38 CERAMICA Sulle denominazioni di vasi liguri di farmacia in margine a recenti mostre Guido Farris 39 CERAMICA Nella primavera del 2000 si è tenuta in Milano a Palazzo Reale la mostra “In Terra Santa”. Il sottotitolo specificava il lungo percorso cronologico in termini storici: ”Dalla Crociata alla Custodia dei Luoghi Santi”. CERAMICA Le morfologie dell’albarello, “vaso per unguenti”, e dei “vasi grandi da canditi tondi senza manichi”. Alle pagine precedenti Figura di stagnone della farmacia del San Salvatore a Gerusalemme, pubblicata nel catalogo della mostra milanese “In Terra Santa” (h 44 cm circa); figura di stagnone dell’ospedale San Paolo di Savona (h 51 cm circa), pubblicata nel dépliant della mostra savonese “Itinerari d’arte dal XV al XVIII secolo”. scontornare nei fondi no degli incontri illustrati da questa superba esposizione di cimeli, di capolavori d’Arte, di oggetti di grande valore, di documenti di grande rilevanza storica, ecc. - tutto presentato con l’ausilio di interessanti strumenti audio-visivi, con l’accompagnamento di commenti musicali appropriati - era quello con la “Farmacia Francescana di Gerusalemme”1. Poiché il corredo di vasi appartenenti a tale farmacia è costituito in grandissima prevalenza da maioliche prodotte da officine ceramiche liguri attive nei secoli XVII, XVIII, XIX, il campionamento messo in mostra a Milano interessava soprattutto l’attività dei ceramisti liguri. Ricordo che, negli ultimi anni settanta dello scorso secolo, ebbi l’opportunità di esaminare il cospicuo patrimonio in vasi che ancora restava di questa antica farmacia. Quando mi fu affidato l’incarico di schedarlo e di pubblicarlo, mi tro- U vai, è facilmente comprensibile, di fronte a difficoltà. Molte e di varia natura. Riuscii comunque, con l’interessamento della Cassa di Risparmio di Savona, a far stampare una catalogazione2 che voleva avere la finalità di mettere a disposizione - per chi avesse avuto interesse agli studi di que-sto settore - un notevole quantitativo di esemplari inediti. Fu però una impegnativa occasione per trovarsi di fronte a tutti quei problemi che era proprio una sistematica catalogazione a proporre. Uno era costituito, per esempio, dal fatto che, a mano a mano che procedevo nella consultazione di documenti più o meno noti sui vasi liguri di farmacia, mi trovavo a dover fare una difficile scelta nella terminologia da utilizzare per distinguere le forme vasali. Primo intoppo era quello del numero talvolta cospicuo di sinonimi con i quali si aveva a che fare nei documenti. Decisi fosse ragionevole 40 scegliere la denominazione più comune, quella che, nel presente e nel passato, era usata da quasi tutti; così, per esempio, il vaso cilindrico a due espansioni, una vicina alla bocca ed una vicina al piede non potevo avere molti dubbi sulla scelta: invece di “bunia”, “burnia”, “bornia”, “brunia”, “brunio”, “barattolo”, “albero”, “alberetto”, “alberello”, ecc. preferii scegliere “albarello” ma senza perdere di vista l’interessante precisazione funzionale delle voci “burniette da unguenti”, “vasi da unguento”. È però opportuno ricordare, a questo punto, un fatto di grande importanza pregiudiziale per chi voglia accostarsi allo studio di questi argomenti: il numero delle forme farmaceutiche supera di molto quello delle forme vasali, sicchè non ci si deve aspettare che - eccezione fatta per lo “stagnone” adibito esclusivamente a recipiente per acque - una deter- 41 minata forma vasale possa essere stata utilizzata per una sola forma farmaceutica. Una verifica su 318 esemplari di albarello confermò che la sua prevalente utilizzazione era sicuramente quella di contenitore di unguenti (150), ma che si potevano trovare altre ventun forme farmaceutiche contenute in albarelli e che esistevano esemplari senza cartiglio o anepigrafici e quindi disponibili ad essere utilizzati per qualsiasi forma farmaceutica. Negli anni successivi alla pubblicazione del corredo della farmacia del San Salvatore, ho avuto poi modo di studiare documenti inediti che si riferivano a forniture di vasi da parte di ceramista savonese 3 e di rivedere, approfittando dei nuovi studi, qualcuno degli errori della catalogazione. Per esempio quello di aver usato il termine “vaso da elettuario” per indicare quei vasi che la fatturazione del maiolicaro savonese scontornare nei fondi Francesco Salomoni (1689) ci ha poi insegnato dovevano essere chiamati “vasi da canditi” 4, con una informazione che non può lasciar dubbi interpretativi perchè fornisce preziose precisazioni morfologiche - “...Vasi grandi da canditi tondi senza manichi...” e li distingue da quanto subito dopo elenca: proprio “...Vasi da elettuari...”. Per esempio quello di avere usato la voce “alzata” per indicare quel piatto con piede a stelo che ho poi accertato essere filologicamente e storicamente corretto chiamare “sottocoppa”5. Per esempio quello per il quale ritengo ora che le attribuzioni formulate per i marchi “F”, con o senza il “falco coronato”, “castello”, con il “falco coronato” o con il “falco senza corona”, vadano rimesse in discussione in rapporto a nuove interessanti ipotesi interpretative che porterebbero in primo piano nella tradizione della maiolica savonese il cospicuo contributo produttivo di un casato, quello dei Ferro6 del quale finora non si sono mai occupate le troppo approssimate compilazioni storiche7. Ma, tornando alla mostra di Milano, tra le forme vasali liguri esposte, compariva anche quella che era stata oggetto di qualche attenzione da parte di chi aveva ritenuto di non accettare la denominazione che avevo usato per indicarla. Si tratta del vaso di farmacia di maggiore taglia, quello a forma ovoidale con due robuste anse e con un rubinetto posto nella parte più bassa del corpo vasale. Era il recipiente destinato a contenere le “Acque officinali” 8, ma è stato considerato “...per medicamenti liquidi di largo smercio (acque, infusi, decotti, vini)...”9, ed anche “...a contenere acque vegetali distillate e soluzioni medicinali...”10. Non ho mai avuto occasione di CERAMICA Le morfologie dei “vasi da elettuari” e dello “stagnone da aque”. 42 CERAMICA Albarello della farmacia del San Salvatore a Gerusalemme, facente parte della fornitura del maiolicaro savonese Francesco Salamoni, 1689 (h 21 cm). Lo stemma sta a indicare che il donatore è stata la Repubblica di Genova. A fronte Il dépliant della mostra savonese “Itinerari d’arte dal XV al XVIII secolo” e il catalogo della mostra milanese “In Terra Santa”. osservare che i vasi di questa forma siano stati usati per “infusi, decotti, vini” o per “soluzioni medicinali” e sarei molto grato a chi me ne volesse segnalare qualche esemplare per aver modo di modificare l’indagine che avevo fatto su centocinquantadue esemplari: avevano tutti un cartiglio che specificava “acqua” salvo due che erano anepigrafici. Una eccezione che sono riuscito finora ad osservare è quella relativa a due vasi che hanno la forma dello stagnone ma sono privi di quel mascherone che, posto nella parte più bassa del corpo vasale, serve da rinforzo al rubinetto in bronzo; si tratta quindi di vasi dai quali il contenuto non può essere nè spillato nè versato, può essere solo attinto ma con l’evidente difficoltà del collo vasale piuttosto ristretto; portano cartigli per “Syr. FvMavae.” e per “THEriaCa Ad”; sono stati attribuiti a “manifattura savonese dei Chiodo dell’inizio del XVIII secolo”; potrebbe trattarsi di vasi che non avessero funzione di recipiente data la scarsissima coerenza della forma con le particolari caratteristiche di viscosità dello sciroppo e della teriaca, ma che fossero utilizzati esclusivamente per ragioni decorative... vasi del resto per i quali mi parrebbe necessario accedere ad una attenta discussione prima di condividere attribuzione e collocazione cronologica11. Mi ero limitato a scrivere che in tutti i documenti liguri nei quali si faccia riferimento ai vasi di questa forma la denominazione usata è sempre la stessa: stagnone. Questo termine che non deve, per fortuna, essere confrontato con alcun sinonimo12, lo si trova con regolarità nei documenti d’archivio che vanno dal XVI al XVIII secolo. Chi non ha accettato la voce “stagnone” in considerazione del fatto che appartiene ad “antica terminologia”13, ha formulato un giudizio esatto ed è infatti proprio per questa caratteristica - antica terminologia - che decisi di adottarlo avendo in mente l’insegnamento ripetutamente formulato dal Prof. Giuseppe Liverani durante i convegni albisolesi14 e cioè di adottare, per indicare gli oggetti ceramici, “tutte le volte che è possibile, la nomenclatura scoperta nei documenti”. Sulle proposizioni filologiche e storiche del Maestro degli studi ceramici non mi sembra il caso di soffermarsi, ma ritengo che ognuno di noi possa accampare altre proposizioni: per esempio quella di giustificare l’adozione del termine “idria” in luogo di quello di “stagnone” perché appartenente a “moderna terminologia”15. In effetti la voce “idria” ha avuto come molte errate attribuzioni di marchi - una notevole diffusione nell’area antiquariale mentre la voce “stagnone” non deve essere suonata armoniosa nemmeno per altri16 come ho anche potuto constatare nello sfogliare un elegante dépliant che fornisce informazioni su un’altra mostra, quella dei “Restauri nel Savonese 1993-2000”, proposta al Palazzo del Commissario nel Priamar di Savona nell’estate del 2000 “Itinerari d’Arte dal XV al XVIII Secolo”. Nel dépliant, tra le varie opere d’Arte illustrate con bellissime foto a colori, è presente un grande vaso della farmacia savonese dell’ospedale San Paolo; la didascalia lo data al 1666 e lo indica con il nome “idria” mostrando di preferire intenzionalmente il neologismo di Marinoni. Per il grande vaso di identica morfologia pubblicato nel catalogo della mostra “In Terra Santa” avevo ovviamente usato, per indicarlo nella didascalia, il termine “stagnone”. CERAMICA 43 Chissà perché ho la sensazione che si sentano piuttosto imbarazzati quelli che trovano, in due mostre importanti per la cultura ligure, realizzate nel 2000 a pochi mesi di distanza l’una dall’altra, nomi così diversi per indicare vasi uguali e me ne sento un po’colpevole, non foss’altro per non aver avuto la capacità di riuscire a convincere. Al di là di ogni disagio non posso comunque fare a meno di pensare che il termine “stagnone” avrebbe conferito maggiore dignità al vaso dell’antica farmacia di San Paolo, perchè si sarebbe presentato con il suo vero nome, quello con il quale era nato. Con quello infatti avrebbe anche potuto fornire un autorevole contributo storico e culturale (sul quale mi propongo di ritornare in un prossimo futuro)17 ma che l’adozione dell’esotico e “dotto” “idria” non gli permette di fare in nessun modo. NOTE 1) G. FARRIS, La farmacia dei Francescani di Gerusalemme; in In Terra Santa, catalogo della mostra, Firenze - Milano 2000, pag. 170. 2) G. FARRIS e A. STORME, Ceramica e farmacia di San Salvatore a Gerusalemme, Genova 1981. 3) G. FARRIS, Ceramiche savonesi in Oriente, in “Risorse”, VI, 2/3, 1987, pag. 33. Maiolica di farmacia tra Genova e Terra Santa ,in Atti del Convegno Internazionale su Le vie del Mediterraneo, Genova 1992, pag. 59. Il maiolicaro savonese Francesco Salomoni fornitore della farmacia di Gerusalemme; in Ricami e maioliche genovesi del Seicento a Gerusalemme, Genova 1992, pag 55 (dove il titolo avrebbe dovuto essere più correttamente “Ricami e maioliche liguri...”). 4) A. DE SGOBBIS, Universale Theatro Farmaceutico..., Venezia 1682, pag. 526, elenca alla voce “canditi o candizati officinali più comuni” ventinove varietà di questa forma farmaceutica: non si discostava molto dai canditi che conosciamo, ma le venivano attribuite qualità terapeutiche; vi troviamo quelli di “Aranzi Intieri”, di “Corteccia d’Aranzi”, ma anche di “Radici d’Angelica” e “...di Scorzonera”. Devo confessare che, da quando ho pubblicato i documenti savonesi (V. nota n. 3) nei quali compare la fatturazione dei “Vasi da canditi” associata a quella di “Vasi da elettuari”, sto aspettando con speranzosa curiosità quale sarà la proposta antagonistica di un nome non appartenente ad “antica terminologia” per indicare il “vaso da canditi”. È interessante osservare l’ostinazione con la quale continua ad essere usato, da alcuni, il termine “unguentario” per indicare il “vaso da elettuari”: si tratta di un errore storico, funzionale, linguistico, come ritengo di aver da molti anni dimostrato con proposizioni oggettive. 5) G. FARRIS, Appunti per una discussione sulla nomenclatura delle forme ceramiche; alzata o sottocoppa?, in “Faenza”, 86, I-III, 2000, pag. 241. 6) A. CAMEIRANA, Inedite società ceramiche a Savona nel XVIII secolo, in “Atti XVIII Convegno di Albisola”, 1985, pag. 122-123 e 150. 7) È spiacevole rilevare - l’ho fatto altre volte - quanto sia stata finora negativa la pregiudiziale mancanza di seri criteri scientifici nella storiografia della ceramica ligure che non ha mai saputo andare molto al di là delle approssimate, errate e sgrammaticate affermazioni che si trovano negli appunti del Maggi (si veda, per es. G. FARRIS e A. STORME: l.c. 1981 tutte le annotazioni sul Maggi e G. FARRIS: l.c. 1992, nota n. 4). 8) Erano moltissime le acque alle quali veniva attribuito valore terapeutico; A. DE SGOBBIS (l.c., pag. 77) sotto il titolo “acque semplici, e flemmatiche officinali più usuali” ne elenca ben centoventun tipi. 9) G. PESCE, Maioliche liguri da farmacia, Milano 1960, pag. 23. 10) G. BUSCAGLIA, La maiolica savonese nella raccolta civica, Savona 1990, pag. 52. 11) Facevano parte di una importante vendita alla Galleria savonese “La Navicella” e sono stati illustrati alle pagg. 58 e 59 del catalogo della mostra Antiche maioliche savonesi - 2a Mostra, Savona 1992 (un interessante confronto è stato posto con il vaso “a” della tav. CXLIII in O. GROSSO e G. MORAZZONI, Mostra dell’antica maiolica ligure, catalogo della mostra, Genova 1939). Rientrano nella terza donazione Boncompagni. 12) La destinazione a contenere solo acque è confermata dalla precisazione “stagnone da aque” (1676) (L. LUCATTINI, Arte e ceramiche nel Museo dell’Ospedale di S. Martino di Genova, Genova 1975, pag. 217). 13) G. BUSCAGLIA: l.c. 14) V., per es., in “Atti IV Convegno di Albisola”, 1971, pag. 164. 15) Il termine “idria” era stato usato da G. MARINONI (Arte Ceramica, Genova 1914, pag. 47) che, nutrendo una grande ammirazione per la ceramica greca, ritenne vi fossero strette affinità con le forme dei vasi greci per tutte le forme dei vasi liguri di farmacia e preferì addirittura scrivere come termine per lo stagnone “hydria”. Da qualche anno mi permetto di richiamarmi, ogni tanto (V., per es., La bellezza della forma, in “La Casana”, 1, 1994, pag. 45), ad un suggerimento limpidamente espresso da M. Foucault (L’uso dei piaceri, Milano 1984): “..Vi sono momenti nella vita, in cui la questione di sapere se si può pensare o vedere in modo diverso da quello in cui si pensa e si vede è indispensabile per continuare a guardare e riflettere..” ci può essere utile rileggerlo... ma con serenità d’animo. 16) Per es. per F. MARZINOT (Ceramica e ceramisti di Liguria, Genova 1987). 17) Per affrontare il noto rapporto tra contenitori metallici e contenitori ceramici (del resto già accennato per quanto attiene allo stagnone alle pagg. 62 e 63 - in G. FARRIS e A. STORME, 1. c. -), ma soprattutto per fornire evidenze filologiche che non sembra sia stato in grado di fare in precedenza.