www.ilchioscodifrancescoimpala.wordpress.com N.19 - 5 aprile 2014 FeedJournal 4/4/2014 at 9:58:00 AM - 4/5/2014 at 10:53:20 AM feedjournal.com Fi crolla nei sondaggi.Berlusconi punta le riforme “Il patto così non paga” Appello antigiudici al Colle (CARMELO LOPAPA). by La Repubblica 5/4/2014 (il Chiosco) Submitted at 4/5/2014 3:56:09 AM Una petizione di Rotondi per premere sul Csm Oggi l’ex premier lascia il San Raffaele per Arcore. IL RETROSCENA ROMA - APPARIZIONI pubbliche cancellate fino al 10 aprile. Strategia dell’immersione, per scongiurare il peggio dal Tribunale di sorveglianza. Gli avvocati e i consiglieri non hanno raccomandato altro a Silvio Berlusconi, il quale dovrebbe lasciare questa mattina il San Raffaele dove è ricoverato da venerdì sera per curare la brutta infiammazione alla cartilagine del ginocchio sinistro, parecchio gonfio ancora ieri sera, raccontano. Tac e infiltrazioni, da oggi convalescenza e riposo ad Arcore. Solo una telefonata alla kermesse milanese di presentazione delle candidature dei capilista Giovanni Toti e Licia Ronzulli, organizzata da Mariastella Gelmini a Milano. Cancellato del tutto il comizio di lunedì a Torino per le regionali in Piemonte. Perché su tutto, perfino sul dolore lancinante al ginocchio, grava la paura di quel pronunciamento dei giudici di Milano chiamati a decidere sui domiciliari o i servizi sociali. «Da giovane quale sono ho abusato del mio fisico, lavorando venti ore al giorno, ecco il risultato, e poi dicono che ho somatizzato le mie preoccupazioni » confida Berlusconi ai coordinatori siciliani chiamati in viva voce in mattinata, con chiara allusione all’imminente data-incubo. «Vogliono tappare la bocca al capo dell’opposizione, ormai è evidente» è l’accusa che continua a ripetere facendosi più serio. Con lui è rimasta sempre Francesca Pascale. Solo tre visite ammesse. Quella della primogenita Marina, poi nel pomeriggio Piersilvio («L’ho visto benissimo » dirà). E infine il consigliere politico Giovanni Toti, il quale appena uscito ha spazzato via insinuazioni e sospetti già in circolo, quelli che vorrebbero il ricovero frutto di una strategia processuale finalizzata a rimandare l’udienza. Un po’ come si era detto ai tempi del ricovero per uveite. «Lo escludo categoricamente, semmai questo stop ci penalizza per la campagna elettorale già partita» dice l’ex direttore Mediaset. Giusto con lui si è attardato a parlare a lungo di politica. Sullo sfondo, minacciosi, i sondaggi che danno Forza Italia in vertiginoso calo di consensi, l’ultimo ieri “Ixè” per Agorà (16,9 per cento, terzo, lontano partito). Qualcuno getta acqua sul fuoco, fuori da lì, come la Gelmini («I sondaggi sono una cosa e la elezioni sono un’altra, la campagna deve ancora cominciare »). Il fatto è che nel partito in molti, e non solo i capigruppo Paolo Romani e Renato Brunetta (il più duro: «A tutto c’è un limite, il premier è uno sbruffone»), alimentano il dubbio che il sostegno pieno alle riforme di Renzi non paghi elettoralmente. Un pensiero che in queste ore di degenza sembra abbia fatto breccia nel leader. «Il patto così non paga. Noi non possiamo tirarci indietro, se ci tagliamo fuori la paghiamo, appariremmo come forza di conservazione — è stato il ragionamento di Berlusconi nella giornata di pit-stop in clinica ai suoi interlocutori telefonici — Ma non possiamo nemmeno apparire come i comprimari di Renzi, dobbiamo imporre nostri correttivi, si deve capire che i protagonisti in questa partita sono due». Uscito dal San Raffaele, anche Toti sarà abbastanza esplicito: «Noi le riforme le vogliamo fare, siamo sulla buona strada, ma devono essere più incisive troppo timido il premier, così com’è la legge elettorale da cavallo è diventata un somaro, il Senato per come è stato pensato forse sarebbe meglio chiuderlo del tutto: occorrono importanti correttivi, più coraggio». Ma non di sole riforme si può alimentare la campagna per il 25 maggio. La paura di Berlusconi è di lasciare a Grillo e alla Lega l’intera prateria anti-Euro. Nasce da qui l’idea di lanciare a giorni un battage in stile Thatcher anni Ottanta: «L’Europa restituisca all’Italia i 100 miliardi che verseremo nei prossimi cinque anni», lo slogan. E poi un tema assai caro al loro elettorato di base. Il partito alzerà da lunedì la voce perché la restituzione degli 80 euro in busta paga sia estesa anche alle partite Iva. Ma nel mini appartamento a lui riservato nella clinica l’ex Cavaliere ha lavorato anche alle liste elettorali. L’ultima trovata per le Europee è quella di candidare Alessandra Mussolini nella circoscrizione Sud, dato che una sua visibilità da donna «forte» in queste settimane se la sarebbe involontariamente ritagliata. Il leader si è dovuto arrendere di fronte al “no grazie” risoluto della senatrice campana, per adesso abbastanza defilata. Come altrettanto risoluto è, per altre ragioni, quello di Mara Carfagna. Tutto nel partito continua a ruotare però nell’attesa del 10. E spunta adesso un documentopetizione firmato dal “premier ombra” Gianfanco Rotondi (e con lui da Catone, Prestigiacomo, Nitto Palma, Tedeschini, Santanché, Martino, Ravetto, Biancofiore, Galan e alcuni avvocati) per chiedere al capo dello Stato un atto di indirizzo al Csm. L’obiettivo: consentire al Tribunale di applicare la pena garantendo comunque a Berlusconi di far politica. Ma è una petizione stoppata in extremis dallo stesso condannato. Da La Repubblica del 05/04/2014. Autobotte da orbi (Massimo Gramellini). by La Stampa 5/4/2014 (il Chiosco) Submitted at 4/5/2014 3:08:09 AM Lo Stato italiano non attraversa un periodo di particolare popolarità, almeno tra gli italiani. Se in Veneto tentano di buttarlo giù con un trattore travestito, in Campania è lui che cerca disperatamente di farsi notare, servendosi persino di un’autobotte. Succede a Casal di Principe, area di infiltrazioni tossiche nel terreno e camorristiche nel consiglio comunale. Quest’ultimo è stato sciolto a fine febbraio e sostituito da una commissione prefettizia. Ma si sa come sono i commissari prefettizi: dei patrioti inguaribili. Appreso che l’intera periferia dell’abitato si dissetava da pozzi inquinati, hanno spedito in perlustrazione un avamposto della presenza statale: un’autobotte gonfia di acqua potabile. Si immaginavano, gli illusi, che la popolazione sarebbe accorsa in massa intorno al totem unitario per attingere la sostanza vitale in un turbinio di bacinelle, damigiane e secchi colorati. Qual è stata la loro sorpresa alla scoperta che invece non si avvicinava nessuno. Non gli anziani, abitudinari o fatalisti. E nemmeno i giovani, altrettanto diffidenti ma sicuramente più dinamici, al punto da avere risolto da tempo il problema della sete con un dedalo di allacci abusivi alla rete idrica. Così ogni tre giorni l’autobotte repubblicana – respinta come un corpo estraneo, anzi straniero – tornava mestamente nelle retrovie per scaricare il suo contenuto prezioso dentro le fogne. Allo Stato non è rimasto che arrendersi, sospendendo un servizio costoso e soprattutto vano. In questa storia ci sono così tante metafore del nostro Paese che corro a ubriacarmi alla prima autobotte. Da La Stampa del 05/04/2014. 2 FeedJournal “Superato il Pd, anche Renzi lo sa Ora un’altra Ue” (Luca De Carolis ed Emiliano Liuzzi). by Il Fatto Quotidiano 5/4/2014 (il Chiosco) Submitted at 4/5/2014 2:56:02 AM DUE ORE CON GRILLO: CHE PARLA DI EUROPA, VITA PRIVATA, ESPULSIONI. DICE DI AVERE MOLTA VOGLIA DI INCONTRARE IL PAPA: “NON MI STUPIREI SE LO VEDESSI APPARIRE, MAGARI COL FRIGORIFERO IN SPALLA COME QUANDO LO IMITA CROZZA IO SONO RELIGIOSO. INCONTRARE L’EBETINO IN TV? NON CI PENSO PROPRIO”. È sempre difficile parlare con Beppe Grillo. Il rischio è che sfugga, parta in solitario e concluda con la sua specialità: il monologo. La chiacchierata di ieri è fatta all’hotel Forum, proprietà di un suo amico e casa Grillo nelle rare apparizioni romane. C’è il Grillo politico, quello che si aspetta i dossier e indica come mandante “l’ingegner Carlo De Benedetti”, e quello privato. C’è la contraddizione tra il politico e il comico, che lui gioca come in una partita a poker, a seconda di come gli torna meglio. Poche ricette, come quella dei dazi sui prodotti agricoli importati. Pochi punti, perché “la Costituzione non è fatta di ambiguità, ma di 139 articoli, ogni periodo è meno di 20 parole”. Grillo, partiamo dall’inizio o da oggi? Per me è lo stesso. L’inizio, oggi e domani sono la stessa cosa. E si chiamano Movimento 5 stelle. Questi sono finiti. E non dite che sono capace solo a dire parolacce. Purtroppo servono anche quelle. Serve la rabbia e la parolaccia. D’altronde lei è partito da un vaffanculo, giusto? Quattro anni e mezzo fa è nato il Movimento-Cinque stelle, il V Day prima, e quello che abbiamo costruito è unico e irripetibile. Saranno finiti gli altri, ma anche voi non ve la passate molto bene. E Renzi promette di durare a lungo. Vuole riformare il Senato. Noi vinceremo le elezioni europee. Saremo il primo partito. E quelli del Pd lo sanno bene. Quanto alla riforma non puoi dire che risparmierai un miliardo dal Senato visto che costa 150 milioni l’anno. Sarebbe più sensato renderlo un organo di controllo e tagliare i parlamentari. L’ascesa di Renzi è un’invenzione giornalistica. I sondaggi lo danno in testa. Soprattutto dopo l’annuncio degli 80 euro in busta paga. I sondaggi sono pilotati. Da sempre. E gli 80 euro sono voto di scambio. I dossier in arrivo dei quali parla Casaleggio chi li sta facendo? I giornali di De Benedetti. Ma lui deve stare tranquillo, perché io vado a Sankt Moritz in pullman. Noi vogliamo fare il politometro se andiamo al governo, per verificare quanto aveva un politico prima di iniziare e quanto ha dopo la carriera. Lo faremo anche sui prenditori: andiamo a vedere le società che sono sparite, chi c’era. Per esempio, vediamo quanti soldi aveva De Benedetti prima dell’Olivetti e dopo l’Olivetti, quando quella società con 70 mila dipendenti è sparita. Andiamo a vedere la Telecom di Tronchetti. Ora reagiamo. Lei pensa che De Benedetti sia un suo avversario? Assolutamente, sì. Lui è il mandante. Ha i lobbisti in Parlamento, come Berlusconi, con cui si sono divisi le cose. Detiene mezzi di comunicazione che perdono centinaia di milioni l’anno. Ha interessi nel carbone. Dossier o no, lei è sicuro di non aver fatto troppi errori? Ho la stessa sensazione di quando è iniziata l’avventura, quando vedevo le piazze riempirsi a ogni tappa. È vero, abbiamo commesso molti errori. E quel 25,5 per cento raccolto alle Politiche ci è esploso tra le mani. Sarebbe stupido dire che non è vero. Abbiamo avuto problemi, abbiamo sbagliato, ci sono stati troppi eccessi. Ma abbiamo raggiunto un livello di maturità che ci permette di essere il primo partito. Dicevamo degli errori, però. E delle contraddizioni. Come quella di non mandare nessuno dei parlamentari in tivù mentre oggi vanno e spesso. Non è incoerenza? No. Si chiama maturità, che prima non avevamo e oggi forse sì. La televisione è una grande trappola, ha dei manovratori dietro che ti fregano se non sai come comportarti. Lo fanno in maniera scientifica . Se tutti fossimo andati in tivvù all’inizio saremmo stati massacrati. Questo è il sistema che voleva l’informazione. È stata una di quelle scelte giuste. E le espulsioni? Non pensa di aver esagerato? Io non espello, non licenzio nessuno e non l’ho mai fatto. Non ne sarei proprio capace. Hanno deciso la base, il web, i parlamentari. Parliamo di europarlamentarie, le consultazioni sul web per scegliere i candidati in Europa. Tanti attivisti e anche parlamentari hanno protestato contro le regole per l’invasione di sconosciuti. Non sono conosciuti dalle procure. E questo è un nostro fiore all’occhiello. Io poi non ne conosco quasi nessuno, eppure dicono che decido tutto dall’alto. Lei ha postato anche una norma aggiuntiva per escludere dalle liste dipendenti o ex dipendenti della Casaleggio associati. C’erano dei casi di ex dipendenti della Casaleggio e io mi sono opposto, perché c’erano delle insinuazioni. Ma il sistema ha funzionato e funziona. Certo, il candidato della Valle d’Aosta ha preso 33 voti, ma lì sono 100 mila persone, e poi si sono presentati in 4. Alcuni deputati e senatori hanno chiesto un’assemblea congiunta sul deputato Riccardo Nuti, “re o” di aver appoggiato ufficialmente una candidata in Sicilia, eletta al primo turno. Non lo so, non ho letto nulla su questo. Preferirei che i parlamentari si astenessero dal dare consigli su candidati o cose del genere. Magari uno lo fa anche in buona fede, ma è meglio tenersi fuori. Lei ha votato? Sì, l’ho fatto ieri sera (giovedì, ndr) dal palco a Napoli, in diretta. Sono andato sullo schermo, ho visto i 18 candidati della mia circoscrizione e ho dato tre preferenze. Per chi ha votato? Il voto è segreto. Non ho fatto vedere a chi ho dato il mio. Il secondo turno è stato sospeso per alcune ore. Un programmatore ha sbagliato e ci siamo dovuti fermare. Ma ripeto, il sistema funziona: la gente sceglie, senza trucchi. Ogni votazione viene certificata da un ente terzo. Noi non entriamo nel sistema delle preferenze. Mai avuta la tentazione di scegliere in prima persona qualche parlamentare? No, non è nelle mie corde. Io guardo il Movimento che cresce. Siamo passati da 199 liste certificate l’anno scorso a quasi 700. Se ne metti venti per lista sono 20mila attivisti. Ma dove lo trovi un partito con questi numeri? Avete previsto una penale da 250 mila euro per gli eletti in Europa che, in caso di sfiducia da parte della base, non si vogliano dimettere. Ma il vincolo di mandato è vietato dalle norme europee e dalla Costituzione. È un deterrente, poi vedremo se è legale o meno. Secondo i nostri avvocati si può fare. Ma è importante aver messo anche il recall, come negli Stati Uniti: se non rispetti il programma, 500 persone della tua circoscrizione ti mandano a casa. Però oggi lei non fa comizi, è tornato al suo lavoro con gli spettacoli teatrali. Sono comizi a pagamento? Certo. Ho sbagliato il titolo. “SUPERATO page 4 FeedJournal 3 La paralisi deflattiva della BCE guida Italia, Francia e Spagna nelle trappole del debito by www.beppegrillo.it Beppe Grillo (il Chiosco) Submitted at 4/5/2014 3:40:12 AM immagine: graffito comparso sui muri del nuovo palazzo della BCE. L'austerity voluta dalla BCE e accettata dall'Italia ridotta a un cane da pagliaio amplificato dai giornali di regime ci sta facendo entrare in deflazione. Da Wikipedia: "La deflazione deriva dalla debolezza della domanda di beni e servizi, cioè un freno nella spesa di consumatori e aziende, i quali poi attendono ulteriori cali dei prezzi, creando una spirale negativa. Le imprese, non riuscendo a vendere a determinati prezzi parte dei beni e servizi, cercano di collocarli a prezzi inferiori". E per farlo abbassano i costi del lavoro. Imprese in crisi, lavoratori più poveri. Da The Telegraph del 2 aprile 2014 La paralisi deflattiva della BCE guida Italia, Francia e Spagna nelle trappole del debito. Francoforte potrebbe in qualsiasi momento rimettere in carreggiata l'euro, mostrando una ferma volontà di reagire alla situazione attuale, ma ha scelto di non farlo. E la Banca Centrale Europea gliel'ha consentito. Negli ultimi cinque mesi, la deflazione è avanzata a un tasso annuo pari a -1.5% nell'Eurozona, in conseguenza delle tasse imposte dalle misure di austerity. In base ai miei calcoli approssimativi (annualizzati), partendo dai dati mensili di Eurostat, da settembre i prezzi sono calati al ritmo del 6.5% in Grecia, del 5.6% in Italia, del 4.7% in Spagna, del 4% in Portogallo, del 3% in Slovenia e quasi del 2% in Olanda. Il rialzo dell'euro rispetto a dollaro, yen, yuan e alle valute di Brasile, Turchia e paesi asiatici in via di sviluppo, è in parte responsabile di questa deflazione importata. Il tradeweighted index di Eurolandia è salito del 6% in un anno. Ma questa non può essere una scusante: si tratta di una conseguenza diretta della politica monetaria della BCE. Francoforte potrebbe in qualsiasi momento rimettere in carreggiata l'euro, mostrando una ferma volontà di reagire alla situazione attuale. Ha scelto di non farlo, nella speranza che qualche parola di pace pronunciata senza convinzione possa in qualche modo invertire la tendenza globale. È arduo stabilire quale sia il punto in cui la deflazione si inserisce nel sistema. Dalla metà del 2012, i prezzi alla produzione si sono notevolmente ridotti e la tendenza si è velocizzata a febbraio, raggiungendo una percentuale pari a -1.7%: il declino più vertiginoso dalla crisi Lehman. Ma questa volta non si tratta della diretta conseguenza di un crac finanziario: il fenomeno è cronico, e più insidioso. Il professor Luis Garicano, della London School of Economics, ha affermato che i modelli economici utilizzati per prevedere l'inflazione appaiono fuorvianti e comportano una serie di errori di valutazione. " Sono necessari interventi molto seri," ha dichiarato. Laurence Boone e Ruben SeguraCayuela, della Bank of America, affermano che il loro indice di " sorpresa inflattiva" continua a scendere man mano che l'eurozona viene scossa da uno shock dietro l'altro, mentre il loro misuratore della " vulnerabilità deflazionistica" ha cominciato a lampeggiare in rosso per la maggior parte dei paesi della UEM. L'effetto è pesantemente corrosivo, anche se la regione non è mai entrata in deflazione tecnica. La lowflation (bassa inflazione), vicina allo 0,5%, può scombinare le traiettorie del debito, se prolungata, portando nuovamente l'Europa verso una crisi debitoria. " La più pericolosa minaccia per le dinamiche del debito pubblico è un'inflazione inferiore alle aspettative. Anche solo un'inflazione più bassa del previso, non una deflazione, comporterebbe un significativo deterioramento delle finanze pubbliche dei paesi, ha affermato. Secondo la banca, una lowflation prolungata potrebbe provocare un aumento dei rapporti di indebitamento entro il 2018, il che comporterebbe un aumento di 10 punti percentuali del debito sul PIL in Francia (105%), di 15 in Italia (148%), e di 24 punti in Spagna (118%). Questi paesi hanno di fronte un'impresa di Sisifo: qualsiasi risultato ottengano dall'austerità verrà sbaragliato dalla forza maggiore della deflazione del debito. Lo stesso " effetto denominatore con il peso del debito che aumenta più velocemente del PIL nominale ingolferà anche il settore privato, che è ancora il tallone di Achille in Spagna, Portogallo e Irlanda. Secondo Moody's , la " bassa inflazione" (dallo 0.5 all'1% fino al 2018) "rinnoverebbe la preoccupazione sulla sostenibilità del debito, serrando la morsa sulle famiglie e sulle aziende con debiti a tasso fisso. Eroderebbe, inoltre, gli asset bancari, comportando nuovi fallimenti delle banche, e colpirebbe gli assicuratori sulla vita per discrepanze sulle scadenze. " Evitando una decisa deflazione non si proteggerà completamente l'eurozona da uno shock: la combinazione di bassa crescita e bassa inflazione ha un impatto significativo su tutti i settori dell'economia", ha affermato. Secondo l'affermazione di Reza Moghadam, del Fondo Monetario Internazionale, anche l'inflazione allo 0.5% minaccia di " soffocare la nascente ripresa" dell'Europa. Aggrava, inoltre, il divario nord-sud, rendendo ancora più difficile al Club Med il recupero della competitività persa. Gli stati indebitati dovranno apportare svalutazioni interne ancora più drastiche per riguadagnare terreno, ma ciò spingerà in alto i loro rapporti di indebitamento. " Ogni punto di aggiustamento relativo dei prezzi dovrà essere perseguito a costo di una maggiore deflazione del debito", ha dichiarato. Un'inflazione molto bassa può avvantaggiare importanti segmenti della popolazione, principalmente i risparmiatori netti, ma nel contesto odierno dei problemi dovuti al diffuso indebitamento, va a detrimento della ripresa dell'eurozona, soprattutto nei paesi più fragili, dove vanifica gli sforzi per ridurre il debito", ha affermato. Una volta compreso questo aspetto fondamentale, e cioè che vanifica gli sforzi per controllare il debito, la spettacolare idiozia della politica dell'UEM diviene palese. L'austerity così concepita è controproducente. Il fallimento principale è stato il rifiuto della BCE di controbilanciare le conseguenze della contrazione con uno stimolo monetario sufficiente per fare in modo che il PIL nominale crescesse più rapidamente dello stock del debito in Italia, Francia, Spagna, Portogallo e Grecia, ma non solo in questi paesi. Ancora una volta, la BCE avrebbe potuto agire in modo diverso, ma ha scelto di non farlo perché ciò avrebbe consentito che la sua politica monetaria venisse contaminata dai giudizi su rischi morali che esulano dal suo ambito, dalle dottrine premoderne delle banche centrali o dalla paura di quello che potrebbe dire o non dire la Germania. Il suo fallimento è evidente soprattutto in Italia, dove il debito è saltato dal 119 al 133% dal 2010, malgrado la stretta fiscale draconiana e un avanzo primario di bilancio. Il premier rockstar Matteo Renzi ha preso possesso della sua carica come un ciclone, portando un New Deal dei primi 100 giorni che ha stracciato il copione dell'austerità, rischiando il tutto per tutto con le riforme dal lato dell'offerta e una scossa fiscale per far partire la crescita. Antonio Guglielmi, di Mediobanca, ha riferito che i mercati stanno scommettendo che Renzi possa essere un " catalizzatore di discontinuità" capace di tirare fuori l'Italia dall'apparentemente implacabile trappola della bassa crescita, attivando un circolo virtuoso cha alla PARALISI page 6 4 FeedJournal “SUPERATO continued from page 2 Dovevano chiamarsi comizi a pagamento. Dunque è vero che Grillo si arricchisce con la politica? Negli ultimi due anni non ho guadagnato. Zero in busta paga. Me lo chiedono perché non sono rimasto in pantofole a casa mia, a Genova o a Marina di Bibbona. Me lo chiedono sempre. Ma non si è pentito? Volete scherzare? È un’avventura fantastica, umana, di politica e di amicizia. Di conoscenza che non avevo e che mi sono studiato. Io sono fatto così, sono una persona che deve arrivare al contatto reale. Nel suo spettacolo afferma che il populismo è alta politica. Perché? Il populismo non è un partito, è l’espressione più alta del politico. Dire di no è una cosa positiva. In un programma hanno fatto i conti di quanto ci sono costati i no: ma nessuno ha fatto i conti di quanto ci è costato dire di sì a tante opere incompiute. Il suo no vale anche per l’Unione europea? Io dico no a quest’Europa, non al concetto in genere, perché sono un grande europeista. Guardi cosa succede fuori del continente: negli Stati Uniti torturano la gente a Guantanamo. Noi europei siamo una cosa diversa. Questa Unione non le piace? Io voglio il ritorno alla Comunità europea, in cui si condivide tutto, anche il debito. Non questa Unione, dove siamo ingabbiati, costretti a restituire quello che le banche hanno investito nel nostro Paese come titoli di Stato. Lei è contro l’euro? Ha appena ribadito che farete un referendum sul tema. Personalmente sono assolutamente contro, ma a decidere devono essere i cittadini, non un leader politico o un partito. Se l’Italia uscisse dalla moneta unica, si tornerebbe alla lira? No, potremmo fare un euro a due velocità. Come 5 Stelle andremo a Bruxelles a contrastare quei trattati firmati da mascalzoni, da incompetenti. Non è possibile firmare una cosa come il fiscal compact che ti impegna per 20 anni. Fanno previsioni assurde, vogliono tagli assurdi: possiamo mai tagliare 50 miliardi all’anno per un ventennio? I fondi imperiali degli Stati Uniti si stanno comprando tutto, e lo sta facendo anche mezza Cina. Noi ci siamo dentro a tutto questo: e non abbiamo sovranità economica. Come si riparte? Primo, andare a Bruxelles ed eliminare il trattato del fiscal compact e il Mes, quello che sarebbe il fondo salva stati e invece è un salva euro. Secondo, verificare i finanziamenti europei all’agricoltura: i soldi devono arrivare ai prodotti tipici. Non è possibile che in Sicilia importino le arance dalla Tunisia. Io le ho trovate buttate per strada. Il rimedio è la fiscalizzazione: se vuoi la frutta tunisina paghi il 25 per cento in più. Lei vuole il ritorno dei dazi. Sì, tireranno fuori questa parola che fa paura a tanti: ma sono protezioni che servono. Provi a vendere acciaio negli Stati Uniti. E comunque, io non sono un economista, sono un comico, un rabdomante. Certo, mi informo: ma queste cose non le dovete chiedere a me. Dovreste andare dagli economisti: ma non ne azzeccano mai una. Essere amico di Grillo di questi tempi potrebbe essere un vantaggio, non lo teme? Ho avuto falsi amici intorno. Ne ho avuti molti. Fa parte della vita. C’è sempre un modo di ripartire. Noi ci riferivamo alle clientele: Grillo è uomo di potere oggi o no? Grillo è un comico, il marchio di un Movimento. Lei sul sito si è definito capo politico. Era la dicitura obbligatoria per potersi presentare. Chi sono i nemici di Grillo? Renzi? Il Pd? Napolitano ? Nemici alla fine della loro stagione. C’è una strada che è stata tracciata dal Movimento e dalla quale non si torna indietro. A me non interessa quanto durerà l’ebetino di Firenze, mi interessa sapere che non esistono più. Lui è un bambino messo lì dalle banche. Ma sono le ultime resistenze. Napolitano, diceva. Lei lo ha incontrato più volte. Due volte. Napolitano è un vecchio molto furbo e non saggio, come dovrebbero invece essere i vecchi. Finito anche lui. Quando lo abbiamo incontrato è rimasto sempre in silenzio. E alla fine ci ha offerto qualcosa da bere. Hai l’impressione di uscire da chissà dove, ti accorgi che hai parlato solo tu. Il suo percorso è stato quello di violare la Costituzione e crearsi un presidenzialismo che non era previsto dai padri costituenti. La Costituzione: vogliono cambiarla, di nuovo. Noi vogliamo inserire nella Carta i referendum propositivi, i bilanci partecipativi, l’obbligo di discussione delle leggi popolari. Io l’ho letta la Costituzione: è stata scritta con 9400 parole, divise in 480 periodi, ogni periodo ha meno di venti parole. L’hanno fatto apposta, perché è così più semplice. Se si legge con calma, capisci che è perfetta. E invece? Abbiamo una Corte Costituzionale che ci mette 7 anni per decidere se una legge è o meno costituzionale, abbiamo i costituzionalisti: specialisti del nulla, che devono chiarire cose già chiare. Soprattutto, ogni volta che mettono mano alla Carta la rovinano. Penso alla parte sul federalismo: non ci si capisce niente. Che ne pensa della Consulta? I suoi membri sono nati tutti negli anni Trenta: vengono nominati 5 dai partiti e 5 dal Quirinale, cinque infine dal Csm. Non è un organo super partes, è un organo politico. E dentro c’è anche Giuliano Amato, l’ex tesoriere di Craxi, messo lì per fare il quindicesimo. Amato è un possibile candidato al Quirinale. Anzi, Sandra Bonsanti, presidente di Libertà e Giustizia, dice che è il candidato numero uno, il segno della continuità. Sarà Amato o sarà Draghi. Non pare che Draghi ci pensi. Non lo so, queste partite sono prive di senso. Se si votasse tra sei mesi? Rifareste le Quirinarie? Vediamo, ormai questo sistema non regge più. Non so se ha senso parlarne. Ha sempre detto che papa Francesco è un grillino: anche lei si è messo in fila per incontrarlo? Io non mi metto in fila, perché non mi stupirei se mi voltassi e lo vedessi apparire lì, da dietro. Magari con il frigorifero in spalla, come lo imita Crozza. Questo è papa Francesco. Ma certo che mi piacerebbe parlarci, sarebbe un incontro che può cambiarti la vita. Lei è cattolico? Si. E va in chiesa ogni domenica? Non vado in chiesa ogni domenica, ma vado spesso. Sono un credente. E a casa? Il Grillo politico come funziona? Male. Mi prendono in giro. Sgrido mio figlio e lui mi risponde che uno vale uno. Mi passano l’acqua e mi dicono: “Tieni, arriva dal basso. E questa è la democrazia dal basso”. Se così non fosse sarebbe un dramma. Chi c’è dietro a Grillo? Mia moglie. Credente con una moglie di origine iraniana. Un anno fa è scomparso suo suocero: le manca? Affrontavate argomenti politici? Mi manca molto. Mi mancano le discussioni con lui, ma non c’era mai la politica in mezzo. I viaggi. Come quando mi ha portato in Iran, dove il presidente si presenta in parlamento con il mitra. Ma ho trovato un posto per certi aspetti fantastico, dove le persone hanno il sapore che avevano gli italiani prima che questa politica li contamini. Esiste ancora la solidarietà. L’Iran esce da una rivoluzione fallita. Voi non avete paura di perderla la vostra rivoluzione? Noi in parte l’abbiamo già vinta. Se qualcosa in questo Paese è cambiato lo si deve al Movimento cinque stelle. Poi non ce lo riconoscono. Dicono che siamo contro l’abolizione delle Province: bene, ma perché i grillini non sono mai stati candidati in una Provincia? Qualcuno è riuscito a chiederselo? No. Io so che l’ebetino ha preso il nostro programma e un camper e ci è venuto dietro. È una vecchia regola del marketing, che Berlusconi conosce bene: copia il programma al tuo avversario e raccontalo prima di lui. Questo è stato fatto. Solo che nessun giornale lo scrive. Renzi lo sappiamo da dove viene, è un figlioccio di Gelli, amico di Verdini. Pretende di far riscrivere la Costituzione da Boschi e Verdini. Non lo farebbe un confronto con lui in tivù? Ma Renzi non è il mio avversario. Non lo considero tale. L’hanno messo lì. In televisione pensate che possa aver timore di lui? Lo conosco il mezzo. E porto argomenti. Il senso di confrontarsi col niente non lo trovo. Ma sicuramente andrò in televisione in questa campagna elettorale. Mi dicono che non parlo coi giornalisti, ma la realtà è che lo faccio tutti i giorni. Ma farò anche interventi, se me lo chiederanno. Oggi c’è una situazione diversa da quella che abbiamo vissuto un anno fa. È innegabile. Napolitano presidente della Repubblica non le piace. Ma M5S poteva incidere sull’elezione del capo dello Stato: perché alla fine non lo avete fatto? Perché la rete ci ha dato un’altra indicazione. Potevate giocare una partita più strategica e proporre voi Romano Prodi. Avreste messo in difficoltà il Pd. Noi non siamo qui per mettere in difficoltà un partito che non esiste più. Siamo per fare una politica che è fatta anche di no. Duri, reali. La rete, che sono i nostri elettori, ci aveva offerto una diversa indicazione: non sarebbe stato corretto andare con un altro nome. Da Il Fatto Quotidiano del 05/04/ 2014. FeedJournal 5 Afghanistan - Al via le elezioni presidenziali by www.internazionale.it (il Chiosco) Submitted at 4/4/2014 9:58:00 AM Un deposito di urne elettorali a Herat, il 3 aprile 2014. (Behrouz Mehri, Afp) Il 5 aprile in Afghanistan si svolgono le elezioni presidenziali, che rappresenteranno il primo passaggio di consegne democratico della storia del paese. Il presidente Hamid Karzai, che ha guidato il paese dall’invasione statunitense che ha rovesciato il governo dei taliban nel 2001, non potrà infatti partecipare in quanto ha già avuto i due mandati concessi dalla costituzione. Karzai non ha ancora rivelato i suoi progetti per il futuro, ma secondo molti osservatori continuerà a esercitare una forte influenza sulla politica afgana attraverso i suoi legami clientelari. Il voto sarà monitorato da circa duecentomila osservatori afgani, ma due delle tre missioni internazionali di osservatori si sono ritirate dopo i recenti attacchi dei taliban contro gli stranieri a Kabul. Il 10 per cento dei 28.500 seggi potrebbe rimanere chiuso per motivi di sicurezza. I seggi saranno aperti dalle sette alle sedici. Le operazioni di spoglio e conteggio delle schede saranno particolarmente lunghe, dato che per l’impraticabilità delle strade molti seggi possono essere raggiunti solo a dorso d’asino. I risultati preliminari dovrebbero essere annunciati entro il 24 aprile. I candidati avranno tempo fino al 27 aprile per fare ricorso contro brogli e irregolarità, un’eventualità molto probabile dato che gli elettori sono dodici milioni ma in circolazione ci sono venti milioni di tessere elettorali e che quelle delle donne non hanno la foto per rispetto della cultura locale. Alle presidenziali del 2009 una scheda su quattro è stata considerata nulla. Il 14 maggio dovrebbero essere pubblicati i risultati definitivi. Se nessuno dei candidati avrà ottenuto più del 50 per cento dei voti al primo turno, il ballottaggio tra i due più votati si terrà il 28 maggio. In questo caso il nuovo presidente potrebbe non entrare in carica prima di ottobre. Dopo il ritiro del fratello del presidente, Qayum Karzai, i candidati rimasti sono otto, ma solo tre sono considerati in corsa per la vittoria: Abdullah Abdullah. Nato nel 1960, è un ex oftalmologo e leader della resistenza antisovietica negli anni ottanta. È stato ministro degli esteri nel primo governo Karzai, ma si è dimesso nel 2005 e alle elezioni del 2009 è stato il principale avversario del presidente, arrivando al ballottaggio per poi ritirarsi in protesta contro le frodi. È l’unico dei principali candidati che non fa parte dell’etnia pashtun, la più grande del paese, e ha la sua base elettorale nel nord del paese grazie alle sue origini tagiche e agli stretti rapporti con il signore della guerra locale Ahmad Shah Massud, ucciso dai taliban nel 2001. Se non riuscirà ad affermarsi al primo turno le sue possibilità si ridurranno sensibilmente, perché gli elettori pashtun confluiranno sul suo avversario al ballottaggio. Ashraf Ghani Ahmadzai. Nato nel 1949, è stato ministro degli esteri e funzionario della Banca mondiale. Nel 2009 ha preso solo il 3 per cento dei voti, ma questa volta si è alleato con il signore della guerra pashtun Abdul Rashid Dostum. Questo gli garantisce una solida base territoriale ma gli ha anche attirato le critiche dei riformisti, dato che Dostum è accusato di crimini di guerra come aver fatto morire soffocati decine di prigionieri taliban. Zalmai Rassul. Nato nel 1942, è stato ministro degli esteri ed è un lontano parente dell’ultimo re Mohammad Zahir Shah. È considerato il candidato preferito di Karzai, di cui è stato uno stretto collaboratore durante l’esilio. Il fratello del presidente, Qayum, ha invitato i suoi sostenitori a votare per lui dopo essersi ritirato dalla campagna. È anche ritenuto il meno corrotto dei candidati, ma la sua immagine moderna e occidentalizzata potrebbe non convincere gli elettori più tradizionalisti. I risultati delle presidenziali del 2009 e la composizione etnica d e l l ’ A f g h a n i s t a n . (afghanistanelectiondata.org) I taliban hanno fatto appello al boicottaggio del voto, che considerano una messa in scena degli invasori occidentali, e hanno minacciato attacchi contro tutti gli obiettivi legati alle elezioni. L’esercito afgano ha dispiegato duecentomila soldati per garantire la sicurezza dei seggi. Finora però a parte l’attacco contro l’hotel Serena a Kabul del 21 marzo gli attentati di alto livello sono stati pochi e l’obiettivo dei taliban sembra più attirare l’attenzione che creare seri problemi allo svolgimento delle elezioni, scrive l’Afghanistan analysts network. In ogni caso le violenze nelle ultime settimane sono state più gravi rispetto alle precedenti elezioni, e il 4 aprile un uomo vestito da poliziotto ha ucciso la fotografa tedesca dell’Associated Press Anja Niedringhaus e ha ferito gravemente la sua collega canadese Kathy Gannon nella provincia di Khost, al confine con il Pakistan. Il disinteresse degli Stati Uniti. Una delle maggiori differenze di queste elezioni rispetto alle presidenziali del 2009 è il disinteresse degli Stati Uniti, che entro la fine dell’anno dovrebbero completare il ritiro delle loro truppe dal paese. Negli ultimi anni i rapporti tra Washington e Kabul si sono fatti sempre più tesi. Il governo statunitense ha cercato di distanziarsi da Karzai, considerato il simbolo di un’amministrazione inefficiente e corrotta e del generale fallimento di un intervento militare lungo e costoso. Il presidente ha risposto con denunce sempre più accese dell’interferenza e dei bombardamenti americani e con il rifiuto di firmare un accordo sulla AFGHANISTAN page 8 6 FeedJournal PARALISI continued from page 3 fine possa aumentare il limite di velocità dell'economia e tagliare i rapporti di indebitamento. Ma anche questo scommettitore fiorentino alla fine può fare ben poco contro la follia granitica della costruzione UEM. Mediobanca ha dichiarato che la sua missione ultima di salvare l'Italia è destinata al fallimento se la BCE non lancerà un Quantitative Easing per impedire la deflazione del debito, e se dovrà adempiere al Fiscal Compact dell'UE, costringendo così il paese a un surplus primario di bilancio del 6% del PIL per il prossimo anno. Secondo la banca, " Spetta a Renzi dare un messaggio chiaro e deciso a Francoforte sull'alleggerimento dell'austerità". Scopriremo giovedì se la BCE è pronta ad affrontare la questione del QE, o qualsiasi altra questione. I prestiti alle imprese si stanno contraendo al ritmo del 3%. La BCE ha mancato il suo obiettivo di inflazione del 2% per 150 punti base, e continuerà a mancarlo di parecchio nel 2015 e nel 2016, in base alle sue stesse previsioni. Si potrebbe dire che stia violando pesantemente il suo mandato, per non parlare dei più vasti obblighi del Trattato per sostenere la crescita e gli obiettivi economici dell'Unione, ma ancora se ne sta con le mani in mano. I critici hanno evidenziato che da anni la crescita dell'aggregato M3 tedesco si attesta costantemente tra il 4 e il 5% all'anno, ma non riescono a dire che la BCE imposta la sua politica monetaria esclusivamente sugli interessi di un paese, indipendentemente dal grado di devastazione degli altri paesi, devastazione che ora sta toccando anche Finlandia e Olanda. Se gli altri governatori sono così inerti o intimiditi dalla supremazia della Bundesbank da sopportare tutto questo, allora si meritano questo destino. Forse ci sarà un leggero taglio dei tassi di interesse, o un tasso negativo sui depositi, o la fine dello sterilizzazione degli acquisti di obbligazioni; o un po' di polvere negli occhi che arriva con un anno di ritardo, che sarà gravemente insufficiente e che non farà alcuna differenza. Quando la deflazione si velocizza, ci vogliono iniziative più radicali per gestirla. Jens Weidmann, dalla Bundesbank, ha aperto le porte al QE in modo davvero tiepido, apparentemente per ragioni tattiche, ma le conseguenze politiche di una simile azione sono davvero punitive in Germania. La Bundesbank non ebbe voce in capitolo nel piano di salvataggio della BCE del 2012 ( OMT), ma la Germania sì, e tale circostanza spesso non è ben non compresa dagli analisti anglosassoni. Lo schema è stato progettato di concerto con il ministro tedesco delle finanze, con il pieno supporto della Cancelliera Angela Merkel. A una cena privata tre settimane prima dell'OMT, ho udito un alto funzionario tedesco dichiarare che " non vola una mosca nell'eurozona senza l'approvazione di Berlino", e non ho dubbi che ne fosse convinto. Così funziona l'UEM. Non ci sono segnali che lascino pensare che la signora Merkel sia pronta per un QE. La BCE insiste nel dire che l'ultimo calo dell'inflazione sarebbe dovuto alla diminuzione dei costi dell'energia, e che pertanto sarebbe transitorio. Si tratta di un alibi sospetto. La BCE ha dimostrato l'opposto nel 2008, alzando i tassi in uno shock petrolifero basato sull'affermazione secondo cui gli effetti dell'energia non sarebbero passeggeri. In ogni caso, alcuni dei principali analisti energetici mondiali affermano che il prezzo del petrolio ha appena iniziato a scendere, visto l'aumento della produzione di greggio. La produzione dell'Iraq ha raggiunto il suo massimo da 35 anni. Le esportazioni della Libia saliranno quando le milizie ribelli termineranno il blocco. Gli Stati Uniti potrebbero aggiungere 1 milione di barili al giorno per quest'anno, toccando gli 11 milioni. Un calo a 80 dollari del prezzo del barile sarebbe un toccasana per i redditi reali che sono in calo in mezza Europa, ma potrebbe anche liberare aspettative inflattive, un effetto simile a quello che colpì il Giappone negli anni '90. I timori per la deflazione in Europa si placherebbero se fosse vero che siamo giunti all'apice di un nuovo ciclo di crescita economica globale. Se ciò sia vero, proprio mentre Cina e Stati Uniti si avvicinano, rimane da vedere. " Potremmo avere di fronte a noi anni di crescita lenta e inferiore alla attese", ha dichiarato questa settimana Christine Lagarde del FMI. " Il rischio è che, senza una sufficiente ambizione politica, il mondo possa cadere in una trappola di bassa crescita a medio-lungo termine. L'area dell'euro ha bisogno di altro monetary easing, anche attraverso misure non convenzionali". Potremmo anche essere vicini alla fine di un ciclo quinquennale globale, che Eurolandia ha ampiamente mancato a causa dei suoi errori. Se così fosse, la regione è solo a un passo dal precipitare in una piena deflazione, che porterà matematicamente l'Italia e altri paesi verso l'insolvenza, velocizzando una crisi del debito sovrano troppo grande per essere arginata. È una scelta politica. Ci sono ventiquattro uomini e donne che vogliono che tutto questo accada." Ambrose Evans-Pritchard VINCIAMONOI! Clicca sul banner per scaricare il volantino: Tweet su "#vinciamonoi" Potrebbero interessarti questi post: Draghi mago Silvan Le banche italiane e Alien Il denaro non esiste Beppe firma qui (Giuseppe Civati) by www.ciwati.it (il Chiosco) Submitted at 4/4/2014 6:52:39 PM Il Senato – attacca Grillo – va tenuto, va diminuito ma non va abolito come dicono questi qua perché, primo, il risparmio non è di un miliardo. E, secondo, devi diminuire i deputati e devi dare un compito diverso a pochi senatori che facciano delle commissioni magari di controllo. Ora, a meno che il prof. Pertici collabori nottetempo con il M5s (senza dirmelo: dopo le cene con Civati, i dopocena con Grillo), la dichiarazione di Grillo fa pensare alla nostra proposta e a quella Chiti (e 21 altri al Senato). Con una sola precisazione: che nemmeno Renzi abolisce il Senato, gli toglie il carattere elettivo. Tradotto: abolisce il voto per il Senato. Due considerazioni e un post scriptum. Andrea Romano (Sc) ha dichiarato giorni fa che è «sacrosanta» la discussione sul carattere elettivo del Senato; Paolo Romani (Fi) ha espresso i suoi dubbi sul Senato di secondo livello; Mario Mauro (Pi) è stato ancora più duro e articolato; Quagliariello (Ncd) ha da sempre in mente un modello misto, elettivo e non. Insomma, peccato che nessuno lo dica, ma pare che la questione abbia una certa consistenza in tutte le forze politiche. M5s compreso, a questo punto, a meno che Grillo (come già per il Mattarellum) poi non si smentisca. Secondo dato: sulle indennità dei senatori (uno dei paletti di Renzi) mi permetto di insistere: perché il Pd non rinuncia subito al finanziamento indiretto (di secondo livello?) da parte dei propri eletti, che si aggira intorno al 30% dell'indennità complessiva che i suoi parlamentari percepiscono (comprese le spese per stare a Roma: tolte quelle, si arriva quasi alla metà). E' una decisione che riguarda il Pd, che per altro aveva sfidato e minacciato Grillo di fare lo stesso con il finanziamento pubblico (era la prima assemblea nazionale dopo le primarie, in cui c'era anche Letta premier). Così potremo dire che i parlamentari sono già a metà prezzo e che anche il Pd fa, come organizzazione, i sacrifici che chiede agli eletti. Perché fare tra un anno quello che possiamo fare subito? P.S.: se davvero il M5s è disponibile a votare le cose proposte da altri se vanno nella giusta direzione, perché non farlo sulla riforma della Costituzione, che è il 'posto' (e il momento) giusto? Caimano in ospedale, ma zoppo ci cova (Fabrizio d’Esposito e Antonella Mascali). by Il Fatto Quotidiano 5/4/2014 (il Chiosco) Submitted at 4/5/2014 3:02:27 AM CAIMANO page 7 Una precisazione necessaria (Aldo Giannuli) by www.aldogiannuli.it (il Chiosco) Submitted at 4/4/2014 3:05:10 PM Mi riferiscono che la mia firma comparirebbe sotto l’appello di un gruppo di intellettuali (fra cui Nico Berti, Luciano Pellicani ed altri) contrapposto a quello di Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky. Non so come sia nato questo equivoco (è possibile che ci sia stato un errore di invio di qualche mail) ma tengo a precisare che io aderisco all’ appello di Rodotà e Zagrebelsky e, di conseguenza, non a quello che vi si contrappone, come peraltro si deduce dalla lettura del mio blog nel quale mi riformato (elettivo, molto ristretto, titolare esclusivo di funzioni di controllo e garanzia costituzionale, ma senza funzioni di indirizzo politico riservate alla Camera) Aldo Giannuli sono schierato per il mantenimento del Senato, pur se profondamente FeedJournal 7 CAIMANO continued from page 6 INCOMBE LA DECISIONE DEL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA SU COME IL CONDANNATO DOVRÀ SCONTARE LA PENA: SERVIZI SOCIALI O FORZATO A CASA? IL RICOVERO POTREBBE FAR EVITARE I DOMICILIARI. Un anno dopo il ricovero per l’uveite, nel pieno dei processi Ruby e Mediaset, Silvio Berlusconi è tornato all’ospedale San Raffaele da condannato definitivo per Mediaset. E come l’anno scorso si trova al livello più lussuoso, il “Diamante”, al sesto piano. Il leader di Forza Italia è lì da giovedì sera per l’infiammazione alla cartilagine del ginocchio sinistro e per una artrosi dovuta all’età. Potrebbe essere dimesso in giornata, se lo riterranno opportuno il suo medico di fiducia e ospite delle serate di Arcore, Alberto Zangrillo, e l’ortopedico Pietro Randelli del policlinico di San Donato, che lo sta seguendo, come aveva già fatto in passato. La prima conseguenza c’è già: è stata annullata un’iniziativa prevista a Torino lunedì prossimo. Anche da ricoverato, comunque, fa e riceve le sue telefonate politiche. Ieri ha chiamato i nuovi vertici del partito in Sicilia e ha scherzato sulla sua salute: “Visto che sono giovane, in questi ultimi mesi ho abusato del mio fisico e lavorando dalle 7 del mattino fino alle 3 di notte, questo è il risultato…”. Ha pure attribuito agli antidolorifici il suo tono dimesso. Accanto a lui l’immancabile compagna convivente Francesca Pascale. Sulla sua presenza imperante qualcuno ieri nel palazzo di giustizia ha fatto una battuta: “Berlusconi si è fatto ricoverare per provare a evitare gli arresti domiciliari, ha paura di dover stare giorno e notte con la Pascale”. BATTUTE a parte, è il consigliere politico Giovanni Toti a respingere sdegnato l’ipotesi avanzata da alcuni giornalisti davanti all’ospedale: non è che il ricovero è un escamotage per far slittare l’udienza del 10 aprile quando il tribunale di sorveglianza dovrà decidere sui servizi sociali? “Lo escludo categoricamente – ha risposto Toti – semmai penalizza noi per la campagna elettorale”. Poi, ci tiene a tranquillizzare sulle condizioni del Cavaliere: “Ha un ginocchio che gli fa male ma non è nulla di grave. È sereno e tranquillo, abbiamo parlato del programma per le Europee e dei fronti aperti”. Al San Raffaele sono arrivati anche i figli maggiori di Berlusconi, Marina e Pier Silvio, che davanti alle telecamere dicono di aver visto il padre “benissimo”. Nessuna traccia di Barbara, invece, possibile candidata alle elezioni europee. Nel colorato e magico mondo berlusconiano c’è però chi maligna un ricovero “diplomatico” in vista del 10 aprile. Ovviamente la questione è messa in termini difensivi per l’ex Cavaliere: “Berlusconi sta somatizzando questa attesa in maniera drammatica. È normale, comprensibile per un uomo di quasi 80 anni che si ritiene completamente innocente. La botta al ginocchio è arrivata, guarda caso, dopo l’incontro con Napolitano, andato malissimo”. MANCANO del resto appena cinque giorno al fatidico giorno del tribunale di sorveglianza e B. non regge lo stress. È la ripetizione dei film già visti con la condanna dell’agosto scorso e la successiva decadenza. Rabbia, umore nero, voglia di ribaltare tutto. E, già come con la Cassazione, impossibile fare previsioni in un senso o nell’altro. La Grande Attesa cominciata in un letto del San Raffaele è la metafora perfetta del berlusconismo malato sul viale del tramonto e dell’isolamento. Al solito, i suoi sono spaccati in mille clan. Adesso, la nota prevalente è che i falchi rinnegati, cioè quelli che spinsero B. alla rottura con il governo Letta, siano diventati moderati filorenziani. Denis Verdini, infatti, propugna la tesi del rispetto del patto con Renzi, pur tra correzioni e nuove priorità. A spingere invece per un nuovo big bang sono i due capigruppo parlamentari, Brunetta e Romani. Ha scritto il primo ieri sul Mattinale destinato a deputati e senatori azzurri e visibile a tutti on line: “Basta così. Ultima chiamata. O cambia rotta, o addio”. Gli azzurri, per esempio, chiedono prima l’Italicum e poi la riforma del Senato. Ma è fin troppo chiaro che tutto dipenderà dal destino di Berlusconi. Domiciliari o servizi sociali. E da quando, poi? Il tormentone non si risolverà se non con la decisione dei magistrati milanesi di sorveglianza. Tutto il resto è fuffa, ormai. Da Il Fatto Quotidiano del 05/04/ 2014. Piccoli liberali crescono (Marco Travaglio). by Il Fatto Quotidiano 5/4/2014 (il Chiosco) Submitted at 4/5/2014 2:17:22 AM Prende quota su Il Giornale il contrappello dei tre “intellettuali liberali” Bedeschi, Berti e Cofrancesco contro il documento di Libertà e Giustizia che segnala i pericoli di “svolta autoritaria” insiti nella combinazione Italicum-Senato delle Autonomie. Alle autorevoli adesioni dei craxiani Ostellino e Pellicani, se ne sono presto aggiunte altre 46, fra cui quella del craxiano Luigi Covatta e, per fare buon peso, quella del craxiano Giuliano Ferrara. Per ricostituire l’indimenticabile Assemblea Socialista (quella dei “nani e ballerine”, Rino Formica dixit) mancano soltanto Sandra Milo e il geometra Filippo Panseca (quello della piramide simil-egizia in onore del faraone Bettino I). Questi noti frequentatori di se stessi, oltre alla bizzarria di essere socialisti e di definirsi “liberali”, non possono proprio tollerare che esistano intellettuali non organici al potere, non appecoronati ai piedi del governo di turno. E questo, viste le loro biografie, è comprensibile. Ma poi contestano a Zagrebelsky, Rodotà, Pace, Carlassare & C. anche “l’autorità morale e il prestigio intellettuale” per criticare le riforme targate Renzusconi. Tralasciamo, per carità di patria, il concetto di “prestigio intellettuale”, che in bocca a un Ostellino e a un Ferrara diventa un ossimoro. E concentriamoci sull’“autorità morale”. Quella di Ferrara è nota da quando confessò, vantandosene si capisce, di aver fatto la spia per la Cia, a pagamento in contanti si capisce, per poi elogiare e difendere i peggiori lestofanti d’Italia: da Craxi ad Andreotti, da Contrada a Dell’Utri, da B. a Previti. Ma, tra i 51 firmaioli contrappellanti, c’è addirittura chi lo batte: Pier Franco Quaglieni, fondatore e presidente del Centro Pannunzio di Torino. Qualcuno dirà: e chi è costui? È quel che domanderebbe anche Mario Pannunzio, se fosse vivo. Nei primi anni 90, Indro Montanelli vinse il premio Pannunzio e lo accompagnai a ritirarlo. Durante la cerimonia, un trombone con barba e mustacchi risorgimentali concionò e tromboneggiò per ore, proclamandosi erede unico e universale del fondatore del Mondo. Montanelli, che di Pannunzio (quello vero) era amico e del suo giornale era collaboratore, lo ascoltò con crescente impazienza, poi mi sussurrò all’orecchio: “Ma chi è quel bischero? Io frequentavo Mario e il suo Mondo, ma non l’ho mai visto né sentito nominare”. Era Quaglieni. Dieci anni dopo, una giovanissima magistrata torinese denunciò per molestie un vecchio sporcaccione che la tempestava di telefonate sconce a ogni ora del giorno e della notte, spacciandosi per un tale “dottor Des Ambrois”. Gl’investigatori le misero il telefono sotto controllo e smascherarono il molestatore: era Quaglieni. Le sue erano ovviamente molestie tipicamente liberali, nel solco della tradizione crocian-einaudiana. Per meglio camuffarsi, il volpino usava astutamente come pseudonimo il nome della via d’angolo della sede il Centro Pannunzio (via Des Ambrois). Al processo che ne seguì a Milano, il presidente del “Pannunzio” dovette penosamente ammettere ciò che non poteva negare, visto che la voce immortalata nelle intercettazioni era la sua e il telefono da cui partivano le sconcezze era quello di casa sua. Seguirono le sue imbarazzate e imbarazzanti scuse alla vittima, anche per strappare ai magistrati una modesta oblazione in pena pecuniaria. In un paese normale, uno così sarebbe scomparso dalla circolazione. Invece il Quaglieni seguitò a impartire lezioni di liberalismo a destra e a sinistra. Soprattutto a sinistra, visto che il Centro Pannunzio s’è trasformato in una succursale di Forza Italia, frequentata da pensatori tocquevilleani del calibro di Daniele Capezzone, e l’erede dell’incolpevole e ignaro Pan-nunzio si batte impavido contro “l’egemonia culturale della sinistra” (infatti nel 1976, quando il vento della politica tirava a sinistra, si era prontamente candidato nelle liste del Pci, come si conviene a ogni intellettuale controcorrente). Ora, da quel popo’ di cattedra, fa la morale a Zagrebelsky e a Rodotà. Molestamente. Da Il Fatto Quotidiano del 05/04/ 2014. 8 FeedJournal Renzi e Napolitano: riforme con o senza B. (Wanda Marra). by Il Fatto Quotidiano 5/4/2014 (il Chiosco) Submitted at 4/5/2014 3:42:52 AM IL PREMIER PRIMA SALE AL COLLE E POI VA IN VATICANO DOPO AVER OTTENUTO IL SÌ ALL’IRRITUALE INCONTRO PRIVATO: “DA FEDELE”. A pranzo un’oretta dal presidente della Repubblica. Colloquio ufficiale. All’ora del thè 45 minuti da papa Francesco, con la famiglia. Matteo Renzi in un venerdì piuttosto intenso fa lo stesso giro della regina Elisabetta. IL PUNTO con il capo dello Stato arriva prima di una settimana di fuoco, con la presentazione del Def e la scadenza delle nomine. Ma soprattutto dopo che Berlusconi si è rimesso sulla scena con tutto il peso della sua situazione giudiziaria, andando a perorare la sua causa al Colle. Il capo dello Stato ha raccontato al premier com’è andato quel colloquio. Ma soprattutto è stato il premier a riferire l’esito di un altro incontro, quello che il giorno prima ha avuto con Denis Verdini e Gianni Letta. “Nessun problema – avrebbe detto a Napolitano – Verdini mi ha assicurato che sulle riforme loro sono pronti a rispettare l’accordo”. E dunque, a dispetto delle minacce dei “ribelli” del Pd: “I voti in Senato ce li ho, posso andare avanti”. Forza Italia, d’altra parte, al di là delle esternazioni di Brunetta, non si può permettere di andare alle elezioni troppo presto. E questo Verdini lo sa. Alle europee rischia di arrivare al 15% e con Berlusconi ai domiciliari o ai servizi sociali, magari “inagibile” politicamente, rischia il totale sfaldamento. Dal quale Renzi potrebbe avere tutto da guadagnare: per avere il tempo di riorganizzarsi i parlamentari di Fi sono pronti a garantire i loro voti al governo. Napolitano ha concordato con il quadro fornito da Renzi soprattutto perché Berlusconi a questo punto sembra incapace se non di nuocere, almeno di incidere. E comunque, nessuno può o vuole salvarlo dal suo destino giudiziario, quale che sia. E dunque, avanti, prima con l’approvazione della riforma del Senato, e solo dopo della legge elettorale. Un timing che al presidente della Repubblica va bene. Forte del vento in poppa, ieri Maria Elena Boschi non si è fatta scrupolo di redarguire Rodotà: “In questi trent’anni le continue prese di posizione dei professori hanno bloccato un processo di riforma non rinviabile” . Nel colloquio RenziNapolitano, sullo sfondo anche la possibilità di elezioni. Nessuno dei due è entrato nei tempi e nei modi, ma è chiaro ad entrambi che al momento in cui la situazione diventasse ingestibile o in cui Renzi dovesse valutare che che è meglio poter contare su una maggioranza più solida e soprattutto su dei parlamentari del Pd scelti da lui, la legislatura finisce. E allora, si va a votare anche con l’Italicum alla Camera e il cosiddetto Consultellum in Senato. Comunque, non è tema in grado di resistere da solo ai taliban e che possa collassare come quello di Mohamed Najibullah dopo il ritiro delle truppe sovietiche che lo appoggiavano. Tuttavia “il più grande pericolo per la democrazia in Afghanistan nel lungo periodo non sono i taliban, ma l’esercito”, scrive Paul D. Miller su Foreign Policy. Anche senza la firma dell’accordo sulla permanenza delle truppe, gli Stati Uniti e gli altri donatori internazionali non cancelleranno il sostegno finanziario a Kabul, e i taliban non sembrano in grado di riconquistare militarmente la capitale. L’esercito riceve oltre cinque milioni di dollari all’anno, oltre un quarto del prodotto interno lordo dell’Afghanistan, ed è di gran lunga l’istituzione di cui gli afgani si fidano di più. Se dalle elezioni dovesse uscire un governo debole e inefficiente, i generali potrebbero approfittare dell’insofferenza degli afgani per la corruzione e della minaccia dei taliban per prendere il controllo del paese, come successo più volte nel vicino Pakistan. Gli Stati Uniti e i loro alleati, a cui interessa più la sicurezza del paese che lo sviluppo della democrazia, potrebbero tollerare una simile eventualità, ma nel lungo termine le conseguenze per la stabilità della regione sarebbero disastrose, come dimostra l’esempio pachistano. AFGHANISTAN continued from page 5 permanenza di un contingente militare statunitense dopo il 2014. La questione sarà affrontata dal suo successore, e tutti e tre i principali candidati hanno lasciato intendere che firmeranno l’accordo. Per questo gli Stati Uniti non sembrano avere preferenze sul vincitore, e le loro principali richieste saranno l’autorizzazione delle operazioni militari contro i taliban sul territorio afgano, da cui partono anche i droni usati per i bombardamenti nel vicino Pakistan, e il rafforzamento dell’esercito. L’avvio del processo di pace con i taliban è considerato una priorità dai candidati, ma non sembra destinato a concretizzarsi a breve. L’ombra del golpe. Il progressivo disimpegno degli Stati Uniti dall’Afghanistan ha suscitato il timore che il governo locale non sia all’ordine del giorno immediato. Napolitano era soprattutto interessato a sapere com’era andata a Londra con Cameron e farsi raccontare le misure economiche in cantiere. Anche sul Def, Renzi l’ha rassicurato. UNA VOLTA sceso dal Quirinale, il premier si è preparato al colloquio col Papa. Una visita privata, prima di quella ufficiale. Una procedura irrituale, che ha causato qualche scompiglio in Vaticano. In genere, il nuovo presidente del Consiglio, prima vede il segretario di Stato vaticano e poi magari fa un bilaterale col Pontefice. Ma Matteo quando vuole una cosa fa di tutto per ottenerla: e dunque ce l’ha messa tutta per conquistarsi la visita a un Papa talmente popolare che chiunque gli sia vicino brilla di luce riflessa. Non solo: ha cercato di impostare un rapporto umano, uno scambio diretto. Senza contare che Renzi è cattolico praticante, e che voleva andare per la prima volta dal Papa come fedele, portando con sè la famiglia. E dunque alle 17 e 43 guidando la Lancia Delta di famiglia accompagnato dalla moglie, Agnese e dai figli Francesco, Emanuele ed Ester è entrato in Vaticano. Il Papa era da solo. Con i tre piccoli ha parlato dei loro studi, con Matteo e Agnese della loro vita familiare e religiosa. Ma sull’udienza è stata mantenuta da ambo le parti un quasi totale riserbo. Da Il Fatto Quotidiano del 05/04/ 2014. FeedJournal 9 Renzi lavora a tagli lineari per pagare gli 80 euro Sanità nel mirino e l’Italia rischia la deflazione (Marco Palombi). by Il Fatto Quotidiano 5/4/2014 (il Chiosco) Submitted at 4/5/2014 3:26:38 AM VECCHI METODI. Non è corretto parlare di tagli lineari, bensì di corpose riorganizzazioni e riduzioni di acquisti a livello nazionale”. Questa è la tesi lasciata trapelare dal Tesoro sulle coperture strutturali del famoso taglio Irpef da 80 euro mensili e, va detto, assomiglia un po’ a quella forma del discorso che Ugo Tognazzi ha immortalato nell’espressione “supercazzola”. Non sono tagli lineari, ma corpose riduzioni di spesa. Lineari, visto che l’obiettivo di risparmio è già deciso e non verificato a consuntivo di eventuali buone pratiche messe in campo nella P.A. o nella gestione dei suoi appalti per beni e servizi. Niente di nuovo rispetto a quanto fatto da Giulio Tremonti, Mario Monti e, in parte, Enrico Letta. CHE DI TAGLI LINEARI si stia discutendo – e peraltro non solo nella spesa intermedia (acquisti) – è non solo una conseguenza logica di quanto detto, ma è confermato da una nota riassuntiva visionata dal Fatto Quotidiano: Consip ha praticamente chiuso quasi tutti i contratti sul 2014 e dunque dalla spesa per beni e servizi il governo si aspetta di ricavare 800 milioni bloccando tutto quel che resta da fare (in realtà per la Ragioneria generale al massimo si risparmieranno 700 milioni). Anche da capitoli di impatto mediatico come gli stipendi dei manager potranno arrivare pochi spiccioli: 500 milioni secondo il governo, 300 per la Ragioneria. I restanti 3,5 miliardi di coperture che dovrebbero arrivare da riduzioni di spesa sono tagli lineari – come i primi due, d’altronde – ai bilanci dei vari settori (Difesa e Esteri, poco, Sanità molto), che andranno a sommarsi a quelli ancora operativi sul 2014 e 2015 delle finanziarie dei tre precedenti esecutivi. Il settore della salute, come detto, è nelle intenzioni del Tesoro l’obiettivo più appetibile: 110 miliardi l’anno sembrano un’enormità eppure i tagli ci sono già stati, e non indolori. L’incidenza della spesa sanitaria sul Pil è passata dal 9,2 per cento del 2011 al 7,1 dell’anno scorso, meno della media europea. Ormai ogni riduzione di spesa incide sulla carne viva dei cittadini. Tradotto: ogni taglio significa meno servizi o aumento del ticket. C’è sempre il modo di spendere meglio i soldi, ma il Sistema sanitario nazionale non può sopportare più tagli lineari: lo dice anche una Indagine conoscitiva disposta all’unanimità dal Parlamento e le cui conclusioni dovrebbero essere pubblicate a breve, dopo sei mesi di audizioni di tutti i soggetti coinvolti a vario titolo col Ssn, dai medici ai pazienti, dai Centri di ricerca agli Osservatori. L’AMACA del 05/03/2014 (Michele Serra). by La Repubblica 5/4/2014 (il Chiosco) Submitted at 4/5/2014 2:35:18 AM SO DI un ristorante lombardo (locale impeccabile, gestito da persone impeccabili) che in una delle numerose ispezioni della Asl si sente imputare la seguente colpa: la distanza tra la maniglia della porta di sicurezza e il pavimento è di cinque centimetri difforme dai parametri di legge. Il gestore riesce a evitare la multa solo dopo una estenuante discussione. Ne esce furibondo. Paga le tasse, non ha dipendenti in nero, non incassa un solo euro senza scontrino; nonostante questo si sente trattato dallo Stato come un nemico da sorvegliare. Si sa che la questione è annosa. Come per l’uovo e la gallina, non si capisce se sia un popolo incline all’imbroglio ad avere generato uno Stato sbirro, o viceversa. Ma in mezzo a quella morsa ci stanno, del tutto incolpevoli, milioni di onesti e di volonterosi: perché devono pagare anche loro il prezzo della secolare diffidenza (reciproca) tra gli italiani e le leggi? Esiste uno spiraglio, per sortire prima o poi da questo odioso equivoco, o i ristoranti (e le imprese di ogni ordine e grado) bisogna aprirli tutti all’estero, lontano da questo viluppo malsano di sospetti occhiuti e di burocrazia impazzita? Da La Repubblica del 05/04/2014. ANCHE SE FACESSE tutto questo, comunque, a Renzi mancherebbero comunque 2 miliardi sui 6,6 che gli servono per tagliare l’Irpef nel 2014 (l’anno prossimo, si spera nelle forbici di san Carlo Cottarelli) Un miliardo circa dovrebbe arrivare dai 2,5 totali di minori interessi sul debito (Tesoro e Ue hanno invece detto no ad un aumento del deficit), il resto dagli incassi Iva sul pagamento di 1315 miliardi di debiti commerciali della P.A.: non quelli vecchi, però, ma quelli contratti in questi mesi, in modo che i pagamenti dell’imposta sul valore aggiunto siano entrate reali, non già scontate in qualche modo dalle aziende. Il problema vero è che non solo la sanità, ma l’intera economia del paese non può più reggere a una politica economica che l’ha già portata in recessione e ora quasi in deflazione. Avverte Francesco Boccia, presidente Pd della commissione Bilancio di Montecitorio: “Se noi in Italia, con tassi di interesse in calo, disinflazione, riduzione del Pil, dei salari e del valore dei beni, facciamo dei tagli indiscriminati della spesa pubblica passeremmo dalla disinflazione alla deflazione, innescando una spirale perversa che alla fine impazzirà con forti ripercussioni negative per l’economia”. E, ovviamente sui conti pubblici. Da Il Fatto Quotidiano del 05/04/ 2014. Africa - La mappa dell’epidemia di ebola by www.internazionale.it (il Chiosco) Submitted at 4/4/2014 12:15:00 PM Personale di Medici senza frontiere cerca di costruire un reparto d’isolamento a Guékedou, in Guinea. (Seyllou, Afp) Le autorità del Mali hanno annunciato il 3 aprile di aver registrato tre casi sospetti di febbre emorragica dovuti al virus ebola. I malati sono stati messi in isolamento. Il virus ebola ha ucciso almeno ottanta persone in Guinea. Secondo l’ong Medici senza frontiere, presente sul campo, l’epidemia in Guinea è particolarmente pericolosa perché ci sono diversi focolai sparsi nel paese. Ebola provoca una febbre emorragica con una mortalità che può essere del 90 per cento. Segnalati otto casi sospetti in Liberia (di cui due confermati) e due in Sierra Leone. Il Senegal ha chiuso le frontiere. L’Arabia Saudita nega il visto ai pellegrini provenienti dai paesi colpiti. (Fonti: Ccd/Who/Le Monde/ Huffington Post) Tra il 1976 e il 2012 il virus ebola ha provocato la morte di 1.554 persone (su 2.345 casi confermati). Questa grave febbre emorragica è emersa per la prima volta nel 1976 nell’attuale Sud Sudan e contemporaneamente nella Repubblica Democratica del Congo. Esistono vari ceppi del virus: quello che ha colpito in questi giorni la Guinea è il ceppo Zaire, che ha il tasso di mortalità più alto. 10 FeedJournal Photokill (Vittorio Zucconi) by www.repubblica.it (il Chiosco) Nigeria - L’economia nigeriana crescerà del 65 per cento in un giorno by www.internazionale.it (il Chiosco) Submitted at 4/4/2014 11:32:00 AM Un mercato a Lagos, in Nigeria, il 9 marzo 2012. (Benedicte Kurzen, The New York Times/Contrasto) Il 6 aprile la Nigeria potrebbe diventare l’economia più grande dell’Africa. Il merito non è della crescita economica, ma del rebasing, l’aggiornamento delle basi statistiche del calcolo del pil. La maggior parte dei paesi compie questa operazione ogni tre o quattro anni, mentre gli Stati Uniti dispongono di un sistema per cui i dati vengono aggiornati costantemente. In Nigeria invece l’ultimo aggiornamento risale al 1990, quando nel paese c’era una sola compagnia aerea e gli utenti della rete telefonica erano meno di trecentomila. Negli ultimi anni il rebasing è stato più volte annunciato ma mai realizzato, perché l’istituto nazionale di statistica non aveva risorse sufficienti e il governo aveva altre priorità. Secondo alcuni analisti l’aggiornamento dell’anno di riferimento dal 1990 al 2010 potrebbe significare un balzo del pil del 65 per cento. Il pil nigeriano dovrebbe salire a 315 miliardi di euro, superando quello del Sudafrica (270 miliardi di euro), finora il più alto del continente. Questo a sua volta determinerà altri aggiustamenti statistici, dal calcolo del pil pro capite a quello del rapporto tra pil e debito, e avrà conseguenze pratiche dato che questi indicatori vengono utilizzati per ripartire gli aiuti internazionali e influenzano gli investimenti dall’estero. L’ascesa dei Mint. Il boom dell’economia nigeriana però non esiste solo sulla carta. Negli ultimi anni il tasso di crescita è stato costantemente superiore al 7 per cento e il paese dispone di grandi riserve di petrolio e di una demografia favorevole, con un’alta percentuale di individui in età lavorativa rispetto al totale. Secondo le Nazioni Unite entro il 2050 la sua popolazione dovrebbe passare dagli attuali 170 milioni a 440 milioni, facendone il terzo paese più popolato al mondo. Recentemente l’economista Jim O’Neill, che nel 2001 aveva coniato l’acronimo Bric per definire le economie emergenti dello scorso decennio (Brasile, India, Cina e Russia), ha lanciato la sigla Mint(Messico, Indonesia, Nigeria e Turchia) per attirare l’attenzione su questo nuovo gruppo di paesi in rapido sviluppo. Secondo O’Neill la Nigeria, attualmente il più povero dei quattro paesi, sarà anche quello che nei prossimi anni crescerà più rapidamente. L’ostacolo più grande non sarà la corruzione endemica e nemmeno l’alta criminalità, nonostante l’aumento delle violenze del gruppo islamista Boko Haram nelle regioni settentrionali, ma la mancanza di infrastrutture. La creazione di una rete elettrica più efficiente, che sopperisca alla mancanza di energia che costringe la maggior parte delle famiglie e delle attività commerciali a ricorrere ai generatori privati, basterebbe da sola a portare la crescita economica dal 7 al 10-12 per cento, prevede O’Neill. Submitted at 4/4/2014 11:42:28 PM Anja Niedringhaus, la fotoreporter tedesca che ci ha dato molte delle poche immagini reali delle guerre in Afghhanistan e Irak, è stata uccisa a 48 anni da un cosiddetto poliziotto afghano. Nel tempo dello sciagurato pseudogiornalismo fatto con Photoshop e dei montaggi infantili che passano per arguzia e informazione, o nel rimescolamento delle stesse notizie e delle bufale nel rigurgito incessante di Internet che consuma, digerisce e vomita se stessa, lei ancora credeva nel vedere e nel rischiare di persona. 70 giornalisti, in gran parte fotoreporter od operatori, sono stati uccisi nel 2013.