Fondazione Il Vittoriale degli Italiani Gardone Riviera Musei Civici d’Arte Storia e Scienze di Brescia Fondazione Ugo Da Como Lonato Le vie dell’arte Percorsi didattici Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Fondazione Il Vittoriale degli Italiani Gardone Riviera Musei Civici d’Arte Storia e Scienze di Brescia Fondazione Ugo Da Como Lonato Le vie dell’arte Percorsi didattici Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Con il contributo di Rappresentanti Istituzioni museali Giordano Bruno Guerri – Presidente Fondazione Il Vittoriale degli Italiani Elena Lucchesi Ragni – Dirigente Musei Civici di Arte e Storia di Brescia Antonio Benedetto Spada – Direttore Generale Fondazione Ugo Da Como Sommario Progetti didattici Scuole primarie 18 progetto 2 La storia di questi luoghi Scuola primaria Statale T. Olivelli – Salò Coordinatore del progetto “Le vie dell’arte” Giovanna Ciccarelli – Comitato Scientifico Il Vittoriale degli Italiani 21 progetto 3 I vasi da farmacia Dal Museo Santa Giulia al Vittoriale passando per Lonato Scuola primaria Statale T. Olivelli – Salò Responsabili scientifici del progetto Stefano Lusardi e Roberta Valbusa – Fondazione Ugo Da Como 25 progetto 4 Sacro e profano Ovvero San Girolamo (Gerolamo) nelle collezioni bresciane Scuola primaria Statale T. Olivelli – Salò Coordinatore tecnico Franca Peluchetti – Didattica museale Il Vittoriale degli Italiani 31 progetto 5 Ora museo! Ma prima …?! Scuola Primaria A.Lozzia – Gardone Riviera Coordinatore amministrativo Mirella De Santi Referenti del progetto per i singoli musei Franca Peluchetti – Il Vittoriale degli Italiani Angela Bersotti – Musei Civici di Arte e Storia di Brescia Stefano Lusardi e Roberta Valbusa – Fondazione Ugo Da Como Scuole secondarie 46 progetto 6 Come le tre dimore divennero museo Scuola secondaria di primo grado Lana Fermi – Brescia 70 progetto 7 I luoghi ci parlano Istituto Paritario Paola Di Rosa – Lonato 80 progetto 8 La fiamma è bella Luce, fuoco e calore nelle case-museo di Gabriele d’Annunzio, Ugo Da Como e nel museo di Santa Giulia Istituto Comprensivo T. Olivelli - Scuola Secondaria Papa Giovanni Xxiii – Gardone Riviera Scuole superiori 90 progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa Presenze femminili reali e immaginarie al Vittoriale e nella Casa del Podestà Liceo Scientifico N. Copernico – Brescia 126 progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte Liceo Paritario Paola Di Rosa – Lonato 147 progetto 11 La “Storia all’aperto” Stemmi, frammenti e terrecotte tra i giardini, i chiostri e il lapidarium I.I.S.S. Cesare Battisti – Salò 173 progetto 12 L’arte come affermazione di sé Liceo Scientifico Enrico Fermi – Salò Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Giunge a conclusione il progetto biennale : Luoghi di vita e d’arte:ricostruire la storia. Durante l’a.s. 2012/2013 si sono realizzate, come da programma,la seconda e la terza fase del progetto iniziato lo scorso anno scolastico con il percorso formativo rivolto agli insegnanti. Tutti i docenti partecipanti con i loro studenti hanno potuto accedere, con relativa visita guidata, ai tre musei, Vittoriale, Santa Giulia, Ugo Da Como, percorrere cioè le “Vie dell’ Arte”. Hanno fruito, in tale occasione,di trasporto e ingresso gratuito alle tre realtà museali. In collaborazione quindi con referenti dei singoli musei, ogni classe ha elaborato un proprio percorso tematico, secondo scelte didattiche autonome dei vari docenti, precorso che comunque ha visto, come da programma, varie verifiche intermedie ed una conclusiva di coordinamento generale. È stato pertanto raggiunto l’obiettivo prioritario di stabilire un rapporto di comunicazione e di integrazione tra il mondo della scuola e significativi beni culturali del territorio, facendo vivere ai giovani i musei come luogo di studio attivo e produttivo. Ora, per ottimizzare l’esperienza vissuta e poterla comunicare, si è giunti all’ultima fase: l’inserimento di tutti i lavori realizzati sul sito delle “Vie dell’Arte”, perché costituiscano un moderno ed attuale e-book. L’obiettivo didattico prossimo futuro sarà quello di proporre ad altre scuole, ad altri docenti il percorso delle “Vie dell’Arte”, attraverso la diffusione all’interno degli istituti scolastici dell’esperienza fin qui realizzata. Hanno partecipato a questo progetto n. 10 scuole, 19 classi, tra primarie, secondarie di primo e secondo grado. Si ringrazia vivamente per il contributo la Regione Lombardia, la Fondazione Cab, Brescia Musei. Giovanna Ciccarelli Coordinatrice del progetto Comitato scientifico del Vittoriale 4 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Percorsi didattici Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Scuole primarie progetto 1 Chi darà il bacio al rospo? progetto 1 Chi darà il bacio al rospo? Chi e dove Classi coinvolte Docenti referenti Wunderkammer, cioè le camere delle meraviglie, luoghi dove si poteva stupire con stranezze della natura, come esseri a due teste, animali orrendi e spaventosi o vegetali assai strani. Ne abbiamo visto un esempio nelle raffigurazioni su un antico libro di Ugo Da Como: draghi marini giganteschi, mostri acquatici, serpenti impressionanti con coda spinosa… Scuola primaria Statale G. Mameli – Brescia Quinta … Giancarla Laffranchi e Franca Ferremi progetto 1 Chi darà il bacio al rospo? Introduzione La nostra scuola si trova alla periferia di Brescia, una città con molti problemi, ma anche con moltissime risorse: abbiamo le montagne alle spalle, siamo circondati da colline e laghi stupendi e la pianura ci offre i suoi vantaggi. Chi ama le cose belle come noi, non ha che da girare un po’ e godersi la natura o vedere cosa ha realizzato l’uomo tra questi splendidi paesaggi. In quest’ottica la nostra classe ha aderito con entusiasmo alle iniziative proposte dal progetto “Le vie dell’arte”, proprio come se volesse percorrerle tutte quelle vie di bellezza, consapevoli di apprezzarle sempre più, man mano che le scopriamo. Quest’anno il Museo Santa Giulia di Brescia, la Fondazione Ugo Da Como di Lonato e il Vittoriale degli italiani di Gardone Riviera ci hanno dato la possibilità di conoscere i nostri “Luoghi di vita e d’arte” da vicino, lasciandoci entrare in musei importanti, con raccolte preziosissime e permettendoci di curiosare, fare domande, ricercare… e un po’ anche giocare. Sì, perché ubriacati da tanta bellezza e cultura, nei luoghi che raccontano la storia dell’uomo nel suo ambiente e mostrano l’arte che ha saputo creare, noi siamo andati a caccia degli intrusi, cioè di quegli oggetti che ci lasciavano a bocca aperta, più stupiti che ammirati, come se ognuno fosse una specie di brutto rospo nel regno delle principesse. Ma andiamo con ordine: per prima cosa ci siamo chiesti: che cosa sono esattamente i musei e, in particolare, le case-museo? Ci siamo fatti un’idea a riguardo: sono luoghi dove personaggi importanti e famosi hanno vissuto e collezionato tanti oggetti belli o stravaganti, preziosi o comunque rari e interessanti. Questi personaggi hanno lasciato alle generazioni future le loro raccolte e la casa che avevano arredato e creato. L’idea del museo viene dalla Germania, dove i collezionisti allestivano le 6 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia D’Annunzio aveva sicuramente conservato lo stesso desiderio di stupire i visitatori, perché in ogni stanza della sua casa ci sono rarità tali da lasciare a bocca aperta, degne di un’antica camera delle meraviglie. Quando le insegnanti, tra una visita e l’altra, ci hanno domandato se è utile entrare nei musei, non abbiamo avuto dubbi: venti risposte entusiaste, con motivazioni varie, ma tutte concordi. Sì, si deve, per crescere, conoscere e imparare, per incontrare il passato e conoscere se stessi, per dissetare la nostra ricerca di bellezza. Ecco il nostro viaggio nei luoghi di vita ed arte della provincia di Brescia. Prima tappa: la Fondazione Ugo Da Como di Lonato Fantastica! Una grande casa antica molto elegante ai piedi di un castello, su una dolce collina che domina il paese di Lonato. Il padrone di casa, Ugo Da Como, era stato un personaggio importante all’inizio del 1900: un colto politico con nobili principi, che amava l’ospitalità e, soprattutto, i libri. Infatti si era circondato di mobili raffinati (l’avo di una nostra compagna è stato un suo falegname!), dipinti, oggetti d’arte e tanti, tanti libri. Solo tra le loro pagine trovava veri e fedeli compagni. Dopo averne collezionati più di trentacinquemila, prima della sua morte, espresse il desiderio di destinare la sua casa e i suoi libri alla cultura dei giovani 7 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Pagine di un libro di Ugo Da Como con mostri marini. progetto 1 Chi darà il bacio al rospo? progetto 1 Chi darà il bacio al rospo? e così anche noi abbiamo potuto visitare le sue stanze eleganti, quella rossa, quella azzurra… e la sua incredibile biblioteca con libri antichissimi, enormi o minuscoli, illustrati e rilegati. Luogo ideale per la nostra caccia al mostro, a qualcosa di buffo o grottesco, o per lo meno curioso: cosa poteva nascondere il gusto raffinato del senatore Ugo Da Como ? Ecco che uno degli esploratori inviati in avanscoperta ci segnala un indizio: un bel vasetto solo, sopra un mobile imponente, in cui campeggia la scritta “Sangue di drago”! Che sarà mai? Che ci fosse dentro davvero sangue di drago, magari del terribile mostro di Comodo? Abbiamo tirato un sospiro di sollievo quando abbiamo saputo che conteneva la foglia di una pianta rossa capace di cicatrizzare le ferite. Oggetto misterioso nella casa di Ugo Da Como La nostra fidata guida ci ha mostrato anche un altro oggetto: una scatola di legno con un pesante coperchio da chiudere con una leva che nessuno sa come utilizzare. Noi abbiamo ipotizzato che servisse a spremere qualche frutto, magari gli agrumi o le melagrane. Oppure era un’antica stampante. Ma abbiamo anche pensato che potesse servire come strumento di tortura per schiacciare lingue o cervelli o per storpiare le dita ai ladri (così imparano)! Facendo attenzione abbiamo scoperto che in una sala della Fondazione, sopra ad ogni porta, ci sono dei rosoni in ceramica. Uno è particolarmente interessante: raffigura un serpente che si mangia la coda e rappresenta il ciclo della vita che è inevitabile per tutti. Accanto all’inquietante serpente, vola una piccola farfalla: essa rappresenta la nostra anima che è sempre libera. Lei infatti sopravviverà grazie al suo volo leggero al di sopra di ogni cosa; saprà sfuggire al tempo e alla morte. L’anima secondo noi è ciò che proviamo, le nostre sensazioni e i nostri sentimenti, ciò che siamo al di là del corpo. Sempre grazie ai nostri esploratori, nella sala da pranzo, sopra a una lunga tavola, abbiamo individuato uno strano lampadario a forma di serpente a due teste, che fissa i due commensali a capotavola. È fatto di bronzo con riflessi rame e verderame. Forse i due serpenti rivolgevano il loro sguardo a Ugo Da Como e sua moglie perché erano le sue prede preferite essendo i padroni di casa… Il sangue di drago Il lampadario Il sangue di drago proviene infatti da alcune piante tropicali. La loro strana resina rossa come il sangue era usata non solo per cicatrizzare, ma anche per laccare il legno e come tinta per capelli, anche se usata in piccole quantità perchè costosissima. Curiosamente si può mescolare all’alcool ma non all’acqua. I documenti più antichi rivelano che il primo sangue di drago abbondantemente raccolto e commerciato fu quello derivato dalla Dracaena Cinnabari, una pianta dell’isola di Socotra. L’isola di Socotra è una misteriosa e lontana isola dell’Oceano Indiano. Pochi viaggiatori vi sono approdati: parlano di una terra ricca di magie e di stregoni, capaci addirittura di rendere l’ isola invisibile ai naviganti. In effetti, per sei mesi l’anno le isole sono pressoché irraggiungibili a causa delle tempeste monsoniche, e la mancanza di approdi riparati rende difficile lo sbarco. Una delle piante più caratteristiche è la Dracaena di Socotra, una incredibile pianta dalla chioma a forma di ombrello rivoltato da cui ancora oggi si estrae il sangue di drago. Il lampadario ligneo ci sembrava emanare un’oscura energia. È di genere antico e, dopo qualche indagine, siamo giunti alla conclusione che servisse a sostenere due ceri o candele. È l’ipotesi più probabile! Le nostre ricerche riconducono il serpente alla rinascita, alla rigenerazione, all’eliminazione dei mali fisici o al potere e alla fertilità oscura della terra. Il serpente è anche il simbolo della profezia: le pythie, erano le sacerdotesse pitonesse, che percepivano, come i serpenti, la voce misteriosa e magica della terra madre . Per la cultura ebraica e cristiana il serpente è simbolo del male che si oppone alla verità divina. 8 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 9 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Seconda tappa: il Vittoriale degli italiani a Gardone Riviera Alla casa di D’Annunzio siamo rimasti a bocca aperta: la sua casa-museo era sicuramente il luogo più stravagante che avessimo mai visto! Ovunque c’erano oggetti curiosi, alcuni preziosissimi, altri da quattro soldi, moltissimi esotici, come pelli di animali o statuette di elefanti e pappagalli. D’Annunzio doveva aver viaggiato molto per trovare tutte quelle meraviglie e doveva essere un vero originale: quello che noi chiamiamo un “bell’elemento”! Vissuto all’inizio del ‘900, si ritirò nella sua casa con un panorama mozzafiato sul lago di Garda, dopo aver vissuto incredibili avventure in guerra: era partito come volontario e ne era tornato come “Orbo veggente”, così si era lui stesso definito dopo aver perso un occhio per un incidente in volo. Fu un famosissimo scrittore e poeta, un amante della vita, delle cose belle e, da quanto abbiamo capito, anche delle donne… Un esuberante artista che dava valore agli oggetti che per lui erano belli o significativi, indipendentemente dal loro prezzo. Fece progetto 1 Chi darà il bacio al rospo? progetto 1 Chi darà il bacio al rospo? della sua casa la sede di una raccolta incredibile, quasi un ambiente soffocante! Inoltre, poichè aveva problemi di vista, teneva le camere oscurate con pesanti tendaggi e tutto sembrava ancor più misterioso e strano. È stato davvero facile trovare le cose buffe che noi cercavamo! Anzi, probabilmente D’Annunzio aveva la stessa nostra stessa voglia di giocare! Aveva una stanza fatta apposta per gli ospiti non graditi, dove si faceva attendere per ore. Messaggi poco rassicuranti, se non vere e proprie minacce, inquietavano gli ospiti che li leggevano su porte e pareti. Ma in realtà decise di lasciare a tutti gli italiani oltre a ciò che aveva scritto, anche la sua casa museo, garantendosi i massimi onori per sempre. Anche noi lo abbiamo ammirato. Ha destato la nostra impressione un’enorme tartaruga che occupava il posto d’onore a capotavola nella sala da pranzo per gli ospiti. Quello era il posto di D’Annunzio, che non mangiava con gli amici perché era senza denti! La tartaruga aveva il guscio vero e il corpo di bronzo. Gabriele D’Annunzio Era appartenuta a D’Annunzio e aveva più di cent’anni, poi era morta perché aveva fatto indigestione di fiori! Proprio per questo era stata messa sul tavolo: doveva avvertire gli ospiti di non abbuffarsi troppo, altrimenti avrebbero fatto la sua stessa fine! Forse però D’Annunzio voleva solo risparmiare! Infatti D’Annunzio era un bel furbetto: abbiamo scoperto che aveva fatto mettere una mano insanguinata (!) sulla porta dello studio per dire agli scocciatori che non poteva rispondere alle loro lettere, perché non aveva più la mano. Ma noi sappiamo che non era vero! Sembrava la mano che tiene sulla spalla il maggiordomo della famiglia Adams. La tartaruga Nella Sala della Cheli c’era una testuggine gigante che stava al posto d’onore. La tartaruga era sul tavolo della sala da pranzo degli ospiti più importanti che D’Annunzio aveva, stava proprio lì perché voleva dire agli ospiti di non mangiare troppo, altrimenti avrebbero fatto la sua stessa fine. D’Annunzio negli ultimi anni non mangiava con gli ospiti, preferiva mangiare da solo nella Zambracca. La tartaruga aveva il corpo di bronzo e il guscio vero, il corpo fu realizzato da Renato Brozzi. 10 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 11 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia La Sala della Cheli. in basso, la tartaruga sul tavolo da pranzo di D’Annunzio. progetto 1 Chi darà il bacio al rospo? progetto 1 Chi darà il bacio al rospo? La mano mozza D’Annunzio non voleva rispondere alla grande quantità di lettere che riceveva ogni giorno. Sulla porta d’ingresso dello studio, D’Annunzio aveva fatto scolpire una mano sinistra scorticata e ricoperta di sangue. La mano era poggiata su un pezzo di legno in cui era scritto “Recisa quiescit” che significava “mozzata riposa”. D’Annunzio voleva far intendere ai suoi ospiti che non poteva rispondere alle loro lettere, anche se lui era destro. Questo ci fa capire che era molto furbo e anche un po’ asociale, cioè che non voleva avere conoscenza con i suoi ammiratori. Quella mano faceva davvero impressione perchè era appoggiata lì in bella vista: tutti la vedevano. La mano mozza della famiglia Adams è disgustosa e impressionante come lo è quella di D’ Annunzio che faceva gli scherzi ai turisti e perfino ai familiari. Una mano particolare e spaventosa: chissà cosa ne avranno pensato i suoi parenti e amici! Il bagno blu Nella casa di D’Annunzio ci ha colpito molto il bagno, un luogo impraticabile con novecento oggetti i cui i toni dominanti sono il verde e il blu. A fianco della vasca da bagno c’è una stupenda collezione di piastrelle in ceramica cui D’Annunzio teneva molto. Ma la cosa che ci ha impressionato di più sono i mascheroni. Essi avevano volti mostruosi e feroci, con nasoni pieni di brufoli, bocche gigantesche da cui fuoriuscivano denti affilati come un coltello, occhi indiavolati o spalancati, capelli e baffi arruffati con strambe pettinature, corna somiglianti a quelle del diavolo. Le maschere servivano a D’Annunzio per prendere l’ispirazione. Ma per cosa? Bè, ve lo lasciamo immaginare… pensate solo che queste maschere venivano chiamate… caccatoie! I mascheroni del bagno blu Le maschere venivano usate nell’antichità dai giapponesi per il teatro, ma non solo. Infatti venivano usate anche per richiamare i morti sulla terra. L’attore ne incarnava lo spirito. Nei drammi più antichi le maschere erano addirittura considerate delle divinità. Gli Oni sono mascheroni mitologici del Giappone, simili ai demoni, raffigurati anche dai cartoni animati giapponesi. Sono creature giganti e mostruose, con artigli taglienti, con capelli selvaggi e due lunghe corna; la loro pelle può essere di colori diversi ma quelli più comuni sono: rosso, blu, nero, rosa e verde. Si diceva che gli stanieri e i barbari fossero Oni. Erano considerati imbattibili, questo significa oni, e spesso accentuavano la loro ferocia con la pelle di tigre. I racconti teatrali iniziarono a descriverli come brutti e stupidi e come dei sadici felici di distruggere. In realtà era solo per renderli odiosi alla gente. Un altro oggetto stravagante presente nella Prioria di D’Annunzio è di sicuro l’aquila dagli occhi di diamante. Dell’aquila però vi è soltanto il capo. La testa d’aquila L’aquila si trovava nell’anticamera, una stanza di servizio che precede il reparto notte della casa. D’annunzio la usava come spogliatoio, studiolo, e a volte ci mangiava pasti veloci e solitari. Questa stanza si chiamava Zambracca. Proprio lì D’Annunzio, seduto alla sua scrivania, accanto alla testa d’argento dell’aquila, morì, colto da un’emorragia cerebrale. La statua dell’aquila era stata realizzata da Renato Brozzi, che aveva già ornato, con altre sculture, la casa di D’Annunzio; Brozzi era uno scultore, orafo e incisore italiano, mentre la doratura della statua venne invece eseguita dallo stesso D’Annunzio. L’aquila era un simbolo di Fiume, che il poeta aveva occupato in guerra. Secondo noi l’aquila è un simbolo di dominio. 12 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 13 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 1 Chi darà il bacio al rospo? “Non umile dinanzi alla vita, umile dinanzi all’arte”. Con queste parole, posizionate all’entrata della stanza chiamata Officina, D’Annunzio dà il benvenuto al visitatore. Nel vedere queste parole, siamo rimasti molto meravigliati. D’Annunzio aveva fatto costruire la porta bassa perchè tutti, entrando, s’inchinassero al suo lavoro. Il nome Officina deriva dalla definizione che D’Annunzio amava dare a se stesso: ‘operaio della parola’. In questa stanza sono custoditi gli attrezzi indispensabili alla scrittura: i vocabolari, i manuali, le guide turistiche…ma anche molti oggetti stravaganti e curiosi. La donna velata Subito siamo stati attratti da una statua che raffigura la sua amante: Eleonora Duse, opera di Minerbi, alle spalle della scrivania. Sul volto della compagna amata-odiata che più l’aveva spronato al capolavoro, D’Annunzio ha posto un foulard: il velo copre un amore finito ma mai dimenticato. Eleonora Duse era stata una grande attrice teatrale italiana della fine dell’Ottocento e degli inizi del Novecento. La stanza del lebbroso Ma il luogo più impressionante della casa di D’Annunzio era senza dubbio la stanza funebre. progetto 1 Chi darà il bacio al rospo? La stanza del lebbroso Questa stanza veniva chiamata Stanza del Misello, oppure Cella dei puri sonni; qui D’ Annunzio si soffermava a meditare per la morte della madre, della Duse e degli amici più cari. Nel quadro in fondo alla parete è raffigurato San Francesco che abbraccia un lebbroso, e, sorpresa, quel lebbroso è proprio il ritratto di Gabriele D’ Annunzio. Quel grande uomo che era D’annunzio, e che fino a poco prima credevamo si sentisse questo originale poeta, aveva bisogno del tenero sostegno di un piccolo e povero uomo come San Francesco, che amava i più umili ed emarginati… Alcuni di noi se ne sono chiesti il motivo. Forse D’Annunzio in realtà era fragile o consapevole che si sarebbe sentito fragile davanti alla sofferenza. Il lebbroso, da cui deriva il nome della stanza, è proprio toccato dal santo, quindi reso sacro. Quel tocco è un dono di cui D’Annunzio pensa di aver bisogno… Sempre in fondo alla stanza c’è una statua di Gesù Cristo nell’ atto di benedire la Maddalena. Poi ci sono i ritratti della sorella Elvira, della madre Luisa e di Eleonora Duse con la Coppa delle Vestali in vetro di Vittorio Zecchin. Il letto assomiglia a una culla e una bara, per questo è chiamato letto delle due età. Ai lati scendevano due pelli di leopardo. Nel Camerun ci sono stregoni della “società uomini-leopardo” che credono che il loro corpo sia diviso in due parti: forze vitali e anima. L’elemento che non può morire è l’anima. Durante il sonno l’anima può sfuggire dal corpo per incarnarsi in un animale (iena, leopardo, pitone) e agire in esso, compiendo cose terribili. La stanza del lebbroso è una delle stanze più ordinate della Prioria. La decorazione del soffitto risulta la scomposizione di un puzzle di pitture con rappresentate cinque sante che D’Annunzio immagina gli siano apparse per convincerlo a rinunciare ai beni terreni; esse sono: Sibilla di Fiandra, Elisabetta d’Ungheria, Odilla D’Alsazia, Giuditta di Polonia e Caterina da Siena. Pensare alla morte come ha fatto D’Annunzio, con sante che ti proteggono dai peccati, santi che ti accolgono, anche se sei impuro e santoni che ti salvano l’anima, ci inquieta un po’… ancora una volta proviamo una certa tenerezza per un uomo che invece voleva far paura al mondo. Ricorderemo la visita alla casa Museo di D’Annunzio come una delle esperienze più emozionanti della nostra classe! Ricorderemo D’Annunzio come un uomo scontroso e pieno di manie, ma dal cuore generoso e sensibile: ecco perché era un grande poeta e un vero artista! Terza tappa: il Museo di Santa Giulia di Brescia Ed eccoci a casa! Nella nostra città. Eppure solo uno di noi era già stato al Museo Santa Giulia, in occasione della Mostra degli Inca. Il Museo si trova sulle rovine dell’antica città romana, dove il re longobardo Desiderio fece costruire la chiesa di San Salvatore con un monastero dove si conservarono le reliquie di Santa Giulia, una giovane martire cristiana. Col tempo il monastero si trasformò, furono costruite altre parti, come il bellissmo coro delle monache tutto affrescato e la chiesa di Santa Giulia. Intorno al 1700 Napoleone trasformò il convento in un magazzino per l’esercito. Solo alla fine dell’800 il Comune di Brescia riacquistò l’intera area, così preziosa dal punto di vista storico e culturale. Ne fece un museo “stratificato”, così abbiamo imparato a definirlo, dove si sono depositate man mano opere di varie epoche, dai reperti romani delle domus, ai resti longobardi con oggetti particolarissimi e splendidi come la famosa Croce di Desiderio, fino ad affreschi cinquecenteschi davvero magnifici. Siamo rimasti particolarmente colpiti dalla statua del Lacoonte di marmo bianco che rappresentava un uomo con i suoi due figli uccisi da due serpenti perché il padre aveva fatto una cosa che non doveva fare. La scena era raccapricciante: il padre aveva uno sguardo disperato e combatteva cercando di 14 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 15 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 1 Chi darà il bacio al rospo? progetto 1 Chi darà il bacio al rospo? salvare i figli, essi venivano stritolati da due orribili serpenti fortissimi. Per non sognarcela di notte, e anche perché siamo curiosi, siamo andati alla ricerca della storia che la scena rappresenta. Altro che brutto rospo, questo era vero horror! avevano stampata sul volto un’espressione indescrivibile, con gli occhi tristi e la bocca felice. Una di loro aveva dei baffoni grandissimi che si tuffavano verso il basso e si confondevano con la fitta barba. Sembrava Babbo Natale quando era giovane. Un’altra aveva i capelli arricciati che gli arrivavano alle orecchie e con la barbetta ugualmente arricciata. Sul volto aveva il sorriso più largo che noi avessimo mai visto! Non ci crederete, ma quel mascherone assomigliava tanto alla guida che ci accompagnava! Anche il bel quadro esposto nelle sale del Santa Giulia di San Giorgio e il drago ci ha interessato molto ed abbiamo subito cercato informazioni sulla sua storia. Il grande quadro era stato realizzato con una tecnica interessante da riprodurre perché vi erano state incollate pietre preziose. Naturalmente lo abbiamo subito copiato, realizzando un bel quadro di genere diverso, in cui sono rappresentate delle foglie di vite dorate come le guarnizioni del cavallo. Si narra che, quando i troiani portarono nella città il celebre cavallo di Troia, Lacoonte corse verso di esso scagliandogli contro una lancia che ne fece risonare il ventre vuoto, urlando:“Temo i Greci, anche quando portano doni”. Atena, che parteggiava per i greci, punì Laocoonte mandando Porcete e Caribea, due enormi serpenti marini, che uscendo dal mare avvinghiarono i suoi due figli; egli accorse in loro aiuto e fu stritolato assieme ad essi. Un altro particolare davvero curioso che abbiamo osservato presso il museo Santa Giulia è nascosto nei bellissimi quadri sullo stile di Arcimboldo. Questo pittore dipingeva con una tecnica strana: eseguiva ritratti umani utilizzando esclusivamente forme e colori di frutta, fiori, foglie o piccoli animali. Ad esempio raffigurava l’estate con un uomo fatto di frutta: un fico al posto del naso, ciliegie al posto degli occhi, banana al posto della bocca, un’anguria per testa e carote per dita. I suoi quadri erano originali e divertenti, catturavano la nostra attenzione e ci perdevamo alla ricerca dei particolari raffigurati. Non vedevamo l’ora di provare a scuola la sua stessa tecnica! In un altro quadro esposto nelle sale del Santa Giulia era dipinto un orribile drago-diavolo con la testa da pipistrello, le orecchie a sventola, gli occhi rosso fuoco e sangue che usciva dal naso e cadeva in pozzanghere vicino al suo spaventoso, lucido corpo nero. Il diavolo veniva schiacciato e quindi sconfitto da un santo con l’aiuto di alcuni angeli. Sempre nell’area in cui erano esposti quadri, abbiamo notato figure umane raccapriccianti: mendicanti o poveretti sporchi e malati, alcuni con il gozzo che veniva per mancanza di alcune vitamine, quando gli uomini poveri erano costretti a nutrirsi solo di polenta. Erano tele scure, tristi e con colori spenti. Davano proprio il senso della miseria vissuta in quell’epoca dai contadini ai quali il ricco proprietario dei terreni portava via tutto il raccolto. Questi quadri erano stati dipinti meravigliosamente dal Pitocchetto. I pitocchi Giacomo Antonio Melchiorre Ceruti, detto il Pitocchetto, è stato un pittore italiano del ‘700, in un periodo artistico chiamato tardo barocco italiano. Era bravissimo nel dipingere ritratti. Nacque a Milano, ma la sua patria di elezione fu Brescia, città in cui l’artista si guadagnò il soprannome di Pitocchetto per il genere pittorico che aveva come soggetti principali i poveri, i reietti, i vagabondi, i contadini (i pitocchi, appunto), raffigurati in quadri a grande formato. In Lombardia c’erano stati altri artisti che, come lui, avevano voluto raffigurare la gente comune e la loro vita poverissima, ad esempio Vincenzo Foppa, il Moretto, Savoldo e Caravaggio. Eppure allora si dipingevano soltanto persone importanti e ricche… I suoi pitocchi sono davvero “brutti rospi”, senza speranza alcuna di diventare bei principi! Hanno piedi nudi e sporchi, mani senza forma e vesti a brandelli; i loro sguardi sono tristi e brutti, com’è brutta la loro miseria! Ci sono piaciute anche le maschere ridicole su piedistalli altissimi di gusto greco. Erano quattro, una più strana e divertente dell’altra, e raffiguravano persone con capelli lunghissimi o baffoni da cow boy o barba tutta arricciata e sciolta. Tutte 16 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia San Giorgio e il drago Draghi vengono descritti come creature dal corpo da serpente, le zampe da lucertola, le fauci da coccodrillo, gli artigli d’aquila, i denti da leone e le ali da pipistrello; il corpo era ricoperto di squame protettive e, la maggior parte di loro, era in grado di sputare fuoco e volare per percorsi indefiniti. Estremamente intelligenti e sorprendentemente longevi, sopravvivevano a numerose generazioni di umani... Si può dire che ogni paese avesse una leggenda che raccontava di un mostro che viveva in un luogo vicino al quale la comunità sacrificava esseri umani perchè non li distruggesse e di un guerriero che lo affrontava e lo vinceva, salvando una donzella, l’ultima vittima predestinata. La storia di San Giorgio ed il Drago forse nasce durante il XII secolo, portata dai Crociati che tornavano dalla Terra Santa e narravano che il santo, (nato in Palestina e martirizzato, sotto Diocleziano per decapitazione nel 287), uccise un terribile drago che era in procinto di mangiare una giovane principessa. Un secolo dopo, in Inghilterra, quando il re Edoardo III nel 1348 elesse San Giorgio protettore dell’Inghilterra, il Santo era ormai diventato l’assassino dei draghi per antonomasia, dipinto da tutti i pittori nel gesto di trafiggere il drago. La leggenda di San Giorgio e il Drago fu diffusa notevolmente dalla Chiesa che raffigurava il Drago come il peccato e San Giorgio come la Grazia divina, la Fede o qualche altra forza benefica. Abbiamo cercato rospi, mostri e ogni oggetto orripilante che fosse nascosto in regni di bellezza assoluti come i musei. Ne abbiamo trovati tanti, al punto che abbiamo pensato che i collezionisti si divertivano, proprio come noi quando giochiamo con i nostri super eroi che, a dire la verità sono piuttosto bruttini… Abbiamo anche cercato di capire perché ci attirino tanto oggetti strani, animali poco rassicuranti, draghi e mostri vari…forse per fare intimorire un po’ gli amici, forse perché vogliamo sentirci forti come i nostri mostriciattoli, forse perché essi ci difendono, o ci divertono… In ogni caso ci piacciono ed è stato divertente trovarli nei musei e pensare che siano stati accuratamente scelti da importanti collezionisti. Per noi i “brutti rospi” trovati al museo non sono affatto brutti, anzi ci hanno interessato molto, perciò un bel bacio glielo diamo, perché scoprendo la loro storia abbiamo rivelato ai nostri occhi la loro vera natura, abbiamo capito che meritano quel posto d’onore nel palazzo della bellezza che è una casa museo! 17 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 2 La storia di questi luoghi Chi e dove Classi coinvolte Docente referente Scuola primaria Statale T. Olivelli – Salò Quinta D Isabella Salmi progetto 2 La storia di questi luoghi Premessa Le classi quinta sezione C/D dell’Istituto comprensivo di Salò, hanno scelto di inserire, tra le uscite didattiche, un percorso attinente alle vie dell’arte, che vede coinvolte le località importanti, dal punto di vista artistico, del Lago di Garda. Ci riferiamo in particolare a: 1) Museo di S.Giulia (Brescia) 2) Casa del Podestà (Lonato) 3) Vittoriale (Gardone) La storia di questi luoghi Museo di S. Giulia (Brescia) Il museo di S. Giulia è il principale museo di Brescia, situato in via dei Musei 55, lungo l’antico Decumano Massimo della Brixia. Il museo è ospitato all’interno del monastero di S.Giulia, fatto erigere da re Desiderio in epoca longobarda e variamente ampliato e modificato in più di mille anni di storia. All’interno vi sono ubicate stanze allestite con reperti differenti, in maggioranza compaiono oggetti, appartenenti all’epoca romana esempio: le Domus dell’Ortaglia. Tra le numerose opere d’arte si ricordano: la Vittoria alata, la croce di Desiderio e la lipsanoteca. La casa del Podestà (Lonato) La casa del Podestà sorse verso la metà del quattrocento quale sede del rappresentante di Venezia. Lonato fu sottoposta alla dominazione della Serenissima Repubblica di Venezia dal 1441 per oltre 350 anni, interrotti solamente dal breve governo del marchese Francesco Gonzaga(dal 1509 al 1516). 18 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Dopo che Napoleone cadde,la casa del Podestà passò,prima come proprietà del demanio austriaco,in seguito al Comune di Lonato che si disinteressò completamente dell’edificio. Nel 1906 venne acquistata ad un’asta pubblica dall’allora avvocato e deputato liberale: Ugo Da Como. Questi, consapevole dell’importanza storica del luogo, lo fece completamente “restaurare” dal maggior architetto bresciano Antonio Tagliaferri (1835-1909). L’intento del committente era quello di restituire l’antica dignità all’edificio veneto corredandolo di una serie di arredi adeguati che ne facessero una casa-museo da abitare,secondo una moda molto diffusa tra 800 e 900. Ugo Da Como Nacque a Brescia nel 1869 e si laureò a Roma in giurisprudenza.Fu fedele allievo e continuatore di Giuseppe Zanardelli, nella corrente liberale democratica. Morì a Lonato nel 1941 e la sua casa fu destinata ad accogliere la straordinaria Raccolta Libraria, costituita con grande attenzione. La biblioteca che lasciò a Lonato è una delle collezioni private più importanti dell’Italia settentrionale. Essa conta oltre 30.000 titoli, a partire dal XII secolo. Vittoriale (Gardone) Il Vittoriale degli Italiani è un complesso di edifici, vie, piazze e di un teatro all’aperto. Giardini e corsi d’acqua ne caratterizzano l’intero parco. Il Vittoriale fu eretto tra il 1921 e il 1938, costruito a Gardone, sulle rive del lago di Garda, da Gabriele D’Annunzio con l’aiuto dell’architetto: Giancarlo Maroni, a memoria della “vita inimitabile” del poeta-soldato e delle imprese degli italiani, durante la prima guerra mondiale. Il Vittoriale è oggi, una fondazione aperta al pubblico e visitata ogni anno da circa 180.000 persone. Si estende per circa nove ettari sulle colline di Gardone Riviera in posizione panoramica dominante il lago. I visitatori sono accolti da un ingresso monumentale costituito da una coppia di archi al cui centro è collocata una fontana. A sormontare la fontana una coppia di cornucopie e un timpano con il famoso motto d’annunziano: “Io ho quel che ho donato”. Dalle arcate d’ingresso si snoda un duplice percorso: – in leggera salita (conduce alla prioria, alla casa museo e salendo ancora alla nave militare Puglia e al mausoleo degli eroi con la tomba del poeta) – porta verso i giardini, l’arengo (attraverso una serie di terrazze degradanti verso il lago, fino alla limonaia e al frutteto). Gli stemmi Abbiamo osservato, in queste visite didattiche, la presenza, su ogni edificio da noi considerato, di stemmi, differenti ma molto interessanti. In conseguenza abbiamo preso in esame alcuni di essi,cercando di esporne il significato e la storia. Lo stemma di Brescia Gli stemmi, anticamente, servivano per differenziare le famiglie ricche da quelle povere. Lo stemma di Brescia è contraddistinto dai suoi colori differenti cioè: il leone azzurro con la corona d’oro e la scritta in argento con la dicitura Brixia fidelis. La blasonatura dello stemma è stata emanata con un decreto comunale il 25/06/1925. 19 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 2 La storia di questi luoghi progetto 3 I vasi da farmacia A differenza di quanto comunemente si crede, a causa dell’appellativo Leonessa d’Italia (attribuito alla città da Giosuè Carducci), quello che figura sullo stemma di Brescia è un leone maschio. Lo stemma di Brescia introdotto da Napoleone Bonaparte prevedeva la sostituzione del leone azzurro con un leopardo rosso, sebbene definito “illeonito” ovvero nella tipica posizione rampante del leone. Lo stemma napoleonico durò ben poco, poiché meno di un anno dopo, con il ritorno degli austriaci, il comune di Brescia chiese la reintroduzione del precedente stemma. Chi e dove Classi coinvolte Docente referente Lo stemma di Lonato Il nome “Lonato” deriva dal termine celtico “laghetto”. Lo stemma di Lonato raffigura un leone rampante rivolto a sinistra, con due chiavi incrociate nella zona anteriore destra, in alto compaiono tre gigli. L’interno dello stemma è azzurro, lo stemma possiede inoltre in alto, la corona civica. progetto 3 Il Vittoriale La composizione di stemmi e gonfaloni provinciali generalmente è considerata di pubblico dominio. Questo principio è applicabile solo alla definizione dello stemma. La rappresentazione di uno stemma è invece considerata una creazione artistica. Scuola primaria Statale T. Olivelli – Salò Quinta A Cittadini Gloria I vasi da farmacia Dal Museo Santa Giulia al Vittoriale passando per Lonato Introduzione Prima di visitare il museo Santa Giulia, la casa del Podestà e il Vittoriale abbiamo parlato di collezioni . Cos’è una collezione? - Figurine Animali, Basket… Gli esempi che hanno riportato i bambini sono stati molteplici: - Carletti (personaggi Sofficini) - Gioielli - Magic - Libri Geronimo Stilton - Automobili giocattolo - Accessori vari (Vasi, Monili..) Stemma presente all’entrata del Vittoriale. Conclusioni A noi ragazzi di quinta D di Salò ha fatto piacere poter, con le nostre forze e con i nostri strumenti far parte, anche se per poco, di un passato che resterà sempre fondamentale per il futuro. 20 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Si è definito pertanto che una collezione è una raccolta di molti oggetti simili. Noi abbiamo scelto i vasi da farmacia. Ed ora che sappiamo cos’è una collezione siamo pronti ad andarle a cercare nel Museo Santa Giulia, alla Casa del Podestà e al Vittoriale degli Italiani. L’insegnante ha preparato una scheda per favorire l’atteggiamento attivo dei bambini nel momento dell’osservazione dei vasi. Dando indicazioni precise si vuole attivare le conoscenze dell’alunno. 21 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 3 I vasi da farmacia progetto 3 I vasi da farmacia I vasi a Santa Giulia Martedì 23 ottobre 2012 siamo andati al museo S. Giulia per vedere i vasi. Durante la visita abbiamo osservato vari tipi di vasi, erano tutti vasi antichi che sono stati ritrovati nelle Necropoli Greche e Romane. Vi erano: vasi da usare in cucina, vasi che usavano per il trasporto e vasi da mensa. Uno di questi era di terracotta, serviva a contenere vino ed olio e proveniva d’Atene. Sul vaso c’erano dipinte delle persone ed era uno dei vasi più grossi e più belli. La maggior parte degli altri erano di vetro e servivano a contenere le ceneri dei morti. Alice e Marta Il vaso con il nome del contenuto più originale è quella con il “Sangue di drago”una resina cicatrizzante chiamata così perché è la resina dell’albero del drago, che è una palma spinosa originaria delle isole Canarie, quando la corteccia o le foglie venivano recise secernevano una resina di colore rosso. Carla, Pietro, Nicola e Marco Martedì 23 ottobre siamo andati al museo di Santa Giulia ad osservare i vasi. Abbiamo visto molti vasi come : quelli da cucina, quelli per metterci dentro il vino e l’olio e i vasi di terracotta, i vasi funerari; inoltre c’erano anche dei piccoli vasi per contenere profumi ed essenze, che sono stati soffiati da cannucce di vetro. In centro alla stanza c’era un favoloso vaso dipinto con dei disegni di guerra, che è stato fatto ad Atene. Asia e Luisa Martedì 23 ottobre siamo andati al museo di Santa Giulia a Brescia per vedere i vasi di epoca romana o greca. In una teca c’era un anfora greca,era di forma circolare con il collo stretto e due maniglie vi erano messe ai lati; era in ceramica nera con una figura arancione che rappresentava un uomo barbuto senza vestiti che tirava un toro con un leone che rendeva difficile il lavoro. Quest’anfora serviva per i trasporti di cibo o liquidi. Un altro vaso era di epoca romana: era in alabastro bianco e serviva per contenere le ceneri dei defunti. Non aveva decorazioni e aveva una forma simile all’anfora greca. In una teca molto grande erano custoditi dei vasi sempre di epoca romana, in vetro e leggermente rovinati dal tempo. Servivano per contenere il cibo o le ceneri; erano tondeggianti alla base, il collo era lungo e molto stretto . I vasi in terracotta messi in un’unica teca erano di color arancione e marrone, servivano per il cibo e per trasportare merci. Erano della stessa forma solo con il collo più largo. Riccardo e Ivan Vaso di terracotta greco. Realizzato da Ivan Martedì 23 ottobre le classi V a-c-d sono andate in gita alla “Casa del Podestà”. Arrivati nella “Sala del caminetto” abbiamo notato vari tipi di vasi. Ci hanno colpito due vasi da farmacia: due albarelli contenenti “Sangue di drago” (una resina rossa cicatrizzante) e “Melissa” (una pianta erbacea con foglie grandi e pelose dall’odore gradevole). Il vaso che conteneva il “Sangue di drago” era un albarello in maiolica decorato con motivi floreali blu ed una forma piriforme rovesciato su base ad anello. L’altro vaso che ci è piaciuto molto, conteneva la Melissa, era un albarello in maiolica con figure armoniche: vi sono delle foglie o delle ali che si attorcigliano ad una linea color ocra; la scritta blu in stampatello minuscolo si trova al centro del vaso. Federico e Giuseppe I vasi della casa del Podestà Al museo della “ Casa del Podestà” di Lonato c’è una collezione di vasi da farmacia che contengono erbe curative e altri medicinali dell’ epoca. I vasi di ceramica hanno un’apertura fatta in modo da permettere di chiuderli con un pezzo di stoffa e una stringa. Nella collezione sono presenti anche teiere. Sia i vasi che le teiere sono decorati con disegni a fiori blu sia sulla parte inferiore che su quella superiore, nella zona centrale vi è il nome del preparato che conteneva il vaso. Martedì 23 ottobre siamo andati alla Casa del Podestà. Dopo aver aspettato qualche ora, siamo entrati nella casa di Ugo Da Como e abbiamo osservato tutti i soprammobili presenti nella casa. C’erano: quadri, stoviglie, centri tavola, libri e vasi da farmacia. Noi Vaso realizzato da Pietro, abbiamo osservato i vasi da farmacia. C’erano alcuni vasi colorati e altri solo Nicola e Carla. bianchi e blu. In alto a sinistra, Abbiamo fatto un breve giro della casa e Albarello in maiolica. abbiamo visto altri vasi non solo da farmacia Realizzato da Federico. In basso, Alberello ma anche vasi per i fiori. Alcuni avevano in porcellana. Foto scritture strane sopra di essi come: troch da”I quaderni della gordonii, troc alhand, rosato, sangue di drago Fondazione Ugo Da e Ext. Ratan, queste scritte indicavano il Como”. contenuto. C’era un vaso che conteneva: Ext. Ratan (estratto di ratania); questo vaso ci è piaciuto in modo particolare: per primo perché la ratania è un frutice spinoso originario del Perù e della Bolivia. Per secondo perché la radice, tortuosa e rossastra, era utilizzata come dentifricio e come antinfiammatorio del cavo 22 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 23 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 3 I vasi da farmacia orale. L’estratto si ricavava dalla macerazione della pianta in acqua o alcool; successivamente il liquido veniva filtrato e bollito fino ad una sua riduzione e concentrazione. Il vaso aveva il coperchio con presa a pomolo era fatto di ceramica maiolica; la decorazione era costituita da una coppia di cornucopie colme di piccoli fiori variopinti che incorniciavano l’ovale centrale dove vi era scritto il nome del medicamento in stampatello maiuscolo. Questa gita ci è piaciuta molto. Martina F., Martina e V. Sibilla Albarello da farmacia in maiolica. Stanza del Mappamondo. I vasi del Vittoriale degli Italiani Martedì 27 novembre 2012 siamo andati al Vittoriale (la casa di G. d’Annunzio). Nella casa vi è una stanza chiamata “Sala del Mappamondo” perché ha un grande mappamondo al centro, ed è stata la stanza più importante per noi perché vi è una libreria con molti vasi da farmacia; la collezione di vasi, abbiamo notato, che è uguale alla collezione di vasi della “Casa del Podestà”. Nell’officina vi è una teca contenente altri vasi da farmacia. I vasi erano bianchi, blu e certe volte dipinti anche con altri colori. Erano quasi tutti a forma di anfora: albarello; i restanti a brocca: orciolo. Nell’albarello l’apertura aveva un orlo obliquo e si poteva chiudere con un panno e uno spago. Alcuni vasi si utilizzavano per versare i liquidi e altri per contenere pasticche o erbacei: il diverso utilizzo del vaso faceva si che la forma della “bocca” cambiasse; tant’è che nei vasi contenenti pasticche o erbe da prelevare con la mano l’apertura risultava essere più larga. I vasi da farmacia hanno le scritte delle diverse sostanze che contengono sul lato della maiolica. Francesco e Gian Luca Conclusioni La visita in questi musei è servita per far riflettere gli alunni sul fatto che il museo non è solo contenitore ma è un luogo in cui si ha l’occasione di conoscere aspetti di una civiltà. Inoltre gli alunni hanno notato che uno stesso oggetto può essere utilizzato in molti modi; quindi che è importante osservare gli oggetti da punti di vista diversi. La classe Quinta A 24 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Chi e dove Classi coinvolte Docenti referenti Scuola primaria Statale T. Olivelli – Salò Quinta C Rimoldi Carla progetto 4 Sacro e profano Ovvero San Girolamo (Gerolamo) nelle collezioni bresciane Premessa Nel territorio bresciano esistono realtà museali diverse sia per origine sia per tipologia. Quelle che la nostra ricerca prenderà in esame sono: Santa Giulia in Brescia, la collezione Tosio-Martinengo temporaneamente collocata in Santa Giulia, la Casa del Podestà in Lonato e il Vittoriale in Gardone Riviera. Origine e scopo dei musei “Il museo è l’istituzione culturale di una società per conservare la propria memoria e per trasmettere i propri ideali e valori”. Santa Giulia Già nel 1860 da parte della Municipalità Bresciana si era manifestata l’intenzione che le tre chiese del monastero (Santa Giulia, San Salvatore, Santa Maria in Solario) divenissero la sede per conservare i manufatti antichi legati al Cristianesimo. Il progetto fu realizzato nel1882. In seguito a lavori di scavo furono scoperti resti romani all’interno del complesso. Oggi in Santa Giulia sono collocati reperti di varie epoche storiche provenienti dalla città e dal territorio con particolare attenzione a quelli romani. Pinacoteca Tosio-Martinengo Ha origine dal lascito delle collezioni d’arte del Conte Paolo Tosio nel 1832 e di quello successivo della moglie al Comune di Brescia. Nel 1906 le opere furono unite ai quadri donati alla Municipalità nel 1884 dal Conte Martinengo e da quelli provenienti da palazzi demoliti o fatiscenti e da edifici di culto dismessi. 25 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 4 Sacro e profano progetto 4 Sacro e profano Casa del Podestà Nel 1906 l’edificio ormai fatiscente, che era stato l’abitazione del Podestà durante la dominazione veneta del lago di Garda, fu acquistata dall’avvocato arne la sua dimora e riportarla agli antichi splendori. Egli fece del palazzo un luogo di “memoria storica” arricchendolo con dipinti, sculture, oggetti del passato. Iconografia di san Girolamo Il santo è raffigurato secondo due tipologie: il cardinale e l’eremita. Nel primo caso è ritratto nello studiolo vestito con l’abito e il cappello cardinalizio rossi e circondato da libri; nel secondo caso è seminudo, coperto da un panno lacero inserito in un paesaggio naturalistico. La sua identificazione risulta facile poiché a lui sono legati numerosi simboli: – abito e cappello cardinalizi e/drappo rosso, secondo la tradizione medievale colui che era stato segretario del papa doveva essere stato precedentemente nominato cardinale; – leone: secondo una leggenda Gerolamo aveva curato la zampa ferita di un leone e questi l’aveva seguito e mai più abbandonato; – libro: collegato alla sua fama di studioso e in quanto revisore della traduzione biblica; – clessidra e/o candela; indicano la caducità della vita terrena; – teschio: rappresenta la meditazione sulla morte e la fugacità della vita terrena; – croce: suggerisce la meditazione e la fede; – pietra: indica la penitenza; – chiesa: legata alla sua scelta di vita, al suo sostegno al monachesimo femminile e alla vera fede per la sua corretta traduzione delle Sacre Scritture; – gabbietta con uccellino: era ritenuta abitudine degli eruditi tenere nel proprio studio un volatile il cui canto favoriva la concentrazione. Vittoriale Dopo la spedizione di Fiume d’Annunzio aveva la necessità di trovare una dimora a lui consona. La scelta cadde su una proprietà a Gardone Riviera: una semplice e vasta casa di campagna, circondata da un parco recintato che poteva essere modificata per divenire il luogo in cui celebrare sé stesso, le proprie idee e le proprie gesta. La trasformazione d’interni, esterni e di spazi verdi avvenne con la collaborazione dell’architetto Maroni, ma l’ideazione fu dello stesso d’Annunzio. In questo nuovo ambiente furono poste le collezioni del Vate che si fusero con quelle del proprietario precedente e, in seguito, si arricchirono con donazioni e acquisti. Le scelta di un oggetto, la sua collocazione in una determinata stanza in una certa posizione, la relazione con altri era legata a ricordi, a reminescenze letterarie, ad abbinamenti cromatici e assumevano una valenza simbolica che rispecchiava il gusto estetico di d’Annunzio, la sua tendenza all’originalità e all’artificio e il suo stile teatrale di vita. Osservazioni Nelle nostre visite ai musei abbiamo rilevato che sono presenti una o più opere avente come soggetto san Girolamo (Gerolamo) e queste saranno oggetto della nostra indagine. San Girolamo fra storia e leggenda Gerolamo nacque in Dalmazia da famiglia di nobile origine. Fu istruito dal padre nelle lettere e, per ampliare le sue conoscenze, si recò a Roma, in Gallia e in Germania. Successivamente fu battezzato, viaggiò per approfondire i suoi studi. In seguito divenne monaco e si ritirò nel deserto come eremita per cinque anni. Più tardi fu nominato segretario del papa e revisionò l’antica traduzione della Bibbia dal greco al latino. Conclusa l’esperienza romana si ritirò a Betlemme in un monastero. Il santo è sempre stato amato dagli studiosi di ogni tempo che in lui ritrovavano la loro sete di sapere e l’aspirazione alla conoscenza; è stato modello per i monaci per la sua scelta di vita comunitaria, ascetica e penitenziale. 26 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia San Gerolamo nelle collezioni Pinacoteca Tosio-Martinengo presso Santa Giulia Il dipinto, olio su tavola, è stato eseguito dal Romanino in data non certa e misura cm 149,3x91,8. La figura del santo, seduto all’entrata della propria grotta in primo piano, risulta plastica e vigorosa; il profilo del suo viso energico è ornato da una folta barba fluente; i suoi occhi fissano il crocifisso che stringe nella mano sinistra protesa in avanti. Il suo corpo è ruotato verso l’esterno e coperto da una veste bianca-rosata lacerata sul fianco; nella mano destra impugna una pietra. Dietro i piedi scalzi del santo è accucciato un leone che cela parte del rosso cappello cardinalizio. Il ginocchio sinistro dell’eremita sfiora un rustico tavolo ligneo su cui poggiano alcuni libri di cui, uno aperto In secondo piano e sullo sfondo sono raffigurate una serie di alture, e, sulla sommità di una di esse, una chiesa. Nel paesaggio, rappresentato in modo naturalistico con predominanza di toni di verde e marrone, vi è la presenza di figure umane quasi mimetizzate con l’ambiente stesso mentre spicca Gerolamo reso con tinte chiare. In basso si nota un rospo, simbolo della tentazione. Santa Maria in Solario presso Santa Giulia Gli affreschi, aventi come soggetto San Gerolamo, sono collocati al piano superiore sulla parete meridionale dell’oratorio e sono stati eseguiti dallo stesso Floriano Ferramola e dalla sua bottega fra il secondo e il terzo decennio del Cinquecento. Uno di essi è molto deteriorato perciò la nostra trattazione verterà sul dipinto collocato in alto, nei pressi di una finestra ad arco. La figura del santo è imponente, il viso è contornato da una folta barba bianca, il braccio destro è piegato al gomito e in linea con il corpo e quello sinistro, sollevato al petto, regge una chiesa, Indossa 27 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 4 Sacro e profano una bianca veste, una sopravveste rossa e, sulla spalla destra, una stola verde. In testa porta il cappello cardinalizio. Ai suoi piedi è accucciato un leone. Dietro si nota un frondoso albero. Lo sfondo evidenzia una netta divisione fra l’azzurro cielo e terra ocra. Casa del Podestà Il quadro è stato eseguito dal pittore cremonese Giovanni Andrea Sicco ed è datato 1536. È posto nella. Il santo è raffigurato nello studiolo, seduto alla scrivania in primo piano, in atteggiamento meditativo, con il busto torso verso l’interno. La mano destra sorregge il viso avvolto da un morbida barba, la fronte è corrugata, gli occhi vivi fissano il visitatore. Il gomito destro poggia sul libro posto sopra leggio sul piano del mobile; accanto al leggio si nota un teschio su cui lo studioso rotea il suo indice sinistro. Sul piano sono collocati un candeliere con moccolo e spegnitoio, una clessidra, un calamaio, due stili, alcuni fogli. L’erudita indossa la vesta bianca, la sopravveste rossa come il copricapo. Alle sue spalle è accucciato un leone assonnato in atto di fusa. Sullo sfondo è posizionata la libreria contenente alcuni tomi chiusi ed uno aperto e in alto, in corrispondenza di questo, una gabbietta con un uccellino. Dal soffitto pende una lampada; sulla parete destra è appeso un cappello e sul lato opposto si apre una finestra dai vetri piombati, Vittoriale Sembra che già fosse stato stabilito, in tempi antichi, dal destino una sorta di legame fra quella che divenne la Prioria e san Gerolamo, Infatti sulla facciata della casa colonica acquistata da d‘Annunzio si trovava un’effige del santo quasi del tutto scomparsa nei lavori di ristrutturazione voluti dallo stesso poeta. Il Vate stesso ornò la sua dimora di oggetti e mobili aventi come ispiratore il santo erudita. Nella visita al Vittoriale si scopre che nella casa sono collocate due statuette lignee; la prima è posta all’ingresso dell’Officina sulla parete nord; è datata intorno alla metà del XVI sec di manifattura dell’Italia settentrionale. L’opera, alta 114 cm, è in massello di larice intagliato, è dorata e alcune parti sono dipinte. Il santo è eretto, con il capo leggermente piegato verso la sua spalla sinistra; il viso dipinto è scarno munito di baffi e folta barba castani come i capelli. Il braccio destro è proteso in avanti con il gomito flesso, il braccio sinistro è mozzato. La veste è dorata e ricca di panneggi; dalla spalla sinistra scende una stola. Il piede destro esce dall’abito e sormonta il leone messo sulla base. La seconda scultura è nella Stanza delle Reliquie sulla trabeazione della parete nord e non è di semplice individuazione poiché sono presenti innumerevoli manufatti di soggetto religioso e simbolico. L’opera risale al 1500 e di area Italia nord-orientale. Ha uno sviluppo tondeggiante ed è alta 84 cm. Il santo è in posizione eretta, il braccio sinistro è staccato dal corpo come 28 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 4 Sacro e profano il moncherino del destro; la mano sinistra è poggiata sopra una sorta di colonna. Sul viso, con baffi e barba castani fluenti, sono evidenti gli occhi. La veste panneggiata, la mantellina e lo zucchetto sono rossi, la sopravveste con leggere pieghette è bianca. A lato del santo è accucciato l’inseparabile leone. Evidente la presenza dell’erudita è nell’Officina, pur non essendo nessuna effige a lui riconducibile. È l’impostazione stessa della stanza, la tipologia e il colore dei mobili e in particolare della libreria, chiusa da ante, che ricordano il quadro “San Girolamo nello studio” di Antonello da Messina. Sempre al Vittoriale nell’Oratorio Dalmata, la stanza che ricorda l’impresa fiumana del poeta-guerriero e il legame “sacro” di d’Annunzio con i suoi fedeli, si può ammirare in un ambiente arredato con sedili di legno scuro simili a quelli di un coro monastico e dipinti di santi e oggetti d’uso religioso, un olio su tela il cui soggetto dichiarato è Giobbe, ma molti ravvisano San Gerolamo. Il quadro, collocato sulla parete ovest ed eseguito dal De Ribeira intorno alla metà del 1600, è alto 103 cm e largo138 cm. Il profeta o il santo è seduto a terra, il viso di profilo, il busto ruotato verso l’esterno; il dorso proteso in avanti, la gamba destra è flessa con il ginocchio verso l’alto e il piede poggiato al suolo; la gamba sinistra è leggermente piegata verso l’esterno e il piede è adagiato sopra il destro. La mano destra, posta sul fianco sinistro, trattiene il panno verde-azzurro che copre la parte inferiore del busto del santo; il braccio sinistro è ricurvo e la mano afferra l’indumento. Il volto, non proporzionato rispetto al corpo coperto di pustole, è ornato da una corta barba grigia, ha un’espressione estatica. Lo sfondo è scuro ed omogeneo e contrasta con il biancore del corpo in cui sono evidenti i giochi d’ombra. La doppia identificazione del ritratto è dovuta all’ubicazione dello stesso nell’Oratorio Dalmata, aggettivo legato all’origine di San Girolamo; lo stesso d’Annunzio invece definisce in modo diverso il personaggio dell’opera in una sua missiva all’architetto Maroni: – Stanotte ho sorpreso il Giobbe del Riberia, ignudo uscito dall’Oratorio, salire la sua scala esterna! Avendolo interrogato sul compimento, nei secoli egli mi ha risposto in napoletano “Speremmo a Dio” Indovina chi? – Fu erudita di nobile famiglia – Divenne santo – Fu segretario del papa – Fu monaco ed eremita – Una leggenda fu a lui legata – Revisionò la traduzione in latino della Bibbia – Era molto amato dagli uomini di cultura – Nelle raffigurazioni è posto nello studiolo o in un paesaggio selvaggio e solitario – È accompagnato da un animale – I simboli che lo identificano sono: il teschio, la clessidra, la candela, il libro – Nelle opere indossa il cappello cardinalizio 29 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 4 Sacro e profano progetto 5 Ora Museo! Ma prima…? Poetando Sotto un cielo di stelle dorate Il monaco celato s’intravede Nello sfumato d’un chiarore lieve. In penitenza, via dalla civiltà, nell’anfratto tra l’oscura selva con la fiera il pio eremita sta Nell’antica dimora del Podestà l’erudita medita, l’aria mesta ha, nello studiolo leggendo resta. Nei pressi dell’Officina amata sotto forma lignea, dorata, pinta il saggio santo sul Vate vegliava. Nel mistico Oratorio Dalmata egli, uomo dalla doppia identità, ci nasconde la sua personalità. Chi e dove Classi coinvolte Docenti referenti progetto 5 Ora museo! Ma prima …?! Acrostico Santo Amato Nei Gloriosi Irenici Religiosi Oratori Lo Adorano Monaci Osservanti Anagrammi “Amar il sogno” “Solingo amar” 30 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Scuola Primaria A.Lozzia – Gardone Riviera Quarta attuale Quinta Saletti Udilla, Tripodi Eufemia Introduzione Nella nostra scuola è consuetudine, ormai da molti anni, in classe quarta, avvicinare gli alunni alle realtà culturali ed artistiche del territorio ed in particolare far conoscere il monumento locale: il Vittoriale degli Italiani. All’inizio dell’anno scolastico 2011/2012 è stato avviato il laboratorio”Alla scoperta del Vittoriale”. Poco tempo dopo ci è stato proposto di aderire al progetto delle Vie dell’Arte”Luoghi di vita e d’arte. Ricostruire la storia”. L’idea è stata illustrata alla classe, cercando di valutare insieme ai bambini, se il tema proposto potesse inserirsi nella ricerca che si stava attuando e se si potesse realizzare un itinerario di lavoro interessante, avvincente e curioso, ma anche impegnativo, che andava ad aggiungersi a quello curricolare. Gli alunni, consapevoli che tale iniziativa avrebbe costituito un ulteriore impegno, hanno accolto la proposta positivamente e con entusiasmo, anche perché l’attuazione del progetto prevedeva alcune uscite: la visita al Museo di Santa Giulia a Brescia, al complesso monumentale della Fondazione Ugo Da Como a Lonato e al Vittoriale. È così che tutta la classe è stata coinvolta nella progettazione, nella ricerca, nelle visite ed elaborazione dei testi, mentre gli alunni frequentanti le attività opzionali si sono occupati della “fase redazionale”, riordinando, organizzando il materiale, i contenuti, trascrivendo testi a computer e facendo disegni. Volutamente non sono state fornite anticipazioni riguardo i tre musei, perché solo dagli spunti offerti dai Luoghi oggetto della ricerca , dalla curiosità e dalla fantasia dei bambini,si sarebbe scelto il tema da approfondire. Come già scritto inizialmente, la “scoperta del Vittoriale” era già stata avviata e si è deciso di mantenere lo stesso percorso anche per gli altri Luoghi di vita e d’arte. 31 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 5 Ora Museo! Ma prima…? progetto 5 Ora Museo! Ma prima…? I nostri alunni avevano espresso le loro idee sul Vittoriale: Per noi il Vittoriale è… • Monumento importante perché ha vissuto una persona importante • Casa dove ha vissuto Gabriele d’Annunzio • Museo dove ci sono tante statue • È’ un teatro in cui si interpretano idee di persone importanti • Luogo pieno di storia dove si possono scoprire cose del passato e la storia • di d’Annunzio • Il centro storico di Gardone, tipo “il museo” di Gardone Il Vittoriale si chiama così perché… • Gli italiani hanno vinto una guerra • D’Annunzio si chiamava Vittorio • In onore della regina Vittoria che amava molto l’arte e aveva simpatia • per d’Annunzio • D’Annunzio era stato fortunato, “vittorioso” per essere sopravvissuto • all’incidente con il suo aereo • Sono le iniziali della sua fidanzata e dei suoi figli: VITtoria TOmmaso Riccardo ALEssandro Durante la prima visita al Vittoriale, gli alunni hanno fatto degli schizzi di alcuni scorci significativi della Cittadella. Una volta in classe, consultando anche la mappa del percorso artistico ed architettonico del monumento, i bambini hanno scritto una relazione della visita e si sono poi divertiti a scrivere acrostici sui diversi luoghi. Immagina eNtrare Gabriele e MaRoni Esaminando Schizzi, diSegni Originali Torna E Ascolterai Tragedie, dRammi Opere Portano In aLto Ideali sEmicerchio Singolare comprEnde corriDoi tRa Archi 32 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Particolare Residenza Inspiegabilmente Originale Racconta e rIcorda d’Annunzio Noi Per immAginiamo Un avVenture Grande mEravigliose Lontano Indimenticabile viaggio Maroni Aveva Uno Schizzo per tOmbe iLlustri Ed Originali Fra Dominano l’Ombra DonnainsiEme uN E La TorrentedeLfino Fontana Alimenta Invitando laNciare Nuova AcquasOldini Continuando le nostre visite al Vittoriale, gli alunni hanno scoperto i giardini privati attraverso una “caccia al tesoro” ideata con gli alunni che,qualche anno fa, avevano partecipato al progetto”Sulle orme dei collezionisti”. Hanno così potuto conoscere i luoghi che caratterizzano i giardini e realizzare altri acrostici. MAPPA DEI GIARDINI PRIVATI B1. Ingresso Fontana circolare C3. D3. Limonaia C1. Portico del Parente Arco con scritta in latino D3. D4. Terrazza dell’oca A2. Pilo della Reggenza A4. Cimitero dei cani B2. Statua di San Francesco B4. Tomba di Renata B2. C2. Massi del Piave C4. D4. Giardino all’italiana D2. Arengo B5. C5. D5. Frutteto A3. Porta ad arco Serra B6. C6. D6. Frutteto B3. Colonna Marciana Piazza Due Interna Auto dAvanti Lussuose, AbitaZione. Mentre D’AnnunZiogArdonesi parchEggiavasTupiti, abiTualmente Ammiravano! Tipo 4 e IsottA 33 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 5 Ora Museo! Ma prima…? gabriele possano indica realizzarsi: a in maroni viali, dove arengo, i tombe nuovilimonaia schizzi GRANDE IMMENSA VARIETà DI ARBUSTI. D’ANNUNZIO RICERCA NUOVE ISPIRAZIONI progetto 5 Ora Museo! Ma prima…? Guardate! Innumerevoli Azalee Rose Dai Profumi Inebrianti INVITANO A PASSEGGIANDO TRA SENTIERI, VIALI, STATUE. TUTTO INCREDIBILE!!! Passeggiare Tra I Viali Ammirando Tanti Fiori GALANTI INVITI A RAGAZZE E DONNE IMPORTANTI. NUMEROSI i PIATTI raFFINATI SUI VASSOI ARGENTATI. PORTICO GREMITO!! GABRIELEPER INSIEME RICERCARE AI MARONI VARI DISCUTONO ANGOLI DEL DI TUTTO NUOVE INSOLITI IDEE A questo punto del lavoro i bambini avevano ormai una conoscenza globale del “loro” Vittoriale e avevano potuto verificare se le ipotesi che avevano formulato all’inizio della ricerca fossero più o meno confermate. Rimaneva da verificare cosa originariamente ci fosse in quel luogo prima che diventasse Vittoriale. Le loro ipotesi erano state: In quel luogo prima c’era… • Un ospedale di guerra • Una grande piazza dove c’era stata una battaglia importante • Una casa dove si riunivano generali,colonnelli per decidere il da farsi sulla guerra • La croce rossa • Il ritrovo di combattenti • Il municipio di Gardone • Una pista d’atterraggio per gli aerei 34 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia A questo punto il nostro lavoro si è accentrato proprio su questo tema, da qui il titolo del progetto: Ora museo, ma prima…? A riguardo sono state fornite alcune notizie storiche: Il Vittoriale degli Italiani, così Gabriele d’Annunzio definì la Casa-Museo che l’avrebbe ospitato negli ultimi anni della sua vita,occupa un terreno molto vasto in cui si trova un complesso di edifici, tra cui il Museo D’Annunzio eroe, gli Archivi, le Biblioteche e il Teatro, piazzette, viali e fontane, rappresentando non semplicemente una dimora, ma un vero e proprio museo in cui sono contenute reliquie, ricordi, oggetti preziosi. Nel gennaio del 1921, D’Annunzio,terminata l’impresa di Fiume, si trovò praticamente senza casa. Fu ospitato in casa di amici e, nel frattempo, incaricò l’amico Tom Antongini di cercargli una casa sul lago di Garda. “Sono desideroso di silenzio dopo tanto rumore, e di pace dopo tanta guerra”. La scelta cadde sulla villa Cargnacco, a Gardone Riviera: immersa nel verde, su un illustre tedesco studioso d’arte che fu costretto ad abbandonare la sua residenza italiana. Era una costruzione simile alla casa di un parroco e per questo D’Annunzio la chiamerà “Prioria”. Sorgeva all’incrocio di tre strade campestri:una conduceva a “Gardone Soprano”, l’altra a Fasano Sopra (l’attuale viale Aligi) e un’altra scendeva verso il lago, in direzione dell’attuale Casinò. A sinistra della costruzione c’erano una macina per le olive e una legnaia, di fronte al lavatoio. D’Annunzio visitò la casa e ne fu subito colpito: Hic manebimus optime (“Qui starò ottimamente”) affermò il poeta che, stipulato il contratto d’affitto per 600 lire al mese andò ad abitarci il 14 febbraio 1921. L’intenzione iniziale era quella di un breve soggiorno ma, poco dopo, si delineò il proposito di acquistare la villa: d’Annunzio, dall’indole irrequieta e itinerante, non aveva mai abitato una casa di proprietà e il 31 ottobre 1921, per la somma di 130.000 lire, entrò in possesso della casa. Oltre alla villa, con i rustici annessi, d’Annunzio entrò in possesso anche dei circa seimila volumi della biblioteca di Thode, mobili, tra cui un pianoforte, quadri e suppellettili. Successivamente acquistò anche i terreni vicini, costituendo una vera e propria cittadella fortificata. L’aspetto della sua nuova residenza contrastava fortemente con il lusso e le stravaganze del poeta: la villa del Cargnacco era una semplice casa di campagna, che bisognava stodeschizzare e che aveva la necessità di interventi di manutenzione. Dapprima soprannominata Eremo, in seguito prese il nome che conserva tuttora di Prioria. La modificò e la arredò secondo i suoi gusti. Nei giardini della Prioria, d’Annunzio allestì, in un boschetto di magnolie, un luogo per le riunioni con i legionari: scanni in pietra in circolo, un trono e tra i fusti degli alberi diciassette colonne simboleggianti le vittorie della guerra. Il poeta chiamò quel luogo con il nome di Vittoriale ma, ben presto, il luogo di raduno muterà il suo nome in Arengo. D’Annunzio aveva bisogno di denaro per compiere l’opera che man mano prendeva corpo nella sua mente: costruire attorno a sé una città-museo dove poter esaltare le proprie imprese,continuando a vivere nell’agiatezza e nel lusso. Decise allora di donare il Vittoriale in cambio delle risorse necessarie alla sua realizzazione: maggiori contributi avrà, più grandioso sarà il dono. Inciso sul frontone all’ingresso del Vittoriale, tra due cornucopie, il motto: “Io ho quel che ho donato”. 35 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 5 Ora Museo! Ma prima…? progetto 5 Ora Museo! Ma prima…? Il 22 dicembre 1923 il Vittoriale venne donato allo Stato Italiano e diventò Monumento Nazionale. La stipula dell’atto che dichiarò la donazione del Vittoriale allo Stato, garantì il finanziamento necessario alla sua costruzione: prese dunque avvio la Fabbrica, subito qualificata come” Santa” da d’Annunzio, il quale si avvalse del giovane architetto Gian Carlo Maroni, battezzato ‘Maestro delle pietre vive”. La casa si arricchì di statue, tappeti, stemmi, soprammobili, oggetti preziosi e non, e per ogni stanza creò un nome diverso. Poi si occupò degli esterni: nascono giardini, viali, fontane, vallette che si popolavano di statue e di trofei di guerra Ogni luogo ha un nome diverso, alcuni ricordano la tradizione marinara; D’Annunzio amava farsi chiamare”Comandante” I lavori continuarono anche dopo la morte del poeta, fino al 1950, prendendo l’aspetto attuale. Ascoltata la storia i bambini hanno liberato la loro fantasia e, attraverso il disegno, hanno immaginato il luogo occupato oggi dal museo. Nel gennaio del 1921, D’Annunzio incaricò l’amico Tom Antongini di cercargli una casa sul lago di Garda. La scelta cadde su Villa Cargnacco immersa nel verde, su un colle terrazzato, tra un uliveto e una limonaia, era di proprietà di Henry L’Architetto Gian Carlo Maroni Dal momento in cui D’Annunzio si stabilì a Gardone, attraverso fotografie d’epoca, si è cercato di ricostruire le tappe della “Fabbrica del Vittoriale”. Il 31 ottobre 1921 D’Annunzio acquista Villa Thode, con annessi rustici; la casa colonica allora abitata dal sindaco del paese e situata poco più giù quasi dirimpetto alla villa; la casa del giardiniere ancora più giù sulla strada di Cargnacco, verso il lago. Quando D’Annunzio, stabilito già a villa Cargnacco, decise di assumere un architetto che lo aiutasse a “tradurre in pietre vive” ciò che lui aveva in mente, i bambini hanno immaginato l’incontro tra il poeta e l’architetto. Thode, illustre tedesco studioso d’arte che fu costretto ad abbandonare la sua residenza italiana. La villa era una costruzione simile alla casa di un parroco e per questo D’Annunzio la chiamerà “Prioria”. Sorgeva all’incrocio di tre strade campestri. A sinistra della costruzione c’erano una macina per le olive e una legnaia, di fronte un lavatoio. Dalla fase” artistica” i bambini sono poi passati a quella narrativa, immaginando l’amico Tom Antongini indaffarato a “cercar casa al poeta”. 36 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia – Bel posto. Non è niente male – pensava D’Annunzio osservando il luogo dove viveva da alcuni mesi. – Buona scelta. Tom mi è stato di grande aiuto, ma vorrei dare a questo luogo “qualche ritocco!” Non posso fare tutto da solo, qualcuno mi dovrebbe aiutare… Ah,adesso ricordo!… da qualche parte ho conservato il nome di un architetto di cui mi hanno parlato bene! Mattoni? Marconi Mosconi?! D’Annunzio fra la marea delle sue scartoffie trova un biglietto… – Ecco, Maroni, è proprio lui che cercavo! Fisso subito un appuntamento! Dopo alcuni giorni l’Architetto arriva a Gardone e D’Annunzio lo riceve. – Piacere, sono l’Architetto Maroni e per me è un vero onore conoscerla – esclama 37 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 5 Ora Museo! Ma prima…? Maroni porgendo la mano a D’Annunzio. – Onore mio! Ho sentito parlare molto bene di lei, so che ha idee originali! Vorrebbe lavorare per me? Maroni chiede: – Ma che lavori intende fare? Qui mi sembra già tutto molto bello, anzi perfetto! – “I soliti campagnoli” sospira D’Annunzio. – Io sono un tipo creativo, originale e vorrei trasformare questo luogo, un po’ modesto per i miei gusti, ma mi serve il suo aiuto! – Accetto la sfida – esclama Maroni – ma non mi deve più chiamare “campagnolo” – aggiunge un po’ risentito! – Allora mettiamoci al lavoro! – L’avverto però,s ono molto esigente, un po’ pignolo e mi piace fare di testa mia! Maroni pensa: –Mi starò cacciando in un mare di guai?… Questo scrittore mi sembra un tipo estroso e anche capriccioso! Pignolo è dir poco! Forse non è stata una buona idea accettare subito! – Signor D’Annunzio con quali lavori vorrebbe iniziare? – chiede l’Architetto. – Ah, non c’è che l’imbarazzo della scelta! Demolire qualche edificio,abbellire il giardino, realizzare un bell’ingresso alla mia residenza, sistemare le stanze della casa… trovarmi una bella donna… (scherzo In questa pagina eh, ne ho già a sufficienza)… costruire un teatro… dall’alto, una vecchia Maroni tra sé: fotografia di Gardone. – Caspita, ma questo vuole scherzare, sarà un’impresa che mi Sopra e del Cargnacco. occuperà per anni!! Speriamo almeno di essere pagato abbondantemente. Casa del sindaco, quasi D’Annunzio continua: fronteggiante la villa, demolita per far posto ai – Poi vorrei creare tanti viali, luoghi rilassanti e loggiati dell’Esedra. particolari in ricordo alla guerra e alle Vittorie, per Villa Tthode (Prioria). questo chiamerò questo luogo “Vittoriale”. Maroni conclude : Cortile villa (oggi cortile – Allora, si parte! Si dia inizio alla degli Schiavoni). “Fabbrica del Vittoriale”! Schizzi per la sistemazione della Piazzetta dalmata. In basso a sinistra, il Casseretto. Per la trasformazione degli interni ed esterni del Vittoriale, D’Annunzio fu affiancato da un pazientissimo architetto trentino di Arco, Gian Carlo Maroni, che si stabilì nel Casseretto sede della direzione dei lavori della “Fabbrica del Vittoriale”. Con lui D’Annunzio tenne una fitta corrispondenza fatta di messaggi, bigliettini, schizzi, con i quali il poeta dava le sue disposizioni o chiedeva consiglio all’architetto. Maroni continuò i lavori del Vittoriale 38 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 5 Ora Museo! Ma prima…? La villa vista dai giardini privati. D’Annunzio fu affascinato dall’ampio giardino a terrazze, ideale per lunghe passeggiate con i suoi amati levrieri. Lettera di D’Annunzio (che spesso si firmava Gabriel) a Maroni anche dopo la morte di D’Annunzio e fu sepolto nel Mausoleo. Nelle tappe della costruzione del Vittoriale, i nostri alunni si sono divertiti a scrivere dei testi nei quali immaginavano i vari momenti in cui D’Annunzio e Maroni completavano la “Fabbrica del Vittoriale”. Nave Puglia D’Annunzio ebbe un’idea: modificare una delle sue colline per insediarvi la nave Puglia (perché la Marina militare gliel’aveva generosamente regalata). Chiese suggerimento all’architetto Giancarlo Maroni come fare a portare la nave Puglia fino al Vittoriale. – Oh mio saggio amico! – domandò – come possiamo posizionare la nave Puglia sul promontorio della Fida ? Sperduto e un po’ sconsolato per l’insolita richiesta, l’architetto Maroni rispose: – So che a te piacciono le imprese azzardate… ma abbiamo già qui il Mas! Ma D’Annunzio testardo continuò: – Potremo trovare il modo per farci stare anche la nave Puglia! Potremo portarla con dei vagoni ferroviari fino a Brescia, caricarla a pezzi su speciali camion e arrivati al Vittoriale rimontarla, posizionarla con le gru giganti che ci prestano i cantieri navali di Marghera, dove conosco alcuni ingegneri… Al sessantatreesimo compleanno di D’Annunzio arrivò la nave Puglia trasportata su venti vagoni ferroviari non a Brescia, ma a Desenzano e da lì con i camion e le gru di Marghera la posizionarono su altri camion giganteschi. I pezzi della nave, senza disguidi ed incidenti, arrivarono a Gardone Riviera. – Noi adesso possiamo costruire una funivia e portare i vari 39 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 5 Ora Museo! Ma prima…? progetto 5 Ora Museo! Ma prima…? pezzi della nave al Vittoriale, così da poterla montare!!-disse D’Annunzio – e, vedrai che meraviglia, tutti la vorranno vedere…! Poi tutto funzionò alla perfezione e la nave Puglia venne posizionata sul promontorio della Fida!! Alla fine dei lavori D’Annunzio salutò tutti gli operai e disse a Maroni: – Caro architetto, un po’ più di fantasia avrebbe condito meglio la nostra impresa, eppure anche così sono soddisfatto! E Maroni pensò: – Ma questo comandante oltre che essere originale, fantasioso e… a volte rompiscatole, non è mai contento! (Siegfried ) Sarà un teatro all’aperto, enorme, come quelli greci! Tanto qui di spazio ce n’é a volontà! – Ma cosa ci farà in quel teatro!? – Tu pensa a progettarlo che io ho già le mie idee! Ti do una settimana di tempo per andare a vedere alcuni teatri e prendere spunto! – Una settimana è un po’ troppo poco, però farò del mio meglio! Lei Comandante ha sempre ragione! Nel 1930 D’Annunzio manda Maroni con lo scultore Brozzi a visitare il teatro di Pompei e Taormina e nel 1934 inizia la costruzione del Teatro , concluso dopo varie interruzioni nel 1953. La prua della nave Puglia, regalata dalla Marina Militare, fu trasportata in 20 vagoni ferroviari fino a Desenzano e poi su autocarri fino a Gardone, dove venne costruita una teleferica per trasferire i pezzi al Vittoriale. Mausoleo Mentre passeggiavano lungo il Viale Aligi, D’Annunzio disse a Maroni: – Ascolta, voglio già progettare la mia tomba… saresti disposto a farmi un progetto? Maroni tutto perplesso per questa nuova iniziativa con sicurezza affermò: – Ma certo! Gabriel puoi contare su di me! D’Annunzio iniziò: – Non vorrei una semplice tomba ma la vorrei così e cosà… e vorrei anche che fosse “vista lago”. – Sì…ho capito, lei non vuole una tomba come le altre, ma vuole una tomba dentro un masso di pietra che si veda anche da lontano. – Lei ormai mi capisce al volo! – Domani avrò pronto il progetto! – esclamò Maroni. L’indomani D’Annunzio accolse l’architetto: – Buon giorno Maroni, allora è pronto il progetto? – Certo! Allora le va bene avere undici amici che la circondano, anche loro con la bara dentro la pietra, e lei al centro… avrà la vista lago come voleva, allora le piace sì o no? – Va bene il progetto mi piace. Accetto, sei un vero architetto! Mi sa che anche da morto ti vorrò vicino! Maroni gli lancia un’occhiataccia, mentre dietro la schiena fa le corna per scaramanzia! (Allegra) Teatro Un giorno Maroni ricevette un biglietto da D’Annunzio. – Guai in vista! sento puzza di bruciato! Mi sa che ha escogitato qualcosa di nuovo! Maroni apre la busta e legge: “Caro Giancarlo, vorrei un posto dove far conoscere le mie opere. Vieni da me alle 17 in punto! Gabriel” –Lo sapevo, pensa sempre in grande! Abbiamo appena finito la Prioria, l’Esedra, la nave Puglia e adesso… che vorrà ancora?! Maroni si recò da D’Annunzio con aria sospetta... – Eccomi qua, cosa desidera Comandante? – Sai ,Giancarlo, è da un po’ che mi frulla per la testa di avere qui nella mia cittadella un bel teatro… – Mmh, bella idea! dove potremmo farlo? Nella Prioria le stanze sono un po’ piccole … ma D’Annunzio subito lo interrompe: – Ma no, cosa sta dicendo?! Non voglio un teatro sempliciotto da oratorio. 40 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Un colle, che fu poi chiamato Mastio, venne spianato e iniziarono i lavori per la costruzione del Mausoleo che fu concluso nel 1955. La città di Vicenza nel 1932 donò al Vittoriale undici arche romane che furono disposte circolarmente. C’è anche la tomba dell’architetto Giancarlo Maroni. La salma di d’Annunzio fu trasferita dal Tempietto delle memorie al Mausoleo nel 1963. 41 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 5 Ora Museo! Ma prima…? progetto 5 Ora Museo! Ma prima…? Come gli abitanti di Gardone hanno accolto l’arrivo di D’Annunzio nel nostro paese Conclusa la parte riguardante la “Fabbrica del Vittoriale” i bambini erano incuriositi di come gli abitanti di Gardone avevano vissuto l’arrivo di un personaggio così famoso, hanno cercato alcune testimonianze tra i loro nonni nativi di Gardone. Cercavano qualcuno che ricordasse se i loro genitori raccontavano qualcosa riguardo D’Annunzio, ma hanno saputo ben poco. - Il nonno di Mattia ha ricordato che un suo zio era stato assunto nel 1922 da D’Annunzio con mansione di giardiniere, doveva coltivare l’orto e badare ai cani, tutti levrieri che spesso gli rovinavano l’orto, gli prendevano le scarpe e gli rosicchiavano le giacche. D’Annunzio era molto contento dell’ operato del giardiniere e ogni tanto lo omaggiava con piccole offerte e ringraziamenti scritti, dove il poeta chiamava Pietro, il giardiniere, “fra Pierolino di san Damiano. San Damiano frate benedettino, prega e lavora! - Un’ altra persona ci ha detto che D’Annunzio raramente si faceva vedere a Gardone. Usciva dal Vittoriale in auto e riceveva molte persone importanti. Aveva un farmacista ed un medico personale. - La nonna di Giulia ci ha detto che D’Annunzio era un uomo interessante e che aveva tante ammiratrici. - La nonna di Francesca non ha conosciuto D’Annunzio, ma ricorda la moglie la principessa di Montenevoso. il complesso monumentale hanno pensato che in quel luogo in origine ci fosse: - Un castello circondato da una rigogliosa vegetazione, la quale nascondeva l’edificio da eventuali attacchi. - Luogo di avvistamento di nemici - Villa abitata da persone nobili Dopo aver visitato la casa ed ascoltato le spiegazioni della guida, i bambini hanno tradotto le informazioni in disegni, arricchendoli anche con la fantasia. L’antica rocca con casa. Caserma proprietà del demanio austriaco Edificio abbandonato in cui trovavano riparo i poveri. Questo il percorso didattico attuato per conoscere la trasformazioni del luogo in cui sorge il Vittoriale. Contestualmente al lavoro sul monumento locale, i bambini hanno visitato la Casa del Podestà a Lonato e il Museo Santa Giulia a Brescia. Il tema di “cosa c’era prima”, delle origini storiche, ha riguardato anche gli altri due musei, anche se le attività svolte sono state notevolmente ridotte rispetto al Vittoriale. Del Museo S.Giulia i bambini sapevano solo che c’erano reperti storici che avevano visto di sfuggita in occasione della visita ad una mostra di pittura. Le ipotesi riguardo a quel luogo sono state che prima c’era: - una chiesa o un duomo. - la dimora di una regina e della sua corte. - una piazza intitolata a Santa Giulia che era la protettrice della città. - un riparo per i senzatetto. - un orfanotrofio. - una casa romana. - Il luogo dove una donna è stata torturata ed uccisa e poi è diventata santa. Della Casa di Ugo Da Como i bambini non avevano nessuna conoscenza. Vedendo Anche per questo museo, dopo la visita e le informazioni della guida, i bambini hanno rappresentato le trasformazioni storiche del complesso monumentale: 42 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 43 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 5 Ora Museo! Ma prima…? - centro storico dell’antica Brixia Romana. - Terme per la nobiltà. - Invasioni barbariche durante le quali tutto venne distrutto. - Monastero benedettino costruito nel 753 D.C. dedicato a S. Giulia voluto da Re Desiderio e sua moglie. A conclusione di questo lavoro che i bambini hanno trovato impegnativo,ma anche divertente, abbiamo riproposto una mappa ( non finalizzata al progetto) che inizialmente era stata realizzata sulle differenze tra “monumento” e “museo Percorsi didattici Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Scuole secondarie Per noi un monumento è…. - Luogo che una volta era una casa, un castello ed è diventato simbolo di un paese. - È qualcosa che è rimasto come è stato trovato. - Vecchia casa abitata da persone importanti del passato. - Può essere una statua o un luogo. - Simbolo significativo per una città. Per noi un museo è…. - Luogo pubblico dove le persone possano ammirare oggetti del passato. - Luogo dove vengono esposti gli oggetti importanti di una città. - Esposizione di quadri e opere d’arte. - Può essere una casa non abitata. - Luogo per ricordare la vita di qualcuno. Rileggendo la mappa gli alunni si sono resi conto che le ipotesi che loro avevano formulato potevano trovare riscontro nei tre musei considerati , poiché tutti sono Luoghi che conservano oggetti antichi, preziosi da vedere e conoscere. Questi importanti musei hanno avuto un’origine diversa, i luoghi in cui sono sorti si sono modificati, sicuramente cambieranno ancora e in futuro, forse, potrebbero non esistere più. Ci auguriamo che questo non accada mai. È nostro compito, proprio attraverso un lavoro di ricerca e di studio, far conoscere e tutelare i nostri patrimoni culturali ed artistici locali. 44 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 45 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 6 Come le tre dimore divennero museo Chi e dove Classi coinvolte Docenti referenti Scuola secondaria di primo grado Lana Fermi – Brescia Seconda E Dora Tartaglia, Iolanda Piantoni e Roberta Guaita progetto 6 Come le tre dimore divennero museo Il Vittoriale degli Italiani Subito dopo il suo ritorno da Fiume, occupata e governata per quindici gloriosi mesi, Gabriele D’Annunzio incarica i suoi amici di trovargli una casa nella zona dei laghi lombardi. La scelta cade su un’abitazione immersa nel verde, affacciata sul Garda tra un uliveto ed una limonaia, requisita come risarcimento per i danni di guerra allo studioso tedesco Heinrich Tode e scovata dall’amico e segretario, nonché biografo Tom Antongini. Questi, dopo aver scartato la vicina Villa Alba, “pomposa parodia del Partenone” ed il fasto umbertino di Villa Zanardelli, rimane colpito da “un’onesta e modesta casa di campagna” per il giardino di azalee, viole, garofani, fresie – ma soprattutto rose – ideale per un poeta. All’interno della casa elementi di seduzione per D’Annunzio, uomo colto e amante dell’arte, una stanza tappezzata di volumi dal pavimento al soffitto ed un grande pianoforte a coda appartenuto a Franz Liszt. La villa di Cargnacco, da rifugio appartato e provvisorio, diviene così la dimora definitiva del Poeta e la casa di campagna si trasforma nel Vittoriale. Subito affittata e ben presto acquistata, la proprietà è affidata per la ristrutturazione a Gian Carlo Moroni, architetto giovane ed ex combattente: il suo compito immediato è “stodeschizzare” la villa per dirigere poi la “Santa Fabbrica” del Vittoriale. L’atto di donazione di questo agli Italiani è del 1923 e i lavori si susseguono nei giardini, nella casa chiamata Prioria e nel nuovo ampliamento detto, sempre dal Poeta, Schifamondo. A Maroni il difficile compito di accontentare e di far coabitare il collezionista avido di oggetti, ‘l’artista estroso che vuole imprimere in ogni cosa la sua impronta, il soldato che intende affidare al Vittoriale la memoria delle sue imprese e della vittoria italiana nella Grande Guerra. I lavori per allestire ogni angolo, gli arrivi degli oggetti da collocare – dalla piccola statuetta alla prua della Regia nave Puglia (venti vagoni ferroviari per trasportarla) – proseguono anche dopo la morte di Gabriele D’Annunzio, avvenuta il primo marzo del 1938. La casa del Podestà Per il Vittoriale il passaggio da dimora a museo è, nonostante la grande mole di lavori, abbastanza semplice e naturale. Un poco più vivace la storia della casa del Podestà. Costruita quando Lonato entra a far parte della Repubblica di Venezia, è la dimora per oltre trecentocinquant’anni del rappresentane di San Marco sul territorio. Quando, con l’arrivo di Napoleone, Venezia è ceduta all’Austria la casa diventa una caserma ed il degrado dell’edificio non si arresta con il passaggio all’Italia, quando il comune di Lonato la utilizza come alloggio per i poveri. Nel 1906 l’avvocato e deputato liberale Ugo Da Como la acquista ad un’asta: il suo disegno è di far rivivere, nell’architettura e negli arredi, la dimora storica cinquecentesca e di abitarla personalmente, trasformandola in una casa-museo dove, soprattutto negli ultimi anni, vivere e lavorare. 46 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 47 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 6 Come le tre dimore divennero museo progetto 6 Come le tre dimore divennero museo Il compito del restauro è affidato a Tagliaferri, famoso architetto bresciano specializzato nel ricreare, per i suoi committenti, l’atmosfera “storica” del passato. Il Senatore, col tempo, completa la sua proprietà acquistando la rocca visconteo-veneta che sorge alle spalle della casa ed alcune abitazioni ai suoi piedi, con lo scopo di salvare la memoria storica dell’antica “cittadella” lonatese. Alla sua morte, nel 1941, le proprietà con la grande Biblioteca – ricca di oltre trentamila volumi – viene lasciata alla Fondazione, un ente creato per promuovere e sostenere la cultura. nel 1830 la chiesa di S. Maria in Solario è cella per i condannati a morte e durante le Dieci Giornate ha sede vengono ricoverati e curati i feriti. Ormai unito al Regno d’Italia, il Comune prende in affitto le tre chiese, che vengono usata come magazzini; solo nel 1882 viene allestito dal Tagliaferri, nella chiesa di S. Giulia, il Museo dell’Età Cristiana. Il convento intorno, purtroppo, quando cessa di essere caserma diventa sede della polizia, offre poi una sede ai Balilla e un tetto temporaneo agli sfollati dell’Africa Orientale. Finita la guerra, in alcuni locali fanno lezione gli alunni della scuola media Ugo Foscolo e nell’ortaglia del monastero l’affittuaria società Bettini costruisce campi da tennis. Bisogna giungere al 1977 perché il professor Emiliani e la Direzione dei Musei preparino un piano per la sistemazione di tutto il complesso come sede del Museo della Città. Notizie raccolte e rielaborate dagli “storici” Martina, Oscar, Zeenat, Alessandro L. e Andrea. Il monastero di S. Salvatore e S. Giulia Ancora più lungo e avventuroso è il percorso da dimora a museo del monastero benedettino di S. Giulia a Brescia, divenuto ora Museo della Città. Sopra i resti delle domus romane, sopra le tracce delle primitive capanne longobarde, affacciato sull’antico decumanus maximus e in prossimità della porta per Verona, viene fondato nel 753, per volontà del re longobardo Desiderio, il convento femminile di S. Salvatore. Nel 763 vengono trasportate qui dall’isola Gorgona le reliquie della martire cartaginese S. Giulia ed il luogo, divenuto meta di pellegrinaggi, aggiunge al nome primitivo quello della santa. Per oltre mille anni il monastero attraversa la storia della nostra città, alternando Qualcosa in comune? Cosa può mai accomunare la storia di tre dimore così diverse, abitate poi da persone così lontane tra loro, un estroso artista eroe di guerra, un senatore del regno d’Italia colto e saggio, delle monache benedettine dedite alla preghiera? Nella storia delle case ci sono, è vero, alcuni punti di contatto. D’Annunzio ed il Senatore hanno dato vita a due case- museo ( luoghi per viverci ma destinate ad essere lasciate ai posteri) situate entrambe sulle colline moreniche che circondano il lago di Garda. Un momento comune nella storia della Fondazione di Lonato e del Monastero bresciano è l’uso, dopo l’arrivo di Napoleone, degli edifici come caserma e come rifugio per senzatetto, con il conseguente loro degrado. C’è però qualcosa di più profondo che lega le tre dimore: sono il luogo che i loro abitatori scelgono per appartarsi dal mondo. D’Annunzio definisce la sua casa sul Garda “eremo” e le dà il nome di Prioria, Ugo Da Como dichiara sulla porta d’ingresso di voler lasciare fuori dalla casa il “duro vivere”, confortato da quiete e dagli amici, e non c’è bisogno di spiegare come allontanino dalla vita secolare le mura di un convento di clausura. Sulla porta della Prioria compaiono proprio le parole “silentium” e “clausura”, e la biblioteca del Senatore assume la forma di una chiesa per sottolineare il carattere sacro della vita dedicata alla cultura. Tutte le dimore non sono però luoghi per fuggire il mondo; il loro compito è, invece, lavorare per il mondo, trasmettere agli uomini che vivono e vivranno di fuori i Valori sacri ai loro abitanti, l’arte e l’eroismo per D’Annunzio, la storia e la cultura per Ugo Da Como, la salvezza e la vita eterna per le monache di S. Giulia. Andiamo per musei momenti di fervore spirituale ad altri di minor rigore morale, affiancando alla preghiera l’assistenza ai bisognosi e interpretando, soprattutto nel Medioevo, un importante ruolo economico e politico. Nel 1798, all’arrivo di Napoleone, il monastero viene soppresso e le monache ricevono l’ordine di sloggiare entro venti giorni. Le proprietà dell’ordine vengono messe all’asta e gli edifici, sia sotto i Francesi che sotto gli Austriaci, passano al demanio e sono usati come caserma. Nel tempo si susseguono utilizzazioni non sempre adatte ad un luogo consacrato: Nel rifugio del Poeta-Soldato 48 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 49 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia L’impressione più viva, camminando nei giardini del Vittoriale , guardando il lago e le verdi colline, è di armonia e di pace. Eppure, accanto alla statua di S. Francesco, non lontano dalla tomba dove riposa la figlia dal Poeta chiamata “Sirenetta”, ci sono i massi del Grappa e del Sabotino, ci sono i proiettili di una guerra sanguinosa. Il nostro ideale accompagnatore, il solito Antongini, ci invita, per superare questa contraddizione, a leggere le parole sull’arco d’ingresso della Prioria, non a caso progetto 6 Come le tre dimore divennero museo decorata con due Vittorie: “Sia pace a questa casa. Spirito di vittoria dia pace a questa casa d’uomo prode”. Ci vien mostrata anche la scritta che in un primo momento ci era sfuggita, l’ultimo verso aggiunto dal Poeta al Cantico delle creature di S. Francesco: “E beati quelli ke morranno a buona guerra”. Qualcuno ha definito la salita fino al Mausoleo, dove riposa D’Annunzio, una Via Crucis laica: noi ne cerchiamo e seguiamo le stazioni. Possiamo partire dal pilo della reggenza del Carnaro, passare presso i massi dei monti dove sono stati più aspri i combattimenti della Grande Guerra, e ci fermiamo presso l’Arengo. In un boschetto di magnolie, dei sedili in cerchio ci indicano dove D’Annunzio riuniva i suoi compagni d’arme nell’avventura fiumana per rinnovare il giuramento di fedeltà alla patria. Intorno, diciassette colonne simboleggiano le battaglie vittoriose nella prima guerra mondiale. Più scura, la colonna di Caporetto: noi associamo a questo nome una disastrosa ritirata dell’esercito italiano, ma per il Poeta era il punto di partenza per la riscossa. Sopra, in un’urna, una reliquia laica, la terra del Carso. Più in alto, lungo il percorso che termina al mausoleo, la radura dove sgorga l’acqua della Fontana del delfino potrebbe sembrare solo un fresco luogo di bellezza, ma lì accanto è stato posto l’obice usato nella Grande Guerra. Salendo ancora la prua della nave Puglia è rivolta verso l’Adriatico e Fiume. È stata donata, una volta in disarmo, per onorare la memoria delle imprese dannunziane ma commemora un evento doloroso, la morte del comandante nel mare di Spalato durante i gloriosi giorni dell’impresa fiumana, che continuamente ritorna. All’ultimo anno della guerra contro l’Austria risale invece la beffa di Buccari, una temeraria impresa nella quale D’Annunzio con alcuni compagni penetrò nella guarnitissima baia nemica: la ricorda, nella penultima “stazione” del nostro progetto 6 Come le tre dimore divennero museo ideale pellegrinaggio, il MAS 96, motoscafo antisommergibile, la cui sigla è stata reinterpretata dal Poeta per ricordare il dovere di osare sempre, fino al sacrificio. La nostra Via Crucis termina al Mausoleo: là, nel punto più alto, chiamato dall’architetto Maroni “Colle Santo”, riposa D’Annunzio, circondato da dieci compagni d’arme, che hanno vissuto con lui la sfortunata ma eroica impresa di Fiume. Qui , al culmine di una salita, ci viene recitata una breve ode di Simonide non da Antongini ma da una nostra insegnante – che riesce a “ficcarla” un po’ dovunque – che parla della Virtù e dell’Eroe. È fama che abiti la virtù su impervie rupi e che di ninfe veloci la circondi un coro; ad occhi mortali cela il volto. Solo appare all’eroe cui, nell’attesa -fin che alla vetta giungal’animo morda l’ansia della meta. A questo punto, però, la fine del percorso ed il panorama richiedono una foto di gruppo prima della discesa verso la casa, dove un gruppetto di nostri compagni sarà condotto a visitare l’interno della Prioria. Il percorso fino al mausoleo è stato compiuto dagli “eroici” Michele M, Michele R,, Luisa, Davide e con Grazia. Nella casa l’atmosfera è diversa: la nostra guida, Antongini, non esita a definirla “opprimente”. Le stanze, non grandi ma nemmeno tanto piccole, unite da stretti corridoi sembrano sostenere una lotta per contenere “il cumulo degli oggetti, dei libri ornati, dei ninnoli più impensati, delle stoffe più rare, dei cuscini più imprevedibili…”. Ci spiega che lo stesso Comandante – così lo chiama – un giorno gli aveva confidato di voler costruire un bar per quando doveva ricevere i veterani di 50 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 51 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 6 Come le tre dimore divennero museo guerra, che non potevano muoversi nelle stanze, piene come erano di oggetti d’arte e di cose che potevano cadere e rompersi. Ma ci racconta anche che D’Annunzio era solito illustrare ogni cimelio e sapeva, “con la potenza inimitabile e suggestiva della sua parola”, creare un’atmosfera di passione e di gloria che quasi impedivano ai visitatori di crearsi un giudizio autonomo e spassionato sulla disposizione degli oggetti. La conclusione di Tom Antongini, che ci sembra di condividere in parte, è che “chi entra nel Vittoriale entra nella dimora di Aladino, delle Mille e una Notte. Uscendone, dopo qualche ora, ha la sensazione di svegliarsi, non sa bene se da un sogno o da un incubo, e, nove volte su dieci, gli sarebbe impossibile descrivere quel che ha visto“. Noi , comunque, siamo rimasti stupefatti e affascinati. Come esempio di questa ricchezza e preziosità da fiaba orientale abbiamo scelto una stanza dove è ancora più strano trovare più di novecento oggetti, il Bagno blu. La stanza è illuminata dalle mattonelle smaltate appese alle pareti nelle quali prevale il colore azzurro, come pure nella leggiadra vetrata degli Aironi. Ci sono preziosi oggetti da toeletta in avorio e argento, bottiglie in cristallo per profumi e unguenti ma anche eleganti animali acquatici ed il bagno nella vasca blu avviene sotto gli occhi di divinità greche e di imperturbabili idoli orientali. Hanno visitato per noi la casa gli “estrosi” Alessandro T., Martina e Isacco. Un tuffo nel passato È questa la sensazione che il Senatore voleva suscitare in noi, una volta varcata la soglia che lascia fuori il duro vivere contemporaneo. Fin dall’ingresso la galleria evoca il glorioso passato della dimora Martina, Alee della città: su una parete gli stemmi delle famiglie a cui appartenevano i podestà che governarono Lonato, di fronte a progetto 6 Come le tre dimore divennero museo chi entra quattro grandi ritratti di Uomini d’arme, personaggi famosi dipinti agli inizi del Cinquecento. Il Senatore non solo li aveva cercati sul mercato antiquario, ma aveva anche studiato per trovare chi fossero, come testimonia un raro libro cinquecentesco, aperto su un mobile sotto un dipinto. Grazie ad un’incisione, permette di individuare il personaggio ritratto. Ed intorno mobili ed oggetti dell’epoca, come il grande mortaio di bronzo. Tutte le stanze che si susseguono sono state restaurate ed arredate per farci vivere in epoche storiche passate e numerosi sono gli oggetti cercati e collocati con cura, ma , nel confronto con le stanze della Prioria dannunziana, qui si riconosce chiaramente la destinazione degli ambienti e i numerosi arredi ci sembrano appropriati. Nella sala da pranzo il tavolo è apparecchiato con eleganti piatti e bicchieri; nello studio immaginiamo il senatore seduto al lavoro alla scrivania massiccia, sotto lo sguardo dei ritratti antichi; nella Sala Rossa e nel Salottino dipinto di blu poltrone e divani sono pronti ad accogliere gli amici. L’aspetto antico è dato, ai nostri occhi, dai grandi camini, dai soffitti in legno spesso decorati da formelle dipinte, dalle finestre con i vetri piombati ; dai mobili massicci e solidi. Qui siamo -ci viene detti – nella casa di un appartenente all’alta borghesia e non nel rifugio di un artista estroso. E dappertutto tanti quadri e tanti libri, non solo nelle librerie ma anche sulle cassapanche, chiusi negli armadi e, soprattutto, nella biblioteca, costruita apposta, con la strana forma di una antica chiesetta lombarda. L’inaspettata forma dell’edificio, il coro monastico all’interno, le frasi latine dipinte fuori e dentro contribuiscono a comunicarci il carattere “sacro” della cultura e dei libri. “Non riesco a saziarmi di libri”, “Soltanto con i libri...io sempre parlerò” sono due frasi , qui tradotte dal latino, con cui il Senatore comunica a noi la sua filosofia di vita. Hanno visitato per noi la casa i “ passatisti” Daniele, Alessio e Alessandro G. Tra chiese e chiostri In questo percorso abbiamo una guida d’eccezione, la badessa Angelica Baitelli, che nel Seicento ricostruì, sulla base di documenti, la storia del Monastero. Chi meglio di lei conosce questi luoghi? Eppure la vediamo come spaesata: la fila di stanze anonime, tutte dipinte di bianco, sono ideali per esporre i reperti di un museo, non certo per ricordare i luoghi di vita con le consorelle. È invece nelle chiese che, con 52 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 53 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 6 Come le tre dimore divennero museo sollievo, si ritrova a casa. E ci conduce nella più antica, la suggestiva chiesa di S. Salvatore. Qui ci mostra come le colonne ed i capitelli siano diversi per materiale e disegno: noi li chiamiamo “ di spoglio”, lei preferisce dire che sono venuti da lontano nel tempo e nello spazio per glorificare qui il nostro Salvatore. A dare un’impronta unitaria ci pensa la delicata decorazione a stucco nei sottarchi e gli affreschi, disposti su tre fasce, narravano episodi della vita di Cristo e le vicende di santi martiri. Purtroppo delle primitive decorazioni rimangono solo delle tracce, mentre dei colori più vivi sfoggiano le pitture del Romanino, di molti secoli più recenti. Non sempre noi troviamo di nostro gusto questo accostamento e sovrapposizione di stili diversi, ma la badessa stenta a capire la nostra perplessità: anche le case degli uomini nel tempo vengono sistemate e abbellite. E che cosa è una chiesa se non la casa di Dio e del suo popolo? Per accogliere le reliquie della martire santa Giulia fu costruita la cripta nella quale scendiamo. Anche qui colonne di reimpiego, ma la monaca si guarda intorno preoccupata: non ritrova i capitelli più belli quelli decorati con scene bibliche, con gli evangelisti e soprattutto quello con il martirio della Santa. Tocca a noi ora rassicurarla: sono stati sostituiti per salvarli dal degrado agli inizi dell’Ottocento e sono poi stati esposti nel 1882 nel Museo dell’età cristiana. Posto in alto, si affaccia sulla chiesa di S. Salvatore il rinascimentale Coro delle monache. Le suore potevano rispettare meglio la clausura assistendo alle funzioni dall’alto, non viste dai presenti. 54 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 6 Come le tre dimore divennero museo Le pareti del coro sono un’esplosione di colori fra i quali predomina l’azzurro vivo della scena della Crocifissione, al centro del ciclo pittorico che presenta la storia della salvezza, dalla passione di Cristo alla resurrezione, al suo ritorno al Padre. Qui troviamo il mausoleo di Bernardino Martinengo, una splendida opera in marmo dai colori tipici del rinascimento bresciano, il bianco, il rosa ed il grigio. La nostra guida, esperta di arte, la sapeva collocata nella vicina chiesa di S. Cristo: forse questa è andata distrutta? La rassicuriamo. Il manufatto è stato asportato per esporlo nel neonato Museo dell’Età Cristiana, che aveva sede proprio qui e nella adiacente chiesa di S. Giulia, che ora è stata trasformata in sala conferenze. Non vogliamo turbarla con la notizia che qui si svolgono numerosi matrimoni civili. Quando entriamo nell’oratorio di S. Maria in Solario, alle pareti coloratissime si sostituiscono muri possenti di pietra e nella stanza quadrata la luce entra a fatica solo da sottili feritoie: anche dall’esterno l’edificio sembra proprio una fortezza. Qui, al piano terra, veniva conservato il tesoro delle monache, un patrimonio di suppellettili liturgiche preziose che, dai tempi di re Desiderio, si era via via arricchito. Questi 55 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 6 Come le tre dimore divennero museo progetto 6 Come le tre dimore divennero museo oggetti naturalmente non erano valutati solo per la loro bellezza o per il valore dei materiali preziosi, ma era vivo il senso della loro antichità e della loro funzione, come abbiamo letto, di “testimoni di una tradizione”. Il vero tesoro di S. Giulia sono però le reliquie: sono queste, ci ha solennemente confermato la badessa, che hanno reso “Venerabile e Sublime” il convento, a sua volta “Tesoro inestimabile dell’Illustrissima Città di Brescia” (le maiuscole sono quelle usate dalla nostra guida negli “annali istorici” del monastero) . Non può che lodare quindi la scelta di chi ha posto in questo luogo solo tre splendidi oggetti, diversi tra loro, ma tutti riportabili al “culto delle reliquie”, come ben spiega un pannello illustrativo. Il pilastro centrale è un’ara romana dedicata al dio Sole. Qui il reimpiego non ha tanto una funzione pratica, ma un valore simbolico. L’antica età ha avuto il compito provvidenziale di preparare il mondo alla rivelazione della Verità ed il sole è divenuto un simbolo dell’unico e vero Dio. Una volta saliti al piano superiore ci accoglie nuovamente l’esplosione di colori delle pareti e del soffitto interamente affrescati. In alto il cielo stellato con Dio padre benedicente, sulle pareti la vicende del martirio di S. Giulia, nelle absidi la Vergine, S. Caterina e S. Benedetto sono circondati da numerosi santi legati all’ordine benedettino ed al culto delle reliquie: numerosi sono coloro che reggono la palma del martirio. Questi affreschi ci richiamano alla mente quelli del Coro delle Monache. Là protagonista era il Redentore, qui ci sono i Santi che lo hanno seguito sulla via della croce e della salvezza. In mezzo un oggetto stupefacente, collocato dove era conservato anticamente e posto proprio sopra l’ara del Sole: la Croce di re Desiderio. Duecentododici cammei e pietre dure, paste vitree e miniature appartenenti ad epoche diverse fanno da cornice al Re dell’universo, Cristo raffigurato nei due lati crocifisso e in trono: come ricorda la liturgia cattolica all’inizio – che è anche la conclusione- dell’anno liturgico, “Cristo ha regnato dalla croce”. Ci hanno guidato per il Monastero i “ pii” Benedetta, Giovanni, Chiara e Milena. Ancora qualcosa in comune Nella ricerca della somiglianza delle tre dimore troviamo ancora con facilità elementi simili nelle case-museo del Poeta e del Senatore: entrambi hanno la casa piena di libri, entrambi ricercano sul mercato antiquario arredi ed oggetti, per dare un carattere alla loro abitazione, anche se lo scopo e l’effetto sono molto diversi, come diverso è il carattere dei loro abitanti. Ci sembra di vedere una somiglianza più profonda nel reimpiego di elementi più antichi. Tra le colonne di “spoglio” di San Salvatore e della cripta e le formelle lignee trasportate – come il grande camino – dal palazzo Cigola di Brescia alla Sala Antica di Lonato la differenza non sta nel loro utilizzo, ma solo nei Valori degli abitanti: glorificare Dio per le monache, ricreare e tramandare la Storia per Ugo Da Como. E D’Annunzio? Voleva certamente esaltare e trasmettere il Bello ed il Vero che giunge da lontano nel tempo ed nello spazio, anche se accompagnati dal suo tocco personale di artista. 56 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 57 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Case e oggetti che parlano “Casa parlante” è una definizione di D’Annunzio per la Prioria, che bene si adatta alla dimora del Senatore, dove compaiono scritte che esprimono sempre qualcosa del carattere e della filosofia di vita degli illustri abitanti. Meno facili da interpretare quelli dannunziani, che spesso alludono più che ammonire apertamente, più chiari i motti di Ugo Da Como che affida ad essi il suo amore per la cultura, per i Classici, per i libri. Una differenza che facilmente si nota è che le scritte nella casa del Podestà sono in latino , anche perché per lo più sono frutto della saggezza degli Antichi, mentre nel Vittoriale alcune sono in italiano: la cosa ci sembra logica, visto che il Senatore era un amante della storia e dei classici, mentre D’Annunzio era un poeta e usar le parole era il suo mestiere. Nonostante i due personaggi siano profondamente diversi nel carattere e negli atteggiamenti, ci sembra che due scritte abbiano molto in comune: nella camera da letto di Ugo Da Como è dipinta una frase che spesso egli metteva come conclusione di importanti documenti o lettere: “Recti facti fecisse recte est” (“La ricompensa di una buona azione consiste nell’averla compiuta”). All’ingresso del Vittoriale ci accoglie un motto dannunziano dal significato non molto diverso: “Io ho quel che ho donato”. In S. Giulia le scritte sono sostituite dagli affreschi che, come sappiamo, non erano un semplice abbellimento ed arricchimento delle chiese, ma “la bibbia” dei poveri che erano quasi tutti analfabeti. Nei nostri musei la filosofia di vita degli abitanti non è soltanto scritta o dipinta sui muri, ma ci parla anche attraverso alcuni oggetti di forte valore simbolico. All’ingresso del Vittoriale ci è venuta incontro la Vittoria del Piave, con le sue ali spiegate e protese verso l’alto. I piedi incatenati raccontano la strenua resistenza dei combattenti che, difendendo il fiume, legarono a sé ed alla Patria la vittoria. Tra le statue che ornano le stanze del Senatore ci sembra importante il ritratto di Cicerone presente nella Sala Rossa. L’antico scrittore classico era un avvocato come Ugo Da Como, e come lui aveva a cuore le virtù civili e la sorte della sua patria; questo busto in marmo, inoltre, è giunto progetto 6 Come le tre dimore divennero museo a Lonato come lascito ereditario di Giuseppe Zanardelli, grande uomo di legge e di stato per cui il senatore nutriva ammirazione ed amicizia. Difficile scegliere tra gli oggetti esposti in gran numero nel Museo della Città. Quali erano più vicini al cuore delle monache che vi abitarono per dieci secoli? Ne abbiamo scelti solo alcuni. Il Gallo di Ramperto non è originario del convento, poiché segnava la direzione del vento sul campanile di S. Faustino. Già per i monaci di questo convento simboleggiava la vigile costanza nella preghiera, ma soprattutto ricorda il tradimento di Pietro, che per tre volte tradisce Gesù, ma che viene per sempre perdonato. Ricorda quindi come l’uomo sia peccatore, ma come sia stato perdonato e destinato alla salvezza eterna. La lastra del pavone, esposta in S. Salvatore, non è solo un raffinato esempio di scultura ma era sicuramente il simbolo della principali verità cristiane: c’è la vite dell’Eucarestia ed i tralci ricordano pure l’unione dei fedeli con Cristo; il pavone poi rappresenta Gesù stesso, poiché la sua carne non si corrompeva con la stessa facilità di altre. Questo simbolo dell’immortalità dell’anima e della resurrezione apparteneva probabilmente ad un ambone, da cui venivano annunciate parole di Verità. progetto 6 Come le tre dimore divennero museo Fra tutti gli oggetti giunti fino a noi un posto speciale meritano le due immagini – di epoca diversa – del martirio di S. Giulia. Nel capitello originariamente posto nella cripta, l’anima della santa crocifissa esce dal corpo e vola verso la mano del Padre che l’accoglie con amore. La statua del Carra ci ha colpito perché è insolito vedere una santa a seno scoperto: ci siamo ricordati delle torture e della crocifissione che ha subito, ma ci ha fatto capire che la martire ha testimoniato la sua fede non solo con la rinuncia alla vita, ma sacrificando anche la sua giovinezza e la sua bellezza. E ci siamo ricordati che alla fine dei tempi non solo l’anima è destinata a sopravvivere in eterno, ma anche il nostro corpo: “credo nella resurrezione della carne…”. Le reliquie Una domanda che ci siamo posti fin dall’inizio del nostro lavoro è stata: cosa hanno in comune le collezioni così diverse presenti nei tre musei? La risposta ci è venuta scoprendo che D’Annunzio aveva nella sua casa una Stanza delle Reliquie. Ecco un legame con il Monastero, per il quale il culto delle reliquie era una delle ragioni di vita. Era dunque possibile che un’attenzione alle reliquie fosse presente anche nella casa del senatore Ugo Da Como? Naturalmente che cosa fosse reliquia poteva variare a seconda delle convinzioni religiose e della concezione della vita che è diversa per il Poeta eroe di guerra, per lo studioso ed uomo politico Ugo Da Como e per le religiose dedite alla preghiera, ma un significato comune forse era possibile trovarlo. Siamo partiti cercando la definizione del termine nel dizionario.. “Gli avanzi di quanto è stato distrutto o perduto” : questo ci porta fuori strada. E poi così, in un museo, ogni cosa è reliquia? “Dicesi di cosa conservata come sacro ricordo” ci sembrava ancora generico. È più appropriato partire dal significato attribuito al nome dalla traduzione cristiana:” Ogni resto del corpo o anche ogni oggetto appartenuto ad una persona venerata come santa”. In classe poi abbiamo discusso come si potesse estendere questo significato al di fuori del contesto religioso. Ci siamo accordati su questo: una reliquia è un oggetto prezioso, degno di venerazione poiché incarna ed invita a trasmettere Valori: le reliquie non solo sopravvivono nel tempo, ma vincono la morte e la caducità delle cose e degli uomini. Con questo in testa ritorniamo nei nostri musei alla ricerca delle reliquie. Nel monastero di S. Salvatore e S. Giulia Partiamo da un luogo di fede, dove è più facile parlare di reliquie in senso proprio. La nostra guida , badessa Angelica Baitelli, così introduce l’elenco delle Reliquie presenti nel convento a metà del Seicento. 58 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 59 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 6 Come le tre dimore divennero museo progetto 6 Come le tre dimore divennero museo “Formano le preziosissime, e Santissime Reliquie, che rendono Venerabile il nostro Monastero, un Santuario così sublime, che con ogni ragione si può chiamare Tesoro inestimabile dell’Illustrissima Città di Brescia. Sono le Beatissime Reliquie ben proprj regali della grandezza dei Sommi Pontefici, d’Imperatori, dè Re, e dè Principi negl’ ingressi delle Figliuole, Nipoti, Sorelle, e Mogli delle Maestà nel nostro Monastero, nè tempi, che si sottoposero con comitiva della maggiori Principesse d’Europa al giogo soavissimo della Regola di S. BENEDETTO nostro Patriarca”. Imparentate con i potenti della terra, queste donne avevano scelto il meglio per la loro vita – la preghiera – ed avevano portato in dote quanto di più prezioso esistesse: le Reliquie. Ai giorni nostri il loro culto ci sembra una pratica superstiziosa, quando non un atto di simonia come per Lutero. Abbiamo però capito che la venerazione di frammenti appartenenti al corpo dei santi era legata alle grandi e consolatrici verità della nostra religione: noi siamo destinati alla vita eterna non solo con l’anima, ma anche con il corpo e sulla strada della salvezza, se sorretti dalla Fede, possiamo attingere al patrimonio di Grazia che i Santi hanno accumulato con la loro vita esemplare, spesso con il loro martirio. Con la soppressione del Monastero in epoca napoleonica le reliquie sono andate disperse o, in parte, hanno trovato collocazione in altre chiese, ma nel luogo dove questo Tesoro era conservato sono stato posti pochi ma preziosi oggetti che ci ricordano il loro culto. per utilizzare la grande lastra come reliquiario. Sul retro infatti sono visibili gli incassi che dovevano servire ad agganciare i contenitori delle Reliquie. La piccola croce collocata in una vetrinetta compare nell’elenco delle Reliquie compilato nel Seicento dalla nostra badessa Baitelli: “ una Crocetta d’oro da collo piena si Rubini. (Nel testo della religiosa le lettere maiuscole sono numerosissime, ad indicare sia l’importanza di ciò di cui si parla, sia la devozione da cui deve essere circondato). Fu di S. Elena, fatta nella forma stessa della Santissima Croce d’oro, e fiamma, piena di legno della Santissima Croce”. L’oggetto più famoso nella stanza è però la Lipsanoteca, contenitore di reliquie in avorio risalente al IV secolo. La sua esecuzione finissima è attribuita ad una bottega milanese che lavorava all’epoca del vescovo S. Ambrogio, sostenitore dell’ortodossia contro l’eresia ariana. Al centro dello scrigno compare la figura di Cristo che nella sinagoga di Nazareth sostiene la propria natura divina. La decorazione, disposta su tre fasce -quella centrale con scene del Nuovo Testamento- , è molto ricca ed il pannello illustrativo ci spiega che il sistema narrativo allude alla tesi della salvezza e dell’immortalità dell’anima. Noi abbiamo infatti facilmente riconosciuto – anche perché occupano da soli il fianco destro e quello sinistro- gli episodi della resurrezione di Lazzaro, che esce dal sepolcro al richiamo di Cristo ed Un posto centrale nella sala è occupato da un fregio di età romana decorato con animali e girali. Noi non ne conosciamo esattamente la collocazione originaria, ma la preziosità del marmo bianco con venature grigie e la ricchezza della decorazione ci fanno pensare che appartenessero al fregio decorativo di un grande edificio pubblico. La sua collocazione qui è però dovuta ai due fori ovali, praticati nel medioevo, 60 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia il miracolo del richiamo in vita della figlia di Giairo. Gesù, rivolgendosi alla folla radunata fuori dalla casa, dice: “Ritiratevi, perché la fanciulla non è morta, ma dorme”. L’immagine fissa le parole dell’Evangelista Matteo:” Egli entrò, prese la sua mano, e la fanciulla si alzò”. Ci hanno descritto il Tesoro delle Monache i “pii”Benedetta, Siria, Luca, Alessio M e Milena. 61 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 6 Come le tre dimore divennero museo progetto 6 Come le tre dimore divennero museo Nella Stanza delle Reliquie al Vittoriale Non solo qui sono collocate quelle che D’Annunzio considerava reliquie. Nelle diverse stanze, ci ricorda il solito Antongini, “l’antico patinato vaso di Persia vi è sfiorato dal pugnale di un ardito fiumano morto combattendo...una rozza granata inesplosa trovata in una dolina del Carso occhieggia fra delicate anfore colme di profumi rari”. Per non parlare del giardino, dove la terra ed i massi dei luoghi di guerra ricordano il sacrificio di tanti. Oltre alle reliquie, qui ci sono anche i martiri. La stanza delle Reliquie, però, è stata volutamente organizzata dal Poeta per trasmettere i suoi Valori. Vi si celebra la fede espressa dalle diverse Religioni, ma anche la fede nell’Uomo, nell’Eroe e nella Bellezza. Ci introduce nella stanza nella stanza il calco dell’Ermes di Prassitele: quando il Poeta aveva visto per la prima volta, ad Olimpia, la statua originale aveva provato” un sentimento religioso e quasi il bisogno... di baciare la pietra o d’inginocchiarsi pregando”. In questa stanza sono esposti ben 374 oggetti: al culto cristiano appartengono i numerosi reliquiari ed ostensori e una serie di statue lignee raffiguranti la Vergine ed i santi; fra le divinità orientali, in compagnia di idoli cinesi e della Trimurti indù sono qui radunati molti Budda (Ne abbiamo notato uno benedicente, uno sorridente, uno in meditazione…). Sulla travatura che sorregge i santi lignei, i versi incisi chiariscono il pensiero di D’Annunzio:”Tutti gli idoli adombrano il Dio vivo/ Tutte le fedi attestan l’uomo eterno/ Tutti i martiri annunciano un sorriso..”.. Un’immagine lieta è accostata al martirio, non dissimile dalla gioia che esprimono attraverso il simbolo della palma i martiri cristiani, dei quali non a caso viene festeggiato, invece del giorno della nascita, quello della morte. Tra le reliquie laiche alcune ci hanno incuriosito o colpito particolarmente Sul soffitto è disteso il rosso gonfalone della Reggenza del Carnaro. Al centro il serpente che si morde la coda è simbolo di eternità ed il motto latino “Quis contra nobis?” ha il significato di “Chi potrà sconfiggerci?” E sempre dell’impresa di Fiume parla il leone di S. Marco, dipinto da Marussig: questo quadro ornava lo studio del Comandante e reca ancora la scheggia di granata che lo ha colpito durante il “Natale di sangue” del 1920. Il motto che solitamente viene accostato al simbolo dell’evangelista Marco recita: “Pax tibi Marce, evangelista .meus” ma qui al termine pax è stata sostituita la parola “Victoria” , che ben si associa a chi , sacrificando la propria vita, non esce sconfitto, ma vittorioso. In mezzo ai reliquiari dall’aspetto prezioso e dalla lavorazione antica contrasta un oggetto singolare, il volante spezzato di un motoscafo da corsa. Vuole celebrare un martire laico, l’amico inglese Sir Henry Segrave, campione di entrobordo, morto nel tentativo di superare il record di velocità. Le guide ci presentano, tra i valori di D’Annunzio, il rischio; più dell’eroe romantico e incosciente, a noi è parso di vedere invece l’atleta delle Olimpiadi classiche, che gareggiava prima di tutto per superare se stesso ed i propri limiti. Hanno osservato per noi gli”estrosi” Ibrajm, Alessandro T., Isacco 62 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 63 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Nella casa del Podestà Qui , nella dimore di Ugo Da Como, laico liberale, il termine di Reliquia sembrerebbe fuori posto: Ma è proprio vero? Cominciamo dalle parole con cui il Senatore spiegava la mission della sua Fondazione: “lasciare qualcosa che giovi, che educhi, che induca a meditare e a comprendere ciò che non è tra i mortali mortale…”. E gli strumenti di questa immortalità,i libri, sono ospitati in una Biblioteca a forma di chiesa, perché non sfugga nemmeno a noi sprovveduti il carattere sacro della Cultura. D’Annunzio aveva la sua “Via Crucis” laica nel giardino del Vittoriale, Ugo Da Como aveva come suo “Reliquiario” laico la casa piena zeppa di libri. Che questi – più di 30.000 – ricercati con impegno e passione e collezionati con amore, siano reliquie non lo diciamo noi, ma lui stesso, attraverso le parole della sua casa parlante. NON RIESCO A SAZIARMI DI LIBRI è scritto – in latino naturalmente – sul soffitto della sala Cerutti; progetto 6 Come le tre dimore divennero museo progetto 6 Come le tre dimore divennero museo QUI VIVONO I MORTI; MUTI SVELANO ORACOLI è scritto a lato del camino all’interno della Biblioteca; e sul soffitto, QUI PARLANO LE ANIME IMMORTALI, TU LAVORA PER I POSTERI; SOLTANTO CON I LIBRI SOLO CON QUESTI IO SEMPRE PARLERO’ è il motto, ora non più leggibile, sulla facciata della chiesa-biblioteca, che si completa con le parole sull’ex libris del Senatore AFFINCHE LA MALIGNA GIORNATA (la morte) NON CONSUMI TUTTO. neonata stampa a caratteri mobili è aumentato dal fatto di essere stata stampata a Brescia e di essere la prima stampa con illustrazioni. Naturalmente non c’è bisogno di sottolineare la venerazione per la Commedia dantesca da parte del Senatore, grande sostenitore della Società Dante Alighieri , che ha lo scopo di tutelare e diffondere la lingua e la cultura italiana nel mondo. Accanto a questa edizione preziosa ne abbiamo visto una curiosa: un libro piccolissimo, con le pagine di 15 x 9 millimetri, stampata nel 1896 con un carattere appositamente studiato, il “Dantino”. Per ultima ricordiamo qui la prima edizione de i sepolcri” di Ugo Foscolo, stampata a Brescia e recante una dedica all’amata contessa Marzia Martinengo. Naturalmente quest’opera era cara a Da Como per gli ideali che condivideva con Foscolo,che amava insieme la Patria, la Cultura classica e la Poesia e non per il gossip, anche se nella biblioteca sono conservate molte delle lettere scritte dal Foscolo a Marzia. Tutti i libri sono contrassegnati dall’ex libris personalizzato del Senatore. Oltre al motto che abbiamo già citato, ci è piaciuta l’immagine dell’ulivo: questa pianta, cara alla cultura classica, tipica del Mediterraneo ma anche delle colline gardesane, ha radici che scendono molto in profondità per permettere all’albero di produrre la sua ricca chioma. Hanno con reverenza frequentato la biblioteca del Senatore i “bibliofili” Alessio G. e Daniele. Con curiosità e rispetto abbiamo visto e pure toccato alcune di queste Reliquie. Questo prezioso manoscritto su pergamena ha tutte le caratteristiche per essere vicino al cuore di Ugo Da Como: è bello, è raro, è un documento storico e riguarda la città di Lonato. Il 5 marzo 1512 Francesco II concede solennemente ai “diletti e fedele sudditi di Lonato”, per breve tempo governati dal marchese di Mantova, numerosi privilegi: libertà di commerciare, di organizzare fiere, di coltivare ed esercitare l’artigianato senza pagare dazi diversi da quelli già in uso. Viene concesso di esercitare l’avvocatura e di fare i notai liberamente nel territorio del Marchese, che si impegna a scegliere governanti dotati di “integrità, ingegno ed esperienza delle cose”. Tutto ciò è inserito in una elegante decorazione a carattere floreale con il capolettera arricchito con foglia d’oro, a sottolineare l’importanza del documento. È un incunabolo l’edizione della Divina Commedia che ci è stata mostrata: il pregio di appartenere ai “primi vagiti” della 64 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 65 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 6 Come le tre dimore divennero museo progetto 6 Come le tre dimore divennero museo IL SOLITO GIOCO DELL’OCA Il nostro gioco didattico ha lo scopo di trasmettere a compagni di altre classi quanto abbiamo appreso durante il lavoro: utilizza il classico schema del gioco dell’Oca, arricchito da una serie di domande a scelta multipla sulle dimore e la loro storia (caselle arancio) e sulle collezioni (caselle rosse). Si gioca con un solo dado e, se si capita su una casella colorata, si può rimanere solo se si risponde correttamente. Altrimenti, si torna indietro. Al numero 90 la nostra Vittoria attende il vincitore. Abbiamo potuto contare per la costruzione del gioco della collaborazione artistica di John, Davide, Zeenat e Stefano. • • • • • • 5. • • • Chi era D’Annunzio? Un grande comandante, amato dai suoi soldati, ma rozzo e collerico Un poeta, amante del bello e delle donne, eroe della Grande Guerra Uno storico che raccoglieva cimeli delle guerre del Risorgimento • Chi era Ugo Da Como? Un uomo politico liberale, amante della storia e dei libri Un Podestà di Lonato, con gli stessi poteri di un sindaco dei giorni nostri Un eroe del Risorgimento, morto nella spedizione dei Mille • • • 21. • • 25. 8. • • • Chi ha fondato, nel 753, il monastero di S. Salvatore? Carlo Magno, per ringraziare Dio per la sua vittoria sui Longobardi S. Benedetto da Norcia, famoso per il motto “Ora et labora” Il re longobardo Desiderio, che nominò sua figlia prima badessa • • • 28. 10. • • • 16. • • • 17. Sulla facciata della Prioria, accanto al levriero, sono citate due virtù che, secondo D’Annunzio, meglio lo definivano. Quali? La fedeltà ai propri ideali e la fermezza nel perseguirli L’amore e la bellezza, rappresentata dalla grazia dell’animale L’eleganza e la raffinatezza, ben espressi dalla figura elegante del cane A chi era appartenuta la casa di Gardone , affittata da D’Annunzio? Ad un suo fedele compagno d’armi nella spedizione di Fiume Ad uno storico dell’arte tedesco A Giuseppe Zanardelli, capo del governo italiano Quali elementi convincono il Poeta che la villa di Cargnacco è quella giusta? • • • 32. • • • 33. L’ampiezza delle stanze, necessaria per trasformarla in una casa -museo Il profumato giardino, la ricca biblioteca, il pianoforte di Listz La sua precedente appartenenza ad un eroe del Risorgimento Perché il senatore Da Como acquista la Casa del Podestà a Lonato? Per salvare la memoria di un importante periodo della storia lonatese Perché il Senatore era discendente diretto dell’ultimo Podestà veneto Per farne il palazzo del sindaco, che all’epoca del Fascismo si chiamava Podestà La trasformazione della Casa del Podestà in casa-museo è affidata al Tagliaferri: perché questa scelta? Perché era un amico d’infanzia del Senatore Perché, grazie alle sue conoscenze politiche, poteva far giungere a Lonato fondi pubblici Perché l’architetto bresciano era molto abile a ricreare l’atmosfera storica del passato Che cosa hanno in comune la storia di S. Salvatore e S. Giulia e la Casa del Podestà? La collocazione in questi edifici del governo provvisorio francese Requisiti dal demanio prima francese e poi austriaco, gli edifici divennero una caserma Tutti gli edifici furono venduti all’asta e acquistati da privati • • 38. • • • • • Nel giardino del Vittoriale, non lontano dalla statua di S. Francesco, sono sparsi dei massi rocciosi: che cosa rappresentano? Rappresentano la sofferenza ed i sacrifici che hanno portato Francesco d’Assisi alla santità Rappresentano la bellezza aspra e selvaggia della terra natale del Poeta, l’Abruzzo Sono tratti dai monti dove si è più duramente combattuto durante la Grande Guerra Nell’Arengo D’Annunzio si riuniva con i fedeli compagni fiumani: che cosa rappresentano le colonne lì collocate? Gli amici caduti durante l’impresa di Fiume Coloro che, come D’Annunzio, hanno meritato una medaglia d’oro nella guerra del ‘15-’18 Le vittorie italiane nella Grande Guerra • • • 53. • • • 56. 41. • • • 42. • • Nella chiesa di S. Salvatore dividono le navate delle colonne “di spoglio”. Perché sono definite cosi? Perché prima di essere utilizzate, sono state spogliate dei simboli religiosi pagani Perché, per adattarle alla chiesa, sono state spogliate dei loro rivestimenti colorati Poiché provengono da edifici precedenti • Perché il pavone, che decorava probabilmente l’ambone della chiesa, simboleggia Cristo? 50. 66 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia • 52. 37. • 2. Perché la sua carne non si decomponeva come altre, e pertanto era un simbolo della natura divina di Gesù Perché la bellezza del piumaggio lo rende unico tra gli animali Perché nell’antichità il pavone era un animale sacro Presso la radura, nella quale sono state rappresentate tragedie scritte da D’Annunzio, è stata costruita la fontana del Delfino. Di fronte alla bella ninfa, un oggetto crea un singolare contrasto. Che cosa è? Una statua astratta che rappresenta la figlia di Iorio, personaggio dannunziano Un obice usato dall’esercito italiano nella Grande Guerra Un artistico contenitore per i costumi teatrali In un edificio, appositamente costruito dal Maroni, c’è il MAS 96, motoscafo antisommergibile donato dalla Marina per i sessanta anni del Poeta. Perché è famoso? Perché con questa imbarcazione D’Annunzio penetrò nella base di Buccari per affondare le navi nemiche Perché su questo motoscafo, come documentano le fotografie, D’Annunzio portò Mussolini in gita sul lago di Garda Perché con questo motoscafo un suo amico morì, mentre cercava di vincere il record di velocità • • • 59. • • • 60. 46. • • • Dove è rivolta la prua della nave Puglia? Verso l’Adriatico e la natia Pescara Verso l’Austria, tradizionale nemica, in segno di sfida Verso l’Adriatico e la città di Fiume Sulla sommità del ”Sacro Monte” è stato costruito il Mausoleo. Che cosa è stato posto lì? 67 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia • • • La tomba del Poeta, che guarda il lago in orgogliosa solitudine Il sarcofago del Poeta, circondato da dieci legionari fiumani Dei sarcofagi contenenti le spoglie dei caduti gardesani durante la guerra Da dove provengono gli arredi della Casa del Podestà? Il Senatore li aveva acquistati sul mercato antiquario Il Senatore li aveva commissionati ad abili artigiani del posto, specializzati nel riprodurre lo stile dei mobili antichi Erano stati requisiti a cittadini austriaci come pagamento per danni di guerra Perché venne costruita la cripta sotto S. Salvatore? Per accogliere le spoglie del re Desiderio e della regina Ansa, fondatori del Monastero Per accogliere le reliquie di S. Giulia, martire cartaginese Perché le suore di clausura potessero pregare senza essere viste dai laici A che epoca risalgono i 212 ornamenti della croce di re Desiderio? Essendo in realtà la croce di età carolingia, non possono che appartenere al tempo dei Romani e dei Longobardi Non tutti i cammei, le miniature, le pietre dure risalgono ad epoche precedenti, ma alcune sono successive all’età carolingia Come dimostrano l’omogeneità e l’armonia dell’opera, sono tutti opera di abili artigiani di epoca carolingia Che cosa veniva conservato nel piano terra di S. Maria in Solario, grazie all’ambiente ben protetto, simile ad una fortezza? Il denaro proveniente dalle numerose proprietà che il Monastero possedeva in tutta l’Italia settentrionale Il trono della badessa, insieme all’anello ed al pastorale, simboli della sua autorità autonoma persino dal vescovo di Brescia Il Tesoro delle monache, costituito da preziosi oggetti liturgici, ma soprattutto da Reliquie Che cosa, al centro di S. Maria in Solario, sorregge le volte a crociera? Un’ara romana dedicata al dio Sole Il cippo in pietra sul quale venne martirizzata S. Giulia Un antico altare sul quale celebrò la messa S. Faustino, prima di subire il martirio progetto 6 Come le tre dimore divennero museo 64. • • • 68. • • • 70. • • • 71. • • • 73. • • • 74. • • • Quale forma ha la biblioteca fatta costruire da Ugo Da Como? È simile alla famosa biblioteca di Efeso, famosa nel mondo classico tanto amato dal Senatore Ha la forma di una Chiesa, per sottolineare la sacralità della cultura Ha la forma, in piccolo, del Palazzo Ducale, per sottolineare la fedeltà di Lonato a Venezia 77. Come il Senatore giudicava un libro antico precedentemente annotato? Irrimediabilmente rovinato Di minor valore, ma ancora degno di far parte della sua biblioteca Il pregio veniva aumentato se la nota era stata apposta da un suo illustre proprietario • Che cosa conteneva la preziosa pergamena di Francesco Gonzaga? Dei privilegi politici ed economici concessi nel 1512 dai Gonzaga ai “fedeli sudditi di Lonato” Una sentenza di condanna a morte per alcuni nobili che si erano ribella ti al marchese di Mantova La grazia concessa a tre nobili lonatesi, precedentemente condannati a morte • Tra le reliquie conservate nel Monastero, la crocetta detta di S. Elena aveva un valore particolare. Perché? Per la squisita lavorazione a filigrana e per le pietre preziose che la ornavano Perché si diceva contenesse un frammento della croce di Cristo Perché era appartenuta a S. Elena, madre dell’imperatore romano Costantino convertitosi al Cristianesimo • • 79. • • 82. • • • 83. Quale funzione aveva, nelle intenzioni di D’Annunzio, la nuova ala denominata Schifamondo? Accanto a nuovi ambienti di abitazione, una grande sala doveva ospitare concerti e spettacoli Doveva ospitare la servitù, troppo numerosa per gli spazi ristretti della Prioria Come rivela il nome, doveva ospitare gli ospiti istituzionali, poco graditi al Poeta e tutti quelli che egli considerava “scocciatori” attirati dalla sua fama • Quale funzione aveva il Coro delle Monache, addossato alla fine del Quattrocento a S. Salvatore? Serviva per isolare dagli altri fedeli, durante le funzioni pubbliche, le Monache di clausura Vi era ospitato il coro che durante le funzioni eseguiva musica sacra Era stato costruito come luogo di sepoltura della nobile famiglia Martinengo, di cui è conservato uno splendido mausoleo rinascimentale • • • 84. • • 87. • • • Nella stanza delle Reliquie al Vittoriale, sotto a statue della Vergine e dei Santi, compare una piramide composta da divinità di varie religioni. Questo, secondo D’Annunzio, doveva dimostrare che tutte le religioni erano una preparazione all’avvento della superiore verità del Cristianesimo che tutte le fedi, per usare una frase dannunziana, “adombrano il Dio vivo” che gli oggetti di culto delle diverse religioni sono soprattutto opere d’arte Nella stanza delle Reliquie è collocato un dipinto del leone di S. Marco, opera di Marussig. Perché è stato collocato qui? Perché l’autore era un compagno d’arme, morto nell’impresa fiumana Perché il quadro era esposto nello studio di D’annunzio a Fiume, città martire abbandonata allo straniero Perché conserva ancora una scheggia di granata sparata contro i legionari fiumani nel “Natale di sangue “ Quale significato ha la palma che molti santi, affrescati in S. Maria in Solario , portano in mano? Questi santi avevano compiuto un pellegrinaggio a Gerusalemme Avevano tutti subito il martirio Appartenevano tutti, come le Monache, all’ordine benedettino Quale insegnamento è legato al volante, posto nella stanza delle Reliquie e testimonianza di un incidente nautico in cui aveva perso la vita un amico di D’Annunzio? Che è sciocco perdere la vita in una gara contro il tempo: la vita va sacrificata solo per la Patria Che l’amicizia dura oltre la morte Che l’uomo-eroe deve sempre cercare di superare i propri limiti Quali scene decorano la Lipsanoteca, splendido scrigno tardoantico in avorio, usato come contenitore di Reliquie? Scene della vita di S. Benedetto, patrono del convento Scene della vita di Costantino e della madre S. Elena Scene bibliche del Vecchio e Nuovo Testamento La Divina Commedia della fine del Quattrocento, acquistata dal Senatore, gli era particolarmente cara perché Era la prima edizione del poema a stampa illustrata ed era inoltre stata stampata a Brescia È la più piccola edizione del poema, stampata con un carattere chiamato “dantino” Contiene delle annotazioni opera dello stesso Dante 68 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 6 Come le tre dimore divennero museo Un breve commento degli insegnanti Queste osservazioni avrebbero dovuto occupare il posto della premessa, ma non abbiamo voluto scoraggiare con indicazioni metodologiche un po’ noiose un eventuale lettore. Prima di tutto è necessario declinare gli Obiettivi del lavoro, quello che ci proponiamo di ottenere dai nostri alunni e cioè la capacità di - individuare ed interpretare i segni del passato nel territorio per una ricostruzione storica - interrogare il bene culturale per individuare il suo valore nella storia e nel presente - conoscere ed utilizzare diversi linguaggi per procedere nella ricerca e per costruire prodotti utili a diffondere quanto appreso - comprendere il valore del Bene culturale e le modalità per la sua migliore conservazione e trasmissione alle generazioni future. Ci rendiamo poi conto che lo spazio riservato alla storia dei musei e alla loro descrizione è forse sproporzionato rispetto a quello dedicato alle collezioni, ma va tenuto presente che nella scuola secondaria di primo grado è importante la dimensione storica, insieme alla capacitò di inserire quanto si viene a conoscere nel suo contesto. Va anche segnalata la presenza, accanto alle onnipresenti insegnanti di lettere, dell’insegnante di Religione, fondamentale per capire una parte della nostra ricerca, oltre che per affermare il valore culturale di questa disciplina, talvolta considerata una blando “catechismo scolastico”. Abbiamo potuto contare anche sulla disponibilità dell’insegnante di Alternativa: i partecipanti a questa attività si sono occupati delle “Reliquie laiche”, soprattutto dannunziane. Infine una riflessione sul linguaggio del nostro testo. La sintassi con la quale sono state riordinate e trascritte le osservazioni orali e scritte degli alunni appartiene agli insegnanti. Nostri sono i “d’altra parte”, gli “infatti”, i “poi” posposti. Il lessico, invece, che non è sempre quello usato spontaneamente dai ragazzi di scuola media nelle loro usuali comunicazioni, è frutto di un impegno di insegnanti ed alunni per utilizzare la ricchezza e la competenza linguistica che spesso i giovani dimenticano di possedere. Ricchezza e proprietà che vanno salvato dall’estinzione almeno come l’orso panda e la foca monaca. Ed alla fine alcuni commenti a “caldo”degli alunni Il Vittoriale è un patrimonio immenso... Io ho ammirato il teatro con la sua visuale bellissima sul lago di Garda… Di S. Giulia mi ha colpito sapere che ad un certo punto fu una caserma, una cella per i condannati a morte, un ospedale militare, un magazzino comunale... Mi è piaciuta la biblioteca di Ugo Da Como. C’erano libri vecchi di 500 anni… Era enorme e conteneva libri dappertutto, ne abbiamo trovati perfino all’interno delle panche!… La dimora di D’Annunzio è zeppa di oggetti e libri ed è scura al suo interno perché a D’Annunzio dava fastidio la luce… A S. Giulia ho visto la croce di re Desiderio, piena di pietre preziose… Ho apprezzato la Stanza della Reliquie contenenti gli idoli delle diverse religioni… C’è anche il volante di un amico di D’Annunzio che è morto cercando di superare con il motoscafo il record di velocità… La casa del senatore Ugo Da Como è piena di mobili antichi, quadri, affreschi… Il pavone di S. Giulia era scolpito alla perfezione... Mi ha colpito l’importanza che gli abitanti delle dimore davano alle loro collezioni: ogni singolo oggetto, anche il più piccolo, era importante… 69 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 7 I luoghi ci parlano Chi e dove Classi coinvolte Docenti referenti Istituto Paritario Paola Di Rosa – Lonato Seconde A, B, C Sabrina Agosti, Anna Ruggeri, Sara Spagnoli, Monica Veronesi progetto 7 I luoghi ci parlano didattiche sul territorio, osservandone alcuni ritratti e studiandone le caratteristiche fisiognomiche o l’abbigliamento e dando vita a originali rappresentazioni, ritraendo il personaggio nei luoghi che conservano la loro memoria. Gli studenti sono stati messi nella condizione di esprimere le loro capacità artistiche avvalendosi di diverse tecniche esecutive: matite colorate, grafite, tempera, pennarelli e inserti di diversi materiali. Partendo dunque dall’osservazione diretta di realtà museali fondamentali per il nostro territorio, abbiamo delineato un percorso didattico che ci ha portato alla scoperta dei personaggi attraverso la conoscenza di luoghi intrisi di arte e cultura. Questo progetto è stato un ottimo spunto per invitare i ragazzi a conoscere il territorio in cui abitano e a conservare la memoria dei luoghi e dei protagonisti che ne hanno scritto la storia. La pianificazione delle varie attività ci ha permesso di sostenere gli studenti nell’esercitare le proprie capacità di analisi e il proprio pensiero critico, invitandoli inoltre a rielaborare i contenuti appresi in maniera creativa. Santa Giulia: Vite tra i silenzi dei chiostri Il percorso che abbiamo previsto per le classi seconde del nostro istituto ha preso le mosse dalla conoscenza del nostro territorio, grazie alla visita dei tre luoghi intorno ai quali verte il progetto Le Vie dell’Arte: il Vittoriale degli Italiani a Gardone Riviera, la Fondazione Ugo Da Como di Lonato del Garda e Santa Giulia a Brescia. Dopo le uscite didattiche, i ragazzi sono stati guidati dalle insegnanti nella revisione e nell’approfondimento delle conoscenze acquisite durante le visite. Le attività previste sono state finalizzate ad inquadrare dal punto di vista storico-culturale i luoghi visitati, con particolare attenzione ai personaggi storici che li hanno abitati. Le figure di Gabriele d’Annunzio, del Senatore Ugo Da Como e delle monache, che nei secoli hanno animato con la loro presenza il complesso monastico di Santa Giulia, sono state presentate a partire dai loro luoghi, indissolubilmente legati ai protagonisti che li hanno abitati. L’osservazione diretta degli ambienti e l’analisi di alcuni oggetti e opere in essi conservati, ci hanno permesso di accompagnare i ragazzi nell’individuazione di numerosi “indizi” che ci hanno parlato della personalità e dello stile di vita dei personaggi storici presi in esame. Dopo questa prima fase, gli alunni sono stati invitati a rielaborare in forma scritta i contenuti appresi. Sono state proposte diverse tipologie testuali, scelte fra quelle affrontate quest’anno: di volta in volta gli studenti sono stati sollecitati a descrivere e analizzare i luoghi d’arte visitati o a esprimere le proprie riflessioni ed emozioni riguardo alle opere. Inoltre sono state presentate attività che li portassero a esercitare la propria immaginazione, rivolgendosi personalmente ai protagonisti. Per quanto concerne la disciplina di Arte ed immagine, i ragazzi sono stati invitati dall’insegnante a ricercare alcune immagini e fotografie raffiguranti i luoghi visitati e i loro protagonisti, grazie all’ausilio di libri e supporti informatici. In seguito sono stati affiancati dalla docente nella selezione e nell’analisi di alcune immagini significative. L’attenzione di alcuni studenti si è concentrata maggiormente su oggetti o opere d’arte, scelti perché ritenuti rilevanti per la caratterizzazione dei luoghi stessi e dei protagonisti che li abitavano. Altri ragazzi si sono dimostrati più sensibili nei confronti della rappresentazione di spazi esterni o visioni d’insieme di alcuni ambienti che li avevano particolarmente colpiti. Un terzo gruppo di alunni ha scelto di raffigurare i personaggi storici che avevano imparato a conoscere durante le uscite 70 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Ahi nelle insonni tenebre, pei claustri solitari, fra il canto delle vergini ai supplicati altari, sempre al pensier tornavano gli irrevocati dì. Così recitano alcuni versi del secondo coro dell’Adelchi, quello che segue l’atto IV, interamente dedicato alla figura di Ermengarda, figlia di desiderio e moglie ripudiata Il chiostro di Santa Giulia di Carlo Magno, rifugiatasi presso la sorella Ansberga nel convento di Santa Giulia a Brescia, dove la raggiunge la notizia che il marito è convolato a nuove nozze con Ildegarda. Ermengarda è una regina triste, eroina romantica e cristiana, che, costretta a rinunciare al proprio sogno d’amore, cerca rifugio in Dio. Ella continua ad amare Carlo di un amore passionale e allo stesso tempo casto, che nasconde a sé stessa ed emerge solo nel momento del delirio. I claustri solitari dove vaga, le vergini e i supplicati altari che la consolano sono quelli di Santa Giulia. Da questi versi noi abbiamo iniziato il viaggio che ci ha condotti attraverso letteratura e storia alla scoperta del monastero femminile di Brescia, fondato nel 753 d. C. dal re Desiderio e da sua moglie Ansa, che per secoli ha ospitato le figlie dell’alta aristocrazia longobarda e franca e, successivamente, del nord Italia. Il monastero ha assunto fin da subito un’importanza fondamentale: Brescia ricopriva una posizione strategica tra i ducati padani, quindi Desiderio aveva bisogno di un luogo da cui controllare la città, allora sede di corte papale e regia. Per questo motivo Santa Giulia era stata dotata di cospicue proprietà terriere che ne garantivano il potere. Nel 760 era stata posta sotto la protezione regia e sottratta 71 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 7 I luoghi ci parlano progetto 7 I luoghi ci parlano Ermengarda ricevere un’adeguata istruzione ed educazione incentrata sulla morale cattolica. Sia le educande che le monache dovevano rispettare le regole claustrali, vestire modestamente e mantenere un comportamento umile e remissivo. Nel 1600 il patrimonio monastico entrò in crisi, ma il tenore di vita all’interno rimase assai elevato e le sole rendite fondiarie non bastarono a coprire le spese. Solo nel secolo successivo si poté assistere a una ripresa. La storia del monastero, così come il nostro viaggio alla sua scoperta, si interrompe con l’ascesa di Napoleone che scioglie l’ordine monastico e, nei primi anni dell’ottocento, incamera i suoi beni. Santa Giulia smette di ospitare le monache per diventare una caserma, fino a quando dopo l’Unità d’Italia inizia il cammino che l’ha portata ad essere il museo della nostra città. Croce di Re Desiderio Capitello di Santa Giulia Interno di San Salvatore, colonne alla giurisdizione del potere politico locale e dello stesso vescovo, garantendo alle monache diversi privilegi che vennero confermati quasi fino al 1600. Al suo interno, l’attenzione viene rapita dalla croce di Desiderio, in legno rivestito di lamina metallica, sulle cui facce sono incastonate 212 “gemme” di epoche diverse, che illumina la stanza in cui è posta. L’importanza del monastero è testimoniata anche dall’alto livello tecnico e formale delle decorazioni degli affreschi e dalla raffinata lavorazione dei capitelli, specialmente quelli del colonnato settentrionale. Ma come si svolgeva la vita all’interno? Il monastero era ricco e potente, aristocratico, pertanto le monache non erano costrette per crearsi una piccola scorta monetaria a ricorrere ad espedienti quali le bugade (bucati) o accantonare la propria razione di vino, prelevare pane, farina, cereali dalla dispensa monastica per venderli all’esterno come succedeva per i monasteri meno abbienti. Fra le sue mura non si svolgevano attività manifatturiere di rilievo e i piccoli lavori erano affidati per lo più alle converse (suore laiche che non avevano pronunciato i voti di povertà, castità e obbedienza, ma vivevano secondo la regola), alle quali era addirittura fatto divieto di insegnare a leggere e a scrivere. In Santa Giulia esisteva una scuola interna in cui le giovani del patriziato locale potevano 72 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Lettere a Ugo Da Como. Uomo di cultura e di studio Come per Ugo Da Como i libri continuavano a pronunciare silenziosi oracoli, così a noi, oggi, la sua Casa Museo, gli arredi, gli oggetti e i libri svelano le passioni, la cultura e la vita del Senatore. Gentilissimo Ugo Da Como, abbiamo avuto l’occasione di conoscerti durante la visita alla casa Museo di Lonato che tu hai desiderato tanto. Sei nato tanto tempo fa a Brescia nel 1869: sei stato un personaggio particolare, amavi molto la cultura, andavi pazzo per i libri e questa tua passione è dimostrata dalla ricca biblioteca privata fatta costruire nel 1923. I libri sono oggi dappertutto e ce ne sono di molto antichi e preziosi. Ti piaceva collezionare oggetti di antiquariato e per questo hai trasformato la tua abitazione di Lonato in una casa-museo, una casa cioè dove sono stati raccolti per passione, e oggi esposti ai visitatori, oggetti e mobili antichi. Sappiamo che eri molto generoso e stimato da tutti i tuoi concittadini per la tua generosità e per il tuo altruismo. Hai dedicato tutta la vita all’aiuto delle persone meno fortunate, impegnandoti come avvocato e difendendo la giustizia. Sul portone d’ingresso della casa si legge questa scritta: “Amicizia e quiete confortano il duro vivere”. Con questa scritta volevi sottolineare che la tua casa doveva essere aperta a tutti: amavi infatti ricevere ospiti, amici e no, per trascorrere con loro piacevoli giornate; per questo nella tua casa hai voluto molte sale da pranzo e salotti, una per ogni grado di intimità che avevi con le persone che venivano da te. Amavi però anche la quiete, come si legge nella citazione: infatti ti piaceva stare da solo a leggere, studiare e passeggiare. Ogni mattina salivi alla rocca di Lonato per camminare un po’ e guardare da lontano il lago. Alessandro, Lucrezia, Daniel, Francesco 73 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Ritratto di Ugo Da Como progetto 7 I luoghi ci parlano La Biblioteca Ugo Da Como nel suo studio In basso, la Sala Rossa Gentile Ugo Da Como, abbiamo visitato la sua residenza estiva di Lonato e il suo modo di riordinare i libri e oggetti è davvero impeccabile. L’oggetto più interessante che abbiamo visto è il libro più piccolo del mondo, stampato a Padova nel 1896. È l’edizione più piccola mai stampata a caratteri mobili; si tratta di una lettera di Galileo Galilei alla Granduchessa Maria Cristina di Lorena. Il libro è conservato in una teca di vetro al centro della sua Biblioteca che sorge nel giardino. Ci è piaciuta molto la citazione in latino scritta a lato del camino, sul quale sono riposte delle maioliche: “Se hai un giardino con una biblioteca, non ti mancherà nulla”. La presenza di più di 2000 libri all’interno della dimora ci ha impressionato e abbiamo colto la sua passione per il collezionismo di opere antiche, uniche e splendide. Un’altra cosa che abbiamo notato è la presenza di numerose tavolette di legno sul soffitto rappresentanti uomini e donne aristocratiche che, oltre ad avere una funzione estetica, servivano per coprire e limitare gli spifferi d’aria e l’accumularsi di polvere o ragnatele. La sua è una casa piena di curiosità e cose interessanti, speriamo di tornare presto a scoprire qualche altro segreto. Francesca, Camilla, Nicole, Vittoria Egregio sig. Ugo Da Como, abbiamo visitato la sua residenza estiva, in precedenza Casa del Podestà veneto. Ci è piaciuta molto, in particolare lo studio. Alle pareti sono appesi numerosi quadri, tra cui paesaggi e ritratti, e alcune importanti nomine e riconoscimenti offerti a lei da senatori e politici italiani. Ci ricordiamo in particolare di attestato consegnatole dalla Croce Rossa. Immaginiamo che trascorresse molto tempo nel suo studio, seduto alla scrivania di legno scuro, dando consigli utili alle persone in difficoltà: sappiamo bene che lei difendeva le classi sociali meno fortunate, lavorando per loro come avvocato. Davanti alla scrivania c’è un armadio pieno di libri che dimostra la sua passione per la cultura. Nonostante la sua carica di senatore era molto disponibile e per diffondere la cultura ha trasformato la sua abitazione in una casa museo, dando vita ad una Fondazione dove tuttora si possono consultare libri e manoscritti. Paolo, Jessica, Giacomo Gentile senatore Ugo Da Como, lei per noi è un uomo di grande cultura e di grande importanza. Volevamo ringraziarla per la sua ospitalità nella vostra villa di Lonato del Garda. La casa è molto bella e ricca di oggetti pregiati, ci hanno colpito molte stanze, ma la più bella è sicuramente la Sala Rossa, dove accoglieva e riceveva quotidianamente i suoi ospiti. La sala prende il nome dal colore delle pareti e degli arredi. In un angolo di questa sala abbiamo notato il busto di Cicerone e abbiamo pensato che per te questo personaggio poteva essere un esempio; infatti anche molte delle citazioni che sono state trascritte e dipinte sulle pareti di casa tua sono tratte da opere di Cicerone, come ci ha spiegato la guida. Abbiamo apprezzato anche la sala antica dove lei ha esposto delle maioliche, bianche e blu: si tratta di antichi vasi da 74 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 7 I luoghi ci parlano farmacista e su ognuno di essi è dipinto il nome delle erbe medicinali in esse contenute. Nella sua casa ci sono anche altre sale da ricevimento: in una abbiamo ammirato piatti di porcellana con disegni cinesi, in un’altra molti peltri. Tutte le sale da pranzo danno direttamente sul giardino della casa: immaginiamo che le piacesse trascorre il tempo con gli ospiti anche all’aperto, per godere della natura e dell’aria fresca. Sicuramente in una casa sua non mancavano gli ospiti, gli amici, le visite di persone che le chiedevano un consiglio o un aiuto. Ci sarebbe molto piaciuto essere tra i tuoi ospiti e poter pranzare con lei e sua moglie in una di quelle magnifiche sale da pranzo. Nicolle, Corinne, Beatrice, Sara Le maioliche Carissima signora Maria, Il Tinello abbiamo avuto recentemente l’opportunità di visitare la sua meravigliosa casa di Lonato, dove viveva con suo marito Ugo Da Como e siamo rimasti impressionati dall’immensa quantità dei libri. Abbiamo anche avuto l’occasione di entrare nelle sue cucine, dove si trovano tanti oggetti interessanti: abbiamo ammirato i bellissimi vasi in ceramica che si trovano sopra il grande armadio in legno massiccio e non abbiamo potuto fare a meno di chiederci se al suo interno sono ancora custoditi servizi di piatti e bicchieri. La nostra attenzione è stata attirata dal grande tavolo rettangolare dove la immaginiamo seduta a cena con suo marito, quando non avevate ospiti da ricevere. La cucina ci è piaciuta molto, soprattutto la decorazione a quadrettini rossi, che è molto semplice, ma allo steso tempo elegante. Pensiamo a tutti gli splendidi pezzi che ci sono nella vostra casa: suo marito aveva davvero un gusto raffinato e le sue collezioni di pezzi antichi sono molto curiose. Siamo rimasti colpiti in particolare dal salottino blu, dove riceveva le sue ospiti e prendeva il the con le amiche. Per noi lei è stata una donna generosa e altruista, cosa che abbiamo capito da due fatti, che la guida ci ha illustrato. Innanzitutto la festa per il suo onomastico, l’8 settembre, durante la quale accoglieva con amore i bambini di Lonato che venivano a trovarla e recitavano in suo onore poesie in cambio di doni. Poi c’era il pranzo durante il quale serviva un gustosissimo spiedo a tutti, proprio tutti, anche ai suoi dipendenti: sicuramente tra voi e le persone che lavoravano nella vostra casa c’erano un buon rapporto e grande armonia, cose che in molte altre case mancavano. Purtroppo non abbiamo visto il suo cagnolino Bobby, ma il nome ci fa pensare a un animale simpatico! Speriamo di poter tornare presto a rivedere la casa, per scoprire magari qualche altro particolare curioso. Nicolò, Luca, Anna Egregio senatore Ugo Da Como, quanto sapere sulle pareti della sua casa a Lonato! Ci ha particolarmente colpito la biblioteca che ha fatto costruire nel suo bellissimo giardino: è proprio vero che, come diceva uno scrittore latino, se hai un giardino con una biblioteca, non ti mancherà mai nulla. Tra le tanti frasi latine che abbiamo avuto modo di leggere una ci ha colpito in particolare: “Soltanto con i libri io parlerò sempre”, che ci ha fatto capire quanto Lei fosse un amante della cultura e della letteratura. Anche noi pensiamo che i libri abbiano molto da insegnarci! La guida ci ha spiegato quanto impegno e tempo Ugo Da Como ha dedicato alla costruzione della biblioteca, realizzata 75 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 7 I luoghi ci parlano progetto 7 I luoghi ci parlano in stile neogotico da un amico ingegnere di Brescia e conclusa nel 1923: oggi è una delle più importanti biblioteche private del nord Italia. Che prezioso tesoro conserva! Libri, libri, libri di ogni genere, alcuni più preziosi di altri, molti con bellissime legature in pelle, tutti catalogati con precisione, ordinati e ben sistemati sugli scaffali. L’edificio è costituito da due sale sovrapposte collegate da una bella scala in pietra. La prima è detta della Vittoria, perché al centro conserva una riproduzione in scala della Vittoria Alata. Secondo noi però la sala più bella è la seconda, al primo piano: è più piccola, ma più raccolta e soprattutto piena di libri dal soffitto al pavimento: che meraviglia! Il soffitto poi è bellissimo, decorato con tavolette lignee dipinte dell’inizio del 500. Sappiamo anche che sono conservati molti libri illustrati, tra cui alcune edizioni della Divina Commedia e una della Gerusalemme liberata; inoltre ci sono tanti altri libri, in particolare molti manoscritti e soprattutto i preziosissimi incunaboli, che Lei amava collezionare: si tratta dei primi libri stampati che risalgono a prima del Cinquecento. Molti sarebbero andati perduti e forse oggi non potremmo goderne. Per questo il suo impegno è stato davvero ammirevole. Siamo contenti di averla conosciuta, da lei abbiamo capito l’importanza della cultura e dei libri. Elisa, Lavinia, Tazio, Lorenzo Egregio sig. Ugo Da Como, dopo aver visitato la sua casa molto ospitale abbiamo capito le sue più grandi passioni: leggere e collezionare oggetti antichi. Nella casa, infatti, sono conservati moltissimi libri, ben sistemati e catalogati in armadi antichi di legno pregiato e mobili, quadri e suppellettili. In questa casa si trasferiva durante l’estate; ci hanno raccontato che amava trattenersi in giardino, seduto su una seggiola di vimini ad ascoltare il silenzio o leggere il giornale: era infatti anche molto interessato alle questioni che la circondavano. Lei ha collezionato libri storici e ha compiuto un gesto davvero esemplare: dar vita a una ricchissima biblioteca aperta a chiunque volesse consultarla o fosse appassionato di cultura, ma anche destinata alle persone meno colte. In quasi tutte le stanze della casa sono scritte citazioni in latino che ci hanno fatto riflettere perché assai significative. “Non mi sazio mai di libri” è la nostra preferita, perché anche a noi piace davvero tanto leggere e vogliamo prendere esempio da Lei. Sappiamo che nella sua vita ha fatto anche molto bene, è stato generoso soprattutto nei confronti di persone di umile classe sociale e si è battuto per molte cause. A Lonato ha saputo farsi amare da tutti, ma sappiamo che il suo impegno si è esteso anche all’Italia nella sua carica di Senatore. Alessia, Benedetta, Anna Biblioteca: sala della Vittoria Vaso di maiolica 76 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Il Vittoriale degli italiani: riflessioni, ricordi, emozioni La prima tappa del nostro percorso di conoscenza del Vittoriale degli Italiani è stata la visita del luogo in cui egli abitò dal 1921 al 1938, data della sua morte. Ogni dettaglio di questo luogo ci ha trasmesso notizie relative al suo proprietario, il poeta Gabriele d’Annunzio. Entrando nella casa in cui risiedeva Gabriele d’Annunzio, detta Prioria, subito abbiamo notato che le stanze erano piccole e poco illuminate. La guida che ci accompagnava ci ha spiegato che fu il poeta stesso a volere che rimanessero in penombra: a causa della malattia agli occhi che lo affliggeva non poteva tollerare la luce troppo intensa. In quella giornata di sole il contrasto fra l’esterno grande e luminoso del parco e le stanze piccole e semi-buie era davvero molto evidente! Durante la visita al Vittoriale abbiamo provato molta curiosità nell’osservare gli oggetti e i soprammobili originali che si trovano nelle stanze del poeta: essi ci hanno parlato del d’Annunzio collezionista. Siamo rimasti sorpresi dalla grande quantità di oggetti sparsi per tutta la casa. D’Annunzio amava accumulare oggetti di diverso valore e provenienti da luoghi ed epoche differenti. In ogni stanza i soprammobili poco costosi si mescolano a statue rituali indiane autentiche, a elefanti in maiolica cinese, mattonelle persiane, piccoli oggetti egizi e persino ad alcune statutette raffiguranti il Budda. La guida ci ha invitato a soffermare la nostra attenzione su alcuni di essi, ma osservarli tutti era davvero impossibile! Aggirandoci tra le stanze dell’edificio abbiamo osservato gli scaffali colmi di volumi, cercando anche di leggere qualche titolo sul dorso dei libri posti alla nostra altezza. Questa ricca biblioteca ci comunica il grande amore che il poeta nutriva nei confronti della letteratura e della cultura. I calchi in gesso di opere greche, i dipinti, le statue disseminate nella casa ci hanno aiutato a comprendere che Gabriele d’Annunzio nutriva interesse verso ogni forma d’arte. Questa grande attenzione verso l’arte e la bellezza ci ha aiutato a comprendere un altro importante volto del poeta: il volto del d’Annunzio esteta. I numerosi strumenti conservati nella sua casa ci testimoniano in particolare la sua sensibilità verso la musica. Approfondendo in classe la sua vita abbiamo infatti scoperto che il poeta aveva iniziato a prendere lezioni di pianoforte e violino sin da piccolo. Inoltre la maggior parte delle opere di Gabriele d’Annunzio contiene riferimenti alla musica. Lo Studio in cui d’Annunzio amava 77 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Studio del viso di Gabriele d’Annunzio La Nike progetto 7 I luoghi ci parlano Il poeta in “Officina” lavorare si chiama “Officina”. Ci ha colpito il fatto che per entrare in questa stanza il visitatore sia costretto ad abbassarsi, perché l’architrave è basso: questa entrata è stata una scelta precisa del poeta, per fare in modo che chiunque entrasse dovesse fare un inchino all’arte! A tutti noi è sembrato che in questo luogo si respirasse un’atmosfera diversa rispetto a quella che si percepiva nel resto della casa, forse perché è un ambiente molto più luminoso rispetto agli altri e arredato con mobili in legno di rovere, più semplici e chiari rispetto all’arredamento del resto dell’abitazione. Fra le varie opere conservate in questa stanza, la presenza di un busto coperto da un velo ha attrattola nostra attenzione. Così abbiamo chiesto informazioni alla nostra guida, che ci ha spiegato che si trattava del busto velato di Eleonora Duse, la grande attrice che fu per d’Annunzio compagna e musa ispiratrice, scomparsa nel 1924. Il poeta teneva la statua coperta per non provare dolore nel ricordare l’immagine della donna amata. In questa stanza il poeta trascorreva molte ore studiando e scrivendo. Dunque questo luogo in particolare ci parla del d’Annunzio poeta e scrittore. Abbiamo immaginato il poeta seduto alla scrivania, intento a comporre le sue opere letterarie! Durante la visita la guida ci ha aiutato a leggere ed interpretare alcune delle diverse scritte e dei simboli che si trovano sui muri e i soffitti: ci siamo divertiti ad esaminare questi “indizi”, sparsi nelle varie stanze come in un labirinto misterioso. Ad esempio sull’architrave all’ingresso dell’ “Officina” si legge la scritta “Hic opus, hic labor est” (Qui è l’opera, qui è il lavoro). Fra i moltissimi simboli, ricordiamo l’immagine di una mano sinistra mozzata che si trova sulla porta dello scrittoio in cui il poeta gestiva la corrispondenza. Questo simbolo, insieme alla scritta “Recisa quescit” (Tagliata riposa), sta a significare che il poeta non voleva rispondere alle numerose lettere che riceveva! Un altro simbolo che ci ha colpito si trova nella sala da pranzo: si tratta di una grande tartaruga, morta nei giardini del Vittoriale per un’indigestione di tuberose. D’Annunzio ha scelto di collocarla direttamente sul tavolo: in questo modo il poeta intendeva dire ai propri ospiti: “Non mangiate troppo o farete la fine di questa tartaruga!” Una volta usciti dalla Prioria, siamo entrati nell’auditorium, dove alcuni dei nostri amici, appassionati di aerei, sono rimasti fermi a naso all’insù, affascinati dall’aeroplano SVA 10 appeso al soffitto: esso ci ha parlato di Gabriele d’Annunzio aviatore. Abbiamo immaginato il poeta vestito da aviatore, mentre sorvolava Vienna a bordo di quel velivolo. Altri ragazzi della classe si sono trattenuti davanti ad un’auto d’epoca appartenuta a 78 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 7 I luoghi ci parlano Panorama d’Annunzio. La guida ci ha spiegato che, nel periodo in cui egli visse, possedere una vettura del genere era una cosa rara, dato che le auto erano davvero molto costose. La bellissima giornata ci ha messo di buonumore e ci ha permesso di apprezzare il grande parco del Vittoriale. In esso si trova una rimessa in cui è custodito il MAS 96, a memoria di un’impresa che d’Annunzio compì proprio su quell’imbarcazione. La sigla iniziale del MAS era “Motoscafo Anti Sommergibile”, ma il poeta la cambiò con il motto “Memento Audere Semper”. Ad un certo punto, mentre camminavamo nella natura, abbiamo visto sbucare da lontano gli alberi di un’altra grande imbarcazione! Si tratta della nave militare Puglia… È stato strano ma anche divertente passeggiare sulla prua di una nave nel bel mezzo di un parco, fingendo di essere dei marinai! Le imbarcazioni, oltre ai vari cimeli di guerra e alle fotografie conservate nel Vittoriale, ci hanno parlato del d’Annunzio soldato, o meglio del “poeta-soldato”, come lui stesso amava definirsi. Stanchi ma soddisfatti, abbiamo fatto una sosta nel grande teatro all’aperto, concepito come un anfiteatro greco. Lì abbiamo scattato qualche fotografia al nostro lago di Garda, che risplendeva davanti a noi, illuminato dai raggi del sole! La nostra visita al Vittoriale si è conclusa sulla sommità del mausoleo, dal quale abbiamo potuto ammirare lo splendido panorama che si apriva davanti a noi. Questo enorme monumento è stato destinato dal poeta ad accogliere le sue spoglie e a trasmettere ai posteri la memoria della sua opera letteraria e della sua vita eccezionale. Benedetta, Anna Bibliografia Aa. Vv., San Salvatore e Santa Giulia, a cura di G. Belotti, Brescia 2004. A. Manzoni, Adelchi, a cura di G. lonardi, Venezia 2005. S. Lusardi, R. Valbusa, a cura di, La Fondazione Ugo Da Como, guida illustrata al complesso museale, Brescia 2005. N. Baronio, Il senatore Ugo Da Como nei ricordi di un giovane giardiniere in Ugo Da Como. Quaderni della Fondazione, dicembre 2012. 79 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 8 La fiamma è bella Chi e dove Classi coinvolte Docenti referenti progetto 8 Istituto Comprensivo T. Olivelli Scuola Secondaria Papa Giovanni Xxiii – Gardone Riviera Terze A e B Bettinzoli Liliana, Colosio Michela, Comini Mariangela, Raggi Simona La fiamma è bella Luce, fuoco e calore nelle case-museo di Gabriele d’Annunzio, Ugo Da Como e nel museo di Santa Giulia Premessa Le classi Terza A e B dell’Istituto Comprensivo “T. Olivelli” (Scuola secondaria di I° grado “Papa Giovanni XXIII” di Gardone Riviera) hanno aderito al progetto promosso da Le Vie dell’Arte intitolato Luoghi di vita e di arte. Nel corso dell’anno scolastico 2011-2012 hanno effettuato la visita alle case-museo del Vittoriale degli Italiani a Gardone Riviera e della Fondazione “Ugo Da Como” di Lonato, mentre nel corso dell’anno 2012 hanno visitato il Museo di S. Giulia di Brescia e hanno proceduto alla stesura dell’elaborato. 80 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Il titolo scelto per lo stesso è tratto dall’esclamazione pronunciata da Mila, protagonista della tragedia dannunziana La figlia di Iorio, nell’immolarsi tra le fiamme. La parola ai ragazzi… La prima tappa del percorso affrontato da noi studenti è stata la casa – museo del senatore Ugo Da Como. L’edificio originale, risalente alla metà del Quattrocento, era sede del rappresentante della Repubblica di Venezia e fu, nel corso dei secoli, soggetto alla dominazione dei Gonzaga. Il senatore scelse questa dimora come residenza sua e della moglie a partire dal 1920, dopo averla acquistata per la somma di cinquantamila lire. Egli intervenne sulla struttura originaria ristrutturando e modificando l’edificio in modo da renderlo simile ad una dimora signorile del tardo medioevo. La visita guidata ha illustrato a noi alunni e ai nostri insegnanti gli ambienti, interni ed esterni, che costituiscono l’edificio: la nostra attenzione è stata catturata dai molti oggetti e dalle suppellettili che risalgono all’epoca medievale o si ispirano ad essa. Tra questi ci hanno colpito gli innumerevoli libri che costituiscono la ricca biblioteca, tra cui il libro più piccolo al mondo, gli albarelli, i dipinti e le statue, tutti di grande valore. La dimora ci è apparsa a prima vista immersa in un’atmosfera oscura, quasi cupa, ma non ci sono sfuggiti i numerosi camini che adornano le stanze e che servivano per usi differenti: scaldare ed illuminare o preparare succulente cene. Camminando tra le stanze, infatti, è stato facile rivivere l’epoca in cui la casa era abitata dai suoi proprietari ed immaginare quegli ambienti animati da grossi focolari. A questo aggiungiamo l’interesse suscitato dalle scritte che sono riprodotte sugli stessi camini o nelle pareti a fianco. Ci ha colpito in particolare la cucina, cosiddetta “ingegnosa”, dal gusto moderno, che riscaldava i fornelli con le braci del fuoco. La seconda tappa è stata la visita al Vittoriale degli Italiani. Gabriele d’Annunzio volle acquistare sul Lago di Garda una dimora che soddisfacesse le sue esigenze e la scelta cadde su quella che all’epoca era nota come Villa Cargnacco. Col passare del tempo egli la trasformò e la adattò al proprio gusto per renderla la sua residenza definitiva. La nostra visita si è concentrata sull’ambiente della Prioria. Da subito siamo stati colti dall’impressione di ritrovarci nella stessa atmosfera della Fondazione “Ugo Da Como”, infatti anche qui le stanze paiono immerse in un’ambientazione piuttosto cupa le cui pareti sono tappezzate di libri. E non passano certo inosservati gli innumerevoli oggetti d’arte provenienti da tutto il mondo che arricchiscono le stanze del Vate, tra cui un’altra splendida collezione di albarelli. Anche qui l’unico ambiente rischiarato da una luce calda è la cucina, che appare molto simile, per l’aspetto moderno e funzionale, a quella vista a Lonato. In effetti, ricercando tra gli scritti del Vate, ci siamo imbattuti in un’immagine di d’Annunzio piuttosto singolare, quella di “gastronomo”, almeno sulla carta! Nel “Libro Segreto”, d’Annunzio descriveva in maniera ironica la sua arte culinaria, in particolare la sua capacità di trasformare il prodotto del pollaio (le uova) in frittata. Il poeta giustificava la scomparsa della frittata, rivoltata in aria più volte nella padella per darle ugual cottura, con l’intervento di un angelo di passaggio, che avrebbe portato quella leccornia in Paradiso. La lettura di quel simpatico racconto ci ha ispirato la trasformazione del testo dannunziano in una ricetta, la 81 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 8 La fiamma è bella progetto 8 La fiamma è bella ricetta della “Frittata di Sainte Omelette”, che incontrerete nelle pagine a venire. Anche al Vittoriale, sebbene meno evidenti, sono presenti molti camini, alcuni dei quali estremamente preziosi e decorati. Tutta la struttura inoltre “parla” al visitatore attraverso numerose scritte e motti che caratterizzano il tono e la destinazione dei vari ambienti e svelano molto del carattere del celebre poeta e degli anni trascorsi a Gardone Riviera. Ciò che è apparso dal confronto tra le due dimore museo è che a Lonato i caminetti servivano sia come ornamento che come fonte di luce e calore da utilizzare per riscaldare gli ambienti e cuocere i cibi, mentre al Vittoriale essi appaiono quasi nascosti e poco utilizzati nella loro funzione primaria, in quanto sono per lo più oggetto di arredo e decoro. Infatti, il riscaldamento della casa del Vate era fornito da un moderno impianto di termosifoni che lo stesso d’Annunzio aveva provveduto a far istallare nella ex villa Cargnacco. Terza tappa del nostro percorso è stata Brescia: il Museo di Santa Giulia. In realtà il nostro interesse si è puntato sulle Domus dell’Ortaglia, antiche abitazioni di epoca romana di famiglie patrizie in cui, ancora oggi, è possibile osservare il sistema di riscaldamento a pavimento, ossia un modo di riscaldare le stanze che prevedeva un’intercapedine in cui passava aria calda; metodo estremamente funzionale ripreso anche in epoca contemporanea. Abbiamo anche potuto osservare resti di antiche lucerne, cioè piccole lampade ad olio che servivano ad illuminare le stanze. Nel Museo abbiamo visto una delle rappresentazioni della città di Brescia: la statua di Brescia armata, realizzata dallo scultore Antonio Calegari. Il corpo femminile è realizzato in marmo di Botticino, ma nella mano sinistra essa stringe una lancia in metallo, simbolo dell’antica arte della fusione dei metalli che fu, fin dal Medioevo, vanto e fortuna della nostra città. Ma i richiami al fuoco, alla luce, al calore non si concludono certo qui … Basta solo pensare agli innumerevoli spunti che si possono osservare nello splendido Coro delle monache compreso tra la chiesa di San Salvatore e la chiesa di Santa Giulia. A coronare il capo di Cristo risorto c’è una aureola a orifiamma. E in conclusione, non potevamo non ammirare la splendida volta stellata di S. Maria in Solario che fa da cielo alla Croce di Desiderio. Spazio alla fantasia Come anticipato nell’introduzione, le visite effettuate in preparazione alla stesura di questo progetto, ci hanno permesso di soffermarci su alcuni dei numerosi motti e scritte. Infatti le guide che ci hanno accompagnato hanno svelato non solo il significato letterale, ma anche i legami con l’edificio e la stanza presso cui erano collocati, raccontandoci aneddoti e curiosità che ad essi facevano riferimento. Tutto ciò ci ha indotto a riflettere sulla funzione e sulla finalità dei motti e ci ha fatto venire la voglia di provarci. Ecco come abbiamo proceduto… III A – Per affrontare questa attività, abbiamo deciso di lavorare a coppie. Gli argomenti e i contenuti dei motti da noi realizzati hanno preso spunto dai valori più importanti per noi adolescenti, quali l’amicizia, il coraggio, i sogni … In essi abbiamo cercato di concentrare il nostro mondo, le nostre speranze , le cose in cui crediamo. Ogni motto è stato abbinato ad un disegno che simboleggia i concetti che stavamo esprimendo. Questo lavoro ci è piaciuto molto, non solo perché ha fatto emergere la nostra vena artistica, ma anche perché ci ha indotto a riflettere su di noi, come individui e come membri di uno stesso gruppo, a confrontarci, e qualche volta a scontrarci, su ciò che ci sta più a cuore. III B – Noi alunni di III B abbiamo dapprima riflettuto sui due motti presenti rispettivamente nel corridoio-vestibolo del Vittoriale degli Italiani e sul camino della “Sala della Vittoria” della Casa del Podestà: “Cui non cedit minerva/ aliquid amplius invenies/ in silvis quam in libris” “Chi non rinuncia alla conoscenza, Minerva, dea della sapienza, qualcosa di più grande trova nella natura, nei boschi, cosi come nei libri “Si hortum cum biblioteca habes nihil deherit” “Se hai un giardino con una biblioteca non ti mancherà nulla” (da Cicerone) Attraverso l’analisi del loro messaggio ne abbiamo poi Motto del corridoio vestibolo del Vittoriale Motto sul camino della Sala della Vittoria nella Casa del Podestà Le vie dell’arte: ci piace Per rendere più attuale e vicino al nostro mondo questa attività abbiamo pensato di sfruttare un social network assai diffuso: Facebook. La pagina riprodotta di seguito e quella che troverete a conclusione del lavoro, mostrano una serie di scambi di pensieri e riflessioni condivisi durante le varie fasi della realizzazione del progetto. Noi della Terza A abbiamo chiacchierato a proposito delle tre uscite effettuate… 82 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 83 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 8 La fiamma è bella progetto 8 La fiamma è bella fatto emergere gli elementi in comune: entrambi, infatti, parlano di conoscenza come valore fondamentale per l’uomo, accanto alla natura quale luogo di sapere. A partire da ciò, abbiamo costruito due campi semantici relativi ai concetti individuati e, infine, abbiamo tentato di “attualizzarli”, per renderli più concreti e più vicini alla nostra esperienza. “Quali sono oggi i nostri luoghi e strumenti di conoscenza?” “A cosa serve la conoscenza?” Queste le domande che hanno guidato la nostra riflessione e la stesura dei “nostri” motti, realizzati in piccoli gruppi. Infine, nelle ore di Arte e Immagine, abbiamo messo in gioco la nostra creatività, trasformando quelle parole in un disegno che comunicasse in modo immediato, incisivo e fantasioso il nostro motto. Le vie dell’arte: ci piace Noi di Terza B abbiamo commentato la conclusione dell’intero progetto… 84 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 85 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 8 La fiamma è bella progetto 8 La fiamma è bella 86 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 87 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 8 La fiamma è bella Percorsi didattici Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Scuole superiori 88 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 89 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa Chi e dove Classi coinvolte Docenti referenti Liceo Scientifico N. Copernico – Brescia Terza D e Quarta D Rossana Cerretti progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa Presenze femminili reali e immaginarie al Vittoriale e nella Casa del Podestà La ricerca svolta dalle classi 3° D e 4° D del liceo Scientifico “N. Copernico” di Brescia, attraverso le presenze femminili reali o immaginarie che si trovano nella Prioria e nella casa del Podestà, mette a confronto due modi di considerare l’antico e intende mostrare come un ambiente di vita, creato secondo il gusto del proprietario e in base al suo immaginario possa diventare un museo, testimonianza artistica di diversi periodi storici dell’arte italiana nonché della sensibilità estetica in cui è stato creato. Purtroppo, per ragioni di spazio non è stato possibile includere nel nostro itinerario anche il Museo di santa Giulia, del quale ci auguriamo di poterci occupare in una futura occasione. La referente del progetto Rossana Cerretti D'Annunzio alla Capponcina Aspettando Leyla. D’Annunzio e l’arte della seduzione “Mi piacque nondimeno esser giudicato ‘capace di tutto’ quando mostravo di sapere che gli ordini morali seguono i gradi di latitudine, che le regole e i codici sono transitorii, che le verità sono cadevoli e cedevoli, che la sola misura dell’energia è il rischio, che la rinunzia e l’obedienza sono le due orecchie dell’abiezione”. (Libro segreto) Il rapporto di Gabriele d’Annunzio con le donne riguarda non solo le particolari doti seduttive di un uomo fuori dal comune, ma anche il valore della sua arte e il concetto stesso di “vita inimitabile”, che si incarna nella figura del dandy tipico della Belle Epoque. Nel Vittoriale e, in particolare, nella Prioria tutto è costruito e pensato per creare l’ideale teatro della seduzione e dell’erotismo. Per d’Annunzio l’amore è sensualità, 90 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia devozione, consacrazione, ma anche trasgressione e sofferenza perché nei confronti dell’altro sesso egli nutriva un sentimento ambivalente. Il poeta per le donne provava ammirazione, venerazione, ma anche disprezzo o odio: “La donna è una scienza, non un piacere” scrisse in Di me a me stesso, figura necessaria alla sua creatività, ma proprio per questo più mitica che reale. Cercava di sminuire il potere delle donne su di sé e d’altra parte esse gli erano necessarie come l’aria che respirava. Fece scrivere il motto di Pindaro “Ottima è l’acqua” sul soffitto del Bagno Blu, ma “Trista è la donna” nel bagno degli ospiti, forse citando le parole di un altro poeta greco, Simonide. Non c’è quindi da stupirsi che egli coniasse sempre nuovi soprannomi per le sue amanti, perché esse dovevano diventare pure espressioni del suo immaginario: per questo incontriamo all’interno del Vittoriale moltissime figure femminili di Vittorie, dee, sante, muse che spesso assumono i volti delle sue amanti – come, per esempio, nel suo studio la protome di Eleonora Duse – o le richiamano indirettamente, come vedremo per il calco del Prigione morente di Michelangelo. Sempre nell’Officina, troviamo anche il ritratto di un’altra delle sue conquiste del periodo del Vittoriale, l’attrice Elena Sangro, mentre sotto la Nike di Samotracia è posta una fotografia ritoccata (opera di Man Ray) raffigurante Luisa Casati Stampa, un’altra amica di d’Annunzio, soprannominata da lui Coré, una donna eccentrica ricordata, fra l’altro, perché andava a passeggio con due leopardi al guinzaglio per le vie di Venezia. Anche per le sante del soffitto della Sala del Lebbroso, opera di Guido Cadorin, (Sibilla di Fiandra, Elisabetta d’Ungheria, Odila d’Alsazia, Giuditta di Polonia, Caterina da Siena) posarono alcune amanti del poeta: secondo Valerio Terraroli, le cinque sante ritrarrebbero nell’ordine: Livia Cadorin (moglie del pittore), Betty Lewis, Cecilia Monteverde, Beatrice Orsi Beuf, Luisa Baccara, tutte molto care al poeta negli anni del suo soggiorno al Vittoriale (per un approfondimento su questo tema si rinvia ad un nostro intervento pubblicato nei Quaderni del Vittoriale, nuova serie / n. 5, 2009 ). “Clarisse al limitare della morte”, le aveva soprannominate nel Secondo amante di Lucrezia Buti, e le “clarisse” del Vittoriale erano un insieme inquietante e inscindibile di corruzione e purezza, proprio perché, come spiega Arnaldo Fortini nel suo libro D’Annunzio e il francescanesimo, il poeta era attratto 91 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Luisa Casati Stampa in un fotoritratto di Man Ray con la dedica a d'Annunzio (Ariel). “Le clarisse al limitare della morte” nel soffitto della Sala del Lebbroso progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa morbosamente dall’idea della meretrice convertita, della peccatrice redenta, magari dal suo santo protettore, San Francesco, al posto di Cristo (come, per esempio, nell’opera La Pisanelle). Anche la Maddalena che cosparge di profumi i piedi di Cristo e li asciuga con i suoi capelli nella sala del Lebbroso, sempre opera del Cadorin, nasconde un’altra delle sue amanti: la modella Ines Pradella. A lei il poeta scrisse un biglietto dichiarandosi “lebbroso e quasi santo” bisognoso delle sue cure… Il motivo per il quale d’Annunzio prediligesse questa forma di gioco erotico è abbastanza complesso e ha probabilmente origine dalla sua infanzia. Uno degli aspetti che lo attraeva di una donna era, infatti, il senso di carità e La figura di Niobe al centro, accanto alla testa lo spirito di sacrificio che gli ricordavano la madre, la sorella Elvira e in seguito della Madonna medicea Eleonora Duse (molto legata idealmente per lui alla sorella). di Michelangelo, immagini esemplari del dolore materno La figura della madre addolorata e piangente appare spesso nell’immaginario dannunziano e al Vittoriale essa è simboleggiata dalla protome di Niobe (del tipo degli Uffizi) nell’Officina. A proposito della sua figura scrive nel Gombo: “O Niobe, l’antico / tuo grido odo alzarsi repente/ al cospetto del Mare, / e il tuo disperato dolore / chiamar le figlie e i figli / per l’inesorabile chiostra”. La sua immagine gli ricordava la vera natura del dolore materno, per questo, tra l’altro è messa in relazione alla testa della Madonna medicea di Michelangelo. Tali riferimenti, però, sono tutt’altro che esenti da una sensualità morbosa, perché una delle sue fantasie ricorrenti era quella del rapporto incestuoso tra fratello e sorella, come testimonia il suo continuo desiderio di castrazione Ida Rubinstein nel costume di scena di San Sebastiano, mentre brandisce un grande arco e accanto il San Sebastiano attribuita a Sebastiano d’Appennino della sala del Lebbroso 92 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa (per il senso di colpa) rappresentato in modo evidente dalla mano mozza dello Scrittoio del Monco. D’altra parte, il rapporto incestuoso è tipico del Decadentismo, alluso in modo più o meno scoperto anche in molte opere di Wagner e apertamente dichiarato nella vicenda del concepimento di Siegfried da parte dei due fratelli, figli del dio Wotan, Siegmund e Sieglinde. Secondo Wagner questa unione era invisa agli dei perché avrebbe dato origine ad un essere superiore alle divinità stesse, perciò i due fratelli vengono destinati entrambi alla morte. In d’Annunzio, invece, l’incesto si risolve con la fantasia dell’uccisione rituale della giovane donna affinché il fratello ne sia purificato (variante di Antigone concepita nel romanzo Il Fuoco). Un’ansia di purificazione-espiazione pervasa dal senso di colpa che d’Annunzio provò per tutta la vita e che forse spiega la ricerca continua di nuove amanti inseguendo costantemente l’innocenza perduta. Anche le figure maschili “sante” della Prioria nascondono, in realtà, riferimenti ambigui: il San Sebastiano presente sempre nella Sala del Lebbroso (scultura lignea del primo Cinquecento di arte marchigiana, attribuita a Sebastiano d’Appennino), infatti, somiglia in modo impressionante alla danzatrice Ida Rubinstein (nelle vesti di scena del Martyre de Saint Sébastien), tanto da far pensare che sia stato scelto dal poeta in virtù di tale somiglianza, se non addirittura ritoccato a questo scopo. L’amore era quindi il sogno di una riunificazione impossibile dei sessi e perciò le donne di d’Annunzio vivevano per lui sempre e solo in un unico mito, quello cioè di Euridice al limitare della porta dell’Ade: per poter creare arte e far vivere per sempre l’amore, rendendolo immortale, era necessario fissare quell’attimo prima che la passione si spegnesse. Euridice, perché Orfeo potesse cantare di lei, doveva tornare indietro e morire di nuovo; come testimonia il calco del rilievo, posto sopra la porta dell’Officina dalla parte interna, con Orfeo che si accomiata da Euridice riaccompagnata da Mercurio del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, proveniente da Torre del Greco. Nelle opere, così come nella vita del poeta, appare evidente il senso di esaltazione e il desiderio di distruzione, di annullamento che le amanti gli comunicavano. Senza l’idea della decadenza della fuggevole forma non poteva esistere l’amore. Per questo una delle sue sante preferite era santa Teresa d’Avila e il suo motto “Sin amor todo es nada”, è citato nel soffitto dello Scrittoio del Monco mentre il calco del volto della santa, tratto dalla statua del Bernini, si trova invece nella Sala del Mappamondo: essa rappresentava l’apice dell’esaltazione mistica e nello stesso tempo carnale, unite all’idea della vanitas di ogni cosa al di fuori della totale consacrazione amorosa. D’Annunzio era morbosamente attratto dall’immagine della suora o della monaca che per lui rappresentavano una tentazione fortissima di seduzione, come accade nelle Vergini delle rocce dove Claudio Cantelmo seduce Massimilla, 93 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Calco del rilievo con Orfeo che si accomiata da Euridice riaccompagnata da Mercurio del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, proveniente da Torre del Greco. La cuoca Albina Becevello (la seconda da sinistra) con altre “clarisse”. La danzatrice Isadora Duncan. Alcuni dei vestiti usati dalle donne che visitavano il poeta nel nuovo spazio museale dedicato a D’Annunzio segreto al Vittoriale progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa destinata, appunto, a diventare clarissa. Inoltre abbiamo notizia di travestimenti con tonache monacali delle donne presenti nella Prioria, nonché, in precedenza, della Duse stessa. Anche la servitù del Vittoriale veniva vestita in questo modo e la cuoca era stata soprannominata dal poeta “suor Albina”. Alcune di loro erano “badesse” solo per una notte, altre invece, frequentavano il poeta più a lungo, anche se negli ultimi anni rifuggiva da relazioni troppo impegnative. D’Annunzio quando giunse al Vittoriale era già quasi sessantenne e, d’altra parte, non era mai stato particolarmente bello, ma il suo potere seduttivo era legato al fascino dell’eleganza, allo stile del tutto personale, alla scenografia stessa del Vittoriale, alla fama delle sue imprese eroiche e amorose, e, soprattutto, all’abilità della parola, ossia alla capacità persuasiva del tono di voce che appariva alle ascoltatrici talmente sensuale da rimanerne ammaliate. Scrive Isadora Duncan nel suo libro di memorie La mia vita: “Ho inteso molte donne domandarsi: – Come mai una donna così bella ha potuto incapricciarsi di un uomo così brutto come d’Annunzio? […] Sentirsi lodata, con quella magia particolare di d’Annunzio è una gioia paragonabile a quella che dovette provare Eva quando udì nel paradiso la voce del serpente. D’Annunzio può dare a ciascuna donna l’ impressione che sia il centro dell’universo. […] Sembra che la sua voce vi domini e distrugga in voi ogni volontà col potere di una forza sconosciuta. Esistono parole più brucianti delle più brucianti carezze … Egli le conosce. Esistono carezze più immateriali delle parole più soavi… Anche queste egli le conosce”. D’Annunzio quando corteggiava una donna la riempiva di regali per poi invitarla alla Prioria dove veniva presa in consegna dalla sua fidata governante, Amélie (soprannominata Aélis) Mazoyer (già al suo servizio all’Arcachon in Francia) complice del poeta nei suoi giochi erotici, con il compito di prendersi cura delle sue “belle di notte”, preparando loro vestiti della taglia adeguata, e adatti al genere di magia fiabesca che il poeta voleva realizzare. Si veda a questo proposito il nuovo libro di Giordano Bruno Guerri La mia vita carnale. Amori e passioni di Gabriele D’Annunzio. Per questo motivo sono stati ritrovati all’interno degli armadi della Prioria parecchi abiti femminili di vario genere. Come apprendiamo da diverse fonti, per esempio anche dal libro L’arte della seduzione in Gabriele d’Annunzio di Paola Sorge, spesso per le sue ospiti, d’Annunzio faceva imbandire delle cene estremamente raffinate, sia per la scelta dei vini sia per quanto riguarda i piatti; cene nelle quali non doveva mai mancare qualche prodotto della sua terra d’Abruzzo né qualche aspetto così originale da stupire i commensali, come, per esempio, tralci con grappoli d’uva che pendevano dal soffitto in pieno luglio! D’Annunzio si occupava personalmente dell’arredo della tavola, della scelta dei colori, dei fiori nei vasi, dei profumi posti nei bacili d’argento pieni d’acqua per rinfrescare le mani. Le donne dovevano presentarsi vestite come il poeta aveva richiesto, magari come Vellutino (Ester Pizzutti) solo con un abito di rete d’oro “su la pelle nuda” (ancora conservato intatto nell’armadio della Stanza degli Ospiti al Vittoriale). Purtroppo, se da un lato era quasi impossibile resistere a quell’uomo affascinante e incantatore, dall’altro la magia svaniva facilmente e la carrozza di Cenerentola si tramutava ben presto in un’auto che riportava la giovane di turno a casa propria. Alcune delle sue amanti precedenti erano rimaste segnate per sempre da simili atteggiamenti, come Alessandra di Rudinì (detta Nike) che si fece carmelitana dopo la fine della loro relazione o la giovane francese Angèle Lager detta Jouvence, divenuta talmente insistente che fu costretta dal poeta a rimpatriare, per poi ripresentarsi a distanza di anni al Vittoriale ancora in preda al delirio della passione. Eleonora Duse, tra le altre cose, ne uscì economicamente rovinata. La vita del poeta al Vittoriale era in continua oscillazione tra l’autoironia per il proprio decadimento fisico e la disperata ricerca di nuove conquiste che lo facessero sentire eternamente giovane: “Vecchio guercio tentennone, io resterò dunque senza fine sospeso al mio nervo Alessandra di Rudini ottico, e senza denti riderò del vanesio che volle non soltanto divenire quel che era prima e dopo la sua ma abolire interamente i suoi confini e rivivere tutte le vite, riesperimentare tutte le relazione con d'Annunzio esperienze, togliere a tutti il meglio di ciascuno per atteggiarlo ed esaltarlo nella sua unica volontà”. (Libro segreto) La sua pretesa di vivere tutte le vite si scontrava con la realtà dello spegnersi dell’unica vita che gli restava, e che, alla fine, nonostante tutte le esperienze, non era mai sazia,. Il tempo fuggiva inesorabile. L’unica possibilità era creare e ricreare la magia nella cornice della sua villa-harem: “Fuori dal Vittoriale, non sarei che un vecchietto libidinoso” ammetteva egli stesso. Per questo era necessario un luogo come la Prioria perché essa potesse diventare il palcoscenico di ogni sua recita: dal padre priore, all’eunuco orientale. Le sue fantasie e i suoi desideri erano sempre stati insaziabili, tanto che negli ultimi anni della sua vita si rammaricava di non essere più in grado, come un tempo, di soddisfare tre donne al giorno! Tutte conoscevano il suo modo di vivere e di pensare a riguardo, ma invariabilmente, ogni donna viveva, almeno per un certo tempo, l’illusione di essere l’unica e si lasciava incantare da questa personalità poliedrica e imprevedibile, capace delle più sublimi gentilezze come dei più assurdi eccessi. La fama delle sue prestazioni erotiche eccezionali era 94 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 95 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Isadora Duncan danza nella foresta Gaetano Previati La danza progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa probabilmente dovuta anche all’uso della cocaina da cui era divenuto sempre più dipendente negli anni del Vittoriale, una droga che d’Annunzio spesso spalmava anche sulle gengive determinando così la perdita dei denti. Scrive ancora Isadora Duncan: “Forse l’amante più meraviglioso del nostro tempo è Gabriele d’Annunzio. Ciò nonostante è un uomo piccolo e calvo e, salvo quando il suo viso si illumina, non si può dire che sia bello. Ma quando parla ad una donna che ama si trasfigura al punto da rassomigliare addirittura ad Apollo, e così è riuscito a conquistare l’amore delle più grandi e delle più belle donne del suo tempo.Quando dAnnunzio ama una donna, la innalza e innalza la sua anima al di sopra della terra, fino alle regioni divine dove si muove e risplende la Beatrice dantesca. […] Ci fu un momento, a Parigi, in cui il culto di dAnnunzio toccava altezze vertiginose ed erano tutte le bellezze celebri ad amarlo. Ma quando il capriccio del poeta finiva e lui abbandonava lamante di turno per unaltra, quel velo di luce scompariva, laureola si eclissava e la donna tornava allargilla mortale”. Ma quali erano le parole che dAnnunzio rivolgeva alle proprie amanti? Scrive ancora la Duncan: “Mi ricordo di una passeggiata meravigliosa che feci con lui nella foresta. Ci fermammo e restammo silenziosi. Allora d’Annunzio esclamò: ‘O Isadora, non è che con voi che si può essere soli in mezzo alla Natura. Tutte le altre donne distruggono il paesaggio; voi sola vi incorporate. Voi fate parte degli alberi, del cielo. Voi siete la Dea suprema della Natura.’ Tale era il genio di d’Annunzio. Dava ad ogni donna l’illusione di essere la Dea di un dominio differente”. D’Annunzio, aveva la straordinaria l’abilità di “plasmare” la propria amante affinché gli facesse vivere l’illusione di possedere molte donne contemporaneamente:“Mi convieni perché nessun’altra forma è fatta, come la tua, per secondare le mie finzioni. […] sei buon conio a qualsiasi delle mie impronte. quante altre donne compiutamente possedevo in te, dianzi; e una fra tutte, quella che più t’è avversa: tu sai quale”. Scrive nel Libro segreto probabilmente riferendosi ad Elena Sangro. Le donne si trasformavano in clarisse e meretrici, Veneri di Prassitele o Aurore di Michelangelo, guerriere come Atena e androgine come il Prigione morente, donne fatali e meduse. Finché durava, tutto era perfetto. Mordere la vita, vivere per vivere. Questo era tutto: “La passione vera non conosce l’utilità, non conosce alcuna specie di benefizio, alcuna specie di vantaggio. vive, come l’arte, per sé sola. l’arte per l’arte, la prodezza per la prodezza, il coraggio per il coraggio, l’amore per l’amore, l’ebrezza per l’ebrezza, il piacere per il piacere”. (Libro segreto). Qualcuna riusciva a resistere ai suoi assedi amorosi, ma erano veramente in poche: la più famosa delle sue avventure mancate fu quella con la pittrice Tamara de Lempicka che, giunta al Vittoriale per fargli un ritratto, pur facendo la civetta con lui, alla fine respinse gli approcci del poeta. Spesso le fantasie sui triangoli amorosi che servivano ad eccitare l’eros, diventavano realtà. Come si evince dai suoi romanzi, d’Annunzio amava anche i rapporti a tre o più donne, predilezione confermata dalla scritta sul soffitto della sala della Leda: “Tre donne intorno al cor mi son venute / E seggionsi di fore / Ché dentro siede amore / Lo quale è signoria della mia vita…” che, in un certo senso, può essere considerata come la traccia iniziale per il suo romanzo Le Vergini delle Rocce. Nonostante il senso della canzone dantesca sia molto più intellettualistico e idealizzato, non si può nascondere che per d’Annunzio esse rappresentassero i suoi oggetti del desiderio erotico come, appunto, le tre donne delle Vergini delle rocce in cui l’immaginario di Cantelmo si rivolge su tutte tre, mentre nel Fuoco risulta ben chiara l’ossessione dannunziana di possedere più donne contemporaneamente e di fare di un’amante la complice di questo triangolo. Attraverso la presenza delle tre donne si sprigiona, secondo il poeta, una grande forza creativa che appare direttamente proporzionale all’attrazione erotica, perché esse rappresentano nel suo immaginario la “triade dionisiaca” della tragedia (poesia, musica, danza) a cui alludono probabilmente i quadri di Gaetano Previati presenti nella Sala dei Calchi donati da Alberto Grubicy al poeta, ma giunti al Vittoriale solo dopo la sua morte. Alla presenza delle tre donne – spiega Cantelmo – “io assistevo in me medesimo alla continua genesi d’una vita superiore in cui tutte le apparenze si trasfiguravano come nella virtù di un magico specchio”. 96 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 97 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Gabriele d'Annunzio e Eleonora Duse progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa Un episodio di amore con più donne è raccontato esplicitamente nel Libro segreto a proposito delle sue abitudini alla Capponcina, durante la relazione con Eleonora Duse: “Per la via vecchia fiesolana andavo ai Robbia di Sant’Ansano? scendevo al cancello d’una villa chiusa in bossoli esatti dove m’attendevano le due sorelle sonatrici di virginale e di liuto alunne di Arnold Dolmetsch, esperte in giochi perversi. ‘on fait toujours beau-coup de progrès en enseignant’ (‘Si fa sempre molto progresso nell’insegnamento’)” Poi, dopo il “triangolo”, come se niente fosse, tornava dalla Duse: “Ghisola, Ghisolabella! ‘Gettando la briglia balzavo su la ghiaia. ‘Ghisola!’ ero folle di lei oblioso, incolpevole. l’infedeltà fugace dava all’amore una novità inebriante: la sovrana certezza. m’adiravo contro ogni indugio nel bagnarmi. ‘Ghisola ti amo, ti amo, per sempre te sola. aspettami, aspettami tu, se io non posso più aspettare.’ Attonita, ignara, quasi paurosa, ella diceva: ‘ma che hai? che hai?’” D’Annunzio per giustificare questi suoi atteggiamenti libertini aveva una risposta risolutiva: egli contestava la fedeltà e la verginità ritenendole concetti inutili, odiosi, profondamente ipocriti. A suo parere, infatti, non esiste in amore una coppia fedele: “Bisogna spezzare la maschera della fedeltà come quella della verginità. […] Innumerevoli sono le parole che non rispondono ad alcun sentimento reale, ad alcuna figura ideale. ma non v’è menzogna sillabica più confusa e più diffusa di questa: la fedeltà. ha il suono scenico delle false catene. […] alludo agli amanti fedeli: genia inesistente. non v’è coppia fedele per amore. Io sono infedele per amore, anzi per arte d’amore quando amo a morte”. (Libro segreto) Per d’Annunzio l’amore doveva essere soprattutto una forma di conoscenza di sé e della donna: “Io son nato per studiare, per comprendere, per apprendere: questo significa ch’io son nato per possedere. Fra tutte le creature della terra la donna è quella che noi possiamo più profondamente apprendere. or è così giustificata – secondo il cervello, calido cerebro autore – l’assidua mia frequentazione. A chiarezza di me. io sono vicino alle cose – a tutte le cose, alle cose universe – più che qualunque altro uomo, più che qualsivoglia animale nei numerati e innumerati elementi”. Alla fine della sua vita, però, si rese conto di essere rimasto ignoto a se stesso, come misteriosa e lontana era stata per lui, nonostante tutto, la figura femminile. Così un giorno Eleonora Duse gli aveva letto una perfetta definizione della loro anima, della loro relazione e di lui stesso: “’Come è fatta quest’anima così forte, così inferma, così piccola, così grande che cerca le secrete cose e contempla le più alte? come è dunque fatta questa che tante sa dell’altre cose e non sa come ella sia fatta?’ […] e ancóra mi lesse, mutando un gioco di suoni in una lode segreta o in una condanna palese: ‘tu hai in te numero e non puoi essere annoverato, però che sÈ misurevolmente senza misura’”. Proprio questa capacità profetica e straordinaria amava Ariel-d’Annunzio della sua amica, Foscarina, Perdita, Ghisola, la donna nomade che lo abbandonava per poi tornare, anche se non si sapeva quando né come… L’attrice, nonostante la dolorosa fine della loro relazione dichiarò: “Gli perdono di avermi sfruttata, rovinata, umiliata. Gli perdono tutto perché ho amato”. Eleonora fu l’amore costante di tutta la sua vita, tanto che molti testimoni presenti al Vittoriale ricordano che il poeta nell’Officina si rivolgeva alla protome della grande attrice posta sulla scrivania e dialogava con lei come se fosse viva. Egli le sopravvisse quattordici anni e ormai vecchio affermò: “È morta quella che non meritai”. Nonostante questa consapevolezza, l’amore per d’Annunzio restava una corsa folle verso la distruzione e l’annullamento, una specie di esperienza mistica senza dio, come tutte le azioni estreme della sua vita. L’eccesso era talmente esaltato che alla fine restava solo l’anima all’interno del delirio dionisiaco: “Di quanta lussuria belluina, di quanto piacere perverso, di quanta imaginazione impura io mi son nutrito in questi ultimi tempi. In questa malattia, come dunque la sofferenza carnale a poco a poco spoglia di carnalità il corpo che soffre? Come dunque il corpo non ne serba traccia, quasi vaso di vetro che lavato e rilavato non serba color di vino, odor di essenza, dolciore d’elisire? Tutti i miei pensieri sembravan vibrare di penne luminose: alti serafini dalle molte ali disposte intorno a un volto senza corpo, intorno a un’estasi senza cuore”. (Libro segreto) L’amore era l’esperienza dove ferino, umano e divino diventavano una cosa sola, in una specie di riunificazione della vita: per cui l’energia vitale era tanto più potente quando riuniva in sé entrambi i sessi e la forza di elementi diversi: “Quante e quante volte ho sentito – e mi son persuaso e mi son radicato nel convincimento – che l’istinto prevale su l’intelletto. Quante volte ho sentito, in me artista peritissimo, in me tecnico infallibile, […] che il mio istinto supera la mia abilità mentale, precede tutte le sottigliezze del mio mestiere. E però non amo le donne se non per quel che v’è di animale in esse; voglio dire: d’istintivo. talvolta so renderle divine, nel senso che la bestia è una forma del divino, anzi il più misterioso aspetto del divino. Il loro potere su me tuttavia – di là da tutti i miei esperimenti e inganni interiori – è soltanto corporale, è soltanto carnale”. “Ecco. Il bacio che s’arca e non iscocca, / sembrando denudarti a poco a poco, / stampa nel mio pallore l’ombra e il foco / dell’altra bocca. / Se tu l’apra e mi scrolli in te confitto, / ardendo come gli ìnguini l’ascella, / t’amo con una crudeltà più bella / d’un bel delitto”. Un desiderio così insaziabile che una delle sue amanti francesi (Lalotte) aveva esclamato: “Ce pauvre Gabriel si plein de genie et de spermatozoides!” Eppure questo desiderio nascondeva forse una sostanziale freddezza ed incapacità di amare come per tutti i narcisisti… “De toutes femmes aimées j’ai fait ma semblance” (Di tutte le donne amate ho fatto la mia sembianza) scrisse nei suoi appunti autobiografici noti con la sigla Chi sono? Le persone che vivevano stabilmente con lui dovevano perciò adattarsi a questo suo atteggiamento: Luisa Baccara, la sua amante fissa del periodo del Vittoriale, era molto gelosa, ma fu costretta a scegliere se adeguarsi o andarsene. E d’altra parte, così aveva reagito anche la moglie, Maria Hardouin di Gallese, che era rimasta legata a d’Annunzio almeno da profonda amicizia, sebbene entrambi conducessero vite separate. Così il poeta aveva fatto allestire per lei la villa Mirabella sul limitare del parco del Vittoriale. Della Baccara, molto probabilmente, d’Annunzio apprezzava soprattutto le sue doti di grande pianista, eccezionale interprete della musica di Franz Liszt. Probabilmente vide in Luisa Baccara una specie di musa ispiratrice come era stata per Wagner, Cosima Liszt, ricordata nella parte finale del romanzo Il Fuoco e di cui si può vedere il ritratto nella Sala della Musica. Non a caso, infatti, proprio in quella sala si conservava all’epoca il pianoforte del grande compositore ungherese (ereditato dal precedente proprietario Henry Thode, sposato con Daniela Senta von 98 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 99 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Luisa Baccara progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa Bülow, figlia di Cosima). Luisa, detta Smikra, appare ritratta di spalle intenta a suonare l’organo, nella Sala del Lebbroso, accompagnata dall’iscrizione Nunquam dissonis, (mai dissonante), per ricordare l’amore del poeta per la musica che a suo parere accompagnava tutte le visioni di bellezza dell’esistenza. Sappiamo che spesso la Baccara suonava l’organo sia nella Sala del Mappamondo sia in quella del Giglio. Durante gli anni del Vittoriale riaffioravano nella mente di d’Annunzio anche le amanti più importanti di diversi periodi della sua vita: Barbara Leoni (che gli ispirò il personaggio di Ippolita Sanzio, protagonista del Trionfo della Morte), Olga Levi (Venturina) ecc. In più, ovviamente, troviamo alcune descrizioni delle donne che lo visitavano nella sua casa di Gardone. raccontato la storia dei due giovani persiani “perché ella accogliesse il suo nome cubiculare”. E adesso la attendeva, non attendeva più Simonetta, né Agnoletta, attendeva Leyla nella Veranda dell’Apollino, assaporando la frutta nell’attesa, o, forse, fingeva solo l’attesa perché talvolta egli continuava ad assaporare nell’assenza dell’amante, l’immaginazione della sua presenza come personaggio più che come persona vera. Aveva già posseduto Leyla e adesso gli bastava pensare che la stava attendendo inutilmente come Maghnun, appunto, per esaltare fino all’inverosimile il desiderio: “Le ore passano. scocca l’ora dell’amante, l’ora citerea; ch’io chiamo per me segreto l’Ora dell’Invenzione. Mi alzo per accertarmi che la porta del Prigione è chiusa, e che non è possibile alla forza e alla frode penetrare nel penetrale. Leila è giunta? offro in pensiero un sacchetto d’orzo al suo caval bianco rimasto dinanzi alla mia porta difficile. o nella mia mattonella infissa? Sono solo. sono nel colmo del mio digiuno rituale. nella Loggia dell’Apollino è un’ampia coppa di frutti. c’è l’uva che ieri m’inviò da Pegli il conte di Grado Luigi Rizzo, […] La coppa era preparata per Leila. tuttavia Leila è presente con tutta la sua vita di frutto immaturo e maturo, dall’ora che la conobbi a quest’ora che la deludo. e gioisco e patisco di lei più misteriosamente che s’ella fosse nel mio letto ignuda o sopra i miei cuscini d’aremme seminuda. Per una di quelle transustanziazioni che senza miracolo compie il mio cervello alimentato dal fuoco degli ìnguini, gioisco di Leila in ognuno dÈ miei versi rapiti a Saadi, in ognuna delle mie mattonelle, in ognuna delle mie figure, in tutta l’arte di Persia mistica e sensuale”. In un altro passo del Libro segreto apprendiamo che d’Annunzio aveva già posseduto Leila in un gioco quasi violento: “Tanto è stretta la veste, guaina sapientemente congegnata, che da sola ella stenta a togliersela. […] la stoffa imprigiona le braccia […] rimane sempre più impigliata, non osa strappare, esita a dilacerare. ride nell’intrico, ride e strepita nel laccio, giovine animale nella tagliuola […] Profitto della sua impotenza […] per solleticarla, per pungerla, per eccitarla al riso frenetico. è vincolata, è prigione. doventa il mio gioco. La spoglio dalla cintola in giù, mentre ella è legata e constretta dalla cintola in su. Con uno sgambetto maestro la stendo sul tappeto. Le tolgo la cintura che regge i legacci per tirare le calze. una voluttà singolare s’accorda con le calze. le sue sono finissime, diafane […] Nel suo sobbalzare la veste qua e là stride fendendosi. il suo grande occhio nero sfolgora per entro due lembi. O Leila, giovine stelo, ramo snello che i due frutti del petto non incurvano. Dopo la danza di amore, dopo il combattimento acre, dopo il gioco acrobatico, ella si snoda: e con un atto di atleta, fiero e incantevole, si stropiccia vigorosamente le gambe indolenzite o intorpidite. Ella ha la conoscenza delle bestie e delle bestiole e dÈ lor costumi e dÈ lor modi di sfuggire alla caccia, una conoscenza tanto istantanea ch’ella sembra della famiglia. tutti gli animali sottili e veloci ammaestrano la sua snellezza. […] Parla, mi blandisce, mi vuol sedurre, esprime dal suo viso e dal suo collo – che è bellissimo – il suo incantesimo. […]” Leyla, oltre al fascino del suo giovane corpo, attrae il poeta per il suo fondersi con la natura (come il personaggio della fiaba persiana) imitando perfino i richiami degli uccelli sugli alberi di magnolia dell’Arengo. Le magie Leyla Un esempio eccezionale di come arte e vita si compenetrassero nell’immaginario dannunziano è dato dalla storia di Leila e Manghnun, nata dalla presenza nel Bagno Blu di due piastrelle persiane raffiguranti i due sfortunati amanti della tradizione orientale. Le lunghe ore di studio che d’Annunzio aveva dedicato alla maiolica persiana si erano improvvisamente tramutate in una magia realizzata. Leyla e Majnun (Maghnun), secondo la leggenda, vivevano nello stesso paese ed erano talmente innamorati che Majnun camminava per strada gridando costantemente il nome della ragazza. Questo insolito comportamento portò Qays (questo era il suo vero nome) ad essere soprannominato “Majnun” ossia “pazzo” in lingua araba. I due ragazzi vennero però divisi dalla famiglia di Leyla e allora il giovane disperato vagò nel deserto chiamando a gran voce il nome dell’amata e a poco a poco diventò parte della natura. Cominciò a vivere nelle foreste e nei deserti cibandosi di ciò che l’ambiente produceva spontaneamente, e comunicando con animali e piante come S. Francesco. Successivamente un generoso principe guerriero di nome Nowfal decise di aiutarlo a sposare la sua amata. Majnun sembrava ritornato in sé e furono intraprese trattative con la famiglia della giovane, ma fu tutto inutile. L’ennesimo fallimento gettò Majnun in uno stato di tristezza, spingendolo a vivere nuovamente nella natura in totale solitudine. Quando, dopo tanto tempo, Majnun verrà a sapere della morte della sua amata, si recherà sulla sua tomba accudito dai suoi amici animali a piangere fino alla morte. Fino a diventare, cioè, secondo la tradizione persiana, un salice piangente. Scrive d’Annunzio nel Libro segreto: “Ecco Maghnun il folle, l’ambizioso deluso, eccolo scarnito e afflitto di contro a Leila estenuata e disperata, accosciati entrambi nel pianoro di una rupe ignuda. intorno la coppia infelice sono raccolti a coppia gli animali diversi: i giaguari le gazelle le lepri le anatre gli ibi i falchi”. Le due formelle persiane Così il poeta alla sua nuova amante con Leyla e Maghnun Simonetta cioè Angioletta Panizza aveva nel Bagno blu 100 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia La menade danzante Numerose poi, sono le descrizioni di incontri d’amore con danzatrici nei quali immagina la propria amante come una ballerina egizia o etrusca, dalla pelle ambrata, probabilmente abbigliata in modo adeguato all’occasione. Potrebbero essere visioni ispirate dall’attrice Elena Sangro, ma non ne abbiamo la certezza: “ 101 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Elena Sangro La cacciatrice che tende l'arco del Bios nella Sala del Lebbroso e l’Artemide di Bourraine nella Sala della Musica Elena Sangro nei panni di Proserpina nel film Maciste all'inferno progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa una fanciulla nel primo fiore della pubertà, […] nofert. il suo corpo d’ambra scura, snello, pieghevole come lo stelo d’una pianta fluviale, traspare per le pieghe esigue del ‘lino regio’ nomato aere tessile. traluce la sua nudità dalle mammelle verginee, che con l’erte punte rosate trapassano la tunica piegosa”. La danza era un elemento che faceva letteralmente impazzire di desiderio il poeta insieme all’immagine di Venere, ma rispetto alla scultura classica (in genere di Prassitele) egli amava le gambe più lunghe “ismisurevoli” diceva, come il bronzetto di Enrico Mazzolani posto sulla mensola sopra il lavabo del Bagno blu: “m’intaglia una Venere lunga, molto lunga dagli inguini ai malleoli, stralunga, per indulgere al mio vano amore delle ismisurevoli gambe”. Il corpo doveva essere flessuoso come un giunco, qualcosa di molto simile a quello di Ida Rubinstein o a quello delle cacciatrici che troviamo raffigurate nella casa. Si tratta delle donne che reggono l’arco del Bios, cioè dell’energia vitale nel replicarsi di vita e morte, come la giovane nuda intenta a tendere l’arco nella Sala del Lebbroso accompagnata dalla scritta Fert diem et horam (sopporta il giorno e l’ora) ovvero, come spiega nel Fuoco: “L’arco ha per nome Bios e per opera la morte”, cioè il ciclo della natura meccanicistica o karmica. La modella sarebbe la giovane Betty Lewis, presente anche tra le sante del soffitto. Un’analoga raffigurazione di Artemide dalle gambe slanciate si trova in un elegantissimo bronzetto opera dello scultore francese Bourraine nella sala della Musica. Il poeta amava molto questi corpi atletici e slanciati di donne selvagge e guerriere, vagamente androgine, simili ad amazzoni. In un altro passo del Libro segreto la danzatrice viene paragonata a Pandora per la sua eccezionale bellezza: “S’ella danza, mi dispero. Il gioco dei malleoli […]. Le mammelle talvolta paiono velarsi come per caste palpebre, […] Nella gamba la lucentezza del fùsolo e – quasi parallela – la tenue scanalatura ionica. Vive per esser bella, è bella per vivere. L’arte della sua cura cutanea […] tende a ottenere per tutto il viso e per tutto il corpo un colore eguale, simile a quello dei simulacri di avorio o di pario. […] E com’è che, o disperato Pygmalion, la sua pelle nelle regioni più soavi par quasi azzurrina? ” Sempre legato alla danza è anche il suggestivo ricordo di Elena Zancle (ovvero Elena Sangro) che danza per il poeta sulle odi di Alcyone: “Ma stamani tutti i misteri cedono al mistero del ritmo che fa di me il suo strumento sempre novo e sempre diverso. dianzi Elena Zancle mi chiedeva di leggerle alcune tra le più aerose odi del libro di Alcyone per emulare Gorgo nel danzarmele. Io voglio nuda, nell’odor del màstice,/ danzar per te sul limite dell’acque/ l’ode fiumale al suon delle sampogne”. Un ruolo importante giocava ovviamente anche la biancheria, che il poeta si portava via dopo l’amore per porterla toccare ancora da solo, come le tre camicie di Elena Zancle “la bianca la violata la gialla, tutte pizzi trine merletti, trasparenze sopra la pelle, più lievi delle vene sotto la pelle”. L’altra fantasia che spesso gli tornava alla mente negli anni del Vittoriale era l’incontro con Ida Rubinstein: “Sono per accogliere l’attrice in un palagio da me costruito e ornato con un’arte che non conobbero i papi né i re, non i dogi né i soldani. Ora in lei è non so qual sublimazione, non so qual sommo e colmo di giovinezza, come per un fato retrorso degli anni. […] Prima di danzare ella è seduta in silenzio: assisa come la sibilla che attende entro se l’iddio o che già in sé l’ascolta. Qual fato statuario e spirtale la sublima? […] Ella abbassa lo sguardo su’ suoi ginocchi. anche una volta ho la sensazione indefinibile della vita particolare e indipendente delle sue gambe. […] Liberai dÈ cosciali e delle gambiere le gambe del mio Sebastiano invitto, […] L’amore dÈ primi tempi, L’amore del tempo di Cleopatra e di Sheherazade mi rifluisce nel cuore aumentato come il fiume dalla alluvione subitanea. Bozzetto per il Martyre ‘Vous souvient-il? vous souvient-il?’ (‘Vi ricordate? Vi ricordate?’) de Saint Sebastien Tutti i ricordi di quel tempo, e la brama tormentosa, e i primi baci alla sua bocca insensibile, e i baci di tibicine lungo le gambe fino agli inguini; e il folto e cupo divieto quivi crinito, in tanta delicatezza di linea e di colore quella specie di selvaggia ambage chiomante, quella oscurità ferina,[…] Ella si leva dal sogno nel sogno, e danza nell’aula smaltata come una legatura straricca di Corano o di libro sacro dell’Iran. Ella danza, presente e assente, di là dalla natura, di là dalla magia, di là dalla musica”. (Libro segreto) In questo passo si intuisce tra l’altro come il poeta avesse tentato di sedurre la Rubinstein, nonostante fosse notoriamente lesbica e intrattenesse una relazione con la pittrice Romaine Brooks. Inizialmente d’Annunzio sembrò non avere successo, ma poi, grazie anche alla sua capacità di travestirsi da donna e di dissimulare il suo sesso durante l’approccio erotico (come ha spiegato Annamaria Andreoli in un’intervista nel cd D’Annunzio e l’epoca dei piaceri), era riuscito a conquistarle entrambe. A questi particolari giochi erotici, quindi, alludono probabilmente le statue maschili “travestite” che troviamo in vari ambienti della casa. Un altro personaggio dannunziano interpretato da Ida Rubinstein è La Pisanelle o il gioco della rosa e della morte, ricordata dalle due pelli di leopardo della Sala del Lebbroso, rappresentanti la lussuria; la protagonista dell’opera,infatti, è una meretrice, che viene detta anche “la Leoparda”. Per rappresentare l’ambiguità tutta 102 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 103 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa dannunziana tra martirio mistico e trasgressione sessuale, nella danza finale la Pisanella muore soffocata dalle rose. Il disinganno La passione era bruciante e sublime, ma poi, come abbiamo già visto per Leyla, il poeta spesso si faceva negare, cominciava a deludere le amanti, si sottraeva agli abbracci, taciturno e ostile come ricorda nel Libro segreto a proposito di Venturina (Olga Levi), la sua amante a Venezia durante la prima guerra mondiale. Il poeta pensava in realtà a “Lachne” un’altra amante che frequentava contemporaneamente a Olga: “Non è anima e non è carne. non è acume e non è stupidezza. ma quanto mi piace! […] Lachne la chiamo quando è nuda; e non ho mai pronunziato con tanta lascivia il greco di Milo. […] Ci diciamo addio senza stringerci la mano, come per sempre, come in un rancore perpetuo”. Si propone allora di rivedere Venturina, ma quando la giovane arriva il poeta la delude di nuovo: Ida Rubinstein nei panni “Riappare Venturina fresca acerba intrepida impaziente. Mi trova cupo, svogliato, di Cleopatra ritratta da nemico. Ho il coraggio di pregarla che se ne vada, anche una volta. ho la forza di Leon Bakst nel 1909. perderla”. Pietro Canonica L’abisso Dopo gli incontri, i sogni e le magie, ecco arrivare il disinganno e la (1909) delusione:perché l’amore è supplizio, prima vita assoluta e poi morte: di Barbara Leoni amava la bellezza “patetica e sensuale” e la passione per lei era una malattia incurabile, un supplizio: “L’impossibilità di seguire ogni consiglio ragionevole, la necessità di averla meco senza indugi, di là da tutti i divieti, o di morire.[…] questo è l’amore. il non poter vivere senza una creatura, la sola: e non distinguo l’anima dalla carne, anzi dichiaro la carne, anzi la pongo sopra tutto: questo è l’amore, soltanto questo”. L’amore diventa poi la lotta folle tra due nemici, nella antica leggenda popolare abruzzese che gli aveva ispirato il finale del Trionfo della morte: “Dura nel contado laggiù la leggenda degli amanti che s’erano precipitati a picco dal promontorio su la scogliera nerastra, come testimonii amici affermano. […]‘Ella supplicava, folle di terrore, divincolandosi. sperava di trattenerlo, d’impietosirlo. – Un minuto! ascolta! ti amo. perdonami. Perdonami. Ella balbettava parole incoerenti, disperata, sentendosi vincere, perdendo terreno, vedendo la morte. – Assassino! – urlò allora furibonda. E si difese con le unghie, con i morsi, come una fiera. – Assassino! – urlò sentendosi afferrare per i capelli, stramazzando al suolo su l’orlo dell’abisso, perduta. Il cane latrava contro il viluppo. 104 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa Fu una lotta breve e feroce come tra nemici implacabili che avessero covato fino a quell’ora nel profondo dell’anima un odio supremo. E precipitarono nella morte avvinti. Tromma larì lirà llarì llallèra tromma larì lirà, vvivà ll’amore!” Questa era veramente la passione: amore e morte inscindibilmente congiunti, un abisso nel quale il poeta trascinava le proprie amanti per poi lasciarle morire, mentre lui, come la Fenice “mutava l’ale” e spiccava nuovamente il volo. Restavano i ricordi dolorosi che riaffioravano spesso nella mente del poeta durante il suo soggiorno al Vittoriale: “Il martirio di Ghisola, il disonore di Donatella, il perdimento di Amaranta mi crosciano contro il viso mascherato, contro il cuore fasciato. da San Rossore, dal ponte che solevo traversare a cavallo con la mia triplice muta di cani di enigmi e di stratagemmi salgono e crosciano i sussulti i singulti gli insulti di Vannozza, di Nyke, di Lavinia, di Ornitio, di Panisca. quanta vita calpesta! quanta passione!” (Libro segreto) Eppure la vicinanza di queste donne era stata indispensabile alla sua arte e quindi irrinunciabile: “ho potuto alfine compiere un’opera bella con le altrui vite, non col mio linguaggio: con la materia umana, non col mio studio”. (Libro segreto) Il teatro dell’eros Divino, bestiale, umano Questo aspetto misterico e viscerale dell’amore, va in scena soprattutto nella Sala della Leda, l’alcova del poeta, caratterizzata da una continua commistione di elementi rinascimentali ed orientali particolarmente ricchi di suggestioni e “tentazioni”, suggerite da conturbanti profumi, come testimonia la presenza di diversi bruciaincensi dell’Estremo Oriente. Qui si recita l’amore come passione sfrenata e trasgressiva, fusione tra ferino e umano, tra Eros e Thanatos, in un’atmosfera languida e decadente. La donna è travisata, resa creatura dalle caratteristiche animalesche e selvagge, se non addirittura mostruose, come le due Meduse all’ingresso dalla parte della Zambracca: una del Canova sull’armadio davanti alla scrivania del poeta (un calco di quella sollevata da Perseo nella statua conservata ai Musei Vaticani) mentre l’altra si trova sopra la porta verso la stanza della Leda ed è molto simile alla Medusa della Tazza Farnese (l’originale è un cammeo di grandi dimensioni) Quest’ultima è accompagnata addirittura da due piccoli serpenti in bronzo che si protendono verso il visitatore per metterlo in guardia perché una volta entrato nella Sala della Leda sarà completamente investito dal potere “meduseo”, incontrollabile dell’eros. Quest’immagine intrigante e satanica al tempo stesso ha sempre eccitato la fantasia del poeta: ad essa paragonava le donne che lo attraevano, in particolare la Duse, 105 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia La Sala della Leda, camera da letto del poeta . Alcune foto delle amanti di d'Annunzio nell'Officina progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa ma anche la sua amante Hermia (non meglio identificata, del periodo della Capponcina) ritratta nel riverbero rosso del fuoco: “a traverso l’attorcimento mi guata come una Medusa che non tema l’arpe di Perseo, comparabile alle più grandi invenzioni dei poeti immortali. Medusa! Górgone! Quante volte nelle angosce della mia poesia mi sentii affascinato e forse impietrato da quella testa sublime” scrive nel Libro segreto. Infatti lo colpiva molto il mito di Medusa, donna bellissima amata da Poseidone il quale l’aveva portata una notte al tempio di Atena per consumare il loro amore, ma per vendetta la dea l’aveva trasformata in un orrendo mostro. Così per d’Annunzio essa rappresentava la donna fatale, satanica, tanto che il suo sguardo non aveva perso il suo potere di pietrificare chiunque la guardasse: “Se mi torni, tornami di là da me come quando ti drizzi su le reni e poni contro la mia maschera il tuo viso raggiante di Musa o il tuo viso mortifero di Medusa. ” Scrive il poeta nel Libro Segreto. Ogni donna per d’Annunzio nasconde nel suo centro una Medusa, un essere mostruoso dell’oltretomba, capace di impietrire l’uomo. La sua presenza riecheggia poi nei coralli in vetro rosso (nato dal sangue della sua testa mozzata) presenti in due vasi sempre nella stanza della Leda. Altro riferimento all’amore come unione di elementi ferini e umani è rappresentato dalla copia interamente dorata del gruppo scultoreo ellenistico della Leda con il cigno del Museo Archeologico di Venezia. Questo mito è legato anche al titolo del suo ultimo romanzo: La Leda senza cigno. È probabile che proprio a Leda si riferisca l’ “impresa” rinascimentale (formata da scrittura ed elementi iconici) che si trova sopra la porta d’ingresso dalla parte interna. “Per un dixir” è il motto sull’architrave dove al centro è inserita una piastrella con Calco della testa di un’immagine solare, quindi nell’insieme, il senso risulta “per un sol disir” cioè per Medusa tratta dal Perseo un solo desiderio, riferito al rapporto amoroso di Leda con il cigno dal quale poi ( del Canova (Musei a causa di Elena) ebbe origine la guerra di Troia. Tale impresa è presente nel Palazzo Vaticani). Ducale di Mantova e quindi rappresenta insieme all’immagine del labirinto, uno dei leit-motiv della casa e cioè il riferimento ai Gonzaga e ad Isabella d’Este, ma Testa di Medusa simile anche alla vita come desiderio e passione, fuoco che brucia senza mai consumarsi, a quella della Tazza tema ricorrente della poesia amorosa del Cinquecento, e, in particolare in quella Farnese di Gaspara Stampa. Ricordiamo che Isabella d’Este è a tutti gli effetti una delle muse dannunziane alla quale il Vate dedicò il suo romanzo Forse che sì forse che no. La sua figura è collegata alla musica rinascimentale come vediamo nella cosiddetta “Impresa delle pause” riprodotta nel soffitto dello Scrittoio del Monco; inoltre il numero 27 (che troviamo nel soffitto della Sala del Lebbroso) numero simbolo di Isabella rappresentava anche il giorno della morte della madre del poeta (27 gennaio). Sempre ad Isabella si riferisce l’ Eros in atto di spezzare l’arco della Sala della Musica, copia bronzea di un’opera di Pier Jacopo Alari Bonacolsi (Museo del Bargello) eseguita dallo scultore a Mantova nel 1490 per il matrimonio di Isabella con Francesco Gonzaga. Intanto nella stessa parete in una nicchia accanto al rilievo con Leda, uno dei piagnoni tipici della casa – derivato dalla Tomba del duca Jean de Berry opera di Jean 106 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa de Cambrai (1438) – sottolinea il rapporto con la morte e si copre completamente il volto, forse anche con un’allusione ironica ai riti dell’eros ai quali un religioso non doveva assistere. La ferinità femminile, spesso con connotazione irrazionale e negativa, talvolta sadica, è sottolineata dalle due protomi in calco di sculture greche una arcaica l’altra prassitelica (poste sopra la piccola libreria con il labirinto) che risultano abbigliate con elmi orientali e recano labbra rosso carminio dipinte dal poeta a indicare il fatto che durante i giochi erotici egli amava mordere e farsi mordere le labbra fino a farle sanguinare. L’amore, infatti, in certi momenti appare quasi una tortura, e allora nel poeta affiora sempre il desiderio più o meno inconscio di castrazione come in questo passo Calco della Leda con del Libro segreto in cui sembra che il membro virile sia assimilato ad una spada (quindi, come spesso accade nella poetica dannunziana, che ferisce ed è ferito nello il cigno del Museo Archeologico di Venezia stesso tempo): “Sono solo: irto di voglie ma ebro di decapitazione. ho l’arpe falcata sotto gli origlieri. ” L’insidia amorosa è poi sottolineata anche dalla presenza del labirinto – perché nell’immaginario del poeta questo simbolo è messo in relazione con la passione – e dall’iscrizione che lo accompagna “Lasso che mal accorto fui da prima” e che fa parte del sonetto 65 del Petrarca il quale recita: “Lasso, che mal accorto fui da prima nel giorno ch’a ferir mi venne Amore, ch’a passo a passo è poi fatto signore de la mia vita, et posto in su la cima” giocando concettualmente sulla vicinanza al labirinto e all’amore che fa perdere la chiarezza dei propri passi e delle proprie azioni. L’immagine del labirinto proviene dalla sala omonima del Palazzo Ducale di Mantova, ricordata nel romanzo Forse che sì forse che no (immagine ripresa poi nel Corridoio del Labirinto) Anche nella Sala della Cheli troviamo un’allusione alla passione distruttiva nella piccola scultura raffigurante Paolo e Francesca, che pende dalle mani di una scimmia, simbolo di avidità. Come si intuisce anche da un brano della Contemplazione della morte, la scimmia rappresenta la distruzione e il decadimento dovuto al tempo che non risparmia nulla, come in una vanitas seicentesca. Il centauro-satiro Se la donna è una menade danzatrice, una gorgone, una slanciata cacciatrice che regge l’arco del Bios, in questo gioco erotico l’uomo è il centauro e il fauno. L’immagine del centauro rappresenta la filosofia di vita del poeta stesso: “M’imbestio”, afferma nel Secondo amante di Lucrezia Buti, sottolineando la centralità dell’istinto, vero motore della sua arte e della sua vita. 107 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Piagnone dalla Tomba del duca Jean de Berry opera di Jean de Cambrai (1438) I calchi delle teste di sculture greche cn le labbra dipinte di rosso nella Sala della Leda Il simbolo del Labirinto con i versi del petrarca nella Sala della Leda progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa Scrive nel Fuoco a proposito dei centauri: “ Nessuno al mondo conobbe e assaporò meglio di loro il vino della vita”. Immagini del centauro si trovano in varie stanze della Prioria, come sul calice in vetro verde e nella riproduzione in bianco e nero del dipinto del Botticelli Pallade e il centauro nell’Officina o sulla placca dorata sotto Artemide cacciatrice della Sala della Musica. Spesso d’Annunzio stesso si sente come un centauro o un satiro; soprattutto dopo essere stato a cavallo e aver avuto la sensazione di essere fuso con l’animale: “Balzato di sella quadrupes eques in preda ai miei muscoli, avevo disposto che mi fosse condotta più tardi nella stanza infame del Prigione una giovine donna ‘folle de son corps’ già da me esperimentata e arcanamente gustata come ‘folle de sa cervellÈ”. Al desiderio sessuale smodato fanno riferimento molto esplicito le sculture priapesche in argento e bronzo dorato, ideate da Renato Brozzi che giocano ironicamente sulle dimensioni del membro virile e su figurine caricaturali superdotate, poste sul comodino vicinoal letto della Sala della Leda. Per quanto riguarda l’immagine del satiro, invece, ricordiamo nella stessa sala le rappresentazioni oniriche nei dipinti del veneziano Mario De Maria, che si ispira all’Apres midi d’un faune di Mallarmé, fonte tra l’altro per la musica di Debussy, vero e proprio oggetto di culto dell’erotismo dell’epoca da quando il ballerino russo Vaslav Nijinskij ne aveva dato un’interpretazione considerata scandalosa per la sua sensualità. Ricordiamo poi il bellissimo gruppo bronzeo della Sala della Cheli del Fauno che rincorre una ninfa, opera dello scultore Le Faguays che ricorda sempre una coreografia di danza. E d’altra parte il satiro per d’Annunzio rappresentava la tragedia antica, secondo l’etimologia da capro, associata ad canto. Non a caso Stelio Effrena nel Fuoco immagina che Eleonora Duse fosse stata violentata da un Satiro, raffigurandola come una baccante, una figlia di Dioniso. Sempre nel Fuoco, mentre vaga nel labirinto di villa Pisani a Strà, Effrena stesso si sente investito dall’energia naturale del satiro. tragedia, come il suo modo particolare di sollevare la testa piegandola indietro, riprodotto nel ritratto realizzato nel 1927 da Arrigo Minerbi per la scrivania di d’Annunzio nell’Officina. Il suo volto era per lui una sorta di “enciclopedia degli affetti”, ma anche il suo corpo assumeva atteggiamenti plastici ed evocativi. Amava moltissimo l’espressione convulsa del suo viso e, soprattutto, l’ampiezza del suo sguardo: “Quella conosceva l’arte di ampliare indefinitamente il suo sguardo? o chi mai le aveva insegnato l’arte? Che lungo valico parevan percorrere i cigli quando ella sollevava la palpebra discoprendo l’iride intiera!” Egli la definiva la “testimone velata”, poiché, come tutte le immagini sacre, per il poeta doveva restare inviolata e protetta, ma anche chiusa nel suo sudario. Dal suo volto si sprigionava lo spirito dionisiaco attraverso il quale d’Annunzio si sentiva in grado di dominare ogni forma d’arte: nel Fuoco, infatti, lo scrittore rivela alla Foscarina (la protagonista che rappresenta la Duse): “Sembra talvolta che voi abbiate il potere di conferire non so che qualità divina alle cose che nascono dalla mia anima e di farle apparire lontane e adorabili ai miei occhi medesimi. […] voi non entrate nella mia anima se non a compiere simili esaltazioni. […] mi sembrate necessaria alla mia vita”. Il comportamento di d’Annunzio riguardo alla grande attrice chiarisce esattamente tutte le sue contraddizioni: ella sarebbe stata per lui il riferimento costante della sua arte, visto che gli aveva promesso “più che l’amore” poiché c’erano sensazioni che lei sola poteva dargli, eppure egli se ne separa in cerca di nuovi e più giovani amori, con il suo irrefrenabile desiderio di evoluzione ed invenzione che proprio le donne riuscivano ad infondergli. La testimone velata Per il poeta la Duse seppe rappresentare tutte le donne del suo immaginario: l’eroina tragica, la musa ispiratrice, la santa francescana e la cortigiana dalla quale al mattino, dopo una notte d’amore, si staccava quasi con disgusto, come racconta nel Fuoco. Tutto in lei lo ispirava: la sua gestualità era messa in relazione alla statuaria antica e alla 108 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Bellezza divina Sul comodino della Sala della Leda troviamo una copia in gesso di un’Afrodite ornata con collane di turchesi e altri monili, figura che fa riferimento alla bellezza ideale. Per d’Annunzio la bellezza ellenica classica rimaneva un esempio insuperato ed era il termine di paragone anche per le donne reali. Un’altra immagine di Venere si trova, infatti, nel Bagno Blu, mentre nell’Officina è presente un calco del volto della Venere di Milo. A questo proposito, in un passo del Libro Segreto il poeta descrive accuratamente quali siano i dettagli del corpo femminile più eleganti e ricchi di sensualità: “La Giulia di Gargnano può sostenere il paragone degli esemplari sommi dell’arte ellenica. ha forse il più bel torso di donna a me noto […] E Giulia è ammirabile nelle particolarità più rare, nelle perfezioni che sono il segno dell’inclita stirpe, del lignaggio celeste, onde discendevano o dove risalivano i modelli di Prassitele e di Fidia. L’omero, l’ascella, l’inserirsi del braccio al busto, le inflessioni agevoli della 109 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Eleonora Duse La Venere sul comodino della Sala della Leda progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa Il calco dell'Athena Lemnia del Bagno blu. Calco della testa dell’Aurora di Michelangelo sulla scrivania della Zambracca schiena dalla nuca al sacro, la linea del mento e della mascella sul collo che mi fa indicibilmente vivo il latino ‘teres’; e le piccole mammelle divergenti, le stupende modulazioni nella parte interna della coscia, il solco esterno della gamba simile a una stria dorica di scarpello fuggevole, il piede stretto […] In quale statua il sobrio e il grandioso, il venusto e il robusto, la grazia e la possa si armonizzano così magistralmente?”. I modelli di riferimento sono perciò Fidia e Prassitele che a suo dire sarebbero appannaggio della bellezza della stirpe italica. A tutto questo si aggiunge la voce con note basse e sensuali che sembrano “aerare tutto il corpo”; la giovane popolana di Gargnano unisce perciò nella sua persona Atalanta e Calliope insieme. Anche la figura di Atena può assumere una valenza erotica per il poeta: oltre alla Nike di Samotracia, “vestita di vento” espressione di quella bellezza dinamica legata alla velocità e alla danza, ricordiamo l’Athena Lemnia di Fidia, sensuale, ornata con capigliatura dorata, nastro dipinto e collana di turchesi nel Bagno blu, ma guerriera nella veranda dell’Apollino: “ Sembra escita da certe visioni tumultuose dei Poemi conviviali, sembra una duratura bellezza provata dalla strage e dall’incendio” (Contemplazione della morte) L’immagine della bellezza ornata con dorature assume quasi sempre un valore funerario perché ciò che è assoluto ha un solo modo per diventare eterno, cioè passare “l’invisibile clessidra” della morte. È il caso della figura dell’Aurora di Michelangelo dalle Tombe medicee di San Lorenzo, una presenza fondamentale per il poeta, posta, infatti, come figura intera nella sala dei Calchi al di sopra del letto dove venne esposto il suo corpo dopo la morte, mentre la protome della statua si trova sulla scrivania della Zambracca, perché ad essa il poeta attribuiva un significato taumaturgico. Né maschio né femmina Come abbiamo già anticipato, un elemento tipico dell’immaginario erotico dannunziano è l’androgino perché unisce l’energia vitale di entrambi i sessi, esprimendo la perfezione dell’arte, cioè la situazione originaria dell’essere umano secondo gli antichi greci, tanto che, a causa della potenza del genere umano, gli dei per poterlo controllare avrebbero deciso di dividerlo in due sessi. 110 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa Una delle statue che rappresenta questo mito è il calco dell’Eros di Prassitele, copia proveniente dal Museo del Louvre, già presente all’Arcachon e oggi inserita nella Sala della Musica. È ornata da una cintura a placche d’argento che scende sull’inguine in forme arcaiche vagamente mediorientali e termina con una placca ovale munita di pendagli. Il mito dell’androgino viene spiegato anche nelle iscrizioni sulle cornici delle vetrate: Mens omnibus. Una omnibus. Idem. Ardor/ igne iungitur pari/ consociatio rerum divina ( “Un’anima per tutti. Una sola per tutti. La stessa. L’ardore è unito da un fuoco uguale, divina unione delle cose”). Sempre legata al mito dell’androgino è la riproduzione del Concerto (Officina) oggi attribuito a Tiziano giovane ma che all’epoca di d’Annunzio era considerato opera di Giorgione. Stelio Effrena, protagonista del Fuoco, sottolineava la bellezza del giovinetto, “l’ardente fiore d’adolescenza, che Giorgione sembra aver creato sotto un riflesso di quello stupendo mito ellenico donde sorse la forma ideale d’Ermafrodito”; tutto concentrato nella scoperta e nell’esplorazione dei sensi e della fisicità. “la sua bocca chiusa è come una bocca che porti la pesantezza d’un bacio non dato ancóra…”. Dello stesso genere è l’ammirazione per Antinoo raffigurato nella sala della Cheli dell’Antinoo-Dioniso col capo coronato di edera del tipo conservato al Fitzwilliam Museum di Cambridge, proveniente da Villa Adriana, parzialmente nascosto da un velario, che simboleggia l’eternità sacra della bellezza, protetta da sguardi profani. Bellezza che non potrà morire mai come ricorda l’edera di cui è coronato il giovane, emblema dell’immortalità di Dioniso. Nella sala della Leda poi, non è esaltata solo la bellezza femminile, ma anche quella maschile, seppure volutamente effeminata. Anche nel Prigione morente di Michelangelo, posto davanti al letto, appare un conturbante riferimento erotico, come spiega nel Libro segreto: “e tu sopponi alla tua nuca il tuo perenne braccio nel gesto immenso cui già diede Michelagnolo all’uno dè suoi Vinti ultimo Orfeo che alfine il Ben suo vede con gli occhi estinti”. Il poeta attribuisce il gesto del Prigione ad una donna, in genere a Eleonora Duse, e allo stesso tempo a “Orfeo rimasto in su la porta dell’Ade a sostenere con la sua deserta bellezza il dolore di tutti i perdimenti” (Il Compagno dagli occhi senza cigli). La statua michelangiolesca è accompagnata dalla scritta “Amor fati” (Amore per il Fato) legata all’eterno ritorno nietzschiano, alla necessità di accettare la legge universale del cosmo e di vivere pienamente soltanto il presente. L’idea del giovinetto-donna è sottolineata dalla preziosa stoffa intessuta di fili d’argento e oro che lo ricopre dalla vita in giù (“per dissimulargli la corta fiacchezza delle gambe” scrisse il poeta), ed è decorato da dorature sul corpo, bracciali e una placca in argento sbalzata di Napoleone Martinuzzi a mo’ di fibbia di cintura e raffigurante una testa di Apollo dai caratteri arcaizzanti. Era stata proprio la Duse a regalare questo calco al poeta all’epoca della Capponcina, e nello stesso tempo nel suo immaginario la rappresentava. Perciò dalla parete Eleonora lo guardava ancora, vicina eppure lontana, inafferrabile “donna nomade” che aveva provato tutti i dolori e conosceva tutto della vita anche ciò che non rivelava. “‘Dove vai?’ ‘Sempre alla ventura’ 111 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Il calco dell'Eros di Prassitele nella Sala della Musica progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa Calco della testa di Antinoo-Dioniso del tipo conservato al Fitzwilliam Museum di Cambridge proveniente da Villa Adriana (Sala della Cheli). Il calco del Prigione morente di Michelangelo del Museo del Louvre (Sala della Leda) ‘Ma da che parte?’ ‘Non dimandare.’” Alla fine la sua Ghisola se n’era andata per sempre, perché era come lui, capace di evolversi, di seguire il flusso ininterrotto della vita, di “mutar d’ale” “Ghisola sempre rimota, sempre attesa, sempre disparita”, ma il poeta avrebbe continuato a parlare con lei alle porte dell’Ade, cercando di richiamarla perennemente indietro…. progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa la cultura e l’eroismo italiano in ambito nazionale piuttosto che locale. Per Ugo Da Como, invece, la Casa del Podestà non può essere estrapolata dal contesto del paese di Lonato e più in generale della Repubblica di Venezia di cui questo antico borgo, eccettuata una breve parentesi gonzaghesca, aveva sempre fatto parte. Coerentemente a questo intendimento, il Da Como vuole ricostruire nel suo palazzo un ambiente tipico del primo Rinascimento tra Lombardia e Veneto dove appaiano ben visibili le presunte stratificazioni dei secoli passati, abbracciando un arco temporale che va dal XIV al XVI secolo, per quanto riguarda le strutture (in gran parte costruite ex novo secondo il gusto dell’epoca) e che si spinge fino alla fine dell’Ottocento, per quanto riguarda gli arredi, i dipinti e le sculture presenti nell’edificio. L’intendimento di questo straordinario collezionista e bibliofilo bresciano è appunto quello di mostrare attraverso la ricostruzione della Casa del Podestà la profondità della storia del paese di Lonato e della provincia di Brescia, ricreando un ambiente aristocratico provinciale che, su fondamenta medievali, mostri di aver subito un’immaginaria evoluzione fino alle soglie del ‘900. Basta leggere qualche scritto del Da Como per accorgersi che alcuni argomenti lo attraevano soprattutto per la loro importanza nell’ambito della cultura del territorio, considerando questo recupero come fondamentale per la generale riscoperta di una identità italiana, inscindibile a suo avviso, dalle sue componenti regionali. Ecco perché spesso e volentieri il Da Como indugia lungamente sulle genealogie dei nobili bresciani e si occupa con grande interesse degli umanisti dell’epoca dei Gonzaga e della presenza di Isabella d’Este a Lonato. Così si spiega anche la grande importanza attribuita dal Da Como alle lettere del Foscolo ad una nobile bresciana di antica stirpe come i Provaglio, sposata al conte Luigi Martinengo Cesaresco, appartenente ad una delle famiglie più illustri della città. La struttura della casa di Ugo Da Como si pone, quindi, come una sintesi ideale della cultura bresciano-veneta di ambito aristocratico del primo Rinascimento. Proprio perché la dimensione storica locale gioca un ruolo così importante, è necessario, La Prioria e la casa del Podestà, due modi di intendere l’antico Come la Prioria di d’Annunzio, anche la Casa del Podestà di Ugo Da Como a Lonato risulta legata al mito del Rinascimento poiché entrambe sono accomunate dall’idea di fondare la cultura del giovane stato italiano sulle grandi memorie storiche e, in particolare, sul momento di massima fioritura di scienze lettere ed arti della nostra penisola. L’auspicio del d’Azeglio “Fatta l’Italia, ora dobbiamo fare gli Italiani”, era molto sentito all’epoca e per entrambi si traduceva nel tentativo di trovare ispirazione nel nostro grande passato per rinnovare lo slancio ideale e gettare le basi dell’azione futura. Inoltre in entrambi è presente la consapevolezza che l’intellettuale debba essere anche un uomo di azione pratica che serva effettivamente allo Stato, un uomo politico, insomma, sebbene con accezioni molto diverse. Nonostante queste due personalità possano essere accomunate da alcuni orientamenti generali, il prodotto finale della loro azione culturale e politica appare poi sensibilmente diverso. Per esempio per d’Annunzio il Rinascimento è soprattutto quello toscano, come vediamo nella facciata della Prioria, in perenne dialogo con una classicità vissuta come frammento estetizzante ed esemplare. Per d’Annunzio l’ambiente in cui si trova la sua casa ricorda soprattutto il paesaggio dalmata ed ha perciò un valore eminentemente simbolico; inoltre il Vittoriale è costruito soprattutto per celebrare 112 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 113 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa Il ritratto di Isabella d'Este nel giardino interno della Casa del Podestà al contrario di quanto avviene nella casa di d’Annunzio, che l’oggetto d’arte sia o almeno sembri originale e che ogni ambiente assuma un aspetto di autenticità nei singoli pezzi e nell’insieme. Per ottenere questo risultato il Da Como, con l’aiuto dell’architetto Tagliaferri, ha spesso inserito pezzi originali frutto di demolizioni e di recuperi di materiale antico, riutilizzandoli e riadattandoli. Una tavoletta dipinta di un soffitto quattrocentesco può diventare un reggi-mensola, una scultura medievale raffigurante un leone, probabilmente frutto della demolizione di qualche edificio ecclesiastico, può diventare un elemento decorativo per la scala della biblioteca. Antiche travi di recupero possono essere inserite per sostenere un soffitto a cassettoni originale, ma riadattato all’ambiente, come quello dell’inizio del ‘500 della Sala antica proveniente dal palazzo Ugoni Cigola Ducos di via Carlo Cattaneo 62 a Brescia. A questi elementi vengono poi opportunamente aggiunti altri particolari decorativi e arredi realizzati ex novo per completare la ricostruzione storica e la funzione simbolica dell’edificio. Per esempio, nella Galleria di ingresso troviamo gli stemmi delle principali famiglie bresciane cui appartenevano i podestà di Lonato fatti ritoccare a fresco appunto dal Da Como, assemblati insieme ad alcuni affreschi dell’ambito del Romanino, strappati dalla loro sede originaria (Palazzo Orsini a Ghedi) e riadattati alla loro nuova collocazione per rappresentare visivamente i gentiluomini che avevano governato il paese del basso Garda per conto della Repubblica veneta (in realtà si tratta di Quattro uomini d’arme tra i quali è riconoscibile il nobile Virginio Orsini che fu al servizio della Repubblica veneta). Molte sono le analogie nei dettagli decorativi tra la casa di d’Annunzio e quella del Da Como: per esempio, sempre nella Galleria, troviamo una decorazione a riquadri bianchi e neri dipinta nella parte inferiore delle pareti (come si vede nella Prioria nel Corridoio della Via crucis e nel tessuto dell’Officina) essa rappresenta dei tessuti che nel tardo Medioevo e nel primo Rinascimento si trovavano appuntati fino ad una certa altezza sui muri dei palazzi nobiliari e dei castelli probabilmente per isolare meglio gli ambienti e mantenere il calore. Inoltre in entrambe le abitazioni si può notare la presenza in molte stanze di figure ascetiche, incappucciate che paiono ricordare la meditazione e il silenzio. Per d’Annunzio, però, esse rappresentano “i piagnoni” tratti da alcune tombe tardo medievali fiamminghe e francesi del secolo XV-XVI, mentre per Ugo Da Como sono probabilmente rappresentazioni dell’ascetismo che deve caratterizzare l’adepto, l’iniziato della conoscenza. Non è da escludere anche l’influenza della massoneria nell’uso di immagini di questo tipo in funzione esoterica, considerando che nel suo studio troviamo anche un busto del dio Mitra. Probabilmente il Da Como concepiva la Casa del Podestà come un tempio della sapienza e della cultura. Un altro elemento in comune tra i due collezionisti è rappresentato dall’amore per terracotta e la ceramica antica, come dimostrano i vasi da farmacia presenti in entrambe le dimore e anche i piatti appesi alle pareti, anche se nella Prioria troviamo uno spiccato gusto per l’oggettistica orientale non riscontrabile nella dimora del senatore. Comune alla Casa del Podestà e alla Prioria è poi, anche l’uso di stalli di coro e turiboli, ma se per d’Annunzio questi sono posti nell’Oratorio dalmata allo scopo di sottolineare la sacralità dell’azione eroica, nella casa di Ugo Da Como essi 114 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa La Galleria con i Ritratti di Uomini d'arme del Romanino costituisco l’arredo delle sale della biblioteca, la quale a sua volta, sembra concepita come lo scriptorium di un monastero. Perciò, se nei dettagli si possono riscontrare tra le due case-museo alcuni elementi comuni, le connotazioni e le simbologie risultano poi molto diverse. La casa di Ugo Da Como è un luogo dove il proprietario si sente un signore rinascimentale dedito agli studi e alla meditazione, ma “recita” soprattutto per se stesso, secondo un modus vivendi che ricorda molto da vicino l’otium latino, perciò la dimensione privata risulta preponderante. Notiamo poi la presenza della figura dell’umanista della Sala antica attraverso l’immagine di san Girolamo nello studio, di Giovanni Andrea Sequi artista cremonese datato 1536. Qui quando il Da Como era vivo, era esposta anche una grande Bibbia antica, oggi conservata nella biblioteca. L’umanista per Da Como è quindi un asceta, spesso isolato dal mondo (come san Girolamo che eseguì la traduzione della Vulgata nelle grotte presso la basilica della Natività a Betlemme in ascetica solitudine). Al contrario, d’Annunzio non esisterebbe senza il suo palcoscenico e come tale esso non è affatto privato, ma pubblico. Dobbiamo sottolineare, però, che anche il Da Como progettò la sua casa di Lonato perché alla sua morte diventasse una fondazione che servisse alla storia patria, agli studi della cultura locale e ad accendere nei giovani lo stesso amore per i libri che lo aveva animato per tutta la vita. Inoltre, anche Da Como nella scelta dello stile e del periodo storico di riferimento mostra anche un intendimento di carattere politico: lo stesso titolo di Casa del Podestà si riferisce al mito della Repubblica veneta come una delle più avanzate nell’ambito del diritto e dell’organizzazione laica dello Stato, ispirandosi anche in questo caso all’ideale zanardelliano, mentre per d’Annunzio Venezia rappresenta soprattutto un punto di riferimento per la supremazia dell’Italia nel Mediterraneo. San Girolamo nello studio (Sala antica) 115 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa Un itinerario al femminile nella Casa del Podestà Le donne presenti nella casa di Ugo Da Como sono soltanto ideali, perché nella realtà, per quanto sia corsa voce di sue relazioni extraconiugali proprio negli anni in cui risiedeva a Lonato in pianta stabile, l’unica presenza femminile certa nella Casa del Podestà è quella della moglie, Maria Glisenti; d’altra parte è comprensibile che il Da Como come personalità pubblica e di governo fosse molto geloso della propria privacy. Leggendo il suo saggio sulle lettere inedite del Foscolo a Marzia Martinengo, però, può venire il sospetto che in quegli anni egli stesse vivendo una nuova grande passione, quasi giovanile, visto il modo in cui esalta l’amore considerandolo un sentimento vivificante dell’arte e degli studi dei grandi del passato, indispensabile ad un cuore nobile e ispirato. Se è così, però, a parte queste tracce indirette, di tali presunte relazioni, non sappiamo nulla, poiché il Da Como, almeno ufficialmente, faceva di Seneca e del suo ascetismo un punto di riferimento. Egli sosteneva, inoltre, riprendendo le parole di Cicerone – non solo con un’iscrizione presente nel giardino interno della casa, ma anche nel saggio sulla dedica dei Sepolcri a Maria Glisenti con Marzia Martinengo – che Si hortum cum bibliotheca habes, deerit nihil (Se avrai un alcune amiche nel giardino con una biblioteca non ti mancherà nulla). giardino della Casa del All’interno della sua abitazione una delle presenze ricorrenti è l’immagine della Podestà Madonna che è possibile individuare in ogni ambiente della casa, sia all’esterno che all’interno, biblioteca compresa, ritratta in dipinti, terracotte o piccole sculture. Se, come è noto, diverse opere della quadreria non erano state acquistate da Ugo Da Como, ma da suo padre, è pur vero che il senatore utilizzò in posizione dominante proprio l’immagine di Maria in alcuni ambienti. Inoltre, un soggetto ricorrente, è quello della Madonna del latte raffigurato nell’affresco strappato della Sala antica, proveniente dal Palazzo del Provveditore in Piazza Martiri della Libertà a Lonato (Ambito di Paolo da Cajlina il Giovane, XVI secolo), ma anche all’esterno, in una piccola terracotta posta sulla facciata e attualmente protetta dietro un vetro. Un’altra Madonna del latte sempre rinascimentale, si trova poi nella Sala da pranzo, accanto al simbolo alchemico dell’Urna cineraria, e, ancora, nella Sala dei Peltri troviamo una terracotta di analogo soggetto della seconda metà del sec. XV opera dell’Officina di Rinaldo dÈ Stauli (Cremona). L’origine di tale iconografia viene associata ad immagini analoghe di Madonna del latte Iside e del suo culto che durante dell'ambito di Pietro da i primi secoli del cristianesimo Cajlina. Affresco staccato da una sala del Palazzo sarebbero state elaborate in ambito dei Provveditori a Lonato alessandrino per sintetizzare il 116 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa rapporto Iside – Maria Vergine. Un’allusione alla dea egizia che potrebbe essere messa in relazione all’adesione del Da Como alla massoneria, come testimoniano i simboli presenti nella Sala da pranzo (la lampada della nascita, il globo alato della vita, l’urna della morte, il serpente che si morde la coda con la farfalla, simbolo della continuità tra la vita e la morte e dell’immortalità dell’anima). Come ha efficacemente dimostrato Silvano Danesi nel suo articolo Il sovracamino esoterico di Ugo Da Como, l’immagine della fiamma della Sapienza appare centrale nel pensiero del grande collezionista e bibliofilo, ma essa è messa in relazione con i misteri esoterici legati a Iside. Iside, infatti, ha un profondo significato alchemico perché rappresenta l’elemento femminile che permette la ricomposizione del corpo di Osiride e quindi la sua resurrezione e la nascita del figlio Horo, dio della profezia, della musica, dell’arte e della bellezza. Comunque, anche senza spingerci così oltre, è chiaro che queste Madonne di ambito rinascimentale in ogni stanza assumono il valore di nume tutelare, in funzione più laica che religiosa. Si tratta cioè di un’immagine femminile legata alla filosofia e alla cultura, sul genere della donna angelo stilnovista, che rappresenta probabilmente la sapienza. Un’idealizzazione della figura femminile che appare evidente in diversi ambienti della casa. Possiamo notare, ad esempio, nella biblioteca, la Madonna con Bambino e San Giovannino che campeggia in alto al centro della balaustra della sala della Vittoria, associata volontariamente e, di certo in modo non casuale, alla Vittoria alata di Brescia, mentre in un angolo sulla destra troviamo il ritratto di Ugo Da Como. Si stabilisce così un dialogo ideale tra queste tre figure: il proprio ritratto di studioso, collezionista e uomo di Stato viene messo in relazione all’immagine classica ed eroica legata, nella visione del Da Como, alla città di Brescia, alla sua antichità latina, ma anche alla Prima guerra mondiale (riferimenti che si trovano spesso nei suoi scritti) e al Neoclassicismo del periodo napoleonico (suo costante punto di riferimento); la Madonna, poi, è vista come Sophia posta al centro della sala per sottolineare il valore della cultura in generale, ma anche degli studi locali legati ai territori della Repubblica veneta, visto che si tratta di un dipinto di ambito veronese. Inoltre la presenza di san Giovannino ricorda il patrono di Lonato. La scritta sul camino riferita allo svelamento degli oracoli muti che parlano (Hic mortui vivunt pandunt oracula muti, qui i morti vivono, muti svelano oracoli), rappresenta la rivelazione esoterica che si attua – come ha chiarito lo stesso Danesi – nel silenzio ascetico e nella meditazione dello scriptorioum, ambiente volutamente sacrale, come segnalano, appunto, gli stalli di coro seicentesco. Si tratta di una religione laica della cultura e della patria che il Da Como come anche d’Annunzio ereditano dalla tradizione risorgimentale e post risorgimentale, ripresa poi massicciamente nel corso della prima guerra mondiale. Un’altra figura simbolica molto interessante è La Giustizia con San Marco e San Giovanni Battista – fatta dipingere appositamente dal Da Como – che si trova presso l’ingresso del giardino privato davanti alla biblioteca. L’autore, 117 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Madonna con Bambino e San Giovannino. Biblioteca, Sala della Vittoria progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa Giovanni Trainini La Giustizia tra san Marco e san Giovanni Battista Giambattista Gigola, 1802 Ritratto di giovane donna con mantiglia Acquerello e gouache su avorio Giovinetta abbigliata all’antica, 1810 circa Acquerello e gouache su avorio Ambito bresciano, Concerto con Santa Cecilia, Olio su tela (seconda metà del XVI secolo) il pittore Giovanni Trainini, si ispira ad esempi quattrocenteschi per questa figura simbolica severa che brandisce una spada fiancheggiata da San Marco, a ricordo dell’autorità veneziana, e da San Giovanni Battista, santo patrono di Lonato. Del resto “gli amori costanti”, se così possiamo definirli, del Da Como vengono messi in evidenza nella Sala bresciana dove la sacralità dell’ambiente viene sottolineata dalla presenza di un turibolo antico trasformato in lampada. Qui troviamo un bozzetto in bronzo per il monumento di Arnaldo da Brescia realizzato dallo scultore Odoardo Tabacchi, mentre sulla scrivania è posto un piccolo busto bronzeo di Giuseppe Zanardelli opera di Ettore Ximenes. Nella stessa sala troviamo anche un piccolo busto di Dante posto di fronte alla scrivania. La centralità della legge contro la corruzione dello Stato e del clero appare, quindi, un punto fondamentale dell’azione politica del Da Como così come il mito del moralizzatore e del “tribuno” nella figura di Arnaldo da Brescia. Recte facti fecisse merces est (aver agito con giustizia è la ricompensa dell’opera) recita il detto di Seneca presente nella sala Cerutti, proprio ad indicare il senso del dovere e della giustizia quale elemento ispiratore dell’azione politica e culturale di Ugo Da Como. Anche le figure femminili, nell’immaginario del Da Como devono perciò simboleggiare grandi ideali: diventano muse, portatrici attraverso l’amore di valori elevati, rivestendo un ruolo fondamentale nella creazione dell’arte e della cultura. Proprio per valorizzare la cultura del territorio, il Da Como popola le sue sale di ritratti di nobildonne di diverso tipo: ci sono quadri di grandi dimensioni di provenienza eminentemente locale come a richiamare l’appartenenza al luogo cioè all’ambito lombardo o veneto e miniature di vario genere e epoca. Per quanto riguarda i ritratti, segnaliamo che i due dipinti della Sala antica, cioè il ritratto di nobildonna e di doge con ogni probabilità non sono autentici e lo stesso Ugo Da Como quasi certamente ne era a conoscenza. È interessante questo dettaglio perché dimostra come il senatore cercasse a tutti i costi di arredare gli ambienti secondo il gusto rinascimentale di ambito veneto-lombardo anche utilizzando all’occorrenza opere non originali pur di raggiungere il proprio scopo. Nella stessa sala, poi, sono appese alla parete diverse tavolette di soffitto ligneo con ritratti di figure gentilizie maschili e femminili che completano l’arredo e testimoniano il tentativo di Ugo Da Como di creare la sensazione di un ambiente aristocratico e “antico”. Così anche nel soffitto quattrocentesco con tavolette dipinte notiamo una prevalenza di figure femminili gentilizie di profilo. Nella Sala da pranzo, invece, in posizione centrale vediamo due ritratti di nobildonne di provincia di inquietante fissità e di chiara provenienza locale, probabilmente lombarda. Si può notare che talvolta queste figure non hanno un valore estetico particolarmente elevato, ma vengono valorizzate dal Da Como proprio per la loro appartenenza locale, come celebrazione dell’aristocrazia di provincia. Altri pezzi amati da ogni collezionista sono le miniature e le avorioline o i dipinti su rame molto interessanti Anche in questo caso i piccoli ritratti sono in gran parte riservati a nobildonne locali di cui non si conosce identità, ma alcune sono di ottima fattura e conferiscono alla casa quell’aspetto gentilizio dove gli antenati sono veri, ma anche presunti e le donne campeggiano insieme ai grandi personaggi amati dal senatore quali, ad esempio, Napoleone I. Alcune di queste miniature sono di parenti dei Glisenti cioè della famiglia della moglie del Da Como o della famiglia di lui, altre sono probabilmente state acquistate sul mercato antiquario. Da notare il fatto che mentre nella biblioteca troviamo un ritratto pittorico del Da Como e una miniatura più piccola tra le diverse della casa, sul comò della camera da letto, campeggiano invece, curiosamente i ritratti fotografici di lui e della moglie, secondo un gusto dell’epoca che ritroviamo anche nella Sala del Lebbroso nella Prioria, dove vediamo le foto della madre e della sorella di d’Annunzio, distinguendo così in modo evidente la dimensione mitica e storica da quella reale. Proprio riguardo al valore della donna come musa ispiratrice, donna di lettere poetessa o musicista, troviamo nella casa alcuni significativi riferimenti: per esempio il Concerto con Santa Cecilia della Sala Rossa e che richiama una tematica cara alla pittura rinascimentale e barocca, ma è interessante anche la presenza del busto scolpito della poetessa Erminia Fuà Fusinato, nella camera degli ospiti a Lonato. Le poesie della Fusinato sono spesso animate dall’amore patriottico e forse attirava il senatore anche l’aspetto neoclassico della sua figura, che gli ricordava un periodo storico a lui molto caro. Ugo Da Como teneva particolarmente alla presenza di poetesse e muse ispiratrici legate all’arte nella sua casa, come dimostra la vicenda del presunto ritratto di Veronica Gambara nel suo studio: come è stato 118 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 119 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Gian Battista Gigola, Presunto ritratto di Marzia Martinengo, o della cantante Adelaide Malanotte (1800-1810) progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa dimostrato da Stefano Lusardi, con ogni probabilità il Da Como era a conoscenza che la nobildonna raffigurata era in realtà Cristina di Lorena moglie di Ferdinando I Granduca di Toscana, ma preferì tenere questo dettaglio nascosto e continuare a pensare a quel quadro come al ritratto della poetessa bresciana del Rinascimento. La raccolta delle 48 lettere del Foscolo, scritte durante il suo soggiorno tra Brescia e Milano negli anni 1807-1808 permetteva perciò di approfondire gli aspetti privati e intimi dei due amanti, e di ricostruire dall’interno le loro personalità. Così, quando il senatore si trasferì stabilmente a Lonato, dopo l’avvento del fascismo, fu effettivamente in grado di occuparsi della propria collezione e di quelle preziose missive. L’amore per i libri da parte di Ugo Da Como è straordinario e quasi feticistico, perché si percepisce nei suoi scritti il piacere di sfogliare i singoli volumi, sentire sotto le dita la grana della carta, osservare i caratteri, la grafica, la raffinatezza dell’edizione, al punto da ritenere che anche un’opera mediocre sarebbe apparsa ben diversa, solenne come se fosse scritta su un’antica lapide, se a curarne la stampa fosse stato un maestro della tipografia come Niccolò Bettoni. Dalle lettere del Foscolo, Marzia – nota ai suoi tempi anche per la Ritratto di Ugo Foscolo rara bellezza (ma della quale, purtroppo, non possediamo alcun ritratto certo) – appare come una donna dalla personalità multiforme: da un lato sappiamo che fu animatrice di un importante salotto letterario, ma dall’altro scopriamo le sue fragilità sia emotive sia fisiche. Il Da Como accreditò nei suoi scritti sull’argomento l’opinione che ella fosse una lettrice poco attenta e che a questo fosse dovuta anche la laconicità delle sue lettere di risposta al poeta. La contessa avrebbe avuto il tipico carattere schietto e ironico dei bresciani, che, unito al paesaggio dolce e collinare, avrebbe suggerito al poeta sentimenti di bellezza idillica e di tranquillità, capaci di mantenere sempre vivo e al contempo di distrarre, almeno temporaneamente, il suo “spirto guerrier”. Vediamo perciò che, ancora una volta, il senatore esalta la “brescianità” della giovane nobildonna, valorizzando le qualità dell’ambiente della provincia lombarda. Inoltre il Foscolo stesso contrappone alla “funebre” Milano la bellezza ridente della città di Brescia, in cui sempre ritrova “allegrezza e salute”. Certamente Marzia non aveva le qualità intellettuali dell’amante veneziana del Foscolo, Isabella Teotochi Albrizzi, ma doveva essere comunque appassionata di letteratura, a giudicare da alcuni indizi presenti anche nelle lettere in possesso della Fondazione lonatese. C’è da chiedersi infatti, come sia possibile che ella abbia ricevuto almeno due dediche letterarie, una della traduzione delle Avventure di Ero e Leandro di Luigi Lechi (anch’egli innamorato di Marzia, presidente poi dell’Ateneo di Scienze lettere ed Arti, voluto da Napoleone), e l’altra del capolavoro del Foscolo se poi non fosse stata in grado di leggere ed apprezzare tali opere. Inoltre in una delle lettere Foscolo dice di averle inviato alcuni articoli dello “Spettatore inglese” cioè lo Spectator (di cui in Italia erano stati editi articoli scelti in traduzione) perché in quel momento non aveva a disposizione alcuna opera dell’Alfieri, ma era completamente circondato da autori latini e greci (si stava infatti occupando dell’Esperimento di traduzione dell’Iliade edito sempre dal Bettoni nel 1807). Questi elementi ci fanno capire che Marzia certamente amava la lettura anche piuttosto impegnata (di sicuro l’Alfieri non è un autore propriamente di intrattenimento!) però non sappiamo quale fosse la sua preparazione culturale di base. Nella dedica scritta dal Lechi, l’autore chiede a Marzia anche soltanto uno sguardo e un sospiro per la sua opera, mentre il Foscolo Il sogno di Marzia Dati questi presupposti, non stupisce che una nobildonna di una delle più prestigiose famiglie bresciane come Marzia Martinengo abbia esercitato un grande fascino su Ugo Da Como anche perché la sua personalità era legata ai circoli letterari dell’epoca napoleonica e, in particolare, al Foscolo, considerato dal senatore un punto di riferimento per la sua adesione agli ideali rivoluzionari e per il suo impegno politico e patriottico. Ugo Da Como si era occupato a più riprese della relazione tra Foscolo e Marzia, prima con l’articolo Una dedica di Ugo Foscolo (1919), poi con un secondo intervento (1927), legato alla pubblicazione delle lettere; in un primo tempo, infatti, il Da Como aveva incontrato l’opposizione della famiglia Lechi a riguardo e il progetto si era arenato. Il senatore però, si proclamava convinto assertore dell’importanza di questo carteggio amoroso perché, a suo avviso, si poteva scoprire in esso la storia di un’anima, sottolineando il ruolo dell’amore e del cuore come elementi centrali della creatività. L’amore è visto dal Da Como come un sentimento fuggevole, ma comunque immortale, capace di illuminare l’esistenza e di dare nuovo impulso all’arte e all’adesione alle più alte idealità. Tutte considerazioni svolte dal senatore in modo così appassionato da far pensare ad un forte coinvolgimento personale, come se quelle missive fossero considerate da lui quasi autobiografiche. Le lettere in suo possesso erano state cedute al Da Como nel 1927 da Orazio Oldofredi, ma erano già state lette dal senatore prima del 1919, perché il loro contenuto è riferito in molte parti nell’articolo citato, relativo alla dedica autografa a Marzia Martinengo sulla prima stampa dei Sepolcri. Il prezioso volume faceva parte del fondo Jacopo Ceruti, acquistato dal senatore nel 1912, ma inizialmente trascurato a causa dei suoi molteplici impegni politici. Grande era stata la sua soddisfazione quando tra le meravigliose edizioni del Bettoni, preziosi incunaboli e altri manoscritti aveva rinvenuto la prima stampa del carme foscoliano (sempre opera del Bettoni) arricchita con la dedica autografa del poeta Alla Contessa Marzia Martinengo Cesaresco l’Autore Sis, licet, felix ubicumque mavis Set memor nostri, Galathea, vivas Sii felice ovunque tu voglia Ma vivi memore di noi o Galatea La dedica autografa del Foscolo a Marzia sulla copia dei Sepolcri 120 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 121 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa scomoda Orazio modificando ad hoc per l’occasione due versi di una sua ode (III, 27) . Inoltre dalle parole della dedica foscoliana si intuisce il carattere di una donna libera, dinamica forse imprevedibile. Non ci si può basare solo sulla scarsa cultura della sorella Camilla, piuttosto sgrammaticata nello scrivere, per asserire che anche Marzia fosse di poco superiore a lei. I conti, insomma, almeno parzialmente non tornano, nella descrizione della contessa da parte di Ugo Da Como. Marzia aveva sposato il conte Luigi Martinengo Cesaresco di vent’anni più anziano di lei e, pur avendo avuto da lui tre figli, non ne era affatto innamorata, come si capisce, oltre che dalla libertà con cui il Foscolo parla apertamente di amore con lei nelle sue lettere, da un’affermazione del poeta in una di esse, quando paragona la relazione di Teresa Monti con il marito a quella di Marzia con il conte Luigi per asserire che entrambe, comunque, erano ormai sposate solo nominalmente e che conducevano vite praticamente separate dai loro coniugi. Anche la sorella Camilla, dal canto suo, era ai ferri corti con il marito Estore Gambara il quale, secondo la testimonianza del Foscolo, quando era a casa la maltrattava, forse anche perché non accettava il fatto che la moglie avesse un amante, “il bel Tomasi”, anche lui ufficiale napoleonico. Comunque, non conosciamo i dettagli intimi della relazione tra Foscolo e la contessa perché, sebbene il poeta dichiari apertamente il suo amore e sospiri per lei, non fa quasi mai riferimento ai momenti trascorsi insieme, ma racconta soltanto gli avvenimenti quotidiani. Il principale argomento di discussione, di solito, è la salute cagionevole di entrambi: molto spesso Foscolo era solito lamentarsi delle proprie condizioni fisiche a volte anche esagerando l’entità dei malanni che lo colpivano: per esempio in una delle lettere parla in termini allarmistici di un dito con Ritratto di N icolò Bettoni Ritratto di Nicolò Bettoni un’infezione che non guarisce e che gli impedisce addirittura la scrittura. Egli, inoltre, appare altrettanto ansioso anche per la salute della sua “Marzietta”; è difficile per noi oggi capire questi sentimenti, che spesso, invece, vengono espressi anche da altri personaggi famosi del passato (si pensi, ad esempio, al diario del Pontormo!), poiché a quei tempi la maggior parte delle malattie non era curabile e il Foscolo, giustamente, non nutriva alcuna fiducia nei medici che non sapevano prescrivere altro che salassi. “Non ti lasciar svenare per guarire” la ammonisce. Marzia, forse anche a causa dei vestiti scollati dell’epoca, soffriva molto il freddo al punto che il Foscolo la implora in più di una missiva di non stare così vicino al fuoco sia per evitare l’eccessiva escursione termica dal caldo al freddo sia perché, dati i vestiti ampi e lunghi, 122 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa era facile urtare per errore un braciere nel camino e andare letteralmente a fuoco. Ma chi era Marzia? Innanzitutto ella appare al Foscolo all’inizio della loro relazione come una donna misteriosa che non mostrava i propri sentimenti e non faceva capire quello che veramente pensava o provava. Marzia della sua vita matrimoniale amava soprattutto i propri figli, come ci fa capire anche il Foscolo che non manca mai di salutarli, sapendo quanto la madre tenesse a loro. Il poeta nelle prime lettere appare attento ai bisogni della donna, divertente e quasi allegro, sebbene, comunque, sempre concentrato sulle proprie condizioni fisiche; parla dei balli di carnevale 1807 e dice che le ha ordinato un paio di scarpe da ballo, ma che dovrà aspettare la quaresima per averle perché in quel momento i calzolai sono troppo impegnati. Così qualche settimana dopo si informa se le scarpette siano arrivate e se le stiano bene; promette poi di passare a visitarla spesso. Per lei a Milano svolgeva anche altre piccole commissioni: “Dirò alla Camilla che si valga del loro ritorno a Brescia se mai avesse a spedirti alcuna delle solite tattare, e scatolette, e cappellini, e tutte le altre mangerie della Ribier”. In queste missive, oltretutto, più volte il poeta afferma di aspettare con impazienza il loro prossimo incontro, anche per sottrarsi al tedio della Milano autunnale: “Starei pur meglio sul tuo sofà e davanti al tuo caminetto chiacchierando e leggendo!” esclama, svelandoci così che effettivamente la contessa amava leggere. Anche Marzia era molto innamorata del poeta, come si intuisce dalla lettera ricevuta dal Foscolo da parte della contessa il 17 novembre 1807: “Quella che io ebbi jeri è così piena d’amore ch’io l’ho letta e riletta, e l’ho baciata con una certa superstizione, quando ti avrò risposto andrò riporla fra le altre, ma in luogo distinto, perché quando vorrò ritrovarla mi salti agli occhi più presto. ” A volte, invece, il poeta assume un tono melodrammatico, ma non sappiamo fino a che punto attendibile: “Sono tre notti ch’io giaccio con gli occhi spalancati nel freddo letto del celibato, e con tutta la folla dÈ tristi pensieri addosso”. Del resto, questo atteggiamento pessimistico e ansioso è tipico del Foscolo, il quale mostrava a livello letterario la propria fragilità per poi nella vita reale rivelarsi un uomo di azione: come si sa, infatti, mentre il suo alter ego letterario, Jacopo Ortis, si suicida, Foscolo contemporaneamente si arruola nell’esercito di Napoleone. Marzia, ad esempio, gli chiede di rinunciare a partecipare ad un’azione di guerra e il poeta, invece, si rallegra che il ministro gli abbia rifiutato il permesso richiesto, nonostante ciò volesse dire stare lontano dalla sua amante; questo perché egli poneva al di sopra di tutto il proprio onore e dovere di soldato. Certamente sono questi gli aspetti che Ugo Da Como apprezzava maggiormente del poeta, considerando quanto affermò il senatore a proposito della personalità di Giuseppe Zanardelli: “Noi dello studio, del sapere, dell’eloquenza, dello scrupolo, della giustizia, del disinteresse, del carattere lo vedemmo impersonare l’ideale. È solo così che non si muore”. Inoltre del Foscolo lo affascinava anche la grande forza 123 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia La prima lettera di Foscolo a Marzia nella raccolta della Fondazione Ugo Da Como (13 febbraio 1807) progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa del sentimento e della passione, sebbene rivolta a donne diverse. Nel saggio Lettere inedite di Ugo Foscolo, è lo stesso Ugo Da Como a ricordare come l’intera vita del poeta sia “tutta intessuta d’amori, rose e spine”: egli era un “cavaliere” già proiettato nell’epoca romantica, che però conservava ancora la galanteria settecentesca e lo spavaldo fascino di un ufficiale napoleonico. Comunque, per il Foscolo prima venivano l’amore per la patria e la letteratura e solo dopo l’amore per una donna: infatti, nonostante le continue lamentele, le sue pubblicazioni e le occupazioni letterarie avevano sempre la precedenza. Così Marzia, probabilmente, si era accorta ben presto che, nonostante tutte le profferte amorose, il Foscolo era una spirito libero che viveva dei propri ideali e della propria arte e nella sua vita le figure femminili avevano un posto importante a livello creativo, La lettera del 14 ottobre ma non era concepibile la presenza costante di un’unica donna nella sua 1807 in cui il Foscolo si esistenza. Egli non dichiara mai di aver conosciuto altre donne al di fuori lamenta del dito infetto della cerchia già nota a Marzia e insiste, invece, molto sulle sue visite alla ma dichiara: “Sebbene sorella Camilla oppure dichiara di fare vita ritirata, ma la veridicità di queste mi sia vigorosamente affermazioni appare molto dubbia. Quando, infatti, si considera l’epistolario vietato di non muovere in verun modo la mano, del Foscolo ordinato a livello cronologico nel suo complesso, si scopre che io non posso ubbidire; ti egli scriveva assiduamente nello stesso periodo della relazione con Marzia scrivo mia cara marzia anche alla già ricordata, Isabella Teotochi Albrizzi (la famosa nobildonna due sole righe: io vivo veneziana, che, anni prima, lo aveva accolto nel proprio salotto culturale, pieno di te, e per te, facendo di lui l’enfant prodige del momento) sempre con espressioni molto e per te, e sempre con tutte le potenze affettuose, parlando soprattutto delle proprie pubblicazioni e di letteratura dell’anima mia sempre in generale. Ci rendiamo conto, quindi, che il Foscolo, dichiarava anche ad con te”. altre il proprio amore e, soprattutto, discuteva di argomenti diversi a seconda dell’interlocutrice. Scopriamo, poi, che, anche la fine della loro relazione non era stata certo casuale, poiché nel frattempo egli scriveva appassionate lettere alla gentildonna pavese Maddalena Bignami. Probabilmente Marzia scoprì questo intreccio di “distrazioni” del poeta e iniziò a scrivere lettere sempre più brevi e gelide. Già il 13 gennaio 1808 si sente il risentimento del poeta per la brevità e freddezza delle missive di Marzia. Poi nell’aprile 1808 le scrive ancora: “Bensì mi danno da pensare le tue ultime righe della lettera di lunedì: Ama chi malgrado tutte le circostanze e le combinazioni possibili sarà sempre la tua amica.’” Del deterioramento dei loro rapporti è un esempio anche l’unica lettera di risposta che possediamo, quando ormai la loro relazione era finita: ella scrive poche righe di ringraziamento per l’invio della Prolusione, nelle quali traspare il rimprovero al 124 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 9 La cortigiana, la musa, la santa poeta di averla ormai definitivamente trascurata: “Amico – Col mezzo d’Armandi ho ricevuto la vostra Prolusione. Vi ringrazio della vostra premura e vi prego ad essere persuaso che l’essere ricordata da voi mi fu di viva compiacenza”. A questa fredda missiva il Foscolo risponde assicurando che le vuole ancora bene e che riporrà ogni sua lettera religiosamente insieme alle altre, ma, ammette, il tempo del loro amore ormai è fuggito per sempre. La donna che forse lo aveva aiutato ad ottenere la cattedra a Pavia, ora ne pagava le conseguenze… Il Foscolo le aveva promesso, infatti, che se avesse ottenuto quella nomina avrebbe avuto maggiore facilità di venire a Brescia, ma poi una volta ricevuto l’incarico se ne dimenticò. Con il passare dei mesi si intuisce l’atteggiamento sempre più sfuggente del poeta che, pur promettendo continuamente una visita a Marzia, poi trova mille ostacoli di salute e di lavoro che gli impediscono di affrontare il viaggio. Alcuni di questi impedimenti erano forse anche veri, come, per esempio, la penuria di denaro, Lettera del Carnevale 1808 tanto più realistica, visto che il poeta era dedito anche al gioco d’azzardo. Nella lettera del 18 novembre 1807 dice che verrà a Brescia il prima possibile se avrà abbastanza denaro per pagare 15 poste (apprendiamo da un’altra missiva che per andare in carrozza da Brescia a Milano ci volevano 12 ore di viaggio). Un aspetto della vita di allora certo per noi oggi poco comprensibile, ma che ci fa capire la notevole difficoltà di coprire il tragitto da Milano a Brescia con simili mezzi di trasporto. Anche l’insistenza che intuiamo in una lettera sui due luigi prestati al poeta da Marzia e la sollecitudine un po’ risentita del Foscolo nel restituirli ha qualcosa di strano, come se, in realtà, non fosse così scontato che il Foscolo ripianasse i propri debiti e perciò Marzia fosse piuttosto sospettosa a riguardo. Dalla lettera del 21 maggio 1808 sembra di capire che sia stata Marzia a chiudere la relazione con il poeta, forse proprio a causa delle voci di un suo coinvolgimento con altre donne. D’altra parte, anche la bella contessa, nel frattempo, non era stata certo con la mani in mano: si diceva che fosse stata vista a braccetto con un giovane ufficiale e di sicuro a Brescia, non le mancavano i corteggiatori. “La tua lettera è fredda come la morte. Pazienza. Addio, Marzia, amami; addio”. scrisse il poeta. Eppure, nonostante il triste epilogo della loro relazione, l’amore per Marzia, secondo Ugo Da Como, ha un’importanza fondamentale nella vita di Foscolo: ella sarebbe stata la musa ispiratrice del suo periodo bresciano e avrebbe poi continuato la sua vita alla ricerca della propria felicità, sebbene sempre memore del passato, proprio come la Galatea oraziana. 125 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte Chi e dove Liceo Paritario Paola Di Rosa – Lonato Classi coinvolte Classe Quarta Liceo Scientifico Classe Quarta Liceo Pedagogico-Linguistico Docenti referenti Stefania Pozzi, Marilena Bissaro Giardini scenari di vita e di arte I tre complessi museali di santa Giulia a Brescia, del Vittoriale a Gardone, della Casamuseo del Podestà di Lonato del Garda presentano tre diverse tipologie di giardino, che ben rappresentano i rispettivi frequentatori e che assumono conformazioni diverse in base alla funzione, al contesto e alla volontà dei committenti.. Il portico del chiostro occidentale di Santa Giulia a Brescia progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte Percorso didattico Il progetto ha inteso affrontare il rapporto tra i giardini delle tre realtà museali bresciane e coloro che li hanno abitati e vissuti nel corso degli anni. Gli aspetti stilistici sono stati messi in relazione con le diverse personalità, allo scopo di individuare lo stretto legame tra arte e vita, alla luce del contesto storico di riferimento. I luoghi in questione sono infatti il frutto di profonde trasformazioni avvenute nel tempo, volute dai rispettivi committenti per soddisfare esigenze personali, diventando in qualche misura specchio del loro vissuto e del loro pensiero. Il progetto si è articolato nelle seguenti fasi: – Conoscenza delle tre realtà museali – Lettura di elementi architettonici e decorativi ed elaborati grafici di studio – Analisi di testi letterari specifici e di saggi critici – Rielaborazione critica del saggio finale corredato dai disegni Obiettivi e competenze – Conoscenza del territorio e della sua storia – Capacità di analizzare e interpretare testi letterari e opere d’arte – Capacità di enucleare temi e problemi – Capacità di interpretare e confrontare fatti e opere – Capacità di ricerca e di problematizzazione – Produzione di testi e utilizzo del disegno come metodo di indagine Metodi e strumenti – Visite guidate e incontri con l’esperto – Lezioni frontali, ricerche sul territorio – Letture, documentazioni, analisi, rilievi fotografici 126 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Locus amoenus, hortus conclususo o paradeisos, spazio per passeggiare, pregare, riflettere, riposare o inebriarsi di profumi, colori, suoni, il giardino ha sempre ispirato poeti e pittori, affascinato architetti e urbanisti antichi e moderni, le cui realizzazioni ancora oggi suscitano ammirazione. Stupefacenti appaiono i giardini privati della Prioria dannunziana; colpiscono i Uno scorcio dei Giardini sensi con il profumo dei fiori, la bellezza del panorama, la ricchezza delle memorie del Vittoriale storiche; luogo tutto da scoprire e da vivere attraverso le suggestioni prodotte dal sapiente connubio tra Natura e artificio. Più sobrio, ma non per questo meno elegante e neppure meno ricercato, il giardino della Casa del Podestà a Lonato del Garda, dove si respira un’aria antica, di tranquillità e di pace, che lascia riaffiorare il ricordo di un otium letterario denso di studio e di ricerca. Paradisiaci infine i chiostri delle monache in Santa Giulia a Brescia, dove il silenzio e l’armoniosa bellezza delle architetture dilatano il cuore e spingono gli occhi a contemplare il cielo. 127 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte e di valenze simboliche: Natura e artificio si fondono creando inedite suggestioni. Colori, profumi, suoni producono nell’uomo sensazioni infinite, che lo introducono nella vitalità stessa della natura e lo fanno sentire parte di essa. Come la Natura trasforma l’uomo, così l’artista trasforma la Natura: alberi, fiori, statue, colonne diventano simboli, allegorie, illusioni. Il percorso si snoda attraverso memorie storiche e vegetazione rigogliosa, in un continuo rincorrersi e alternarsi di sensazioni di segno opposto, piacere-dolore, vita-morte, ricordo-oblio, sacroprofano. Planimetria del complesso del Vittoriale a Gardone Riviera I Giardini privati si estendono dietro la casa della Prioria; il poeta vi accedeva direttamente dalla abitazione attraverso il cortiletto degli Schiavoni e il portico del parente, superando poi un passaggio costituito da due piedritti, recupero di due semicolonne addossate, con un architrave reggente una copia della Venere Landolina: la scritta “rosam cape, spinam cave”(cogli la rosa, temi la spina) ci introduce in un luogo dal fascino segreto, in cui tutto si traveste di significati altri e di richiami evocativi. Fontana circolare con putti e melograni nei Giardini privati della Prioria L’Hortus conclusus di Gabriele d’Annunzio Il giardino dei sensi “Sul Garda solatio i limoni che conservano la forma del fiore suddivisi in cinque lobi si chiamano “dièle” per allusione alle dita”. Appunto autografo del 2 febbraio 1921 Una suggestiva visione dell’Arengo (1923-1924) all’ombra delle magnolie, nel giardino della Prioria del Vittoriale Dal lago di Garda è ben visibile il complesso monumentale del Vittoriale degli Italiani, dimora del poeta Gabriele d’Annunzio, che alla sua morte lo donò al popolo italiano. Il 24 marzo 1921, il poeta, sconfitto nell’impresa fiumana, visita la dimora del Cargnacco a Gardone Riviera, già appartenuta allo storico dell’arte Henry Thode e confiscata dallo Stato italiano allo scoppio della prima guerra mondiale. Dopo averlo visitato, d’Annunzio scrive alla moglie Maria Hardouin: “Ho trovato qui sul lago di Garda una vecchia villa appartenuta al defunto dottor Thode. E’ piena di libri: e questa nobile ricchezza mi fa sopportare le tracce delle tedescherie non facilmente abolibili. Ma il giardino è dolce, con le sue pergole e le sue terrazze in declivio. E la luce calda mi fa sospirare verso quella di Roma. Rimarrò qui per qualche mese per licenziare finalmente il notturno”. In realtà il poeta vi rimase fino alla morte avvenuta nel 1938. Il restauro della Prioria e la sistemazione dell’immenso parco e dei giardini privati vennero affidati all’amico architetto Giancarlo Maroni, che vi lavorò dal 1921 fino agli anni Cinquanta, realizzando quanto gli veniva richiesto dal committente. Fu quella del Vittoriale una delle imprese straordinarie, e non certo la meno importante, fra le molte compiute da d’Annunzio, che volle in essa lasciare un segno tangibile di sé destinato a durare nel tempo. Come la casa, anche i giardini privati e il parco esprimono infatti tutta l’essenza dell’arte e della personalità del poeta-Vate in un crescendo di allegorie 128 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Lungo un vialetto fiancheggiato da cespugli di rose profumate, i cui petali cadendo formavano un tappeto vermiglio che ricordava il sangue, si incontrano i quindici massi, collocati nel 1926, provenienti dai luoghi dove si combatté più duramente la prima guerra mondiale, protetti dalla statua bronzea di san Francesco orante di Giacinto Bardetti del 1925. Tale statua si lega per contrapposizione alla Venere che corona il portale d’ingresso. Come non immaginare d’Annunzio passeggiare in questo luogo carico di memorie, raggiungendo i cimeli storici dell’Arengo, il boschetto di magnolie dove si innalza, attorno a un trono e a sgabelli in pietra, una selva di colonne che simboleggiano altrettante vittorie della Grande guerra? In questa sorta di recinto sacro ornato con leggii e torciere in bronzo, il poeta era solito riunirsi con i legionari fiumani in occasione di cerimonie o di commemorazioni. Fra le colonne, alcune sormontate da proiettili donati dal generale Armando Diaz, spicca quella con l’urna contenente la terra di Caporetto, in ricordo della terribile sconfitta subita dall’Italia, che segnò secondo il poeta l’inizio 129 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte I pilastri delle limonaie del Vittoriale della ripresa, perché da essa gli italiani trassero la forza per rialzarsi e giungere alla vittoria. A segnare tutto ciò con grande forza simbolica è la statua della Vittoria alata coronata di spine, opera del 1922 dello scultore e vetraio veneziano Napoleone Martinuzzi con la scritta assai evocativa: Et haec spinas amat Victoria (proprio queste spine ama la Vittoria). Dal terrazzo del Belvedere, ornato con statue e anfore, ci si affaccia sulle antiche limonaie, risalenti al 1700, di cui oggi resta ben visibile l’impianto architettonico con la canalina per l’irrigazione in pietra e cotto. Le limonaie, serre per le piante di limoni, un tempo chiamate sardì de limù, erano assai diffuse sulla costa occidentale del lago di Garda, di cui costituiscono ancor oggi un tratto caratteristico. Infatti tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento i giardini dei limoni costituivano un’importante risorsa economica della zona, dato che l’esportazione dei frutti giungeva fino al Nord Europa. I limoni, che erano stati introdotti in Italia solo attorno al Mille con l’arrivo degli Arabi in Sicilia, si diffusero poi sulla riviera ligure e solo nel corso del XIII secolo furono portati sul lago grazie ai frati del convento di San Francesco di Gargnano. Il limone del Garda fu subito apprezzato per le sue qualità, per il contenuto di acido citrico, l’aromatica fragranza del succo, la particolare durata rispetto ai limoni di altre zone. La limonaia serviva a proteggere le piante dai rigori invernali. Strutturata su più piani, era normalmente chiusa su tre lati da una massiccia muraglia garantendo l’esposizione verso sud-est. Il tetto, spiovente all’indietro, si appoggiava su pilastri, legati tra loro o con la muraglia, da grossi puntoni di castagno, detti sparadossi; perpendicolarmente a quelli, erano fissate altre travi più sottili, i cantéri. Con l’arrivo del freddo si cominciava a coprire la limonaia: assi per il tetto e, per il fronte solare, assi di mezzo, vetrate e portiere. Essenziale era il sistema dell’irrigazione: canali generalmente scavati in blocchi di arenaria percorrono la muraglia di fondo e i muri di contenimento, dall’alto verso il basso, sorretti da mensole per innaffiare il piede degli alberi. D’Annunzio poco si curò della sua limonaia, anzi presto la fece smantellare integrando quanto rimaneva nel suo giardino all’italiana. Infatti dalla terrazza della limonaia si giunge al frutteto con aiuole e pergolato, 130 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte realizzato da Maroni tra il 1924 e il 1927 e concepito come un hortus conclusus il cui recinto, costituito da una serie di archi e griglie in legno, è ornato da aquile in pietra ad ali spiegate e gigli araldici, simili a quelli che d’Annunzio aveva, molti anni addietro, ammirato nei giardini di Villa d’Este a Tivoli. Al centro tra piante di melograno, un chiaro richiamo al tema dell’eterna rinascita, campeggia una colonna sulla quale è collocata la statua bronzea di Pomona, ancora opera di Martinuzzi, raffigurante una donna seduta che regge sul capo un canestro di frutti, a indicare fertilità e abbondanza. Delle moltissime specie botaniche volute dal Poeta per il suo giardino, tra le quali il bellissimo faggio rosso, piante esotiche, oleandri, pitosfori, bletille, scelte accuratamente consultando l’opera del botanico Teodoro Caruel, oggi non tutto si è conservato, quanto basta però a immaginare le infinite sensazioni olfattive e visive che il poeta racconterà nella prosa del Notturno. Proseguendo, attraverso siepi e roseti e lasciando alle spalle siepi di bosso centenario dal profumo fragrante, si comincia a percepire giù nella valletta, dove la vegetazione cresce spontanea, lo scorrere scrosciante dell’Acquapazza. Non mancano neppure qui gli interventi di Maroni richiesti dalla fantasia del poeta: ponticelli simbolici e cadute di acqua fino al laghetto delle danze a forma di cassa di violino, dove il rivo dell’Acquapazza mescola le sue acque con quelle più tranquille dell’Acquasavia: suggestivo scenario voluto da d’Annunzio per spettacoli di danza, nei quali natura e arte si fondessero in un tripudio di suoni, profumi, sensazioni. I terrazzamenti che accoglievano la struttura delle limonaie, di cui rimane traccia nei pilastri e nel canale di irrigazione che doveva bagnare i piedi degli agrumi Il giardino hortus conclusus nell’opera letteraria di Gabriele d’Annunzio D’Annunzio amò particolarmente i giardini e tutta la sua opera letteraria è percorsa da famose descrizioni o suggestivi richiami a giardini realmente vissuti dal poeta, visitati nel corso della sua vita o da lui fantasticati. Sono stati scelti, a titolo esemplificativo, un testo in prosa e uno in poesia, il giardino descritto nella novella Il traghettatore e quello poetico dell’Hortus conclusus. Il traghettatore, da Le novelle de la Pescara, 1902 “Era la metà di giugno; e i profumi degli aranci e dei limoni fioriti si mescolavano all’odor delle rose, nell’aria tranquilla. Le rose crescevano da per tutto, nel giardino, con una forza indomabile”. 131 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte Così descrive d’Annunzio il giardino dove donna Laura Albonico stava seduta sotto la pergola, giardino in cui tutto sollecita i sensi con una forza quasi insopportabile. Esperienza plurisensoriale, che svela segreti invisibili agli occhi degli estranei, ben comprensibili però a chi il giardino lo conosce e lo vive. L’olfatto percepisce il profumo degli agrumi che si mescola a quello intenso delle rose che crescono selvaggiamente dappertutto e “a ogni soffio di vento coprono il terreno “con l’abbondanza della loro neve odorante”. L’udito avverte il mormorio di “fontane invisibili fra la verzura… un fruscio e uno scompiglio singolari, mentre uccelli invisibili cantano. Alla vista appare “la cima mobile scintillante degli zampilli fuor del fogliame” e l’aria pregna dei profumi ha “un sapore dolce e possente come quello di un vino prelibato”. Il giardino è percorso da viali e chiuso dal cancello, “tutto abbracciato dalle piante e dai fiori”, silenzioso nell’ora che il poeta definisce panica: l’ora meridiana, quando egli si sente permeato dalla luce del sole e, trasformato dalla forza stessa della natura, sembra fondersi con essa e vivere la sua stessa vita, proprio come accade alla protagonista della novella: “Dal silenzio, nell’ora panica, sorgeva qualcosa di grande e di inesorabile, che le infuse nell’animo uno sgomento misterioso”. amata; i “bei penduli pomi”appaiono “puri come la carne verginale” destinati a schiudere al poeta la via per “sapori non terrestri”, piaceri non mai assaporati da bocca mortale. Lo straniero, spingendo lo sguardo dentro il cancello degli orti recintati, folle per il profumo effuso dagli invisibili rosai, esplora il dominio amoroso del giardino, sognando passioni e “sovrumani amori”mai prima sognati. Il componimento si conclude con un’esplicita similitudine, con la quale l’autore paragona la donna al giardino chiuso, l’hortus conclusus che dà il titolo alla poesia. Giardini chiusi, appena intraveduti, o contemplati a lungo pe’ cancelli che mai nessuna mano al viandante smarrito aprì come in un sogno! Muti giardini, cimiteri senza avelli, ove erra forse qualche spirto amante dietro l’ombre de’ suoi beni perduti! Splendon ne la memoria i paradisi inaccessi a cui l’anima inquieta aspirò con un’ansia che fu viva oltre l’ora, oltre l’ora fuggitiva, oltre la luce de la sera estiva dove i fiori effondean qualche segreta virtù da’ lor feminei sorrisi, Terrazzamento dei Giardini privati del Vittoriale e i bei penduli pomi tra la fronda puri come la carne verginale parean serbare ne la polpa bionda sapori non terrestri a non mortale bocca, e più bianche nel silenzio intente le statue guardavan la profonda pace e sognavano indicibilmente. Hortus conclusus, da Poema paradisiaco, 1893 Il componimento, dedicato dal poeta a Maria Gravina, dalla quale ebbe nel 1893 la amatissima figlia Renata, paragona la donna a un giardino chiuso: hortus conclusus appena intraveduto, contemplato dai cancelli, silenzioso, quasi inaccessibile, dal quale si diffondono nell’aria profumi inebrianti e dove si sogna un amore segreto. L’espressione hortus conclusus, derivata dal Cantico dei Cantici dove la sposa, in quel caso la Chiesa, è definita “giardino chiuso”, venne nei secoli attribuita, a partire da sant’Alberto Magno, alla Vergine Maria. Gabriele d’Annunzio carica l’espressione di forte sensualità. Non solo il giardino, in quanto hortus conclusus, ma anche parti di esso assumono fattezze femminili: la corolla de “i fiori ... da’ lor feminei sorrisi” viene paragonata al sorriso della donna 132 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Qual mistero dal gesto d’una grande statua solitaria in un giardino silenzioso al vespero si spande! Su i culmini dei rigidi cipressi, a cui le rose cingono ghirlande, inargentasi il cielo vespertino; i fonti occulti parlano sommessi; biancheggiano ne l’ombra i curvi cori di marmo, ora deserti, ove s’aduna il concilio degli ultimi poeti; tenue su la messe alta dei fiori passa la falce de la nova luna; ne l’ombra i fonti parlano segreti; rare sgorgan le stelle, ad una ad una; 133 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte un cigno con remeggio lento fende il lago pura imagine del cielo (desìo d’amori umani ancor l’accende? memoria è in lui del nuzial suo lito?) e fluttua nel lene solco il velo de l’antica Tindaride, risplende su l’acque il lume de l’antico mito. Una limonaia ancora in uso, con i traversi sopra e tra i piloni, per coprire e chiudere la serra durante la stagione fredda Di sovrumani amori visioni sorgono su da’ vasti orti recinti che mai una divina a lo straniero aprirà coronata di giacinti per lui condurre in alti labirinti di fiori verso il triplice mistero cantando inaudite sue canzoni. Ma quegli, folle del profumo effuso dal cor degli invisibili rosai, chino a la soglia come quando adora, pieni d’un sogno non sognato mai gli occhi mortali, giù per l’ombre esplora nel profondo crepuscolo in confuso il dominio silente ch’egli ignora. Così la prima volta io vi guardai con questi occhi mortali. Voi, signora, siete per me come un giardino chiuso. Il profumo dei limoni: un confronto E.Montale, I Limoni, da Ossi di seppia, 1925 Il profumo dei limoni intenso e fragrante ha sollecitato poeti e scrittori ispirando loro versi suggestivi. Anche Montale, percorrendo i viottoli della sua amata Liguria, si è lasciato incantare dal giallo di questi agrumi, che diventano per lui occasione di scoprire la realtà misteriosa della Natura e di intendere così il senso della vita. L’autore, fin dai primi versi, polemizza con i “poeti laureati”, tra i quali certo si può annoverare d’Annunzio, poeti incoronati dalla critica, poeti dal linguaggio altisonante, abituati a muoversi tra piante dai nomi inusuali, bossi, acanti e ligustri. Egli prende le distanze da costoro; a lui piace parlare di alberi comuni, come le piante di limoni che crescono negli orti e che diffondono il loro intenso profumo, “la nostra parte di ricchezza”, tra le viuzze di campagna, lungo i cigli dei fossi, tra le pozzanghere in cui guizzano sparute le anguille. E lì che il poeta si sente a proprio agio, in quel paesaggio silenzioso e deserto, in cui all’improvviso può accadere il miracolo: può apparire una presenza rivelatrice, si può incontrare il segreto della Natura, che finalmente “ci metta nel mezzo di una verità”, quella stessa verità che si può intuire in un giorno qualunque, attraverso un portone accostato, intravedendo il “giallo dei limoni”. 134 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Ascoltami, i poeti laureati si muovono soltanto fra le piante dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti. lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi fossi dove in pozzanghere mezzo seccate agguantano i ragazzi qualche sparuta anguilla: le viuzze che seguono i ciglioni, discendono tra i ciuffi delle canne e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni. Meglio se le gazzarre degli uccelli si spengono inghiottite dall’azzurro: più chiaro si ascolta il sussurro dei rami amici nell’aria che quasi non si muove, e i sensi di quest’odore che non sa staccarsi da terra e piove in petto una dolcezza inquieta. Qui delle divertite passioni per miracolo tace la guerra, qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza ed è l’odore dei limoni. Vedi, in questi silenzi in cui le cose s’abbandonano e sembrano vicine a tradire il loro ultimo segreto, talora ci si aspetta di scoprire uno sbaglio di Natura, il punto morto del mondo, l’anello che non tiene, il filo da disbrogliare che finalmente ci metta nel mezzo di una verità. 135 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte Lo sguardo fruga d’intorno, la mente indaga accorda disunisce nel profumo che dilaga quando il giorno più languisce. Sono i silenzi in cui si vede in ogni ombra umana che si allontana qualche disturbata Divinità. Quando fu acquistata a un’asta pubblica nel 1906 dal Sentore bresciano Ugo Da Como, la Casa del Podestà si presentava in modo assai diverso rispetto ad oggi. Lo spazio di pertinenza era ridotto e coincideva con l’area antistante il piano terreno dell’odierna casa-museo. L’attuale giardino è frutto infatti di una serie di oculate e successive acquisizioni; la proprietà venne nel tempo allargata, includendo l’antico cimitero della chiesa di Sant’Antonio Abate, come è testimoniato da un’epigrafe che riporta la scritta “elemosina per i defunti”, chiaro segno della presenza, in passato, di un cimitero. Fino all’intervento restaurativo operato tra il 1907 e il 1909 dall’architetto Antonio Tagliaferri, lo spazio del giardino era lasciato incolto o destinato a qualche sporadica coltivazione di ortaggi. Solo in seguito l’architetto, su richiesta del Senatore, lo abbellì rendendolo parte integrante dell’abitazione, costituendo la sua naturale continuità. Lo stile scelto da Tagliaferri per il restauro della casa risponde a una moda otto-novecentesca, che concepiva gli spazi esterni come funzionali alla resa di un’architettura pittoresca. L’edificio è pertanto concepito entro uno spazio ricco di vegetazione e scandito da un’architettura, che tiene conto di elementi medievali preesistenti, i muri merlati, le scale e i viottoli che collegano i diversi livelli del giardino, realizzando un insieme armonico ed equilibrato. Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase. La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolla il tedio dell’inverno sulle case, la luce si fa avara – amara l’anima. Quando un giorno da un malchiuso portone tra gli alberi di una corte ci si mostrano i gialli dei limoni; e il gelo dei cuore si sfa, e in petto ci scrosciano le loro canzoni le trombe d’oro della solarità. Planimetria del territorio a sud della Rocca di Lonato: in evidenza la Casa Museo del Senatore Ugo Da Como, la Biblioteca della Fondazione e i giardini privati. Si hortum cum bibliotheca habes nihil deerit Il Locus amoenus di Ugo Da Como Il giardino della Fondazione Ugo Da Como costituisce una gradevole un sorpresa per il visitatore, protetto da sguardi indiscreti, chiuso dagli alti muri della casa stessa e da un tratto delle antiche mura medioevali, che lo limitano e lo sostengono a mezzogiorno, dove il panorama si apre sul città. Vista del fronte rivolto a mezzogiorno della CasaMuseo di Ugo Da Como con i giardini in primo piano Nel 1920 si aggiunsero alla proprietà anche i campi della Rocca, interamente coltivati, soprattutto a viti e ortaggi. Nel 1923 infine fu costruito in stile quattrocentesco dall’ingegnere bresciano Arnaldo Trebeschi l’edificio che ospita la preziosa Biblioteca, anch’essa aperta, come l’abitazione, sul giardino. Ugo Da Como era solito soggiornare a Lonato nei mesi estivi, mentre durante il periodo invernale si spostava tra Brescia e Roma. Dal 1921 però la casa di Lonato divenne sua dimora abituale fino alla morte avvenuta nel 1941. Il giardino acquista allora particolare importanza, soprattutto in estate, perché in esso il Senatore trascorreva ore di riposo e di studio lontano dagli affari pubblici, nella quiete della natura, o accoglieva i suoi ospiti offrendo loro uno spazio tranquillo in 136 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 137 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte cui intrattenersi; tanto importante per il Senatore che tutte le porte e le finestre della casa, nonché le stanze di rappresentanza si aprivano direttamente sul giardino e il ballatoio al primo piano permetteva di godere del verde e di un suggestivo panorama sulla cittadina. Si hortum cum bibliotheca habes, nihil deerit (M.T.Cicerone, Ep. ad fam. IX,4): se hai un giardino e una biblioteca nulla ti mancherà. Il motto latino di derivazione ciceroniana, che campeggia nella Sala principale della Biblioteca, esprime il perfetto rapporto tra la natura e i libri, il piacere di avere una biblioteca aperta su un giardino. Quale modo migliore, per combinare bellezza esteriore e cultura, del connubio tra giardino e biblioteca? Nella residenza lonatese si realizza l’ideale dell’humanitas predicato dal latini, cioè la perfetta conciliazione tra otium e negotium, tra studio e attività pubblica, tra ricerca della quiete e impegno politico. Locus amoenus tranquillo e riparato, spazio esterno in continuo dialogo con l’interno, il giardino fu concepito dal suo illustre inquilino come luogo elegante e armonioso da vivere con gli amici, ma anche come ambiente dove ritirarsi per contemplare, leggere e riflettere. La casa del Podestà sorge lungo un declivio di collina morenica, sulla cui sommità si erge la Rocca. Il giardino segue pertanto la naturale pendenza del terreno. Esso è disposto su quattro terrazze raccordate tra loro da scale. Il primo terrazzamento è raggiungibile dal piano terra dell’abitazione attraverso cinque porte e dal piano superiore per mezzo dell’elegante scaletta che immette sul ballatoio, da cui si gode un panorama suggestivo. La facciata sud della casa, curata e ricca di elementi decorativi tra cui alcuni soli sgraffiti nell’intonaco, ne costituisce una sorta di quinta: il basamento, in pietra bianca, incornicia porte e finestre e contrasta con una prima fascia in mattoni rossi a vista. Incastonati poi nella parete trovano spazio scudi araldici e bassorilievi in pietra e in cotto. All’uscita della sala da pranzo un piccolo vialetto di ghiaia conduceva, ai tempi di Ugo Da Como, a un’aiuola esagonale sempre fiorita di salvia splendida rossa, sostituita oggi da uno spazio verde dove è collocata una colonnina in stile neogotico. La colonna, databile tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, è eseguita in pietra locale di Rezzato e potrebbe essere frutto dell'eclettica fantasia dell'architetto Tagliaferri. Presenta un basamento a doppio plinto sulla cui sommità sono raffigurati animali mostruosi nell'atto di arrampicarsi; il fusto è composto da due pilastri polistili adiacenti e decorati con motivi fitomorfi, i cui spigoli sono delineati da fasce tortili. Il capitello sorregge un leone rampante alato, chiaro riferimento all'antico dominio di Venezia, che tiene tra le zampe lo stemma del comune di Lonato, anch’esso un leone rampante che regge due chiavi incrociate. La colonna risponde alla logica della creazione in stile e contribuisce a ricreare un’atmosfera pittoresca, vagamente medievaleggiante. In una seconda aiuola delimitata da un muretto merlato trova dimora uno dei cinque pozzi in pietra e ferro dislocati nella proprietà con la sola funzione decorativa di fioriera. La seconda terrazza è raccordata alla precedente da una scala di ciottoli e ghiaia, alle cui sommità sono collocati due capitelli sormontati da palle di cannone in pietra; il terrazzamento si distende davanti all’edificio della Biblioteca in un ampio spazio verde circondato da siepi di bosso con al centro una magnolia. Questo non doveva essere l’aspetto originario del giardino; infatti le siepi di bosso sono tipiche della concezione del giardino all’italiana e sono frutto di una sistemazione successiva alla morte del Senatore. Voluti dal Da Como invece i due pozzi, anche qui usati come arredo e fioriera e le fontanelle senz’acqua addossate alla parete est della casa. Il terrazzamento più alto, forse il più spoglio e segreto, è raccordato al precedente da una stretta scaletta, ma si raggiunge anche dal piano alto della Biblioteca, il cui prospetto in pietra apparecchiata ad opus incertum è bucato da una finestra e da una porta centinata. Sotto la finestra inferriata è addossata al muro una panchina, mentre al centro della terrazza si erge un alto tasso simbolo di morte, perché velenoso; poco discosto un tavolino con piano tondo in pietra sorretto da una gamba centrale dalla forma ad anfora. Su tutto svetta la torretta quattrocentesca, residuo dell’antica fortificazione. Scendendo verso la chiesa di Sant’Antonio si raggiunge la terrazza più bassa, attraverso un sentiero fiancheggiato da bossi e arbusti; con Da Como la zona divenne frutteto e ortaglia. Oggi si presenta come un prato di forma rettangolare allungata, ai piedi della torretta, con un piccola baracca in mattoni e un vecchio albero di cachi, forse residuo del frutteto. Elemento ricorrente nel giardino è il leone. Questo simbolo araldico per 138 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 139 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Casa del Podestà di Lonato del Garda: la facciata meridionale e i giardini prospicienti, che accolgono uno dei pozzi ornamentali utilizzati come fioriere Il pilastrino in stile neogotico collocato nei giardini privati della Casa del Podestà Una panchetta con fioriera sostenuta da due leoncini scolpiti in pietra progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte eccellenza venne scelto dal Tagliaferri non solo a memoria del dominio veneto su Lonato, ma anche per esaltare l’atmosfera medioevaleggiante: è il leone alato di san Marco che ci accoglie in una lastra a bassorilievo sulla destra del cancello della Casa, quello stesso leone che diventerà di volta in volta, celato nelle pietre sparse nei cortili o incastonate nelle pareti, una mensola, un piedino, la bocca di una fontana o il sostegno di una panchetta. “Il giardino era magnifico e Ugo Da Como ci stava molto volentieri. Uno dei punti preferiti in cui il Senatore amava stare era l’angolo sotto il poggiolo, accanto a un grande cespuglio vicino alla porta della Sala Antica”. Un capitello a motivi ornamentali floreali con sovrapposta una palla di cannone in pietra che segna l’inizio della scala tra due terrazzamenti. Il giardino della Casa del Podestà nel ricordo del giardiniere Arrigo Bonatti La scala che porta dall’originario cortile della Casa del Podestà al terrazzamento ora di fronte alla Biblioteca. Sullo sfondo la torre di età medioevale La presenza del Senatore a Lonato era segnata dalla bandiera tricolore con lo stemma sabaudo issata sulla torretta. Da Como amava vivere il giardino al mattino, leggendo il giornale o sfogliando i testi presenti nella sua ricchissima biblioteca, che conta oltre 52.000 volumi tra cui 495 incunaboli e 470 manoscritti. Ma non solo; infatti in quello che era il suo locus amoenus riceveva amici e cittadini di Lonato, accogliendoli durante la bella stagione su poltroncine di vimini collocate all’esterno davanti alla sala. Passeggiava ogni mattina tra le 9.30 e le 10.00 fino alla Rocca in compagnia del suo giardiniere, parlando di tutto, sempre rigorosamente in dialetto bresciano. A volte si fermava a contemplare il lago sporgendosi tra due merli della Rocca. Curiosa la notizia riferita dal giardiniere Arrigo Bonatti; a una sua precisa domanda, se pensasse qualche volta a d’Annunzio, si sentì rispondere dal Senatore che non desiderava parlare di lui. Al contrario, guardando il lago, preferiva pensare all’amico Pompeo Molmenti, come lui zanardelliano, suo esecutore testamentario. Sappiamo che Da Como e d’Annunzio non si ebbero ad incontrare mai, nonostante la vicinanza abitativa, la fama di cui entrambi godevano e i comuni interessi letterari. Certamente la posizione assunta dal Vate rispetto al governo fascista non poteva essere condivisa dal Da Como. Riferisce il giardiniere che il senatore era persona cordiale, al quale piacevano gli ortaggi fra cui le zucchine, che amava raccogliere personalmente nell’orto. Bonatti afferma: “Io dovevo piantare i fiori e innaffiarli: i fiori erano moltissimi”. E ancora: 140 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Tante piante ad alto fusto erano piantate nel giardino. Vicino al muro della Biblioteca cresceva un boschetto e accanto all’affresco del Trainini c’erano un albero di noce e un albicocco sempre molto fruttiferi. Il sentiero che conduceva alla torretta era ornato con cespugli di rose di ogni tipo e colore; a fianco di esso un lieve pendio con cespugli di romiglia. Ad aggiungersi al vasto e splendido repertorio di piante, nella parte di prato confinante con la chiesa di Sant’Antonio c’era anche una fila di alberi da frutta di tutte le qualità con al centro due filari di viti. E poi il grande albero di cachi ancora oggi esistente. Anche la moglie Maria Glisenti amava molto il giardino, aveva cura delle piante, fra le quali limoni coltivati in vasi nei pressi della casa e agavi, ma erano le rose che soprattutto le piacevano e con le quali sempre decorava le stanze della casa. In tutto il giardino erano presenti pozzetti e fontanelle senz’acqua, che la signora Maria utilizzava come fioriere. Una invece, vicino alla Biblioteca, era usata dalle domestiche per lavare i panni. I chiostri del complesso museale di Santa Giulia Il giardino ideale o paradeisos Annesso alla chiesa di San Salvatore costruita nel 753 d.C. per volontà del re longobardo Desiderio, allora duca di Brescia, e di sua moglie Ansa, il monastero benedettino femminile di Santa Giulia è diventato negli ultimi anni un importante complesso museale, che oggi racconta al visitatore la storia della città di Brescia a partire dai secoli più remoti. Il monastero godette grande fama fin dalla sua fondazione, anche per la presenza come prima badessa di Anselperga, figlia dello stesso Desiderio e sorella della più nota Ermengarda. Nel corso dell’età carolingia andò aumentando privilegi e proprietà che si estendevano fino al lago di Garda e divenne così un centro di potere 141 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte Planimetria del complesso di Santa Giulia con datazione dei diversi corpi di fabbrica Il cortile orientale con Santa Maria in Solario sullo sfondo Il cortile di Santa Maria in Solario Le colonne eterogenee lungo la parete tamponata del cortile orientale; nell’angolo resta soltanto un capitello incastonato nel muro economico e politico di grande rilevanza. Lo testimoniano sia lo splendore acquisito dall’edificio, sia la ricchezza del patrimonio conservato al suo interno, di cui ancora oggi abbiamo memoria. Le varie trasformazioni architettoniche subite dal monastero tra i secoli XII e XVII con l’aggiunta di nuovi corpi di fabbrica, se da un lato ne hanno modificato profondamente l’aspetto e talvolta la destinazione d’uso, dall’altro ne hanno enfatizzato il carattere profondamente religioso. A un osservatore non superficiale non può certo sfuggire il grande emblematico crocifisso con figura femminile, raffigurante proprio la Santa Giulia cui il convento era dedicato, che ci accoglie all’ingresso, e nemmeno i numerosi ambienti ecclesiali che il complesso vanta: la chiesetta di S.Maria in Solario del XII secolo, l’antica basilica di San Salvatore con annesso il Coro delle monache del XV secolo, la nuova chiesa pubblica di Santa Giulia costruita alla fine del Cinquecento dopo la visita di san Carlo Borromeo. Ma soprattutto sono i tre chiostri, che costituiscono per ogni monastero il centro della vita e dell’esperienza religiosa, a definire la fisionomia architettonica del complesso museale. Il primo di essi, situato nell’ala orientale, risale al 700 ed è emblematico della lunga storia del luogo. I portici conservati sono due; in entrambi, secondo lo schema compositivo dei chiostri, le colonne poggiano su bassi muretti perimetrali. Il 142 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 143 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte primo portico, aperto e ricostituito con fusti esagonali e capitelli corinzi stilizzati, regge un trabeazione lignea. Il secondo è invece tamponato e caratterizzato da colonne recuperate da materiale di scavo, che costituiscono l’imposta di arcate a tutto sesto, delle quali rimane visibile solo l’impronta forata da tondi in asse con sobrie finestre rettangolari, che oggi intagliano la parete. I due fronti mancanti del chiostro, integrati in edifici successivi, simulano le stesse arcate a tutto sesto attraverso la pittura. L’effetto illusionistico prodotto dalla pittura, il rivestimento in materiali pregiati, la teoria di mensole in pietra che reggono l’aggetto esterno, il leggero parapetto in ferro battuto suggeriscono un intervento di periodo rinascimentale e rivelano il gusto raffinato delle monache. Il secondo chiostro cinquecentesco è caratterizzato da candide colonne con capitelli compositi, sui quali si impostano volte a crociera rinforzate da catene di ferro. Alle Il doppio portico che affaccia verso la chiesa di San Salvatore l grande chiostro settentrionale con quadriportico di età rinascimentale Il chiostro occidentale, con il doppio porticato coperto da volte a crociera. Durante gli scavi tra il 1986 e il 1989 fu portata in luce nel cortile la “domus del ninfeo” volte corrisponde al piano superiore un loggiato con colonnine di ordine minore. Il terzo chiostro, il più ampio, di impianto rettangolare, presenta integro il colonnato perimetrale. Le colonne battono anche qui su un basso muretto, che si interrompe una volta sui lati corti e due sui lunghi, per permettere l’accesso allo spazio centrale aperto, ora tenuto a prato verde. Un tempo esso poteva ospitare la coltivazione delle piante officinali, il cosiddetto orto dei semplici, sempre presente in ogni monastero benedettino, alberi da frutto o altra vegetazione con al centro una fontana o un pozzo. I capitelli sono tutti compositi, con una prima corona a bassorilievo con motivi vegetali a palmette, conclusa da un toro ornato con foglie d’alloro, a sua volta incastonato in quattro volute riempite da semplici fiori dalla corolla a cinque petali aperta, ripresa dai quattro fioroni dell’abaco rivolti verso il basso. I quattro camminamenti sono coperti da volte a crociera ed esternamente i timpani sono decorati da semplici tondi affrescati, che propongono un gioco di medaglioni che incorniciano marmi policromi. 144 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 145 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 10 Giardini: scenari di vita e di arte Un capitello del chiostro rinascimentale. Il Chiostro paradigma dell’Eden È riconducibile all’avvio del monachesimo in Occidente ad opera di San Benedetto lo sviluppo dell’architettura specifica dei monasteri, che prevedeva un chiostro centrale, cioè uno spazio a cielo aperto a pianta quadrata o rettangolare, diviso in quattro settori da due percorsi ortogonali e circondato sui quattro lati da un portico a galleria sorretto da colonne di vario genere e stile poggianti su un basso muretto, aperto in vari punti per il passaggio. All’interno del monastero la vita scorreva silenziosa, scandita dalle ore di lavoro e di preghiera. Celle, chiesa, coro, orto vedevano il rapido passaggio dei monaci, ma più di ogni altro ambiente nel monastero benedettino era il chiostro a costituire il fulcro della vita religiosa. La vita del monastero ruota attorno al chiostro; su di esso si aprono i locali comuni più significativi, refettorio, sala capitolare, biblioteca; dal chiostro si accede direttamente alla chiesa e nel chiostro avviene normalmente la statio, il momento di preghiera e di raccoglimento prima di iniziare la liturgia; sempre nel chiostro si svolgono le processioni accompagnate dal canto gregoriano; nelle gallerie i monaci passeggiano, pregando e meditando. E non è certo casuale che dal chiostro (claustrum =confine, limite) sia derivato il termine stesso di claustrale per indicare chi vive nel monastero. Il chiostro, chiuso al mondo esterno, ma aperto al cielo, nell’organizzazione degli spazi abbaziali è lo spazio maggiormente carico di valore simbolico, figura del cammino spirituale che ogni monaco deve compiere: richiama il giardino dell’Eden o paradiso terrestre, quello in cui Dio collocò Adamo. Da lì ha inizio il cammino che deve portare a Cristo, acqua zampillante che dona la vita. Al centro di questo spazio sacro è infatti collocato un elemento simbolico, quale un pozzo o una fontana, allusivi all’acqua della vita, oppure un albero, che rimanda al legno della croce. Spesso è arricchito da piante e vegetazione, che ne rafforzano il significato di giardino ideale, così come le figure scolpite sui capitelli o i cicli pittorici lungo il porticato riflettono la spiritualità monastica. Nel microcosmo del chiostro si sperimenta l’incontro con Dio attraverso il silenzio e la meditazione; si contempla la bellezza che traspira dalla perfetta realizzazione artistica; si realizza l’armonia tra cielo e terra. Bibliografia AA.VV., Un lago, una civiltà: il Garda, Grafiche Fiorini, Verona 1983 R. Assunto, Natura e arte nel paesaggio dannunziano, Atti del II Convegno internazionale di studi dannunziani, Pescara novembre 1980 M.Baronio, Il Senatore Ugo Da Como nei ricordi di un giovane giardiniere, in Ugo Da Como, Quaderni della Fondazione Ugo Da Como, dicembre 2012 M.Carminati, Le vie dell’arte, Silvana Editoriale, Milano 2005 G. Cigognetti, Le limonaie, in Atlante del Garda, Grafo edizioni, Brescia 1992 G. d’Annunzio, Le novelle della Pescara, Mondadori, Milano 1942 G. d’Annunzio, Poema paradisiaco, in Versi d’amore e di gloria, Arnoldo Mondadori, Milano 1997 A.Frattini-P.Tuscano, a cura di, Poeti italiani del XX secolo, La Scuola, Brescia 1988 F.Irace, a cura di, L’architetto del lago .Giancarlo Maroni e il Garda, Electa, Milano 1993 E.Ledda, L’arte scenica nel giardino d’un poeta, Atti Accademia studi e ricerche, Ateneo di Salò 2005 A.Mazza, D’Annunzio, il Vittoriale e Gardone Riviera, ed La Rosa, Brescia 2004 146 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia P.Restani, Il significato spirituale dei chiostri, in “Arte e spiritualità”, Centro culturale Leone XIII, Città di Castello-Perugia, n.1, gennaio-febbraio 2005 R. Stradiotti, a cura di, San Salvatore – Santa Giulia a Brescia. Il monastero nella storia, Skira, Milano 2001 V. Terraroli, I giardini del Vate al Vittoriale, Architettura e Arte, ottobre-dicembre 1999 G. Tortelli, R. Frassoni, Santa Giulia, Brescia. Dalle domus romane al museo della città, Electa, Milano 2009 Chi e dove I.I.S.S. Cesare Battisti – Salò Classi coinvolte Classi Quarta A e Quarta B Turistico Docenti referenti Amalia Bigi, Chiara Foglio Con la collaborazione di Dott. Giovanna Ciccarelli, Dott. Stefano Lusardi, Dott. Angela Bersotti progetto 11 La “Storia all’aperto” Stemmi, frammenti e terrecotte tra i giardini, i chiostri e il lapidarium Introduzione Il progetto nasce dall’esigenza di far conoscere ai nostri allievi i tesori artistici e culturali presenti nel territorio cittadino e bresciano in cui vivono. Sono state mostrate e presentate le testimonianze storiche custodite in tre importanti Istituzioni museali, scegliendo un percorso di approfondimento culturale congeniale al corso di studi in ambito turistico dei nostri studenti. Si è creato così un rapporto fruttuoso tra l’istituzione scolastica e il territorio, e sono anche migliorate qualitativamente le strategie didattiche rilevanti per l’attività educativa e formativa degli allievi. Nei tre “Luoghi di vita ed arte” che abbiamo potuto visitare in particolare, abbiamo scoperto indizi che ci hanno permesso di risalire il corso della storia, di ripercorrere il passato e scoprire l’identità e peculiarità del nostro territorio, anche esplorando l’ambiente in cui questi tre Musei sono collocati: i Musei Civici cittadini di S. Giulia a Brescia, la Casa-Museo del Vittoriale degli Italiani a Gardone Riviera e la Casa-Museo di Ugo Da Como, a Lonato del Garda. Gli allievi hanno saputo riconoscere il valore di queste antiche dimore, attraverso dettagliate visite ed incontri con esperti che li hanno formati in ambito storico ed artistico, ma anche informati sui contenuti sociali e di costume con piccole dispense preparate per l’occasione. Questi musei hanno così assunto un modello significativo, che poi si è sviluppato a carattere pluridisciplinare, stimolando gli allievi ad affinare le loro conoscenze linguistiche in ambito turistico, approfondendone le caratteristiche di interesse ad un ipotetico turista del territorio bresciano. Si è avviato così un percorso che ha unito gli allievi nella ricerca storica, ambientale e culturale che unisce queste tre realtà nei loro aspetti esteriori. Tema interessante ed avvincente per questi ragazzi, che seguendo un percorso scolastico di formazione turistica, hanno analizzato le decorazioni, le lapidi, i chiostri e l’ambiente in cui sono situati i Musei Civici cittadini di S. Giulia, la Casa-Museo del Vittoriale degli Italiani e la Casa-Museo di Ugo Da Como. 147 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 11 La “Storia all’aperto” progetto 11 La “Storia all’aperto” Ringraziamo in particolare il Dott. Stefano Lusardi che ci ha guidati in questa interessante e significativa esperienza, stimolando gli studenti a conoscere questi “beni artistici e culturali”, elementi di memoria storica. Raccoglimento e bellezza tra i chiostri dei Musei di Santa Giulia Idea del progetto Avvicinare gli studenti alle opere, ai reperti ed agli oggetti che si trovano all’esterno dei tre Musei, in quanto importanti testimonianze del passato per trasmettere ai giovani la conoscenza delle loro radici e la storia del loro territorio attraverso la ricchezza di beni culturali, affinché imparino a conoscerli ed apprezzarli. Questo progetto intende affiancarsi al percorso scolastico dei ragazzi, costituendo una risorsa di apprendimento ulteriore, collegando questa nuova esperienza alle abilità e alle conoscenze pregresse, agli interessi e alle motivazioni che emergono dalla quotidiana attività didattica. Si desidera quindi creare un tutt’uno col curricolo formativo in una prospettiva disciplinare e transdisciplinare. – Osservare – leggere: riconosce il bene culturale, l’oggetto” portatore di un valore storico, artistico, emozionale, estetico; inquadra un problema e organizza la raccolta dei dati relativi (storico, ambientali, sociali…) – Orientarsi: colloca il bene culturale entro precise coordinate di carattere storicoambientale, inserendolo in una dimensione spazio-territoriale specifica. – Conoscere: riconoscere nel bene culturale uno strumento per la conoscenza della propria ed altrui identità. – Progettare – documentare: attiva le strategie adeguate per la corretta fruizione e gestione del bene culturale; per diffondere i risultati sa individuare e differenziare tecniche, procedure, linguaggi e strumenti in funzione dei destinatari (ipertesti, siti web, relazioni scritte e orali, opuscoli turistici). – Unire i tre musei, con una linea ideale conduttrice, rappresenta una via concreta per illustrare agli studenti le meraviglie del territorio bresciano, che evoca colori e paesaggi di rara bellezza, luoghi accarezzati da un clima dolce, con dimore ricche di storia per gli insigni personaggi del passato che qui hanno vissuto. 148 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia …Per i claustri solitari, Tra il canto delle vergini, Ai supplicati altari… Alessandro Manzoni Adelchi, coro dell’atto IV Il patrimonio storico-artistico custodito nella struttura conventuale e monastica dei Musei di Santa Giulia, situata nel centro storico di Brescia, è stato il primo approfondimento culturale di questa interessante e significativa esperienza, alla scoperta dei tesori e delle bellezze che la nostra città ci offre. Il chiostro continua ad esercitare un fascino importante, produce nel visitatore un distacco dai ritmi e dalle forme della città esterna, un itinerario capace di introdurci in una dimensione “senza tempo”. Per lo spirito monastico, che tanto ha influito sulla costruzione e sulla ricchezza di Brescia, il chiostro è una vera e propria metafora del paradiso: visivamente aperti ai quattro punti cardinali, rimangono tuttavia luoghi “chiusi” , cioè protetti e raccolti. Così come i porticati e i loggiati che si sovrappongono, simboleggiano un progressivo distacco dalla terra, un innalzamento spirituale rivolto verso il cielo. Il complesso monastico di San Salvatore – Santa Giulia con l’area adiacente del Capitolium sono unici in Europa per concezione espositiva e recentemente sono anche stati riconosciuti Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’UNESCO. Abbiamo imparato a frequentare questo luogo suggestivo, con curiosità ed interesse, è stato un viaggio nella storia, nell’arte e nella spiritualità di Brescia dall’età preistorica ad oggi, su un’area di circa 14.000 mq. Un luogo dove archeologia e leggenda si intersecano fra la maestà dei chiostri e il silenzio degli spazi, celebrati nell’Adelchi da Alessandro Manzoni, che vi ambienta gli ultimi giorni di Ermengarda, figlia del re longobardo Desiderio e sposa ripudiata di Carlo Magno. Santa Giulia è un monumento che racconta se stesso, con reperti dall’età del ferro all’età napoleonica. La sezione rinascimentale – come del resto tutte le altre sezioni del Museo della città – racconta la città del XV e XVI secolo nel suo spazio esterno, come se si potesse ripercorrere un fronte viario e, nel suo spazio interno, entrare in un’abitazione signorile dell’epoca. Nella prima metà del ‘400 Brescia passò da dominio visconteo (milanese) a quello veneziano. In seguito alla riforma della congregazione benedettina, anche il monastero, per le mutate esigenze liturgiche, subì, nella seconda metà del ‘400, una riorganizzazione edilizia. Si ricostruì il primo chiostro con un loggiato sopra il porticato e, a nord, un chiostro ex 149 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 11 La “Storia all’aperto” progetto 11 La “Storia all’aperto” novo con il solo porticato al piano terreno. Nel lato sud-est, oltre S. Maria in Solario, si può ammirare il chiostro sudorientale. Le sculture e i frammenti di decorazioni scultoree in pietra e terracotta esposti nella sezione rinascimentale del Museo della città – collocata in questo chiostro del complesso di Santa Giulia – erano originariamente collocati sui muri esterni degli edifici della città e documentano le diverse tipologie abitative in uso tra ‘400 e ‘500, quando Venezia impose ai cittadini il decoro delle facciate e della cura della pubblica via. Tra i pezzi del museo ve ne sono anche di provenienti dalle fabbriche dell’epoca. Al primo piano c’è invece un grande spazio unitario, scandito da pilastri. La contiguità con Santa Maria in Solario, la chiesa romanica a doppia aula sovrapposta, con tiburio ottagonale, raccoglie il filo d’un’altra eredità storica, visto che vi era custodito, nell’aula inferiore, il cosiddetto “tesoro di S. Giulia”, cioè le reliquie più importanti per antichità veneranda o per valenza cerimoniale. Echi di passi tra le antiche pietre Il chiostro orientale è al piano terra ed è austero e solenne nell’incontro con i monumenti sepolcrali, come in un piccolo Pantheon del nostro Rinascimento. I reperti sono un memoriale di prestigio e virtù civica o santità, che si ritrova anche nei sepolcri, che nel Rinascimento venivano intesi in un disegno di museo della fama: ecco allora gli apparati dimostrativi della gloria di Lamberti (una lastra sepolcrale d’impronta donatellina, già nel 1457), dei Luzzago, degli Orsini, dei Martinengo, accanto a lastre funerarie e sarcofaghi di religiosi, da quello di un illustre monaco di San Barnaba a un sarcofago con tre santi. Uno degli elementi di identità e continuità ancora oggi percepibile nella scena urbana è l’uso della pietra dalle vicine colline orientali di San Rocchino e di Botticino, fino a creare una quinta continua di bugnato e di calcinature nella trama viaria del centro storico. Nello spirito dell’umanesimo, fu anche assunta con consapevolezza piena l’ascendenza romana, per la presenza dei più imponenti resti documentati in Italia settentrionale, fino a darne strumento di dignità politica col primo Museo antiquario d’Europa nella raccolta di epigrafi latine murate nel 1485 nella facciata del Monte Vecchio di Pietà in piazza Loggia, che si veniva configurando come nuovo foro della città. Ce n’è abbastanza per capire come la pietra caratterizzi anche la sezione del museo della città, in un contesto dove, com’è previsto per tutte le sezioni di Santa Giulia, il racconto della forma urbana nei secoli è accompagnato dai materiali corrispondenti, restituendo anche ai documenti della cultura materiale ed alle arti cosiddette minori, piena dignità storica ed estetica. Si documentano quindi il più possibile le strutture del quotidiano, con una ricognizione di temi di lunga durata della vita e della “forma” della città. 150 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Nei chiostri del monastero si può immaginare di sentire alcuni suoni: chiacchiere domestiche in latino, canti e preghiere di monache, lo scalpellare dei “lapicidi” e il tramestio dei muratori intenti a costruire riutilizzando materiali già impiegati nei precedenti edifici. È il momento di approdare alla potenza plastica della scultura monumentale, che si annuncia con varie raffigurazioni dei santi patroni Faustino e Giovita, con un Trittico Marmoreo con S. Onorio tra i santi. L’opera è un trittico, cioè una composizione formata da tre pannelli principali; tale tecnica, propria dell’arte pittorica, qui è traslata in campo scultoreo. Il trittico di sant’Onorio è un’opera d’arte in marmo di Botticino risalente alla seconda metà del Quattrocento. Il trittico marmoreo era posto in origine sull’altare eretto sul sepolcro di sant’Onorio, vescovo di Brescia nel VI secolo. I santi protettori della città, raffigurati ai lati del vescovo, sono rappresentati in abito ecclesiastico secondo un tipo che, nell’iconografia cittadina dei due patroni, si alternava a quello in veste di guerrieri. Il trittico oggi si presenta ai nostri occhi “musealizzato”: per esso è stato ricreato un nuovo contesto, un po’ come accadeva nelle case dei collezionisti che raccoglievano nei lapidarium i frammenti antichi delle più differenti provenienze. Nell’esplorazione artistica giungiamo nella sezione dedicata al gusto più classico tra pilastri, colonne capitelli, fregi e mensole. Osserviamo finissimi fregi esterni della Brescia dell’ultimo Quattrocento, ad opera degli scultori e mastri tagliapietre comacini impegnati nella decorazione del Palazzo della Loggia e del Monte Vecchio di Pietà. Il fregio marmoreo è testimonianza di un gusto cesellato di botteghe che operarono anche alla Certosa di Pavia ed alla Cappella Colleoni di Bergamo, e ciò spiegava che la città attribuiva un grande rilievo all’opera decorativa, e partecipava direttamente alla spesa. 151 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 11 La “Storia all’aperto” progetto 11 La “Storia all’aperto” Un pezzo che ci ha molto interessato è un frammento di fregio. Si tratta di un putto fra elementi vegetali, che si è scoperto pezzo mancante al fregio della Loggia. Ci ha altrettanto incuriositi un basamento triangolare, adorno di sfingi che dovrebbe sempre provenire da piazza della Loggia, dove reggeva il pennone. Murare i frammenti antichi o le lapidi costituiva un sistema utile alla conservazione, si tentava in questo modo di impedire la dispersione di oggetti storici di particolare valore e significato. Certo è che bisogna imparare a vedere l’oggetto esposto, per quanto bello esteticamente e curioso, e ricercarne quanta vita e quanta storia esso esprima. Questo ha richiesto molta pazienza ed attenzione da parte degli studenti, che non si sono accontentati di guardare i reperti esposti nei chiostri o nelle chiese con l’atteggiamento di chi visita il museo, ma hanno maturato le proprie sensazioni grazie all’indispensabile apporto dell’apparato didattico offerto dai testi, dalle cartine e dai disegni ricostruttivi. Oltre a vedere, è stato bene anche leggere la documentazione esposta e allestita nel museo, poiché molti sono i reperti artistici contenuti in questo tempio d’archeologia. Le case-museo dei collezionisti possono presentare aspetti simili al museo vero e proprio, alcuni punti degli spazi vissuti dai loro proprietari assomigliano a dei piccoli Lapidarium privati e la ricerca di evocazione da parte di personaggi come Ugo Da Como e Gabriele d’Annunzio ha prodotto scenografie particolari che ricordano ambienti monastici o addirittura il raccoglimento dei chiostri. Analizziamo ora alcune iscrizioni del chiostro orientale al piano terra che contiene monumenti sepolcrali, come in un piccolo Pantheon del nostro Rinascimento. fornisce dati di rilevante interesse ma limitatamente ad aspetti particolari della vita e della storia di Brescia e del suo territorio. Le iscrizioni sulle lapidi nel Museo di Santa Giulia Iscrizioni sono tutti i testi iscritti – per lo più incisi ma anche scritti a penna e inchiostro – sopra oggetti e materiali durevoli come la pietra e il bronzo e, in misura minore, la ceramica. L’epigrafia studia sia la forma che il contenuto delle iscrizioni. Generi particolari di iscrizioni sono quelle incise su monete , oggetto della numismatica, e quelle incise su gemmi e sigilli, oggetto rispettivamente della glittica e della sfragistica. I documenti epigrafici su pietra e bronzo erano destinati a documentare fatti e circostanze limitati e localmente circoscritti. Le iscrizioni di Brescia e del suo territorio Il patrimonio epigrafico bresciano di età romana ammonta a circa 1300 iscrizioni, molte delle quali sono di rilevante interesse storico e documentario. Fra le città dell’Italia settentrionale soltanto Aquileia ne possiede un numero più elevato. Le più antiche iscrizioni bresciane non sono anteriori alla metà del I secolo a.C. A partire dal tempo di Augusto (il cui principato va dal 27 a.C. al 14 d.C., all’anno della morte), la crescente importanza della vita cittadina bresciana e il ruolo svolto da Brescia in campo economico e politico, nell’Italia settentrionale e anche all’estero, determinarono un sensibile incremento della produzione epigrafica. La vicinanza delle cave di pietra di Botticino, facilmente raggiungibili, favorì la nascita di numerose officine lapidarie che garantivano prodotti di buona qualità e prezzi contenuti. Ciò consentì a ceti abitualmente assenti dall’epigrafia funeraria di comparire invece in quella bresciana. Il periodo al quale risale il maggior numero di testimonianze epigrafiche è il II-III secolo d.C. e coincide con la partecipazione ufficiale di cittadini bresciani alla vita dell’impero attraverso incarichi di prestigio. Il contenuto delle iscrizioni Il contenuto delle iscrizioni bresciane non si discosta da quello delle iscrizioni di altri importanti centri della Gallia Cisalpina e, in generale, dell’Italia romana in età imperiale. L’elevato numero di iscrizioni e la vivacità della vita cittadina, in tutte le sue componenti, documentano un quadro ampio e articolato della società bresciana in diversi momenti della sua storia. Il contenute delle iscrizioni è vario: numerose dediche onorarie agli imperatori e ai loro familiari (soprattutto di Augusto), e a cittadini bresciani illustri che ricoprirono cariche municipali o statali; altre iscrizioni, di contenuto religioso, attestano culti prestati a divinità romane e culti rivolti a divinità di origine celtica. Le iscrizioni funerarie ricordano militari di vario grado accanto a persone comuni. Altre iscrizioni furono incise per onorare in vita e in morte cittadini molti influenti della colonia che avevano difeso davanti all’imperatore gli interessi di intere comunità o delle associazioni di persone che esercitavano la stessa professione o mestiere (collegia). Le iscrizioni funerarie La sezione epigrafica del Museo è costituita quasi esclusivamente da iscrizioni latine rinvenute in città e nel territorio circostante. Gran parte delle iscrizioni di Brescia e del territorio è conservata all’interno del Capitolium, che fu adibito a museo lapidario verso la fine del secolo XIX. Altre iscrizioni si trovano inserite nelle facciate dei palazzi del Monte Vecchio di Pietà, del Monte Nuovo delle Carceri, in piazza della Loggia. Questi palazzi costituirono il primo lapidario della città. Altre iscrizioni ancora sono rimaste nel luogo dove vennero rinvenute. Il contenuto dei testi incisi, riferibile nella maggior parte dei casi a sepolture, Le iscrizioni funerarie, incise su lastre e monumenti che segnalavano il luogo della sepoltura, sono le testimonianze epigrafiche più numerose, a Brescia come nel resto del mondo romano. Esse contengono spesso notizie importanti sulle professioni, le caratteristiche sociali, gli usi, i costumi e le vicende umane delle persone comuni. Nelle iscrizioni funerarie sono elencati i destinatari del monumento sepolcrale, talvolta numerosi; sono ricordati i legami familiari dei defunti, le qualità morali, spesso la professione o il mestiere esercitati, la durata della vita e la condizione giuridica (servitù e vincoli di patronato). I cittadini romani si distinguevano dagli altri attraverso l’onomastica personale: per lo più essi portavano, nell’ordine, prenome (praenomen), nome (nomen), 152 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 153 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 11 La “Storia all’aperto” progetto 11 La “Storia all’aperto” indicazione del patronimico (nome del padre), ascrizione a una delle tribù “territoriali” nelle quali venivano inseriti tutti i cittadini romani, e cognome (cognomen). La tribù dei cittadini di Brixia era la Fabia. I Lucilii sono diffusi nella Gallia Cisalpina, poco a Brescia. Le dimensioni dell’area sepolcrale, assai ridotta, sono m 1,48 x 2,37. L(ucius) Terentius (Gaiae) l(ibertus) Amphio, | Terentia (Gaiae) l(iberta) Rustica, La società bresciana attraverso le iscrizioni Numerose iscrizioni, soprattutto funerarie, appartengono a liberti, cioè servi resi cittadini romani a tutti gli effetti in seguito alla concessione della libertà (manumissio) da parte del loro padrone che ne diventava “patrono”. Altri iscrizioni documentano episodi di “promozione sociale”. Ad esempio, liberti arricchiti, in alcuni casi curando gli interessi economici del loro patrono, raggiunsero un livello sociale elevato. Il primo gradino di questa ascesa era rappresentato dal sevirato Augustale, una carica di natura religiosa; il collegio dei sexviri Augustales si occupava infatti del culto dell’imperatore e della sua famiglia. Sono documentati anche i casi di individui ancora privi di cittadinanza romana ma già inseriti economicamente nel tessuto cittadino, o di altri che, già dotati della cittadinanza romana, conservano traccia evidente della loro origine nei nomi indigeni. Particolarmente importanti sono i documenti epigrafici che riguardano famiglie bresciane in vista, spesso legate alla famiglia imperiale e i cui esponenti ricevettero importanti incarichi pubblici a Roma, come quelle dei Nonii e Nonii Arrii, Calventii, Domitii, Iuventii, Nummii, Postumii, Roscii, Vibii. Esempi di iscrizioni funerarie Q(uinto) Caecilo | Telesphor(o), (sex) | vir(o) Flaviali | Cremon(ae) et munerar(io), | Calventia | Corneliana | marito optimo et | sibi. Calvenzia Corneliana (fece erigere questo monumento funebre) per Quinto Cecilio Telesforo, seviro Flaviale a Cremona e produttore di spettacoli pubblici, eccellente marito, e per se stessa. I seviri Flaviali costituivano un collegio sacerdotale distinto dai seviri Augustali e si dedicavano al culto degli imperatori Flavi. Lucilia L(uci) f(ilia) Polla | sibi et M(arco) Murrio | Murri f(ilio) Saturioni, | t(estamento) f(ieri) i(ussit). | In fr(onte) p(edes quinque), | in agr(um) p(edes octo). Lucilia Polla, figlia di Lucio, dispose per testamento che (questo sepolcro) fosse costruito per sè e per Marco Murrio Saturione, figlio di Murrio. (Esso è) largo cinque piedi e lungo otto. La probabile origine libertina di Marco Marrio Saturione è suggerita dal suo cognome, Saturione. 154 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Lucio Terenzio Anfione, liberto di Gaia, (e) Terenzia Rustica, liberta di Gaia. Due liberti, probabilmente coniugi, affrancati entrambi dalla stessa domina, Gaia Terenzia. Il prenome Lucio assunto dal liberto sarebbe quello del padre di Gaia: all’epigrafia brasciana è noto un Lucio Terenzio Varrone. Marioni | Esdricci f(ilio), | et Vesgasae | Bittionis fil(iae), | et Arruntio | Marionis f(ilio), Priscus | Marionis f(ilius), parentibus et fratri. Per Marione, figlio di Esdricco, e per Vesgasa, figlia di Bittione, e per Arrunzio, figlio di Marione, Prisco, figlio di Marione, (fece costruire questo monument funerario) per i suoi genitori e per suo fratello. Testimonianza di pietà filiale e fraterna, l’iscrizione documenta ampiamente la romanizzazione dei costumi funerari di elemnti indigeni ancora privi della cittadinanza romana, i nomi dei quali sono in prevalenza celtici. Accentua il constrasto la fattura elegante del monumento e dei caratteri. Le terrecotte Brescia è stata definita città della pietra bianca e grigia. Petrosità che fonda persino un luogo comune circa il carattere dei bresciani e l’impronta stessa che hanno dato alla città, di forte capacità di produrre cose solide e solidali, così differenziata dalle altre città padane di calde argille come Cremona, Mantova o Pavia. Ma in questo territorio ricco di pietra e di marmo, caratterizzato da una luce soffusa e fosforescente, quasi lunare, non sono mancate commistioni di terrecotte, nei mattoni e nei fregi che probabilmente venivano proprio da Cremona e creavano esterni solari e addensamenti. Di notevole impatto sono alcune opere esposte, documento del gusto per la decorazione nelle dimore signorili. Mascheroni di forte carica espressionistica in terracotta o marmo e altri pezzi accompagnano il congedo dalle vie della città. Tante cose diverse erano murate insieme a dimostrazione del gusto geniale dei personaggi che vivevano in ambienti ricercati per poter esibire la loro collezione. 155 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 11 La “Storia all’aperto” progetto 11 La “Storia all’aperto” Santa Elisabetta d’Ungheria conforta i malati Santa Elisabetta d’Ungheria conforta i malati è una scultura a bassorilievo in terracotta (83x37x5 cm) attribuita al Maestro degli angeli cantori, databile alla metà del XV secolo e conservata nel Museo di Santa Giulia di Brescia. Storia Non sono noti documenti d’archivio in grado di attestare né le vicende all’origine dell’opera, né la collocazione originale. La terracotta pervenne al museo nella tardo Ottocento, allo stesso modo di altre innumerevoli opere rastrellate in quel periodo in tutto il territorio bresciano, molto spesso da edifici religiosi chiusi al culto e in stato di abbandono, oppure in via di demolizione. Descrizione La terracotta raffigura, in posizione centrale, una santa riccamente vestita rivolta amorevolmente verso un gruppo di persone sedute o sdraiate ai suoi piedi, rappresentati in atteggiamento dolente mentre mostrano le proprie piaghe sulle gambe e sul corpo. Proprio per l’eleganza dell’abito e dell’acconciatura, assieme all’atteggiamento pietoso verso il gruppo di appestati ai suoi piedi, la santa è identificabile con Elisabetta d’Ungheria, anche se nessun attributo iconografico concorre a confermare o smentire l’ipotesi. La scena è incorniciata ai lati da due colonne tortili che reggono un frontone a tripla cuspide, di marcato gusto gotico, completato da numerose ghiere e due pinnacoli vegetali alle estremità. Dietro la santa si dispiega un ventaglio di raggi. Stile Dato lo stile complessivo e la grande naturalezza con la quale è reso il gruppo di appestati alla base, la terracotta è riferibile alla produzione del Maestro degli angeli cantori, di probabile provenienza cremonese attivo a Brescia alla metà del Quattrocento con una bottega di stucchi e terrecotte. Nella figura della santa colpisce in particolare l’esuberanza decorativa dell’abito che, nelle sue linee e nei decori, è fedele alla moda del periodo. Nell’opera si trovano inoltre saggi del virtuosismo tecnico che effettivamente caratterizza il Maestro degli angeli cantori, riscontrabili ad esempio nella scollatura della santa ornata di perle, ottenute mediante l’applicazione di piccole sfere d’argilla leggermente premute. Sulla terracotta sono rilevabili tracce di preparazione per la policromia, segno che, in origine, essa presentava un rivestimento cromatico. Descrizione La terracotta entra a far parte delle collezioni pubbliche durante l’Ottocento e trova sistemazione definitiva solo dopo l’apertura del museo di Santa Giulia nel 1998, esposta nel settore “L’età veneta”. La terracotta raffigura Gesù in posizione frontale, vestito con una tunica ornata da fregi e motivi vegetali. Il busto non sembra essere troncato nella parte inferiore, anche se è privo delle mani, segno che già in origine si trattava solamente di un busto e faceva probabilmente parte di un qualche apparato decorativo. Un frammento di aureola sporge sulla destra del capo, ulteriore accenno all’originale conformazione dell’opera. Stile La naturalezza espressiva, molto spontanea, che caratterizza la figura di Gesù, assieme alla lavorazione della capigliatura e della veste, permettono di attribuire la terracotta al Maestro degli angeli cantori, ipotizzato maestro di probabile provenienza cremonese attivo a Brescia alla metà del Quattrocento con una bottega di stucchi e terrecotte. La tradizione bresciana della conservazione delle lapidi Busto di Gesù Cristo Il busto di Gesù Cristo è una scultura in terracotta attribuita al Maestro degli angeli cantori, databile alla metà del XV secolo e conservata nel museo di Santa Giulia di Brescia, nel settore “L’età veneta”. Storia L’assenza di qualunque riferimento specifico e il soggetto generico non sono in grado di fornire dati precisi circa la provenienza e la collocazione originale dell’opera, che rimangono pertanto ignote. Il Lapidario di Piazza Loggia a Brescia Si deve ad un provvedimento del Consiglio della città, datato 13 ottobre 1480, sotto l’amministrazione veneta, l’aspetto attuale degli edifici che occupano il lato meridionale di piazza della Loggia. Mentre in molti luoghi d’Italia le rovine monumentali dell’Impero romano venivano riutilizzate dimenticando ogni loro originaria funzione monumentale e decorativa, a Brescia una geniale idea senza precedenti conserva e tramanda alcune memorie della città, e crea la prima esposizione non privata di materiale lapideo, epigrafico ed architettonico locale. Con tale provvedimento veniva dato avvio alla tutela delle antiche vestigia della città (ogni cittadino che avesse venduto o manomesso una lapide era punito con una multa di due ducati) e nello stesso tempo veniva creato il primo museo pubblico di cui si abbia notizia in Europa. Nelle facciate delle Carceri (1489-1491), del Monte Vecchio di Pietà (14891491), e del Monte Nuovo di Pietà (1599-1601), furono infatti inserite a vista nella tessitura muraria numerose lapidi decorate e iscritte che erano venute in luce durante la costruzione del fondaco del sale, posto nella parte sud di Piazza della Loggia, allora chiamata Piazza Grande. Nel prospetto architettonico in pietra di Botticino, delimitato alle estremità da due lesene angolari, sono murate 23 pietre di età romana, prevalentemente epigrafi, e 5 lapidi del XV secolo, contemporanee cioè alle costruzioni, aventi come soggetto la fedeltà di Brescia a Venezia che, nello stile lapidario, imitano le epigrafi romane. Ad eccezione di un’iscrizione, inserita nel registro superiore del Monte Vecchio di Pietà a ricordo dei Rettori veneti e dei deputati bresciani che diedero inizio alla costruzione di questi edifici, tutte le epigrafi sono state inserite nel registro inferiore delle facciate, per facilitarne la vista e la lettura, e sembrano essere state attentamente selezionate; sono infatti assenti iscrizioni sacre e, a parte 5 sepolcrali, sono tutte dediche poste in onore di cittadini. 156 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 157 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 11 La “Storia all’aperto” progetto 11 La “Storia all’aperto” Questo recupero delle antiche iscrizioni della città, che fecero di Piazza della Loggia il nuovo Foro di Brescia, dovette essere seguito da colti eruditi del tempo che, non solo stabilirono la disposizione di queste pietre, ma posero anche le iscrizioni ad imitazione di quelle di età romana, creando un rapporto di continuità e di emulazione con il passato di Brixia. Il Vittoriale, una casa-museo senza tempo Facciata del Monte Vecchio di Pietà Undici epigrafi sono di età romana e la loro disposizione lascia intendere uno studio curato del punto di inserimento nella muratura della facciata. Tre sono decorate a rilievo ma prive di testo; la prima all’estrema sinistra e a ridosso della lesena dell’Arco del Salarolo, presenta un fregio d’armi, con a rilievo scudo, corazza loricata, elmo con paragnatidi, schinieri e lance; le altre – con teste di bue e ghirlande con frutti, foglie e fiori – probabilmente sono parti di monumenti funerari. Le epigrafi con iscrizione sono prevalentemente dediche, di cui una a Postumia Paulla. Interessante è una dedica a Lucio Antonio Quadrato, soldato della XX Legione, probabilmente di stanza a Brixia, che aveva ottenuto dall’imperatore Tiberio, dopo essersi distinto in Germania, le onorificenze militari dei torques e delle armillae, raffigurate a rilievo al di sotto della scritta. L’epigrafe più significativa di questa facciata è sicuramente quella posta al di sopra dell’arco centrale della facciata, proveniente pare da Erbusco, lunga oltre 5 metri; in essa, databile alla seconda metà del 44 a. C., è riportato come soggetto, nell’iscrizione mutila IVLIVS CAESAR PONTIF(ex), il giovane Ottaviano, futuro Augusto, che aveva all’epoca solamente 19 anni. Altre due iscrizioni quattrocentesche ricordano la fedeltà di Brescia alla Repubblica Veneta in occasione dell’assedio della città ad opera del Piccinino, quando i santi patroni Faustino e Giovita apparvero sugli spalti a fermare le palle nemiche, e la paragonarono dottamente a quella dimostrata dagli abitanti di Sagunto, in Spagna, verso Roma durante la seconda Guerra Punica (218-201 a. C.). Riferimenti bibliografici A.A.V.V., Santa Giulia Museo della Città – L’Età Romana, La città, Le iscrizioni, Ed. Electa, Milano 1998 A.A.V.V., Proposte di viaggi d’ istruzione, Italia – Europa , Zainetto Verde Viaggi, Pisa 2007 AB, Atlante Bresciano Speciale La città ritrovata, a cura di Fausto Lorenzi, Brescia 1996 Albertini A., Brescia romana. I. L’età repubblicana, in Storia di Brescia, I, Brescia 1963, pp. 129-183. Archeologia e città. Brescia ritrovata, catalogo didattico della mostra (Brescia, Chiesa di Santa Giulia, 9 marzo-29 settembre 1996), a cura di C. Stella, E. Franchi, Brescia 1996. Bezzi Martini L., Necropoli e tombe romane di Brescia e dintorni, Brescia 1987. Cavalieri Manasse G., Il Monumento funerario romano di via Mantova a Brescia, Roma 1990. Garzetti A., Epigrafia e storia di Brescia Romana, in Atti del Convengo Internazionale per il XIX Centenario della dedicazione del Capitolium e per il 150° Anniversario della sua scoperta, I, Brescia 1975, pp. 19-61. L’area di Santa Giulia: un itinerario nella storia. Le domus, le capanne longobarde, il monastero, il tesoro, catalogo della mostra (Brescia, Monastero di Santa Giulia, 2 luglio-12 novembre 1993), a cura di I. Gianfranceschi, E. Lucchesi Ragni, Brescia 1993. Levi M.A., Brescia romana, II. L’età imperiale, in 158 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Storia di Brescia, I, Brescia 1963, pp. 184-230. Mirabella Roberti M., Il Civico Museo Romano di Brescia, Guida Breve, Brescia 1971 Morandini F., Il Lapidario di Piazza Loggia a Brescia , Civici Musei di Arte e Storia, Brescia,1996 Stella C., Di Filippo Balestrazzi E., Morandini F., Proposte per un museo dinamico dai Civici Musei d’Arte e Storia di Brescia, Il ritratto dell’antico, catalogo della mostra (Brescia, Monastero di Santa Giulia, 21 aprile-31 ottobre 1995), Brescia 1996. Valvo A., La più antica testimonianza epigrafica della cristianizzazione della Valcamonica, in Aevum 65, 1991, pp. 211-220 Nell’atto di donazione, stipulato da d’Annunzio il 22 dicembre 1923 e poi perfezionato nel 1930, il poeta dichiara e illustra i suoi intenti, sigillati nel motto araldico inciso sul frontone all’ingresso del Vittoriale, tra due cornucopie: Io ho quel che ho donato. Questo atto recita: “Io donai allo stato le case e le terre da me possedute nel comune di Gardone sul Garda […] così anche donai tutte le mie suppellettili interamente, senza eccettuarne veruna: e non soltanto quelle già collocate nelle mie case ma pur quelle che di anno in anno io vado scegliendo e disponendo e catalogando […] Io vivo e lavoro, e faccio musica, nella solitudine del Vittoriale donato; e dedico alle mie mura l’assiduo amore che mi lega alle pagine de’ miei nuovi libri […] Non soltanto ogni mia casa da me arredata […] non soltanto ogni stanza da me studiosamente composta, ma ogni oggetto da me scelto e raccolto nelle diverse età della mia vita fu sempre per me un modo di espressione, fu sempre per me di rivelazione spirituale, come un de’ miei poemi, come un de’ miei drammi, come un qualunque mio atto politico e militare, come una qualunque mia testimonianza di diritta e invitta fede. Per ciò m’ardisco io d’offrire al popolo italiano tutto quel che mi rimane, e tutto quel che da oggi io sia per acquistare e per aumentare col mio rinnovato lavoro: non pingue retaggio di ricchezza inerte ma nudo retaggio di immortale spirito […] io son venuto a chiudere la mia tristezza e il mio silenzio in questa vecchia casa colonica, non tanto per umiliarmi quanto per porre a più difficile prova la mia virtù di creazione e trasfigurazione. Tutto infatti è qui da me creato o trasfigurato. Tutto qui mostra le impronte del mio stile, nel senso che io voglio dare allo stile. Il mio amore d’Italia, il mio culto delle memorie, la mia aspirazione all’eroismo, il mio presentimento della Patria futura si manifestano qui in ogni ricerca di linea, in ogni accordo o disaccordo di colori. Non qui risànguinano le reliquie della nostra guerra? E non qui parlano o cantano le pietre superstiti delle città gloriose? Ogni rottame aspro è qui incastonato come una gemma rara. La grande prova tragica della nave ‘Puglia’ è posta in onore e in luce sul poggio […] E qui non a impolverarsi ma a vivere son collocati i miei libri di studio, in così grande numero e di tanto pregio che superano forse ogni altra biblioteca di ricercatore e di ritrovatore solitario. Tutto è qui dunque una forma della mia mente, un aspetto della mia anima, una prova del mio fervore. Come la morte darà la mia salma all’Italia amata così mi sia concesso preservare il meglio della mia vita in questa offerta all’Italia amata. Ma da poco la mia salma ha già la sua arca sul colle denominato Mastio […] Anche da poco ho fondato il Teatro aperto, e ordinato le scuole, le botteghe, le officine a rimembrare e rinnovellare le tradizioni italiane delle arti minori. Batto il ferro, soffio il vetro, incido le pietre dure, stampo i legni con un torchietto […], colorisco le stoffe, intaglio l’osso e il bosso, interpreto i ricettari di Caterina Sforza sottilizzo i profumi”. Dal punto di vista stilistico questo testo è un’ opera importante, perché d’Annunzio da testimonianza della musicalità delle parole. Attraverso queste frasi si capisce che quella non era una semplice casa, ma un luogo in cui il poeta cerca di ambientare il proprio pensiero. “Io ho quel che ho donato” Parte da questa celebre frase del poeta Gabriele d’Annunzio il nostro viaggio all’interno della sua dimora, che è piena espressione dell’identità italiana. Con questa famosa affermazione d’Annunzio intende sottolineare che la sua abitazione è abitazione della patria, nonché di tutti gli italiani, infatti ogni singolo elemento che compone le facciate ed i giardini del Vittoriale richiama la sua identità italiana, ed è proprio questo che il poeta abruzzese e grande combattente vuole dimostrare, arricchendo ciò che è stata la sua dimora sul lago di Garda, con stemmi, epigrafi, elementi marmorei e terrecotte. 159 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 11 La “Storia all’aperto” progetto 11 La “Storia all’aperto” Il Vittoriale chiamato così per la vittoria dell’Italia nella prima Guerra Mondiale, è oggi riconosciuto come museo aperto a tutti, tuttavia si tratta di una realtà museale abbastanza singolare nella provincia di Brescia. Il Vittoriale degli Italiani è la testimonianza di un personaggio di grande importanza anche a livello internazionale. Gabriele D’Annunzio ha una dignità di letterato, ed è considerato uno dei massimi artisti europei che operano tra l’800 e il 900. Questo bellissimo luogo sul Lago di Garda è la prima testimonianza dell’italianità, importante già nell’800, perché si considerava il Garda come il primo accesso verso l’Italia, una delle mete più amate anche dal Grand Tour. Nella cultura letteraria il Lago di Garda era un luogo assolutamente cardine che non passò inosservato tra gli artisti e letterati. Molti personaggi illustri e importanti volevano avere la dimora nei pressi del Vittoriale. Originariamente sul territorio in cui è stato costruito il Vittoriale era situata una casa di modeste dimensioni simile a quelle di campagna, in cui risiedeva il professor Heinrich Thode, docente di Storia dell’arte all’Università di Heidelberg, autore di molte monografie sui protagonisti della cultura e studioso del rinascimento italiano – da Francesco d’Assisi a Michelangelo, Giotto, Mantegna, Tintoretto, Correggio – fu il primo dei grandi intellettuali tedeschi a considerare Gardone Riviera il “paese dell’anima”. In seguito fu costretto, a causa della prima Guerra Mondiale, ad affidare la piccola casa di Cargnacco ai custodi. Tutto ciò avvenne perché l’Italia era in dissidio con la Germania e quindi lo Stato italiano obbligò tutti i cittadini stranieri ad andarsene. Thode riversa molti pensieri sulla sua casa, perché fu la prima dimora per il suo soggiorno estivo; era totalmente arredata con un’importantissima biblioteca di storia dell’arte. Gabriele d’Annunzio aveva avuto un ruolo primario nella politica e nelle questioni militari. Il poeta si ritira dalla prima linea di uomo pubblico a causa degli eventi bellici e ciò lo porta alla ricerca di una nuova casa. La casa di Heinrich Thode, ormai abbandonata, era pronta per essere abitata perché già completamente arredata e curatissima. D’Annunzio viene subito rapito dalla bellezza dell’ambiente, e se ne innamora anche per la presenza sul lago di un grandissimo letterato, il poeta Catullo. La scelta cade dunque sulla villa di Cargnacco, sulla costa del lago di Garda: immersa nel verde, su un colle terrazzato, tra un uliveto e una limonaia. In questo periodo si afferma la mania del collezionismo e matura un gusto per l’ambientazione delle collezioni che dilagano in ogni ambiente delle dimore alto borghesi, alcune volte vere e proprie case-museo. La dimora diventa per gli artisti e letterati il luogo in cui potersi esibire, manifestando la propria importanza sociale ed economica. Entrati nel Vittoriale ci accorgiamo di essere immersi nella sua “cittadella monumentale” che ci racconta passo dopo passo ciò che il suo ideatore voleva trasmettere. In maniera similare a quello che accade per la Casa del Podestà a Lonato del Garda, anche a Gardone le pareti dell’edificio sono caratterizzate da una serie di frammenti fatti murare dai proprietari. Qui e là la funzione è la medesima: il frammento è chiamato a contaminare, con la sua aura d’antichità gli spazi vissuti dai collezionisti. Gabriele d’Annunzio introduce nella sua dimora numerosi oggetti con una valenza simbolica molto più esplicita: non solo gli stemmi di città italiane o di antichi casati nobiliari, ma numerosissimi sono i riferimenti alla Storia dell’Italia che egli visse da autentico protagonista, soprattutto in occasione dei fatti della prima Guerra mondiale. All’ingresso del Vittoriale, nella Piazzetta Dalmata, incontriamo il Pilo del Piave e proseguendo il Pilo del Dare in Brocca, che rappresenta simbolicamente la Vittoria , l’espressione significa colpire nel segno. Questo simbolo viene riproposto sulle vetrate policrome di quello che oggi è l’Auditorium. 160 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Al linguaggio poetico si aggiunge quello dei cimeli, idoli, santi e madonne. Il Vittoriale degli Italiani può essere assimilato ad un vero e proprio santuario che ripercorre i passi più importanti dell’affermazione della nostra nazione su piano europeo nel XX secolo. Sono varie le “pietre vive” all’interno di questo luogo così importante, che ci fanno ripercorrere i passi della nostra storia, questi frammenti sono posti ovunque, dall’entrata ai piloni che troviamo nelle piazzette, passando per i giardini e in modo imponente sulle facciate della casa, la Prioria. La facciata della casa è formata da frammenti murati. Si tratta soprattutto di stemmi i quali si riferiscono ad una famiglia nobiliare oppure a una città italiana. D’Annunzio non trova nel Vittoriale questi oggetti, ma li acquista sul mercato d’antiquariato. Molti stemmi delle città, non li acquista ma gli vengono donati. Lo Stemma ovale, per esempio, che è sopra la finestra con il balcone, venne modificato e personalizzato dallo stesso d’Annunzio. Le diverse coloriture bianche o grigie, testimoniano le dissimili tipologie di marmo che vengono utilizzate. Potevano essere o in pietra serena o in pietra di Sarnico. Sul lato destro dell’ingresso è stato inserito un bellissimo tabernacolo in marmo, proveniente dall’antica dimora dell’esperto d’arte e collezionista tedesco Alexander Günther, che risiedeva a Fasano nell’attuale Villa Paradiso. L’accademico Günther, era alle dipendenze della casa reale di Monaco di Baviera, ed aveva allestito in riva al lago un museo all’aperto, un lapidario, con busti, sculture romane, pietre antiche, frammenti e un sarcofago, attualmente esposto al Museo di Santa Giulia. Vengono così applicati al muro oltre agli stemmi gentilizi, lapidi e molti altri frammenti. Ora, la cosa interessante è che d’Annunzio spiega a Giancarlo Maroni perché vuole quella varietà di decori sulla facciata. “Bisogna lasciare la misera facciata così com’è, ma tempestarla di pietre senza ordine simmetrico” Desiderava, infatti, che la casa fosse simile al Palazzo del Podestà di Arezzo, sede del potere non solo in Toscana ma anche in Italia Settentrionale. Erano gli stemmi di ogni famiglia dei podestà. Ogni podestà governando una determinata località, apponeva all’esterno il proprio nome attraverso lo stemma, quindi d’Annunzio vuole esibire, attraverso a questa serie di stemmi, un ideale legame con una storia presunta e con un’antichità che desidera rendere attuale a tutti i costi, anche ingaggiando un numero impressionante di antiquari e fornitori in tutta Italia. Nella parte del giardino situata a destra della “Prioria” troviamo “L’Arengario”, completamente costruito dallo stesso d’Annunzio, composto da fusti di colonne con capitelli, forma un assemblaggio molto particolare creato dal nulla associato a grandi 161 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 11 La “Storia all’aperto” progetto 11 La “Storia all’aperto” ogive, ovvero proiettili che stanno al disopra delle colonne, che simboleggiano la prima guerra mondiale. Procedendo, sul lato destro della casa si intravede il Cortiletto degli Schiavoni, l’antico cortile della casa colonica, anch’esso decorato da vari reperti: tre pozzi antichi, lapidi, stemmi, ferri battuti. In una parte di questo complesso museale c’è un portico, chiamato “Portico del Parente” nei pressi “dell’Arengario”. D’Annunzio lo chiama in questo modo perché vedeva una parentela d’arte con il personaggio ricordato in questa loggia: Michelangelo, creatore di alcune sculture riportate all’interno di questo portico, a cui d’Annunzio si sente legato e il cui busto (realizzato dallo scultore Martinuzzi) è lì a perenne memoria.. Questo portico, progettato come sostegno fisico ad una stanza della casa (la” stanza del Lebbroso”), ornato di belle volte affrescate e soffitti dipinti (l’autore è Marussig), si affaccia sul giardino e sulle Vallette. La loggia possiede forme tonde sulle pareti, simili ad un chiostro ed evidenza la presenza di una serie di frammenti murati in cui, d’Annunzio, inserisce stemmi e sculture. All’interno viene riportato ancora il motivo del fusto legato al capitello, e un’altra cosa importante sono le vere da pozzo, ovvero una pietra antica decorativa che serviva a raccogliere l’acqua, ma in questo caso il pozzo è posizionato per estetica. Oltre al lavabo monastico rinascimentale, sono esposti calchi di varie sculture. Una curiosità. D’Annunzio si considerava un esperto artista-artigiano; si divertiva a dipingere velluti e sete e a realizzare piccoli oggetti. Inviando un anello alla signora Toeplitz scrive: “Forse voi sapete che io sono artiere di tutte le arti; e che nel Vittoriale “io lavoro il vetro, il ferro, le lane, le sete, l’avorio, l’oro, le gemme”. Mastro Paragon Coppella orafo osa offrirvi un anello di scarso valore ma grandissimo nella protezione contro ogni male”. Aveva anche la mania di “invecchiare” i famosi calchi creando la patinatura antica “con molti segreti, ma specialmente col caffè”. Questo portico ospitava le sontuose cene estive con gli amici o i legionari. Un grande tavolo, sedie, tappeti, lampade di Murano; tovaglie di lino ricamate, piatti e calici preziosi, posate e suppellettili d’argento. E poi, i cibi raffinati preparati da “Suor Intingola”, come scherzosamente chiamava la fedele cuoca Albina. Volgendo lo sguardo sulla destra troviamo la statua di San Francesco d’Assisi che rappresenta l’amore sacro, in contrapposizione alla Venere, simbolo dell’amore profano. Questa bella e grande statua in bronzo, opera dell’artista Giacinto Bardetti, rende ancora più sacro e mistico questo giardino, che recentemente ha anche ricevuto l’importante riconoscimento come “Parco più Bello d’Italia 2012”. È infatti una creazione poetica tra architettura e paesaggio. Sulla facciata della casa, in basso a sinistra, è possibile osservare un richiamo ulteriore al frate francescano costituito da alcuni versi del Cantico delle Creature, inno di ringraziamento a Dio per la bellezza e l’utilità delle sue creature. Sopra questi versi si trova un bassorilievo bronzeo raffigurante San Francesco che presenta la regola al Papa e la morte del Santo. Sopra il bassorilievo troviamo il motto del Santo, “Pax et bonum” e “Malum et pax”, che indica la perfetta letizia nel bene e nel male, e poco sopra c’è una finestra protetta da una griglia in ferro, elaborata sull’immagine della corda che cingeva la vita dei frati, tutto ciò accentua l’atmosfera sacra di questa dimora-monastero [Fig. 5]. La stessa lavorazione è ripresentata anche su un cancello sul retro dell’edificio. Nella Piazzetta Dalmata interessante è la fontana derivante dall’antico frantoio, adornata da iscrizioni che si riferiscono alla prima guerra Mondiale. Molte iscrizioni arricchiscono la casa del poeta e anche l’esterno, infatti una di queste è presente sulla tomba della figlia Renata, tratta da alcuni versi del “Notturno”, nella quale viene paragonata a una Sirenetta. Su un muro tra la tomba di Renata e le serre abbiamo ammirato una bella decorazione in maiolica raffigurante 15 rondini dal colore blu tra grappoli d’uva color oro e tralci blu. Gli esterni della residenza di d’Annunzio sono straripanti di oggetti piccoli e grandi, preziosi o meno, ma sempre molto caratteristici, in marmo, bronzo, legno, ceramica o terracotta, metalli più o meno nobili, vetro o altri materiali, immersi in un’atmosfera magica e irripetibile, di una casamuseo senza tempo, dal grande fascino e di valore inestimabile. 162 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 163 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Arrivando alla Casa del Podestà L’interesse per l’antico e la salvaguardia delle memorie archeologiche hanno avuto un inizio precoce a Brescia. Il Comune provvide nel 1480 a decretare l’inalienabilità dei reperti archeologici rinvenuti nel proprio territorio, disponendone la loro custodia nelle pubbliche fabbriche. Questa disposizione diede vita all’ordinamento del primo vero e proprio museo lapidario in Italia e che trovò una disposizione sui prospetti del Monte di Pieta nell’odierna Piazza Loggia. In età rinascimentale e umanistica gli oggetti antichi non venivano portati nei Musei, perché a quel tempo erano i collezionisti a interessarsi d’arte e i primi musei vengono fondati grazie alle loro donazioni, ma solo dalla fine del XVIII secolo. Per frammenti s’intendono oggetti di svariata natura: epigrafi (lapidi iscritte), capitelli, fusti di colonne e pezzi di scultura. Quest’ ultimo reperto può essere inserito in qualsiasi contesto domestico, mentre l’epigrafe può essere tranquillamente murata all’esterno di un edificio. I luoghi che raccoglievano questi frammenti si chiamavano lapidari (da lapide), e in essi venivano ammassati gli oggetti rinvenuti sotto terra. Questi lapidari costituiscono una prima forma di museo all’aperto, perché solitamente si trovavano nei giardini, nei cortili o in situazioni visibili. Soprattutto nel Settecento, secolo del neo-classicismo, si costruisce in stile e si dà vita alle progetto 11 La “Storia all’aperto” progetto 11 La “Storia all’aperto” collezioni che diventeranno musei. I musei iniziati in questo periodo confermeranno la loro identità con l’Unità d’Italia. Per quanto riguarda il nostro progetto, il periodo storico che ci interessa maggiormente è quello ottocentesco e novecentesco. Abbiamo prestato particolare attenzione alla presenza di frammenti antichi museificati o collezionati, tanto al Museo di Santa Giulia, quanto nella Casa-Museo di Ugo Da Como che al Vittoriale. La volontà di istituire un museo pubblico a Brescia comincia a manifestarsi programmaticamente nella seconda metà del XIX secolo. Il Comune diede incarico all’architetto Antonio Tagliaferri (Brescia 1835-1909) di voler approntare un progetto valutando gli spazi della Chiesa di Santa Giulia riscattata dal Comune dal demanio che l’aveva ridotta a caserma, dopo la soppressione del convento della fine del Settecento. In quel periodo molti monasteri e enti religiosi vennero chiusi e smantellati, destinati ad un utilizzo ritenuto di maggiore utilità sociale, tolti alla proprietà della Chiesa e confiscati dal Governo. La dismissione di numerose chiese, conventi e monasteri implicò la vendita di interi arredi liturgici e d’uso quotidiano, molti edifici cambiarono destinazione, ridotti a caserme, ospedali, trasformati anche dal punto di vista architettonico. I materiali di spoglio (non solo arredi, ma anche frammenti architettonici come colonne, lapidi, capitelli, ecc.) approdarono sul mercato antiquario, mentre i manufatti giudicati di maggior pregio vennero preservati dalle municipalità e di lì a poco avrebbero costituito il patrimonio dei futuri musei civici. Di questa situazione beneficiarono anche i collezionisti privati che diedero vita nel XIX secolo alla tipologia delle “case-museo”, dimore impreziosite da importanti arredi: arredi e collezioni venivano così a coincidere. La Casa fa parte oggi di un complesso monumentale di straordinaria bellezza, dominato dalla grandiosa Rocca visconteoveneta. Questo insieme di edifici, porzione dell’antica “cittadella” lonatese appartiene a una Fondazione privata che Ugo Da Como volle istituire alla sua morte e che fu riconosciuta nel 1942. Le tre bifore archiacute poste sulla facciata d’ingresso sono un evidente richiamo dell’architettura quattrocentesca che ispirò l’intervento “in stile” voluto da Ugo Da Como. La casa-museo di Ugo Da Como: facciata esterna ed elementi di composizione La casa-museo di Ugo Da Como è collocata all’interno della quattrocentesca Casa del Podestà veneto che ebbe sede a Lonato dal XV al XVIII secolo. Ugo Da Como acquistò l’edificio nel 1906 ad un’asta pubblica e chiamò proprio lo stesso Antonio Tagliaferri ad occuparsi del restauro della sua futura dimora. L’architettura richiama evidentemente il XV secolo e l’architetto Tagliaferri, oltre che disporre un radicale intervento finalizzato alla messa in sicurezza dell’edificio, si occupò pure delle decorazioni non solo pittoriche, ma anche arricchite da un serie numerosa di frammenti murati, sia in pietra che in terracotta. Al di sopra del portone d’ingresso alla Casa del Podestà campeggia lo stemma di Lonato affiancato dall’iscrizione latina: Ferream aetatem excipit amicitia et quies “Amicizia e quiete confortano il duro vivere”. 164 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia La vita del Senatore Ugo Da Como Nato a Brescia nel 1869 si laureò a Roma in giurisprudenza. Fu fedele allievo e continuatore di Giuseppe Zanardelli nella corrente liberale democratica. Dopo essere stato deputato per Lonato e più volte Sottosegretario al Tesoro, fu nominato Senatore nel 1920. Dalla metà degli anni Venti si allontanò gradualmente dalla vita politica attiva e i soggiorni alla Casa di Lonato si fecero sempre più frequenti. Non solo si dedicò con rinnovato entusiasmo al collezionismo e alla raccolta di libri, ma condusse una serie di importanti indagini storiche volte al recupero di capitoli dimenticati di storia bresciana, soprattutto napoleonica e risorgimentale. Quando morì, a Lonato nel 1941, dispose l’istituzione di un ente autonomo, avente come fine la promozione e il sostegno della cultura. Per questo scopo destinò alla Casa del Podestà la straordinaria raccolta libraria costituita con grande attenzione: la biblioteca che lasciò a Lonato è una delle collezioni private più importanti dell’Italia settentrionale e conta oltre 30.000 titoli, databili a partire dal XII secolo. La particolare considerazione delle classi sociali più basse lo portò alla creazione di una biblioteca “popolare” intitolata al padre Giuseppe Da Como, pensata per incentivare la cultura nei ceti meno abbienti. Ugo Da Como, consapevole dell’importanza storica del luogo, fece completamente “restaurare” la Casa del Podestà dal maggiore architetto bresciano: Antonio Tagliaferri (1835-1909). L’intento del committente era quello di restituire l’antica dignità all’edificio veneto corredandolo di una serie di arredi adeguati che ne facessero una Casa-museo da abitare, secondo una moda molto diffusa tra ‘800 e ‘900. Le Terrecotte Molti sono i frammenti posti sugli edifici e musei da noi visitati. Anche sulla facciata esterna della casa di Ugo Da Como sono presenti molti elementi di terracotta che servivano ad abbellire l’edificio. Questi frammenti sono stati posti da Ugo Da Como dopo l’acquisto della dimora; la casa doveva essere restaurata ma allo stesso tempo doveva mantenere uno stile uno stile classico, il miglior modo per mantenere questo aspetto è stato apporre sulle facciate esterne elementi in terracotta, in pietra e marmo. La terracotta era molto utilizzata, perché di facile reperibilità nella pianura 165 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 11 La “Storia all’aperto” progetto 11 La “Storia all’aperto” padana, infatti veniva prodotta e lavorata in grandi quantità a Cremona. Le botteghe artigiane di plasticatori cremonesi fornivano anche importanti fabbriche della vicina Brescia. La terracotta poteva esser colorata in modo da poter apparire addirittura marmo che era più pregiato e più costoso. Le facciate della casa di Ugo Da Como sono decorate da un gran numero di elementi in terracotta, colorati o meno. Questi elementi decorativi sono posizionati sulla facciata esterna del giardino da cui si può vedere l’intera cittadina di Lonato, la campagna e le colline verso il Lago di Garda. Sulle pareti esterne dell’edificio possiamo già notare la presenza di bassorilievi in terracotta. Oltre a semplici tondi, simili a dei cammei, vediamo a Lonato anche numerose “patere”, ovvero manufatti in pietra di forma circolare con una chiara funzione apotropaica, ovvero capaci di tenere lontano il male e proteggere l’edificio sulle cui pareti trovavano posto; in genere raffigurano animali e sono di provenienza veneziana. Le terrecotte nelle case-museo venivano collezionate come oggetti d’arte e sposavano anche esigenze prettamente decorative. In molti casi la comprensione di alcuni frammenti è resa possibile solo comprendendone la loro caratteristica di serialità. Numerose formelle che vediamo nella casa-museo di Ugo Da Como erano, originariamente, parti di serie modulari: l’una accanto all’altra generavano fregi e particolari incorniciature come fasce marcapiano, cornici elaborate, profili di portali e finestre. La terracotta veniva impiegata per la sua economicità e spesso gli artigiani, per mezzo di sapiente coloritura, riuscivano a simulare la parvenza della pietra, del marmo e delle sue particolari venature colorate. Inoltre nel ‘400-‘500 l’area padana e Cremona erano zone dove vi era minore presenza di marmo. La terracotta, inoltre, è un materiale che si modella più facilmente rispetto al materiale marmoreo. Veniva plasmata da artigiani detti plasticatori che producevano decorazioni utilizzando uno stampo in legno, per dare la forma. Purtroppo, però, la terracotta è molto più deteriorabile e delicata se esposta agli agenti atmosferici. Alcune terrecotte murate sulle pareti della Casa del Podestà presentano fenomeni di sfaldamento. La formella cinquecentesca raffigurante la Madonna con il Bambino e angeli venne poi riparata negli ambienti interni della casa. Importanti fregi e decorazioni erano il risultato di molti elementi modulari posti uno accanto all’altro; non era possibile cuocere nel forno formelle di grandi dimensioni perché l’alta temperatura prevista per la cottura avrebbe causato la rottura di questa sorta di piastrelle che avevano appunto la caratteristica delle modularità. Anche sulla parete esterna della Biblioteca di Ugo Da Como vediamo molti frammenti in terracotta murati. Non solo vediamo elementi autonomi, che riproducono soggetti facilmente comprensibili come la bella Pietà, ma anche i peducci che contornato il profilo del sottotetto della Biblioteca sono in cotto e provengono con grande probabilità da edifici ora non più esistenti. Queste decorazioni seriali erano modulari, ovvero se prese in considerazione come unità singola non avevano senso. Un altro esempio è rappresentato da una votiva con una madonna e due angeli policroma. I collezionisti si procuravano queste terrecotte comprandole sul mercato antiquario, che le recuperava dalla distruzione degli edifici, quando questi erano considerati inutili. 166 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 167 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Nelle case-museo anche i frammenti in terracotta, oltre che in pietra e marmo, venivano collocati sulle pareti esterne per attribuire all’edificio un’aurea più convincente di autenticità. Il leone di San Marco, stemma della Repubblica di Venezia è un normale cimelio ricorrente in entrambe le dimore, perché sorgono in luoghi che hanno fatto parte del dominio della città veneta. Come già accennato, i due leoni vogliono esprimere due differenti concetti: il piccolo leone, è incastonato sulla facciata della casa di Ugo Da Como che da sulla cittadina di Lonato. Il suo significato è quello di rendere meno evidente, come già detto, il restauro dell’abitazione avvenuto nel momento dell’acquisto di Ugo Da Como; si deve ricordare che l’abitazione era originariamente la sede del podestà veneto, Ugo Da Como ha quindi scelto il leone di San Marco come elemento decorativo della sua dimora per ricordare il passato veneto dell’edificio. Inoltre, va ricordato che egli fu un grandissimo raccoglitore di antichità, così come lo era Gabriele d’Annunzio. Anche a Gardone, sulle pareti della Prioria vediamo riferimenti a San Marco evangelista patrono della Repubblica marinara di Venezia, numerosi stemmi per impreziosire la facciata della casa del Poeta, che da sulla piazzetta principale all’interno della cittadella. Questo leone così imponente, non racconta la storia dell’edificio, ma parte della storia italiana, specialmente di questi luoghi appartenuti alla Repubblica di Venezia, inoltre il leone è simbolo di giustizia e di forza, due elementi che caratterizzano l’Italia ed il suo popolo nel corso delle sua storia. Bibliografia G.P. Treccani, La ragione della tutela, la pratica del restauro, in Brescia e il suo territorio, Milano 1996. progetto 11 La “Storia all’aperto” Oggetti preziosi non solo sulle rive del Garda Al grande patrimonio naturale del Lago di Garda e della zona di Brescia, si affianca la ricchezza storica e culturale, esaltata dalla presenza di alcune tra le più importanti raccolte d’arte italiane. Tre raccolte importanti, realizzate da personaggi molto diversi fra loro, fanno della provincia bresciana un importante punto di riferimento per la cultura: la grande quantità di oggetti da loro collezionata racchiude, infatti, peculiarità che rispecchiano le loro complesse personalità. Gabriele d’Annunzio conservava opere d’arte e cimeli bellici in un insieme a prima vista incomprensibile, ma dotato di un’intensità che non ha eguali; molto più semplice, ma non meno ricca, è la collezione del bibliofilo Ugo Da Como, per finire poi con le armonie del mondo classico ricordato nell’insieme di reperti archeologici custoditi dal Cardinale Querini. Queste tre importanti collezioni servono da veicolo per una riscoperta più profonda del territorio che ruota intorno al grosso bacino turistico rappresentato dal Lago di Garda, ampliando la ricerca al territorio circostante, stimolando l’escursionista e il turista a scoprire la cultura, gli usi e costumi, l’artigianato e il patrimonio naturale delle zone interessate. Il Vittoriale si colloca proprio al centro di una delle zone più belle del Garda, gode infatti di una posizione di grande pregio ai piedi delle rive lacustri. La collezione di Ugo Da Como ha sede a Lonato, ammirabile per la sua rocca viscontea che ci riporta indietro nel tempo, mentre la raccolta del Cardinale Querini si trova proprio a Brescia, nel complesso museale di Santa Giulia. Tre collezioni, tre luoghi diversi con attrazioni differenti tra di loro che spaziano dalla natura, con escursioni e passeggiate, alla visita cittadina: tutte buone occasioni per recarsi nella provincia di Brescia, connubio d’eccezione tra natura e arte. Lunghe passeggiate, trekking, a cavallo e a piedi, tour in mountain bike senza dimenticare le mille opportunità di sport acquatici che offre il lago. Il percorso descritto ci conduce sui passi di collezionisti meticolosi, a volte eccentrici, e aiuta sicuramente il nostro spirito a distrarsi dal quotidiano per accogliere in tutta libertà il vento che spira dal lago. 168 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 11 La “Storia all’aperto” 1° giorno: il Vittoriale e Lonato Ore 9: Visita al Vittoriale: gli studenti fanno da guida e propongono una lettura di d’Annunzio, i caratteri del suo collezionismo e presentano quanto hanno approfondito (opzione 1: l’identità italiana con il percorso eroico esterno più il museo dei cimeli di guerra; opzione 2: percorso esterno di arte sacra contemporanea). Le guide del Vittoriale completeranno poi il percorso di visita. Ore 12.30: pranzo a base di prodotti tipici. Ore 15: visita ad una limonaia riadattata (o ad un frantoio o ad altro esempio di cultura materiale); spostamento a Lonato e presentazione di Ugo Da Como e del percorso specificamente approfondito sulla biblioteca (le miniature) e visita della Casa del Podestà con spiegazione del restauro e delle raccolte. 2° giorno: Brescia Ore 9: al Museo di Santa Giulia; presentazione del ruolo e della storia del cardinale A.M. Querini; presentazione del percorso specificamente approfondito sulla raccolta di antichità romane del Querini e della raccolta romana del museo; visita al museo con le guide del medesimo. Eventualmente visita libera di una mostra temporanea (la “grande mostra” aperta nel periodo). Ore 12.30: pranzo Ore 15: visita al Tempio Capitolino, piazzetta Labus e altri siti romani; visita al Castello, al Duomo Vecchio, al Duomo Nuovo e alla Biblioteca Queriniana. 3° giorno: possibili estensioni Prevedendo un giorno in più è possibile inserire: Sirmione, Desenzano, il museo dell’Alto Garda; aspetti di archeologia industriale (Campione o Brescia). Sirmione, Desenzano, le colline moreniche e la Torre-museo di San Martino della Battaglia (oppure Valeggio sul Mincio). Fuori zona: le torbiere di Iseo e il forno fusorio di Tavernole sul Mella. Riches not only on the shores of Lake Garda The great natural heritage of Lake Garda and the area of Brescia is accompanied by the rich history and culture highlighted by the presence of some of the most important collections of Italian art. Three important collections, made by very different characters are in the province of Brescia an important point of reference for culture: the large amount of objects they collected, contains in fact features that reflect their complex personalities. A personality certainly influenced by the beautiful lake air that you can breathe on Lake Garda. Gabriele d’Annunzio kept artwork and explosive remnants of war in a setting which at first sight was not comprehensible, but with an intensity that is unsurpassed. Much simpler, but not less rich, is the collection of the bibliophile Ugo Da Como and you finish with the harmonies of the classical world as a whole reminded of the archaeological collection kept by Cardinal Querini. These three important collections serve as a vehicle for a deeper discovery of the territory that surrounds the large tourist area represented by lake Garda, extending the search to the surrounding area, encouraging hikers and tourists to discover the culture, customs and traditions , crafts and natural heritage of the areas concerned. The Vittoriale is placed right in the centre of one of the most beautiful areas of Lake Garda, in fact it enjoys a position of great value on the shore of the lake. The collection of Ugo Da Como is located in Lonato, admirable for its fortress that takes us back in time, while the collection of Cardinal Querini is located in Brescia, in the museum complex of Santa Giulia. 169 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 11 La “Storia all’aperto” progetto 11 La “Storia all’aperto” Wertsachen nicht nur an den Ufern des Gardasees Der große Naturerbe des Gardasees und dem Gebiet von Brescia wird durch die reiche Geschichte und Kultur begleitet, und durch die Anwesenheit von einigen der bedeutendsten Sammlungen der italienischen Kunst hervorgehoben. Three collections, three different places with different attractions ranging from nature, hiking and walking, to the visit of the town: all good places to visit in the province of Brescia, an exceptional blend between nature and art. Long walks, hiking, horseback riding, mountain bike tours, not to mention the myriad of water sports are offered around the lake. This route leads us to follow in the steps of meticulous collectors, sometimes eccentric, and it definitely helps our spirit to get rid of our daily burdens in order to breathe the healthy air of the lake. 1st Day: The Vittoriale and Lonato 9.00 am: Visit the Vittoriale: students act as guides and propose a reading of d’Annunzio’s work, the characters of his collections and present what they have studied (1st option: Italian identity with the external path and the heroic outdoor museum of war relics; 2nd option: external path of contemporary sacred art). The guides of the Vittoriale then complete the tour. 12.30: Lunch tasting local products. 15.00 pm: Visit to a lemon garden (or a mill or another example of material culture); moving to Lonato and presentation of Ugo Da Como, presentation of the route specifically his famous library (thumbnails) and visit the House of the “Podestà” explanation of the restoration and collections. Drei wichtige Sammlungen wurden von sehr unterschiedlichen Persönlichkeiten erstellt, und sie sind heutzutage in der Provinz Brescia ein wichtiger Bezugspunkt für die Kultur: die große Menge von Objekten, die sie gesammelt haben, enthält in der Tat, Besonderheiten, die ihre komplexen Charaktere reflektieren. Persönlichkeiten, die sicherlich von den schönen Seeluft beeinflusst wurden, die sie am Gardasee atmen konnten. Gabriele d‘Annunzio bewahrte Kunstwerke und Kampfmittelrückstände zusammen, die auf den ersten Blick unverständlich sind, aber sie scheinen eine unübertroffene Intensität zu haben. Viel einfacher, aber nicht weniger reich ist die Sammlung des Bibliophilen Ugo Da Como, und man endet mit den Harmonien der klassischen Welt als Ganzes erinnert durch die archäologischen Sammlungen von Kardinal Querini statt. Diese drei bedeutenden Sammlungen dienen als Vehikel für eine tiefere Entdeckung des Gebietes, das um den großen touristischen Bereich des Gardasees dreht. Damit werden die Wanderer und Touristen, die auf die Entdeckung der Umgebung sind, gefördert, die Kultur, Sitten und Traditionen, Handwerk und natürliche Erbe der betreffenden Gebiete zu entdecken. Der Vittoriale befindet sich mitten in einer der schönsten Gegenden des Gardasees, und genießt in der Tat eine Lage von großem Wert auch nicht weit von der Seeufer. Die Sammlung von Ugo Da Como liegt in Lonato, neben der bewundernswerten Festung, die uns in alten Zeiten zurückschickt. Während die Sammlung des Kardinals Querini befindet sich in Brescia, im Museum Komplex von Santa Giulia. Drei Sammlungen, drei verschiedene Orten mit verschiedenen Attraktionen, verschieden in der Natur, in den Wanderungen und Spaziergängen, und auch bei dem Besuch der Stadt. All das ist eine gute Gelegenheit in der Provinz Brescia 2nd Day: Brescia 9.00 am: the Museum of Santa Giulia presentation of the role and history of cardinal A.M. Querini, presentation of the route specifically the collection of Roman antiquities of Querini and the Roman collection of the museum. Visit of the museum with the museum guides. If necessary, free visit to a temporary exhibition (the “exhibition” open in the period). 12.30: Lunch 15.00 pm: Visit to the Capitoline Temple, Labus square and other Roman sites, visit of the castle, the old cathedral, the new Duomo and the Queriniana Library 3rd Day: Possible extensions Providing one more day you can visit: Sirmione, Desenzano, the Museum of Upper Garda; aspects of industrial archeology (Campione del Garda or Brescia). Sirmione, Desenzano, the Morainic hills and the Tower-museum of San Martino della Battaglia (or Valeggio sul Mincio). Outside area: the peat bogs of Iseo and the Furnace of the Tavernole sul Mella. 170 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 171 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 11 La “Storia all’aperto” zu fahren, und eine außergewöhnliche Mischung zwischen Natur und Kunst zu erleben. Lange Spaziergänge, Wandern, Reiten, Mountainbike-Touren, und am See werden auch eine Vielzahl von Wassersportmöglichkeiten angeboten. Die Route, die uns zu den Schritten der akribischen Sammler führt, die manchmal exzentrisch waren, hilft uns auch schließlich unser Geist der täglichen Belastung loszuwerden, und den liebevollen gesunden Wind das zu erleben. Chi e dove Classi coinvolte Docenti referenti Liceo Scientifico Enrico Fermi – Salò Quinta D Liceo linguistico – Quinta F Scienze sociali Cristina Di Spigno e Laura Truzzi 1. Tag: Der Vittoriale und Lonato 9.00 Uhr: Besuchen Sie den Vittoriale: Studenten helfen als Führer und lesen ein Gedicht von d‘Annunzio, erklären die Charaktere seiner Sammlungen und stellen vor, was sie schon gelernt haben (Option 1: italienische Identität mit dem äußeren Pfad und dem heroischen Freilichtmuseum mit den Kriegserinnerungen, Option 2: externe Pfad mit der zeitgenössischen sakralen Kunst). Die Führungen des Vittoriale beenden dann die Besichtigung. 12.30 Uhr: Mittagessen mit lokalen Produkten. 15.00 Uhr: Besichtigung einer renovierte Zitronenanbau (oder eine Mühle oder ein weiteres Beispiel der materiellen Kultur); Fahrt nach Lonato und Vorstellung des Senators Ugo Da Como, Darstellung der Route spezifisch über die Gründung der Bibliothek (Miniaturen) und Besichtigung des Hauses des Podestà mit Erklärung der Restaurierungen und Sammlungen. progetto 12 L’arte come affermazione di sé 2. Tag : Brescia 9.00 Uhr: Das Museum von Santa Giulia. Darstellung der Rolle und Geschichte des Kardinals Angelo Maria Querini. Vorstellung der Besichtigung spezifisch über die Sammlung römischer Altertümer Querini und römischen Sammlung des Museums. Besichtigung des Museums mit den Führungen. Falls erforderlich, kostenlosen Besuch einer temporären Ausstellung (die „Ausstellung“ in der Zeit eröffnet ). 12.30 Uhr: Mittagessen 15.00 Uhr: Besuch der Kapitolinischen Tempel, Labus Platz und andere römische Resten. Besichtigung des Schlosses, der alten Kathedrale, des neuen Doms und der Queriniana Bibliothek. 3. Tag: mögliche Erweiterungen Wenn man über einen anderen Tag verfügt, können Sie diese schönen Gegenden besichtigen: Sirmione, Desenzano, das Museum des Oberen Garda. Aspekte der industriellen Archäologie (Campione del Garda oder Brescia). Sirmione, Desenzano, die Moränenhügel und das Turmuseum von San Martino della Battaglia (oder Valeggio sul Mincio). Außenbereich: die Torfmoore von Iseo und der Gießereiofen in Tavernole am Mella. 172 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Fin dall’antichità l’arte si è presentata come uno strumento di affermazione dell’individuo. L’uomo, da sempre assillato dall’eterna ansia dell’incombente morte, ha visto nell’arte lo strumento per eccellenza in cui trasfondere il proprio io e consegnarlo alla memoria imperitura del tempo a venire. Ci si potrebbe chiedere il perché di un lavoro sulle iscrizioni, e in particolare il motivo della scelta di accomunare tre realtà profondamente diverse quali sono la Fondazione Ugo Da Como, il Museo di Santa Giulia e il Vittoriale degli Italiani. Nonostante le differenze (notevoli, e che non vogliono in questo lavoro essere negate), permane un elemento di unità e di continuità. Tutte e tre questi edifici, o meglio le opere in essi e su di essi contenute, rappresentano un eterno monumento (dal latino monere, ricordare) ai singoli individui celebrati. È veramente morto colui il cui nome, letto e riletto sulle epigrafi presenti in Santa Giulia, viene pronunciato ancora dopo secoli dalla sua scomparsa? È meno viva la casa di Ugo Da Como, nonostante la sua assenza? Ha forse smesso D’Annunzio di dettare poesia e ideali di vita attraverso il Vittoriale? Le architetture, ma in particolare le epigrafi e le iscrizioni, diventano quindi un mezzo per raggiungere l’immortalità. Una celebrazione di sé, delle propria gesta, della propria ideologia, ma soprattutto della propria stessa esistenza ed identità. La presenza di un’iscrizione recante il proprio nome o un motto tipico e rappresentativo corrispondono alla semplice, pura e potentissima affermazione “io sono”. Non “io sono stato”, non “io sarò”: io sono, in un eterno presente di sospensione del divenire. 173 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 12 L’arte come affermazione di sé progetto 12 L’arte come affermazione di sé La “casa parlante” di Ugo Da Como veneziana – o ancora, il frammento di una stele romana, originariamente di dimensioni piuttosto elevate. All’interno della dimora, posizionate sugli architravi delle porte e alla base della scala che conduce al piano superiore, si possono trovare numerose epigrafi, alcune delle quali originali, altre restaurate. Interessante è l’epigrafe situata sul caminetto “Virtuti et labori” . Per concludere, la parete esterna della biblioteca presenta due lastre tombali, recuperate da un edificio sacro dismesso di Lonato, adducenti i nomi dei defunti che vogliono ricordare. La vita Ugo Da Como, figura di spicco del primo ‘900, nasce nel marzo del 1869 a Brescia, dove compie i primi studi. Si laurea poi in Legge a Roma. Inizia la carriera politica nella città natale, dove è sostenitore del Consolato Operaio e Assessore del Comune. In Parlamento è membro di varie commissioni, segretario della Camera dei Deputati e collabora come sottosegretario ai Governi Salandra e Boselli. Nel 1920 ottiene la nomina di Senatore del Regno. Nel giugno del 1924 Benito Mussolini gli offre il Ministero per l’Economia Nazionale, incarico che rifiuta poiché è in disaccordo con l’ideologia del regime. Da Como è stato anche un grande intellettuale, attivo soprattutto nel territorio bresciano. Muore nel 1941. La casa del Podestà Nel 1906 acquista ad un’asta pubblica la ex-dimora podestarile di Lonato, che in un primo tempo utilizza solo come residenza estiva, per poi trasferirvisi nel 1925 allontanandosi così definitivamente dalla scena politica. All’architetto bresciano Antonio Tagliaferri viene affidato il compito di restaurarla per restituirle l’antica dignità. Lo sviluppo dei lavori segue sì la moda del tempo di arricchire gli interni con motti parietali, ma nel caso di Ugo Da Como non si può intendere come puro conformismo. Infatti le frasi che fece dipingere non sono mere decorazioni a fine estetico, e neppure occasioni di vanto per la sua – sconfinata – cultura. Al contrario, i motti scelti dal senatore esprimono idee e concetti profondamente sentiti, interiorizzati, personalizzati e meditati; testimone di ciò è il fatto che numerose frasi, desunte da differenti e vari testi classici, non vengono riportate nella loro esatta forma originale, ma siano – se pur leggermente – modificate. Per questo motivo, attraverso tali frasi possiamo meglio comprendere i suoi pensieri e la sua concezione della vita, e viceversa. Le frasi acquistano dunque un’ulteriore forza: esse diventano le verità personali del senatore stesso, le sue regole morali; le pareti della casa del Podestà diventano così la concretizzazione esteriore e materiale di ciò che era già consolidato interiormente. Facendo ciò, Ugo Da Como non solo eterna le proprie credenze – realizzando materialmente i suoi ideali di vita –, e le proprie passioni ma anche il proprio modus vivendi, lasciando ai posteri i propri ideali e il proprio “io”. Epigrafi Con il termine “epigrafe” si vuole intendere un testo di natura commemorativa, enunciativa o designativa destinato alla pubblica visione, rappresentato solitamente su un supporto di marmo. Le epigrafi erano molto utilizzate nella civiltà classica per affrontare temi di varia natura. La grande portata del lavoro di recupero antiquale che svolse Da Como, si rende manifesta già nel muro posto accanto al cancello, all’entrata. Nel lavoro di restauro che interessò l’intera dimora, egli richiese di poter inserire frammenti di epigrafi all’interno dei muri della stessa così da assicurarne la sopravvivenza, consegnandola ai posteri in una collocazione sicura e duratura. Inoltre, in questo modo, dava possibilità alla casa di raccontare la propria storia. Si può osservare per esempio una targa con l’altorilievo di un leone di San Marco – a ricordare il periodo della dominazione 174 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Iscrizioni “Libris satiari neqveo” - Non so saziarmi di libri Codesta frase è tratta dell’epistola di Petrarca destinata al parente Giovanni dell’Incisa, priore del convento di San Marco a Firenze. Nella lettera egli domanda di procurargli alcuni libri, dei quali sente un profondo bisogno; Petrarca infatti afferma che la sua insaziabile passione per i libri è una vera e propria malattia. Tale frase, breve e concisa, ben rende l’idea dell’incessante bisogno e della sfrenata e illimitata passione per gli scritti; del resto l’amore per la conoscenza non può mai essere del tutto soddisfatto. Il verbo “saziare”, solitamente riferito al cibo, è in questo contesto legato ai libri, esprimendo così con forza la primaria e vitale necessità della lettura e del sapere che diventano “cibo” indispensabile per vivere. La frase allo stesso tempo giustifica e trova la sua giustificazione nella presenza degli innumerevoli volumi contenuti sia nella Sala Cerutti – stanza nella quale si trova questa citazione – sia nella casa – dove vi sono contenuti oltre 30.000 tomi. “Recte facti fecisse merces est” - La ricompensa di una buona azione consiste nell’averla compiuta Il motto, scritto su una delle pareti della camera da letto di Da Como, è tratto da un’epistola di Seneca a Lucilio, nella quale spiega che il benefattore non teme l’ingratitudine poiché ha per ricompensa il fatto stesso di averla compiuta. La frase, particolarmente cara a Da Como – che decise di terminare il proprio testamento con essa – ben definisce la sua personalità. In un discorso del 1926 all’Ateneo di Brescia, il senatore afferma che il solo aver raccolto opere d’arte e volumi, e il pensar di giovare così alle generazioni successive, riesce a ricompensarlo delle ore spese nella sua ricerca. “Amicitia quies ferrea aetatem excipit amicitia et quies” - Amicizia e quiete confortano il duro vivere L’iscrizione, posta al di sopra del portale dell’ingresso principale, è la prima dei tredici aforismi che Ugo Da Como fece realizzare sulle pareti della sua “casa parlante”. Il motto, probabilmente coniato dallo stesso senatore, è esempio della funzione che questa dimora assumeva per Da Como: la residenza era per il senatore un luogo di 175 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 12 L’arte come affermazione di sé progetto 12 L’arte come affermazione di sé riposo e di quiete lontano dalla frenetica e impegnativa vita istituzionale. Qui poteva rifugiarsi, riflettere e dedicarsi allo studio in perfetta sintonia con la concezione classica della vita che tale motto voleva riassumere. Topos tipico della letteratura classica è, infatti, l’idea di una vecchiaia da trascorrere nella quiete della propria dimora dedicandosi all’otium. In tal senso la dimora di Lonato è un luogo in cui dedicarsi alla ricerca intellettuale, a se stessi e, contemporaneamente, ai fondamentali legami di amicizia. Per rimarcare l’importanza di questi due soggetti, i due termini amicitia e quies, avvolti in rami di edera e ulivo – simboli di fermezza di sentimenti e di pace – vengono riproposti poco più in alto. Il Vittoriale “Sic hortum con bibliotheca haber nihil deerit” - Se hai un giardino con una biblioteca non mancherà mai nulla Espressione dell’amore e della passione per la letteratura e lo studio è il motto posto sul lato sinistro del camino nella biblioteca. Tratto da un’epistula di Cicerone, l’iscrizione si ricollega ai due temi sopracitati della quies e dell’amicitia: il sapiente trova conforto e la propria realizzazione nel giardino – immagine di quiete, riposo e riflessione – e nell’appassionato studio. Il preesistente interesse per la cultura del senatore si consolida, infatti, dopo la scelta di allontanarsi dalla politica attiva pur di non piegarsi ad idee contrastanti con i propri principi democratici. L’otium letterario diventa quindi, come per Cicerone durante il governo di Cesare, una consolazione e un conforto durante l’inattività politica. Proprio in corrispondenza al suo ritiro, Ugo Da Como iniziò a dedicarsi completamente allo studio, all’arte e al recupero di epigrafi e resti di monumenti tanto da rendere la dimora una vera e propria “casa-museo”. La sua indagine intellettuale è continua. Legge, studia e analizza antichi scritti alla ricerca di insegnamenti morali e di vita, in una costante ricerca di appagamento mai soddisfatta. “Hic mortvi vivvnt pandvnt oracula muti” - Qui i morti vivono, muti svelano oracoli Possiamo trovare quest’iscrizione sull’altro lato del camino. Questa, a differenza di altre, non è una citazione di un autore latino, ma il tema che tratta si può in ogni caso ricondurre a quello classico dell’immortalità delle opere degli scrittori. Il messaggio è molto chiaro: secondo la concezione di Ugo Da Como, grazie ai loro scritti, i grandi autori possono vivere in eterno poiché possiedono linfa sempre attuale che scorre nelle loro pagine. Coloro che sopravvivono al passare del tempo sono quei saggi che hanno saputo trasmettere massime tanto lungimiranti da poter raggiungere il substrato più profondo dell’essere, comune all’uomo di tutte le epoche, così da fare vaticini, anche nella morte, a coloro che sanno riconoscerli. Il fatto che i morti siano “vivi” e “svelino” oracoli testimonia la possibilità di instaurare con essi un dialogo continuo ed istruttivo. Questo lavoro di raccolta nelle biblioteche è fondamentale per poter consegnare ai posteri le summae di questa ricchezza. Da Como trascorre parte della sua vita a raccogliere opere classiche perché convinto di trovare in esse verità definitive che aiutassero l’uomo in ogni momento. 176 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia La vita Gabriele D’Annunzio nasce a Pescara il 12 marzo 1863 da famiglia borghese. Già in giovane età si fa notare come poeta per il suo talento; la sua produzione continua poi copiosa. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, nel 1915, torna in Italia dalla Francia. Tiene accesi discorsi interventistici, partecipando inoltre a varie azioni belliche, durante una delle quali viene ferito ad un occhio che poi perde. Nel 1919, in aperta polemica con il governo italiano, occupa militarmente Rijeka (Fiume), costituendo una repubblica, la Reggenza italiana del Carnaro, che viene poi fatta cadere da Giolitti nel 1920. Trascorre i suoi ultimi anni a Gardone Riviera, sul Lago di Garda, dove muore in solitudine nel 1938 per emorragia. La casa del vate Il “Vittoriale degli Italiani” è la cittadella monumentale del poeta-soldato Gabriele d’Annunzio che sorge sulle colline di Gardone Riviera. Dopo esservi giunto nel 1921, Gabriele d’Annunzio acquista la Villa di Cargnacco, appartenuta precedentemente a Henry Thode, un illustre studioso d’arte. L’opera di ristrutturazione, curata da Giancarlo Maroni, viene portata a termine nel 1938. Il poeta fa inserire dentro una cerchia di mura un complesso di edifici che testimoniano quelle che lui definisce le proprie “imprese” e ai quali egli “affida il suo nome nel tempo”. Dopo essere passati per l’ingresso si giunge alla Prioria, la casa del Poeta, in cui vi sono raccolti migliaia e migliaia di oggetti artistici, antiche statue lignee, ceramiche, vetri, argenti, tappeti, librerie, cimeli che ricordano i momenti eroici della sua vita. All’interno del Vittoriale si trovano anche: il Museo della Guerra, l’Auditorium, l’aereo SVA 10 del volo su Vienna, la Nave Puglia, il Museo di Bordo, il Mas 96, il Mausoleo, le auto ( Isotta Fraschini e Fiat Tipo 4) il tutto in una cornice di parchi e giardini di rilevante significato storico-ambientale. I motti del vate “Io ho quel che ho donato” Tale motto, inciso sul frontone dell’ingresso del Vittoriale, può essere letto come un’affermazione della storia stessa del Vittoriale e del proprio ruolo nel renderlo un monumento eterno in onore dell’Italia, degli Italiani e di se stesso. Infatti, con questa breve frase D’Annunzio racconta le vicende che lo hanno portato a trasformare una semplice dimora in una celebrazione dei propri ideali, in quanto riesce a ottenere i finanziamenti per tale progetto solo donando l’abitazione allo Stato pur mantenendone l’usufrutto. Di fatto nel donare il Vittoriale egli ne diviene il vero proprietario, dunque ha ciò che ha donato. “Cave canem ac dominum” - Attenti al cane e al padrone Questo ironico motto, presente all’ingresso della villa, si rivolge ai visitatori e ai passanti invitandoli a prestare attenzione alla personalità di D’Annunzio. È uno dei rari casi in cui possiamo avere accesso al lato più autoironico e meno celebrativo di sé del poeta, che comunque anche in tale affermazione mantiene una base di autocompiacimento. 177 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 12 L’arte come affermazione di sé progetto 12 L’arte come affermazione di sé “Per non dormire” Il motto riportato sopra è presente ovunque sia all’interno del Vittoriale, sia fra le carte di D’Annunzio. Si presenta come una vera e propria necessità del poeta di rendere eterno e ricordato quello che è un suo ideale di vita. Lo stesso motto lo stimola nei suoi momenti più creativi; come tale esso rappresenta anche un’affermazione della propria verve letteraria, particolarmente attiva all’interno della dimora. queste rendono grande e unico uno scrittore. In questo senso, egli afferma implicitamente anche la propria grandezza; D’Annunzio, in quanto narratore di storie grandi e importanti, diventa di conseguenza un narratore grande e importante. “Memento audere semper” - Ricordati di osare sempre L’iscrizione appare sull’edificio del Vittoriale che ospita il MAS 96, il Motoscafo Armato Silurante (parole per cui sta la sigla MAS, che curiosamente rappresenta anche le iniziali del motto) che utilizza durante il raid militare designato con il termine di “Beffa di Buccari”, compiuto nella notte fra il 10 e l’11 febbraio del 1918. Il motto sopracitato è forse il più celebre fra i motti di guerra dannunziani. In effetti, forse l’intera figura del D’Annunzio interventista ed estremista nazionalista è riassunta in questo semplice motto. D’Annunzio, per tutta la sua vita, si attiene sempre a questo ideale che può essere letto come il filo conduttore di tutto il suo agire; l’Osare rappresenta il soggetto assoluto della sua vita, quasi una sua seconda natura. In questo senso, D’Annunzio stesso finisce per incarnare “colui che osa”, colui che per ottenere ciò che vuole è pronto a lanciarsi in quelle che ritiene essere “grandi imprese”, a prescindere dalla fattibilità di queste. Ricordarsi di osare significa, in sostanza, agire secondo il suo modo di agire e pensare secondo il suo modo di pensare. In questo modo si può dire che, in qualche modo, lo spirito dannunziano continua a rivivere in coloro che raccolgono il suo ideale e vivono secondo esso. Molto vicino allo spirito di questo motto è la frase “Vivere ardendo e non bruciarsi mai”. Si tratta della parafrasi di un verso di Gaspara Stampa. Oltre che al Vittoriale, esso viene adottato da D’Annunzio anche in guerra, in particolare durante il proprio colpo di stato presso la città di Rijeka, conosciuta in lingua italiana come Fiume. È forse il verso meglio rappresentativo e più autobiografico del poeta. Nessuno infatti più di lui è convinto della necessità di osare, sempre e comunque, e vivere ogni attimo con passione bruciante e agire in conseguenza di questa. Tuttavia, il bruciare di D’Annunzio è un bruciare consapevole. Infatti, egli non invita semplicemente a fare qualunque cosa si voglia, ma piuttosto gettarsi in delle imprese anche difficili, ma non impossibili, in cui si possa avere successo. Dunque ardire, sì, e al limite delle proprie possibilità, ma non oltre. Resta il fatto che varie volte durante la sua vita D’Annunzio rasenta il lanciarsi in progetti troppo grandi per lui, ma si può dire che non viene mai veramente meno al proprio principio per il fatto, principalmente, che non le ritiene mai tali e che parte sicuro del proprio futuro successo. “Né più fermo né più fedele” Questo motto viene fatto incidere sulla facciata esterna della Prioria, più precisamente all’interno dello “Stemma del levriero”. L’iscrizione è rivolta a Mussolini con un chiaro intento polemico; infatti il poeta si sente imprigionato nelle mura del Vittoriale, dove il regime fascista lo ha incoraggiato a ritirarsi per evitare un troppo forte coinvolgimento nella vita politica. Il motto esprime la fermezza morale di D’Annunzio nel rispettare i propri principi di vita, mettendo in evidenza la sua chiara intenzione di non voler venir meno a questi principi e di non voler rinunciare a un coinvolgimento, seppur indiretto, nella vita politica del Paese. I due aggettivi impiegati nel motto indicano due peculiari caratteristiche della personalità di D’Annunzio, cioè la fermezza e la fedeltà. Allo stesso tempo, egli si pone come modello di vita per l’intera umanità, che è chiamata a seguire il suo esempio e restare salda e fedele ai propri principi e ideali di vita. “Da ruggine sicuro, ardendo m’innalzo, pur che altamente, foco ho meco eterno” Questi versi sono riportati nel riquadro del soffitto nella Stanza del Lebbroso. Pochissime parole, ma d’un effetto straordinario che esprimono al massimo grado la poetica di D’Annunzio. La sua vita e la sua attività è sostenuta da una fonte inestinguibile e inesauribile che egli porta sempre con sé, vale a dire un “foco eterno”, un fiume d’energia vitale e impetuoso che scorre nelle vene e anima la sua esistenza. Questa forza interiore è dinamica, in incessante movimento, quindi viva e al contempo vivificante. Testimonianza di ciò sono le opere di D’Annunzio, che tuttora conservano questa eterna scintilla di vita. “Non nisi grandia canto” – non canto se non le cose grandi Questo motto è inciso sul gradino del trono di pietra che si trova al centro dell’Arengo. Attraverso questo D’Annunzio afferma di non cantare mai di piccole cose, di storie di poco conto. Egli vuole infatti che l’oggetto delle sue poesie siano le grandi storie, le imprese importanti, i fatti che lasciano un segno, perché solo “L’ouvrier se cognoist à l’ouvrage” - L’artigiano si riconosce dalla sua opera Si tratta della citazione di un rondeau di Charles d’Orléans. Con questa frase, scritta nella lingua che gli era divenuta familiare in seguito al suo soggiorno in Francia, D’Annunzio esprime un concetto a lui molto caro (anche perché è su questo principio che si basa tutto il Vittoriale). Qualsiasi tipo di lavoro, in particolare poi quello che porta alla produzione, all’opera (opus, appunto, derivazione etimologica da cui proviene lo stesso termine ouvrage) artistica, presuppone un progetto. Questo può essere considerato come una proiezione in avanti (dal latino pro, davanti, e getto, gettare, lanciare) dello stesso artista, che in questo modo infonde all’opera qualcosa di fondamentale: una parte di se stesso. L’opera conserva dunque in sé parte della personalità e dell’essenza stessa di chi l’ha creata e in questo senso è espressione di tale persona. Allo stesso tempo, però, pur essendo fin dall’origine legata al creatore, ne diventa indipendente, assicurandone la permanenza nel tempo anche successivamente alla 178 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 179 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 12 L’arte come affermazione di sé progetto 12 L’arte come affermazione di sé morte di quest’ultimo. Nel tempo a venire, dunque, l’opera sarà l’unica cosa rimasta dell’artista – o artigiano – che l’ha realizzata, espressione dello stesso (e dunque un modo attraverso questi si afferma nel presente e nel futuro) e al contempo molto più longeva. documentano episodi di liberti arricchiti, i quali, curando gli interessi economici dei loro patroni, sono riusciti a raggiungere un livello sociale elevato. Particolarmente importanti sono i documenti epigrafici che riguardano famiglie bresciane di spicco, spesso legate alla famiglia imperiale, e i cui esponenti hanno ricevuto importanti incarichi pubblici a Roma. Altre iscrizioni contengono, invece, dediche onorarie agli imperatori e ai loro familiari, soprattutto di Augusto, e a cittadini bresciani illustri che ricoprirono cariche municipali o statali. Molte trattano anche di temi religiosi, che forniscono importanti informazioni circa i culti rivolti a divinità romane e a divinità di origine celtica. È bene ricordare che le iscrizioni lapidarie non sono un insieme di parole freddo e avulso dalla vita, ma al contrario costituiscono un organismo fortemente permeabile di ricordi ed immagini che chiunque può cogliere; sono un ricordo vivente ed indelebile nella mente dell’uomo di ciò che è stato e che, in qualche modo, continua ad essere attraverso di esse. “La sirenetta appare sulla soglia porta un mazzo di rose è un angelo che si distacca da una cantoria fiorentina quando parla il mio cuore si placa” Questi versi, incisi sulla tomba, sono stati tratti dall’opera Il Notturno di D’Annunzio, e sono stati posti sulla lapide della figlia Renata Anguissola, tomba che si trova all’interno dei giardini del Vittoriale. Renata nasce nel 1893 in provincia di Napoli e muore nel 1976. Il poeta proverà sempre molto affetto per lei, alla quale è riconoscente per l’assistenza che ha ricevuto da parte sua durante la convalescenza, in seguito all’incidente subito all’occhio destro durante un’azione militare aerea. La lapide reca un epitaffio, ossia un’iscrizione funebre il cui scopo è onorare e ricordare il defunto. Infatti per gli uomini è sempre stato importante il bisogno di mantenere viva la memoria di care persone scomparse, attraverso la tomba; anche per D’Annunzio la tomba della figlia assume tale valenza. Il museo di Santa Giulia Il museo Si tratta del principale museo di Brescia. Esso è ospitato all’interno della struttura che accoglieva il monastero di Santa Giulia (il quale fu fatto costruire dal longobardo Re Desiderio). Il museo comprende anche la chiesa di Santa Maria in Solario, il coro delle monache e la chiesa di Santa Giulia. All’interno di questo si possono ammirare migliaia di oggetti ed opere d’arte, risalenti ad un periodo di tempo compreso fra l’età del bronzo e l’Ottocento. Particolarmente interessante è la zona dedicata alle epigrafi e alle iscrizioni tombali. I destinatari delle epigrafi Le epigrafi presenti nel complesso museale di Santa Giulia hanno la funzione di elencare i destinatari di monumenti sepolcrali, ricordando i legami familiari dei defunti, le loro qualità morali, e spesso contengono notizie importanti circa le professioni e le caratteristiche sociali, gli usi, i costumi e le vicende umane di persone comuni. Numerose iscrizioni funerarie appartengono a liberti, ovvero servi ai quali viene riconosciuta la cittadinanza romana in seguito alla concessione della libertà (manumissio) da parte del loro padrone, che ne diventa patrono. Altre iscrizioni 180 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia Le epigrafi: dove e quando La vicinanza delle cave di pietra di Botticino, il cui bacino estrattivo viene sfruttato da oltre duemila anni, favorisce la nascita di numerose officine lapidarie che hanno permesso lo sviluppo di una cospicua tradizione epigrafica garantendo prodotti di buona qualità a prezzi contenuti. Il periodo al quale risale il maggior numero di testimonianze di questo tipo è il II-III secolo d.C. e coincide con la partecipazione ufficiale dei cittadini bresciani alla vita dell’impero attraverso incarichi di prestigio. Altri ritrovamenti Oltre alla vasta quantità di iscrizioni e di epigrafi, nel museo sono conservati anche “I Fasti bresciani”, una raccolta di frammenti di tavole di marmo rinvenute tra il 1823 e il 1937 nell’area compresa fra il capitolium e il teatro, contenenti nomi di alcuni imperatori che hanno regnato nel periodo storico da Augusto a Caracalla. Conservazione Un grande merito è quello delle istituzioni religiose (per esempio le chiese), che hanno offerto protezione, e del protezionismo privato che hanno garantito la conservazione, in misura così importante, del patrimonio epigrafico bresciano. Una gelosa coscienza di tale patrimonio si riscontra, per esempio, in figure come Gabriele D’Annunzio e Ugo Da Como. Iscrizioni Riportiamo ora alcuni esempi di iscrizioni di particolare importanza situate all’interno del complesso museale di Santa Giulia. Gallo di Ramperto Un’iscrizione lapidaria rilevante si trova sulle folte piume della coda del Gallo di Ramperto, scultura bronzea raffigurante un galletto. L’iscrizione oggi in parte perduta recita: “dominus Rampertus episcopus brixianus gallum huin fieri precepit anno d.n yhy xpi r.m octogenesimo vigesimo indictione nona ann. Transl. Ss. Decimo quarto sui episcopatus vero sexto”. Il nome del donatore di tale opera è il vescovo di Ramperto di Brescia. I dati cronologici e la data della messa in opera risalgono al 820 d.C.. Grazie a tale 181 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia progetto 12 L’arte come affermazione di sé progetto 12 L’arte come affermazione di sé iscrizione veniamo a conoscenza di un personaggio allora certamente importante all’interno della storia bresciana. Il Gallo di Ramperto viene esposto per la prima volta nel complesso museale di Santa Giulia nel 1999, mentre, inizialmente, è situato sul campanile dei santi Faustino e Giovita, sempre a Brescia. grande raffinatezza. Assieme al monumento funebre di Domenico de Dominici in Duomo Vecchio, del 1478, quest’opera si distacca nettamente dalla cultura artistica dell’epoca che, fino al decennio precedente, ha prodotto una scultura figurativa già più monumentale rispetto al passato, ma ancora improntata verso uno stile piuttosto austero e rigido. Nel complesso, le due opere non sembrano presentare aspetti in comune agli usi allora ricorrenti nella scultura locale ed è pertanto da escludere l’attribuzione a maestranze bresciane. Molto più probabile, invece, che i due monumenti siano pervenuti dall’entroterra veneto, oppure che siano stati comunque realizzati a Brescia, ma da scalpellini con precedenti esperienze a Verona o Vicenza. Anche in questo caso siamo di fronte a una grande modernità per l’epoca, dove il rinnovamento della cultura in senso umanistico trova, a Brescia, le sue prime applicazioni proprio in questa ristretta serie di opere d’arte. È in questo caso non solo la vita di un singolo a trovare nuova vita e ricordo attraverso l’iscrizione – e in generale, attraverso l’arte – ma un intero periodo storico, un intero mondo che si manifesta a noi in modo evidente. Per un attimo, il mondo si ferma, e guardando le iscrizioni si può tornare con l’immaginazione al periodo in cui sono state realizzate; e con un’attenta analisi, ecco si vedono le maestranze veronesi o vicentine, la diversa mentalità che permette un nuovo stile... In breve, in questo caso l’arte ha permesso l’affermazione non di un individuo – o meglio, non solo – ma di un’intera epoca. Questo è forse il fine dell’arte – e se non lo è, si tratta comunque di una capacità incredibile che l’uomo non ha mancato di apprezzare e sfruttare nel corso dei secoli. Deo Soli Res publica Un altro esempio di iscrizione lapidaria si trova in una grande ara marmorea di reimpiego situata nella chiesa di Santa Maria in Solario, compresa nel museo di Santa Giulia. L’ara recita tali parole: “Deo Soli/Res Publica”, ovvero la comunità (dedica) al Dio Sole. Si tratta di un’iscrizione risalente all’epoca romana, che ci permette di capire quanto importante sia in questo periodo, il ruolo del Sole all’interno della vita quotidiana e anche il rapporto positivo e di venerazione nei suoi confronti da parte dei cittadini bresciani. ELIVS.C.VR.PR(AETOR).LEG(ATUS)..A Inserite nei muri di alcune case cittadine del centro storico bresciano si possono notare pietre antiche di età romana contenenti iscrizioni latine. Famoso, a tale proposito, è il lapidario di piazza Loggia. Per vari secoli è stata abitudine comune recuperare materiale dai resti romani per riutilizzarlo in costruzioni edili. In via dei Musei, sulla fiancata della chiesa di Santa Maria in Solario è presente una lapide contenente tredici lettere che formano la seguente frase: ELIVS.C.V.R.PR(AETOR).LEG(ATUS)…A È un’epigrafe funebre che fa riferimento ad un certo Elio C., il quale è, in periodo romano, curule a Brescia. Gli edili curuli sono magistrati patrizi che, fra i vari compiti (ispezione di edifici, sicurezza cittadina, sovrintendenza a cerimonie religiose, mercati e approvvigionamenti), organizzano i giochi pubblici. Grazie soprattutto a quest’ultimo compito, essi si procurano grande popolarità, di cui si servono poi ai fini della carriera politica. Lapidi come segno di modernità Bibliografia Motti dannunziani, D’Annunzio, Gabriele – a cura di Paola Sorge, Roma: Newton Compton, 1994. Il Vittoriale per le Scuole, sezione didattica, “Il parco”, Percorso Artistico Architettonico, Scuole Medie e Superiori. Il Vittoriale per le Scuole, sezione didattica, “Il parco”, Percorso Storico Letterario, Scuole Elementari, medie e Superiori . Inscriptiones Italiae. Volumen X. Regio X. Fasciculus V. Brixia. Pars I, A.Garzetti, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1984. Santa Giulia Museo della Città, Brescia. L’età romana. La città. Le iscrizioni, Milano, AA.VV.,Electa 1998. Sitografia Per la sitografia si rimanda ai siti ufficiali dei singoli musei. Nel museo dell’Età Cristiana è presente una lapide realizzata per tumulare le spoglie di Bartolomeo Lamberti, cittadino bresciano morto nel 1479. Con l’apertura del museo nel 1998, l’opera trova collocazione stabile nella sezione “L’Età Veneta”. La lapide, di dimensioni notevoli, è strutturata su tre registri: un basamento, dove attorno al tondo centrale, in origine recante lo stemma familiare, sono disposti simboli legati all’iconografia funeraria; un’altra fascia centrale ospitante l’iscrizione dedicatoria e un coronamento a lunetta raffigurante Gesù deposto nel sepolcro da due angeli, collocato su un fregio ornato a motivi vegetali. La lapide rappresenta un’importante testimonianza artistica dell’epoca dovuta alla relativa modernità espressiva e alla raffinata iscrizione latina che riporta. Inoltre, l’iscrizione dedicatoria, della quale risulta abraso il titolo nobiliare del Lamberti sulla prima riga, costituisce un importante esempio di epigrafia di netta ispirazione classicista eseguita con 182 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia 183 Le vie dell’arte Luoghi di vita e d’arte: ricostruire la storia