raffinatezza, ben espressi dalla figura
elegante del cane
A chi era appartenuta la casa di Gardone ,
affittata da D’Annunzio?
Ad un suo fedele compagno d’armi nella spedizione
di Fiume
Ad uno storico dell’arte tedesco
A Giuseppe Zanardelli, capo del governo italiano
Quali elementi convincono il Poeta che la villa di
Cargnacco è quella giusta?
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32.
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33.
L’ampiezza delle stanze, necessaria per trasformarla
in una casa -museo
Il profumato giardino, la ricca biblioteca, il
pianoforte di Listz
La sua precedente appartenenza ad un eroe del
Risorgimento
Perché il senatore Da Como acquista la Casa del
Podestà a Lonato?
Per salvare la memoria di un importante periodo
della storia lonatese
Perché il Senatore era discendente diretto dell’ultimo
Podestà veneto
Per farne il palazzo del sindaco, che all’epoca del
Fascismo si chiamava Podestà
La trasformazione della Casa del Podestà in
casa-museo è affidata al Tagliaferri: perché
questa scelta?
Perché era un amico d’infanzia del Senatore
Perché, grazie alle sue conoscenze politiche,
poteva far giungere a Lonato fondi pubblici
Perché l’architetto bresciano era molto abile a
ricreare l’atmosfera storica del passato
Che cosa hanno in comune la storia di S.
Salvatore e S. Giulia e la Casa del Podestà?
La collocazione in questi edifici del governo
provvisorio francese
Requisiti dal demanio prima francese e poi
austriaco, gli edifici divennero una caserma
Tutti gli edifici furono venduti all’asta e
acquistati da privati
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38.
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Nel giardino del Vittoriale, non lontano
dalla statua di S. Francesco, sono sparsi dei
massi rocciosi: che cosa rappresentano?
Rappresentano la sofferenza ed i sacrifici che
hanno portato Francesco d’Assisi alla santità
Rappresentano la bellezza aspra e selvaggia della
terra natale del Poeta, l’Abruzzo
Sono tratti dai monti dove si è più duramente
combattuto durante la Grande Guerra
Nell’Arengo D’Annunzio si riuniva con i fedeli
compagni fiumani: che cosa rappresentano le
colonne lì collocate?
Gli amici caduti durante l’impresa di Fiume
Coloro che, come D’Annunzio, hanno meritato
una medaglia d’oro nella guerra del ‘15-’18
Le vittorie italiane nella Grande Guerra
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Nella chiesa di S. Salvatore dividono le
navate delle colonne “di spoglio”. Perché
sono definite cosi?
Perché prima di essere utilizzate, sono state
spogliate dei simboli religiosi pagani
Perché, per adattarle alla chiesa, sono state
spogliate dei loro rivestimenti colorati
Poiché provengono da edifici precedenti
•
Perché il pavone, che decorava probabilmente
l’ambone della chiesa, simboleggia Cristo?
50.
66 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
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37.
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2.
Perché la sua carne non si decomponeva come
altre, e pertanto era un simbolo della natura
divina di Gesù
Perché la bellezza del piumaggio lo rende unico
tra gli animali
Perché nell’antichità il pavone era un animale
sacro
Presso la radura, nella quale sono state
rappresentate tragedie scritte da D’Annunzio, è
stata costruita la fontana del Delfino. Di fronte
alla bella ninfa, un oggetto crea un singolare
contrasto. Che cosa è?
Una statua astratta che rappresenta la figlia di Iorio,
personaggio dannunziano
Un obice usato dall’esercito italiano nella Grande
Guerra
Un artistico contenitore per i costumi teatrali
In un edificio, appositamente costruito
dal Maroni, c’è il MAS 96, motoscafo
antisommergibile donato dalla Marina per i
sessanta anni del Poeta. Perché è famoso?
Perché con questa imbarcazione D’Annunzio
penetrò nella base di Buccari per affondare le navi
nemiche
Perché su questo motoscafo, come documentano le
fotografie, D’Annunzio portò Mussolini in gita sul
lago di Garda
Perché con questo motoscafo un suo amico morì,
mentre cercava di vincere il record di velocità
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59.
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Dove è rivolta la prua della nave Puglia?
Verso l’Adriatico e la natia Pescara
Verso l’Austria, tradizionale nemica, in segno di
sfida
Verso l’Adriatico e la città di Fiume
Sulla sommità del ”Sacro Monte” è stato
costruito il Mausoleo. Che cosa è stato posto lì?
67 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
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La tomba del Poeta, che guarda il lago in orgogliosa
solitudine
Il sarcofago del Poeta, circondato da dieci legionari
fiumani
Dei sarcofagi contenenti le spoglie dei caduti
gardesani durante la guerra
Da dove provengono gli arredi della Casa del
Podestà?
Il Senatore li aveva acquistati sul mercato antiquario
Il Senatore li aveva commissionati ad abili artigiani
del posto, specializzati nel riprodurre lo stile dei
mobili antichi
Erano stati requisiti a cittadini austriaci come
pagamento per danni di guerra
Perché venne costruita la cripta sotto S.
Salvatore?
Per accogliere le spoglie del re Desiderio e della
regina Ansa, fondatori del Monastero
Per accogliere le reliquie di S. Giulia, martire
cartaginese
Perché le suore di clausura potessero pregare senza
essere viste dai laici
A che epoca risalgono i 212 ornamenti della
croce di re Desiderio?
Essendo in realtà la croce di età carolingia, non
possono che appartenere al tempo dei Romani e
dei Longobardi
Non tutti i cammei, le miniature, le pietre dure
risalgono ad epoche precedenti, ma alcune sono
successive all’età carolingia
Come dimostrano l’omogeneità e l’armonia
dell’opera, sono tutti opera di abili artigiani di
epoca carolingia
Che cosa veniva conservato nel piano terra di
S. Maria in Solario, grazie all’ambiente ben
protetto, simile ad una fortezza?
Il denaro proveniente dalle numerose proprietà
che il Monastero possedeva in tutta l’Italia
settentrionale
Il trono della badessa, insieme all’anello ed al
pastorale, simboli della sua autorità autonoma
persino dal vescovo di Brescia
Il Tesoro delle monache, costituito da preziosi
oggetti liturgici, ma soprattutto da Reliquie
Che cosa, al centro di S. Maria in Solario,
sorregge le volte a crociera?
Un’ara romana dedicata al dio Sole
Il cippo in pietra sul quale venne martirizzata S.
Giulia
Un antico altare sul quale celebrò la messa S.
Faustino, prima di subire il martirio
progetto 6 Come le tre dimore divennero museo
64.
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Quale forma ha la biblioteca fatta costruire da
Ugo Da Como?
È simile alla famosa biblioteca di Efeso, famosa nel
mondo classico tanto amato dal Senatore
Ha la forma di una Chiesa, per sottolineare la
sacralità della cultura
Ha la forma, in piccolo, del Palazzo Ducale, per
sottolineare la fedeltà di Lonato a Venezia
77.
Come il Senatore giudicava un libro antico
precedentemente annotato?
Irrimediabilmente rovinato
Di minor valore, ma ancora degno di far parte della
sua biblioteca
Il pregio veniva aumentato se la nota era stata
apposta da un suo illustre proprietario
•
Che cosa conteneva la preziosa pergamena di
Francesco Gonzaga?
Dei privilegi politici ed economici concessi nel
1512 dai Gonzaga ai “fedeli sudditi di Lonato”
Una sentenza di condanna a morte per alcuni
nobili che si erano ribella ti al marchese di Mantova
La grazia concessa a tre nobili lonatesi,
precedentemente condannati a morte
•
Tra le reliquie conservate nel Monastero, la
crocetta detta di S. Elena aveva un valore
particolare. Perché?
Per la squisita lavorazione a filigrana e per le pietre
preziose che la ornavano
Perché si diceva contenesse un frammento della
croce di Cristo
Perché era appartenuta a S. Elena, madre
dell’imperatore romano Costantino convertitosi al
Cristianesimo
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83.
Quale funzione aveva, nelle intenzioni di
D’Annunzio, la nuova ala denominata
Schifamondo?
Accanto a nuovi ambienti di abitazione, una grande
sala doveva ospitare concerti e spettacoli
Doveva ospitare la servitù, troppo numerosa per gli
spazi ristretti della Prioria
Come rivela il nome, doveva ospitare gli ospiti
istituzionali, poco graditi al Poeta e tutti quelli che
egli considerava “scocciatori” attirati dalla sua fama
•
Quale funzione aveva il Coro delle Monache,
addossato alla fine del Quattrocento a S.
Salvatore?
Serviva per isolare dagli altri fedeli, durante le
funzioni pubbliche, le Monache di clausura
Vi era ospitato il coro che durante le funzioni
eseguiva musica sacra
Era stato costruito come luogo di sepoltura della
nobile famiglia Martinengo, di cui è conservato
uno splendido mausoleo rinascimentale
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84.
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87.
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Nella stanza delle Reliquie al Vittoriale, sotto
a statue della Vergine e dei Santi, compare
una piramide composta da divinità di varie
religioni. Questo, secondo D’Annunzio, doveva
dimostrare
che tutte le religioni erano una preparazione
all’avvento della superiore verità del Cristianesimo
che tutte le fedi, per usare una frase dannunziana,
“adombrano il Dio vivo”
che gli oggetti di culto delle diverse religioni sono
soprattutto opere d’arte
Nella stanza delle Reliquie è collocato un
dipinto del leone di S. Marco, opera di
Marussig. Perché è stato collocato qui?
Perché l’autore era un compagno d’arme, morto
nell’impresa fiumana
Perché il quadro era esposto nello studio di
D’annunzio a Fiume, città martire abbandonata
allo straniero
Perché conserva ancora una scheggia di granata
sparata contro i legionari fiumani nel “Natale di
sangue “
Quale significato ha la palma che molti santi,
affrescati in S. Maria in Solario , portano in
mano?
Questi santi avevano compiuto un pellegrinaggio a
Gerusalemme
Avevano tutti subito il martirio
Appartenevano tutti, come le Monache, all’ordine
benedettino
Quale insegnamento è legato al volante, posto
nella stanza delle Reliquie e testimonianza di un
incidente nautico in cui aveva perso la vita un
amico di D’Annunzio?
Che è sciocco perdere la vita in una gara contro il
tempo: la vita va sacrificata solo per la Patria
Che l’amicizia dura oltre la morte
Che l’uomo-eroe deve sempre cercare di superare i
propri limiti
Quali scene decorano la Lipsanoteca, splendido
scrigno tardoantico in avorio, usato come
contenitore di Reliquie?
Scene della vita di S. Benedetto, patrono del
convento
Scene della vita di Costantino e della madre S.
Elena
Scene bibliche del Vecchio e Nuovo Testamento
La Divina Commedia della fine del
Quattrocento, acquistata dal Senatore, gli era
particolarmente cara perché
Era la prima edizione del poema a stampa illustrata
ed era inoltre stata stampata a Brescia
È la più piccola edizione del poema, stampata con
un carattere chiamato “dantino”
Contiene delle annotazioni opera dello stesso
Dante
68 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 6 Come le tre dimore divennero museo
Un breve commento degli insegnanti
Queste osservazioni avrebbero dovuto occupare il posto della premessa, ma non abbiamo voluto
scoraggiare con indicazioni metodologiche un po’ noiose un eventuale lettore.
Prima di tutto è necessario declinare gli Obiettivi del lavoro, quello che ci proponiamo di ottenere
dai nostri alunni e cioè la capacità di
- individuare ed interpretare i segni del passato nel territorio per una ricostruzione storica
- interrogare il bene culturale per individuare il suo valore nella storia e nel presente
- conoscere ed utilizzare diversi linguaggi per procedere nella ricerca e per costruire prodotti utili
a diffondere quanto appreso
- comprendere il valore del Bene culturale e le modalità per la sua migliore conservazione e
trasmissione alle generazioni future.
Ci rendiamo poi conto che lo spazio riservato alla storia dei musei e alla loro descrizione è forse
sproporzionato rispetto a quello dedicato alle collezioni, ma va tenuto presente che nella scuola
secondaria di primo grado è importante la dimensione storica, insieme alla capacitò di inserire
quanto si viene a conoscere nel suo contesto.
Va anche segnalata la presenza, accanto alle onnipresenti insegnanti di lettere, dell’insegnante di
Religione, fondamentale per capire una parte della nostra ricerca, oltre che per affermare il valore
culturale di questa disciplina, talvolta considerata una blando “catechismo scolastico”. Abbiamo
potuto contare anche sulla disponibilità dell’insegnante di Alternativa: i partecipanti a questa
attività si sono occupati delle “Reliquie laiche”, soprattutto dannunziane.
Infine una riflessione sul linguaggio del nostro testo. La sintassi con la quale sono state riordinate
e trascritte le osservazioni orali e scritte degli alunni appartiene agli insegnanti. Nostri sono i
“d’altra parte”, gli “infatti”, i “poi” posposti.
Il lessico, invece, che non è sempre quello usato spontaneamente dai ragazzi di scuola media
nelle loro usuali comunicazioni, è frutto di un impegno di insegnanti ed alunni per utilizzare la
ricchezza e la competenza linguistica che spesso i giovani dimenticano di possedere. Ricchezza e
proprietà che vanno salvato dall’estinzione almeno come l’orso panda e la foca monaca.
Ed alla fine alcuni commenti a “caldo”degli alunni
Il Vittoriale è un patrimonio immenso...
Io ho ammirato il teatro con la sua visuale bellissima sul lago di Garda…
Di S. Giulia mi ha colpito sapere che ad un certo punto fu una caserma, una cella per i condannati a morte, un ospedale
militare, un magazzino comunale...
Mi è piaciuta la biblioteca di Ugo Da Como. C’erano libri vecchi di 500 anni…
Era enorme e conteneva libri dappertutto, ne abbiamo trovati perfino all’interno delle panche!…
La dimora di D’Annunzio è zeppa di oggetti e libri ed è scura al suo interno perché a D’Annunzio dava fastidio la luce…
A S. Giulia ho visto la croce di re Desiderio, piena di pietre preziose…
Ho apprezzato la Stanza della Reliquie contenenti gli idoli delle diverse religioni…
C’è anche il volante di un amico di D’Annunzio che è morto cercando di superare con il motoscafo il record di velocità…
La casa del senatore Ugo Da Como è piena di mobili antichi, quadri, affreschi…
Il pavone di S. Giulia era scolpito alla perfezione...
Mi ha colpito l’importanza che gli abitanti delle dimore davano alle loro collezioni: ogni singolo oggetto, anche il più piccolo,
era importante…
69 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 7 I luoghi ci parlano
Chi e dove Classi coinvolte Docenti referenti
Istituto Paritario Paola Di Rosa – Lonato
Seconde A, B, C
Sabrina Agosti, Anna Ruggeri, Sara Spagnoli, Monica Veronesi
progetto 7
I luoghi ci parlano
didattiche sul territorio, osservandone alcuni ritratti e studiandone le caratteristiche
fisiognomiche o l’abbigliamento e dando vita a originali rappresentazioni, ritraendo
il personaggio nei luoghi che conservano la loro memoria.
Gli studenti sono stati messi nella condizione di esprimere le loro capacità artistiche
avvalendosi di diverse tecniche esecutive: matite colorate, grafite, tempera, pennarelli
e inserti di diversi materiali.
Partendo dunque dall’osservazione diretta di realtà museali fondamentali per il
nostro territorio, abbiamo delineato un percorso didattico che ci ha portato alla
scoperta dei personaggi attraverso la conoscenza di luoghi intrisi di arte e cultura.
Questo progetto è stato un ottimo spunto per invitare i ragazzi a conoscere il
territorio in cui abitano e a conservare la memoria dei luoghi e dei protagonisti che
ne hanno scritto la storia. La pianificazione delle varie attività ci ha permesso di
sostenere gli studenti nell’esercitare le proprie capacità di analisi e il proprio pensiero
critico, invitandoli inoltre a rielaborare i contenuti appresi in maniera creativa.
Santa Giulia: Vite tra i silenzi dei chiostri
Il percorso che abbiamo previsto per le classi seconde del nostro istituto ha preso le
mosse dalla conoscenza del nostro territorio, grazie alla visita dei tre luoghi intorno ai
quali verte il progetto Le Vie dell’Arte: il Vittoriale degli Italiani a Gardone Riviera,
la Fondazione Ugo Da Como di Lonato del Garda e Santa Giulia a Brescia.
Dopo le uscite didattiche, i ragazzi sono stati guidati dalle insegnanti nella revisione e
nell’approfondimento delle conoscenze acquisite durante le visite. Le attività previste
sono state finalizzate ad inquadrare dal punto di vista storico-culturale i luoghi
visitati, con particolare attenzione ai personaggi storici che li hanno abitati. Le figure
di Gabriele d’Annunzio, del Senatore Ugo Da Como e delle monache, che nei secoli
hanno animato con la loro presenza il complesso monastico di Santa Giulia, sono
state presentate a partire dai loro luoghi, indissolubilmente legati ai protagonisti
che li hanno abitati. L’osservazione diretta degli ambienti e l’analisi di alcuni
oggetti e opere in essi conservati, ci hanno permesso di accompagnare i ragazzi
nell’individuazione di numerosi “indizi” che ci hanno parlato della personalità e
dello stile di vita dei personaggi storici presi in esame.
Dopo questa prima fase, gli alunni sono stati invitati a rielaborare in forma scritta
i contenuti appresi. Sono state proposte diverse tipologie testuali, scelte fra quelle
affrontate quest’anno: di volta in volta gli studenti sono stati sollecitati a descrivere
e analizzare i luoghi d’arte visitati o a esprimere le proprie riflessioni ed emozioni
riguardo alle opere. Inoltre sono state presentate attività che li portassero a esercitare
la propria immaginazione, rivolgendosi personalmente ai protagonisti.
Per quanto concerne la disciplina di Arte ed immagine, i ragazzi sono stati invitati
dall’insegnante a ricercare alcune immagini e fotografie raffiguranti i luoghi visitati
e i loro protagonisti, grazie all’ausilio di libri e supporti informatici. In seguito
sono stati affiancati dalla docente nella selezione e nell’analisi di alcune immagini
significative. L’attenzione di alcuni studenti si è concentrata maggiormente su oggetti
o opere d’arte, scelti perché ritenuti rilevanti per la caratterizzazione dei luoghi
stessi e dei protagonisti che li abitavano. Altri ragazzi si sono dimostrati più sensibili
nei confronti della rappresentazione di spazi esterni o visioni d’insieme di alcuni
ambienti che li avevano particolarmente colpiti. Un terzo gruppo di alunni ha scelto
di raffigurare i personaggi storici che avevano imparato a conoscere durante le uscite
70 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Ahi nelle insonni tenebre,
pei claustri solitari,
fra il canto delle vergini
ai supplicati altari,
sempre al pensier tornavano
gli irrevocati dì.
Così recitano alcuni versi del secondo coro dell’Adelchi, quello che segue l’atto IV,
interamente dedicato alla figura di Ermengarda, figlia di desiderio e moglie ripudiata Il chiostro di Santa Giulia
di Carlo Magno, rifugiatasi presso la sorella Ansberga nel convento di Santa Giulia a
Brescia, dove la raggiunge la notizia che il marito è convolato a
nuove nozze con Ildegarda.
Ermengarda è una regina triste, eroina romantica e cristiana,
che, costretta a rinunciare al proprio sogno d’amore, cerca
rifugio in Dio. Ella continua ad amare Carlo di un amore
passionale e allo stesso tempo casto, che nasconde a sé stessa ed
emerge solo nel momento del delirio.
I claustri solitari dove vaga, le vergini e i supplicati altari che
la consolano sono quelli di Santa Giulia. Da questi versi
noi abbiamo iniziato il viaggio che ci ha condotti attraverso
letteratura e storia alla scoperta del monastero femminile di
Brescia, fondato nel 753 d. C. dal re Desiderio e da sua moglie
Ansa, che per secoli ha ospitato le figlie dell’alta aristocrazia
longobarda e franca e, successivamente, del nord Italia.
Il monastero ha assunto fin da subito un’importanza
fondamentale: Brescia ricopriva una posizione strategica tra
i ducati padani, quindi Desiderio aveva bisogno di un luogo
da cui controllare la città, allora sede di corte papale e regia.
Per questo motivo Santa Giulia era stata dotata di cospicue
proprietà terriere che ne garantivano il potere.
Nel 760 era stata posta sotto la protezione regia e sottratta
71 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 7 I luoghi ci parlano
progetto 7 I luoghi ci parlano
Ermengarda
ricevere un’adeguata istruzione ed
educazione incentrata sulla morale
cattolica. Sia le educande che le monache
dovevano rispettare le regole claustrali,
vestire modestamente e mantenere un
comportamento umile e remissivo.
Nel 1600 il patrimonio monastico entrò
in crisi, ma il tenore di vita all’interno
rimase assai elevato e le sole rendite
fondiarie non bastarono a coprire le
spese. Solo nel secolo successivo si poté
assistere a una ripresa.
La storia del monastero, così come
il nostro viaggio alla sua scoperta, si
interrompe con l’ascesa di Napoleone
che scioglie l’ordine monastico e, nei primi anni dell’ottocento, incamera i suoi beni.
Santa Giulia smette di ospitare le monache per diventare una caserma, fino a
quando dopo l’Unità d’Italia inizia il cammino che l’ha portata ad essere il museo
della nostra città.
Croce di Re Desiderio
Capitello di Santa Giulia
Interno di San Salvatore,
colonne
alla giurisdizione del potere politico locale e dello stesso vescovo, garantendo alle
monache diversi privilegi che vennero confermati quasi fino al 1600.
Al suo interno, l’attenzione viene rapita dalla croce di Desiderio, in legno rivestito di
lamina metallica, sulle cui facce sono incastonate 212 “gemme” di epoche diverse,
che illumina la stanza in cui è posta.
L’importanza del monastero è testimoniata anche dall’alto livello tecnico e formale
delle decorazioni degli affreschi e dalla
raffinata lavorazione dei capitelli,
specialmente quelli del colonnato
settentrionale. Ma come si svolgeva la
vita all’interno?
Il monastero era ricco e potente,
aristocratico, pertanto le monache non
erano costrette per crearsi una piccola
scorta monetaria a ricorrere ad espedienti
quali le bugade (bucati) o accantonare la
propria razione di vino, prelevare pane,
farina, cereali dalla dispensa monastica
per venderli all’esterno
come succedeva per i monasteri
meno abbienti. Fra le sue mura non si
svolgevano attività manifatturiere di rilievo e i piccoli lavori erano affidati per lo più
alle converse (suore laiche che non avevano pronunciato i voti di povertà, castità e
obbedienza, ma vivevano secondo la regola), alle quali era addirittura fatto divieto di
insegnare a leggere e a scrivere.
In Santa Giulia esisteva una scuola interna in cui le giovani del patriziato locale
potevano
72 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Lettere a Ugo Da Como. Uomo di cultura e di studio
Come per Ugo Da Como i libri continuavano a pronunciare
silenziosi oracoli, così a noi, oggi, la sua Casa Museo, gli arredi,
gli oggetti e i libri svelano le passioni, la cultura e la vita del
Senatore.
Gentilissimo Ugo Da Como,
abbiamo avuto l’occasione di conoscerti durante la visita alla casa
Museo di Lonato che tu hai desiderato tanto.
Sei nato tanto tempo fa a Brescia nel 1869: sei stato un personaggio
particolare, amavi molto la cultura, andavi pazzo per i libri e questa
tua passione è dimostrata dalla ricca biblioteca privata fatta costruire
nel 1923. I libri sono oggi dappertutto e ce ne sono di molto antichi e
preziosi.
Ti piaceva collezionare oggetti di antiquariato e per questo hai
trasformato la tua abitazione di Lonato in una casa-museo, una casa
cioè dove sono stati raccolti per passione, e oggi esposti ai visitatori,
oggetti e mobili antichi.
Sappiamo che eri molto generoso e stimato da tutti i tuoi concittadini
per la tua generosità e per il tuo altruismo. Hai dedicato tutta la vita all’aiuto delle persone meno
fortunate, impegnandoti come avvocato e difendendo la giustizia.
Sul portone d’ingresso della casa si legge questa scritta: “Amicizia e quiete confortano il duro
vivere”. Con questa scritta volevi sottolineare che la tua casa doveva essere aperta a tutti: amavi
infatti ricevere ospiti, amici e no, per trascorrere con loro piacevoli giornate; per questo nella tua
casa hai voluto molte sale da pranzo e salotti, una per ogni grado di intimità che avevi con le
persone che venivano da te. Amavi però anche la quiete, come si legge nella citazione: infatti ti
piaceva stare da solo a leggere, studiare e passeggiare. Ogni mattina salivi alla rocca di Lonato per
camminare un po’ e guardare da lontano il lago.
Alessandro, Lucrezia, Daniel, Francesco
73 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Ritratto di Ugo Da Como
progetto 7 I luoghi ci parlano
La Biblioteca
Ugo Da Como nel suo
studio
In basso, la Sala Rossa
Gentile Ugo Da Como,
abbiamo visitato la sua residenza estiva di Lonato
e il suo modo di riordinare i libri e oggetti è davvero
impeccabile.
L’oggetto più interessante che abbiamo visto è il libro
più piccolo del mondo, stampato a Padova nel 1896. È
l’edizione più piccola mai stampata a caratteri mobili; si
tratta di una lettera di Galileo Galilei alla Granduchessa
Maria Cristina di Lorena. Il libro è conservato in una
teca di vetro al centro della sua Biblioteca che sorge
nel giardino.
Ci è piaciuta molto la citazione in latino scritta a lato del
camino, sul quale sono riposte delle maioliche: “Se hai
un giardino con una biblioteca, non ti mancherà nulla”.
La presenza di più di 2000 libri all’interno della dimora
ci ha impressionato e abbiamo colto la sua
passione per il collezionismo di opere antiche, uniche
e splendide.
Un’altra cosa che abbiamo notato è la presenza di
numerose tavolette di legno sul soffitto rappresentanti
uomini e donne aristocratiche che, oltre ad avere una
funzione estetica, servivano per coprire e limitare gli
spifferi d’aria e l’accumularsi di polvere o ragnatele.
La sua è una casa piena di curiosità e cose
interessanti, speriamo di tornare presto a scoprire
qualche altro segreto.
Francesca, Camilla, Nicole, Vittoria
Egregio sig. Ugo Da Como,
abbiamo visitato la sua residenza estiva, in precedenza
Casa del Podestà veneto. Ci è piaciuta molto, in particolare lo studio. Alle pareti sono appesi
numerosi quadri, tra cui paesaggi e ritratti, e alcune importanti nomine e riconoscimenti offerti a
lei da senatori e politici italiani. Ci ricordiamo in particolare di attestato consegnatole dalla Croce
Rossa.
Immaginiamo che trascorresse molto tempo nel suo studio, seduto alla scrivania di legno scuro,
dando consigli utili alle persone in difficoltà: sappiamo bene che lei difendeva le classi sociali meno
fortunate, lavorando per loro come avvocato.
Davanti alla scrivania c’è un armadio pieno di libri che dimostra la sua passione per la cultura.
Nonostante la sua carica di senatore era molto disponibile e per diffondere la cultura ha trasformato
la sua abitazione in una casa museo, dando vita ad una Fondazione dove tuttora si possono
consultare libri e manoscritti.
Paolo, Jessica, Giacomo
Gentile senatore Ugo Da Como,
lei per noi è un uomo di grande cultura e di grande importanza. Volevamo
ringraziarla per la sua ospitalità nella vostra villa di Lonato del Garda.
La casa è molto bella e ricca di oggetti pregiati, ci hanno colpito molte stanze,
ma la più bella è sicuramente la Sala Rossa, dove accoglieva e riceveva
quotidianamente i suoi ospiti.
La sala prende il nome dal colore delle pareti e degli arredi. In un angolo di questa
sala abbiamo notato il busto di Cicerone e abbiamo pensato che per te questo
personaggio poteva essere un esempio; infatti anche molte delle citazioni che sono
state trascritte e dipinte sulle pareti di casa tua sono tratte da opere di Cicerone,
come ci ha spiegato la guida. Abbiamo apprezzato anche la sala antica dove lei ha
esposto delle maioliche, bianche e blu: si tratta di antichi vasi da
74 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 7 I luoghi ci parlano
farmacista e su ognuno di essi è dipinto il nome delle erbe medicinali in
esse contenute.
Nella sua casa ci sono anche altre sale da ricevimento: in una abbiamo
ammirato piatti di porcellana con disegni cinesi, in un’altra molti peltri.
Tutte le sale da pranzo danno direttamente sul giardino della casa:
immaginiamo che le piacesse trascorre il tempo con gli ospiti anche
all’aperto, per godere della natura e dell’aria fresca.
Sicuramente in una casa sua non mancavano gli ospiti, gli amici, le visite
di persone che le chiedevano un consiglio o un aiuto. Ci sarebbe molto
piaciuto essere tra i tuoi ospiti e poter pranzare con lei e sua moglie in una
di quelle magnifiche sale da pranzo.
Nicolle, Corinne, Beatrice, Sara
Le maioliche
Carissima signora Maria,
Il Tinello
abbiamo avuto recentemente l’opportunità di visitare la sua meravigliosa casa di Lonato, dove
viveva con suo marito Ugo Da Como e siamo rimasti impressionati dall’immensa quantità dei libri.
Abbiamo anche avuto l’occasione di entrare nelle sue cucine, dove si trovano tanti oggetti
interessanti: abbiamo ammirato i bellissimi vasi in ceramica che si trovano sopra il grande armadio
in legno massiccio e non abbiamo potuto fare a
meno di chiederci se al suo interno sono ancora custoditi servizi di piatti e bicchieri.
La nostra attenzione è stata attirata dal grande tavolo rettangolare dove la immaginiamo seduta a
cena con suo marito, quando non avevate ospiti da ricevere.
La cucina ci è piaciuta molto, soprattutto la decorazione a quadrettini rossi, che è molto semplice,
ma allo steso tempo elegante.
Pensiamo a tutti gli splendidi pezzi che ci sono nella vostra casa: suo marito aveva davvero un
gusto raffinato e le sue collezioni di pezzi antichi sono molto curiose.
Siamo rimasti colpiti in particolare dal salottino blu, dove riceveva le sue ospiti e prendeva il the con
le amiche.
Per noi lei è stata una donna generosa e altruista, cosa che abbiamo capito da due fatti, che la
guida ci ha illustrato. Innanzitutto la festa per il suo onomastico, l’8 settembre, durante la quale
accoglieva con amore i bambini di Lonato che venivano a
trovarla e recitavano in suo onore poesie in cambio di doni. Poi
c’era il pranzo durante il quale serviva un gustosissimo spiedo
a tutti, proprio tutti, anche ai suoi dipendenti: sicuramente tra
voi e le persone che lavoravano nella vostra casa c’erano un
buon rapporto e grande armonia, cose che in molte altre case
mancavano. Purtroppo non abbiamo visto il suo cagnolino
Bobby, ma il nome ci fa pensare a un animale simpatico!
Speriamo di poter tornare presto a rivedere la casa, per scoprire
magari qualche altro particolare curioso.
Nicolò, Luca, Anna
Egregio senatore Ugo Da Como,
quanto sapere sulle pareti della sua casa a Lonato! Ci ha
particolarmente colpito la biblioteca che ha fatto costruire nel
suo bellissimo giardino: è proprio vero che, come diceva uno
scrittore latino, se hai un giardino con una biblioteca, non ti
mancherà mai nulla. Tra le tanti frasi latine che abbiamo avuto
modo di leggere una ci ha colpito in particolare: “Soltanto con i
libri io parlerò sempre”, che ci ha fatto capire quanto Lei fosse
un amante della cultura e della letteratura. Anche noi pensiamo
che i libri abbiano molto da insegnarci!
La guida ci ha spiegato quanto impegno e tempo Ugo Da
Como ha dedicato alla costruzione della biblioteca, realizzata
75 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 7 I luoghi ci parlano
progetto 7 I luoghi ci parlano
in stile neogotico da un amico ingegnere di Brescia e conclusa
nel 1923: oggi è una delle più importanti biblioteche private del
nord Italia. Che prezioso tesoro conserva! Libri, libri, libri di ogni
genere, alcuni più preziosi di altri, molti con bellissime legature in
pelle, tutti catalogati con precisione, ordinati e ben sistemati sugli
scaffali.
L’edificio è costituito da due sale sovrapposte collegate da una
bella scala in pietra. La prima è detta della Vittoria, perché al
centro conserva una riproduzione in scala della Vittoria Alata.
Secondo noi però la sala più bella è la seconda, al primo piano: è
più piccola, ma più raccolta e soprattutto piena di libri dal soffitto
al pavimento: che meraviglia! Il soffitto poi è bellissimo, decorato
con tavolette lignee dipinte dell’inizio del 500.
Sappiamo anche che sono conservati molti libri illustrati, tra cui
alcune edizioni della Divina Commedia e una della Gerusalemme
liberata; inoltre ci sono tanti altri libri, in particolare molti
manoscritti e soprattutto i preziosissimi incunaboli, che Lei
amava collezionare: si tratta dei primi libri stampati che risalgono
a prima del Cinquecento. Molti sarebbero andati perduti e forse
oggi non potremmo goderne. Per questo il suo impegno è stato
davvero ammirevole.
Siamo contenti di averla conosciuta, da lei abbiamo capito
l’importanza della cultura e dei libri.
Elisa, Lavinia, Tazio, Lorenzo
Egregio sig. Ugo Da Como,
dopo aver visitato la sua casa molto ospitale abbiamo capito le
sue più grandi passioni: leggere e collezionare oggetti antichi.
Nella casa, infatti, sono conservati moltissimi libri, ben sistemati
e catalogati in armadi antichi di legno pregiato e mobili, quadri e
suppellettili.
In questa casa si trasferiva durante l’estate; ci hanno raccontato
che amava trattenersi in giardino, seduto su una seggiola di
vimini ad ascoltare il silenzio o leggere il giornale: era infatti
anche molto interessato alle questioni che la circondavano.
Lei ha collezionato libri storici e ha compiuto un gesto davvero
esemplare: dar vita a una ricchissima biblioteca aperta a
chiunque volesse consultarla o fosse appassionato di cultura, ma
anche destinata alle persone meno colte.
In quasi tutte le stanze della casa sono scritte citazioni in latino
che ci hanno fatto riflettere perché assai significative. “Non mi
sazio mai di libri” è la nostra preferita, perché anche a noi piace
davvero tanto leggere e vogliamo prendere esempio da Lei.
Sappiamo che nella sua vita ha fatto anche molto bene, è stato
generoso soprattutto nei confronti di persone di umile classe
sociale e si è battuto per molte cause. A Lonato ha saputo farsi
amare da tutti, ma sappiamo che il suo impegno si è esteso
anche all’Italia nella sua carica di Senatore.
Alessia, Benedetta, Anna
Biblioteca: sala della Vittoria
Vaso di maiolica
76 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Il Vittoriale degli italiani: riflessioni, ricordi, emozioni
La prima tappa del nostro percorso di conoscenza del
Vittoriale degli Italiani è stata la visita del luogo in cui egli
abitò dal 1921 al 1938, data della sua morte. Ogni dettaglio
di questo luogo ci ha trasmesso notizie relative al suo
proprietario, il poeta Gabriele d’Annunzio.
Entrando nella casa in cui risiedeva Gabriele d’Annunzio, detta
Prioria, subito abbiamo notato che le stanze erano piccole e
poco illuminate. La guida che ci accompagnava ci ha spiegato
che fu il poeta stesso a volere che rimanessero in penombra:
a causa della malattia agli occhi che lo affliggeva non poteva
tollerare la luce troppo intensa. In quella giornata di sole il
contrasto fra l’esterno grande e luminoso del parco e le stanze
piccole e semi-buie era davvero molto evidente!
Durante la visita al Vittoriale abbiamo provato molta curiosità
nell’osservare gli oggetti e i soprammobili originali che si
trovano nelle stanze del poeta: essi ci hanno parlato del
d’Annunzio collezionista. Siamo rimasti sorpresi dalla grande
quantità di oggetti sparsi per tutta la casa. D’Annunzio amava
accumulare oggetti di diverso valore e provenienti da luoghi
ed epoche differenti. In ogni stanza i soprammobili poco
costosi si mescolano a statue rituali indiane autentiche, a
elefanti in maiolica cinese, mattonelle persiane, piccoli oggetti
egizi e persino ad alcune statutette raffiguranti il Budda. La guida ci ha invitato
a soffermare la nostra attenzione su alcuni di essi, ma osservarli tutti era davvero
impossibile!
Aggirandoci tra le stanze dell’edificio abbiamo osservato gli scaffali colmi di volumi,
cercando anche di leggere qualche titolo sul dorso dei libri posti alla nostra altezza.
Questa ricca biblioteca ci comunica il grande amore che il poeta nutriva nei
confronti della letteratura e della cultura.
I calchi in gesso di opere greche, i dipinti, le statue disseminate nella casa ci hanno
aiutato a comprendere che Gabriele
d’Annunzio nutriva interesse verso ogni
forma d’arte. Questa grande attenzione
verso l’arte e la bellezza ci ha aiutato a
comprendere un altro importante volto
del poeta: il volto del d’Annunzio esteta.
I numerosi strumenti conservati nella
sua casa ci testimoniano in particolare
la sua sensibilità verso la musica.
Approfondendo in classe la sua vita
abbiamo infatti scoperto che il poeta
aveva iniziato a prendere lezioni di
pianoforte e violino sin da piccolo.
Inoltre la maggior parte delle opere
di Gabriele d’Annunzio contiene
riferimenti alla musica.
Lo Studio in cui d’Annunzio amava
77 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Studio del viso di
Gabriele d’Annunzio
La Nike
progetto 7 I luoghi ci parlano
Il poeta in “Officina”
lavorare si chiama “Officina”. Ci ha
colpito il fatto che per entrare in questa
stanza il visitatore sia costretto ad
abbassarsi, perché l’architrave è basso:
questa entrata è stata una scelta precisa
del poeta, per fare in modo che chiunque
entrasse dovesse fare un inchino all’arte!
A tutti noi è sembrato che in questo
luogo si respirasse un’atmosfera diversa
rispetto a quella che si percepiva nel
resto della casa, forse perché è un
ambiente molto più luminoso rispetto
agli altri e arredato con mobili in legno
di rovere, più semplici e chiari rispetto
all’arredamento del resto dell’abitazione.
Fra le varie opere conservate in
questa stanza, la presenza di un busto
coperto da un velo ha attrattola nostra
attenzione. Così abbiamo chiesto
informazioni alla nostra guida, che ci ha
spiegato che si trattava del busto velato
di Eleonora Duse, la grande attrice che
fu per d’Annunzio compagna e musa
ispiratrice, scomparsa nel 1924. Il poeta
teneva la statua coperta per non provare
dolore nel ricordare l’immagine della
donna amata. In questa stanza il poeta trascorreva molte ore studiando e scrivendo.
Dunque questo luogo in particolare ci parla del d’Annunzio poeta e scrittore.
Abbiamo immaginato il poeta seduto alla scrivania, intento a comporre le sue opere
letterarie!
Durante la visita la guida ci ha aiutato a leggere ed interpretare alcune delle diverse
scritte e dei simboli che si trovano sui muri e i soffitti: ci siamo divertiti ad esaminare
questi “indizi”, sparsi nelle varie stanze come in un labirinto misterioso. Ad esempio
sull’architrave all’ingresso dell’ “Officina” si legge la scritta “Hic opus, hic labor est”
(Qui è l’opera, qui è il lavoro). Fra i moltissimi simboli, ricordiamo l’immagine
di una mano sinistra mozzata che si trova sulla porta dello scrittoio in cui il poeta
gestiva la corrispondenza. Questo simbolo, insieme alla scritta “Recisa quescit”
(Tagliata riposa), sta a significare che il poeta non voleva rispondere alle numerose
lettere che riceveva! Un altro simbolo che ci ha colpito si trova nella sala da pranzo:
si tratta di una grande tartaruga, morta nei giardini del Vittoriale per un’indigestione
di tuberose. D’Annunzio ha scelto di collocarla direttamente sul tavolo: in questo
modo il poeta intendeva dire ai propri ospiti: “Non mangiate troppo o farete la fine
di questa tartaruga!”
Una volta usciti dalla Prioria, siamo entrati nell’auditorium, dove alcuni dei
nostri amici, appassionati di aerei, sono rimasti fermi a naso all’insù, affascinati
dall’aeroplano SVA 10 appeso al soffitto: esso ci ha parlato di Gabriele d’Annunzio
aviatore. Abbiamo immaginato il poeta vestito da aviatore, mentre sorvolava Vienna
a bordo di quel velivolo.
Altri ragazzi della classe si sono trattenuti davanti ad un’auto d’epoca appartenuta a
78 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 7 I luoghi ci parlano
Panorama
d’Annunzio. La guida ci ha spiegato che, nel periodo in cui egli visse, possedere una
vettura del genere era una cosa rara, dato che le auto erano davvero molto costose.
La bellissima giornata ci ha messo di buonumore e ci ha permesso di apprezzare il
grande parco del Vittoriale. In esso si trova una rimessa in cui è custodito il MAS 96,
a memoria di un’impresa che d’Annunzio compì proprio su quell’imbarcazione. La
sigla iniziale del MAS era “Motoscafo Anti Sommergibile”, ma il poeta la cambiò
con il motto “Memento Audere Semper”.
Ad un certo punto, mentre camminavamo nella natura, abbiamo visto sbucare
da lontano gli alberi di un’altra grande imbarcazione! Si tratta della nave militare
Puglia… È stato strano ma anche divertente passeggiare sulla prua di una nave nel
bel mezzo di un parco, fingendo di essere dei marinai!
Le imbarcazioni, oltre ai vari cimeli di guerra e alle fotografie conservate nel
Vittoriale, ci hanno parlato del d’Annunzio soldato, o meglio del “poeta-soldato”,
come lui stesso amava definirsi.
Stanchi ma soddisfatti, abbiamo fatto una sosta nel grande teatro all’aperto,
concepito come un anfiteatro greco. Lì abbiamo scattato qualche fotografia al nostro
lago di Garda, che risplendeva davanti a noi, illuminato dai raggi del sole!
La nostra visita al Vittoriale si è conclusa sulla sommità del mausoleo, dal quale
abbiamo potuto ammirare lo splendido panorama che si apriva davanti a noi.
Questo enorme monumento è stato destinato dal poeta ad accogliere le sue spoglie
e a trasmettere ai posteri la memoria della sua opera letteraria e della sua vita
eccezionale.
Benedetta, Anna
Bibliografia
Aa. Vv., San Salvatore e Santa Giulia, a cura di G. Belotti, Brescia 2004.
A. Manzoni, Adelchi, a cura di G. lonardi, Venezia 2005.
S. Lusardi, R. Valbusa, a cura di, La Fondazione Ugo Da Como, guida illustrata al complesso museale,
Brescia 2005.
N. Baronio, Il senatore Ugo Da Como nei ricordi di un giovane giardiniere in Ugo Da Como. Quaderni
della Fondazione, dicembre 2012.
79 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 8 La fiamma è bella
Chi e dove Classi coinvolte Docenti referenti
progetto 8
Istituto Comprensivo T. Olivelli
Scuola Secondaria Papa Giovanni Xxiii – Gardone Riviera
Terze A e B
Bettinzoli Liliana, Colosio Michela, Comini Mariangela, Raggi Simona
La fiamma è bella
Luce, fuoco e calore nelle case-museo
di Gabriele d’Annunzio, Ugo Da Como
e nel museo di Santa Giulia
Premessa
Le classi Terza A e B dell’Istituto Comprensivo “T. Olivelli” (Scuola secondaria di
I° grado “Papa Giovanni XXIII” di Gardone Riviera) hanno aderito al progetto
promosso da Le Vie dell’Arte intitolato Luoghi di vita e di arte. Nel corso dell’anno
scolastico 2011-2012 hanno effettuato la visita alle case-museo del Vittoriale degli
Italiani a Gardone Riviera e della Fondazione “Ugo Da Como” di Lonato, mentre
nel corso dell’anno 2012 hanno visitato il Museo di S. Giulia di Brescia e hanno
proceduto alla stesura dell’elaborato.
80 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Il titolo scelto per lo stesso è tratto dall’esclamazione pronunciata da Mila,
protagonista della tragedia dannunziana La figlia di Iorio, nell’immolarsi tra le
fiamme.
La parola ai ragazzi…
La prima tappa del percorso affrontato da noi studenti è stata la casa – museo del
senatore Ugo Da Como. L’edificio originale, risalente alla metà del Quattrocento,
era sede del rappresentante della Repubblica di Venezia e fu, nel corso dei secoli,
soggetto alla dominazione dei Gonzaga. Il senatore scelse questa dimora come
residenza sua e della moglie a partire dal 1920, dopo averla acquistata per la somma
di cinquantamila lire. Egli intervenne sulla struttura originaria ristrutturando e
modificando l’edificio in modo da renderlo simile ad una dimora signorile del tardo
medioevo.
La visita guidata ha illustrato a noi alunni e ai nostri insegnanti gli ambienti, interni
ed esterni, che costituiscono l’edificio: la nostra attenzione è stata catturata dai molti
oggetti e dalle suppellettili che risalgono all’epoca medievale o si ispirano ad essa. Tra
questi ci hanno colpito gli innumerevoli libri che costituiscono la ricca biblioteca,
tra cui il libro più piccolo al mondo, gli albarelli, i dipinti e le statue, tutti di grande
valore.
La dimora ci è apparsa a prima vista immersa in un’atmosfera oscura, quasi cupa, ma
non ci sono sfuggiti i numerosi camini
che adornano le stanze e che servivano per usi differenti: scaldare ed illuminare o
preparare succulente cene. Camminando tra le stanze, infatti, è stato facile rivivere
l’epoca in cui la casa era abitata dai suoi proprietari ed immaginare quegli ambienti
animati da grossi focolari.
A questo aggiungiamo l’interesse suscitato dalle scritte che sono riprodotte sugli
stessi camini o nelle pareti a fianco. Ci ha colpito in particolare la cucina, cosiddetta
“ingegnosa”, dal gusto moderno, che riscaldava i fornelli con le braci del fuoco.
La seconda tappa è stata la visita al Vittoriale degli Italiani. Gabriele d’Annunzio
volle acquistare sul Lago di Garda una dimora che soddisfacesse le sue esigenze e
la scelta cadde su quella che all’epoca era nota come Villa Cargnacco. Col passare
del tempo egli la trasformò e la adattò al proprio gusto per renderla la sua residenza
definitiva.
La nostra visita si è concentrata sull’ambiente della Prioria. Da subito siamo stati
colti dall’impressione di ritrovarci nella stessa atmosfera della Fondazione “Ugo
Da Como”, infatti anche qui le stanze paiono immerse in un’ambientazione
piuttosto cupa le cui pareti sono tappezzate di libri. E non passano certo
inosservati gli innumerevoli oggetti d’arte provenienti da tutto il mondo che
arricchiscono le stanze del Vate, tra cui un’altra splendida collezione di albarelli.
Anche qui l’unico ambiente rischiarato da una luce calda è la cucina, che appare
molto simile, per l’aspetto moderno e funzionale, a quella vista a Lonato. In
effetti, ricercando tra gli scritti del Vate, ci siamo imbattuti in un’immagine di
d’Annunzio piuttosto singolare, quella di “gastronomo”, almeno sulla carta! Nel
“Libro Segreto”, d’Annunzio descriveva in maniera ironica la sua arte culinaria,
in particolare la sua capacità di trasformare il prodotto del pollaio (le uova) in
frittata. Il poeta giustificava la scomparsa della frittata, rivoltata in aria più volte
nella padella per darle ugual cottura, con l’intervento di un angelo di passaggio,
che avrebbe portato quella leccornia in Paradiso. La lettura di quel simpatico
racconto ci ha ispirato la trasformazione del testo dannunziano in una ricetta, la
81 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 8 La fiamma è bella
progetto 8 La fiamma è bella
ricetta della “Frittata di Sainte Omelette”, che incontrerete nelle pagine a venire.
Anche al Vittoriale, sebbene meno evidenti, sono presenti molti camini, alcuni dei
quali estremamente preziosi e decorati. Tutta la struttura inoltre “parla” al visitatore
attraverso numerose scritte e motti che caratterizzano il tono e la destinazione dei
vari ambienti e svelano molto del carattere del celebre poeta e degli anni trascorsi a
Gardone Riviera.
Ciò che è apparso dal confronto tra le due dimore museo è che a Lonato i caminetti
servivano sia come ornamento che come fonte di luce e calore da utilizzare per
riscaldare gli ambienti e cuocere i cibi, mentre al Vittoriale essi appaiono quasi
nascosti e poco utilizzati nella loro funzione primaria, in quanto sono per lo più
oggetto di arredo e decoro. Infatti, il riscaldamento della casa del Vate era fornito da
un moderno impianto di termosifoni che lo stesso d’Annunzio aveva provveduto a
far istallare nella ex villa Cargnacco.
Terza tappa del nostro percorso è stata Brescia: il Museo di Santa Giulia. In realtà il
nostro interesse si è puntato sulle Domus dell’Ortaglia, antiche abitazioni di epoca
romana di famiglie patrizie in cui, ancora oggi, è possibile osservare il sistema di
riscaldamento a pavimento, ossia un modo di riscaldare le stanze che prevedeva
un’intercapedine in cui passava aria calda; metodo estremamente funzionale ripreso
anche in epoca contemporanea. Abbiamo anche potuto osservare resti di antiche
lucerne, cioè piccole lampade ad olio che servivano ad illuminare le stanze.
Nel Museo abbiamo visto una delle rappresentazioni della città di Brescia: la statua
di Brescia armata, realizzata dallo scultore Antonio Calegari. Il corpo femminile è
realizzato in marmo di Botticino, ma nella mano sinistra essa stringe una lancia in
metallo, simbolo dell’antica arte della fusione dei metalli che fu, fin dal Medioevo,
vanto e fortuna della nostra città.
Ma i richiami al fuoco, alla luce, al calore non si concludono certo qui … Basta solo
pensare agli innumerevoli spunti che si possono osservare nello splendido Coro delle
monache compreso tra la chiesa di San
Salvatore e la chiesa di Santa Giulia. A
coronare il capo di Cristo risorto c’è una
aureola a orifiamma.
E in conclusione, non potevamo non
ammirare la splendida volta stellata di
S. Maria in Solario che fa da cielo alla
Croce di Desiderio.
Spazio alla fantasia
Come anticipato nell’introduzione, le visite effettuate in preparazione alla stesura
di questo progetto, ci hanno permesso di soffermarci su alcuni dei numerosi motti
e scritte. Infatti le guide che ci hanno accompagnato hanno svelato non solo il
significato letterale, ma anche i legami con l’edificio e la stanza presso cui erano
collocati, raccontandoci aneddoti e curiosità che ad essi facevano riferimento. Tutto
ciò ci ha indotto a riflettere sulla funzione e sulla finalità dei motti e ci ha fatto venire
la voglia di provarci. Ecco come abbiamo proceduto…
III A – Per affrontare questa attività, abbiamo deciso di lavorare a coppie. Gli
argomenti e i contenuti dei motti da noi realizzati hanno preso spunto dai valori
più importanti per noi adolescenti, quali l’amicizia, il coraggio, i sogni … In essi
abbiamo cercato di concentrare il nostro mondo, le nostre speranze , le cose in cui
crediamo. Ogni motto è stato abbinato ad un disegno che simboleggia i concetti che
stavamo esprimendo. Questo lavoro ci è piaciuto molto, non solo perché ha fatto
emergere la nostra vena artistica, ma anche perché ci ha indotto a riflettere su di noi,
come individui e come membri di uno stesso gruppo, a confrontarci, e qualche volta
a scontrarci, su ciò che ci sta più a cuore.
III B – Noi alunni di III B abbiamo dapprima riflettuto sui due motti presenti
rispettivamente nel corridoio-vestibolo del Vittoriale degli Italiani e sul camino della
“Sala della Vittoria” della Casa del Podestà:
“Cui non cedit minerva/ aliquid amplius invenies/ in silvis
quam in libris”
“Chi non rinuncia alla conoscenza, Minerva, dea della
sapienza, qualcosa di più grande trova nella natura, nei
boschi, cosi come nei libri
“Si hortum cum biblioteca habes nihil deherit”
“Se hai un giardino con una biblioteca non ti mancherà
nulla” (da Cicerone)
Attraverso l’analisi del loro messaggio ne abbiamo poi
Motto del corridoio vestibolo del Vittoriale
Motto sul camino della
Sala della Vittoria nella
Casa del Podestà
Le vie dell’arte: ci piace
Per rendere più attuale e vicino al nostro
mondo questa attività abbiamo pensato
di sfruttare un social network assai
diffuso: Facebook. La pagina riprodotta
di seguito e quella che troverete a
conclusione del lavoro, mostrano una
serie di scambi di pensieri e riflessioni
condivisi durante le varie fasi della
realizzazione del progetto.
Noi della Terza A abbiamo chiacchierato
a proposito delle tre uscite effettuate…
82 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
83 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 8 La fiamma è bella
progetto 8 La fiamma è bella
fatto emergere gli elementi in comune: entrambi, infatti, parlano di conoscenza
come valore fondamentale per l’uomo, accanto alla natura quale luogo di sapere.
A partire da ciò, abbiamo costruito due campi semantici relativi ai concetti
individuati e, infine, abbiamo tentato di “attualizzarli”, per renderli più concreti e
più vicini alla nostra esperienza.
“Quali sono oggi i nostri luoghi e strumenti di conoscenza?”
“A cosa serve la conoscenza?”
Queste le domande che hanno guidato la nostra riflessione e
la stesura dei “nostri” motti, realizzati in piccoli gruppi. Infine,
nelle ore di Arte e Immagine, abbiamo messo in gioco la
nostra creatività, trasformando quelle parole in un disegno che
comunicasse in modo immediato, incisivo e fantasioso il nostro
motto.
Le vie dell’arte: ci piace
Noi di Terza B abbiamo commentato la conclusione dell’intero
progetto…
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85 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 8 La fiamma è bella
progetto 8 La fiamma è bella
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87 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 8 La fiamma è bella
Percorsi didattici
Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Scuole superiori
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89 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
Chi e dove Classi coinvolte Docenti referenti
Liceo Scientifico N. Copernico – Brescia
Terza D e Quarta D
Rossana Cerretti
progetto 9
La cortigiana, la musa, la santa
Presenze femminili reali e immaginarie
al Vittoriale e nella Casa del Podestà
La ricerca svolta dalle classi 3° D e 4° D del liceo Scientifico “N. Copernico” di Brescia, attraverso le presenze
femminili reali o immaginarie che si trovano nella Prioria e nella casa del Podestà, mette a confronto due modi
di considerare l’antico e intende mostrare come un ambiente di vita, creato secondo il gusto del proprietario
e in base al suo immaginario possa diventare un museo, testimonianza artistica di diversi periodi storici
dell’arte italiana nonché della sensibilità estetica in cui è stato creato. Purtroppo, per ragioni di spazio non è
stato possibile includere nel nostro itinerario anche il Museo di santa Giulia, del quale ci auguriamo di poterci
occupare in una futura occasione.
La referente del progetto
Rossana Cerretti
D'Annunzio alla
Capponcina
Aspettando Leyla. D’Annunzio e l’arte della seduzione
“Mi piacque nondimeno esser giudicato ‘capace di tutto’ quando mostravo di
sapere che gli ordini morali seguono i gradi di latitudine, che le regole e i codici
sono transitorii, che le verità sono cadevoli e cedevoli, che la sola misura dell’energia
è il rischio, che la rinunzia e l’obedienza
sono le due orecchie dell’abiezione”. (Libro
segreto)
Il rapporto di Gabriele d’Annunzio con le
donne riguarda non solo le particolari doti
seduttive di un uomo fuori dal comune, ma
anche il valore della sua arte e il concetto
stesso di “vita inimitabile”, che si incarna
nella figura del dandy tipico della Belle
Epoque. Nel Vittoriale e, in particolare, nella
Prioria tutto è costruito e pensato per creare
l’ideale teatro della seduzione e dell’erotismo.
Per d’Annunzio l’amore è sensualità,
90 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
devozione, consacrazione, ma anche trasgressione e
sofferenza perché nei confronti dell’altro sesso egli nutriva
un sentimento ambivalente. Il poeta per le donne provava
ammirazione, venerazione, ma anche disprezzo o odio: “La
donna è una scienza, non un piacere” scrisse in Di me a me
stesso, figura necessaria alla sua creatività, ma proprio per
questo più mitica che reale. Cercava di sminuire il potere
delle donne su di sé e d’altra parte esse gli erano necessarie
come l’aria che respirava. Fece scrivere il motto di Pindaro
“Ottima è l’acqua” sul soffitto del Bagno Blu, ma “Trista è
la donna” nel bagno degli ospiti, forse citando le parole di
un altro poeta greco, Simonide. Non c’è quindi da stupirsi
che egli coniasse sempre nuovi soprannomi per le sue
amanti, perché esse dovevano diventare pure espressioni del
suo immaginario: per questo incontriamo all’interno del
Vittoriale moltissime figure femminili di Vittorie, dee, sante,
muse che spesso assumono i volti delle sue amanti – come,
per esempio, nel suo studio la protome di Eleonora Duse –
o le richiamano indirettamente, come vedremo per il calco
del Prigione morente di Michelangelo. Sempre nell’Officina,
troviamo anche il ritratto di un’altra delle sue conquiste del
periodo del Vittoriale, l’attrice Elena Sangro, mentre sotto
la Nike di Samotracia è posta una fotografia
ritoccata (opera di Man Ray) raffigurante Luisa
Casati Stampa, un’altra amica di d’Annunzio,
soprannominata da lui Coré, una donna
eccentrica ricordata, fra l’altro, perché andava
a passeggio con due leopardi al guinzaglio per
le vie di Venezia. Anche per le sante del soffitto
della Sala del Lebbroso, opera di Guido Cadorin,
(Sibilla di Fiandra, Elisabetta d’Ungheria, Odila
d’Alsazia, Giuditta di Polonia, Caterina da Siena)
posarono alcune amanti
del poeta: secondo Valerio Terraroli, le cinque
sante ritrarrebbero nell’ordine: Livia Cadorin
(moglie del pittore), Betty Lewis, Cecilia
Monteverde, Beatrice Orsi Beuf, Luisa Baccara,
tutte molto care al poeta negli anni del suo
soggiorno al Vittoriale (per un approfondimento
su questo tema si rinvia ad un nostro intervento
pubblicato nei Quaderni del Vittoriale, nuova
serie / n. 5, 2009 ).
“Clarisse al limitare della morte”, le aveva
soprannominate nel Secondo amante di
Lucrezia Buti, e le “clarisse” del Vittoriale
erano un insieme inquietante e inscindibile di
corruzione e purezza, proprio perché, come
spiega Arnaldo Fortini nel suo libro D’Annunzio
e il francescanesimo, il poeta era attratto
91 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Luisa Casati Stampa in
un fotoritratto di Man
Ray con la dedica a
d'Annunzio (Ariel).
“Le clarisse al limitare
della morte” nel soffitto
della Sala del Lebbroso
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
morbosamente dall’idea della meretrice
convertita, della peccatrice redenta,
magari dal suo santo protettore, San
Francesco, al posto di Cristo (come, per
esempio, nell’opera La Pisanelle).
Anche la Maddalena che cosparge di
profumi i piedi di Cristo e li asciuga con
i suoi capelli nella sala del Lebbroso,
sempre opera del Cadorin, nasconde
un’altra delle sue amanti: la modella Ines
Pradella. A lei il poeta scrisse un biglietto
dichiarandosi “lebbroso e quasi santo”
bisognoso delle sue cure…
Il motivo per il quale d’Annunzio
prediligesse questa forma di gioco
erotico è abbastanza complesso e ha
probabilmente origine dalla sua infanzia.
Uno degli aspetti che lo attraeva di una donna era, infatti, il senso di carità e
La figura di Niobe al
centro, accanto alla testa lo spirito di sacrificio che gli ricordavano la madre, la sorella Elvira e in seguito
della Madonna medicea Eleonora Duse (molto legata idealmente per lui alla sorella).
di Michelangelo,
immagini esemplari del
dolore materno
La figura della madre addolorata e piangente appare spesso nell’immaginario
dannunziano e al Vittoriale essa è simboleggiata dalla protome di Niobe (del tipo
degli Uffizi) nell’Officina. A proposito della sua figura scrive nel Gombo: “O Niobe,
l’antico / tuo grido odo alzarsi repente/ al cospetto del Mare, / e il tuo disperato
dolore / chiamar le figlie e i figli / per l’inesorabile chiostra”. La sua immagine
gli ricordava la vera natura del dolore materno, per questo, tra l’altro è messa in
relazione alla testa della Madonna medicea di Michelangelo.
Tali riferimenti, però, sono tutt’altro che esenti da una sensualità morbosa, perché
una delle sue fantasie ricorrenti era quella del rapporto incestuoso
tra fratello e sorella, come testimonia il suo continuo desiderio di castrazione
Ida Rubinstein nel
costume di scena di
San Sebastiano, mentre
brandisce un grande
arco e accanto il San
Sebastiano attribuita a
Sebastiano d’Appennino
della sala del Lebbroso
92 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
(per il senso di colpa) rappresentato in modo evidente dalla
mano mozza dello Scrittoio del Monco. D’altra parte, il
rapporto incestuoso è tipico del Decadentismo, alluso in
modo più o meno scoperto anche in molte opere di Wagner
e apertamente dichiarato nella vicenda del concepimento
di Siegfried da parte dei due fratelli, figli del dio Wotan,
Siegmund e Sieglinde. Secondo Wagner questa unione
era invisa agli dei perché avrebbe dato origine ad un essere
superiore alle divinità stesse, perciò i due fratelli vengono
destinati entrambi alla morte.
In d’Annunzio, invece, l’incesto si risolve con la fantasia
dell’uccisione rituale della giovane donna affinché il fratello
ne sia purificato (variante di Antigone concepita nel romanzo
Il Fuoco). Un’ansia di purificazione-espiazione pervasa dal senso di colpa che
d’Annunzio provò per tutta la vita e che forse spiega la ricerca continua di nuove
amanti inseguendo costantemente l’innocenza perduta.
Anche le figure maschili “sante” della Prioria nascondono, in realtà, riferimenti
ambigui: il San Sebastiano presente sempre nella Sala del Lebbroso (scultura lignea
del primo Cinquecento di arte marchigiana, attribuita a Sebastiano d’Appennino),
infatti, somiglia in modo impressionante alla danzatrice Ida Rubinstein (nelle vesti
di scena del Martyre de Saint Sébastien), tanto da far pensare che sia stato scelto dal
poeta in virtù di tale somiglianza, se non addirittura ritoccato a questo scopo.
L’amore era quindi il sogno di una riunificazione impossibile dei sessi e perciò le
donne di d’Annunzio vivevano per lui sempre e solo in un unico mito, quello
cioè di Euridice al limitare della porta dell’Ade: per poter creare arte e far vivere
per sempre l’amore, rendendolo immortale, era necessario fissare quell’attimo
prima che la passione si spegnesse. Euridice, perché Orfeo potesse cantare di lei,
doveva tornare indietro e morire di nuovo; come testimonia il calco del rilievo,
posto sopra la porta dell’Officina dalla parte interna, con Orfeo che si accomiata da
Euridice riaccompagnata da Mercurio del Museo Archeologico Nazionale di Napoli,
proveniente da Torre del Greco. Nelle opere, così come nella vita del poeta, appare
evidente il senso di esaltazione e il desiderio di distruzione, di annullamento che le
amanti gli comunicavano. Senza l’idea della decadenza della fuggevole forma non
poteva esistere l’amore. Per questo una delle sue sante preferite era santa Teresa
d’Avila e il suo motto “Sin amor todo es nada”, è citato nel soffitto dello Scrittoio
del Monco mentre il calco del volto della
santa, tratto dalla statua del Bernini, si
trova invece nella Sala del Mappamondo:
essa rappresentava l’apice dell’esaltazione
mistica e nello stesso tempo carnale,
unite all’idea della vanitas di ogni cosa
al di fuori della totale consacrazione
amorosa.
D’Annunzio era morbosamente attratto
dall’immagine della suora o della
monaca che per lui rappresentavano
una tentazione fortissima di seduzione,
come accade nelle Vergini delle rocce dove
Claudio Cantelmo seduce Massimilla,
93 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Calco del rilievo
con Orfeo che si
accomiata da Euridice
riaccompagnata da
Mercurio del Museo
Archeologico Nazionale
di Napoli, proveniente da
Torre del Greco.
La cuoca Albina
Becevello (la seconda
da sinistra) con altre
“clarisse”.
La danzatrice Isadora
Duncan.
Alcuni dei vestiti
usati dalle donne che
visitavano il poeta nel
nuovo spazio museale
dedicato a D’Annunzio
segreto al Vittoriale
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
destinata, appunto, a diventare clarissa.
Inoltre abbiamo notizia di travestimenti
con tonache monacali delle donne
presenti nella Prioria, nonché, in
precedenza, della Duse stessa. Anche
la servitù del Vittoriale veniva vestita
in questo modo e la cuoca era stata
soprannominata dal poeta “suor Albina”.
Alcune di loro erano “badesse” solo per
una notte, altre invece, frequentavano
il poeta più a lungo, anche se negli
ultimi anni rifuggiva da relazioni troppo
impegnative.
D’Annunzio quando giunse al
Vittoriale era già quasi sessantenne
e, d’altra parte, non era mai stato
particolarmente bello, ma il suo
potere seduttivo era legato al fascino
dell’eleganza, allo stile del tutto
personale, alla scenografia stessa del
Vittoriale, alla fama delle sue imprese
eroiche e amorose, e, soprattutto,
all’abilità della parola, ossia alla
capacità persuasiva del tono di voce
che appariva alle ascoltatrici talmente
sensuale da rimanerne ammaliate.
Scrive Isadora Duncan nel suo libro di memorie La mia vita: “Ho inteso molte
donne domandarsi: – Come mai una donna così bella ha potuto incapricciarsi di
un uomo così brutto come d’Annunzio? […] Sentirsi lodata, con quella magia
particolare di d’Annunzio è una gioia paragonabile a quella che dovette provare
Eva quando udì nel paradiso la voce del serpente. D’Annunzio può dare a ciascuna
donna l’ impressione che sia il centro dell’universo. […] Sembra che la sua voce vi
domini e distrugga in voi ogni volontà col potere di una forza sconosciuta. Esistono
parole più brucianti delle più brucianti carezze … Egli le conosce. Esistono carezze
più immateriali delle parole più soavi… Anche
queste egli le conosce”.
D’Annunzio quando corteggiava una donna la
riempiva di regali per poi invitarla alla Prioria dove
veniva presa in consegna dalla sua fidata governante,
Amélie (soprannominata Aélis) Mazoyer (già al
suo servizio all’Arcachon in Francia) complice del
poeta nei suoi giochi erotici, con il compito di
prendersi cura delle sue “belle di notte”, preparando
loro vestiti della taglia adeguata, e adatti al genere
di magia fiabesca che il poeta voleva realizzare. Si
veda a questo proposito il nuovo libro di Giordano
Bruno Guerri La mia vita carnale. Amori e passioni
di Gabriele D’Annunzio. Per questo motivo sono
stati ritrovati all’interno degli armadi della Prioria
parecchi abiti femminili di vario genere. Come apprendiamo da diverse fonti, per
esempio anche dal libro L’arte della seduzione in Gabriele d’Annunzio di Paola Sorge,
spesso per le sue ospiti, d’Annunzio faceva imbandire delle cene estremamente
raffinate, sia per la scelta dei vini sia per quanto riguarda i piatti; cene nelle quali
non doveva mai mancare qualche prodotto della sua terra d’Abruzzo né qualche
aspetto così originale da stupire i commensali, come, per esempio, tralci con
grappoli d’uva che pendevano dal soffitto in pieno luglio! D’Annunzio si occupava
personalmente dell’arredo della tavola, della scelta dei colori, dei fiori nei vasi, dei
profumi posti nei bacili d’argento pieni d’acqua per rinfrescare le mani. Le donne
dovevano presentarsi vestite come il poeta aveva richiesto, magari come Vellutino
(Ester Pizzutti) solo con un abito di rete d’oro “su la pelle nuda” (ancora conservato
intatto nell’armadio della Stanza degli Ospiti al Vittoriale).
Purtroppo, se da un lato era quasi impossibile resistere a quell’uomo affascinante
e incantatore, dall’altro la magia svaniva facilmente e la carrozza di Cenerentola si
tramutava ben presto in un’auto che riportava la giovane di turno a casa propria.
Alcune delle sue amanti precedenti erano rimaste segnate per sempre da simili
atteggiamenti, come Alessandra di Rudinì (detta Nike) che si fece carmelitana
dopo la fine della loro relazione o la
giovane francese Angèle Lager detta
Jouvence, divenuta talmente insistente
che fu costretta dal poeta a rimpatriare,
per poi ripresentarsi a distanza di anni al
Vittoriale ancora in preda al delirio della
passione. Eleonora Duse, tra le altre cose,
ne uscì economicamente rovinata.
La vita del poeta al Vittoriale era in
continua oscillazione tra l’autoironia
per il proprio decadimento fisico e la
disperata ricerca di nuove conquiste che
lo facessero sentire eternamente giovane:
“Vecchio guercio tentennone, io resterò
dunque senza fine sospeso al mio nervo
Alessandra di Rudini
ottico, e senza denti riderò del vanesio che volle non soltanto divenire quel che era prima e dopo la sua
ma abolire interamente i suoi confini e rivivere tutte le vite, riesperimentare tutte le relazione con d'Annunzio
esperienze, togliere a tutti il meglio di ciascuno per atteggiarlo ed esaltarlo nella sua
unica volontà”. (Libro segreto)
La sua pretesa di vivere tutte le vite si scontrava con la realtà dello spegnersi
dell’unica vita che gli restava, e che, alla fine, nonostante tutte le esperienze, non
era mai sazia,. Il tempo fuggiva inesorabile. L’unica possibilità era creare e ricreare
la magia nella cornice della sua villa-harem: “Fuori dal Vittoriale, non sarei che
un vecchietto libidinoso” ammetteva egli stesso. Per questo era necessario un luogo
come la Prioria perché essa potesse diventare il palcoscenico di ogni sua recita: dal
padre priore, all’eunuco orientale. Le sue fantasie e i suoi desideri erano sempre stati
insaziabili, tanto che negli ultimi anni della sua vita si rammaricava di non essere
più in grado, come un tempo, di soddisfare tre donne al giorno! Tutte conoscevano
il suo modo di vivere e di pensare a riguardo, ma invariabilmente, ogni donna
viveva, almeno per un certo tempo, l’illusione di essere l’unica e si lasciava incantare
da questa personalità poliedrica e imprevedibile, capace delle più sublimi gentilezze
come dei più assurdi eccessi. La fama delle sue prestazioni erotiche eccezionali era
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95 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Isadora Duncan danza
nella foresta
Gaetano Previati
La danza
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
probabilmente dovuta anche all’uso della cocaina da cui era divenuto
sempre più dipendente negli anni del Vittoriale, una droga che
d’Annunzio spesso spalmava anche sulle gengive determinando così la
perdita dei denti.
Scrive ancora Isadora Duncan: “Forse l’amante più meraviglioso del
nostro tempo è Gabriele d’Annunzio. Ciò nonostante è un uomo
piccolo e calvo e, salvo quando il suo viso si illumina, non si può dire
che sia bello. Ma quando parla ad una donna che ama si trasfigura
al punto da rassomigliare addirittura ad Apollo, e così è riuscito a
conquistare l’amore delle più grandi e delle più belle donne del suo
tempo.Quando d’Annunzio ama una donna, la innalza e innalza la
sua anima al di sopra della terra, fino alle regioni divine dove si muove
e risplende la Beatrice dantesca. […] Ci fu un momento, a Parigi, in
cui il culto di d’Annunzio toccava altezze vertiginose ed erano tutte
le bellezze celebri ad amarlo. Ma quando il capriccio del poeta finiva
e lui abbandonava l’amante di turno per un’altra, quel velo di luce
scompariva, l’aureola si eclissava e la donna tornava all’argilla mortale”.
Ma quali erano le parole che d’Annunzio rivolgeva alle proprie amanti? Scrive
ancora la Duncan: “Mi ricordo di una passeggiata meravigliosa che feci con lui
nella foresta. Ci fermammo e restammo silenziosi. Allora d’Annunzio esclamò: ‘O
Isadora, non è che con voi che si può essere soli in mezzo alla Natura. Tutte le altre
donne distruggono il paesaggio; voi sola vi incorporate. Voi fate parte degli alberi,
del cielo. Voi siete la Dea suprema della Natura.’ Tale era il genio di d’Annunzio.
Dava ad ogni donna l’illusione di essere la Dea di un dominio differente”.
D’Annunzio, aveva la straordinaria l’abilità di “plasmare” la propria amante affinché
gli facesse vivere l’illusione di possedere molte donne contemporaneamente:“Mi
convieni perché nessun’altra forma è fatta, come la tua, per secondare le mie
finzioni. […] sei buon conio a qualsiasi delle mie impronte. quante altre donne
compiutamente possedevo in te, dianzi; e una fra tutte, quella che più t’è avversa:
tu sai quale”. Scrive nel Libro segreto probabilmente riferendosi ad Elena Sangro.
Le donne si trasformavano in clarisse e meretrici, Veneri di Prassitele o Aurore di
Michelangelo, guerriere come Atena
e androgine come il Prigione morente,
donne fatali e meduse. Finché durava,
tutto era perfetto. Mordere la vita,
vivere per vivere. Questo era tutto: “La
passione vera non conosce l’utilità,
non conosce alcuna specie di benefizio,
alcuna specie di vantaggio. vive, come
l’arte, per sé sola. l’arte per l’arte, la
prodezza per la prodezza, il coraggio per
il coraggio, l’amore per l’amore, l’ebrezza
per l’ebrezza, il piacere per il piacere”.
(Libro segreto). Qualcuna riusciva a
resistere ai suoi assedi amorosi, ma erano
veramente in poche: la più famosa delle
sue avventure mancate fu quella con la
pittrice Tamara de Lempicka che, giunta
al Vittoriale per fargli un ritratto, pur
facendo la civetta con lui, alla fine respinse gli approcci del poeta.
Spesso le fantasie sui triangoli amorosi che servivano ad eccitare l’eros, diventavano
realtà. Come si evince dai suoi romanzi, d’Annunzio amava anche i rapporti a
tre o più donne, predilezione confermata dalla scritta sul soffitto della sala della
Leda: “Tre donne intorno al cor mi son venute / E seggionsi di fore / Ché dentro
siede amore / Lo quale è signoria della mia vita…” che, in un certo senso, può
essere considerata come la traccia iniziale per il suo romanzo Le Vergini delle
Rocce. Nonostante il senso della canzone dantesca sia molto più intellettualistico e
idealizzato, non si può nascondere che per d’Annunzio esse rappresentassero i suoi
oggetti del desiderio erotico come, appunto, le tre donne delle Vergini delle rocce
in cui l’immaginario di Cantelmo si rivolge su tutte tre, mentre nel Fuoco risulta
ben chiara l’ossessione dannunziana di possedere più donne contemporaneamente
e di fare di un’amante la complice di questo triangolo. Attraverso la presenza delle
tre donne si sprigiona, secondo il poeta, una grande forza creativa che appare
direttamente proporzionale all’attrazione erotica, perché esse rappresentano nel
suo immaginario la “triade dionisiaca” della tragedia (poesia, musica, danza) a cui
alludono probabilmente i quadri di Gaetano Previati presenti nella Sala dei Calchi
donati da Alberto Grubicy al poeta, ma giunti al Vittoriale solo dopo la sua morte.
Alla presenza delle tre donne – spiega Cantelmo – “io assistevo in me medesimo
alla continua genesi d’una vita superiore in cui tutte le apparenze si trasfiguravano
come nella virtù di un magico specchio”.
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97 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Gabriele d'Annunzio e
Eleonora Duse
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
Un episodio di amore con più donne è raccontato esplicitamente nel Libro segreto
a proposito delle sue abitudini alla Capponcina, durante la relazione con Eleonora
Duse: “Per la via vecchia fiesolana andavo ai Robbia di Sant’Ansano? scendevo
al cancello d’una villa chiusa in bossoli esatti dove m’attendevano le due sorelle
sonatrici di virginale e di liuto alunne di Arnold Dolmetsch, esperte in giochi
perversi. ‘on fait toujours beau-coup de progrès en enseignant’ (‘Si fa sempre molto
progresso nell’insegnamento’)” Poi, dopo il “triangolo”, come se niente fosse,
tornava dalla Duse: “Ghisola, Ghisolabella! ‘Gettando la briglia balzavo su la ghiaia.
‘Ghisola!’ ero folle di lei oblioso, incolpevole. l’infedeltà fugace dava all’amore una
novità inebriante: la sovrana certezza. m’adiravo contro ogni indugio nel bagnarmi.
‘Ghisola ti amo, ti amo, per sempre te sola. aspettami, aspettami tu, se io non posso
più aspettare.’
Attonita, ignara, quasi paurosa, ella diceva: ‘ma che hai? che hai?’”
D’Annunzio per giustificare questi suoi atteggiamenti libertini aveva una risposta
risolutiva: egli contestava la fedeltà e la verginità ritenendole concetti inutili, odiosi,
profondamente ipocriti. A suo parere, infatti, non esiste in amore una coppia
fedele: “Bisogna spezzare la maschera della fedeltà come quella della verginità. […]
Innumerevoli sono le parole che non rispondono ad alcun sentimento reale, ad
alcuna figura ideale. ma non v’è menzogna sillabica più confusa e più diffusa di
questa: la fedeltà. ha il suono scenico delle false catene. […] alludo agli amanti fedeli:
genia inesistente. non v’è coppia fedele per amore. Io sono infedele per amore, anzi
per arte d’amore quando amo a morte”. (Libro segreto)
Per d’Annunzio l’amore doveva essere soprattutto una forma di conoscenza di sé e
della donna:
“Io son nato per studiare, per comprendere, per apprendere: questo significa ch’io
son nato per possedere. Fra tutte le creature della terra la donna è quella che noi
possiamo più profondamente apprendere. or è così giustificata – secondo il cervello,
calido cerebro autore – l’assidua mia frequentazione. A chiarezza di me. io sono
vicino alle cose – a tutte le cose, alle cose universe – più che qualunque altro uomo,
più che qualsivoglia animale nei numerati e innumerati elementi”.
Alla fine della sua vita, però, si rese conto di essere rimasto ignoto a se stesso, come
misteriosa e lontana era stata per lui, nonostante tutto, la figura femminile. Così un
giorno Eleonora Duse gli aveva letto una perfetta definizione della loro anima, della
loro relazione e di lui stesso: “’Come è fatta quest’anima così forte, così inferma, così
piccola, così grande che cerca le secrete cose e contempla le più alte? come è dunque
fatta questa che tante sa dell’altre cose e non sa come ella sia fatta?’ […] e ancóra mi
lesse, mutando un gioco di suoni in una lode segreta o in una condanna palese: ‘tu
hai in te numero e non puoi essere annoverato, però che sÈ misurevolmente senza
misura’”.
Proprio questa capacità profetica e straordinaria amava Ariel-d’Annunzio della sua
amica, Foscarina, Perdita, Ghisola, la donna nomade che lo abbandonava per poi
tornare, anche se non si sapeva quando né come… L’attrice, nonostante la dolorosa
fine della loro relazione dichiarò: “Gli perdono di avermi sfruttata, rovinata,
umiliata. Gli perdono tutto perché ho amato”. Eleonora fu l’amore costante di
tutta la sua vita, tanto che molti testimoni presenti al Vittoriale ricordano che il
poeta nell’Officina si rivolgeva alla protome della grande attrice posta sulla scrivania
e dialogava con lei come se fosse viva. Egli le sopravvisse quattordici anni e ormai
vecchio affermò: “È morta quella che non meritai”.
Nonostante questa consapevolezza, l’amore per d’Annunzio restava una corsa
folle verso la distruzione e l’annullamento, una specie di esperienza mistica senza
dio, come tutte le azioni estreme della sua vita. L’eccesso era talmente esaltato che
alla fine restava solo l’anima all’interno del delirio dionisiaco: “Di quanta lussuria
belluina, di quanto piacere perverso, di quanta imaginazione impura io mi son
nutrito in questi ultimi tempi. In questa malattia, come dunque la sofferenza carnale
a poco a poco spoglia di carnalità il corpo che soffre? Come dunque il corpo non ne
serba traccia, quasi vaso di vetro che lavato e rilavato non serba color di vino, odor di
essenza, dolciore d’elisire? Tutti i miei pensieri sembravan vibrare di penne luminose:
alti serafini dalle molte ali disposte intorno a un volto senza corpo, intorno a
un’estasi senza cuore”. (Libro segreto)
L’amore era l’esperienza dove ferino, umano e divino
diventavano una cosa sola, in una specie di riunificazione
della vita: per cui l’energia vitale era tanto più potente quando
riuniva in sé entrambi i sessi e la forza di elementi diversi:
“Quante e quante volte ho sentito – e mi son persuaso e mi
son radicato nel convincimento – che l’istinto prevale su
l’intelletto. Quante volte ho sentito, in me artista peritissimo,
in me tecnico infallibile, […] che il mio istinto supera la mia
abilità mentale, precede tutte le sottigliezze del mio mestiere.
E però non amo le donne se non per quel che v’è di animale
in esse; voglio dire: d’istintivo. talvolta so renderle divine,
nel senso che la bestia è una forma del divino, anzi il più
misterioso aspetto del divino. Il loro potere su me tuttavia – di
là da tutti i miei esperimenti e inganni interiori – è soltanto
corporale, è soltanto carnale”.
“Ecco. Il bacio che s’arca e non iscocca, / sembrando denudarti
a poco a poco, / stampa nel mio pallore l’ombra e il foco /
dell’altra bocca. / Se tu l’apra e mi scrolli in te confitto, /
ardendo come gli ìnguini l’ascella, / t’amo con una crudeltà
più bella / d’un bel delitto”.
Un desiderio così insaziabile che una delle sue amanti francesi (Lalotte) aveva
esclamato: “Ce pauvre Gabriel si plein de genie et de spermatozoides!”
Eppure questo desiderio nascondeva forse una sostanziale freddezza ed incapacità
di amare come per tutti i narcisisti… “De toutes femmes aimées j’ai fait ma
semblance” (Di tutte le donne amate ho fatto la mia sembianza) scrisse nei suoi
appunti autobiografici noti con la sigla Chi sono?
Le persone che vivevano stabilmente con lui dovevano perciò adattarsi a questo
suo atteggiamento: Luisa Baccara, la sua amante fissa del periodo del Vittoriale, era
molto gelosa, ma fu costretta a scegliere se adeguarsi o andarsene. E d’altra parte,
così aveva reagito anche la moglie, Maria Hardouin di Gallese, che era rimasta legata
a d’Annunzio almeno da profonda amicizia, sebbene entrambi conducessero vite
separate. Così il poeta aveva fatto allestire per lei la villa Mirabella sul limitare del
parco del Vittoriale. Della Baccara, molto probabilmente, d’Annunzio apprezzava
soprattutto le sue doti di grande pianista, eccezionale interprete della musica di
Franz Liszt. Probabilmente vide in Luisa Baccara una specie di musa ispiratrice come
era stata per Wagner, Cosima Liszt, ricordata nella parte finale del romanzo Il Fuoco
e di cui si può vedere il ritratto nella Sala della Musica. Non a caso, infatti, proprio
in quella sala si conservava all’epoca il pianoforte del grande compositore ungherese
(ereditato dal precedente proprietario Henry Thode, sposato con Daniela Senta von
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Luisa Baccara
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
Bülow, figlia di Cosima). Luisa, detta Smikra, appare ritratta di spalle
intenta a suonare l’organo, nella Sala del Lebbroso, accompagnata
dall’iscrizione Nunquam dissonis, (mai dissonante), per ricordare
l’amore del poeta per la musica che a suo parere accompagnava tutte
le visioni di bellezza dell’esistenza. Sappiamo che spesso la Baccara
suonava l’organo sia nella Sala del Mappamondo sia in quella del
Giglio.
Durante gli anni del Vittoriale riaffioravano nella mente di
d’Annunzio anche le amanti più importanti di diversi periodi della
sua vita: Barbara Leoni (che gli ispirò il personaggio di Ippolita
Sanzio, protagonista del Trionfo della Morte), Olga Levi (Venturina)
ecc. In più, ovviamente, troviamo alcune descrizioni delle donne che
lo visitavano nella sua casa di Gardone.
raccontato la storia dei due giovani persiani “perché ella accogliesse il suo nome
cubiculare”. E adesso la attendeva, non attendeva più Simonetta, né Agnoletta,
attendeva Leyla nella Veranda dell’Apollino, assaporando la frutta nell’attesa, o,
forse, fingeva solo l’attesa perché talvolta egli continuava ad assaporare nell’assenza
dell’amante, l’immaginazione della sua presenza come personaggio più che come
persona vera. Aveva già posseduto Leyla e adesso gli bastava pensare che la stava
attendendo inutilmente come Maghnun, appunto, per esaltare fino all’inverosimile
il desiderio: “Le ore passano. scocca l’ora dell’amante, l’ora citerea; ch’io chiamo per
me segreto l’Ora dell’Invenzione. Mi alzo per accertarmi che la porta del Prigione
è chiusa, e che non è possibile alla forza e alla frode penetrare nel penetrale. Leila è
giunta? offro in pensiero un sacchetto d’orzo al suo caval bianco rimasto dinanzi alla
mia porta difficile. o nella mia mattonella infissa?
Sono solo. sono nel colmo del mio digiuno rituale. nella Loggia dell’Apollino è
un’ampia coppa di frutti. c’è l’uva che ieri m’inviò da Pegli il conte di Grado Luigi
Rizzo, […] La coppa era preparata per Leila. tuttavia Leila è presente con tutta la sua
vita di frutto immaturo e maturo, dall’ora che la conobbi a quest’ora che la deludo.
e gioisco e patisco di lei più misteriosamente che s’ella fosse nel mio letto ignuda o
sopra i miei cuscini d’aremme seminuda. Per una di quelle transustanziazioni che
senza miracolo compie il mio cervello alimentato dal fuoco degli ìnguini, gioisco
di Leila in ognuno dÈ miei versi rapiti a Saadi, in ognuna delle mie mattonelle, in
ognuna delle mie figure, in tutta l’arte di Persia mistica e sensuale”.
In un altro passo del Libro segreto apprendiamo che d’Annunzio aveva già posseduto
Leila in un gioco quasi violento: “Tanto è stretta la veste, guaina sapientemente
congegnata, che da sola ella stenta a togliersela. […] la stoffa imprigiona le braccia
[…] rimane sempre più impigliata, non osa strappare, esita a dilacerare. ride
nell’intrico, ride e strepita nel laccio, giovine animale nella tagliuola […] Profitto
della sua impotenza […] per solleticarla, per pungerla, per eccitarla al riso frenetico.
è vincolata, è prigione. doventa il mio gioco.
La spoglio dalla cintola in giù, mentre ella è legata e constretta dalla cintola in su.
Con uno sgambetto maestro la stendo sul tappeto. Le tolgo la cintura che regge i
legacci per tirare le calze. una voluttà singolare s’accorda con le calze. le sue sono
finissime, diafane […] Nel suo sobbalzare la veste qua e là stride fendendosi. il
suo grande occhio nero sfolgora per entro due lembi. O Leila, giovine stelo, ramo
snello che i due frutti del petto non incurvano. Dopo la danza di amore, dopo il
combattimento acre, dopo il gioco acrobatico, ella si snoda: e con un atto di atleta,
fiero e incantevole, si stropiccia vigorosamente le gambe indolenzite o intorpidite.
Ella ha la conoscenza delle bestie e delle bestiole e dÈ lor costumi e dÈ lor modi di
sfuggire alla caccia, una conoscenza tanto istantanea ch’ella sembra della famiglia.
tutti gli animali sottili e veloci ammaestrano la sua snellezza. […] Parla, mi
blandisce, mi vuol sedurre, esprime dal suo viso e dal suo collo – che è bellissimo – il
suo incantesimo. […]” Leyla, oltre al fascino del suo giovane corpo, attrae il poeta
per il suo fondersi con la natura (come il personaggio della fiaba persiana) imitando
perfino i richiami degli uccelli sugli alberi di magnolia dell’Arengo.
Le magie
Leyla
Un esempio eccezionale di come arte e vita si compenetrassero nell’immaginario
dannunziano è dato dalla storia di Leila e Manghnun, nata dalla presenza nel Bagno
Blu di due piastrelle persiane raffiguranti i due sfortunati amanti della tradizione
orientale. Le lunghe ore di studio che d’Annunzio aveva dedicato alla maiolica
persiana si erano improvvisamente tramutate in una magia realizzata.
Leyla e Majnun (Maghnun), secondo la leggenda, vivevano nello stesso paese
ed erano talmente innamorati che Majnun camminava per strada gridando
costantemente il nome della ragazza. Questo insolito comportamento portò Qays
(questo era il suo vero nome) ad essere soprannominato “Majnun” ossia “pazzo”
in lingua araba. I due ragazzi vennero però divisi dalla famiglia di Leyla e allora il
giovane disperato vagò nel deserto chiamando a gran voce il nome dell’amata e a
poco a poco diventò parte della natura. Cominciò a vivere nelle foreste e nei deserti
cibandosi di ciò che l’ambiente produceva spontaneamente, e comunicando con
animali e piante come S. Francesco. Successivamente un generoso principe guerriero
di nome Nowfal decise di aiutarlo a sposare la sua amata. Majnun sembrava
ritornato in sé e furono intraprese trattative con la famiglia della giovane, ma fu tutto
inutile. L’ennesimo fallimento gettò Majnun in uno stato di tristezza, spingendolo
a vivere nuovamente nella natura in totale solitudine. Quando, dopo tanto tempo,
Majnun verrà a sapere della morte della sua amata, si recherà sulla sua tomba
accudito dai suoi amici animali a piangere fino alla morte. Fino a diventare, cioè,
secondo la tradizione persiana, un salice
piangente.
Scrive d’Annunzio nel Libro segreto:
“Ecco Maghnun il folle, l’ambizioso
deluso, eccolo scarnito e afflitto di contro
a Leila estenuata e disperata, accosciati
entrambi nel pianoro di una rupe
ignuda. intorno la coppia infelice sono
raccolti a coppia gli animali diversi: i
giaguari le gazelle le lepri le anatre gli ibi
i falchi”.
Le due formelle persiane
Così il poeta alla sua nuova amante
con Leyla e Maghnun
Simonetta cioè Angioletta Panizza aveva
nel Bagno blu
100 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
La menade danzante
Numerose poi, sono le descrizioni di incontri d’amore con danzatrici nei quali
immagina la propria amante come una ballerina egizia o etrusca, dalla pelle
ambrata, probabilmente abbigliata in modo adeguato all’occasione. Potrebbero
essere visioni ispirate dall’attrice Elena Sangro, ma non ne abbiamo la certezza: “
101 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Elena Sangro
La cacciatrice che tende
l'arco del Bios nella
Sala del Lebbroso e
l’Artemide di Bourraine
nella Sala della Musica
Elena Sangro nei panni
di Proserpina nel film
Maciste all'inferno
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
una fanciulla nel primo fiore della pubertà, […] nofert. il suo
corpo d’ambra scura, snello, pieghevole come lo stelo d’una
pianta fluviale, traspare per le pieghe esigue del ‘lino regio’
nomato aere tessile. traluce la sua nudità dalle mammelle
verginee, che con l’erte punte rosate trapassano la tunica
piegosa”.
La danza era un elemento che faceva letteralmente impazzire
di desiderio il poeta insieme all’immagine di Venere, ma
rispetto alla scultura classica (in genere di Prassitele) egli
amava le gambe più lunghe “ismisurevoli” diceva, come il
bronzetto di Enrico Mazzolani posto sulla mensola sopra il
lavabo del Bagno blu: “m’intaglia una Venere lunga, molto
lunga dagli inguini ai malleoli, stralunga, per indulgere al mio
vano amore delle ismisurevoli gambe”. Il corpo doveva essere
flessuoso come un giunco, qualcosa di molto simile a quello
di Ida Rubinstein o a quello delle cacciatrici che troviamo
raffigurate nella casa. Si tratta delle donne che reggono l’arco
del Bios, cioè dell’energia vitale nel replicarsi di vita e morte, come la giovane nuda
intenta a tendere l’arco nella Sala del Lebbroso accompagnata dalla scritta Fert
diem et horam (sopporta il giorno e l’ora) ovvero, come spiega nel Fuoco: “L’arco
ha per nome Bios e per opera la morte”, cioè il ciclo della natura meccanicistica
o karmica. La modella sarebbe la giovane Betty Lewis, presente anche tra le sante
del soffitto. Un’analoga raffigurazione di Artemide dalle gambe slanciate si trova in
un elegantissimo bronzetto opera dello scultore francese Bourraine nella sala della
Musica. Il poeta amava molto questi corpi atletici e slanciati di donne selvagge e
guerriere, vagamente androgine, simili ad amazzoni.
In un altro passo del Libro segreto la danzatrice viene paragonata a Pandora per la
sua eccezionale bellezza: “S’ella danza, mi dispero. Il gioco dei malleoli […]. Le
mammelle talvolta paiono velarsi come per caste palpebre, […] Nella gamba la
lucentezza del fùsolo e – quasi parallela – la tenue scanalatura ionica. Vive per esser
bella, è bella per vivere. L’arte della sua cura cutanea […] tende a ottenere per tutto
il viso e per tutto il corpo un colore eguale, simile a quello dei simulacri di avorio
o di pario. […] E com’è che, o disperato Pygmalion, la sua pelle nelle regioni più
soavi par quasi azzurrina? ”
Sempre legato alla danza è anche il suggestivo ricordo di Elena Zancle (ovvero
Elena Sangro) che danza per il poeta sulle odi di Alcyone: “Ma stamani tutti i
misteri cedono al mistero del ritmo che fa di me il suo
strumento sempre novo e sempre diverso. dianzi Elena Zancle
mi chiedeva di leggerle alcune tra le più aerose odi del libro di
Alcyone per emulare Gorgo nel danzarmele.
Io voglio nuda, nell’odor del màstice,/ danzar per te sul limite
dell’acque/ l’ode fiumale al suon delle sampogne”.
Un ruolo importante giocava ovviamente anche la biancheria,
che il poeta si portava via dopo l’amore per porterla toccare
ancora da solo, come le tre camicie di Elena Zancle “la bianca
la violata la gialla, tutte pizzi trine merletti, trasparenze sopra
la pelle, più lievi delle vene sotto la pelle”.
L’altra fantasia che spesso gli tornava alla mente negli anni
del Vittoriale era l’incontro con Ida Rubinstein: “Sono per
accogliere l’attrice in un palagio da me costruito e ornato
con un’arte che non conobbero i papi né i re, non i dogi né
i soldani. Ora in lei è non so qual sublimazione, non so qual
sommo e colmo di giovinezza, come per un fato retrorso degli
anni. […] Prima di danzare ella è seduta in silenzio: assisa
come la sibilla che attende entro se l’iddio o che già in sé
l’ascolta.
Qual fato statuario e spirtale la sublima? […] Ella abbassa lo
sguardo su’ suoi ginocchi. anche una volta ho la sensazione
indefinibile della vita particolare e indipendente delle sue
gambe. […]
Liberai dÈ cosciali e delle gambiere le gambe del mio
Sebastiano invitto, […] L’amore dÈ primi tempi, L’amore del
tempo di Cleopatra e di Sheherazade mi rifluisce nel cuore
aumentato come il fiume dalla alluvione subitanea.
Bozzetto per il Martyre
‘Vous souvient-il? vous souvient-il?’ (‘Vi ricordate? Vi ricordate?’)
de Saint Sebastien
Tutti i ricordi di quel tempo, e la brama tormentosa, e i primi baci alla sua bocca
insensibile, e i baci di tibicine lungo le gambe fino agli inguini; e il folto e cupo
divieto quivi crinito, in tanta delicatezza di linea e di colore quella specie di
selvaggia ambage chiomante, quella oscurità ferina,[…] Ella si leva dal sogno nel
sogno, e danza nell’aula smaltata come una legatura straricca di Corano o di libro
sacro dell’Iran. Ella danza, presente e assente, di là dalla natura, di là dalla magia, di
là dalla musica”. (Libro segreto)
In questo passo si intuisce tra l’altro come il poeta avesse tentato di sedurre
la Rubinstein, nonostante fosse notoriamente lesbica e intrattenesse una
relazione con la pittrice Romaine Brooks. Inizialmente d’Annunzio sembrò
non avere successo, ma poi, grazie anche alla sua capacità di travestirsi da
donna e di dissimulare il suo sesso durante l’approccio erotico (come ha
spiegato Annamaria Andreoli in un’intervista nel cd D’Annunzio e l’epoca
dei piaceri), era riuscito a conquistarle entrambe. A questi particolari giochi
erotici, quindi, alludono probabilmente le statue maschili “travestite” che
troviamo in vari ambienti della casa.
Un altro personaggio dannunziano interpretato da Ida Rubinstein è La Pisanelle
o il gioco della rosa e della morte, ricordata dalle due pelli di leopardo della Sala
del Lebbroso, rappresentanti la lussuria; la protagonista dell’opera,infatti, è una
meretrice, che viene detta anche “la Leoparda”. Per rappresentare l’ambiguità tutta
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progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
dannunziana tra martirio mistico e trasgressione
sessuale, nella danza finale la Pisanella muore
soffocata dalle rose.
Il disinganno
La passione era bruciante e sublime, ma poi, come
abbiamo già visto per Leyla, il poeta spesso si faceva
negare, cominciava a deludere le amanti, si sottraeva
agli abbracci, taciturno e ostile come ricorda nel Libro
segreto a proposito di Venturina (Olga Levi), la sua
amante a Venezia durante la prima guerra mondiale.
Il poeta pensava in realtà a “Lachne” un’altra amante
che frequentava contemporaneamente a Olga:
“Non è anima e non è carne. non è acume e non
è stupidezza. ma quanto mi piace! […] Lachne la
chiamo quando è nuda; e non ho mai pronunziato
con tanta lascivia il greco di Milo. […] Ci diciamo
addio senza stringerci la mano, come per sempre,
come in un rancore perpetuo”.
Si propone allora di rivedere Venturina, ma quando
la giovane arriva il poeta la delude di nuovo:
Ida Rubinstein nei panni
“Riappare Venturina fresca acerba intrepida impaziente. Mi trova cupo, svogliato,
di Cleopatra ritratta da
nemico. Ho il coraggio di pregarla che se ne vada, anche una volta. ho la forza di
Leon Bakst nel 1909.
perderla”.
Pietro Canonica L’abisso Dopo gli incontri, i sogni e le magie, ecco arrivare il disinganno e la
(1909)
delusione:perché l’amore è supplizio, prima vita assoluta e poi morte: di Barbara
Leoni amava la bellezza “patetica e sensuale” e la passione per lei era una malattia
incurabile, un supplizio: “L’impossibilità di seguire ogni consiglio ragionevole, la
necessità di averla meco senza indugi, di là da tutti i divieti, o di morire.[…] questo
è l’amore. il non poter vivere senza una creatura, la
sola: e non distinguo l’anima dalla carne, anzi dichiaro
la carne, anzi la pongo sopra tutto: questo è l’amore,
soltanto questo”.
L’amore diventa poi la lotta folle tra due nemici,
nella antica leggenda popolare abruzzese che gli aveva
ispirato il finale del Trionfo della morte: “Dura nel
contado laggiù la leggenda degli amanti che s’erano
precipitati a picco dal promontorio su la scogliera
nerastra, come testimonii amici affermano. […]‘Ella
supplicava, folle di terrore, divincolandosi. sperava di
trattenerlo, d’impietosirlo.
– Un minuto! ascolta! ti amo. perdonami. Perdonami.
Ella balbettava parole incoerenti, disperata, sentendosi
vincere, perdendo terreno, vedendo la morte.
– Assassino! – urlò allora furibonda.
E si difese con le unghie, con i morsi, come una fiera.
– Assassino! – urlò sentendosi afferrare per i capelli,
stramazzando al suolo su l’orlo dell’abisso, perduta.
Il cane latrava contro il viluppo.
104 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
Fu una lotta breve e feroce come tra nemici
implacabili che avessero covato fino a quell’ora
nel profondo dell’anima un odio supremo.
E precipitarono nella morte avvinti.
Tromma larì lirà llarì llallèra
tromma larì lirà, vvivà ll’amore!”
Questa era veramente la passione: amore e morte
inscindibilmente congiunti, un abisso nel quale il
poeta trascinava le proprie amanti per poi lasciarle
morire, mentre lui, come la Fenice “mutava l’ale”
e spiccava nuovamente il volo.
Restavano i ricordi dolorosi che riaffioravano
spesso nella mente del poeta durante il suo
soggiorno al Vittoriale: “Il martirio di Ghisola, il
disonore di Donatella, il perdimento di Amaranta
mi crosciano contro il viso mascherato, contro
il cuore fasciato. da San Rossore, dal ponte che
solevo traversare a cavallo con la mia triplice
muta di cani di enigmi e di stratagemmi salgono
e crosciano i sussulti i singulti gli insulti di
Vannozza, di Nyke, di Lavinia, di Ornitio, di
Panisca. quanta vita calpesta! quanta passione!”
(Libro segreto)
Eppure la vicinanza di queste donne era stata
indispensabile alla sua arte e quindi irrinunciabile:
“ho potuto alfine compiere un’opera bella con le
altrui vite, non col mio linguaggio: con la materia
umana, non col mio studio”. (Libro segreto)
Il teatro dell’eros
Divino, bestiale, umano
Questo aspetto misterico e viscerale dell’amore, va in scena soprattutto nella
Sala della Leda, l’alcova del poeta, caratterizzata da una continua commistione
di elementi rinascimentali ed orientali particolarmente ricchi di suggestioni e
“tentazioni”, suggerite da conturbanti profumi, come testimonia la presenza di
diversi bruciaincensi dell’Estremo Oriente.
Qui si recita l’amore come passione sfrenata e trasgressiva, fusione tra ferino
e umano, tra Eros e Thanatos, in un’atmosfera languida e decadente. La
donna è travisata, resa creatura dalle caratteristiche animalesche e selvagge, se
non addirittura mostruose, come le due Meduse all’ingresso dalla parte della
Zambracca: una del Canova sull’armadio davanti alla scrivania del poeta (un calco
di quella sollevata da Perseo nella statua conservata ai Musei Vaticani) mentre l’altra
si trova sopra la porta verso la stanza della Leda ed è molto simile alla Medusa
della Tazza Farnese (l’originale è un cammeo di grandi dimensioni) Quest’ultima
è accompagnata addirittura da due piccoli serpenti in bronzo che si protendono
verso il visitatore per metterlo in guardia perché una volta entrato nella Sala della
Leda sarà completamente investito dal potere “meduseo”, incontrollabile dell’eros.
Quest’immagine intrigante e satanica al tempo stesso ha sempre eccitato la fantasia
del poeta: ad essa paragonava le donne che lo attraevano, in particolare la Duse,
105 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
La Sala della Leda,
camera da letto del
poeta .
Alcune foto delle
amanti di d'Annunzio
nell'Officina
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
ma anche la sua amante Hermia (non meglio identificata, del periodo della
Capponcina) ritratta nel riverbero rosso del fuoco: “a traverso l’attorcimento mi
guata come una Medusa che non tema l’arpe di Perseo, comparabile alle più grandi
invenzioni dei poeti immortali.
Medusa! Górgone! Quante volte nelle angosce della mia poesia mi sentii affascinato
e forse impietrato da quella testa sublime” scrive nel Libro segreto. Infatti lo
colpiva molto il mito di Medusa, donna bellissima amata da Poseidone il quale
l’aveva portata una notte al tempio di Atena per consumare il loro amore, ma per
vendetta la dea l’aveva trasformata in un orrendo mostro. Così per d’Annunzio essa
rappresentava la donna fatale, satanica, tanto che il suo sguardo non aveva perso il
suo potere di pietrificare chiunque la guardasse: “Se mi torni, tornami di là da me
come quando ti drizzi su le reni e poni contro la mia maschera
il tuo viso raggiante di Musa o il tuo viso mortifero di Medusa.
” Scrive il poeta nel Libro Segreto. Ogni donna per d’Annunzio
nasconde nel suo centro una Medusa, un essere mostruoso
dell’oltretomba, capace di impietrire l’uomo.
La sua presenza riecheggia poi nei coralli in vetro rosso (nato
dal sangue della sua testa mozzata) presenti in due vasi sempre
nella stanza della Leda. Altro riferimento all’amore come
unione di elementi ferini e umani è rappresentato dalla copia
interamente dorata del gruppo scultoreo ellenistico della Leda
con il cigno del Museo Archeologico di Venezia. Questo mito
è legato anche al titolo del suo ultimo romanzo: La Leda senza
cigno. È probabile che proprio a Leda si riferisca l’ “impresa”
rinascimentale (formata da scrittura ed elementi iconici) che si
trova sopra la porta d’ingresso dalla parte interna. “Per un dixir” è
il motto sull’architrave dove al centro è inserita una piastrella con
Calco della testa di
un’immagine solare, quindi nell’insieme, il senso risulta “per un sol disir” cioè per
Medusa tratta dal Perseo
un solo desiderio, riferito al rapporto amoroso di Leda con il cigno dal quale poi (
del Canova (Musei
a causa di Elena) ebbe origine la guerra di Troia. Tale impresa è presente nel Palazzo
Vaticani).
Ducale di Mantova e quindi rappresenta insieme all’immagine del labirinto, uno
dei leit-motiv della casa e cioè il riferimento ai Gonzaga e ad Isabella d’Este, ma
Testa di Medusa simile
anche alla vita come desiderio e passione, fuoco che brucia senza mai consumarsi,
a quella della Tazza
tema ricorrente della poesia amorosa del Cinquecento, e, in particolare in quella
Farnese
di Gaspara Stampa. Ricordiamo che Isabella d’Este è a tutti gli effetti una delle
muse dannunziane alla quale il Vate dedicò il suo romanzo Forse che sì forse che no.
La sua figura è collegata alla musica rinascimentale come vediamo nella cosiddetta
“Impresa delle pause” riprodotta nel soffitto dello Scrittoio del Monco; inoltre
il numero 27 (che troviamo nel soffitto della Sala del
Lebbroso) numero simbolo di Isabella rappresentava
anche il giorno della morte della madre del poeta (27
gennaio). Sempre ad Isabella si riferisce l’ Eros in atto
di spezzare l’arco della Sala della Musica, copia bronzea
di un’opera di Pier Jacopo Alari Bonacolsi (Museo del
Bargello) eseguita dallo scultore a Mantova nel 1490 per
il matrimonio di Isabella con Francesco Gonzaga.
Intanto nella stessa parete in una nicchia accanto al
rilievo con Leda, uno dei piagnoni tipici della casa –
derivato dalla Tomba del duca Jean de Berry opera di Jean
106 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
de Cambrai (1438) – sottolinea il rapporto con
la morte e si copre completamente il volto, forse
anche con un’allusione ironica ai riti dell’eros ai
quali un religioso non doveva assistere.
La ferinità femminile, spesso con connotazione
irrazionale e negativa, talvolta sadica, è
sottolineata dalle due protomi in calco di
sculture greche una arcaica l’altra prassitelica
(poste sopra la piccola libreria con il labirinto)
che risultano abbigliate con elmi orientali e
recano labbra rosso carminio dipinte dal poeta
a indicare il fatto che durante i giochi erotici
egli amava mordere e farsi mordere le labbra
fino a farle sanguinare. L’amore, infatti, in certi
momenti appare quasi una tortura, e allora nel
poeta affiora sempre il desiderio più o meno
inconscio di castrazione come in questo passo
Calco della Leda con
del Libro segreto in cui sembra che il membro virile sia assimilato ad una spada
(quindi, come spesso accade nella poetica dannunziana, che ferisce ed è ferito nello il cigno del Museo
Archeologico di Venezia
stesso tempo): “Sono solo: irto di voglie ma ebro di decapitazione. ho l’arpe falcata
sotto gli origlieri. ”
L’insidia amorosa è poi sottolineata anche dalla presenza del labirinto – perché
nell’immaginario del poeta questo simbolo è messo in relazione con la passione
– e dall’iscrizione che lo accompagna “Lasso che mal accorto fui da prima” e che
fa parte del sonetto 65 del Petrarca il quale recita: “Lasso, che mal accorto fui da
prima nel giorno ch’a ferir mi venne Amore, ch’a passo a passo è poi fatto signore
de la mia vita, et posto in su la cima” giocando concettualmente sulla vicinanza
al labirinto e all’amore che fa perdere la chiarezza dei propri passi e delle proprie
azioni. L’immagine del labirinto proviene dalla sala omonima del Palazzo Ducale di
Mantova, ricordata nel romanzo Forse che sì forse che no (immagine ripresa poi nel
Corridoio del Labirinto)
Anche nella Sala della Cheli troviamo un’allusione alla passione distruttiva
nella piccola scultura raffigurante Paolo e Francesca, che pende dalle mani di
una scimmia, simbolo di avidità. Come si intuisce anche da un brano della
Contemplazione della morte, la scimmia
rappresenta la distruzione e il decadimento
dovuto al tempo che non risparmia nulla,
come in una vanitas seicentesca.
Il centauro-satiro
Se la donna è una menade danzatrice, una
gorgone, una slanciata cacciatrice che regge
l’arco del Bios, in questo gioco erotico l’uomo
è il centauro e il fauno.
L’immagine del centauro rappresenta la
filosofia di vita del poeta stesso: “M’imbestio”,
afferma nel Secondo amante di Lucrezia
Buti, sottolineando la centralità dell’istinto,
vero motore della sua arte e della sua vita.
107 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Piagnone dalla Tomba
del duca Jean de
Berry opera di Jean de
Cambrai (1438)
I calchi delle teste di
sculture greche cn le
labbra dipinte di rosso
nella Sala della Leda
Il simbolo del Labirinto
con i versi del petrarca
nella Sala della Leda
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
Scrive nel Fuoco a proposito dei centauri: “ Nessuno al
mondo conobbe e assa­porò meglio di loro il vino della
vita”. Immagini del centauro si trovano in varie stanze della
Prioria, come sul calice in vetro verde e nella riproduzione in
bianco e nero del dipinto del Botticelli Pallade e il centauro
nell’Officina o sulla placca dorata sotto Artemide cacciatrice
della Sala della Musica.
Spesso d’Annunzio stesso si sente come un centauro o un
satiro; soprattutto dopo essere stato a cavallo e aver avuto
la sensazione di essere fuso con
l’animale: “Balzato di sella quadrupes
eques in preda ai miei muscoli,
avevo disposto che mi fosse condotta più tardi nella stanza
infame del Prigione una giovine donna ‘folle de son corps’
già da me esperimentata e arcanamente gustata come ‘folle
de sa cervellÈ”.
Al desiderio sessuale smodato fanno riferimento molto
esplicito le sculture priapesche in argento e bronzo dorato,
ideate da Renato Brozzi che giocano ironicamente sulle
dimensioni del membro virile e su figurine caricaturali
superdotate, poste sul comodino vicinoal letto della Sala
della Leda.
Per quanto riguarda l’immagine del satiro, invece,
ricordiamo nella stessa sala le rappresentazioni oniriche
nei dipinti del veneziano Mario De Maria, che si ispira
all’Apres midi d’un faune di Mallarmé, fonte tra l’altro
per la musica di Debussy, vero e proprio oggetto di
culto dell’erotismo dell’epoca da quando il ballerino
russo Vaslav Nijinskij ne aveva dato un’interpretazione
considerata scandalosa per la sua sensualità. Ricordiamo poi il bellissimo gruppo
bronzeo della Sala della Cheli del Fauno che rincorre una ninfa, opera dello scultore
Le Faguays che ricorda sempre una coreografia di danza. E d’altra parte il satiro
per d’Annunzio rappresentava la tragedia antica, secondo l’etimologia da capro,
associata ad canto. Non a caso Stelio Effrena nel Fuoco immagina che Eleonora
Duse fosse stata violentata da un Satiro, raffigurandola come una baccante, una
figlia di Dioniso. Sempre nel Fuoco, mentre
vaga nel labirinto di villa Pisani a Strà, Effrena
stesso si sente investito dall’energia naturale del
satiro.
tragedia, come il suo modo particolare di sollevare la testa
piegandola indietro, riprodotto nel ritratto realizzato nel
1927 da Arrigo Minerbi per la scrivania di d’Annunzio
nell’Officina. Il suo volto era per lui una sorta di “enciclopedia
degli affetti”, ma anche il suo corpo assumeva atteggiamenti
plastici ed evocativi. Amava moltissimo l’espressione convulsa
del suo viso e, soprattutto, l’ampiezza del suo sguardo:
“Quella conosceva l’arte di ampliare indefinitamente il suo
sguardo? o chi mai le aveva insegnato l’arte? Che lungo valico
parevan percorrere i cigli quando ella sollevava la palpebra
discoprendo l’iride intiera!”
Egli la definiva la “testimone velata”, poiché, come tutte le
immagini sacre, per il poeta doveva restare inviolata e protetta,
ma anche chiusa nel suo sudario. Dal suo volto si sprigionava
lo spirito dionisiaco attraverso il quale d’Annunzio si sentiva
in grado di dominare ogni forma d’arte: nel Fuoco, infatti, lo
scrittore rivela alla Foscarina (la protagonista che rappresenta
la Duse): “Sembra talvolta che voi abbiate il potere di
conferire non so che qualità divina alle cose che nascono
dalla mia anima e di farle apparire lontane e adorabili ai miei
occhi medesimi. […] voi non entrate nella mia anima se non a compiere simili
esaltazioni. […] mi sembrate necessaria alla mia vita”.
Il comportamento di d’Annunzio riguardo alla grande attrice chiarisce esattamente
tutte le sue contraddizioni: ella sarebbe stata per lui il riferimento costante della
sua arte, visto che gli aveva promesso “più che l’amore” poiché c’erano sensazioni
che lei sola poteva dargli, eppure egli se ne separa in cerca di nuovi e più giovani
amori, con il suo irrefrenabile desiderio di evoluzione
ed invenzione che proprio le donne riuscivano ad
infondergli.
La testimone velata
Per il poeta la Duse seppe rappresentare tutte
le donne del suo immaginario: l’eroina tragica,
la musa ispiratrice, la santa francescana e la
cortigiana dalla quale al mattino, dopo una
notte d’amore, si staccava quasi con disgusto,
come racconta nel Fuoco.
Tutto in lei lo ispirava: la sua gestualità era
messa in relazione alla statuaria antica e alla
108 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Bellezza divina
Sul comodino della Sala della Leda troviamo una
copia in gesso di un’Afrodite ornata con collane di
turchesi e altri monili, figura che fa riferimento alla
bellezza ideale. Per d’Annunzio la bellezza ellenica
classica rimaneva un esempio insuperato ed era il
termine di paragone anche per le donne reali. Un’altra
immagine di Venere si trova, infatti, nel Bagno Blu,
mentre nell’Officina è presente un calco del volto
della Venere di Milo. A questo proposito, in un passo
del Libro Segreto il poeta descrive accuratamente quali
siano i dettagli del corpo femminile più eleganti e
ricchi di sensualità: “La Giulia di Gargnano può
sostenere il paragone degli esemplari sommi dell’arte
ellenica. ha forse il più bel torso di donna a me noto
[…] E Giulia è ammirabile nelle particolarità più rare,
nelle perfezioni che sono il segno dell’inclita stirpe,
del lignaggio celeste, onde discendevano o dove risalivano i modelli di Prassitele e
di Fidia. L’omero, l’ascella, l’inserirsi del braccio al busto, le inflessioni agevoli della
109 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Eleonora Duse
La Venere sul comodino
della Sala della Leda
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
Il calco dell'Athena
Lemnia del Bagno blu.
Calco della testa
dell’Aurora di
Michelangelo sulla
scrivania della
Zambracca
schiena dalla nuca al sacro, la linea del mento e della mascella sul collo che mi fa
indicibilmente vivo il latino ‘teres’; e le piccole mammelle divergenti, le stupende
modulazioni nella parte interna della coscia, il solco esterno della gamba simile
a una stria dorica di scarpello fuggevole, il piede stretto […] In quale statua il
sobrio e il grandioso, il venusto e il robusto, la grazia e la possa si armonizzano così
magistralmente?”.
I modelli di riferimento sono perciò Fidia e Prassitele che a suo dire sarebbero
appannaggio della bellezza della stirpe italica. A tutto questo si aggiunge la voce con
note basse e sensuali che sembrano “aerare tutto il corpo”; la giovane popolana di
Gargnano unisce perciò nella sua persona Atalanta e Calliope insieme.
Anche la figura di Atena può assumere una valenza erotica per il poeta: oltre alla
Nike di Samotracia, “vestita di vento” espressione di quella bellezza dinamica legata
alla velocità e alla danza, ricordiamo l’Athena Lemnia di Fidia, sensuale, ornata con
capigliatura dorata, nastro dipinto e collana di turchesi nel Bagno blu, ma guerriera
nella veranda dell’Apollino: “ Sembra escita da certe visioni tumultuose dei Poemi
conviviali, sembra una duratura bellezza provata dalla strage e dall’incendio”
(Contemplazione della morte)
L’immagine della bellezza ornata con dorature assume quasi sempre un valore
funerario perché ciò che è assoluto ha un solo modo per diventare eterno, cioè
passare “l’invisibile clessidra” della morte. È il caso della figura dell’Aurora di
Michelangelo dalle Tombe medicee di San Lorenzo, una presenza fondamentale
per il poeta, posta, infatti, come figura intera nella sala dei Calchi al di sopra del
letto dove venne esposto il suo corpo dopo la morte, mentre la protome della
statua si trova sulla scrivania della Zambracca, perché ad essa il poeta attribuiva un
significato taumaturgico.
Né maschio né femmina
Come abbiamo già anticipato, un elemento tipico dell’immaginario erotico
dannunziano è l’androgino perché unisce l’energia vitale di entrambi i sessi,
esprimendo la perfezione dell’arte, cioè la situazione originaria dell’essere umano
secondo gli antichi greci, tanto che, a causa della potenza del genere umano, gli dei
per poterlo controllare avrebbero deciso di dividerlo in due sessi.
110 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
Una delle statue che rappresenta questo mito è il calco dell’Eros di Prassitele,
copia proveniente dal Museo del Louvre, già presente all’Arcachon e oggi inserita
nella Sala della Musica. È ornata da una cintura a placche d’argento che scende
sull’inguine in forme arcaiche vagamente mediorientali e termina con una placca
ovale munita di pendagli. Il mito dell’androgino viene spiegato anche nelle
iscrizioni sulle cornici delle vetrate: Mens omnibus. Una omnibus. Idem. Ardor/ igne
iungitur pari/ consociatio rerum divina ( “Un’anima per tutti. Una sola per tutti. La
stessa. L’ardore è unito da un fuoco uguale, divina unione delle cose”).
Sempre legata al mito dell’androgino è la riproduzione del Concerto (Officina)
oggi attribuito a Tiziano giovane ma che all’epoca di d’Annunzio era considerato
opera di Giorgione. Stelio Effrena, protagonista del Fuoco,
sottolineava la bellezza del giovinetto, “l’ardente fiore
d’adolescenza, che Giorgione sembra aver creato sotto un
riflesso di quello stupendo mito ellenico donde sorse la forma
ideale d’Ermafrodito”; tutto concentrato nella scoperta e
nell’esplorazione dei sensi e della fisicità. “la sua bocca chiusa
è come una bocca che porti la pesantezza d’un bacio non dato
ancóra…”. Dello stesso genere è l’ammirazione per Antinoo
raffigurato nella sala della Cheli dell’Antinoo-Dioniso col capo
coronato di edera del tipo conservato al Fitzwilliam Museum
di Cambridge, proveniente da Villa Adriana, parzialmente
nascosto da un velario, che simboleggia l’eternità sacra della
bellezza, protetta da sguardi profani. Bellezza che non potrà
morire mai come ricorda l’edera di cui è coronato il giovane,
emblema dell’immortalità di Dioniso.
Nella sala della Leda poi, non è esaltata solo la bellezza
femminile, ma anche quella maschile, seppure volutamente
effeminata. Anche nel Prigione morente di Michelangelo,
posto davanti al letto, appare un conturbante riferimento
erotico, come spiega nel Libro segreto: “e tu sopponi alla tua
nuca il tuo perenne braccio nel gesto immenso cui già diede Michelagnolo all’uno
dè suoi Vinti ultimo Orfeo che alfine il Ben suo vede con gli occhi estinti”. Il
poeta attribuisce il gesto del Prigione ad una donna, in genere a Eleonora Duse,
e allo stesso tempo a “Orfeo rimasto in su la porta dell’Ade a sostenere con la
sua deserta bellezza il dolore di tutti i perdimenti” (Il Compagno dagli occhi senza
cigli). La statua michelangiolesca è accompagnata dalla scritta “Amor fati” (Amore
per il Fato) legata all’eterno ritorno nietzschiano, alla necessità di accettare la
legge universale del cosmo e di vivere pienamente soltanto il presente. L’idea del
giovinetto-donna è sottolineata dalla preziosa stoffa intessuta di fili d’argento e oro
che lo ricopre dalla vita in giù (“per dissimulargli la corta fiacchezza delle gambe”
scrisse il poeta), ed è decorato da dorature sul corpo, bracciali e una placca in
argento sbalzata di Napoleone Martinuzzi a mo’ di fibbia di cintura e raffigurante
una testa di Apollo dai caratteri arcaizzanti. Era stata proprio la Duse a regalare
questo calco al poeta all’epoca della Capponcina, e nello stesso tempo nel suo
immaginario la rappresentava. Perciò dalla parete Eleonora lo guardava ancora,
vicina eppure lontana, inafferrabile “donna nomade” che aveva provato tutti i
dolori e conosceva tutto della vita anche ciò che non rivelava.
“‘Dove vai?’
‘Sempre alla ventura’
111 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Il calco dell'Eros di
Prassitele nella Sala
della Musica
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
Calco della testa di
Antinoo-Dioniso del tipo
conservato al Fitzwilliam
Museum di Cambridge
proveniente da Villa
Adriana (Sala della
Cheli).
Il calco del Prigione
morente di Michelangelo
del Museo del Louvre
(Sala della Leda)
‘Ma da che parte?’
‘Non dimandare.’”
Alla fine la sua Ghisola se n’era andata per sempre, perché era come lui, capace di
evolversi, di seguire il flusso ininterrotto della vita, di “mutar d’ale”
“Ghisola sempre rimota, sempre attesa, sempre disparita”, ma il poeta avrebbe
continuato a parlare con lei alle porte dell’Ade, cercando di richiamarla
perennemente indietro….
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
la cultura e l’eroismo italiano in ambito nazionale piuttosto che locale.
Per Ugo Da Como, invece, la Casa del Podestà non può essere estrapolata dal
contesto del paese di Lonato e più in generale della Repubblica di Venezia di cui
questo antico borgo, eccettuata una breve parentesi gonzaghesca, aveva sempre
fatto parte. Coerentemente a questo intendimento, il Da Como vuole ricostruire
nel suo palazzo un ambiente tipico del primo Rinascimento tra Lombardia e
Veneto dove appaiano ben visibili le presunte stratificazioni dei secoli passati,
abbracciando un arco temporale che va dal XIV al XVI secolo, per quanto riguarda
le strutture (in gran parte costruite ex novo secondo il gusto dell’epoca) e che si
spinge fino alla fine dell’Ottocento, per quanto riguarda gli arredi, i dipinti e le
sculture presenti nell’edificio. L’intendimento di questo straordinario collezionista
e bibliofilo bresciano è appunto quello di mostrare attraverso la ricostruzione della
Casa del Podestà la profondità della storia del paese di Lonato e della provincia
di Brescia, ricreando un ambiente aristocratico provinciale che, su fondamenta
medievali, mostri di aver subito un’immaginaria evoluzione fino alle soglie del ‘900.
Basta leggere qualche scritto del Da Como per accorgersi che alcuni argomenti
lo attraevano soprattutto per la loro importanza nell’ambito della cultura del
territorio, considerando questo recupero come fondamentale per la generale
riscoperta di una identità italiana, inscindibile a suo avviso, dalle sue componenti
regionali. Ecco perché spesso e volentieri il Da Como indugia lungamente sulle
genealogie dei nobili bresciani e si occupa con grande interesse degli umanisti
dell’epoca dei Gonzaga e della presenza di Isabella d’Este a Lonato. Così si spiega
anche la grande importanza attribuita dal Da Como alle lettere del Foscolo ad
una nobile bresciana di antica stirpe come i Provaglio, sposata al conte Luigi
Martinengo Cesaresco, appartenente ad una delle famiglie più illustri della città. La
struttura della casa di Ugo Da Como si pone, quindi, come una sintesi ideale della
cultura bresciano-veneta di ambito aristocratico del primo Rinascimento. Proprio
perché la dimensione storica locale gioca un ruolo così importante, è necessario,
La Prioria e la casa del Podestà, due modi di intendere l’antico
Come la Prioria di d’Annunzio, anche la Casa del Podestà di Ugo Da Como a
Lonato risulta legata al mito del Rinascimento poiché entrambe sono accomunate
dall’idea di fondare la cultura del giovane stato italiano sulle grandi memorie
storiche e, in particolare, sul momento di massima fioritura di scienze lettere ed
arti della nostra penisola. L’auspicio del d’Azeglio “Fatta l’Italia, ora dobbiamo fare
gli Italiani”, era molto sentito all’epoca e per entrambi si traduceva nel tentativo
di trovare ispirazione nel nostro grande passato per rinnovare lo slancio ideale e
gettare le basi dell’azione futura. Inoltre in entrambi è presente la consapevolezza
che l’intellettuale debba essere anche un uomo di azione pratica che serva
effettivamente allo Stato, un uomo politico, insomma, sebbene con accezioni
molto diverse.
Nonostante queste due personalità possano essere accomunate da alcuni
orientamenti generali, il prodotto finale della loro azione culturale e politica appare
poi sensibilmente diverso.
Per esempio per d’Annunzio il Rinascimento è soprattutto quello toscano, come
vediamo nella facciata della Prioria, in perenne dialogo con una classicità vissuta
come frammento estetizzante ed esemplare. Per d’Annunzio l’ambiente in cui si
trova la sua casa ricorda soprattutto il paesaggio dalmata ed ha perciò un valore
eminentemente simbolico; inoltre il Vittoriale è costruito soprattutto per celebrare
112 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
113 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
Il ritratto di Isabella
d'Este nel giardino
interno della Casa del
Podestà
al contrario di quanto avviene nella casa di d’Annunzio,
che l’oggetto d’arte sia o almeno sembri originale e che ogni
ambiente assuma un aspetto di autenticità nei singoli pezzi
e nell’insieme. Per ottenere questo risultato il Da Como,
con l’aiuto dell’architetto Tagliaferri, ha spesso inserito pezzi
originali frutto di demolizioni e di recuperi di materiale
antico, riutilizzandoli e riadattandoli. Una tavoletta dipinta di
un soffitto quattrocentesco può diventare un reggi-mensola,
una scultura medievale raffigurante un leone, probabilmente
frutto della demolizione di qualche edificio ecclesiastico, può
diventare un elemento decorativo per la scala della biblioteca.
Antiche travi di recupero possono essere inserite per sostenere
un soffitto a cassettoni originale, ma riadattato all’ambiente,
come quello dell’inizio del ‘500 della Sala antica proveniente
dal palazzo Ugoni Cigola Ducos di via Carlo Cattaneo 62
a Brescia. A questi elementi vengono poi opportunamente
aggiunti altri particolari decorativi e arredi realizzati ex novo per completare
la ricostruzione storica e la funzione simbolica dell’edificio. Per esempio, nella
Galleria di ingresso troviamo gli stemmi delle principali famiglie bresciane cui
appartenevano i podestà di Lonato fatti ritoccare a fresco appunto dal Da Como,
assemblati insieme ad alcuni affreschi dell’ambito del Romanino, strappati
dalla loro sede originaria (Palazzo Orsini a Ghedi) e riadattati alla loro nuova
collocazione per rappresentare visivamente i gentiluomini che avevano governato
il paese del basso Garda per conto della Repubblica veneta (in realtà si tratta di
Quattro uomini d’arme tra i quali è riconoscibile il nobile Virginio Orsini che fu al
servizio della Repubblica veneta).
Molte sono le analogie nei dettagli decorativi tra la casa di d’Annunzio e quella del
Da Como: per esempio, sempre nella Galleria, troviamo una decorazione a riquadri
bianchi e neri dipinta nella parte inferiore delle pareti (come si vede nella Prioria
nel Corridoio della Via crucis e nel tessuto dell’Officina) essa rappresenta dei tessuti
che nel tardo Medioevo e nel primo Rinascimento si trovavano appuntati fino
ad una certa altezza sui muri dei palazzi nobiliari e dei castelli probabilmente per
isolare meglio gli ambienti e mantenere il calore. Inoltre in entrambe le abitazioni si
può notare la presenza in molte stanze di figure ascetiche, incappucciate che paiono
ricordare la meditazione e il silenzio. Per d’Annunzio, però, esse rappresentano
“i piagnoni” tratti da alcune tombe tardo medievali fiamminghe e francesi del
secolo XV-XVI, mentre per Ugo Da Como sono probabilmente rappresentazioni
dell’ascetismo che deve caratterizzare l’adepto, l’iniziato della conoscenza. Non è
da escludere anche l’influenza della massoneria nell’uso di immagini di questo tipo
in funzione esoterica, considerando che nel suo studio troviamo anche un busto
del dio Mitra. Probabilmente il Da Como concepiva la Casa del Podestà come
un tempio della sapienza e della cultura. Un altro elemento in comune tra i due
collezionisti è rappresentato dall’amore per terracotta e la ceramica antica, come
dimostrano i vasi da farmacia presenti in entrambe le dimore e anche i piatti appesi
alle pareti, anche se nella Prioria troviamo uno spiccato gusto per l’oggettistica
orientale non riscontrabile nella dimora del senatore.
Comune alla Casa del Podestà e alla Prioria è poi, anche l’uso di stalli di coro e
turiboli, ma se per d’Annunzio questi sono posti nell’Oratorio dalmata allo scopo
di sottolineare la sacralità dell’azione eroica, nella casa di Ugo Da Como essi
114 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
La Galleria con i Ritratti
di Uomini d'arme del
Romanino
costituisco l’arredo delle sale della biblioteca, la quale a sua volta, sembra concepita
come lo scriptorium di un monastero.
Perciò, se nei dettagli si possono riscontrare tra le due case-museo alcuni elementi
comuni, le connotazioni e le simbologie risultano poi molto diverse. La casa di
Ugo Da Como è un luogo dove il proprietario si sente un signore rinascimentale
dedito agli studi e alla meditazione, ma “recita” soprattutto per se stesso, secondo
un modus vivendi che ricorda molto da vicino l’otium latino, perciò la dimensione
privata risulta preponderante. Notiamo poi la presenza della figura dell’umanista
della Sala antica attraverso l’immagine di san Girolamo nello studio, di Giovanni
Andrea Sequi artista cremonese datato 1536. Qui quando il Da Como era vivo,
era esposta anche una grande Bibbia antica, oggi conservata nella biblioteca.
L’umanista per Da Como è quindi un asceta, spesso isolato
dal mondo (come san Girolamo che eseguì la traduzione
della Vulgata nelle grotte presso la basilica della Natività a
Betlemme in ascetica solitudine). Al contrario, d’Annunzio
non esisterebbe senza il suo palcoscenico e come tale esso
non è affatto privato, ma pubblico. Dobbiamo sottolineare,
però, che anche il Da Como progettò la sua casa di Lonato
perché alla sua morte diventasse una fondazione che servisse
alla storia patria, agli studi della cultura locale e ad accendere
nei giovani lo stesso amore per i libri che lo aveva animato
per tutta la vita. Inoltre, anche Da Como nella scelta dello
stile e del periodo storico di riferimento mostra anche un
intendimento di carattere politico: lo stesso titolo di Casa del
Podestà si riferisce al mito della Repubblica veneta come una
delle più avanzate nell’ambito del diritto e dell’organizzazione
laica dello Stato, ispirandosi anche in questo caso all’ideale
zanardelliano, mentre per d’Annunzio Venezia rappresenta
soprattutto un punto di riferimento per la supremazia
dell’Italia nel Mediterraneo.
San Girolamo nello
studio (Sala antica)
115 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
Un itinerario al femminile nella Casa del Podestà
Le donne presenti nella casa di Ugo Da Como sono
soltanto ideali, perché nella realtà, per quanto sia corsa
voce di sue relazioni extraconiugali proprio negli anni in
cui risiedeva a Lonato in pianta stabile, l’unica presenza
femminile certa nella Casa del Podestà è quella della
moglie, Maria Glisenti; d’altra parte è comprensibile
che il Da Como come personalità pubblica e di governo
fosse molto geloso della propria privacy. Leggendo il
suo saggio sulle lettere inedite del Foscolo a Marzia
Martinengo, però, può venire il sospetto che in quegli
anni egli stesse vivendo una nuova grande passione,
quasi giovanile, visto il modo in cui esalta l’amore
considerandolo un sentimento vivificante dell’arte e degli
studi dei grandi del passato, indispensabile ad un cuore
nobile e ispirato. Se è così, però, a parte queste tracce
indirette, di tali presunte relazioni, non sappiamo nulla,
poiché il Da Como, almeno ufficialmente, faceva di
Seneca e del suo ascetismo un punto di riferimento. Egli
sosteneva, inoltre, riprendendo le parole di Cicerone –
non solo con un’iscrizione presente nel giardino interno
della casa, ma anche nel saggio sulla dedica dei Sepolcri a
Maria Glisenti con
Marzia Martinengo – che Si hortum cum bibliotheca habes, deerit nihil (Se avrai un
alcune amiche nel
giardino con una biblioteca non ti mancherà nulla).
giardino della Casa del
All’interno della sua abitazione una delle presenze ricorrenti è l’immagine della
Podestà
Madonna che è possibile individuare in ogni ambiente della casa, sia all’esterno che
all’interno, biblioteca compresa, ritratta in dipinti, terracotte o piccole sculture. Se,
come è noto, diverse opere della quadreria non erano state acquistate da Ugo Da
Como, ma da suo padre, è pur vero che il senatore utilizzò in posizione dominante
proprio l’immagine di Maria in alcuni ambienti. Inoltre, un soggetto ricorrente, è
quello della Madonna del latte raffigurato nell’affresco strappato della Sala antica,
proveniente dal Palazzo del Provveditore in Piazza Martiri della Libertà a Lonato
(Ambito di Paolo da Cajlina il Giovane, XVI secolo), ma anche all’esterno, in
una piccola terracotta posta sulla facciata e attualmente protetta dietro un vetro.
Un’altra Madonna del latte sempre
rinascimentale, si trova poi nella
Sala da pranzo, accanto al simbolo
alchemico dell’Urna cineraria, e,
ancora, nella Sala dei Peltri troviamo
una terracotta di analogo soggetto
della seconda metà del sec. XV opera
dell’Officina di Rinaldo dÈ Stauli
(Cremona).
L’origine di tale iconografia viene
associata ad immagini analoghe di
Madonna del latte
Iside e del suo culto che durante
dell'ambito di Pietro da
i primi secoli del cristianesimo
Cajlina. Affresco staccato
da una sala del Palazzo sarebbero state elaborate in ambito
dei Provveditori a Lonato alessandrino per sintetizzare il
116 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
rapporto Iside – Maria Vergine. Un’allusione alla
dea egizia che potrebbe essere messa in relazione
all’adesione del Da Como alla massoneria, come
testimoniano i simboli presenti nella Sala da pranzo
(la lampada della nascita, il globo alato della vita,
l’urna della morte, il serpente che si morde la coda
con la farfalla, simbolo della continuità tra la vita e
la morte e dell’immortalità dell’anima). Come ha
efficacemente dimostrato Silvano Danesi nel suo
articolo Il sovracamino esoterico di Ugo Da Como,
l’immagine della fiamma della Sapienza appare
centrale nel pensiero del grande collezionista e
bibliofilo, ma essa è messa in relazione con i misteri
esoterici legati a Iside. Iside, infatti, ha un profondo
significato alchemico perché rappresenta l’elemento
femminile che permette la ricomposizione del corpo
di Osiride e quindi la sua resurrezione e la nascita del
figlio Horo, dio della profezia, della musica, dell’arte
e della bellezza.
Comunque, anche senza spingerci così oltre, è chiaro
che queste Madonne di ambito rinascimentale in
ogni stanza assumono il valore di nume tutelare, in
funzione più laica che religiosa. Si tratta cioè di un’immagine femminile legata alla
filosofia e alla cultura, sul genere della donna angelo stilnovista, che rappresenta
probabilmente la sapienza. Un’idealizzazione della figura femminile che appare
evidente in diversi ambienti della casa. Possiamo notare, ad esempio, nella
biblioteca, la Madonna con Bambino e San Giovannino che campeggia in alto al
centro della balaustra della sala della Vittoria, associata volontariamente e, di certo
in modo non casuale, alla Vittoria alata di Brescia, mentre in un angolo sulla destra
troviamo il ritratto di Ugo Da Como. Si stabilisce così un dialogo ideale tra queste
tre figure: il proprio ritratto di studioso, collezionista e uomo di Stato viene messo
in relazione all’immagine classica ed eroica legata, nella visione del Da Como,
alla città di Brescia, alla sua antichità latina, ma anche alla Prima guerra mondiale
(riferimenti che si trovano spesso nei suoi scritti) e al Neoclassicismo del periodo
napoleonico (suo costante punto di riferimento); la Madonna, poi, è vista come
Sophia posta al centro della sala per sottolineare il valore della cultura in generale,
ma anche degli studi locali legati ai territori della Repubblica veneta, visto che si
tratta di un dipinto di ambito veronese. Inoltre la presenza di san Giovannino
ricorda il patrono di Lonato. La scritta sul camino riferita allo svelamento degli
oracoli muti che parlano (Hic mortui vivunt pandunt oracula muti, qui i morti
vivono, muti svelano oracoli), rappresenta la rivelazione esoterica che si attua –
come ha chiarito lo stesso Danesi – nel silenzio ascetico e nella meditazione dello
scriptorioum, ambiente volutamente sacrale, come segnalano, appunto, gli stalli
di coro seicentesco. Si tratta di una religione laica della cultura e della patria che
il Da Como come anche d’Annunzio ereditano dalla tradizione risorgimentale
e post risorgimentale, ripresa poi massicciamente nel corso della prima guerra
mondiale. Un’altra figura simbolica molto interessante è La Giustizia con San
Marco e San Giovanni Battista – fatta dipingere appositamente dal Da Como –
che si trova presso l’ingresso del giardino privato davanti alla biblioteca. L’autore,
117 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Madonna con Bambino
e San Giovannino.
Biblioteca, Sala della
Vittoria
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
Giovanni Trainini La
Giustizia tra san Marco e
san Giovanni Battista
Giambattista Gigola,
1802 Ritratto di giovane
donna con mantiglia
Acquerello e gouache su
avorio
Giovinetta abbigliata
all’antica, 1810 circa
Acquerello e gouache su
avorio
Ambito bresciano,
Concerto con Santa
Cecilia, Olio su tela
(seconda metà del XVI
secolo)
il pittore Giovanni Trainini, si ispira ad esempi quattrocenteschi per questa figura
simbolica severa che brandisce una spada fiancheggiata da San Marco, a ricordo
dell’autorità veneziana, e da San Giovanni Battista, santo patrono di Lonato. Del
resto “gli amori costanti”, se così possiamo definirli, del Da Como vengono messi
in evidenza nella Sala bresciana dove la sacralità dell’ambiente
viene sottolineata dalla presenza di un turibolo antico
trasformato in lampada. Qui troviamo un bozzetto in bronzo
per il monumento di Arnaldo da Brescia realizzato dallo
scultore Odoardo Tabacchi, mentre sulla scrivania è posto un
piccolo busto bronzeo di Giuseppe Zanardelli opera di Ettore
Ximenes. Nella stessa sala troviamo anche un piccolo busto di
Dante posto di fronte alla scrivania. La centralità della legge
contro la corruzione dello Stato e del clero appare, quindi, un
punto fondamentale dell’azione politica del Da Como così
come il mito del moralizzatore e del “tribuno” nella figura di
Arnaldo da Brescia. Recte facti fecisse merces est (aver agito con
giustizia è la ricompensa dell’opera) recita il detto di Seneca
presente nella sala Cerutti, proprio ad indicare il senso del
dovere e della giustizia quale elemento ispiratore dell’azione
politica e culturale di Ugo Da Como.
Anche le figure femminili, nell’immaginario del Da Como
devono perciò simboleggiare grandi ideali: diventano muse,
portatrici attraverso l’amore di valori elevati, rivestendo un
ruolo fondamentale nella creazione dell’arte e della cultura.
Proprio per valorizzare la cultura del territorio, il Da Como
popola le sue sale di ritratti di nobildonne di diverso
tipo: ci sono quadri di grandi dimensioni di provenienza
eminentemente locale come a richiamare l’appartenenza al
luogo cioè all’ambito lombardo o veneto e miniature di vario
genere e epoca. Per quanto riguarda i ritratti, segnaliamo che i
due dipinti della Sala antica, cioè il ritratto di nobildonna e di
doge con ogni probabilità non sono autentici e lo stesso Ugo
Da Como quasi certamente ne era a conoscenza. È interessante questo dettaglio
perché dimostra come il senatore cercasse a tutti i costi di arredare gli ambienti
secondo il gusto rinascimentale di ambito veneto-lombardo anche utilizzando
all’occorrenza opere non originali pur di raggiungere il proprio scopo. Nella stessa
sala, poi, sono appese alla parete diverse tavolette di soffitto ligneo con ritratti di
figure gentilizie maschili e femminili che completano l’arredo e testimoniano il
tentativo di Ugo Da Como di creare la sensazione di un ambiente aristocratico e
“antico”. Così anche nel soffitto quattrocentesco con tavolette dipinte notiamo una
prevalenza di figure femminili gentilizie di profilo. Nella Sala da pranzo, invece, in
posizione centrale vediamo due ritratti di nobildonne di provincia di inquietante
fissità e di chiara provenienza locale, probabilmente lombarda. Si può notare che
talvolta queste figure non hanno un valore estetico particolarmente elevato, ma
vengono valorizzate dal Da Como proprio per la loro appartenenza locale, come
celebrazione dell’aristocrazia di provincia. Altri pezzi amati da ogni collezionista
sono le miniature e le avorioline o i dipinti su rame molto interessanti Anche in
questo caso i piccoli ritratti sono in gran parte riservati a nobildonne locali di cui
non si conosce identità, ma alcune sono di ottima fattura e conferiscono alla casa
quell’aspetto gentilizio dove gli antenati sono veri, ma anche presunti e le donne
campeggiano insieme ai grandi personaggi amati dal senatore quali, ad esempio,
Napoleone I.
Alcune di queste miniature sono di parenti dei Glisenti cioè della famiglia della
moglie del Da Como o della famiglia di lui, altre sono probabilmente state
acquistate sul mercato antiquario. Da notare il fatto che mentre nella biblioteca
troviamo un ritratto pittorico del Da Como e una miniatura più piccola tra
le diverse della casa, sul comò della camera da letto, campeggiano invece,
curiosamente i ritratti fotografici di lui e della moglie, secondo un gusto dell’epoca
che ritroviamo anche nella Sala del Lebbroso nella Prioria, dove vediamo le foto
della madre e della sorella di d’Annunzio, distinguendo così in modo evidente la
dimensione mitica e storica da quella reale.
Proprio riguardo al valore della donna come musa ispiratrice, donna di lettere
poetessa o musicista, troviamo nella casa alcuni significativi riferimenti: per
esempio il Concerto con Santa Cecilia della Sala Rossa e che richiama una tematica
cara alla pittura rinascimentale e barocca, ma è interessante anche la presenza del
busto scolpito della poetessa Erminia Fuà Fusinato, nella camera degli ospiti a
Lonato. Le poesie della Fusinato sono spesso animate dall’amore patriottico e forse
attirava il senatore anche l’aspetto neoclassico della sua figura, che gli ricordava
un periodo storico a lui molto caro. Ugo Da Como teneva particolarmente alla
presenza di poetesse e muse ispiratrici legate all’arte nella sua casa, come dimostra
la vicenda del presunto ritratto di Veronica Gambara nel suo studio: come è stato
118 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
119 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Gian Battista Gigola,
Presunto ritratto di
Marzia Martinengo, o
della cantante Adelaide
Malanotte (1800-1810)
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
dimostrato da Stefano Lusardi, con ogni probabilità il Da Como era a conoscenza
che la nobildonna raffigurata era in realtà Cristina di Lorena moglie di Ferdinando
I Granduca di Toscana, ma preferì tenere questo dettaglio nascosto e continuare a
pensare a quel quadro come al ritratto della poetessa bresciana del Rinascimento.
La raccolta delle 48 lettere del Foscolo, scritte durante il suo
soggiorno tra Brescia e Milano negli anni 1807-1808 permetteva
perciò di approfondire gli aspetti privati e intimi dei due amanti, e di
ricostruire dall’interno le loro personalità. Così, quando il senatore
si trasferì stabilmente a Lonato, dopo l’avvento del fascismo, fu
effettivamente in grado di occuparsi della propria collezione e di
quelle preziose missive. L’amore per i libri da parte di Ugo Da Como
è straordinario e quasi feticistico, perché si percepisce nei suoi scritti il
piacere di sfogliare i singoli volumi, sentire sotto le dita la grana della
carta, osservare i caratteri, la grafica, la raffinatezza dell’edizione, al
punto da ritenere che anche un’opera mediocre sarebbe apparsa ben
diversa, solenne come se fosse scritta su un’antica lapide, se a curarne
la stampa fosse stato un maestro della tipografia come Niccolò
Bettoni.
Dalle lettere del Foscolo, Marzia – nota ai suoi tempi anche per la
Ritratto di Ugo Foscolo
rara bellezza (ma della quale, purtroppo, non possediamo alcun ritratto certo) –
appare come una donna dalla personalità multiforme: da un lato sappiamo che
fu animatrice di un importante salotto letterario, ma dall’altro scopriamo le sue
fragilità sia emotive sia fisiche. Il Da Como accreditò nei suoi scritti sull’argomento
l’opinione che ella fosse una lettrice poco attenta e che a questo fosse dovuta anche
la laconicità delle sue lettere di risposta al poeta. La contessa avrebbe avuto il tipico
carattere schietto e ironico dei bresciani, che, unito al paesaggio dolce e collinare,
avrebbe suggerito al poeta sentimenti di bellezza idillica e di tranquillità, capaci di
mantenere sempre vivo e al contempo di distrarre, almeno temporaneamente, il suo
“spirto guerrier”.
Vediamo perciò che, ancora una volta, il senatore esalta la
“brescianità” della giovane nobildonna, valorizzando le qualità
dell’ambiente della provincia lombarda. Inoltre il Foscolo stesso
contrappone alla “funebre” Milano la bellezza ridente della città di
Brescia, in cui sempre ritrova “allegrezza e salute”. Certamente Marzia
non aveva le qualità intellettuali dell’amante veneziana del Foscolo,
Isabella Teotochi Albrizzi, ma doveva essere comunque appassionata
di letteratura, a giudicare da alcuni indizi presenti anche nelle lettere
in possesso della Fondazione lonatese. C’è da chiedersi infatti, come
sia possibile che ella abbia ricevuto almeno due dediche letterarie,
una della traduzione delle Avventure di Ero e Leandro di Luigi Lechi
(anch’egli innamorato di Marzia, presidente poi dell’Ateneo di
Scienze lettere ed Arti, voluto da Napoleone), e l’altra del capolavoro
del Foscolo se poi non fosse stata in grado di leggere ed apprezzare tali
opere. Inoltre in una delle lettere Foscolo dice di averle inviato alcuni
articoli dello “Spettatore inglese” cioè lo Spectator (di cui in Italia
erano stati editi articoli scelti in traduzione) perché in quel momento
non aveva a disposizione alcuna opera dell’Alfieri, ma era completamente circondato
da autori latini e greci (si stava infatti occupando dell’Esperimento di traduzione
dell’Iliade edito sempre dal Bettoni nel 1807). Questi elementi ci fanno capire che
Marzia certamente amava la lettura anche piuttosto impegnata (di sicuro l’Alfieri
non è un autore propriamente di intrattenimento!) però non sappiamo quale fosse
la sua preparazione culturale di base. Nella dedica scritta dal Lechi, l’autore chiede a
Marzia anche soltanto uno sguardo e un sospiro per la sua opera, mentre il Foscolo
Il sogno di Marzia
Dati questi presupposti, non stupisce che una nobildonna
di una delle più prestigiose famiglie bresciane come Marzia
Martinengo abbia esercitato un grande fascino su Ugo Da
Como anche perché la sua personalità era legata ai circoli
letterari dell’epoca napoleonica e, in particolare, al Foscolo,
considerato dal senatore un punto di riferimento per la sua
adesione agli ideali rivoluzionari e per il suo impegno politico
e patriottico.
Ugo Da Como si era occupato a più riprese della relazione
tra Foscolo e Marzia, prima con l’articolo Una dedica di
Ugo Foscolo (1919), poi con un secondo intervento (1927),
legato alla pubblicazione delle lettere; in un primo tempo,
infatti, il Da Como aveva incontrato l’opposizione della
famiglia Lechi a riguardo e il progetto si era arenato. Il senatore però, si proclamava
convinto assertore dell’importanza di questo carteggio amoroso perché, a suo avviso,
si poteva scoprire in esso la storia di un’anima, sottolineando il ruolo dell’amore
e del cuore come elementi centrali della creatività. L’amore è visto dal Da Como
come un sentimento fuggevole, ma comunque immortale, capace di illuminare
l’esistenza e di dare nuovo impulso all’arte e all’adesione alle più alte idealità. Tutte
considerazioni svolte dal senatore in modo così appassionato da far pensare ad un
forte coinvolgimento personale, come se quelle missive fossero considerate da lui
quasi autobiografiche. Le lettere in suo possesso erano state cedute al Da Como nel
1927 da Orazio Oldofredi, ma erano già state lette dal senatore prima del 1919,
perché il loro contenuto è riferito in molte parti nell’articolo citato, relativo alla
dedica autografa a Marzia Martinengo sulla prima stampa dei Sepolcri. Il prezioso
volume faceva parte del fondo Jacopo Ceruti, acquistato dal senatore nel 1912,
ma inizialmente trascurato a causa dei suoi molteplici impegni politici. Grande era
stata la sua soddisfazione quando tra le meravigliose edizioni del Bettoni, preziosi
incunaboli e altri manoscritti aveva rinvenuto la prima stampa del carme foscoliano
(sempre opera del Bettoni) arricchita con la dedica autografa del poeta
Alla Contessa
Marzia Martinengo Cesaresco
l’Autore
Sis, licet, felix ubicumque mavis
Set memor nostri, Galathea, vivas
Sii felice ovunque tu voglia
Ma vivi memore di noi o Galatea
La dedica autografa del
Foscolo a Marzia sulla
copia dei Sepolcri
120 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
121 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
scomoda Orazio modificando ad hoc per l’occasione due versi di una sua ode (III,
27) . Inoltre dalle parole della dedica foscoliana si intuisce il carattere di una donna
libera, dinamica forse imprevedibile. Non ci si può basare solo sulla scarsa cultura
della sorella Camilla, piuttosto sgrammaticata nello scrivere, per asserire che anche
Marzia fosse di poco superiore a lei. I conti, insomma, almeno parzialmente non
tornano, nella descrizione della contessa da parte di Ugo Da Como.
Marzia aveva sposato il conte Luigi Martinengo Cesaresco di vent’anni più anziano
di lei e, pur avendo avuto da lui tre figli, non ne era affatto innamorata, come si
capisce, oltre che dalla libertà con cui il Foscolo parla apertamente di amore con
lei nelle sue lettere, da un’affermazione del poeta in una di esse, quando paragona
la relazione di Teresa Monti con il marito a quella di Marzia con il conte Luigi per
asserire che entrambe, comunque, erano
ormai sposate solo nominalmente e che
conducevano vite praticamente separate
dai loro coniugi. Anche la sorella
Camilla, dal canto suo, era ai ferri corti
con il marito Estore Gambara il quale,
secondo la testimonianza del Foscolo,
quando era a casa la maltrattava, forse
anche perché non accettava il fatto
che la moglie avesse un amante, “il bel
Tomasi”, anche lui ufficiale napoleonico.
Comunque, non conosciamo i
dettagli intimi della relazione tra
Foscolo e la contessa perché, sebbene
il poeta dichiari apertamente il suo
amore e sospiri per lei, non fa quasi
mai riferimento ai momenti trascorsi
insieme, ma racconta soltanto gli
avvenimenti quotidiani. Il principale
argomento di discussione, di solito,
è la salute cagionevole di entrambi:
molto spesso Foscolo era solito
lamentarsi delle proprie condizioni
fisiche a volte anche esagerando
l’entità dei malanni che lo colpivano:
per esempio in una delle lettere parla
in termini allarmistici di un dito con
Ritratto di N icolò Bettoni
Ritratto di Nicolò Bettoni un’infezione che non guarisce e che gli impedisce addirittura la scrittura. Egli,
inoltre, appare altrettanto ansioso anche per la salute della sua “Marzietta”;
è difficile per noi oggi capire questi sentimenti, che spesso, invece, vengono
espressi anche da altri personaggi famosi del passato (si pensi, ad esempio, al
diario del Pontormo!), poiché a quei tempi la maggior parte delle malattie
non era curabile e il Foscolo, giustamente, non nutriva alcuna fiducia nei
medici che non sapevano prescrivere altro che salassi. “Non ti lasciar svenare
per guarire” la ammonisce. Marzia, forse anche a causa dei vestiti scollati
dell’epoca, soffriva molto il freddo al punto che il Foscolo la implora in più
di una missiva di non stare così vicino al fuoco sia per evitare l’eccessiva
escursione termica dal caldo al freddo sia perché, dati i vestiti ampi e lunghi,
122 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
era facile urtare per errore un braciere nel camino e andare letteralmente a
fuoco.
Ma chi era Marzia? Innanzitutto ella appare al Foscolo all’inizio della loro
relazione come una donna misteriosa che non mostrava i propri sentimenti
e non faceva capire quello che veramente pensava o provava. Marzia della
sua vita matrimoniale amava soprattutto i propri figli, come ci fa capire
anche il Foscolo che non manca mai di salutarli, sapendo quanto la madre
tenesse a loro. Il poeta nelle prime lettere appare attento ai bisogni della
donna, divertente e quasi allegro, sebbene, comunque, sempre concentrato
sulle proprie condizioni fisiche; parla dei balli di carnevale 1807 e dice che
le ha ordinato un paio di scarpe da ballo, ma che dovrà
aspettare la quaresima per averle perché in quel momento
i calzolai sono troppo impegnati. Così qualche settimana
dopo si informa se le scarpette siano arrivate e se le stiano
bene; promette poi di passare a visitarla spesso. Per lei a
Milano svolgeva anche altre piccole commissioni: “Dirò
alla Camilla che si valga del loro ritorno a Brescia se mai
avesse a spedirti alcuna delle solite tattare, e scatolette,
e cappellini, e tutte le altre mangerie della Ribier”. In
queste missive, oltretutto, più volte il poeta afferma
di aspettare con impazienza il loro prossimo incontro,
anche per sottrarsi al tedio della Milano autunnale:
“Starei pur meglio sul tuo sofà e davanti al tuo caminetto
chiacchierando e leggendo!” esclama, svelandoci così che
effettivamente la contessa amava leggere. Anche Marzia
era molto innamorata del poeta, come si intuisce dalla
lettera ricevuta dal Foscolo da parte della contessa il 17
novembre 1807: “Quella che io ebbi jeri è così piena
d’amore ch’io l’ho letta e riletta, e l’ho baciata con una
certa superstizione, quando ti avrò risposto andrò riporla
fra le altre, ma in luogo distinto, perché quando vorrò
ritrovarla mi salti agli occhi più presto. ” A volte, invece,
il poeta assume un tono melodrammatico, ma non sappiamo fino a che punto
attendibile: “Sono tre notti ch’io giaccio con gli occhi spalancati nel freddo
letto del celibato, e con tutta la folla dÈ tristi pensieri addosso”.
Del resto, questo atteggiamento pessimistico e ansioso è tipico del Foscolo,
il quale mostrava a livello letterario la propria fragilità per poi nella vita
reale rivelarsi un uomo di azione: come si sa, infatti, mentre il suo alter ego
letterario, Jacopo Ortis, si suicida, Foscolo contemporaneamente si arruola
nell’esercito di Napoleone. Marzia, ad esempio, gli chiede di rinunciare a
partecipare ad un’azione di guerra e il poeta, invece, si rallegra che il ministro
gli abbia rifiutato il permesso richiesto, nonostante ciò volesse dire stare
lontano dalla sua amante; questo perché egli poneva al di sopra di tutto il
proprio onore e dovere di soldato.
Certamente sono questi gli aspetti che Ugo Da Como apprezzava maggiormente
del poeta, considerando quanto affermò il senatore a proposito della personalità di
Giuseppe Zanardelli: “Noi dello studio, del sapere, dell’eloquenza, dello scrupolo,
della giustizia, del disinteresse, del carattere lo vedemmo impersonare l’ideale. È
solo così che non si muore”. Inoltre del Foscolo lo affascinava anche la grande forza
123 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
La prima lettera di
Foscolo a Marzia
nella raccolta della
Fondazione Ugo Da
Como (13 febbraio
1807)
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
del sentimento e della passione, sebbene
rivolta a donne diverse.
Nel saggio Lettere inedite di Ugo Foscolo,
è lo stesso Ugo Da Como a ricordare
come l’intera vita del poeta sia “tutta
intessuta d’amori, rose e spine”: egli era
un “cavaliere” già proiettato nell’epoca
romantica, che però conservava ancora
la galanteria settecentesca e lo spavaldo
fascino di un ufficiale napoleonico.
Comunque, per il Foscolo prima
venivano l’amore per la patria e la
letteratura e solo dopo l’amore per una
donna: infatti, nonostante le continue
lamentele, le sue pubblicazioni e
le occupazioni letterarie avevano
sempre la precedenza. Così Marzia,
probabilmente, si era accorta ben
presto che, nonostante tutte le
profferte amorose, il Foscolo era una
spirito libero che viveva dei propri
ideali e della propria arte e nella sua
vita le figure femminili avevano un
posto importante a livello creativo,
La lettera del 14 ottobre ma non era concepibile la presenza costante di un’unica donna nella sua
1807 in cui il Foscolo si esistenza. Egli non dichiara mai di aver conosciuto altre donne al di fuori
lamenta del dito infetto
della cerchia già nota a Marzia e insiste, invece, molto sulle sue visite alla
ma dichiara: “Sebbene
sorella Camilla oppure dichiara di fare vita ritirata, ma la veridicità di queste
mi sia vigorosamente
affermazioni appare molto dubbia. Quando, infatti, si considera l’epistolario
vietato di non muovere
in verun modo la mano, del Foscolo ordinato a livello cronologico nel suo complesso, si scopre che
io non posso ubbidire; ti egli scriveva assiduamente nello stesso periodo della relazione con Marzia
scrivo mia cara marzia
anche alla già ricordata, Isabella Teotochi Albrizzi (la famosa nobildonna
due sole righe: io vivo
veneziana, che, anni prima, lo aveva accolto nel proprio salotto culturale,
pieno di te, e per te,
facendo di lui l’enfant prodige del momento) sempre con espressioni molto
e per te, e sempre
con tutte le potenze
affettuose, parlando soprattutto delle proprie pubblicazioni e di letteratura
dell’anima mia sempre
in generale. Ci rendiamo conto, quindi, che il Foscolo, dichiarava anche ad
con te”.
altre il proprio amore e, soprattutto, discuteva di argomenti diversi a seconda
dell’interlocutrice. Scopriamo, poi, che, anche la fine della loro relazione non
era stata certo casuale, poiché nel frattempo egli scriveva appassionate lettere
alla gentildonna pavese Maddalena Bignami. Probabilmente Marzia scoprì
questo intreccio di “distrazioni” del poeta e iniziò a scrivere lettere sempre più
brevi e gelide.
Già il 13 gennaio 1808 si sente il risentimento del poeta per la brevità e
freddezza delle missive di Marzia. Poi nell’aprile 1808 le scrive ancora: “Bensì mi
danno da pensare le tue ultime righe della lettera di lunedì: ‘Ama chi malgrado
tutte le circostanze e le combinazioni possibili sarà sempre la tua amica.’” Del
deterioramento dei loro rapporti è un esempio anche l’unica lettera di risposta
che possediamo, quando ormai la loro relazione era finita: ella scrive poche righe
di ringraziamento per l’invio della Prolusione, nelle quali traspare il rimprovero al
124 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa
poeta di averla ormai definitivamente
trascurata: “Amico – Col mezzo
d’Armandi ho ricevuto la vostra
Prolusione. Vi ringrazio della vostra
premura e vi prego ad essere persuaso
che l’essere ricordata da voi mi fu di
viva compiacenza”. A questa fredda
missiva il Foscolo risponde assicurando
che le vuole ancora bene e che riporrà
ogni sua lettera religiosamente insieme
alle altre, ma, ammette, il tempo del
loro amore ormai è fuggito per sempre.
La donna che forse lo aveva aiutato
ad ottenere la cattedra a Pavia, ora ne
pagava le conseguenze… Il Foscolo le
aveva promesso, infatti, che se avesse
ottenuto quella nomina avrebbe avuto
maggiore facilità di venire a Brescia,
ma poi una volta ricevuto l’incarico
se ne dimenticò. Con il passare dei
mesi si intuisce l’atteggiamento sempre
più sfuggente del poeta che, pur
promettendo continuamente una visita
a Marzia, poi trova mille ostacoli di
salute e di lavoro che gli impediscono
di affrontare il viaggio. Alcuni di questi
impedimenti erano forse anche veri, come, per esempio, la penuria di denaro,
Lettera del Carnevale
1808
tanto più realistica, visto che il poeta era dedito anche al gioco d’azzardo. Nella
lettera del 18 novembre 1807 dice che verrà a Brescia il prima possibile se avrà
abbastanza denaro per pagare 15 poste (apprendiamo da un’altra missiva che per
andare in carrozza da Brescia a Milano ci volevano 12 ore di viaggio). Un aspetto
della vita di allora certo per noi oggi poco comprensibile, ma che ci fa capire la
notevole difficoltà di coprire il tragitto da Milano a Brescia con simili mezzi di
trasporto. Anche l’insistenza che intuiamo in una lettera sui due luigi prestati
al poeta da Marzia e la sollecitudine un po’ risentita del Foscolo nel restituirli
ha qualcosa di strano, come se, in realtà, non fosse così scontato che il Foscolo
ripianasse i propri debiti e perciò Marzia fosse piuttosto sospettosa a riguardo.
Dalla lettera del 21 maggio 1808 sembra di capire che sia stata Marzia a chiudere
la relazione con il poeta, forse proprio a causa delle voci di un suo coinvolgimento
con altre donne. D’altra parte, anche la bella contessa, nel frattempo, non era stata
certo con la mani in mano: si diceva che fosse stata vista a braccetto con un giovane
ufficiale e di sicuro a Brescia, non le mancavano i corteggiatori.
“La tua lettera è fredda come la morte. Pazienza. Addio, Marzia, amami; addio”.
scrisse il poeta. Eppure, nonostante il triste epilogo della loro relazione, l’amore
per Marzia, secondo Ugo Da Como, ha un’importanza fondamentale nella vita di
Foscolo: ella sarebbe stata la musa ispiratrice del suo periodo bresciano e avrebbe
poi continuato la sua vita alla ricerca della propria felicità, sebbene sempre memore
del passato, proprio come la Galatea oraziana.
125 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte
Chi e dove Liceo Paritario Paola Di Rosa – Lonato
Classi coinvolte Classe Quarta Liceo Scientifico
Classe Quarta Liceo Pedagogico-Linguistico
Docenti referenti
Stefania Pozzi, Marilena Bissaro
Giardini scenari di vita e di arte
I tre complessi museali di santa Giulia a Brescia, del Vittoriale a Gardone, della Casamuseo del Podestà di Lonato del Garda presentano tre diverse tipologie di giardino,
che ben rappresentano i rispettivi frequentatori e che assumono conformazioni
diverse in base alla funzione, al contesto e alla volontà dei committenti..
Il portico del chiostro
occidentale di Santa
Giulia a Brescia
progetto 10
Giardini: scenari di vita
e di arte
Percorso didattico
Il progetto ha inteso affrontare il rapporto tra i giardini delle tre realtà museali bresciane e coloro che li
hanno abitati e vissuti nel corso degli anni. Gli aspetti stilistici sono stati messi in relazione con le diverse
personalità, allo scopo di individuare lo stretto legame tra arte e vita, alla luce del contesto storico di
riferimento. I luoghi in questione sono infatti il frutto di profonde trasformazioni avvenute nel tempo, volute
dai rispettivi committenti per soddisfare esigenze personali, diventando in qualche misura specchio del loro
vissuto e del loro pensiero.
Il progetto si è articolato nelle seguenti fasi:
– Conoscenza delle tre realtà museali
– Lettura di elementi architettonici e decorativi ed elaborati grafici di studio
– Analisi di testi letterari specifici e di saggi critici
– Rielaborazione critica del saggio finale corredato dai disegni
Obiettivi e competenze
– Conoscenza del territorio e della sua storia
– Capacità di analizzare e interpretare testi letterari e opere d’arte
– Capacità di enucleare temi e problemi
– Capacità di interpretare e confrontare fatti e opere
– Capacità di ricerca e di problematizzazione
– Produzione di testi e utilizzo del disegno come metodo di indagine
Metodi e strumenti
– Visite guidate e incontri con l’esperto
– Lezioni frontali, ricerche sul territorio
– Letture, documentazioni, analisi, rilievi fotografici
126 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Locus amoenus, hortus conclususo o paradeisos, spazio per passeggiare, pregare,
riflettere, riposare o inebriarsi di profumi, colori, suoni, il giardino ha sempre ispirato
poeti e pittori, affascinato architetti e urbanisti antichi e moderni, le cui realizzazioni
ancora oggi suscitano ammirazione.
Stupefacenti appaiono i giardini privati della Prioria dannunziana; colpiscono i
Uno scorcio dei Giardini
sensi con il profumo dei fiori, la bellezza del panorama, la ricchezza delle memorie
del Vittoriale
storiche; luogo tutto da scoprire e da
vivere attraverso le suggestioni prodotte
dal sapiente connubio tra Natura e
artificio.
Più sobrio, ma non per questo meno
elegante e neppure meno ricercato, il
giardino della Casa del Podestà a Lonato
del Garda, dove si respira un’aria antica,
di tranquillità e di pace, che lascia
riaffiorare il ricordo di un otium letterario
denso di studio e di ricerca.
Paradisiaci infine i chiostri delle monache
in Santa Giulia a Brescia, dove il silenzio
e l’armoniosa bellezza delle architetture
dilatano il cuore e spingono gli occhi a
contemplare il cielo.
127 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte
progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte
e di valenze simboliche: Natura e artificio si fondono creando inedite suggestioni.
Colori, profumi, suoni producono nell’uomo sensazioni infinite, che lo introducono
nella vitalità stessa della natura e lo fanno sentire parte di essa.
Come la Natura trasforma l’uomo, così l’artista trasforma la Natura: alberi, fiori,
statue, colonne diventano simboli, allegorie, illusioni. Il percorso si snoda attraverso
memorie storiche e vegetazione rigogliosa, in un continuo rincorrersi e alternarsi
di sensazioni di segno opposto, piacere-dolore, vita-morte, ricordo-oblio, sacroprofano.
Planimetria del
complesso del Vittoriale
a Gardone Riviera
I Giardini privati si estendono dietro la casa della Prioria; il poeta vi accedeva
direttamente dalla abitazione attraverso il cortiletto degli Schiavoni e il portico del
parente, superando poi un passaggio costituito da due piedritti, recupero di due
semicolonne addossate, con un architrave reggente una copia della Venere Landolina:
la scritta “rosam cape, spinam cave”(cogli la rosa, temi la spina) ci introduce in un
luogo dal fascino segreto, in cui tutto si traveste di significati altri e di richiami
evocativi.
Fontana circolare con
putti e melograni nei
Giardini privati della
Prioria
L’Hortus conclusus di Gabriele d’Annunzio
Il giardino dei sensi
“Sul Garda solatio i limoni che conservano la forma del fiore suddivisi in cinque lobi si
chiamano “dièle” per allusione alle dita”.
Appunto autografo del 2 febbraio 1921
Una suggestiva visione
dell’Arengo (1923-1924)
all’ombra delle magnolie,
nel giardino della Prioria
del Vittoriale
Dal lago di Garda è ben visibile il complesso monumentale del Vittoriale degli
Italiani, dimora del poeta Gabriele d’Annunzio, che alla sua morte lo donò al popolo
italiano. Il 24 marzo 1921, il poeta, sconfitto nell’impresa fiumana, visita la dimora
del Cargnacco a Gardone Riviera, già appartenuta allo storico dell’arte Henry Thode
e confiscata dallo Stato italiano allo scoppio della prima guerra mondiale.
Dopo averlo visitato, d’Annunzio scrive alla moglie Maria
Hardouin: “Ho trovato qui sul lago di Garda una vecchia villa
appartenuta al defunto dottor Thode. E’ piena di libri: e questa
nobile ricchezza mi fa sopportare le tracce delle tedescherie non
facilmente abolibili. Ma il giardino è dolce, con le sue pergole e le
sue terrazze in declivio. E la luce calda mi fa sospirare verso quella
di Roma. Rimarrò qui per qualche mese per licenziare finalmente
il notturno”. In realtà il poeta vi rimase fino alla morte
avvenuta nel 1938.
Il restauro della Prioria e la sistemazione dell’immenso parco
e dei giardini privati vennero affidati all’amico architetto
Giancarlo Maroni, che vi lavorò dal 1921 fino agli anni
Cinquanta, realizzando quanto gli veniva richiesto dal
committente.
Fu quella del Vittoriale una delle imprese straordinarie, e
non certo la meno importante, fra le molte compiute da
d’Annunzio, che volle in essa lasciare un segno tangibile di sé
destinato a durare nel tempo. Come la casa, anche i giardini
privati e il parco esprimono infatti tutta l’essenza dell’arte e
della personalità del poeta-Vate in un crescendo di allegorie
128 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Lungo un vialetto fiancheggiato da cespugli di rose profumate, i cui petali cadendo
formavano un tappeto vermiglio che ricordava il sangue, si incontrano i quindici
massi, collocati nel 1926, provenienti dai luoghi dove si combatté più duramente
la prima guerra mondiale, protetti dalla statua bronzea di san Francesco orante di
Giacinto Bardetti del 1925. Tale statua si lega per contrapposizione alla Venere che
corona il portale d’ingresso.
Come non immaginare d’Annunzio passeggiare in questo luogo carico di memorie,
raggiungendo i cimeli storici dell’Arengo, il boschetto di magnolie dove si innalza,
attorno a un trono e a sgabelli in pietra, una selva di colonne che simboleggiano
altrettante vittorie della Grande guerra?
In questa sorta di recinto sacro ornato con leggii e torciere in bronzo, il poeta
era solito riunirsi con i legionari fiumani in occasione di cerimonie o di
commemorazioni. Fra le colonne, alcune sormontate da proiettili donati dal
generale Armando Diaz, spicca quella con l’urna contenente la terra di Caporetto,
in ricordo della terribile sconfitta subita dall’Italia, che segnò secondo il poeta l’inizio
129 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte
I pilastri delle limonaie
del Vittoriale
della ripresa, perché da essa gli italiani trassero la forza per rialzarsi e giungere alla
vittoria. A segnare tutto ciò con grande forza simbolica è la statua della Vittoria alata
coronata di spine, opera del 1922 dello scultore e vetraio veneziano Napoleone
Martinuzzi con la scritta assai evocativa: Et haec spinas amat Victoria (proprio queste
spine ama la Vittoria).
Dal terrazzo del Belvedere, ornato con statue e anfore, ci si affaccia sulle antiche
limonaie, risalenti al 1700, di cui oggi resta ben visibile l’impianto architettonico
con la canalina per l’irrigazione in pietra e cotto.
Le limonaie, serre per le piante di limoni, un tempo chiamate sardì de limù, erano
assai diffuse sulla costa occidentale del lago di Garda, di cui costituiscono ancor oggi
un tratto caratteristico. Infatti tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento i
giardini dei limoni costituivano un’importante risorsa economica della zona, dato
che l’esportazione dei frutti giungeva fino al Nord Europa. I limoni, che erano stati
introdotti in Italia solo attorno al Mille con l’arrivo degli Arabi in Sicilia, si diffusero
poi sulla riviera ligure e solo nel corso del XIII secolo furono portati sul lago grazie
ai frati del convento di San Francesco di Gargnano. Il limone del Garda fu subito
apprezzato per le sue qualità, per il contenuto di acido citrico, l’aromatica fragranza
del succo, la particolare durata rispetto ai limoni di altre zone.
La limonaia serviva a proteggere le piante dai rigori invernali. Strutturata su più
piani, era normalmente chiusa su tre lati da una massiccia muraglia garantendo
l’esposizione verso sud-est. Il tetto, spiovente all’indietro, si appoggiava su pilastri,
legati tra loro o con la muraglia, da grossi puntoni di castagno, detti sparadossi;
perpendicolarmente a quelli, erano fissate altre travi più sottili, i cantéri. Con l’arrivo
del freddo si cominciava a coprire la limonaia: assi per il tetto e, per il fronte solare,
assi di mezzo, vetrate e portiere. Essenziale era il sistema dell’irrigazione: canali
generalmente scavati in blocchi di arenaria percorrono la muraglia di fondo e i muri
di contenimento, dall’alto verso il basso, sorretti da mensole per innaffiare il piede
degli alberi.
D’Annunzio poco si curò della sua limonaia, anzi presto la fece smantellare
integrando quanto rimaneva nel suo giardino all’italiana.
Infatti dalla terrazza della limonaia si giunge al frutteto con aiuole e pergolato,
130 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte
realizzato da Maroni tra il 1924 e il 1927 e concepito come un hortus conclusus il
cui recinto, costituito da una serie di archi e griglie in legno, è ornato da aquile in
pietra ad ali spiegate e gigli araldici, simili a quelli che d’Annunzio aveva, molti
anni addietro, ammirato nei giardini di Villa d’Este a Tivoli. Al centro tra piante di
melograno, un chiaro richiamo al tema dell’eterna rinascita, campeggia una colonna
sulla quale è collocata la statua bronzea di Pomona, ancora opera di Martinuzzi,
raffigurante una donna seduta che regge sul capo un canestro di frutti, a indicare
fertilità e abbondanza.
Delle moltissime specie botaniche volute dal Poeta per il suo giardino, tra le
quali il bellissimo faggio rosso, piante esotiche, oleandri, pitosfori, bletille, scelte
accuratamente consultando l’opera del botanico Teodoro Caruel, oggi non tutto si
è conservato, quanto basta però a immaginare le infinite sensazioni olfattive e visive
che il poeta racconterà nella prosa del Notturno.
Proseguendo, attraverso siepi e roseti e lasciando alle spalle siepi di bosso centenario
dal profumo fragrante, si comincia a percepire giù nella valletta, dove la vegetazione
cresce spontanea, lo scorrere scrosciante dell’Acquapazza. Non mancano neppure
qui gli interventi di Maroni richiesti dalla fantasia del poeta: ponticelli simbolici e
cadute di acqua fino al laghetto delle danze a forma di cassa di violino, dove il rivo
dell’Acquapazza mescola le sue acque con quelle più tranquille dell’Acquasavia:
suggestivo scenario voluto da d’Annunzio per spettacoli di danza, nei quali natura e
arte si fondessero in un tripudio di suoni, profumi, sensazioni.
I terrazzamenti che
accoglievano la struttura
delle limonaie, di cui
rimane traccia nei
pilastri e nel canale di
irrigazione che doveva
bagnare i piedi degli
agrumi
Il giardino hortus conclusus nell’opera letteraria di Gabriele d’Annunzio
D’Annunzio amò particolarmente i giardini e tutta la sua opera letteraria è percorsa
da famose descrizioni o suggestivi richiami a giardini realmente vissuti dal poeta,
visitati nel corso della sua vita o da lui fantasticati.
Sono stati scelti, a titolo esemplificativo, un testo in prosa e uno in poesia, il giardino
descritto nella novella Il traghettatore e quello poetico dell’Hortus conclusus.
Il traghettatore, da Le novelle de la Pescara, 1902
“Era la metà di giugno; e i profumi degli aranci e dei limoni fioriti si mescolavano
all’odor delle rose, nell’aria tranquilla. Le rose crescevano da per tutto, nel giardino, con
una forza indomabile”.
131 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte
progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte
Così descrive d’Annunzio il giardino dove donna Laura Albonico stava seduta sotto
la pergola, giardino in cui tutto sollecita i sensi con una forza quasi insopportabile.
Esperienza plurisensoriale, che svela segreti invisibili agli occhi degli estranei, ben
comprensibili però a chi il giardino lo conosce e lo vive.
L’olfatto percepisce il profumo degli agrumi che si mescola a quello intenso delle
rose che crescono selvaggiamente dappertutto e “a ogni soffio di vento coprono il
terreno “con l’abbondanza della loro neve odorante”.
L’udito avverte il mormorio di “fontane invisibili fra la verzura… un fruscio e uno
scompiglio singolari, mentre uccelli invisibili cantano.
Alla vista appare “la cima mobile scintillante degli zampilli fuor del fogliame” e l’aria
pregna dei profumi ha “un sapore dolce e possente come quello di un vino prelibato”.
Il giardino è percorso da viali e chiuso dal cancello, “tutto abbracciato dalle piante e
dai fiori”, silenzioso nell’ora che il poeta definisce panica: l’ora meridiana, quando
egli si sente permeato dalla luce del sole e, trasformato dalla forza stessa della
natura, sembra fondersi con essa e vivere la sua stessa vita, proprio come accade alla
protagonista della novella: “Dal silenzio, nell’ora panica, sorgeva qualcosa di grande e di
inesorabile, che le infuse nell’animo uno sgomento misterioso”.
amata; i “bei penduli pomi”appaiono “puri come la carne verginale” destinati a
schiudere al poeta la via per “sapori non terrestri”, piaceri non mai assaporati da bocca
mortale.
Lo straniero, spingendo lo sguardo dentro il cancello degli orti recintati, folle per
il profumo effuso dagli invisibili rosai, esplora il dominio amoroso del giardino,
sognando passioni e “sovrumani amori”mai prima sognati. Il componimento si
conclude con un’esplicita similitudine, con la quale l’autore paragona la donna al
giardino chiuso, l’hortus conclusus che dà il titolo alla poesia.
Giardini chiusi, appena intraveduti,
o contemplati a lungo pe’ cancelli
che mai nessuna mano al viandante
smarrito aprì come in un sogno! Muti
giardini, cimiteri senza avelli,
ove erra forse qualche spirto amante
dietro l’ombre de’ suoi beni perduti!
Splendon ne la memoria i paradisi
inaccessi a cui l’anima inquieta
aspirò con un’ansia che fu viva
oltre l’ora, oltre l’ora fuggitiva,
oltre la luce de la sera estiva
dove i fiori effondean qualche segreta
virtù da’ lor feminei sorrisi,
Terrazzamento dei
Giardini privati del
Vittoriale
e i bei penduli pomi tra la fronda
puri come la carne verginale
parean serbare ne la polpa bionda
sapori non terrestri a non mortale
bocca, e più bianche nel silenzio intente
le statue guardavan la profonda
pace e sognavano indicibilmente.
Hortus conclusus, da Poema paradisiaco, 1893
Il componimento, dedicato dal poeta a Maria Gravina, dalla quale ebbe nel
1893 la amatissima figlia Renata, paragona la donna a un giardino chiuso:
hortus conclusus appena intraveduto, contemplato dai cancelli, silenzioso, quasi
inaccessibile, dal quale si diffondono nell’aria profumi inebrianti e dove si sogna
un amore segreto.
L’espressione hortus conclusus, derivata dal Cantico dei Cantici dove la sposa, in quel
caso la Chiesa, è definita “giardino chiuso”, venne nei secoli attribuita, a partire da
sant’Alberto Magno, alla Vergine Maria.
Gabriele d’Annunzio carica l’espressione di forte sensualità. Non solo il giardino,
in quanto hortus conclusus, ma anche parti di esso assumono fattezze femminili: la
corolla de “i fiori ... da’ lor feminei sorrisi” viene paragonata al sorriso della donna
132 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Qual mistero dal gesto d’una grande
statua solitaria in un giardino
silenzioso al vespero si spande!
Su i culmini dei rigidi cipressi,
a cui le rose cingono ghirlande,
inargentasi il cielo vespertino;
i fonti occulti parlano sommessi;
biancheggiano ne l’ombra i curvi cori
di marmo, ora deserti, ove s’aduna
il concilio degli ultimi poeti;
tenue su la messe alta dei fiori
passa la falce de la nova luna;
ne l’ombra i fonti parlano segreti;
rare sgorgan le stelle, ad una ad una;
133 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte
progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte
un cigno con remeggio lento fende
il lago pura imagine del cielo
(desìo d’amori umani ancor l’accende?
memoria è in lui del nuzial suo lito?)
e fluttua nel lene solco il velo
de l’antica Tindaride, risplende
su l’acque il lume de l’antico mito.
Una limonaia ancora
in uso, con i traversi
sopra e tra i piloni, per
coprire e chiudere la
serra durante la stagione
fredda
Di sovrumani amori visioni
sorgono su da’ vasti orti recinti
che mai una divina a lo straniero
aprirà coronata di giacinti
per lui condurre in alti labirinti
di fiori verso il triplice mistero
cantando inaudite sue canzoni.
Ma quegli, folle del profumo effuso
dal cor degli invisibili rosai,
chino a la soglia come quando adora,
pieni d’un sogno non sognato mai
gli occhi mortali, giù per l’ombre esplora
nel profondo crepuscolo in confuso
il dominio silente ch’egli ignora.
Così la prima volta io vi guardai
con questi occhi mortali. Voi, signora,
siete per me come un giardino chiuso.
Il profumo dei limoni: un confronto
E.Montale, I Limoni, da Ossi di seppia, 1925
Il profumo dei limoni intenso e fragrante ha sollecitato poeti e scrittori ispirando
loro versi suggestivi. Anche Montale, percorrendo i viottoli della sua amata Liguria,
si è lasciato incantare dal giallo di questi agrumi, che diventano per lui occasione di
scoprire la realtà misteriosa della Natura e di intendere così il senso della vita.
L’autore, fin dai primi versi, polemizza con i “poeti laureati”, tra i quali certo si
può annoverare d’Annunzio, poeti incoronati dalla critica, poeti dal linguaggio
altisonante, abituati a muoversi tra piante dai nomi inusuali, bossi, acanti e ligustri.
Egli prende le distanze da costoro; a lui piace parlare di alberi comuni, come le piante
di limoni che crescono negli orti e che diffondono il loro intenso profumo, “la nostra parte
di ricchezza”, tra le viuzze di campagna, lungo i cigli dei fossi, tra le pozzanghere in cui
guizzano sparute le anguille. E lì che il poeta si sente a proprio agio, in quel paesaggio
silenzioso e deserto, in cui all’improvviso può accadere il miracolo: può apparire una
presenza rivelatrice, si può incontrare il segreto della Natura, che finalmente “ci metta
nel mezzo di una verità”, quella stessa verità che si può intuire in un giorno qualunque,
attraverso un portone accostato, intravedendo il “giallo dei limoni”.
134 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Ascoltami, i poeti laureati si muovono soltanto fra le piante dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti. lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi fossi dove in pozzanghere mezzo seccate agguantano i ragazzi qualche sparuta anguilla: le viuzze che seguono i ciglioni, discendono tra i ciuffi delle canne e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni. Meglio se le gazzarre degli uccelli si spengono inghiottite dall’azzurro: più chiaro si ascolta il sussurro dei rami amici nell’aria che quasi non si muove, e i sensi di quest’odore che non sa staccarsi da terra e piove in petto una dolcezza inquieta. Qui delle divertite passioni per miracolo tace la guerra, qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza ed è l’odore dei limoni. Vedi, in questi silenzi in cui le cose s’abbandonano e sembrano vicine a tradire il loro ultimo segreto, talora ci si aspetta di scoprire uno sbaglio di Natura, il punto morto del mondo, l’anello che non tiene, il filo da disbrogliare che finalmente ci metta nel mezzo di una verità. 135 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte
progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte
Lo sguardo fruga d’intorno, la mente indaga accorda disunisce nel profumo che dilaga quando il giorno più languisce. Sono i silenzi in cui si vede in ogni ombra umana che si allontana qualche disturbata Divinità. Quando fu acquistata a un’asta pubblica nel 1906 dal Sentore bresciano Ugo Da Como,
la Casa del Podestà si presentava in modo assai diverso rispetto ad oggi.
Lo spazio di pertinenza era ridotto e coincideva con l’area antistante il piano terreno
dell’odierna casa-museo. L’attuale giardino è frutto infatti di una serie di oculate e
successive acquisizioni; la proprietà venne nel tempo allargata, includendo l’antico
cimitero della chiesa di Sant’Antonio Abate, come è testimoniato da un’epigrafe che
riporta la scritta “elemosina per i defunti”, chiaro segno della presenza, in passato, di
un cimitero.
Fino all’intervento restaurativo operato tra il 1907 e il 1909 dall’architetto Antonio
Tagliaferri, lo spazio del giardino era lasciato incolto o destinato a qualche sporadica
coltivazione di ortaggi. Solo in seguito l’architetto, su richiesta del Senatore, lo
abbellì rendendolo parte integrante dell’abitazione, costituendo la sua naturale
continuità.
Lo stile scelto da Tagliaferri per il restauro della casa risponde a una moda
otto-novecentesca, che concepiva gli spazi esterni come funzionali alla resa di
un’architettura pittoresca. L’edificio è pertanto concepito entro uno spazio ricco
di vegetazione e scandito da un’architettura, che tiene conto di elementi medievali
preesistenti, i muri merlati, le scale e i viottoli che collegano i diversi livelli del
giardino, realizzando un insieme armonico ed equilibrato.
Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase. La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolla il tedio dell’inverno sulle case, la luce si fa avara – amara l’anima. Quando un giorno da un malchiuso portone tra gli alberi di una corte ci si mostrano i gialli dei limoni; e il gelo dei cuore si sfa, e in petto ci scrosciano le loro canzoni le trombe d’oro della solarità.
Planimetria del territorio
a sud della Rocca di
Lonato: in evidenza
la Casa Museo del
Senatore Ugo Da Como,
la Biblioteca della
Fondazione e i giardini
privati.
Si hortum cum bibliotheca habes nihil deerit
Il Locus amoenus di Ugo Da Como
Il giardino della Fondazione Ugo Da Como costituisce una gradevole un sorpresa per il
visitatore, protetto da sguardi indiscreti, chiuso dagli alti muri della casa stessa e da un
tratto delle antiche mura medioevali, che lo limitano e lo sostengono a mezzogiorno, dove
il panorama si apre sul città.
Vista del fronte rivolto a
mezzogiorno della CasaMuseo di Ugo Da Como
con i giardini in primo
piano
Nel 1920 si aggiunsero alla proprietà anche i campi della Rocca, interamente
coltivati, soprattutto a viti e ortaggi. Nel 1923 infine fu costruito in stile
quattrocentesco dall’ingegnere bresciano Arnaldo Trebeschi l’edificio che ospita la
preziosa Biblioteca, anch’essa aperta, come l’abitazione, sul giardino.
Ugo Da Como era solito soggiornare a Lonato nei mesi estivi, mentre durante il
periodo invernale si spostava tra Brescia e Roma. Dal 1921 però la casa di Lonato
divenne sua dimora abituale fino alla morte avvenuta nel 1941.
Il giardino acquista allora particolare importanza, soprattutto in estate, perché in esso
il Senatore trascorreva ore di riposo e di studio lontano dagli affari pubblici, nella
quiete della natura, o accoglieva i suoi ospiti offrendo loro uno spazio tranquillo in
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progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte
progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte
cui intrattenersi; tanto importante per il Senatore che tutte le porte e le finestre della
casa, nonché le stanze di rappresentanza si aprivano direttamente sul giardino e il
ballatoio al primo piano permetteva di godere del verde e di un suggestivo panorama
sulla cittadina.
Si hortum cum bibliotheca habes, nihil deerit (M.T.Cicerone, Ep. ad fam. IX,4): se hai
un giardino e una biblioteca nulla ti mancherà.
Il motto latino di derivazione ciceroniana, che campeggia nella Sala principale della
Biblioteca, esprime il perfetto rapporto tra la natura e i libri, il piacere di avere una
biblioteca aperta su un giardino.
Quale modo migliore, per combinare bellezza esteriore e cultura, del connubio
tra giardino e biblioteca? Nella residenza lonatese si realizza l’ideale dell’humanitas
predicato dal latini, cioè la perfetta conciliazione tra otium e negotium, tra studio
e attività pubblica, tra ricerca della quiete e impegno politico. Locus amoenus
tranquillo e riparato, spazio esterno in continuo dialogo con l’interno, il giardino
fu concepito dal suo illustre inquilino come luogo elegante e armonioso da vivere
con gli amici, ma anche come ambiente dove ritirarsi per contemplare, leggere e
riflettere.
La casa del Podestà sorge lungo un declivio di collina morenica, sulla cui sommità
si erge la Rocca. Il giardino segue pertanto la naturale pendenza del terreno. Esso è
disposto su quattro terrazze raccordate tra loro da scale.
Il primo terrazzamento è raggiungibile dal piano terra dell’abitazione attraverso
cinque porte e dal piano superiore per mezzo dell’elegante scaletta che immette sul
ballatoio, da cui si gode un panorama suggestivo. La facciata sud della casa, curata
e ricca di elementi decorativi tra cui alcuni soli sgraffiti nell’intonaco, ne costituisce
una sorta di quinta: il basamento, in pietra bianca, incornicia porte e finestre e
contrasta con una prima fascia in mattoni rossi a vista. Incastonati poi nella parete
trovano spazio scudi araldici e bassorilievi in pietra e in cotto. All’uscita della sala
da pranzo un piccolo vialetto di ghiaia conduceva, ai tempi di Ugo Da Como, a
un’aiuola esagonale sempre fiorita di salvia splendida rossa, sostituita oggi da uno
spazio verde dove è collocata una colonnina in stile neogotico. La colonna, databile
tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, è eseguita in pietra locale di Rezzato e
potrebbe essere frutto dell'eclettica fantasia dell'architetto Tagliaferri. Presenta un
basamento a doppio plinto sulla cui sommità sono raffigurati animali mostruosi
nell'atto di arrampicarsi; il fusto è composto da due pilastri polistili adiacenti e
decorati con motivi fitomorfi, i cui spigoli sono delineati da fasce tortili. Il capitello
sorregge un leone rampante alato, chiaro riferimento all'antico dominio di Venezia,
che tiene tra le zampe lo stemma del comune di Lonato, anch’esso un leone
rampante che regge due chiavi incrociate.
La colonna risponde alla logica della creazione in stile e contribuisce a ricreare
un’atmosfera pittoresca, vagamente medievaleggiante. In una seconda aiuola
delimitata da un muretto merlato trova dimora uno dei cinque pozzi in pietra e ferro
dislocati nella proprietà con la sola funzione decorativa di fioriera.
La seconda terrazza è raccordata alla precedente da una scala di ciottoli e ghiaia, alle
cui sommità sono collocati due capitelli sormontati da palle di cannone in pietra;
il terrazzamento si distende davanti all’edificio della Biblioteca in un ampio spazio
verde circondato da siepi di bosso con al centro una magnolia. Questo non doveva
essere l’aspetto originario del giardino; infatti le siepi di bosso sono tipiche della
concezione del giardino all’italiana e sono frutto di una sistemazione successiva alla
morte del Senatore. Voluti dal Da Como
invece i due pozzi, anche qui usati come
arredo e fioriera e le fontanelle senz’acqua
addossate alla parete est della casa.
Il terrazzamento più alto, forse il
più spoglio e segreto, è raccordato al
precedente da una stretta scaletta, ma
si raggiunge anche dal piano alto della
Biblioteca, il cui prospetto in pietra
apparecchiata ad opus incertum è bucato
da una finestra e da una porta centinata.
Sotto la finestra inferriata è addossata al
muro una panchina, mentre al centro
della terrazza si erge un alto tasso simbolo
di morte, perché velenoso; poco discosto
un tavolino con piano tondo in pietra
sorretto da una gamba centrale dalla
forma ad anfora. Su tutto svetta la torretta
quattrocentesca, residuo dell’antica
fortificazione.
Scendendo verso la chiesa di Sant’Antonio
si raggiunge la terrazza più bassa,
attraverso un sentiero fiancheggiato
da bossi e arbusti; con Da Como la
zona divenne frutteto e ortaglia. Oggi
si presenta come un prato di forma
rettangolare allungata, ai piedi della
torretta, con un piccola baracca in
mattoni e un vecchio albero di cachi, forse
residuo del frutteto.
Elemento ricorrente nel giardino è il
leone. Questo simbolo araldico per
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139 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Casa del Podestà di
Lonato del Garda: la
facciata meridionale e i
giardini prospicienti, che
accolgono uno dei pozzi
ornamentali utilizzati
come fioriere
Il pilastrino in stile
neogotico collocato nei
giardini privati della Casa
del Podestà
Una panchetta con
fioriera sostenuta da due
leoncini scolpiti in pietra
progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte
progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte
eccellenza venne scelto dal Tagliaferri non solo a memoria del dominio veneto su
Lonato, ma anche per esaltare l’atmosfera medioevaleggiante: è il leone alato di san
Marco che ci accoglie in una lastra a bassorilievo sulla destra del cancello della Casa,
quello stesso leone che diventerà di volta in volta, celato nelle pietre sparse nei cortili
o incastonate nelle pareti, una mensola, un piedino, la bocca di una fontana o il
sostegno di una panchetta.
“Il giardino era magnifico e Ugo Da Como ci stava molto volentieri. Uno dei punti
preferiti in cui il Senatore amava stare era l’angolo sotto il poggiolo, accanto a un
grande cespuglio vicino alla porta della Sala Antica”.
Un capitello a motivi
ornamentali floreali con
sovrapposta una palla
di cannone in pietra che
segna l’inizio della scala
tra due terrazzamenti.
Il giardino della Casa del Podestà nel ricordo del giardiniere Arrigo Bonatti
La scala che porta
dall’originario cortile
della Casa del Podestà
al terrazzamento ora di
fronte alla Biblioteca.
Sullo sfondo la torre di
età medioevale
La presenza del Senatore a Lonato era segnata dalla bandiera tricolore con lo stemma
sabaudo issata sulla torretta.
Da Como amava vivere il giardino al mattino, leggendo il giornale o sfogliando
i testi presenti nella sua ricchissima biblioteca, che conta oltre 52.000 volumi tra
cui 495 incunaboli e 470 manoscritti. Ma non solo; infatti in quello che era il suo
locus amoenus riceveva amici e cittadini di Lonato, accogliendoli durante la bella
stagione su poltroncine di vimini collocate all’esterno davanti alla sala. Passeggiava
ogni mattina tra le 9.30 e le 10.00 fino alla Rocca in compagnia del suo giardiniere,
parlando di tutto, sempre rigorosamente in dialetto bresciano. A volte si fermava a
contemplare il lago sporgendosi tra due merli della Rocca.
Curiosa la notizia riferita dal giardiniere Arrigo Bonatti; a una sua precisa domanda,
se pensasse qualche volta a d’Annunzio, si sentì rispondere dal Senatore che non
desiderava parlare di lui. Al contrario, guardando il lago, preferiva pensare all’amico
Pompeo Molmenti, come lui zanardelliano, suo esecutore testamentario. Sappiamo
che Da Como e d’Annunzio non si ebbero ad incontrare mai, nonostante la
vicinanza abitativa, la fama di cui entrambi godevano e i comuni interessi letterari.
Certamente la posizione assunta dal Vate rispetto al governo fascista non poteva
essere condivisa dal Da Como.
Riferisce il giardiniere che il senatore era persona cordiale, al quale piacevano gli
ortaggi fra cui le zucchine, che amava raccogliere personalmente nell’orto. Bonatti
afferma: “Io dovevo piantare i fiori e innaffiarli: i fiori erano moltissimi”. E ancora:
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Tante piante ad alto fusto erano piantate nel giardino. Vicino al muro della
Biblioteca cresceva un boschetto e accanto all’affresco del Trainini c’erano un albero
di noce e un albicocco sempre molto fruttiferi. Il sentiero che conduceva alla torretta
era ornato con cespugli di rose di ogni tipo e colore; a fianco di esso un lieve pendio
con cespugli di romiglia.
Ad aggiungersi al vasto e splendido repertorio di piante, nella parte di prato
confinante con la chiesa di Sant’Antonio c’era anche una fila di alberi da frutta di
tutte le qualità con al centro due filari di viti. E poi il grande albero di cachi ancora
oggi esistente.
Anche la moglie Maria Glisenti amava molto il giardino, aveva cura delle piante,
fra le quali limoni coltivati in vasi nei pressi della casa e agavi, ma erano le rose che
soprattutto le piacevano e con le quali sempre decorava le stanze della casa. In tutto
il giardino erano presenti pozzetti e fontanelle senz’acqua, che la signora Maria
utilizzava come fioriere. Una invece, vicino alla Biblioteca, era usata dalle domestiche
per lavare i panni.
I chiostri del complesso museale di Santa Giulia
Il giardino ideale o paradeisos
Annesso alla chiesa di San Salvatore costruita nel 753 d.C. per volontà del re
longobardo Desiderio, allora duca di Brescia, e di sua moglie Ansa, il monastero
benedettino femminile di Santa Giulia è diventato negli ultimi anni un importante
complesso museale, che oggi racconta al visitatore la storia della città di Brescia a
partire dai secoli più remoti.
Il monastero godette grande fama fin dalla sua fondazione, anche per la presenza
come prima badessa di Anselperga, figlia dello stesso Desiderio e sorella della
più nota Ermengarda. Nel corso dell’età carolingia andò aumentando privilegi e
proprietà che si estendevano fino al lago di Garda e divenne così un centro di potere
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progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte
progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte
Planimetria del
complesso di Santa
Giulia con datazione dei
diversi corpi di fabbrica
Il cortile orientale con
Santa Maria in Solario
sullo sfondo
Il cortile di Santa Maria
in Solario
Le colonne eterogenee
lungo la parete
tamponata del cortile
orientale; nell’angolo
resta soltanto un
capitello incastonato nel
muro
economico e politico di grande rilevanza. Lo testimoniano sia lo splendore acquisito
dall’edificio, sia la ricchezza del patrimonio conservato al suo interno, di cui ancora
oggi abbiamo memoria.
Le varie trasformazioni architettoniche subite dal monastero tra i secoli XII e
XVII con l’aggiunta di nuovi corpi di fabbrica, se da un lato ne hanno modificato
profondamente l’aspetto e talvolta la destinazione d’uso, dall’altro ne hanno
enfatizzato il carattere profondamente religioso. A un osservatore non superficiale
non può certo sfuggire il grande emblematico crocifisso con figura femminile,
raffigurante proprio la Santa Giulia cui il convento era dedicato, che ci accoglie
all’ingresso, e nemmeno i numerosi ambienti ecclesiali che il complesso vanta: la
chiesetta di S.Maria in Solario del XII
secolo, l’antica basilica di San Salvatore
con annesso il Coro delle monache del
XV secolo, la nuova chiesa pubblica
di Santa Giulia costruita alla fine del
Cinquecento dopo la visita di san
Carlo Borromeo. Ma soprattutto sono
i tre chiostri, che costituiscono per
ogni monastero il centro della vita e
dell’esperienza religiosa, a definire la
fisionomia architettonica del complesso
museale.
Il primo di essi, situato nell’ala orientale,
risale al 700 ed è emblematico della lunga
storia del luogo. I portici conservati sono
due; in entrambi, secondo lo schema
compositivo dei chiostri, le colonne
poggiano su bassi muretti perimetrali. Il
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progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte
progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte
primo portico, aperto e ricostituito con fusti esagonali e capitelli corinzi stilizzati,
regge un trabeazione lignea. Il secondo è invece tamponato e caratterizzato da
colonne recuperate da materiale di scavo, che costituiscono l’imposta di arcate a
tutto sesto, delle quali rimane visibile solo l’impronta forata da tondi in asse con
sobrie finestre rettangolari, che oggi intagliano la parete. I due fronti mancanti
del chiostro, integrati in edifici successivi, simulano le stesse arcate a tutto sesto
attraverso la pittura. L’effetto illusionistico prodotto dalla pittura, il rivestimento
in materiali pregiati, la teoria di mensole in pietra che reggono l’aggetto esterno,
il leggero parapetto in ferro battuto suggeriscono un intervento di periodo
rinascimentale e rivelano il gusto raffinato delle monache.
Il secondo chiostro cinquecentesco è caratterizzato da candide colonne con capitelli
compositi, sui quali si impostano volte a crociera rinforzate da catene di ferro. Alle
Il doppio portico che
affaccia verso la chiesa
di San Salvatore
l grande chiostro
settentrionale con
quadriportico di età
rinascimentale
Il chiostro occidentale,
con il doppio porticato
coperto da volte a
crociera. Durante gli
scavi tra il 1986 e il
1989 fu portata in luce
nel cortile la “domus del
ninfeo”
volte corrisponde al piano superiore un loggiato con colonnine di ordine minore.
Il terzo chiostro, il più ampio, di impianto rettangolare, presenta integro il
colonnato perimetrale. Le colonne battono anche qui su un basso muretto, che
si interrompe una volta sui lati corti e due sui lunghi, per permettere l’accesso
allo spazio centrale aperto, ora tenuto a prato verde. Un tempo esso poteva
ospitare la coltivazione delle piante officinali, il cosiddetto orto dei semplici,
sempre presente in ogni monastero benedettino, alberi da frutto o altra
vegetazione con al centro una fontana o un pozzo.
I capitelli sono tutti compositi, con una prima corona a bassorilievo con motivi
vegetali a palmette, conclusa da un toro ornato con foglie d’alloro, a sua volta
incastonato in quattro volute riempite da semplici fiori dalla corolla a cinque petali
aperta, ripresa dai quattro fioroni dell’abaco rivolti verso il basso.
I quattro camminamenti sono coperti da volte a crociera ed esternamente i timpani
sono decorati da semplici tondi affrescati, che propongono un gioco di medaglioni
che incorniciano marmi policromi.
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progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte
Un capitello del chiostro
rinascimentale.
Il Chiostro paradigma dell’Eden
È riconducibile all’avvio del monachesimo in Occidente
ad opera di San Benedetto lo sviluppo dell’architettura
specifica dei monasteri, che prevedeva un chiostro
centrale, cioè uno spazio a cielo aperto a pianta quadrata
o rettangolare, diviso in quattro settori da due percorsi
ortogonali e circondato sui quattro lati da un portico a
galleria sorretto da colonne di vario genere e stile poggianti
su un basso muretto, aperto in vari punti per il passaggio.
All’interno del monastero la vita scorreva silenziosa,
scandita dalle ore di lavoro e di preghiera. Celle, chiesa,
coro, orto vedevano il rapido passaggio dei monaci, ma più
di ogni altro ambiente nel monastero benedettino era il
chiostro a costituire il fulcro della vita religiosa.
La vita del monastero ruota attorno al chiostro; su di esso
si aprono i locali comuni più significativi, refettorio, sala
capitolare, biblioteca; dal chiostro si accede direttamente
alla chiesa e nel chiostro avviene normalmente la statio, il momento di preghiera e di
raccoglimento prima di iniziare la liturgia; sempre nel chiostro si svolgono le processioni
accompagnate dal canto gregoriano; nelle gallerie i monaci passeggiano, pregando e
meditando.
E non è certo casuale che dal chiostro (claustrum =confine, limite) sia derivato il
termine stesso di claustrale per indicare chi vive nel monastero.
Il chiostro, chiuso al mondo esterno, ma aperto al cielo, nell’organizzazione degli
spazi abbaziali è lo spazio maggiormente carico di valore simbolico, figura del
cammino spirituale che ogni monaco deve compiere: richiama il giardino dell’Eden
o paradiso terrestre, quello in cui Dio collocò Adamo. Da lì ha inizio il cammino che
deve portare a Cristo, acqua zampillante che dona la vita. Al centro di questo spazio
sacro è infatti collocato un elemento simbolico, quale un pozzo o una fontana, allusivi
all’acqua della vita, oppure un albero, che rimanda al legno della croce. Spesso è
arricchito da piante e vegetazione, che ne rafforzano il significato di giardino ideale,
così come le figure scolpite sui capitelli o i cicli pittorici lungo il porticato riflettono la
spiritualità monastica.
Nel microcosmo del chiostro si sperimenta l’incontro con Dio attraverso il silenzio
e la meditazione; si contempla la bellezza che traspira dalla perfetta realizzazione
artistica; si realizza l’armonia tra cielo e terra.
Bibliografia
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Fiorini, Verona 1983
R. Assunto, Natura e arte nel paesaggio
dannunziano, Atti del II Convegno
internazionale di studi dannunziani, Pescara
novembre 1980
M.Baronio, Il Senatore Ugo Da Como nei ricordi
di un giovane giardiniere, in Ugo Da Como,
Quaderni della Fondazione Ugo Da Como,
dicembre 2012
M.Carminati, Le vie dell’arte, Silvana Editoriale,
Milano 2005
G. Cigognetti, Le limonaie, in Atlante del Garda,
Grafo edizioni, Brescia 1992
G. d’Annunzio, Le novelle della Pescara,
Mondadori, Milano 1942
G. d’Annunzio, Poema paradisiaco, in Versi
d’amore e di gloria, Arnoldo Mondadori, Milano
1997
A.Frattini-P.Tuscano, a cura di, Poeti italiani del
XX secolo, La Scuola, Brescia 1988
F.Irace, a cura di, L’architetto del lago .Giancarlo
Maroni e il Garda, Electa, Milano 1993
E.Ledda, L’arte scenica nel giardino d’un poeta, Atti
Accademia studi e ricerche, Ateneo di Salò 2005
A.Mazza, D’Annunzio, il Vittoriale e Gardone
Riviera, ed La Rosa, Brescia 2004
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P.Restani, Il significato spirituale dei chiostri, in
“Arte e spiritualità”, Centro culturale Leone XIII,
Città di Castello-Perugia, n.1, gennaio-febbraio
2005
R. Stradiotti, a cura di, San Salvatore – Santa
Giulia a Brescia. Il monastero nella storia, Skira,
Milano 2001
V. Terraroli, I giardini del Vate al Vittoriale,
Architettura e Arte, ottobre-dicembre 1999
G. Tortelli, R. Frassoni, Santa Giulia, Brescia.
Dalle domus romane al museo della città, Electa,
Milano 2009
Chi e dove I.I.S.S. Cesare Battisti – Salò
Classi coinvolte Classi Quarta A e Quarta B Turistico
Docenti referenti
Amalia Bigi, Chiara Foglio
Con la collaborazione di
Dott. Giovanna Ciccarelli, Dott. Stefano Lusardi, Dott. Angela Bersotti
progetto 11
La “Storia all’aperto”
Stemmi, frammenti e terrecotte
tra i giardini, i chiostri e il lapidarium
Introduzione
Il progetto nasce dall’esigenza di far conoscere ai nostri allievi i tesori artistici e
culturali presenti nel territorio cittadino e bresciano in cui vivono. Sono state
mostrate e presentate le testimonianze storiche custodite in tre importanti
Istituzioni museali, scegliendo un percorso di approfondimento culturale
congeniale al corso di studi in ambito turistico dei nostri studenti. Si è creato
così un rapporto fruttuoso tra l’istituzione scolastica e il territorio, e sono anche
migliorate qualitativamente le strategie didattiche rilevanti per l’attività educativa e
formativa degli allievi.
Nei tre “Luoghi di vita ed arte” che abbiamo potuto visitare in particolare, abbiamo
scoperto indizi che ci hanno permesso di risalire il corso della storia, di ripercorrere
il passato e scoprire l’identità e peculiarità del nostro territorio, anche esplorando
l’ambiente in cui questi tre Musei sono collocati: i Musei Civici cittadini di S.
Giulia a Brescia, la Casa-Museo del Vittoriale degli Italiani a Gardone Riviera e la
Casa-Museo di Ugo Da Como, a Lonato del Garda.
Gli allievi hanno saputo riconoscere il valore di queste antiche dimore, attraverso
dettagliate visite ed incontri con esperti che li hanno formati in ambito storico
ed artistico, ma anche informati sui contenuti sociali e di costume con piccole
dispense preparate per l’occasione. Questi musei hanno così assunto un modello
significativo, che poi si è sviluppato a carattere pluridisciplinare, stimolando
gli allievi ad affinare le loro conoscenze linguistiche in ambito turistico,
approfondendone le caratteristiche di interesse ad un ipotetico turista del territorio
bresciano. Si è avviato così un percorso che ha unito gli allievi nella ricerca storica,
ambientale e culturale che unisce queste tre realtà nei loro aspetti esteriori. Tema
interessante ed avvincente per questi ragazzi, che seguendo un percorso scolastico
di formazione turistica, hanno analizzato le decorazioni, le lapidi, i chiostri e
l’ambiente in cui sono situati i Musei Civici cittadini di S. Giulia, la Casa-Museo
del Vittoriale degli Italiani e la Casa-Museo di Ugo Da Como.
147 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 11 La “Storia all’aperto”
progetto 11 La “Storia all’aperto”
Ringraziamo in particolare il Dott. Stefano Lusardi che ci ha guidati in questa
interessante e significativa esperienza, stimolando gli studenti a conoscere questi
“beni artistici e culturali”, elementi di memoria storica.
Raccoglimento e bellezza tra i chiostri dei Musei di Santa Giulia
Idea del progetto
Avvicinare gli studenti alle opere, ai reperti ed agli oggetti che si trovano all’esterno
dei tre Musei, in quanto importanti testimonianze del passato per trasmettere ai
giovani la conoscenza delle loro radici e la storia del loro territorio attraverso la
ricchezza di beni culturali, affinché imparino a conoscerli ed apprezzarli.
Questo progetto intende affiancarsi al percorso scolastico dei ragazzi, costituendo
una risorsa di apprendimento ulteriore, collegando questa nuova esperienza alle
abilità e alle conoscenze pregresse, agli interessi e alle motivazioni che emergono
dalla quotidiana attività didattica. Si desidera quindi creare un tutt’uno col
curricolo formativo in una prospettiva disciplinare e transdisciplinare.
– Osservare – leggere: riconosce il bene culturale, l’oggetto” portatore di un valore
storico, artistico, emozionale, estetico; inquadra un problema e organizza la raccolta
dei dati relativi (storico, ambientali, sociali…)
– Orientarsi: colloca il bene culturale entro precise coordinate di carattere storicoambientale, inserendolo in una dimensione spazio-territoriale specifica.
– Conoscere: riconoscere nel bene culturale uno strumento per la conoscenza della
propria ed altrui identità.
– Progettare – documentare: attiva le strategie adeguate per la corretta fruizione e
gestione del bene culturale; per diffondere i risultati sa individuare e differenziare
tecniche, procedure, linguaggi e strumenti in funzione dei destinatari (ipertesti, siti
web, relazioni scritte e orali, opuscoli turistici).
– Unire i tre musei, con una linea ideale conduttrice, rappresenta una via concreta
per illustrare agli studenti le meraviglie del territorio bresciano, che evoca colori e
paesaggi di rara bellezza, luoghi accarezzati da un clima dolce, con dimore ricche di
storia per gli insigni personaggi del passato che qui hanno vissuto.
148 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
…Per i claustri solitari,
Tra il canto delle vergini,
Ai supplicati altari…
Alessandro Manzoni
Adelchi, coro dell’atto IV
Il patrimonio storico-artistico custodito nella struttura conventuale e monastica
dei Musei di Santa Giulia, situata nel centro storico di Brescia, è stato il primo
approfondimento culturale di questa interessante e significativa esperienza, alla
scoperta dei tesori e delle bellezze che la nostra città ci offre.
Il chiostro continua ad esercitare un fascino importante, produce nel visitatore un
distacco dai ritmi e dalle forme della città esterna, un itinerario capace di introdurci
in una dimensione “senza tempo”. Per lo spirito monastico, che tanto ha influito
sulla costruzione e sulla ricchezza di Brescia, il chiostro è una vera e propria
metafora del paradiso: visivamente aperti ai quattro punti cardinali, rimangono
tuttavia luoghi “chiusi” , cioè protetti e raccolti. Così come i porticati e i loggiati
che si sovrappongono, simboleggiano un progressivo distacco dalla terra, un
innalzamento spirituale rivolto verso il cielo.
Il complesso monastico di San Salvatore – Santa Giulia con l’area adiacente del
Capitolium sono unici in Europa per concezione espositiva e recentemente sono
anche stati riconosciuti Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’UNESCO.
Abbiamo imparato a frequentare questo luogo
suggestivo, con curiosità ed interesse, è stato un
viaggio nella storia, nell’arte e nella spiritualità di
Brescia dall’età preistorica ad oggi, su un’area di circa
14.000 mq.
Un luogo dove archeologia e leggenda si intersecano
fra la maestà dei chiostri e il silenzio degli spazi,
celebrati nell’Adelchi da Alessandro Manzoni, che vi
ambienta gli ultimi giorni di Ermengarda, figlia del
re longobardo Desiderio e sposa ripudiata di Carlo
Magno.
Santa Giulia è un monumento che racconta
se stesso, con reperti dall’età del ferro all’età
napoleonica. La sezione rinascimentale – come
del resto tutte le altre sezioni del Museo della città
– racconta la città del XV e XVI secolo nel suo
spazio esterno, come se si potesse ripercorrere un
fronte viario e, nel suo spazio interno, entrare in
un’abitazione signorile dell’epoca.
Nella prima metà del ‘400 Brescia passò da dominio
visconteo (milanese) a quello veneziano. In seguito
alla riforma della congregazione benedettina, anche
il monastero, per le mutate esigenze liturgiche, subì,
nella seconda metà del ‘400, una riorganizzazione
edilizia. Si ricostruì il primo chiostro con un
loggiato sopra il porticato e, a nord, un chiostro ex
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progetto 11 La “Storia all’aperto”
progetto 11 La “Storia all’aperto”
novo con il solo porticato al piano terreno.
Nel lato sud-est, oltre S. Maria in Solario, si può ammirare il chiostro sudorientale.
Le sculture e i frammenti di decorazioni scultoree in pietra e terracotta esposti
nella sezione rinascimentale del Museo della città – collocata in questo chiostro
del complesso di Santa Giulia – erano originariamente collocati sui muri esterni
degli edifici della città e documentano le diverse tipologie abitative in uso tra ‘400
e ‘500, quando Venezia impose ai cittadini il decoro delle facciate e della cura della
pubblica via. Tra i pezzi del museo ve ne sono anche di provenienti dalle fabbriche
dell’epoca.
Al primo piano c’è invece un grande spazio unitario, scandito da pilastri.
La contiguità con Santa Maria in Solario, la chiesa romanica a doppia aula
sovrapposta, con tiburio ottagonale, raccoglie il filo d’un’altra eredità storica, visto
che vi era custodito, nell’aula inferiore, il cosiddetto “tesoro di S. Giulia”, cioè le
reliquie più importanti per antichità veneranda o per valenza cerimoniale.
Echi di passi tra le antiche pietre
Il chiostro orientale è al piano terra
ed è austero e solenne nell’incontro
con i monumenti sepolcrali, come
in un piccolo Pantheon del nostro
Rinascimento. I reperti sono un
memoriale di prestigio e virtù civica o
santità, che si ritrova anche nei sepolcri,
che nel Rinascimento venivano intesi
in un disegno di museo della fama:
ecco allora gli apparati dimostrativi
della gloria di Lamberti (una lastra
sepolcrale d’impronta donatellina, già
nel 1457), dei Luzzago, degli Orsini, dei
Martinengo, accanto a lastre funerarie
e sarcofaghi di religiosi, da quello di un
illustre monaco di San Barnaba a un
sarcofago con tre santi.
Uno degli elementi di identità e continuità ancora oggi percepibile nella scena
urbana è l’uso della pietra dalle vicine colline orientali di San Rocchino e di
Botticino, fino a creare una quinta continua di bugnato e di calcinature nella
trama viaria del centro storico. Nello spirito dell’umanesimo, fu anche assunta
con consapevolezza piena l’ascendenza romana, per la presenza dei più imponenti
resti documentati in Italia settentrionale, fino a darne strumento di dignità politica
col primo Museo antiquario d’Europa nella raccolta di epigrafi latine murate nel
1485 nella facciata del Monte Vecchio di Pietà in piazza Loggia, che si veniva
configurando come nuovo foro della città.
Ce n’è abbastanza per capire come la pietra caratterizzi anche la sezione del
museo della città, in un contesto dove, com’è previsto per tutte le sezioni di Santa
Giulia, il racconto della forma urbana nei secoli è accompagnato dai materiali
corrispondenti, restituendo anche ai documenti della cultura materiale ed alle arti
cosiddette minori, piena dignità storica ed estetica. Si documentano quindi il più
possibile le strutture del quotidiano, con una ricognizione di temi di lunga durata
della vita e della “forma” della città.
150 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Nei chiostri del monastero si può immaginare di sentire alcuni suoni: chiacchiere
domestiche in latino, canti e preghiere di monache, lo scalpellare dei “lapicidi” e il
tramestio dei muratori intenti a costruire riutilizzando materiali già impiegati nei
precedenti edifici. È il momento di approdare alla potenza plastica della scultura
monumentale, che si annuncia con varie raffigurazioni dei santi patroni Faustino e
Giovita, con un Trittico Marmoreo con S. Onorio tra i santi.
L’opera è un trittico, cioè una composizione formata da tre pannelli principali; tale
tecnica, propria dell’arte pittorica, qui è traslata in campo scultoreo. Il trittico di
sant’Onorio è un’opera d’arte in marmo di Botticino risalente alla seconda metà
del Quattrocento. Il trittico marmoreo era posto in origine sull’altare eretto sul
sepolcro di sant’Onorio, vescovo di Brescia nel VI secolo. I santi protettori della
città, raffigurati ai lati del vescovo, sono rappresentati in abito ecclesiastico secondo
un tipo che, nell’iconografia cittadina dei due patroni, si alternava a quello in veste
di guerrieri.
Il trittico oggi si presenta ai nostri occhi “musealizzato”: per esso è stato ricreato un
nuovo contesto, un po’ come accadeva nelle case dei collezionisti che raccoglievano
nei lapidarium i frammenti antichi delle più differenti provenienze.
Nell’esplorazione artistica giungiamo nella sezione dedicata al gusto più classico
tra pilastri, colonne capitelli, fregi e mensole. Osserviamo finissimi fregi esterni
della Brescia dell’ultimo Quattrocento, ad opera degli scultori e mastri tagliapietre
comacini impegnati nella decorazione del Palazzo della Loggia e del Monte Vecchio
di Pietà. Il fregio marmoreo è testimonianza di un gusto cesellato di botteghe che
operarono anche alla Certosa di Pavia ed alla Cappella Colleoni di Bergamo, e ciò
spiegava che la città attribuiva un grande rilievo all’opera decorativa, e partecipava
direttamente alla spesa.
151 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 11 La “Storia all’aperto”
progetto 11 La “Storia all’aperto”
Un pezzo che ci ha molto interessato è un
frammento di fregio. Si tratta di un putto fra
elementi vegetali, che si è scoperto pezzo mancante
al fregio della Loggia. Ci ha altrettanto incuriositi
un basamento triangolare, adorno di sfingi che
dovrebbe sempre provenire da piazza della Loggia,
dove reggeva il pennone.
Murare i frammenti antichi o le lapidi costituiva
un sistema utile alla conservazione, si tentava
in questo modo di impedire la dispersione di
oggetti storici di particolare valore e significato.
Certo è che bisogna imparare a vedere l’oggetto esposto, per quanto bello
esteticamente e curioso, e ricercarne quanta vita e quanta storia esso esprima.
Questo ha richiesto molta pazienza ed attenzione da parte degli studenti, che
non si sono accontentati di guardare i reperti esposti nei chiostri o nelle chiese
con l’atteggiamento di chi visita il museo, ma hanno maturato le proprie
sensazioni grazie all’indispensabile apporto dell’apparato didattico offerto dai
testi, dalle cartine e dai disegni ricostruttivi. Oltre a vedere, è stato bene anche
leggere la documentazione esposta e allestita nel museo, poiché molti sono i
reperti artistici contenuti in questo tempio d’archeologia.
Le case-museo dei collezionisti possono presentare aspetti simili al museo vero
e proprio, alcuni punti degli spazi vissuti dai loro proprietari assomigliano a
dei piccoli Lapidarium privati e la ricerca di evocazione da parte di personaggi
come Ugo Da Como e Gabriele d’Annunzio ha prodotto scenografie particolari
che ricordano ambienti monastici o addirittura il raccoglimento dei chiostri.
Analizziamo ora alcune iscrizioni del chiostro orientale al piano terra che
contiene monumenti sepolcrali, come in un piccolo Pantheon del nostro
Rinascimento.
fornisce dati di rilevante interesse ma limitatamente ad aspetti particolari della vita
e della storia di Brescia e del suo territorio.
Le iscrizioni sulle lapidi nel Museo di Santa Giulia
Iscrizioni sono tutti i testi iscritti – per lo più incisi ma anche scritti a penna e
inchiostro – sopra oggetti e materiali durevoli come la pietra e il bronzo e, in
misura minore, la ceramica.
L’epigrafia studia sia la forma che il contenuto delle iscrizioni.
Generi particolari di iscrizioni sono quelle incise su monete , oggetto della
numismatica, e quelle incise su gemmi e sigilli, oggetto rispettivamente della glittica
e della sfragistica.
I documenti epigrafici su pietra e bronzo erano destinati a documentare fatti e
circostanze limitati e localmente circoscritti.
Le iscrizioni di Brescia e del suo territorio
Il patrimonio epigrafico bresciano di età romana ammonta a circa 1300 iscrizioni,
molte delle quali sono di rilevante interesse storico e documentario. Fra le città
dell’Italia settentrionale soltanto Aquileia ne possiede un numero più elevato.
Le più antiche iscrizioni bresciane non sono anteriori alla metà del I secolo a.C.
A partire dal tempo di Augusto (il cui principato va dal 27 a.C. al 14 d.C., all’anno
della morte), la crescente importanza della vita cittadina bresciana e il ruolo
svolto da Brescia in campo economico e politico, nell’Italia settentrionale e anche
all’estero, determinarono un sensibile incremento della produzione epigrafica.
La vicinanza delle cave di pietra di Botticino, facilmente raggiungibili, favorì la
nascita di numerose officine lapidarie che garantivano prodotti di buona qualità e
prezzi contenuti.
Ciò consentì a ceti abitualmente assenti dall’epigrafia funeraria di comparire invece
in quella bresciana.
Il periodo al quale risale il maggior numero di testimonianze epigrafiche è il II-III
secolo d.C. e coincide con la partecipazione ufficiale di cittadini bresciani alla vita
dell’impero attraverso incarichi di prestigio.
Il contenuto delle iscrizioni
Il contenuto delle iscrizioni bresciane non si discosta da quello delle iscrizioni di
altri importanti centri della Gallia Cisalpina e, in generale, dell’Italia romana in età
imperiale.
L’elevato numero di iscrizioni e la vivacità della vita cittadina, in tutte le sue
componenti, documentano un quadro ampio e articolato della società bresciana in
diversi momenti della sua storia.
Il contenute delle iscrizioni è vario: numerose dediche onorarie agli imperatori e ai
loro familiari (soprattutto di Augusto), e a cittadini bresciani illustri che ricoprirono
cariche municipali o statali; altre iscrizioni, di contenuto religioso, attestano culti
prestati a divinità romane e culti rivolti a divinità di origine celtica. Le iscrizioni
funerarie ricordano militari di vario grado accanto a persone comuni.
Altre iscrizioni furono incise per onorare in vita e in morte cittadini molti influenti
della colonia che avevano difeso davanti all’imperatore gli interessi di intere
comunità o delle associazioni di persone che esercitavano la stessa professione o
mestiere (collegia).
Le iscrizioni funerarie
La sezione epigrafica del Museo è costituita quasi esclusivamente da iscrizioni latine
rinvenute in città e nel territorio circostante.
Gran parte delle iscrizioni di Brescia e del territorio è conservata all’interno del
Capitolium, che fu adibito a museo lapidario verso la fine del secolo XIX. Altre
iscrizioni si trovano inserite nelle facciate dei palazzi del Monte Vecchio di Pietà, del
Monte Nuovo delle Carceri, in piazza della Loggia. Questi palazzi costituirono il
primo lapidario della città.
Altre iscrizioni ancora sono rimaste nel luogo dove vennero rinvenute.
Il contenuto dei testi incisi, riferibile nella maggior parte dei casi a sepolture,
Le iscrizioni funerarie, incise su lastre e monumenti che segnalavano il luogo della
sepoltura, sono le testimonianze epigrafiche più numerose, a Brescia come nel resto
del mondo romano. Esse contengono spesso notizie importanti sulle professioni, le
caratteristiche sociali, gli usi, i costumi e le vicende umane delle persone comuni.
Nelle iscrizioni funerarie sono elencati i destinatari del monumento sepolcrale,
talvolta numerosi; sono ricordati i legami familiari dei defunti, le qualità morali,
spesso la professione o il mestiere esercitati, la durata della vita e la condizione
giuridica (servitù e vincoli di patronato).
I cittadini romani si distinguevano dagli altri attraverso l’onomastica personale:
per lo più essi portavano, nell’ordine, prenome (praenomen), nome (nomen),
152 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
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progetto 11 La “Storia all’aperto”
progetto 11 La “Storia all’aperto”
indicazione del patronimico (nome del padre), ascrizione a una delle tribù
“territoriali” nelle quali venivano inseriti tutti i cittadini romani, e cognome
(cognomen). La tribù dei cittadini di Brixia era la Fabia.
I Lucilii sono diffusi nella Gallia
Cisalpina, poco a Brescia.
Le dimensioni dell’area sepolcrale, assai
ridotta, sono m 1,48 x 2,37.
L(ucius) Terentius (Gaiae) l(ibertus)
Amphio, | Terentia (Gaiae) l(iberta)
Rustica,
La società bresciana attraverso le iscrizioni
Numerose iscrizioni, soprattutto funerarie, appartengono a liberti, cioè servi
resi cittadini romani a tutti gli effetti in seguito alla concessione della libertà
(manumissio) da parte del loro padrone che ne diventava “patrono”.
Altri iscrizioni documentano episodi di “promozione sociale”. Ad esempio,
liberti arricchiti, in alcuni casi curando gli interessi economici del loro patrono,
raggiunsero un livello sociale elevato.
Il primo gradino di questa ascesa era rappresentato dal sevirato Augustale, una
carica di natura religiosa; il collegio dei sexviri Augustales si occupava infatti del
culto dell’imperatore e della sua famiglia.
Sono documentati anche i casi di individui ancora privi di cittadinanza romana
ma già inseriti economicamente nel tessuto cittadino, o di altri che, già dotati
della cittadinanza romana, conservano traccia evidente della loro origine nei nomi
indigeni.
Particolarmente importanti sono i documenti epigrafici che riguardano famiglie
bresciane in vista, spesso legate alla famiglia imperiale e i cui esponenti ricevettero
importanti incarichi pubblici a Roma, come quelle dei Nonii e Nonii Arrii,
Calventii, Domitii, Iuventii, Nummii, Postumii, Roscii, Vibii.
Esempi di iscrizioni funerarie
Q(uinto) Caecilo | Telesphor(o), (sex) | vir(o) Flaviali | Cremon(ae) et munerar(io), |
Calventia | Corneliana | marito optimo et | sibi.
Calvenzia Corneliana (fece erigere questo monumento funebre) per Quinto Cecilio
Telesforo, seviro Flaviale a Cremona e produttore di spettacoli pubblici, eccellente
marito, e per se stessa.
I seviri Flaviali costituivano un collegio
sacerdotale distinto dai seviri Augustali e si
dedicavano al culto degli imperatori Flavi.
Lucilia L(uci) f(ilia) Polla | sibi et M(arco) Murrio
| Murri f(ilio) Saturioni, | t(estamento) f(ieri)
i(ussit). | In fr(onte) p(edes quinque), | in agr(um)
p(edes octo).
Lucilia Polla, figlia di Lucio, dispose per
testamento che (questo sepolcro) fosse costruito
per sè e per Marco Murrio Saturione, figlio di
Murrio. (Esso è) largo cinque piedi e lungo otto.
La probabile origine libertina di Marco Marrio
Saturione è suggerita dal suo cognome,
Saturione.
154 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Lucio Terenzio Anfione, liberto di Gaia,
(e) Terenzia Rustica, liberta di Gaia.
Due liberti, probabilmente coniugi,
affrancati entrambi dalla stessa domina,
Gaia Terenzia. Il prenome Lucio assunto
dal liberto sarebbe quello del padre di Gaia: all’epigrafia brasciana è noto un Lucio
Terenzio Varrone.
Marioni | Esdricci f(ilio), | et Vesgasae | Bittionis fil(iae),
| et Arruntio | Marionis f(ilio), Priscus | Marionis f(ilius),
parentibus et fratri.
Per Marione, figlio di Esdricco, e per Vesgasa, figlia di
Bittione, e per Arrunzio, figlio di Marione, Prisco, figlio di
Marione, (fece costruire questo monument funerario) per i
suoi genitori e per suo fratello.
Testimonianza di pietà filiale e fraterna, l’iscrizione
documenta ampiamente la romanizzazione dei costumi
funerari di elemnti indigeni ancora privi della cittadinanza
romana, i nomi dei quali sono in prevalenza celtici.
Accentua il constrasto la fattura elegante del monumento e
dei caratteri.
Le terrecotte
Brescia è stata definita città della pietra bianca e grigia.
Petrosità che fonda persino un luogo comune circa il
carattere dei bresciani e l’impronta stessa che hanno dato
alla città, di forte capacità di produrre cose solide e solidali, così differenziata
dalle altre città padane di calde argille come Cremona, Mantova o Pavia. Ma in
questo territorio ricco di pietra e di marmo, caratterizzato da una luce soffusa
e fosforescente, quasi lunare, non sono mancate commistioni di terrecotte, nei
mattoni e nei fregi che probabilmente venivano proprio da Cremona e creavano
esterni solari e addensamenti. Di notevole impatto sono alcune opere esposte,
documento del gusto per la decorazione nelle dimore signorili. Mascheroni di forte
carica espressionistica in terracotta o marmo e altri pezzi accompagnano il congedo
dalle vie della città. Tante cose diverse erano murate insieme a dimostrazione del
gusto geniale dei personaggi che vivevano in ambienti ricercati per poter esibire la
loro collezione.
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progetto 11 La “Storia all’aperto”
progetto 11 La “Storia all’aperto”
Santa Elisabetta d’Ungheria
conforta i malati
Santa Elisabetta d’Ungheria conforta i malati
è una scultura a bassorilievo in terracotta
(83x37x5 cm) attribuita al Maestro degli
angeli cantori, databile alla metà del XV
secolo e conservata nel Museo di Santa Giulia
di Brescia.
Storia Non sono noti documenti
d’archivio in grado di attestare né le vicende
all’origine dell’opera, né la collocazione
originale. La terracotta pervenne al museo
nella tardo Ottocento, allo stesso modo di
altre innumerevoli opere rastrellate in quel
periodo in tutto il territorio bresciano, molto
spesso da edifici religiosi chiusi al culto e
in stato di abbandono, oppure in via di
demolizione.
Descrizione La terracotta raffigura, in
posizione centrale, una santa riccamente
vestita rivolta amorevolmente verso un
gruppo di persone sedute o sdraiate ai suoi
piedi, rappresentati in atteggiamento dolente mentre mostrano le proprie piaghe
sulle gambe e sul corpo. Proprio per l’eleganza dell’abito e dell’acconciatura,
assieme all’atteggiamento pietoso verso il gruppo di appestati ai suoi piedi, la santa
è identificabile con Elisabetta d’Ungheria, anche se nessun attributo iconografico
concorre a confermare o smentire l’ipotesi. La scena è incorniciata ai lati da due
colonne tortili che reggono un frontone a tripla cuspide, di marcato gusto gotico,
completato da numerose ghiere e due pinnacoli vegetali alle estremità. Dietro la
santa si dispiega un ventaglio di raggi.
Stile Dato lo stile complessivo e la grande naturalezza con la quale è reso il
gruppo di appestati alla base, la terracotta è riferibile alla produzione del Maestro
degli angeli cantori, di probabile provenienza cremonese attivo a Brescia alla
metà del Quattrocento con una bottega di stucchi e terrecotte. Nella figura della
santa colpisce in particolare l’esuberanza decorativa dell’abito che, nelle sue linee
e nei decori, è fedele alla moda del periodo. Nell’opera si trovano inoltre saggi del
virtuosismo tecnico che effettivamente caratterizza il Maestro degli angeli cantori,
riscontrabili ad esempio nella scollatura della santa ornata di perle, ottenute
mediante l’applicazione di piccole sfere d’argilla leggermente premute.
Sulla terracotta sono rilevabili tracce di preparazione per la policromia, segno che,
in origine, essa presentava un rivestimento cromatico.
Descrizione La terracotta entra a far parte delle collezioni
pubbliche durante l’Ottocento e trova sistemazione definitiva solo
dopo l’apertura del museo di Santa Giulia nel 1998, esposta nel
settore “L’età veneta”.
La terracotta raffigura Gesù in posizione frontale, vestito con
una tunica ornata da fregi e motivi vegetali. Il busto non sembra
essere troncato nella parte inferiore, anche se è privo delle mani,
segno che già in origine si trattava solamente di un busto e faceva
probabilmente parte di un qualche apparato decorativo.
Un frammento di aureola sporge sulla destra del capo, ulteriore
accenno all’originale conformazione dell’opera.
Stile La naturalezza espressiva, molto spontanea, che
caratterizza la figura di Gesù, assieme alla lavorazione della
capigliatura e della veste, permettono di attribuire la terracotta
al Maestro degli angeli cantori, ipotizzato maestro di probabile
provenienza cremonese attivo a Brescia alla metà del Quattrocento con una bottega
di stucchi e terrecotte.
La tradizione bresciana della conservazione delle lapidi
Busto di Gesù Cristo
Il busto di Gesù Cristo è una scultura in terracotta attribuita al Maestro degli angeli
cantori, databile alla metà del XV secolo e conservata nel museo di Santa Giulia di
Brescia, nel settore “L’età veneta”.
Storia L’assenza di qualunque riferimento specifico e il soggetto generico non
sono in grado di fornire dati precisi circa la provenienza e la collocazione originale
dell’opera, che rimangono pertanto ignote.
Il Lapidario di Piazza Loggia a Brescia
Si deve ad un provvedimento del Consiglio della città, datato 13 ottobre
1480, sotto l’amministrazione veneta, l’aspetto attuale degli edifici che
occupano il lato meridionale di piazza della Loggia. Mentre in molti luoghi
d’Italia le rovine monumentali dell’Impero romano venivano riutilizzate
dimenticando ogni loro originaria funzione monumentale e decorativa,
a Brescia una geniale idea senza precedenti conserva e tramanda alcune
memorie della città, e crea la prima esposizione non privata di materiale
lapideo, epigrafico ed architettonico locale. Con tale provvedimento veniva
dato avvio alla tutela delle antiche vestigia della città (ogni cittadino che
avesse venduto o manomesso una lapide era punito con una multa di due
ducati) e nello stesso tempo veniva creato il primo museo pubblico di cui si
abbia notizia in Europa.
Nelle facciate delle Carceri (1489-1491), del Monte Vecchio di Pietà (14891491), e del Monte Nuovo di Pietà (1599-1601), furono infatti inserite a
vista nella tessitura muraria numerose lapidi decorate e iscritte che erano
venute in luce durante la costruzione del fondaco del sale, posto nella parte
sud di Piazza della Loggia, allora chiamata Piazza Grande. Nel prospetto
architettonico in pietra di Botticino, delimitato alle estremità da due lesene
angolari, sono murate 23 pietre di età romana, prevalentemente epigrafi, e
5 lapidi del XV secolo, contemporanee cioè alle costruzioni, aventi come
soggetto la fedeltà di Brescia a Venezia che, nello stile lapidario, imitano le
epigrafi romane.
Ad eccezione di un’iscrizione, inserita nel registro superiore del Monte Vecchio
di Pietà a ricordo dei Rettori veneti e dei deputati bresciani che diedero inizio
alla costruzione di questi edifici, tutte le epigrafi sono state inserite nel registro
inferiore delle facciate, per facilitarne la vista e la lettura, e sembrano essere state
attentamente selezionate; sono infatti assenti iscrizioni sacre e, a parte 5 sepolcrali,
sono tutte dediche poste in onore di cittadini.
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progetto 11 La “Storia all’aperto”
progetto 11 La “Storia all’aperto”
Questo recupero delle antiche iscrizioni della città, che fecero di Piazza della Loggia
il nuovo Foro di Brescia, dovette essere seguito da colti eruditi del tempo che,
non solo stabilirono la disposizione di queste pietre, ma posero anche le iscrizioni
ad imitazione di quelle di età romana, creando un rapporto di continuità e di
emulazione con il passato di Brixia.
Il Vittoriale, una casa-museo senza tempo
Facciata del Monte Vecchio di Pietà
Undici epigrafi sono di età romana e la loro disposizione
lascia intendere uno studio curato del punto di
inserimento nella muratura della facciata. Tre sono
decorate a rilievo ma prive di testo; la prima all’estrema
sinistra e a ridosso della lesena dell’Arco del Salarolo,
presenta un fregio d’armi, con a rilievo scudo, corazza
loricata, elmo con paragnatidi, schinieri e lance; le altre
– con teste di bue e ghirlande con frutti, foglie e fiori
– probabilmente sono parti di monumenti funerari.
Le epigrafi con iscrizione sono prevalentemente dediche, di cui una a Postumia
Paulla. Interessante è una dedica a Lucio Antonio Quadrato, soldato della XX
Legione, probabilmente di stanza a Brixia, che aveva ottenuto dall’imperatore
Tiberio, dopo essersi distinto in Germania, le onorificenze militari dei torques e
delle armillae, raffigurate a rilievo al di sotto della scritta. L’epigrafe più significativa
di questa facciata è sicuramente quella posta al di sopra dell’arco centrale della
facciata, proveniente pare da Erbusco, lunga oltre 5
metri; in essa, databile alla seconda metà del 44 a. C., è
riportato come soggetto, nell’iscrizione mutila IVLIVS
CAESAR PONTIF(ex), il giovane Ottaviano, futuro
Augusto, che aveva all’epoca solamente 19 anni.
Altre due iscrizioni quattrocentesche ricordano la
fedeltà di Brescia alla Repubblica Veneta in occasione
dell’assedio della città ad opera del Piccinino, quando
i santi patroni Faustino e Giovita apparvero sugli
spalti a fermare le palle nemiche, e la paragonarono
dottamente a quella dimostrata dagli abitanti di
Sagunto, in Spagna, verso Roma durante la seconda
Guerra Punica (218-201 a. C.).
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Nell’atto di donazione, stipulato da d’Annunzio il 22 dicembre 1923 e poi
perfezionato nel 1930, il poeta dichiara e illustra i suoi intenti, sigillati nel motto
araldico inciso sul frontone all’ingresso del Vittoriale, tra due cornucopie: Io ho quel
che ho donato. Questo atto recita:
“Io donai allo stato le case e le terre da me possedute nel comune di Gardone sul Garda
[…] così anche donai tutte le mie suppellettili interamente, senza eccettuarne veruna:
e non soltanto quelle già collocate nelle mie case ma pur quelle che di anno in anno io
vado scegliendo e disponendo e catalogando […] Io vivo e lavoro, e faccio musica, nella
solitudine del Vittoriale donato; e dedico alle mie mura l’assiduo amore che mi lega alle
pagine de’ miei nuovi libri […] Non soltanto ogni mia casa da me arredata […] non
soltanto ogni stanza da me studiosamente composta, ma ogni oggetto da me scelto e
raccolto nelle diverse età della mia vita fu sempre per me un modo di espressione, fu sempre
per me di rivelazione spirituale, come un de’ miei poemi, come un de’ miei drammi, come
un qualunque mio atto politico e militare, come una qualunque mia testimonianza di diritta
e invitta fede. Per ciò m’ardisco io d’offrire al popolo italiano tutto quel che mi rimane, e
tutto quel che da oggi io sia per acquistare e per aumentare col mio rinnovato lavoro: non
pingue retaggio di ricchezza inerte ma nudo retaggio di immortale spirito […] io son venuto
a chiudere la mia tristezza e il mio silenzio in questa vecchia casa colonica, non tanto per
umiliarmi quanto per porre a più difficile prova la mia virtù di creazione e trasfigurazione.
Tutto infatti è qui da me creato o trasfigurato. Tutto qui mostra le impronte del mio stile,
nel senso che io voglio dare allo stile. Il mio amore d’Italia, il mio culto delle memorie, la
mia aspirazione all’eroismo, il mio presentimento della Patria futura si manifestano qui
in ogni ricerca di linea, in ogni accordo o disaccordo di colori. Non qui risànguinano le
reliquie della nostra guerra? E non qui parlano o cantano le pietre superstiti delle città
gloriose? Ogni rottame aspro è qui incastonato come una gemma rara. La grande prova
tragica della nave ‘Puglia’ è posta in onore e in luce sul poggio […] E qui non a impolverarsi
ma a vivere son collocati i miei libri di studio, in così grande numero e di tanto pregio
che superano forse ogni altra biblioteca di ricercatore e di ritrovatore solitario. Tutto è qui
dunque una forma della mia mente, un aspetto della mia anima, una prova del mio fervore.
Come la morte darà la mia salma all’Italia amata così mi sia concesso preservare il meglio
della mia vita in questa offerta all’Italia amata. Ma da poco la mia salma ha già la sua arca
sul colle denominato Mastio […] Anche da poco ho fondato il Teatro aperto, e ordinato
le scuole, le botteghe, le officine a rimembrare e rinnovellare le tradizioni italiane delle arti
minori. Batto il ferro, soffio il vetro, incido le pietre dure, stampo i legni con un torchietto
[…], colorisco le stoffe, intaglio l’osso e il bosso, interpreto i ricettari di Caterina Sforza
sottilizzo i profumi”.
Dal punto di vista stilistico questo testo è un’ opera importante, perché d’Annunzio
da testimonianza della musicalità delle parole. Attraverso queste frasi si capisce che
quella non era una semplice casa, ma un luogo in cui il poeta cerca di ambientare il
proprio pensiero.
“Io ho quel che ho donato”
Parte da questa celebre frase del poeta Gabriele d’Annunzio il nostro viaggio
all’interno della sua dimora, che è piena espressione dell’identità italiana. Con
questa famosa affermazione d’Annunzio intende sottolineare che la sua abitazione
è abitazione della patria, nonché di tutti gli italiani, infatti ogni singolo elemento
che compone le facciate ed i giardini del Vittoriale richiama la sua identità italiana,
ed è proprio questo che il poeta abruzzese e grande combattente vuole dimostrare,
arricchendo ciò che è stata la sua dimora sul lago di Garda, con stemmi, epigrafi,
elementi marmorei e terrecotte.
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progetto 11 La “Storia all’aperto”
progetto 11 La “Storia all’aperto”
Il Vittoriale chiamato così per la vittoria dell’Italia nella prima Guerra Mondiale,
è oggi riconosciuto come museo aperto a tutti, tuttavia si tratta di una realtà
museale abbastanza singolare nella provincia di Brescia. Il Vittoriale degli Italiani
è la testimonianza di un personaggio di grande importanza anche a livello
internazionale. Gabriele D’Annunzio ha una dignità di letterato, ed è considerato
uno dei massimi artisti europei che operano tra l’800 e il 900. Questo bellissimo
luogo sul Lago di Garda è la prima testimonianza dell’italianità, importante già
nell’800, perché si considerava il Garda come il primo accesso verso l’Italia, una delle
mete più amate anche dal Grand Tour. Nella cultura letteraria il Lago di Garda era
un luogo assolutamente cardine che non passò inosservato tra gli artisti e letterati.
Molti personaggi illustri e importanti volevano avere la dimora nei pressi del
Vittoriale.
Originariamente sul territorio in cui è stato costruito il Vittoriale era situata una
casa di modeste dimensioni simile a quelle di campagna, in cui risiedeva il professor
Heinrich Thode, docente di Storia dell’arte all’Università di Heidelberg, autore di
molte monografie sui protagonisti della cultura e studioso del rinascimento italiano
– da Francesco d’Assisi a Michelangelo, Giotto, Mantegna, Tintoretto, Correggio –
fu il primo dei grandi intellettuali tedeschi a considerare Gardone Riviera il “paese
dell’anima”.
In seguito fu costretto, a causa della prima Guerra Mondiale, ad affidare la piccola
casa di Cargnacco ai custodi. Tutto ciò avvenne perché l’Italia era in dissidio
con la Germania e quindi lo Stato italiano obbligò tutti i cittadini stranieri ad
andarsene. Thode riversa molti pensieri sulla sua casa, perché fu la prima dimora
per il suo soggiorno estivo; era totalmente arredata con un’importantissima
biblioteca di storia dell’arte. Gabriele d’Annunzio aveva avuto un ruolo primario
nella politica e nelle questioni militari. Il poeta si ritira dalla prima linea di uomo
pubblico a causa degli eventi bellici e ciò lo porta alla ricerca di una nuova casa.
La casa di Heinrich Thode, ormai abbandonata, era pronta per essere abitata
perché già completamente arredata e curatissima. D’Annunzio viene subito rapito
dalla bellezza dell’ambiente, e se ne innamora anche per la presenza sul lago di
un grandissimo letterato, il poeta Catullo. La scelta cade dunque sulla villa di
Cargnacco, sulla costa del lago di Garda: immersa nel verde, su un colle terrazzato,
tra un uliveto e una limonaia.
In questo periodo si afferma la mania del collezionismo e matura un gusto per
l’ambientazione delle collezioni che dilagano in ogni ambiente delle dimore alto
borghesi, alcune volte vere e proprie case-museo. La dimora diventa per gli artisti e
letterati il luogo in cui potersi esibire, manifestando la propria importanza sociale ed
economica.
Entrati nel Vittoriale ci accorgiamo di essere immersi nella sua “cittadella
monumentale” che ci racconta passo dopo passo ciò che il suo ideatore voleva
trasmettere. In maniera similare a quello che accade per la Casa del Podestà a Lonato
del Garda, anche a Gardone le pareti dell’edificio sono caratterizzate da una serie
di frammenti fatti murare dai proprietari. Qui e là la funzione è la medesima: il
frammento è chiamato a contaminare, con la sua aura d’antichità gli spazi vissuti
dai collezionisti. Gabriele d’Annunzio introduce nella sua dimora numerosi oggetti
con una valenza simbolica molto più esplicita: non solo gli stemmi di città italiane o
di antichi casati nobiliari, ma numerosissimi sono i riferimenti alla Storia dell’Italia
che egli visse da autentico protagonista, soprattutto in occasione dei fatti della prima
Guerra mondiale. All’ingresso del Vittoriale, nella Piazzetta Dalmata, incontriamo
il Pilo del Piave e proseguendo il Pilo del Dare in Brocca, che rappresenta
simbolicamente la Vittoria , l’espressione significa colpire nel segno. Questo simbolo
viene riproposto sulle vetrate policrome di quello che oggi è l’Auditorium.
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Al linguaggio poetico si aggiunge quello dei cimeli, idoli, santi e madonne.
Il Vittoriale degli Italiani può essere assimilato ad un vero e proprio santuario
che ripercorre i passi più importanti dell’affermazione della nostra nazione su
piano europeo nel XX secolo. Sono varie le “pietre vive” all’interno di questo
luogo così importante, che ci fanno ripercorrere i passi della nostra storia,
questi frammenti sono posti ovunque, dall’entrata ai piloni che troviamo nelle
piazzette, passando per i giardini e in modo imponente
sulle facciate della casa, la Prioria.
La facciata della casa è formata da frammenti murati. Si
tratta soprattutto di stemmi i quali si riferiscono ad una
famiglia nobiliare oppure a una città italiana. D’Annunzio
non trova nel Vittoriale questi oggetti, ma li acquista sul
mercato d’antiquariato. Molti stemmi delle città, non li
acquista ma gli vengono donati. Lo Stemma ovale, per
esempio, che è sopra la finestra con il balcone, venne
modificato e personalizzato dallo stesso d’Annunzio.
Le diverse coloriture bianche o grigie, testimoniano le
dissimili tipologie di marmo che vengono utilizzate.
Potevano essere o in pietra serena o in pietra di Sarnico.
Sul lato destro dell’ingresso è stato inserito un bellissimo
tabernacolo in marmo, proveniente dall’antica dimora
dell’esperto d’arte e collezionista tedesco Alexander
Günther, che risiedeva a Fasano nell’attuale Villa Paradiso.
L’accademico Günther, era alle dipendenze della casa
reale di Monaco di Baviera, ed aveva allestito in riva al
lago un museo all’aperto, un lapidario, con busti, sculture
romane, pietre antiche, frammenti e un sarcofago,
attualmente esposto al Museo di Santa Giulia. Vengono
così applicati al muro oltre agli stemmi gentilizi, lapidi
e molti altri frammenti. Ora, la cosa interessante è che
d’Annunzio spiega a Giancarlo Maroni perché vuole
quella varietà di decori sulla facciata.
“Bisogna lasciare la misera facciata così com’è, ma tempestarla di
pietre senza ordine simmetrico”
Desiderava, infatti, che la casa fosse simile al Palazzo
del Podestà di Arezzo, sede del potere non solo in Toscana ma anche in Italia
Settentrionale. Erano gli stemmi di ogni famiglia dei podestà. Ogni podestà
governando una determinata località, apponeva all’esterno il proprio nome
attraverso lo stemma, quindi d’Annunzio vuole esibire, attraverso a questa serie di
stemmi, un ideale legame con una storia presunta e con un’antichità che desidera
rendere attuale a tutti i costi, anche ingaggiando un numero impressionante di
antiquari e fornitori in tutta Italia.
Nella parte del giardino situata a destra della “Prioria” troviamo “L’Arengario”,
completamente costruito dallo stesso d’Annunzio, composto da fusti di colonne con
capitelli, forma un assemblaggio molto particolare creato dal nulla associato a grandi
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ogive, ovvero proiettili che stanno al disopra delle colonne, che simboleggiano la
prima guerra mondiale.
Procedendo, sul lato destro della casa si intravede il Cortiletto degli Schiavoni,
l’antico cortile della casa colonica, anch’esso decorato da vari reperti: tre pozzi
antichi, lapidi, stemmi, ferri battuti.
In una parte di questo complesso museale c’è un portico,
chiamato “Portico del Parente” nei pressi “dell’Arengario”.
D’Annunzio lo chiama in questo modo perché vedeva
una parentela d’arte con il personaggio ricordato in questa
loggia: Michelangelo, creatore di alcune sculture riportate
all’interno di questo portico, a cui d’Annunzio si sente
legato e il cui busto (realizzato dallo scultore Martinuzzi) è
lì a perenne memoria..
Questo portico, progettato come sostegno fisico ad una
stanza della casa (la” stanza del Lebbroso”), ornato di belle
volte affrescate e soffitti dipinti (l’autore è Marussig), si
affaccia sul giardino e sulle Vallette.
La loggia possiede forme tonde sulle pareti, simili ad un
chiostro ed evidenza la presenza di una serie di frammenti
murati in cui, d’Annunzio, inserisce stemmi e sculture.
All’interno viene riportato ancora il motivo del fusto
legato al capitello, e un’altra cosa importante sono le
vere da pozzo, ovvero una pietra antica decorativa che
serviva a raccogliere l’acqua, ma in questo caso il pozzo
è posizionato per estetica. Oltre al lavabo monastico rinascimentale, sono esposti
calchi di varie sculture.
Una curiosità. D’Annunzio si considerava un esperto artista-artigiano; si divertiva a
dipingere velluti e sete e a realizzare piccoli oggetti.
Inviando un anello alla signora Toeplitz scrive: “Forse voi sapete che io sono artiere
di tutte le arti; e che nel Vittoriale “io lavoro il vetro, il ferro, le lane, le sete, l’avorio,
l’oro, le gemme”. Mastro Paragon Coppella orafo osa offrirvi un anello di scarso valore
ma grandissimo nella protezione contro ogni male”.
Aveva anche la mania di “invecchiare” i famosi calchi
creando la patinatura antica “con molti segreti, ma
specialmente col caffè”. Questo portico ospitava le sontuose
cene estive con gli amici o i legionari.
Un grande tavolo, sedie, tappeti, lampade di Murano;
tovaglie di lino ricamate, piatti e calici preziosi, posate e
suppellettili d’argento. E poi, i cibi raffinati preparati da
“Suor Intingola”, come scherzosamente chiamava la fedele
cuoca Albina.
Volgendo lo sguardo sulla destra troviamo la statua di
San Francesco d’Assisi che rappresenta l’amore sacro, in
contrapposizione alla Venere, simbolo dell’amore profano.
Questa bella e grande statua in bronzo, opera dell’artista
Giacinto Bardetti, rende ancora più sacro e mistico questo
giardino, che recentemente ha anche ricevuto l’importante
riconoscimento come “Parco più Bello d’Italia 2012”. È
infatti una creazione poetica tra architettura e paesaggio.
Sulla facciata della casa, in basso a sinistra, è possibile
osservare un richiamo ulteriore al frate francescano
costituito da alcuni versi del Cantico delle Creature, inno
di ringraziamento a Dio per la bellezza e l’utilità delle sue
creature. Sopra questi versi si trova un bassorilievo bronzeo
raffigurante San Francesco che presenta la regola al Papa
e la morte del Santo. Sopra il bassorilievo troviamo il
motto del Santo, “Pax et bonum” e “Malum et pax”, che
indica la perfetta letizia nel bene e nel male, e poco sopra
c’è una finestra protetta da una griglia in ferro, elaborata
sull’immagine della corda che cingeva la vita dei frati, tutto
ciò accentua l’atmosfera sacra di questa dimora-monastero
[Fig. 5]. La stessa lavorazione è ripresentata anche su un
cancello sul retro dell’edificio.
Nella Piazzetta Dalmata interessante è la fontana derivante
dall’antico frantoio, adornata da iscrizioni che si riferiscono
alla prima guerra Mondiale. Molte iscrizioni arricchiscono
la casa del poeta e anche l’esterno, infatti una di queste è
presente sulla tomba della figlia Renata, tratta da alcuni
versi del “Notturno”, nella quale viene paragonata a una
Sirenetta. Su un muro tra la tomba di Renata e le serre
abbiamo ammirato una bella decorazione in maiolica
raffigurante 15 rondini dal colore blu tra grappoli d’uva
color oro e tralci blu.
Gli esterni della residenza di d’Annunzio sono straripanti
di oggetti piccoli e grandi, preziosi o meno, ma sempre
molto caratteristici, in marmo, bronzo, legno, ceramica o
terracotta, metalli più o meno nobili, vetro o altri materiali,
immersi in un’atmosfera magica e irripetibile, di una casamuseo senza tempo, dal grande fascino e di valore inestimabile.
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Arrivando alla Casa del Podestà
L’interesse per l’antico e la salvaguardia delle memorie archeologiche hanno avuto un
inizio precoce a Brescia. Il Comune provvide nel 1480 a decretare l’inalienabilità dei
reperti archeologici rinvenuti nel proprio territorio, disponendone la loro custodia
nelle pubbliche fabbriche. Questa disposizione diede vita all’ordinamento del primo
vero e proprio museo lapidario in Italia e che trovò una disposizione sui prospetti del
Monte di Pieta nell’odierna Piazza Loggia.
In età rinascimentale e umanistica gli oggetti antichi non venivano portati nei
Musei, perché a quel tempo erano i collezionisti a interessarsi d’arte e i primi musei
vengono fondati grazie alle loro donazioni, ma solo dalla fine del XVIII secolo. Per
frammenti s’intendono oggetti di svariata natura: epigrafi (lapidi iscritte), capitelli,
fusti di colonne e pezzi di scultura. Quest’ ultimo reperto può essere inserito in
qualsiasi contesto domestico, mentre l’epigrafe può essere tranquillamente murata
all’esterno di un edificio. I luoghi che raccoglievano questi frammenti si chiamavano
lapidari (da lapide), e in essi venivano ammassati gli oggetti rinvenuti sotto
terra. Questi lapidari costituiscono una prima forma di museo all’aperto, perché
solitamente si trovavano nei giardini, nei cortili o in situazioni visibili. Soprattutto
nel Settecento, secolo del neo-classicismo, si costruisce in stile e si dà vita alle
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collezioni che diventeranno musei. I musei iniziati in questo periodo confermeranno
la loro identità con l’Unità d’Italia.
Per quanto riguarda il nostro progetto, il periodo storico che ci interessa
maggiormente è quello ottocentesco e novecentesco.
Abbiamo prestato particolare attenzione alla presenza di frammenti antichi
museificati o collezionati, tanto al Museo di Santa Giulia, quanto nella Casa-Museo
di Ugo Da Como che al Vittoriale.
La volontà di istituire un museo pubblico a Brescia comincia a manifestarsi
programmaticamente nella seconda metà del XIX secolo. Il Comune diede incarico
all’architetto Antonio Tagliaferri (Brescia 1835-1909) di voler approntare un
progetto valutando gli spazi della Chiesa di Santa Giulia riscattata dal Comune dal
demanio che l’aveva ridotta a caserma, dopo la soppressione del convento della fine
del Settecento.
In quel periodo molti monasteri e enti religiosi vennero chiusi e smantellati, destinati
ad un utilizzo ritenuto di maggiore utilità sociale, tolti alla proprietà della Chiesa e
confiscati dal Governo.
La dismissione di numerose chiese, conventi e monasteri implicò la vendita di interi
arredi liturgici e d’uso quotidiano, molti edifici cambiarono destinazione, ridotti a
caserme, ospedali, trasformati anche dal punto di vista architettonico.
I materiali di spoglio (non solo arredi,
ma anche frammenti architettonici
come colonne, lapidi, capitelli, ecc.)
approdarono sul mercato antiquario,
mentre i manufatti giudicati di
maggior pregio vennero preservati dalle
municipalità e di lì a poco avrebbero
costituito il patrimonio dei futuri musei
civici.
Di questa situazione beneficiarono
anche i collezionisti privati che diedero
vita nel XIX secolo alla tipologia delle
“case-museo”, dimore impreziosite da
importanti arredi: arredi e collezioni
venivano così a coincidere.
La Casa fa parte oggi di un complesso
monumentale di straordinaria bellezza,
dominato dalla grandiosa Rocca visconteoveneta. Questo insieme di edifici, porzione
dell’antica “cittadella” lonatese appartiene
a una Fondazione privata che Ugo Da
Como volle istituire alla sua morte e che fu
riconosciuta nel 1942.
Le tre bifore archiacute poste sulla facciata
d’ingresso sono un evidente richiamo
dell’architettura quattrocentesca che ispirò
l’intervento “in stile” voluto da Ugo Da
Como.
La casa-museo di Ugo Da Como: facciata esterna ed elementi di composizione
La casa-museo di Ugo Da Como è collocata all’interno della quattrocentesca Casa
del Podestà veneto che ebbe sede a Lonato dal XV al XVIII secolo. Ugo Da Como
acquistò l’edificio nel 1906 ad un’asta pubblica e chiamò proprio lo stesso Antonio
Tagliaferri ad occuparsi del restauro della sua futura dimora.
L’architettura richiama evidentemente il XV secolo e l’architetto Tagliaferri, oltre
che disporre un radicale intervento finalizzato alla messa in sicurezza dell’edificio, si
occupò pure delle decorazioni non solo pittoriche, ma anche arricchite da un serie
numerosa di frammenti murati, sia in pietra che in terracotta.
Al di sopra del portone d’ingresso alla Casa del Podestà campeggia lo stemma di
Lonato affiancato dall’iscrizione latina:
Ferream aetatem excipit amicitia et quies “Amicizia e quiete confortano il duro vivere”.
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La vita del Senatore Ugo Da Como
Nato a Brescia nel 1869 si laureò a Roma
in giurisprudenza. Fu fedele allievo e
continuatore di Giuseppe Zanardelli nella
corrente liberale democratica.
Dopo essere stato deputato per Lonato e più volte Sottosegretario al Tesoro, fu
nominato Senatore nel 1920.
Dalla metà degli anni Venti si allontanò gradualmente dalla vita politica attiva e i
soggiorni alla Casa di Lonato si fecero sempre più frequenti. Non solo si dedicò con
rinnovato entusiasmo al collezionismo e alla raccolta di libri, ma condusse una serie
di importanti indagini storiche volte al recupero di capitoli dimenticati di storia
bresciana, soprattutto napoleonica e risorgimentale.
Quando morì, a Lonato nel 1941, dispose l’istituzione di un ente autonomo, avente
come fine la promozione e il sostegno della cultura. Per questo scopo destinò alla
Casa del Podestà la straordinaria raccolta libraria costituita con grande attenzione: la
biblioteca che lasciò a Lonato è una delle collezioni private più importanti dell’Italia
settentrionale e conta oltre 30.000 titoli, databili a partire dal XII secolo.
La particolare considerazione delle classi sociali più basse lo portò alla creazione
di una biblioteca “popolare” intitolata al padre Giuseppe Da Como, pensata per
incentivare la cultura nei ceti meno abbienti.
Ugo Da Como, consapevole dell’importanza storica del luogo, fece completamente
“restaurare” la Casa del Podestà dal maggiore architetto bresciano: Antonio
Tagliaferri (1835-1909).
L’intento del committente era quello di restituire l’antica dignità all’edificio veneto
corredandolo di una serie di arredi adeguati che ne facessero una Casa-museo da
abitare, secondo una moda molto diffusa tra ‘800 e ‘900.
Le Terrecotte
Molti sono i frammenti posti sugli edifici e musei da noi visitati. Anche sulla facciata
esterna della casa di Ugo Da Como sono presenti molti elementi di terracotta
che servivano ad abbellire l’edificio. Questi frammenti sono stati posti da Ugo Da
Como dopo l’acquisto della dimora; la casa doveva essere restaurata ma allo stesso
tempo doveva mantenere uno stile uno stile classico, il miglior modo per mantenere
questo aspetto è stato apporre sulle facciate esterne elementi in terracotta, in pietra e
marmo. La terracotta era molto utilizzata, perché di facile reperibilità nella pianura
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padana, infatti veniva prodotta e lavorata in grandi quantità
a Cremona. Le botteghe artigiane di plasticatori cremonesi
fornivano anche importanti fabbriche della vicina Brescia.
La terracotta poteva esser colorata in modo da poter apparire
addirittura marmo che era più pregiato e più costoso. Le
facciate della casa di Ugo Da Como sono decorate da un gran
numero di elementi in terracotta, colorati o meno. Questi
elementi decorativi sono posizionati sulla facciata esterna del
giardino da cui si può vedere l’intera cittadina di Lonato, la
campagna e le colline verso il Lago di Garda.
Sulle pareti esterne dell’edificio possiamo già notare la presenza
di bassorilievi in terracotta.
Oltre a semplici tondi, simili a dei cammei,
vediamo a Lonato anche numerose “patere”,
ovvero manufatti in pietra di forma circolare
con una chiara funzione apotropaica, ovvero
capaci di tenere lontano il male e proteggere
l’edificio sulle cui pareti trovavano posto;
in genere raffigurano animali e sono di
provenienza veneziana.
Le terrecotte nelle case-museo venivano collezionate come oggetti
d’arte e sposavano anche esigenze prettamente decorative. In
molti casi la comprensione di alcuni frammenti è resa possibile
solo comprendendone la loro caratteristica di serialità. Numerose formelle che
vediamo nella casa-museo di Ugo Da Como erano, originariamente, parti di
serie modulari: l’una accanto all’altra generavano fregi e particolari incorniciature
come fasce marcapiano, cornici elaborate, profili di portali e finestre. La terracotta
veniva impiegata per la sua economicità e spesso gli artigiani, per mezzo di sapiente
coloritura, riuscivano a simulare la parvenza della pietra, del marmo e delle sue
particolari venature colorate.
Inoltre nel ‘400-‘500 l’area padana e Cremona erano zone dove vi era minore
presenza di marmo.
La terracotta, inoltre, è un materiale che si modella più facilmente rispetto al
materiale marmoreo. Veniva plasmata da artigiani detti plasticatori che producevano
decorazioni utilizzando uno stampo in legno, per dare la forma.
Purtroppo, però, la terracotta è molto più
deteriorabile e delicata se esposta agli agenti
atmosferici. Alcune terrecotte murate sulle
pareti della Casa del Podestà presentano
fenomeni di sfaldamento. La formella
cinquecentesca raffigurante la Madonna con
il Bambino e angeli venne poi riparata negli
ambienti interni della casa.
Importanti fregi e decorazioni erano il risultato
di molti elementi modulari posti uno accanto
all’altro; non era possibile cuocere nel forno
formelle di grandi dimensioni perché l’alta
temperatura prevista per la cottura avrebbe
causato la rottura di questa sorta di piastrelle che
avevano appunto la caratteristica delle modularità.
Anche sulla parete esterna della Biblioteca di
Ugo Da Como vediamo molti frammenti in
terracotta murati. Non solo vediamo elementi
autonomi, che riproducono soggetti facilmente
comprensibili come la bella Pietà, ma anche i
peducci che contornato il profilo del sottotetto
della Biblioteca sono in cotto e provengono con
grande probabilità da edifici ora non più esistenti.
Queste decorazioni seriali erano modulari, ovvero
se prese in considerazione come unità singola non
avevano senso.
Un altro esempio è rappresentato da una votiva
con una madonna e due angeli policroma.
I collezionisti si procuravano queste terrecotte
comprandole sul mercato antiquario, che le
recuperava dalla distruzione degli edifici, quando questi erano considerati inutili.
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Nelle case-museo anche i frammenti in terracotta, oltre che
in pietra e marmo, venivano collocati sulle pareti esterne
per attribuire all’edificio un’aurea più convincente di
autenticità.
Il leone di San Marco, stemma della
Repubblica di Venezia è un normale
cimelio ricorrente in entrambe le
dimore, perché sorgono in luoghi
che hanno fatto parte del dominio della città veneta. Come
già accennato, i due leoni vogliono esprimere due differenti
concetti: il piccolo leone, è incastonato sulla facciata della
casa di Ugo Da Como che da sulla cittadina di Lonato. Il suo
significato è quello di rendere meno evidente, come già detto,
il restauro dell’abitazione avvenuto nel momento dell’acquisto
di Ugo Da Como; si deve ricordare che l’abitazione era
originariamente la sede del podestà veneto, Ugo Da Como ha
quindi scelto il leone di San Marco come elemento decorativo
della sua dimora per ricordare il passato veneto dell’edificio.
Inoltre, va ricordato che egli fu un grandissimo raccoglitore di antichità, così come
lo era Gabriele d’Annunzio. Anche a Gardone, sulle pareti della Prioria vediamo
riferimenti a San Marco evangelista patrono della Repubblica marinara di Venezia,
numerosi stemmi per impreziosire la facciata della casa del Poeta, che da sulla
piazzetta principale all’interno della cittadella. Questo leone così imponente, non
racconta la storia dell’edificio, ma parte della storia italiana, specialmente di questi
luoghi appartenuti alla Repubblica di Venezia, inoltre il leone è simbolo di giustizia
e di forza, due elementi che caratterizzano l’Italia ed il suo popolo nel corso delle sua
storia.
Bibliografia
G.P. Treccani, La ragione della tutela, la pratica del restauro, in Brescia e il suo territorio, Milano 1996.
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Oggetti preziosi non solo sulle rive del Garda
Al grande patrimonio naturale del Lago di Garda e della zona di Brescia, si affianca
la ricchezza storica e culturale, esaltata dalla presenza di alcune tra le più importanti
raccolte d’arte italiane.
Tre raccolte importanti, realizzate da personaggi molto diversi fra loro, fanno
della provincia bresciana un importante punto di riferimento per la cultura: la
grande quantità di oggetti da loro collezionata racchiude, infatti, peculiarità che
rispecchiano le loro complesse personalità.
Gabriele d’Annunzio conservava opere d’arte e cimeli bellici in un insieme a prima
vista incomprensibile, ma dotato di un’intensità che non ha eguali; molto più
semplice, ma non meno ricca, è la collezione del bibliofilo Ugo Da Como, per finire
poi con le armonie del mondo classico ricordato nell’insieme di reperti archeologici
custoditi dal Cardinale Querini. Queste tre importanti collezioni servono da
veicolo per una riscoperta più profonda del territorio che ruota intorno al grosso
bacino turistico rappresentato dal Lago di Garda, ampliando la ricerca al territorio
circostante, stimolando l’escursionista e il turista a scoprire la cultura, gli usi e
costumi, l’artigianato e il patrimonio naturale delle zone interessate.
Il Vittoriale si colloca proprio al centro di una delle zone più belle del Garda, gode
infatti di una posizione di grande pregio ai piedi delle rive lacustri.
La collezione di Ugo Da Como ha sede a Lonato, ammirabile per la sua rocca
viscontea che ci riporta indietro nel tempo, mentre la raccolta del Cardinale Querini
si trova proprio a Brescia, nel complesso museale di Santa Giulia.
Tre collezioni, tre luoghi diversi con attrazioni differenti tra di loro che spaziano dalla
natura, con escursioni e passeggiate, alla visita cittadina: tutte buone occasioni per
recarsi nella provincia di Brescia, connubio d’eccezione tra natura e arte.
Lunghe passeggiate, trekking, a cavallo e a piedi, tour in mountain bike senza
dimenticare le mille opportunità di sport acquatici che offre il lago.
Il percorso descritto ci conduce sui passi di collezionisti meticolosi, a volte eccentrici,
e aiuta sicuramente il nostro spirito a distrarsi dal quotidiano per accogliere in tutta
libertà il vento che spira dal lago.
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1° giorno: il Vittoriale e Lonato
Ore 9: Visita al Vittoriale: gli studenti fanno da guida e propongono una lettura di d’Annunzio, i caratteri del
suo collezionismo e presentano quanto hanno approfondito (opzione 1: l’identità italiana con il percorso
eroico esterno più il museo dei cimeli di guerra; opzione 2: percorso esterno di arte sacra contemporanea).
Le guide del Vittoriale completeranno poi il percorso di visita.
Ore 12.30: pranzo a base di prodotti tipici.
Ore 15: visita ad una limonaia riadattata (o ad un frantoio o ad altro esempio di cultura materiale);
spostamento a Lonato e presentazione di Ugo Da Como e del percorso specificamente approfondito sulla
biblioteca (le miniature) e visita della Casa del Podestà con spiegazione del restauro e delle raccolte.
2° giorno: Brescia
Ore 9: al Museo di Santa Giulia; presentazione del ruolo e della storia del cardinale A.M. Querini;
presentazione del percorso specificamente approfondito sulla raccolta di antichità romane del Querini e
della raccolta romana del museo; visita al museo con le guide del medesimo. Eventualmente visita libera di
una mostra temporanea (la “grande mostra” aperta nel periodo).
Ore 12.30: pranzo
Ore 15: visita al Tempio Capitolino, piazzetta Labus e altri siti romani; visita al Castello, al Duomo Vecchio, al
Duomo Nuovo e alla Biblioteca Queriniana.
3° giorno: possibili estensioni
Prevedendo un giorno in più è possibile inserire:
Sirmione, Desenzano, il museo dell’Alto Garda; aspetti di archeologia industriale (Campione o Brescia).
Sirmione, Desenzano, le colline moreniche e la Torre-museo di San Martino della Battaglia (oppure Valeggio
sul Mincio).
Fuori zona: le torbiere di Iseo e il forno fusorio di Tavernole sul Mella.
Riches not only on the shores of Lake Garda
The great natural heritage of Lake Garda and the area of ​​Brescia is accompanied by
the rich history and culture highlighted by the presence of some of the most
important collections of Italian art.
Three important collections, made by very different characters are in the province
of Brescia an important point of reference for culture: the large amount of objects
they collected, contains in fact features that reflect their complex personalities. A
personality certainly influenced by the beautiful lake air that you can breathe
on Lake Garda.
Gabriele d’Annunzio kept artwork and explosive remnants of war in a setting which
at first sight was not comprehensible, but with an intensity that is unsurpassed.
Much simpler, but not less rich, is the collection of the bibliophile Ugo Da Como
and you finish with the harmonies of the classical world as a whole reminded of
the archaeological collection kept by Cardinal Querini. These three important
collections serve as a vehicle for a deeper discovery of the territory that surrounds the
large tourist area represented by lake Garda, extending the search to the surrounding
area, encouraging hikers and tourists to discover the culture, customs
and traditions , crafts and natural heritage of the areas concerned.
The Vittoriale is placed right in the centre of one of the most beautiful areas of Lake
Garda, in fact it enjoys a position of great value on the shore of the lake.
The collection of Ugo Da Como is located in Lonato, admirable for its fortress that
takes us back in time, while the collection of Cardinal Querini is located in Brescia,
in the museum complex of Santa Giulia.
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Wertsachen nicht nur an den Ufern des Gardasees
Der große Naturerbe des Gardasees und dem Gebiet von Brescia wird durch die
reiche Geschichte und Kultur begleitet, und durch die Anwesenheit von einigen der
bedeutendsten Sammlungen der italienischen Kunst hervorgehoben.
Three collections, three different places with different attractions ranging from
nature, hiking and walking, to the visit of the town: all good places to visit in the
province of Brescia, an exceptional blend between nature and art.
Long walks, hiking, horseback riding, mountain bike tours, not to mention the
myriad of water sports are offered around the lake.
This route leads us to follow in the steps of meticulous collectors, sometimes
eccentric, and it definitely helps our spirit to get rid of our daily burdens in order to
breathe the healthy air of the lake.
1st Day: The Vittoriale and Lonato
9.00 am: Visit the Vittoriale: students act as guides and propose a reading of d’Annunzio’s work, the
characters of his collections and present what they have studied (1st option: Italian identity with the external
path and the heroic outdoor museum of war relics; 2nd option: external path of contemporary sacred art).
The guides of the Vittoriale then complete the tour.
12.30: Lunch tasting local products.
15.00 pm: Visit to a lemon garden (or a mill or another example of material culture); moving to Lonato and
presentation of Ugo Da Como, presentation of the route specifically his famous library (thumbnails) and visit
the House of the “Podestà” explanation of the restoration and collections.
Drei wichtige Sammlungen wurden von sehr unterschiedlichen Persönlichkeiten
erstellt, und sie sind heutzutage in der Provinz Brescia ein wichtiger Bezugspunkt
für die Kultur: die große Menge von Objekten, die sie gesammelt haben,
enthält in der Tat, Besonderheiten, die ihre komplexen Charaktere reflektieren.
Persönlichkeiten, die sicherlich von den schönen Seeluft beeinflusst wurden, die
sie am Gardasee atmen konnten. Gabriele d‘Annunzio bewahrte Kunstwerke und
Kampfmittelrückstände zusammen, die auf den ersten Blick unverständlich sind,
aber sie scheinen eine unübertroffene Intensität zu haben. Viel einfacher, aber
nicht weniger reich ist die Sammlung des Bibliophilen Ugo Da Como, und man
endet mit den Harmonien der klassischen Welt als Ganzes erinnert durch die
archäologischen Sammlungen von Kardinal Querini statt. Diese drei bedeutenden
Sammlungen dienen als Vehikel für eine tiefere Entdeckung des Gebietes, das um
den großen touristischen Bereich des Gardasees dreht. Damit werden die Wanderer
und Touristen, die auf die Entdeckung der Umgebung sind, gefördert, die Kultur,
Sitten und Traditionen, Handwerk und natürliche Erbe der betreffenden Gebiete
zu entdecken. Der Vittoriale befindet sich mitten in einer der schönsten Gegenden
des Gardasees, und genießt in der Tat eine Lage von großem Wert auch nicht weit
von der Seeufer. Die Sammlung von Ugo Da Como liegt in Lonato, neben der
bewundernswerten Festung, die uns in alten Zeiten zurückschickt. Während die
Sammlung des Kardinals Querini befindet sich in Brescia, im Museum Komplex
von Santa Giulia.
Drei Sammlungen, drei verschiedene Orten mit verschiedenen Attraktionen,
verschieden in der Natur, in den Wanderungen und Spaziergängen, und auch
bei dem Besuch der Stadt. All das ist eine gute Gelegenheit in der Provinz Brescia
2nd Day: Brescia
9.00 am: the Museum of Santa Giulia presentation of the role and history of cardinal A.M. Querini,
presentation of the route specifically the collection of Roman antiquities of Querini and the Roman collection
of the museum. Visit of the museum with the museum guides. If necessary, free visit to a temporary
exhibition (the “exhibition” open in the period).
12.30: Lunch
15.00 pm: Visit to the Capitoline Temple, Labus square and other Roman sites, visit of the castle, the old
cathedral, the new Duomo and the Queriniana Library
3rd Day: Possible extensions
Providing one more day you can visit:
Sirmione, Desenzano, the Museum of Upper Garda; aspects of industrial archeology (Campione del Garda or
Brescia).
Sirmione, Desenzano, the Morainic hills and the Tower-museum of San Martino della Battaglia (or Valeggio
sul Mincio).
Outside area: the peat bogs of Iseo and the Furnace of the Tavernole sul Mella.
170 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
171 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 11 La “Storia all’aperto”
zu fahren, und eine außergewöhnliche Mischung zwischen Natur und Kunst zu
erleben.
Lange Spaziergänge, Wandern, Reiten, Mountainbike-Touren, und am See werden
auch eine Vielzahl von Wassersportmöglichkeiten angeboten.
Die Route, die uns zu den Schritten der akribischen Sammler führt, die manchmal
exzentrisch waren, hilft uns auch schließlich unser Geist der täglichen Belastung
loszuwerden, und den liebevollen gesunden Wind
das zu erleben.
Chi e dove Classi coinvolte Docenti referenti
Liceo Scientifico Enrico Fermi – Salò
Quinta D Liceo linguistico – Quinta F Scienze sociali
Cristina Di Spigno e Laura Truzzi
1. Tag: Der Vittoriale und Lonato
9.00 Uhr: Besuchen Sie den Vittoriale: Studenten helfen als Führer und lesen ein Gedicht von
d‘Annunzio, erklären die Charaktere seiner Sammlungen und stellen vor, was sie schon gelernt haben
(Option 1: italienische Identität mit dem äußeren Pfad und dem heroischen Freilichtmuseum mit den
Kriegserinnerungen, Option 2: externe Pfad mit der zeitgenössischen sakralen Kunst). Die Führungen des
Vittoriale beenden dann die Besichtigung.
12.30 Uhr: Mittagessen mit lokalen Produkten.
15.00 Uhr: Besichtigung einer renovierte Zitronenanbau (oder eine Mühle oder ein weiteres Beispiel der
materiellen Kultur); Fahrt nach Lonato und Vorstellung des Senators Ugo Da Como, Darstellung der Route
spezifisch über die Gründung der Bibliothek (Miniaturen) und Besichtigung des Hauses des Podestà mit
Erklärung der Restaurierungen und Sammlungen.
progetto 12
L’arte come affermazione di sé
2. Tag : Brescia
9.00 Uhr: Das Museum von Santa Giulia. Darstellung der Rolle und Geschichte des Kardinals Angelo Maria
Querini. Vorstellung der Besichtigung spezifisch über die Sammlung römischer Altertümer Querini und
römischen Sammlung des Museums. Besichtigung des Museums mit den Führungen. Falls erforderlich,
kostenlosen Besuch einer temporären Ausstellung (die „Ausstellung“ in der Zeit eröffnet ).
12.30 Uhr: Mittagessen
15.00 Uhr: Besuch der Kapitolinischen Tempel, Labus Platz und andere römische Resten. Besichtigung des
Schlosses, der alten Kathedrale, des neuen Doms und der Queriniana Bibliothek.
3. Tag: mögliche Erweiterungen
Wenn man über einen anderen Tag verfügt, können Sie diese schönen Gegenden besichtigen:
Sirmione, Desenzano, das Museum des Oberen Garda. Aspekte der industriellen Archäologie (Campione del
Garda oder Brescia).
Sirmione, Desenzano, die Moränenhügel und das Turmuseum von San Martino della Battaglia (oder Valeggio
sul Mincio).
Außenbereich: die Torfmoore von Iseo und der Gießereiofen in Tavernole am Mella.
172 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Fin dall’antichità l’arte si è presentata come uno strumento di affermazione
dell’individuo. L’uomo, da sempre assillato dall’eterna ansia dell’incombente morte,
ha visto nell’arte lo strumento per eccellenza in cui trasfondere il proprio io e
consegnarlo alla memoria imperitura del tempo a venire.
Ci si potrebbe chiedere il perché di un lavoro sulle iscrizioni, e in particolare il
motivo della scelta di accomunare tre realtà profondamente diverse quali sono la
Fondazione Ugo Da Como, il Museo di Santa Giulia e il Vittoriale degli Italiani.
Nonostante le differenze (notevoli, e che non vogliono in questo lavoro essere
negate), permane un elemento di unità e di continuità. Tutte e tre questi edifici, o
meglio le opere in essi e su di essi contenute, rappresentano un eterno monumento
(dal latino monere, ricordare) ai singoli individui celebrati.
È veramente morto colui il cui nome, letto e riletto sulle epigrafi presenti in Santa
Giulia, viene pronunciato ancora dopo secoli dalla sua scomparsa? È meno viva la
casa di Ugo Da Como, nonostante la sua assenza? Ha forse smesso D’Annunzio di
dettare poesia e ideali di vita attraverso il Vittoriale?
Le architetture, ma in particolare le epigrafi e le iscrizioni, diventano quindi un
mezzo per raggiungere l’immortalità. Una celebrazione di sé, delle propria gesta,
della propria ideologia, ma soprattutto della propria stessa esistenza ed identità. La
presenza di un’iscrizione recante il proprio nome o un motto tipico e rappresentativo
corrispondono alla semplice, pura e potentissima affermazione “io sono”. Non “io
sono stato”, non “io sarò”: io sono, in un eterno presente di sospensione del divenire.
173 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
progetto 12 L’arte come affermazione di sé
progetto 12 L’arte come affermazione di sé
La “casa parlante” di Ugo Da Como
veneziana – o ancora, il frammento di una stele romana, originariamente di
dimensioni piuttosto elevate.
All’interno della dimora, posizionate sugli architravi delle porte e alla base della scala
che conduce al piano superiore, si possono trovare numerose epigrafi, alcune delle
quali originali, altre restaurate. Interessante è l’epigrafe situata sul caminetto “Virtuti
et labori” .
Per concludere, la parete esterna della biblioteca presenta due lastre tombali,
recuperate da un edificio sacro dismesso di Lonato, adducenti i nomi dei defunti che
vogliono ricordare.
La vita
Ugo Da Como, figura di spicco del primo ‘900, nasce nel marzo del 1869 a Brescia, dove compie i primi
studi. Si laurea poi in Legge a Roma. Inizia la carriera politica nella città natale, dove è sostenitore del
Consolato Operaio e Assessore del Comune. In Parlamento è membro di varie commissioni, segretario della
Camera dei Deputati e collabora come sottosegretario ai Governi Salandra e Boselli. Nel 1920 ottiene la
nomina di Senatore del Regno. Nel giugno del 1924 Benito Mussolini gli offre il Ministero per l’Economia
Nazionale, incarico che rifiuta poiché è in disaccordo con l’ideologia del regime. Da Como è stato anche un
grande intellettuale, attivo soprattutto nel territorio bresciano. Muore nel 1941.
La casa del Podestà
Nel 1906 acquista ad un’asta pubblica la ex-dimora podestarile di Lonato, che in
un primo tempo utilizza solo come residenza estiva, per poi trasferirvisi nel 1925
allontanandosi così definitivamente dalla scena politica. All’architetto bresciano
Antonio Tagliaferri viene affidato il compito di restaurarla per restituirle l’antica
dignità.
Lo sviluppo dei lavori segue sì la moda del tempo di arricchire gli interni con
motti parietali, ma nel caso di Ugo Da Como non si può intendere come puro
conformismo. Infatti le frasi che fece dipingere non sono mere decorazioni a fine
estetico, e neppure occasioni di vanto per la sua – sconfinata – cultura. Al contrario,
i motti scelti dal senatore esprimono idee e concetti profondamente sentiti,
interiorizzati, personalizzati e meditati; testimone di ciò è il fatto che numerose
frasi, desunte da differenti e vari testi classici, non vengono riportate nella loro esatta
forma originale, ma siano – se pur leggermente – modificate. Per questo motivo,
attraverso tali frasi possiamo meglio comprendere i suoi pensieri e la sua concezione
della vita, e viceversa. Le frasi acquistano dunque un’ulteriore forza: esse diventano
le verità personali del senatore stesso, le sue regole morali; le pareti della casa del
Podestà diventano così la concretizzazione esteriore e materiale di ciò che era già
consolidato interiormente. Facendo ciò, Ugo Da Como non solo eterna le proprie
credenze – realizzando materialmente i suoi ideali di vita –, e le proprie passioni ma
anche il proprio modus vivendi, lasciando ai posteri i propri ideali e il proprio “io”.
Epigrafi
Con il termine “epigrafe” si vuole intendere un testo
di natura commemorativa, enunciativa o designativa
destinato alla pubblica visione, rappresentato solitamente
su un supporto di marmo. Le epigrafi erano molto
utilizzate nella civiltà classica per affrontare temi di varia
natura.
La grande portata del lavoro di recupero antiquale che
svolse Da Como, si rende manifesta già nel muro posto
accanto al cancello, all’entrata. Nel lavoro di restauro che
interessò l’intera dimora, egli richiese di poter inserire
frammenti di epigrafi all’interno dei muri della stessa così
da assicurarne la sopravvivenza, consegnandola ai posteri
in una collocazione sicura e duratura. Inoltre, in questo modo, dava possibilità
alla casa di raccontare la propria storia. Si può osservare per esempio una targa con
l’altorilievo di un leone di San Marco – a ricordare il periodo della dominazione
174 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
Iscrizioni
“Libris satiari neqveo” - Non so saziarmi di libri
Codesta frase è tratta dell’epistola di Petrarca destinata al parente Giovanni
dell’Incisa, priore del convento di San Marco a Firenze. Nella lettera egli domanda
di procurargli alcuni libri, dei quali sente un
profondo bisogno; Petrarca infatti afferma che
la sua insaziabile passione per i libri è una vera
e propria malattia. Tale frase, breve e concisa,
ben rende l’idea dell’incessante bisogno e della
sfrenata e illimitata passione per gli scritti; del
resto l’amore per la conoscenza non può mai
essere del tutto soddisfatto. Il verbo “saziare”,
solitamente riferito al cibo, è in questo contesto
legato ai libri, esprimendo così con forza la primaria e vitale necessità della lettura e
del sapere che diventano “cibo” indispensabile per vivere. La frase allo stesso tempo
giustifica e trova la sua giustificazione nella presenza degli innumerevoli volumi
contenuti sia nella Sala Cerutti – stanza nella quale si trova questa citazione – sia
nella casa – dove vi sono contenuti oltre 30.000 tomi.
“Recte facti fecisse merces est” - La ricompensa di una buona azione consiste
nell’averla compiuta
Il motto, scritto su una delle pareti della camera da letto di Da Como, è tratto
da un’epistola di Seneca a Lucilio, nella quale spiega che il benefattore non teme
l’ingratitudine poiché ha per ricompensa il fatto stesso di averla compiuta. La frase,
particolarmente cara a Da Como – che decise di
terminare il proprio testamento con essa – ben
definisce la sua personalità. In un discorso del
1926 all’Ateneo di Brescia, il senatore afferma
che il solo aver raccolto opere d’arte e volumi, e il
pensar di giovare così alle generazioni successive,
riesce a ricompensarlo delle ore spese nella sua ricerca.
“Amicitia quies ferrea aetatem excipit amicitia et quies” - Amicizia e quiete
confortano il duro vivere
L’iscrizione, posta al di sopra del portale dell’ingresso principale, è la prima dei tredici
aforismi che Ugo Da Como fece realizzare sulle pareti della sua “casa parlante”. Il
motto, probabilmente coniato dallo stesso senatore, è esempio della funzione che
questa dimora assumeva per Da Como: la residenza era per il senatore un luogo di
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progetto 12 L’arte come affermazione di sé
progetto 12 L’arte come affermazione di sé
riposo e di quiete lontano dalla frenetica e impegnativa vita istituzionale. Qui poteva
rifugiarsi, riflettere e dedicarsi allo studio in perfetta sintonia con la concezione
classica della vita che tale motto voleva riassumere. Topos tipico della letteratura
classica è, infatti, l’idea di una vecchiaia da trascorrere nella quiete della propria
dimora dedicandosi all’otium. In tal senso la dimora di Lonato è un luogo in cui
dedicarsi alla ricerca intellettuale, a se stessi e, contemporaneamente, ai fondamentali
legami di amicizia. Per rimarcare l’importanza di questi due soggetti, i due termini
amicitia e quies, avvolti in rami di edera e ulivo – simboli di fermezza di sentimenti e
di pace – vengono riproposti poco più in alto.
Il Vittoriale
“Sic hortum con bibliotheca haber nihil deerit” - Se hai un giardino con una
biblioteca non mancherà mai nulla
Espressione dell’amore e della passione per la letteratura e lo studio è il motto
posto sul lato sinistro del camino nella biblioteca. Tratto da un’epistula di Cicerone,
l’iscrizione si ricollega ai due temi sopracitati della quies e dell’amicitia: il sapiente
trova conforto e la propria realizzazione nel giardino – immagine di quiete, riposo
e riflessione – e nell’appassionato studio. Il preesistente interesse per la cultura del
senatore si consolida, infatti, dopo la scelta di allontanarsi dalla politica attiva pur di
non piegarsi ad idee contrastanti con i propri principi democratici. L’otium letterario
diventa quindi, come per Cicerone durante il governo di Cesare, una consolazione
e un conforto durante l’inattività politica. Proprio in corrispondenza al suo ritiro,
Ugo Da Como iniziò a dedicarsi completamente allo studio, all’arte e al recupero
di epigrafi e resti di monumenti tanto da rendere la dimora una vera e propria
“casa-museo”. La sua indagine intellettuale è continua. Legge, studia e analizza
antichi scritti alla ricerca di insegnamenti morali e di vita, in una costante ricerca di
appagamento mai soddisfatta.
“Hic mortvi vivvnt pandvnt oracula muti” - Qui i morti vivono, muti svelano
oracoli
Possiamo trovare quest’iscrizione sull’altro lato del camino. Questa, a differenza
di altre, non è una citazione di un autore latino, ma il tema che tratta si può in
ogni caso ricondurre a quello classico dell’immortalità delle opere degli scrittori. Il
messaggio è molto chiaro: secondo la concezione di Ugo Da Como, grazie ai loro
scritti, i grandi autori possono vivere in eterno poiché
possiedono linfa sempre attuale che scorre nelle loro
pagine. Coloro che sopravvivono al passare del tempo
sono quei saggi che hanno saputo trasmettere massime
tanto lungimiranti da poter raggiungere il substrato
più profondo dell’essere, comune all’uomo di tutte le
epoche, così da fare vaticini, anche nella morte, a coloro
che sanno riconoscerli. Il fatto che i morti siano “vivi”
e “svelino” oracoli testimonia la possibilità di instaurare
con essi un dialogo continuo ed istruttivo. Questo
lavoro di raccolta nelle biblioteche è fondamentale per poter consegnare ai posteri
le summae di questa ricchezza. Da Como trascorre parte della sua vita a raccogliere
opere classiche perché convinto di trovare in esse verità definitive che aiutassero
l’uomo in ogni momento.
176 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia
La vita
Gabriele D’Annunzio nasce a Pescara il 12 marzo 1863 da famiglia borghese. Già in giovane età si fa
notare come poeta per il suo talento; la sua produzione continua poi copiosa. Allo scoppio della Prima
Guerra Mondiale, nel 1915, torna in Italia dalla Francia. Tiene accesi discorsi interventistici, partecipando
inoltre a varie azioni belliche, durante una delle quali viene ferito ad un occhio che poi perde. Nel 1919, in
aperta polemica con il governo italiano, occupa militarmente Rijeka (Fiume), costituendo una repubblica, la
Reggenza italiana del Carnaro, che viene poi fatta cadere da Giolitti nel 1920. Trascorre i suoi ultimi anni a
Gardone Riviera, sul Lago di Garda, dove muore in solitudine nel 1938 per emorragia.
La casa del vate
Il “Vittoriale degli Italiani” è la cittadella monumentale del poeta-soldato Gabriele
d’Annunzio che sorge sulle colline di Gardone Riviera. Dopo esservi giunto
nel 1921, Gabriele d’Annunzio acquista la Villa di Cargnacco, appartenuta
precedentemente a Henry Thode, un illustre studioso d’arte. L’opera di
ristrutturazione, curata da Giancarlo Maroni, viene portata a termine nel 1938.
Il poeta fa inserire dentro una cerchia di mura un complesso di edifici che
testimoniano quelle che lui definisce le proprie “imprese” e ai quali egli “affida il suo
nome nel tempo”. Dopo essere passati per l’ingresso si giunge alla Prioria, la casa
del Poeta, in cui vi sono raccolti migliaia e migliaia di oggetti artistici, antiche statue
lignee, ceramiche, vetri, argenti, tappeti, librerie, cimeli che ricordano i momenti
eroici della sua vita. All’interno del Vittoriale si trovano anche: il Museo della
Guerra, l’Auditorium, l’aereo SVA 10 del volo su Vienna, la Nave Puglia, il Museo
di Bordo, il Mas 96, il Mausoleo, le auto ( Isotta Fraschini e Fiat Tipo 4) il tutto in
una cornice di parchi e giardini di rilevante significato storico-ambientale.
I motti del vate
“Io ho quel che ho donato”
Tale motto, inciso sul frontone dell’ingresso del Vittoriale, può
essere letto come un’affermazione della storia stessa del Vittoriale
e del proprio ruolo nel renderlo un monumento eterno in onore
dell’Italia, degli Italiani e di se stesso. Infatti, con questa breve frase
D’Annunzio racconta le vicende che lo hanno portato a trasformare
una semplice dimora in una celebrazione dei propri ideali, in quanto
riesce a ottenere i finanziamenti per tale progetto solo donando
l’abitazione allo Stato pur mantenendone l’usufrutto. Di fatto nel
donare il Vittoriale egli ne diviene il vero proprietario, dunque ha ciò
che ha donato.
“Cave canem ac dominum” - Attenti al cane e al padrone
Questo ironico motto, presente all’ingresso della villa, si rivolge ai visitatori e ai
passanti invitandoli a prestare attenzione alla personalità di D’Annunzio. È uno dei
rari casi in cui possiamo avere accesso al lato più autoironico e meno celebrativo
di sé del poeta, che comunque anche in tale affermazione mantiene una base di
autocompiacimento.
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progetto 12 L’arte come affermazione di sé
progetto 12 L’arte come affermazione di sé
“Per non dormire”
Il motto riportato sopra è presente ovunque sia all’interno del Vittoriale, sia fra
le carte di D’Annunzio. Si presenta come una vera e propria necessità del poeta
di rendere eterno e ricordato quello che è un suo ideale di vita. Lo stesso motto
lo stimola nei suoi momenti più creativi; come tale esso rappresenta anche
un’affermazione della propria verve letteraria, particolarmente attiva all’interno della
dimora.
queste rendono grande e unico uno scrittore.
In questo senso, egli afferma implicitamente
anche la propria grandezza; D’Annunzio,
in quanto narratore di storie grandi e
importanti, diventa di conseguenza un
narratore grande e importante.
“Memento audere semper” - Ricordati di osare sempre
L’iscrizione appare sull’edificio del Vittoriale che ospita il MAS 96, il Motoscafo
Armato Silurante (parole per cui sta la sigla MAS, che curiosamente rappresenta
anche le iniziali del motto) che utilizza durante il raid militare designato con il
termine di “Beffa di Buccari”, compiuto nella
notte fra il 10 e l’11 febbraio del 1918.
Il motto sopracitato è forse il più celebre fra i
motti di guerra dannunziani. In effetti, forse
l’intera figura del D’Annunzio interventista
ed estremista nazionalista è riassunta in questo
semplice motto. D’Annunzio, per tutta la sua
vita, si attiene sempre a questo ideale che può
essere letto come il filo conduttore di tutto
il suo agire; l’Osare rappresenta il soggetto
assoluto della sua vita, quasi una sua seconda
natura. In questo senso, D’Annunzio stesso finisce per incarnare “colui che osa”,
colui che per ottenere ciò che vuole è pronto a lanciarsi in quelle che ritiene essere
“grandi imprese”, a prescindere dalla fattibilità di queste. Ricordarsi di osare significa,
in sostanza, agire secondo il suo modo di agire e pensare secondo il suo modo di
pensare. In questo modo si può dire che, in qualche modo, lo spirito dannunziano
continua a rivivere in coloro che raccolgono il suo ideale e vivono secondo esso.
Molto vicino allo spirito di questo motto è la frase “Vivere ardendo e non bruciarsi
mai”. Si tratta della parafrasi di un verso di Gaspara Stampa. Oltre che al Vittoriale,
esso viene adottato da D’Annunzio anche in guerra, in particolare durante il proprio
colpo di stato presso la città di Rijeka, conosciuta in lingua italiana come Fiume. È
forse il verso meglio rappresentativo e più autobiografico del poeta. Nessuno infatti
più di lui è convinto della necessità di osare, sempre e comunque, e vivere ogni
attimo con passione bruciante e agire in conseguenza di questa. Tuttavia, il bruciare
di D’Annunzio è un bruciare consapevole. Infatti, egli non invita semplicemente a
fare qualunque cosa si voglia, ma piuttosto gettarsi in delle imprese anche difficili,
ma non impossibili, in cui si possa avere successo. Dunque ardire, sì, e al limite delle
proprie possibilità, ma non oltre. Resta il fatto che varie volte durante la sua vita
D’Annunzio rasenta il lanciarsi in progetti troppo grandi per lui, ma si può dire che
non viene mai veramente meno al proprio principio per il fatto, principalmente, che
non le ritiene mai tali e che parte sicuro del proprio futuro successo.
“Né più fermo né più fedele”
Questo motto viene fatto incidere sulla
facciata esterna della Prioria, più precisamente all’interno dello “Stemma del
levriero”. L’iscrizione è rivolta a Mussolini con un chiaro intento polemico; infatti
il poeta si sente imprigionato nelle mura del Vittoriale, dove il regime fascista lo ha
incoraggiato a ritirarsi per evitare un troppo forte coinvolgimento nella vita politica.
Il motto esprime la fermezza morale di D’Annunzio nel rispettare i propri principi
di vita, mettendo in evidenza la sua chiara intenzione di non voler venir meno a
questi principi e di non voler rinunciare a un coinvolgimento, seppur indiretto, nella
vita politica del Paese.
I due aggettivi impiegati nel motto indicano due peculiari caratteristiche della
personalità di D’Annunzio, cioè la fermezza e la fedeltà. Allo stesso tempo, egli si
pone come modello di vita per l’intera umanità, che è chiamata a seguire il suo
esempio e restare salda e fedele ai propri principi e ideali di vita.
“Da ruggine sicuro,
ardendo m’innalzo,
pur che altamente,
foco ho meco eterno”
Questi versi sono riportati nel riquadro del soffitto nella Stanza del Lebbroso.
Pochissime parole, ma d’un effetto straordinario che esprimono al massimo grado
la poetica di D’Annunzio. La sua vita e la sua attività è sostenuta da una fonte
inestinguibile e inesauribile che egli porta sempre con sé, vale a dire un “foco
eterno”, un fiume d’energia vitale e impetuoso che scorre nelle vene e anima la sua
esistenza. Questa forza interiore è dinamica, in incessante movimento, quindi viva
e al contempo vivificante. Testimonianza di ciò sono le opere di D’Annunzio, che
tuttora conservano questa eterna scintilla di vita.
“Non nisi grandia canto” – non canto se non le cose grandi
Questo motto è inciso sul gradino del trono di pietra che si trova al centro
dell’Arengo. Attraverso questo D’Annunzio afferma di non cantare mai di piccole
cose, di storie di poco conto. Egli vuole infatti che l’oggetto delle sue poesie siano
le grandi storie, le imprese importanti, i fatti che lasciano un segno, perché solo
“L’ouvrier se cognoist à l’ouvrage” - L’artigiano si riconosce dalla sua opera
Si tratta della citazione di un rondeau di Charles d’Orléans. Con questa frase, scritta
nella lingua che gli era divenuta familiare in seguito al suo soggiorno in Francia,
D’Annunzio esprime un concetto a lui molto caro (anche perché è su questo
principio che si basa tutto il Vittoriale).
Qualsiasi tipo di lavoro, in particolare poi quello che porta alla produzione,
all’opera (opus, appunto, derivazione etimologica da cui proviene lo stesso termine
ouvrage) artistica, presuppone un progetto. Questo può essere considerato come
una proiezione in avanti (dal latino pro, davanti, e getto, gettare, lanciare) dello
stesso artista, che in questo modo infonde all’opera qualcosa di fondamentale:
una parte di se stesso. L’opera conserva dunque in sé parte della personalità e
dell’essenza stessa di chi l’ha creata e in questo senso è espressione di tale persona.
Allo stesso tempo, però, pur essendo fin dall’origine legata al creatore, ne diventa
indipendente, assicurandone la permanenza nel tempo anche successivamente alla
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progetto 12 L’arte come affermazione di sé
progetto 12 L’arte come affermazione di sé
morte di quest’ultimo. Nel tempo a venire, dunque, l’opera sarà l’unica cosa rimasta
dell’artista – o artigiano – che l’ha realizzata, espressione dello stesso (e dunque un
modo attraverso questi si afferma nel presente e nel futuro) e al contempo molto più
longeva.
documentano episodi di liberti arricchiti, i quali, curando gli interessi economici dei
loro patroni, sono riusciti a raggiungere un livello sociale elevato. Particolarmente
importanti sono i documenti epigrafici che riguardano famiglie bresciane di spicco,
spesso legate alla famiglia imperiale, e i cui esponenti hanno ricevuto importanti
incarichi pubblici a Roma.
Altre iscrizioni contengono, invece, dediche onorarie agli imperatori e ai loro
familiari, soprattutto di Augusto, e a cittadini bresciani illustri che ricoprirono
cariche municipali o statali. Molte trattano anche di temi religiosi, che forniscono
importanti informazioni circa i culti rivolti a divinità romane e a divinità di origine
celtica.
È bene ricordare che le iscrizioni lapidarie non sono un insieme di parole freddo e
avulso dalla vita, ma al contrario costituiscono un organismo fortemente permeabile
di ricordi ed immagini che chiunque può cogliere; sono un ricordo vivente ed
indelebile nella mente dell’uomo di ciò che è stato e che, in qualche modo, continua
ad essere attraverso di esse.
“La sirenetta appare sulla soglia
porta un mazzo di rose
è un angelo che si distacca
da una cantoria fiorentina
quando parla il mio cuore si placa”
Questi versi, incisi sulla tomba, sono stati tratti
dall’opera Il Notturno di D’Annunzio, e sono stati
posti sulla lapide della figlia Renata Anguissola,
tomba che si trova all’interno dei giardini del
Vittoriale.
Renata nasce nel 1893 in provincia di Napoli e
muore nel 1976. Il poeta proverà sempre molto
affetto per lei, alla quale è riconoscente per
l’assistenza che ha ricevuto da parte sua durante
la convalescenza, in seguito all’incidente subito
all’occhio destro durante un’azione militare aerea.
La lapide reca un epitaffio, ossia un’iscrizione
funebre il cui scopo è onorare e ricordare il
defunto. Infatti per gli uomini è sempre stato
importante il bisogno di mantenere viva la memoria di care persone scomparse,
attraverso la tomba; anche per D’Annunzio la tomba della figlia assume tale valenza.
Il museo di Santa Giulia
Il museo
Si tratta del principale museo di Brescia. Esso è ospitato all’interno della struttura che accoglieva il
monastero di Santa Giulia (il quale fu fatto costruire dal longobardo Re Desiderio).
Il museo comprende anche la chiesa di Santa Maria in Solario, il coro delle monache e la chiesa di Santa
Giulia.
All’interno di questo si possono ammirare migliaia di oggetti ed opere d’arte, risalenti ad un periodo di
tempo compreso fra l’età del bronzo e l’Ottocento. Particolarmente interessante è la zona dedicata alle
epigrafi e alle iscrizioni tombali.
I destinatari delle epigrafi
Le epigrafi presenti nel complesso museale di Santa Giulia hanno la funzione di
elencare i destinatari di monumenti sepolcrali, ricordando i legami familiari dei
defunti, le loro qualità morali, e spesso contengono notizie importanti circa le
professioni e le caratteristiche sociali, gli usi, i costumi e le vicende umane di persone
comuni.
Numerose iscrizioni funerarie appartengono a liberti, ovvero servi ai quali viene
riconosciuta la cittadinanza romana in seguito alla concessione della libertà
(manumissio) da parte del loro padrone, che ne diventa patrono. Altre iscrizioni
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Le epigrafi: dove e quando
La vicinanza delle cave di pietra di Botticino, il cui bacino estrattivo viene sfruttato
da oltre duemila anni, favorisce la nascita di numerose officine lapidarie che hanno
permesso lo sviluppo di una cospicua tradizione epigrafica garantendo prodotti di
buona qualità a prezzi contenuti. Il periodo al quale risale il maggior numero di
testimonianze di questo tipo è il II-III secolo d.C. e coincide con la partecipazione
ufficiale dei cittadini bresciani alla vita dell’impero attraverso incarichi di prestigio.
Altri ritrovamenti
Oltre alla vasta quantità di iscrizioni e di epigrafi, nel museo sono conservati anche
“I Fasti bresciani”, una raccolta di frammenti di tavole di marmo rinvenute tra il
1823 e il 1937 nell’area compresa fra il capitolium e il teatro, contenenti nomi di
alcuni imperatori che hanno regnato nel periodo storico da Augusto a Caracalla.
Conservazione
Un grande merito è quello delle istituzioni religiose (per esempio le chiese), che
hanno offerto protezione, e del protezionismo privato che hanno garantito la
conservazione, in misura così importante, del patrimonio epigrafico bresciano. Una
gelosa coscienza di tale patrimonio si riscontra, per esempio, in figure come Gabriele
D’Annunzio e Ugo Da Como.
Iscrizioni
Riportiamo ora alcuni esempi di iscrizioni di particolare importanza situate
all’interno del complesso museale di Santa Giulia.
Gallo di Ramperto
Un’iscrizione lapidaria rilevante si trova sulle folte piume della coda del
Gallo di Ramperto, scultura bronzea raffigurante un galletto. L’iscrizione
oggi in parte perduta recita: “dominus Rampertus episcopus brixianus
gallum huin fieri precepit anno d.n yhy xpi r.m octogenesimo vigesimo
indictione nona ann. Transl. Ss. Decimo quarto sui episcopatus vero sexto”.
Il nome del donatore di tale opera è il vescovo di Ramperto di Brescia. I dati
cronologici e la data della messa in opera risalgono al 820 d.C.. Grazie a tale
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progetto 12 L’arte come affermazione di sé
progetto 12 L’arte come affermazione di sé
iscrizione veniamo a conoscenza di un personaggio allora certamente importante
all’interno della storia bresciana.
Il Gallo di Ramperto viene esposto per la prima volta nel complesso museale di
Santa Giulia nel 1999, mentre, inizialmente, è situato sul campanile dei santi
Faustino e Giovita, sempre a Brescia.
grande raffinatezza. Assieme al monumento funebre
di Domenico de Dominici in Duomo Vecchio, del
1478, quest’opera si distacca nettamente dalla cultura
artistica dell’epoca che, fino al decennio precedente, ha
prodotto una scultura figurativa già più monumentale
rispetto al passato, ma ancora improntata verso uno
stile piuttosto austero e rigido.
Nel complesso, le due opere non sembrano presentare
aspetti in comune agli usi allora ricorrenti nella
scultura locale ed è pertanto da escludere l’attribuzione
a maestranze bresciane. Molto più probabile, invece,
che i due monumenti siano pervenuti dall’entroterra
veneto, oppure che siano stati comunque realizzati a
Brescia, ma da scalpellini con precedenti esperienze a
Verona o Vicenza.
Anche in questo caso siamo di fronte a una grande
modernità per l’epoca, dove il rinnovamento della
cultura in senso umanistico trova, a Brescia, le sue
prime applicazioni proprio in questa ristretta serie di
opere d’arte.
È in questo caso non solo la vita di un singolo a trovare nuova vita e ricordo
attraverso l’iscrizione – e in generale, attraverso l’arte – ma un intero periodo storico,
un intero mondo che si manifesta a noi in modo evidente. Per un attimo, il mondo
si ferma, e guardando le iscrizioni si può tornare con l’immaginazione al periodo
in cui sono state realizzate; e con un’attenta analisi, ecco si vedono le maestranze
veronesi o vicentine, la diversa mentalità che permette un nuovo stile... In breve, in
questo caso l’arte ha permesso l’affermazione non di un individuo – o meglio, non
solo – ma di un’intera epoca. Questo è forse il fine dell’arte – e se non lo è, si tratta
comunque di una capacità incredibile che l’uomo non ha mancato di apprezzare e
sfruttare nel corso dei secoli.
Deo Soli
Res publica
Un altro esempio di iscrizione lapidaria si trova in una grande ara marmorea di
reimpiego situata nella chiesa di Santa Maria in Solario, compresa nel museo di
Santa Giulia. L’ara recita tali parole: “Deo Soli/Res Publica”, ovvero la comunità
(dedica) al Dio Sole.
Si tratta di un’iscrizione risalente all’epoca romana, che ci permette di capire quanto
importante sia in questo periodo, il ruolo del Sole all’interno della vita quotidiana e
anche il rapporto positivo e di venerazione nei suoi confronti da parte dei cittadini
bresciani.
ELIVS.C.VR.PR(AETOR).LEG(ATUS)..A
Inserite nei muri di alcune case cittadine del centro
storico bresciano si possono notare pietre antiche di
età romana contenenti iscrizioni latine.
Famoso, a tale proposito, è il lapidario di piazza
Loggia. Per vari secoli è stata abitudine comune
recuperare materiale dai resti romani per riutilizzarlo
in costruzioni edili.
In via dei Musei, sulla fiancata della chiesa di Santa
Maria in Solario è presente una lapide contenente
tredici lettere che formano la seguente frase:
ELIVS.C.V.R.PR(AETOR).LEG(ATUS)…A
È un’epigrafe funebre che fa riferimento ad un certo Elio C., il quale è, in periodo
romano, curule a Brescia. Gli edili curuli sono magistrati patrizi che, fra i vari
compiti (ispezione di edifici, sicurezza cittadina, sovrintendenza a cerimonie
religiose, mercati e approvvigionamenti), organizzano i giochi pubblici. Grazie
soprattutto a quest’ultimo compito, essi si procurano grande popolarità, di cui si
servono poi ai fini della carriera politica.
Lapidi come segno di modernità
Bibliografia
Motti dannunziani, D’Annunzio, Gabriele – a cura di Paola Sorge, Roma: Newton Compton, 1994.
Il Vittoriale per le Scuole, sezione didattica, “Il parco”, Percorso Artistico Architettonico, Scuole Medie e Superiori.
Il Vittoriale per le Scuole, sezione didattica, “Il parco”, Percorso Storico Letterario, Scuole Elementari, medie e Superiori .
Inscriptiones Italiae. Volumen X. Regio X. Fasciculus V. Brixia. Pars I, A.Garzetti, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1984.
Santa Giulia Museo della Città, Brescia. L’età romana. La città. Le iscrizioni, Milano, AA.VV.,Electa 1998.
Sitografia
Per la sitografia si rimanda ai siti ufficiali dei singoli musei.
Nel museo dell’Età Cristiana è presente una lapide realizzata per tumulare le spoglie
di Bartolomeo Lamberti, cittadino bresciano morto nel 1479. Con l’apertura del
museo nel 1998, l’opera trova collocazione stabile nella sezione “L’Età Veneta”.
La lapide, di dimensioni notevoli, è strutturata su tre registri: un basamento, dove
attorno al tondo centrale, in origine recante lo stemma familiare, sono disposti
simboli legati all’iconografia funeraria; un’altra fascia centrale ospitante l’iscrizione
dedicatoria e un coronamento a lunetta raffigurante Gesù deposto nel sepolcro da
due angeli, collocato su un fregio ornato a motivi vegetali. La lapide rappresenta
un’importante testimonianza artistica dell’epoca dovuta alla relativa modernità
espressiva e alla raffinata iscrizione latina che riporta. Inoltre, l’iscrizione dedicatoria,
della quale risulta abraso il titolo nobiliare del Lamberti sulla prima riga, costituisce
un importante esempio di epigrafia di netta ispirazione classicista eseguita con
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