Orario lezioni. Mercoledì, ore 16.00-18.00, aula AVILA, Corso Italia. Giovedì, ore 18.00-20.00, aula AVILA, Corso Italia. Venerdì, ore 16.00-18.00, aula AVILA, Corso Italia. Sociologia dei processi culturali Sociologia della cultura Prof. Luca Salmieri Lezione 7 ‘Cultura politica, economia e consumi nelle società moderne’ I legami tra cultura e agire sociale Sappiamo che la maggior parte degli approcci teorici e delle ricerche che si sono occupate di stabilire che tipo di legame esista tra cultura e società, mettono in rilievo la tesi che fondamentalmente si tratti di un’influenza reciproca. Resta tuttavia aperta un questione: in che modo norme, valori, credenze esercitano comunque un’influenza su i comportamenti effettivi delle persone e, in secondo battuta, in che modo questa influenza che passa per gli individui si riconsolida poi a livello sociale, cioè ri-aggregando gli individui? Esistono 2 modelli esplicativi: 1) Attore socializzato: secondo questo schema, abbastanza dipendente dall’opera di Parsons, i valori e quindi di conseguenza le norme condivise da una comunità si traducono in azioni conformi grazie a processi di interiorizzazione che avvengono nell’infanzia e che producono personalità aderenti ai valori dominanti. In seguito nel ciclo di vita, vi sono diversi meccanismi di rinforzo, tra cui le norme e le relative sanzioni, che esercitano una funzione di controllo sociale anche nei momenti più ordinari e banali della vita quotidiana. In questo modo le disposizioni di base della personalità diventano compatibili con le aspettative legate ai ruoli sociali, rendendo meno imprevedibili e aperti al caso assoluto i comportamenti dei singoli e dei gruppi. Valori interiorizzazione Comportamenti I legami tra cultura e agire sociale 2) Identità sociale: secondo questa visione non sempre è riscontrabile un legame diretto tra valori e comportamenti. Pertanto è più utile considerare che essi, tramite le norme e le credenze, possano essere legati al comportamento se credenze e norme sono condivise con un gruppo e quindi riescono a definire un’identità che lo stesso gruppo convalida. Questo elemento produce una selezione: solo alcuni tipi di credenze e di norme condivise arrivano ad influenzare il comportamento degli individui di un gruppo sociale. Inoltre, le norme non funzionano socialmente soltanto per garantire conformità nei comportamenti e mantenimento dell’ordine sociale, ma anche e soprattutto per dare validità alla identità. Valori Identità sociale Comportamenti In questo caso le credenze e i valori devono essere capaci di dar forma a specifiche identità sociali prima che siano in grado di orientare l’azione. Una posizione, questa molto simile all’impostazione weberiana, secondo cui ‘le immagini del mondo’ a volte possono orientare l’agire sociale. Cultura politica e cultura civica Nel corso della seconda metà del Novecento l’analisi sociologica della cultura è divenuta importante, tra i vari campi di applicazione dello studio dei processi culturali, anche per la verifica dell’influenza della cultura sui processi politici, sulla stabilità della democrazia e sui tipi di democrazia. In generale questo campo di studi ritiene che le preferenze che orientano le azioni degli individui nascano dall’interazione sociale e dai valori condivisi che legittimano diversi e a volte opposti modelli di pratiche sociali. Putnam è considerato l’iniziatore del pensiero secondo cui la tradizione culturale di un paese può rappresentare un fattore determinante per il buon o cattivo funzionamento di un sistema politico ed economico di un paese. Negli anni ‘60 negli Stati Uniti le ricerche empiriche di scienza politica producono un mole considerevole di teorie circa le diverse culture politiche. In particolare il noto studio di Almond e Verba ‘The Civic Culture’ del 1963 in cui 5 democrazie (USA, UK, Germania, Italia e Messico) e il loro diverso livello di funzionamento sono analizzati in rfapporto alle rispettive culture politiche, con tradizioni e legami con l’organizzazione sociale di ciascun paese. >Ogni sistema politico è legato alla cultura attraverso valori e norme condivise dalla popolazione > la cultura si sedimenta nel tempo > i processi di apprendimento mediati dalle agenzie di socializzazione (famiglia, scuola e gruppi sociali) fanno sì che questa cultura entri a far parte delle personalità degli individui > ciò orienta gli individui ad agire in un determinato modo. (Modello dell’attore socializzato). In questo senso la cultura politica sembra rispecchiare il concetto di cultura nazionale. A correggere l’idea forte che vi sia una sostanziale omogeneità tra cultura e personalità, Almond in seguito ha introdotto la nozione di personalità di base, importata dagli antropologi come Margareth Mead, Ralph Lindon e Abram Kardiner. Cultura politica e cultura civica Nell’ambito del filone di studi inaugurato da Almond e Verba, il concetto di cultura civica rappresenta una specificazione del concetto di cultura politica. Quest’ultima è definita come l’orientamento psicologico dei membri di una società nei confronti della politica. Secondo Almond e Verba, in paesi come l’Inghilterra e gli Stati Uniti, la cultura politica era di tipo misto perché contemperava in modo congruo l’ideal-tipo del modello attivista della cittadinanza democratica e l’ideal-tipo del modello passivo basato sulla fiducia e la deferenza verso le autorità e le istituzioni. In paesi come l’Italia invece la cultura politica viene definita particolaristica in quanto la società appare frammentata, con un livello di fiducia ristretto alla famiglia in linea con ciò che negli stessi anni l’antropologo americano Edward Banfield riscontra nel suo ideal-tipo di familismo amorale (1958), concetto divenuto poi molto famoso diversi anni dopo. Negli anni Novanta Putnam tentò di dimostrare con una vasta mole di dati empirici come la cultura civica variasse nelle diverse regioni italiane, comportando un differente rendimento istituzionale delle amministrazioni regionali. Le cause profondo a suo avviso risalivano alla diversa tradizione civica delle regioni italiane. Una maggiore o minore presenza di civicness (senso civico). Lo spirito civico veniva indicato come quel tessuto fatto di valori, norme e regole radicate nel contesto associativo e che favorisce la cooperazione sociale e la fiducia verso gli altri e le istituzioni. Ingleahart negli anni Novanta ha effettuato studi comparando per diversi paesi il livello di fiducia espresso verso gli altri e la continuità e la durata dei sistemi democratici giungendo a trovare una stretta correlazione tra le due variabili. Secondo Inglehart la fiducia interpersonale rappresenta un indicatore della cultura civica. A partire dalla critica al modello elaborato da Almond e Verba - vi sarebbe un rapporto troppo deterministico tra cultura e istituzioni politiche - sono state sviluppare teorie più specifiche: in ogni paese vi sono varie subculture politiche. Cultura politica e cultura civica Anche la cultura civica deve essere vista come qualcosa di complesso. 3 dimensioni: a) morale: valori espressi sotto forma di giudizi su ciò che è giustificabile o meno negli atti nei confronti di beni pubblici e diritti della persona. A sua volta scomponibile in: a1) responsabilizzazione giudizi su atti che possono essere rischiosi a2) diritti autonomia e libertà della persona a3) civismo condanna di comportamenti lesivi di interesse pubblico o contrari alla legge b) fiducia: orientamenti cooperativi e aspettative di azioni conformi alle attese c) identificazione: senso di appartenenza ad una comunità territoriale. In Italia le ricerche più recenti metterebbero in luce che la cultura civica non è omogenea, ma si articola in diverse concezioni della cittadinanza : 1) libertaria, individualista e anticonformista; 2) orientata alla partecipazione politica; 3) incline al rispetto delle leggi e poco attivista. Inoltre, secondo Sciolla, la correlazione tra civismo e fiducia dovrebbe riferirsi ad un concetto di fiducia non intesa nei confronti generici dell’Altro, bensì nei confronti dei connazionali, delle istituzioni e della chiesa. L’Italia sarebbe caratterizzata dalla debolezza delle fonti di integrazione del senso civico, in particolare la fiducia nelle istituzioni. Metodologicamente questa e le altre ricerche centrate sui valori, la cultura civica e quella politica sono state criticate e accusate di fallacia individualistica, cioè di una sorta di psicologizzazione della cultura, come la somma di orientamenti psicologici individuali. Cultura, economia e consumo Uno specifico tratto culturale per la genesi del capitalismo. Il classico esempio di analisi dell’influenza culturale sull’intera società è quello già citato de L’etica protestante e lo spirito del capitalismo di Max Weber. Riportiamo di seguito i nodi fondamentali della tesi di Weber mirabilmente descritta in questa opera. Si parte da una regolarità statistica - in alcune professioni moderne del capitalismo abbandonano gli individui di religione protestante - per formulare un interrogativo di ricerca. Lo spirito del capitalismo (ricerca razionale del guadagno, concezione del ruolo sociale discendente dalla professione, dalla morale e dal senso del dovere) sono le idee e i valori che contraddistinguono il capitalismo moderno. Questo spirito, prima di diffondersi, è emerso solo in Occidente, in uno specifico periodo storico, tra XVII e XVIII secolo. Weber ritiene che fattori culturali siano alla base della genesi del capitalismo, anche se rappresentano una concausa, assieme alla formazione delle città industriali, quello dello stato, del diritto razionale. Le tappe delle spiegazione di Weber: l’etica protestante come impulso pratico all’azione di tipo capitalistico; la rottura della riforma protestante rispetto all’etica cattolica tesa invece a tollerare l’accumulazione capitalistica, ma non a razionalizzarla; lo sviluppo di uno propensione psicologica imprevista da parte dell’ascesi mondana derivante dalla teoria della predestinazione. Cultura e sviluppo economico. Dopo le famose ricerche comparate di Weber sui tipi di religione nelle aree del mondo come prova che quella protestante è stata determinante per la genesi del capitalismo, si passa all’esame del rapporto tra fattori culturali e sviluppo dell’economia, Inglehart, utilizzando metodi statistici, sottolinea come la motivazione al successo degli attori sia fortemente correlate al tasso di sviluppo economico di un paese. Tuttavia, la correlazione non è un nesso causale. Infatti, Inglehart sostiene l’importanza anche di altri fattori, di tipo economico, cui avvicina quelli culturali e in particolare per i paesi sviluppati e avanzati, la diffusione di valori post-materialisti. Cultura, economia e consumo Lo studio del consumo dal punto di vista culturale è stato importante perché ha permesso di superare la visione limitata del modello economico neoclassico secondo cui il consumatore agisce razionalmente, cioè con la capacità di acquisire tutte le informazioni necessarie sulla qualità e sui prezzi dei beni, mettendoli a confronto e calcolando la sua utilità. L’approccio culturale mette in luce il valore simbolico dei beni che sono acquisiti per il prestigio, per la distinzione e per l’identificazione. I primi autori a mettere in luce l’importanza di questi processi sono stati Thorstein Veblen e Georg Simmel, secondo i quali il consumo è ricercato come fonte di prestigio e di distinzione sociale. In questo caso il legame principale è con la stratificazione in classi e ceti sociali. Nel 1899 Veblen scrisse La classe agiata in cui sottolineava l’importanza del consumo vistoso di beni come segno di distinzione antagonistica e appartenenza a quelle classi elevate capaci così di mostrare a sé stesse e agli altri l’onorabilità e la rispettabilità del loro rango. Ciò, secondo Veblen, comportava anche un processo di imitazione da parte delle altre classi sociali che tendevano a raggiungere un modello ideale di vita. Simmel in modo simile assegna una primaria importanza al fenomeno della moda in cui sono presenti sia l’imitazione che la differenziazione continue attraverso una sequenza dei beni basata su ricercatezza, diffusione, svalutazione, ulteriore ricercatezza. Più recentemente e per l’esattezza negli anni ‘80, Bourdieu attraverso il concetto di habitus sottolinea il fatto che per tutti gli individui esistono principi di disposizione inconscia interiorizzata riferibili ad un gruppo sociale che tali principi si formano attraverso la socializzazione e la partecipazione a modi di vita particolari. Habitus: «sistemi di disposizioni durabili e trasferibili, di strutture strutturate predisposte a funzionare come strutture strutturanti, ovvero, al contempo, come principi generatori e organizzatori delle pratiche e delle rappresentazioni che possono essere oggettivamente adattate agli scopi senza supporre la visione cosciente dei fini e la padronanza esplicita delle operazioni necessarie per raggiungerli, e come obiettivamente “regolate” e “regolari” senza essere il prodotto docile di quelle regole, e soprattutto collettivamente orchestrate senza essere il risultato dell’azione organizzatrice di un maestro d’orchestra». Cultura, economia e consumo Secondo Bourdieu l’habitus funziona come principio unificatore di quasi tutte le scelte e pratiche sociali realizzate da un attore. La totalità di tali pratiche costituisce uno stile di vita che costituisce uno schema di percezione e di valutazione attraverso cui distinguere e classificare i membri di un gruppo sociale e il cui senso deriva dalla posizione in un sistema di opposizioni e di correlazioni. Per Bourdieu, le scelte di consumo pur dipendendo in via generale dal sistema di stratificazione sociale, ma nella pratica sono mediati dagli schemi di percezione e organizzazione cognitiva del mondo. Attraverso l’habitus e in modo non troppo cosciente trasformiamo le cose e i beni che acquistiamo e consumiamo in segni che hanno un significato tanto per noi che per gli altri. Altri approcci che assegnano importanza alla cultura per la comprensione dei consumi, diminuiscono il peso della stratificazione sociale e sottolineano quello dello scambio simbolico (Douglas e Isherwood). Questi due autori rimarcano come il consumo sia una sorta di ‘campo di battaglia’ per definire la cultura e darle una forma. I beni diventano accessori rituali e il consumo un processo la cui funzione primaria è quella di dare un senso al flusso indistinto degli eventi. Il consumatore non ha un ruolo passivo, ma sceglie i beni attraverso cui costruire un universo intelligibile, caricando di significato alcuni aspetti delle azioni di consumo. I beni divengono marchi di identificazione e classificazione degli eventi. Gli approcci più recenti tendono a sganciare i gusti e gli stili di vita dalle classe sociali, negando così la distinzione netta tra cultura alta e cultura popolare e dando invece rilievo ai codici simbolici autonomi di identificazione.