Carlo Migliavacca
GIRO
NEVE
Carlo Migliavacca, Giro Neve
Copyright© 2014 Edizioni del Faro
Gruppo Editoriale Tangram Srl
Via Verdi, 9/A – 38122 Trento
www.edizionidelfaro.it – [email protected]
Prima edizione: marzo 2014 – Printed in EU
ISBN 978-88-6537-803-8
Dello stesso autore: 5048. Il posto giusto al momento giusto,
Trento, Editrice UNI Service, settembre 2010
Al bianco e al blu,
al rosa e al celeste
e a chi non li distingue
e separa
GIRO NEVE
Torta di mele
1
Per chi non lo conoscesse, Deptford è un popolare distretto di Londra, ancorato alla riva destra del Tamigi, a metà strada fra London Bridge e Greenwich.
Ambientazione d’origine stile porto delle nebbie, vi ebbero sede i primi cantieri
navali reali, diventati poi magazzini di stoccaggio e ora area per futuri e lussuosi
loft residenziali.
Nel suo cuore, nella piccola stazione della National Rail, la prima costruita a
sud del fiume, i treni arrivano e partono come sempre, ma con loro e sotto di
loro, è cambiato il mondo.
Prima un territorio a un passo dall’emarginazione, regno incontrastato di autodemolitori e capannoni industriali abbandonati, rifugio di punk bestia e immigrati.
Poi un quartiere rivalutato dei bassi costi e dalla business economy, luogo prediletto
dall’estro dei nuovi artisti e dall’emergente controcultura giovanile della capitale.
L’università, il conservatorio di musica e danza moderna, il teatro, l’art center,
il festival delle arti visive, il caffè progetto, il mercatino tre volte la settimana, il
cinema all’aperto e uno street party ogni sera quando è estate.
Lungo la ferrovia, in High Street e dintorni, New Cross Road & Creekside,
accanto agli sgangherati negozi intrisi di spezie, sudore e umidità, è stato un
fiorire di bazar, atelier, studi di antiquariato e di art design.
Un miscuglio di suoni e di colori, di musica afro caraibica e di luci a energia
solare. Di paglia riciclata, erba cipollina e coriandolo vietnamita. Di carni alla
griglia, salse piccanti e peperoni arrostiti.
Tre camini e una cravatta, due anime e un corpo solo, il pensiero senza più regole: la chiamano così, gemma creativa, scena culturale ronzante.
Deptford, la terra natale di Ben.
A soli quindici minuti di treno da Charing Cross, il centro di Londra.
2
Sotto la tettoia di vecchi paracaduti del cinema muto, Nick, Christopher e la
ragazza che stava fra loro, sedevano sui colorati cuscini fatti a mano, con le cuf9
fie senza fili fra i capelli. Ben, macchina fotografica al collo, andava in cerca di
nuovi attimi da immortalare.
Quando li vide, Oh polline di fiore, ronzò loro intorno e, senza dare troppo
nell’occhio, inquadrò, mise a fuoco e…
A sorpresa loro si alzarono e, con sincronismo quasi perfetto, iniziarono a danzare. Sì, a danzare. Anche un maxi bicchiere di salsa e popcorn saltò in aria e
condì la scena.
Fu bellissimo, la sera di Dirty Dancing.
Due giorni dopo, mentre il sole filtrava pallido attraverso l’ampia vetrina del
Ray Foto Studio, la porta d’ingresso si aprì. Nick fu il primo a entrare e salutò,
lui per tutti, mettendo sul bancone lo scontrino numerato per il ritiro della
fotografia.
“Sei sicuro di volerla?” gli chiese Ben.
Lui ricordava ogni particolare di quella sera, era fantastico. Non solo aveva sviluppato la foto di gruppo, ma aveva anche ritagliato e ingrandito un bel primo
piano per ognuno di loro.
“Per questa foto ho litigato con la mia amica” rispose Nick, voltandosi verso di lei.
“È un complimento o un rimprovero?” domandò Ben.
Niente, le sue parole caddero nel vuoto e lui avrebbe riavvolto il nastro, ma non
ebbe il tempo di farlo.
“Scusa” disse la ragazza, spezzando l’imbarazzo sul nascere.
“Dimmi”.
“Ricordati che hai un debito con noi”.
“Quale debito?”
Lei si fece seria, quasi imbronciata.
“I miei popcorn” rispose.
Si misero a ridere, sì, come ridono gli occhi e Ben non trovò di meglio che
ripagarla con un invito.
Lei accettò.
Era una mattina di domenica, una domenica d’estate, quella del 2009.
3
La passione per le arti figurative aveva contagiato Ben all’ultimo anno di scuola,
colpa o merito dell’X Festival 2007. Finito il livello avanzato di studi, aveva
frequentato un corso di fotografia e dopo l’apertura di un nuovo studio nel
quartiere, non si lasciò scappare l’occasione.
Prese la sua croce e, una dopo l’altra, fotografò tutte le vetrine di High Street.
Non contò gli scatti, ma furono tanti. Poi trasferì le foto sul computer e le riunì
in un unico foglio, lasciando uno spazio vuoto proprio nel centro.
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Gli piacque.
Tornò alla sua ex scuola, si fece stampare per poche sterline il manifesto di prova, poi spinse la porta a vetri del Ray Foto Studio e presentò se stesso e il suo
omaggio a chi gli stava davanti.
“È l’ultima cosa che avrei pensato di vedere” disse Mister Ray.
Più che restarci male, Ben rimase sorpreso. Quelle parole non se le aspettava,
ma non gli parvero una bocciatura.
Mister Ray mise il manifesto sul bancone, lo stese con cura e passò in rassegna
tutte le vetrine, cercando la propria. Non la trovò.
“E va bene” disse “perché l’hai fatto?”
“Perché amo fotografare e mi piacerebbe farlo per lavoro” rispose Ben, tutto
d’un fiato.
“Sì, ma perché hai lasciato questo vuoto nel mezzo?”
Ben sorrise e giocò il jolly.
“Perché ogni giorno la sua vetrina potrà essere diversa”.
“Ah, però” commentò Mister Ray.
Ben prese un pennarello dalla tasca, tolse il cappuccio e chinandosi sul manifesto, pur essendo contro mano, scrisse RAY FOTO nello spazio lasciato in
bianco.
“La S è troppo difficile da scrivere?” chiese Mister Ray.
Ben sorrise e annuì.
Mister Ray ringraziò per la dedica, ritirò il manifesto e salutò senza impegno.
A distanza di tre giorni si fece vivo e fotografare Deptford e la sua gente divenne
il nuovo lavoro di Ben.
4
Le radici di Christopher e quelle di Amy (è questo il nome di C’era-una-voltala-mia-camicia-pulita) erano profondamente diverse fra loro, ma si riunivano e
prendevano luce in un unico grande albero. A pensarci bene, visto il debutto,
non era difficile intuire quale: il master di coreografia e danza moderna, presso
il Trinity Laban Conservatoire, Creekside.
Christopher, nativo di Dover (contea del Kent), era diventato uomo calciando uno stupido pallone contro il muro per poi capire che non era quello
il modo di abbattere le alte e bianche scogliere della sua vita. Romantico e
sensibile, preferiva evitare pellicole sentimentali per non correre rischi inutili.
Amy, nativa di Sheffield (contea del South Yorkshire), allevata nell’aria radiosa
di chi ama, era dolce e discreta, sempre a suo agio anche in un labirinto privo di
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luoghi comuni. Tranquilla e tenace, si teneva in forma con la corsa e col sorriso
delle sue labbra.
Nick, invece, volontario presso l’lderton Foundation (un istituto di recupero
giovanile e di studio della meccanica del motore), le radici sembrava averle perse. Nativo di Woking (contea del Surrey), figlio di un dirigente McLaren, era
cresciuto nel mito delle corse per poi perdersi tra i bagliori del lusso. Ragazzo
dal carattere forte, sempre sicuro di sé, davanti a un problema non andava certo
in cerca di una spalla su cui piangere.
Radici o non radici, scogliere, bacche e motori, loro tre insieme erano il bello
della vita: ventidue anni, una solenne promessa, una mano sulla spalla, un leggero bacio sulla labbra, una piccola bugia a fin di bene.
Chi si fosse trovato sulla loro strada, se ne sarebbe reso conto.
E fu così.
5
Quando la vide uscire dal forno un po’ più bassa del solito, Ben rimase deluso.
Poi ne apprezzò il profumo e si tranquillizzò: era la tradizionale e buonissima
torta di mele di sua madre.
Ogni domenica, ogni giornata di festa, quel dolce era lì con loro ed era come
tirar fuori il diario di famiglia, aprirlo e farvi entrare nuovamente la luce, quella
dei giorni migliori.
“Sei taciturno, oggi, qualcosa è andato storto in negozio?”
“No, tutto bene” rispose Ben.
Evidentemente la sua non fu una risposta convincente.
“Ti piace ancora lavorarci?”
Quella era la grande preoccupazione di sua madre e lei non perse l’occasione
per manifestarla.
“Il giardino non è più grande se i fiori fioriscono” fu la risposta.
Parole emblematiche, pescate chissà dove, ma lei, abituata a quel linguaggio,
non si meravigliò più di tanto. In compenso cominciò a pensare che a suo figlio,
lavoro o non lavoro, il giardino della vita doveva cominciare a stare davvero
stretto.
“Sei ancora giovane” gli disse “non devi avere fretta”.
Lui alzò gli occhi e la guardò come si guarda una pubblicità vista e rivista decine
di volte.
“Ho vent’anni, mamma, sono sempre stato in questo cazzo di quartiere” le disse
“non mi sembra di aver avuto fretta”.
Aveva ragione lui, eccome se aveva ragione.
“Dai, prendine una fetta” disse lei.
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E mentre col coltello cominciò a farsi largo, le sembrò di sentire un velo di polvere in bocca e deglutì senza volerlo. In realtà, non vedeva l’ora di piangere e di
rendere felice il suo unico figlio.
6
Per Ben, High Street era la classica medaglia a due facce, il bello e il brutto del
suo mestiere. Tutti lo conoscevano, tutti lo salutavano e gli volevano bene, ma
non c’era una sola persona in grado di offrirgli carte nuove. Questo lo scoraggiava e, come biasimarlo, si trovava spesso a meditare la sorpresa della prossima
mossa.
L’appuntamento con Amy e i suoi due compagni era al Project Bar per le sette
di sera.
Quando li vide arrivare, Ben era davanti al bazar di Nolan, intento a discutere
di fotoritocchi.
Nolan sosteneva che le fotografie pubblicate sui settimanali di gossip erano
solo pagliacciate e finzioni. Ben lo provocava obiettando che la finzione stava nel soggetto ritratto e che il fotografo cercava solo di ripristinare la verità
perduta.
“Spero che tu stia scherzando, ragazzo”.
“Per niente, tu vendi carta per il culo, io provo a regalare sogni”.
“Sbagli” esclamò seccato Nolan “io la carta te la regalo”.
E senza il tempo di una replica, un kit da quattro passò di mano e la discussione
finì lì.
“Film drammatico questa sera?” chiese Nick, lui per tutti come al solito.
“Puoi dirlo forte” rispose Ben “abbiamo un rotolo a testa”.
Sorrisero.
Si presentarono, non lo avevano ancora fatto. Fu allora che Ben sorprese tutti,
memorizzando i loro nomi.
“Yes, you CAN, me Ben”.
“Che diavolo hai bevuto?” gli chiese Christopher.
Era il minimo che potesse dire, visto che non capiva, e non era il solo, cosa significasse quella frase. Eppure non era poi così difficile da decifrare.
C A N, le iniziali di Christopher, Amy e Nick.
“Ti vengono così?” gli chiese Amy.
“Colpa dei vostri nomi” rispose Ben, indeciso se considerare quella domanda il
frutto di un intuito o un bluff.
“Scusate, potete spiegarvi meglio?” chiese Nick.
Parole semplici, senza pretese, ma che colpirono Ben a sorpresa e con forza,
tanto che pensò di arrossire.
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Non accade, ma dentro di lui presero forma due nuove coppie: Nick e Christopher da una parte, lui e Amy dall’altra.
E così, come d’incanto e per la prima volta, lui si trovò a perdersi negli occhi di lei.
7
L’anima del Deptford Project era una vecchia carrozza ferroviaria trasformata
in un pop up caffè. A prima vista nulla di più statico, in realtà un sassolino da
trentacinque tonnellate depositato in acqua.
Un’esplosione vera e propria, un cambiamento potenzialmente radicale. C’era
d’aspettarsi di tutto e Ben era lì, pronto a cavalcare ogni onda, con la sua bella
croce appesa al collo.
L’attesa si fece lunga, nessuno dei tavolini esterni si liberò. Così Ben e i suoi
amici si accomodarono all’interno della carrozza.
Ben era di casa, ma non fece nulla per ostentarlo. L’unico privilegio gli fu concesso da Samir, il giovane cameriere arabo, che gli riservò il solito sgabello.
“Ti va bene se invece dei popcorn ti offro insalata e dolci?” chiese ad Amy.
“Mi accontenterò” rispose con dolcezza lei.
Proprio in quel momento un ragazzo tracagnotto con una smorfia al posto del
sorriso si mise a strepitare: “Samir, siamo qua”.
Ci fu un brusio in carrozza che smosse un po’ le acque.
“Senti” disse Nick “per te questo è lavoro o divertimento?”
“Ne l’uno ne l’altro, quello che faccio è solo per passione”.
“Anche cagare?”
Già, c’era sempre quell’insolito, inopportuno bagaglio a mano fra loro e ancora
una volta Nick aveva trovato il modo di sottolinearlo.
“Lascialo perdere” disse Christopher appoggiando la mano sulla spalla di Ben
“piuttosto, dimmi, cos’è questa storia dello sgabello personale?”
Ben sorrise, si alzò e sollevò, mostrandolo, quello su cui era seduto. C’era scritto
a grandi lettere, nero su bianco: I’m free, io sono libero.
“È la verità?” gli chiese Amy.
“Non so” rispose lui “dipende da quello che c’è scritto sul tuo”.
Amy lo guardò incuriosita, che razza di risposta è – pensò – poi si alzò, abbassò
lo sguardo e lesse: Love Seat, il posto dell’amore.
Sorrise.
Anche Nick e Christopher si alzarono, ma sotto il loro culo trovarono solo dei
disegni astratti.
Samir aveva lavorato bene e quando si avvicinò al tavolo, Ben gli schiacciò l’occhio e barattò quattro rotoli di carta igienica per un menù.
“Allora, sei libero o no?”
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“Quanta fretta Amy, quanta fretta”.
Parole o pensieri in libertà?
8
No, non bisognava avere fretta.
La madre lo diceva al figlio, il figlio all’amica, il docente lo insegnava ai suoi
studenti.
“Prima di sperimentare una vita individuale artistica, noi dobbiamo imparare a
osservare. La coreografia è innanzitutto lettura della natura e ascolto dei suoni.
La coreografia è percezione del nostro corpo, del nostro respiro, del battito del
nostro cuore. La coreografia è lo studio delle simmetrie, lo studio dei ritmi e
delle fluidità, è lo studio del viso e dello sguardo”.
Già, lo sguardo.
Per Amy, quello di Ben parlava da solo.
Sì, se ne sentiva attratta e bisognosa, come se quel ragazzo appena conosciuto
riuscisse a tirarle fuori il meglio di sé, proprio come aveva fatto con l’ingrandimento in bianco e nero che lei s’era appeso in camera, tra la finestra e l’armadio.
Eppure le pareva di correre troppo.
Prima di pensare a una nuova storia d’amore lei avrebbe dovuto impostare la
sua nuova vita a Londra.
Non bastava aver trovato una sistemazione apparentemente ideale, due compagni simpatici e poco invadenti, che le garantivano amicizia e nello stesso tempo
tutta la riservatezza e l’intimità di cui sentiva il bisogno, nell’appartamento
condiviso in Albury Street.
No, non bastava, aveva ragione Ben, non doveva avere fretta.
E fa niente se poi avrebbe atteso con impazienza la sera per rivederlo.
9
Anche Nick correva troppo, ma in auto.
Christopher se ne rese conto il pomeriggio che fecero un salto a Woking. Solo una
trentina di miglia, sufficienti però per menta, cocco e batticuore. Tanto batticuore.
“Siamo sicuri di arrivare?” disse con un velo d’ironia Christopher.
“E no Chris, non ci provare. Cambia canale” ribatté Nick.
La SLK200 sport coupé cabrio a due posti continuò a sfrecciare lungo l’A3 e
dintorni, scartando ogni indugio, fino al cancello di casa.
“Scusa” disse Christopher “siamo arrivati in mezz’ora, perché stai in affitto a
Londra?”
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“Perché voglio essere libero, libero di fare e disfare, libero di tornare a casa oppure no. Tanto, come vedi, problemi di soldi non ce ne sono”.
Mentre Nick parlava, l’auto giunse al termine di un vialetto di siepi. Davanti a
Christopher apparvero un cortile sterrato e una bianca villa a due piani, finemente rifinita in legno e circondata da grandi alberi.
“Che te ne pare, Chris?”
Non ci fu risposta, Nick sembrò aver pensato a voce alta e non attese repliche. Fermò l’auto davanti ai box, ne comandò l’apertura e si mise ad aspettare.
Non voleva posteggiare, voleva solo verificare la presenza o meno di altre auto.
Niente Q7 del padre, niente Mini della madre, c’era soltanto la vecchia Jaguar
d’epoca di famiglia, coperta dal telone protettivo. Questo voleva dire che in
casa avrebbe trovato solo Kamal, il cuoco e domestico indiano.
Attese la chiusura delle serrande, prese la sacca dei vestiti da dietro il sedile, fece
un cenno a Christopher e andarono alla porta d’ingresso.
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Inutile dire che, come spesso accade, la stessa immagine fu in grado di stimolare reazioni opposte fra loro. Nick ingerì le sue abituali dosi antiallergiche e
si tenne alla larga da quell’insieme di divani che componevano il piano terra.
Christopher ne restò affascinato, non aveva mai visto nulla di così accogliente
e non mancò di manifestarlo.
“Sono contento che ti piaccia” disse Nick “accomodati pure dove vuoi. Io salgo
un attimo in camera”.
Kamal, apparso dal fondo del salone, salutò con cortesia, prese la sacca dalle
mani di Nick e lo seguì.
Tre salotti gemelli si fondevano in un corpo unico e armonioso, grazie al tocco
raffinato dei tappeti e alla sapienza delle luci. I mobiletti di legno antico, distribuiti con cura, erano impreziositi da piatti di porcellana, petali di rose e cornici
argento di varie dimensioni.
Oltre un muretto rifinito con mattoni a vista s’intravvedeva una luminosa zona
pranzo, con cucina e isola incorporate.
L’interesse di Christopher si concentrò sulle fotografie. C’erano i classici primi
piani che ritraevano la famiglia a tutte le età, c’era un omaggio a Kamal pescatore con lo sfondo del suo oceano e c’erano i ricordi sportivi, dove il padre era
al fianco dei piloti. Christopher restò a lungo a fissare lo sguardo e il sorriso
triste di Senna.
Quando Nick entrò nella sua camera al primo piano si diresse verso il video
dell’impianto di sicurezza, sfiorò il pulsante di accensione e attese l’immagine.
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Appena vide apparire Christopher chino sui portaritratti del salone, sorrise e
andò verso la cabina armadio.
Kamal aveva già preparato tutto.
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L’autunno si affacciò mentre Mister Ray gustava un ultimo sorso di tè.
L’imbarazzo era svanito e lui si sentiva nel giusto a desiderare la donna che
gli stava davanti, seduta in un tranquillo, raffinato angolo del Royal Caffè di
Regent Street.
“Continueremo a vederci di nascosto ancora per molto?” le chiese.
“Adesso questo non conta, non trovi?”
Lui allungò la mano e accarezzò quella di lei.
Restarono così per un po’, incrociando i loro sguardi senza parlare. Un classico,
ma la vita non sempre può sorprendere. Quel pensiero però gli era rimasto dentro e lui provò a giustificarsi.
“In una città come questa” disse “tutto rischia di finire in fretta. Può starmi
bene quando si tratta di mode, non quando in ballo ci sono i sentimenti, i miei
sentimenti”.
Lei lo ascoltò con comprensione, ma non mancò di puntualizzare: “Forse avresti fatto meglio a dire i nostri sentimenti”.
“Sì certo, hai ragione. Ma vedi, è tutto così…”
“Vero, io direi vero”.
Lui allora le lasciò la mano, si alzò e, chinandosi verso di lei, le baciò con dolcezza le labbra.
Erano anni che Mister Ray non baciava una donna in quel modo.
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Oltre cento artisti, ventotto mostre, quattordici installazioni esterne ed eventi
di contorno: come ogni anno, il fermento creativo di Londra e di un’intera
generazione trovò il suo naturale epilogo nel Deptford X Festival di fine settembre.
Undici giorni di vita e di sana follia da consegnare alla storia che per Ben rappresentavano il momento clou delle sue stagioni: il flusso, il mutamento continuo. Senza quello, anche il più banale gesto quotidiano sarebbe diventato, col
passare degli anni, un peso insopportabile. E lui sembrava averlo capito.
Saltò da una mostra all’altra, curioso e impertinente, tornando a volte dov’era
appena stato per soddisfare nuove curiosità.
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Come per Alchimia, trasformazione di metalli base in oro.
“In realtà non è vero, giusto?”
“Beh, sarebbe troppo bello. L’oro è una metafora, è solo il mezzo per elevarsi da
un mondo materiale a un mondo di aspirazioni”.
“Perché quello a cui si aspira non è detto che sia più prezioso di quello che già si ha”.
“Certo. La cosa più preziosa è l’impegno che ci mettiamo”.
“Ed è questo l’oro”.
“Perfetto ragazzo, è proprio questo l’oro”.
L’artista che più lo coinvolse, però, se la trovò davanti, simpatica e prorompente, con un cartello issato sulla testa su cui c’era scritto: “Sono stata smarrita”.
La prima cosa che lui fece, ovviamente, furono due fotografie. Poi, iniziò a
chiacchierare con lei.
“Si può sapere chi è lo stronzo che ti ha smarrito?”
“Guarda che chi smarrisce è perché non vuole”.
“Appunto, è proprio uno stronzo”.
Cominciarono a ridere, a ridere di gusto, finché lei, con gli occhi lucidi, gli
chiese: “Tu cosa faresti al mio posto?”
Lui preferì non risponderle subito e si lasciò condurre alla mostra. Sopra l’ingresso era appeso un cartello con alcune domande.
Noi dimentichiamo le cose perché non le vogliamo?
Noi dimentichiamo le cose perché desideriamo rivedere i luoghi dove le abbiamo perse?
Cosa succede se perdiamo le nostre inibizioni?
Le nostre speranze?
I nostri affetti?
Dentro l’ufficio c’era la collezione magica delle cose perdute.
“Non mi hai ancora risposto” disse lei.
“Quanta fretta Bernadette, quanta fretta” avrebbe voluto risponderle, invece la
sorprese diversamente.
“Al tuo posto mi mangerei una bella torta di mele”.
E mentre lei lo guardò con la luce negli occhi, lui, uomo di parola, gliela promise: “Domani, te la porterò domani”.
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Il concorso di dolci, uno dei momenti di contorno del Festival, fu abbinato,
simpatica coincidenza, allo spettacolo coreografico prodotto dai ragazzi del Laban. Il logo pubblicitario recitava: i marmi di Deptford, evento di tè e di danza.
Si svolse il sabato pomeriggio, penultimo giorno di Festival, nella piccola New
Cross Square, l’inizio di High Street, davanti a una serie di sculture esposte.
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Nick, Christopher & Amy si erano dati appuntamento per le tre, ora d’inizio
dello spettacolo, per non perdersi l’entrata in scena dei ballerini.
Christopher & Amy erano curiosi di vedere chi fossero, ma inizialmente restarono delusi. Tolto il sipario, videro solo due bacini e quattro gambe in movimento, perché testa e tronco erano imbucati in due goffi cilindri neri.
“Scuola prestigiosa, il Laban” ironizzò Nick.
“Dai” lo riprese Amy, accompagnandosi con un colpo di spalla.
“In effetti, ballano col culo” chiosò Christopher.
In quel momento apparve Ben e non era a mani vuote.
“Amy” disse “ho bisogno di un tuo consiglio”.
“OK, sono pronta” rispose lei.
“Cosa faccio di questa torta?”
Amy si sentì presa in giro e cercò conforto in Nick e Christopher, ma ebbe
la paura che anche loro potessero divertirsi alle sue spalle. Allora si trattenne,
buttò lì un sorriso di circostanza e, prima di rispondere, chiese un chiarimento.
“Che torta è?”
“È una torta di mele, la specialità di mia madre. Ieri le ho detto che l’avrei iscritta al concorso di dolci e, come vedi, lei si è data subito da fare. Ma sempre ieri
ho promesso la torta a un’altra persona e ora non so più cosa fare”.
“Naturalmente la torta non si può dividere” gli chiese Amy.
“No, non si può dividere”.
“Si può almeno sapere a chi l’hai promessa?”
“Sarebbe meglio di no”.
“È una ragazza?”
Ben annuì.
“È una persona importante per te?”
“Non lo so, l’ho appena conosciuta”.
Per un attimo Amy ebbe la sensazione che Ben stesse parlando di lei, ma il giorno prima non si erano visti.
“Se ti rispondo, farai quello che ti dico?”
“Sì” promise Ben.
“Bene, iscrivi tua madre al concorso di dolci e cerca di conoscere meglio la tua
ragazza”.
Lui tacque.
Lei arrossì: quella fu la sua dichiarazione d’amore.
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La pioggerellina un po’ fastidiosa che iniziò ad accompagnare le serate in High
Street, convinse Ben ch’era tempo di sperimentare qualcosa di nuovo. Anche
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