www.ilchioscodifrancescoimpala.wordpress.com
N.19 - 5 aprile 2014
FeedJournal
4/4/2014 at 9:58:00 AM - 4/5/2014 at 10:53:20 AM
feedjournal.com
Fi crolla nei sondaggi.Berlusconi punta le
riforme “Il patto così non paga” Appello antigiudici al Colle (CARMELO LOPAPA).
by La Repubblica 5/4/2014 (il
Chiosco)
Submitted at 4/5/2014 3:56:09 AM
Una petizione di Rotondi per
premere sul Csm Oggi l’ex premier
lascia il San Raffaele per Arcore.
IL RETROSCENA
ROMA - APPARIZIONI pubbliche
cancellate fino al 10 aprile. Strategia
dell’immersione, per scongiurare il
peggio dal Tribunale di sorveglianza.
Gli avvocati e i consiglieri non hanno
raccomandato altro a Silvio
Berlusconi, il quale dovrebbe lasciare
questa mattina il San Raffaele dove è
ricoverato da venerdì sera per curare
la brutta infiammazione alla
cartilagine del ginocchio sinistro,
parecchio gonfio ancora ieri sera,
raccontano.
Tac e infiltrazioni, da oggi
convalescenza e riposo ad Arcore.
Solo una telefonata alla kermesse
milanese di presentazione delle
candidature dei capilista Giovanni
Toti e Licia Ronzulli, organizzata da
Mariastella Gelmini a Milano.
Cancellato del tutto il comizio di
lunedì a Torino per le regionali in
Piemonte. Perché su tutto, perfino sul
dolore lancinante al ginocchio, grava
la paura di quel pronunciamento dei
giudici di Milano chiamati a decidere
sui domiciliari o i servizi sociali.
«Da giovane quale sono ho abusato
del mio fisico, lavorando venti ore al
giorno, ecco il risultato, e poi dicono
che ho somatizzato le mie
preoccupazioni » confida Berlusconi
ai coordinatori siciliani chiamati in
viva voce in mattinata, con chiara
allusione all’imminente data-incubo.
«Vogliono tappare la bocca al capo
dell’opposizione, ormai è evidente» è
l’accusa che continua a ripetere
facendosi più serio. Con lui è rimasta
sempre Francesca Pascale. Solo tre
visite ammesse. Quella della
primogenita Marina, poi nel
pomeriggio Piersilvio («L’ho visto
benissimo » dirà). E infine il
consigliere politico Giovanni Toti, il
quale appena uscito ha spazzato via
insinuazioni e sospetti già in circolo,
quelli che vorrebbero il ricovero
frutto di una strategia processuale
finalizzata a rimandare l’udienza. Un
po’ come si era detto ai tempi del
ricovero per uveite. «Lo escludo
categoricamente, semmai questo stop
ci penalizza per la campagna
elettorale già partita» dice l’ex
direttore Mediaset. Giusto con lui si è
attardato a parlare a lungo di politica.
Sullo sfondo, minacciosi, i sondaggi
che danno Forza Italia in vertiginoso
calo di consensi, l’ultimo ieri “Ixè”
per Agorà (16,9 per cento, terzo,
lontano partito). Qualcuno getta
acqua sul fuoco, fuori da lì, come la
Gelmini («I sondaggi sono una cosa e
la elezioni sono un’altra, la campagna
deve ancora cominciare »). Il fatto è
che nel partito in molti, e non solo i
capigruppo Paolo Romani e Renato
Brunetta (il più duro: «A tutto c’è un
limite, il premier è uno sbruffone»),
alimentano il dubbio che il sostegno
pieno alle riforme di Renzi non paghi
elettoralmente. Un pensiero che in
queste ore di degenza sembra abbia
fatto breccia nel leader. «Il patto così
non paga. Noi non possiamo tirarci
indietro, se ci tagliamo fuori la
paghiamo, appariremmo come forza
di conservazione — è stato il
ragionamento di Berlusconi nella
giornata di pit-stop in clinica ai suoi
interlocutori telefonici — Ma non
possiamo nemmeno apparire come i
comprimari di Renzi, dobbiamo
imporre nostri correttivi, si deve
capire che i protagonisti in questa
partita sono due». Uscito dal San
Raffaele, anche Toti sarà abbastanza
esplicito: «Noi le riforme le vogliamo
fare, siamo sulla buona strada, ma
devono essere più incisive troppo
timido il premier, così com’è la legge
elettorale da cavallo è diventata un
somaro, il Senato per come è stato
pensato forse sarebbe meglio
chiuderlo del tutto: occorrono
importanti correttivi, più coraggio».
Ma non di sole riforme si può
alimentare la campagna per il 25
maggio. La paura di Berlusconi è di
lasciare a Grillo e alla Lega l’intera
prateria anti-Euro. Nasce da qui l’idea
di lanciare a giorni un battage in stile
Thatcher anni Ottanta: «L’Europa
restituisca all’Italia i 100 miliardi che
verseremo nei prossimi cinque anni»,
lo slogan. E poi un tema assai caro al
loro elettorato di base. Il partito
alzerà da lunedì la voce perché la
restituzione degli 80 euro in busta
paga sia estesa anche alle partite Iva.
Ma nel mini appartamento a lui
riservato nella clinica l’ex Cavaliere
ha lavorato anche alle liste elettorali.
L’ultima trovata per le Europee è
quella di candidare Alessandra
Mussolini nella circoscrizione Sud,
dato che una sua visibilità da donna
«forte» in queste settimane se la
sarebbe involontariamente ritagliata.
Il leader si è dovuto arrendere di
fronte al “no grazie” risoluto della
senatrice campana, per adesso
abbastanza defilata. Come altrettanto
risoluto è, per altre ragioni, quello di
Mara Carfagna. Tutto nel partito
continua a ruotare però nell’attesa del
10. E spunta adesso un documentopetizione firmato dal “premier
ombra” Gianfanco Rotondi (e con lui
da Catone, Prestigiacomo, Nitto
Palma, Tedeschini, Santanché,
Martino, Ravetto, Biancofiore, Galan
e alcuni avvocati) per chiedere al
capo dello Stato un atto di indirizzo al
Csm. L’obiettivo: consentire al
Tribunale di applicare la pena
garantendo comunque a Berlusconi di
far politica. Ma è una petizione
stoppata in extremis dallo stesso
condannato.
Da La Repubblica del 05/04/2014.
Autobotte da orbi (Massimo Gramellini).
by La Stampa 5/4/2014 (il
Chiosco)
Submitted at 4/5/2014 3:08:09 AM
Lo Stato italiano non attraversa un
periodo di particolare popolarità,
almeno tra gli italiani. Se in Veneto
tentano di buttarlo giù con un trattore
travestito, in Campania è lui che
cerca disperatamente di farsi notare,
servendosi persino di un’autobotte.
Succede a Casal di Principe, area di
infiltrazioni tossiche nel terreno e
camorristiche nel consiglio comunale.
Quest’ultimo è stato sciolto a fine
febbraio e sostituito da una
commissione prefettizia. Ma si sa
come sono i commissari prefettizi:
dei patrioti inguaribili. Appreso che
l’intera periferia dell’abitato si
dissetava da pozzi inquinati, hanno
spedito in perlustrazione un
avamposto della presenza statale:
un’autobotte gonfia di acqua potabile.
Si immaginavano, gli illusi, che la
popolazione sarebbe accorsa in massa
intorno al totem unitario per attingere
la sostanza vitale in un turbinio di
bacinelle, damigiane e secchi colorati.
Qual è stata la loro sorpresa alla
scoperta che invece non si avvicinava
nessuno. Non gli anziani, abitudinari
o fatalisti. E nemmeno i giovani,
altrettanto diffidenti ma sicuramente
più dinamici, al punto da avere risolto
da tempo il problema della sete con
un dedalo di allacci abusivi alla rete
idrica. Così ogni tre giorni l’autobotte
repubblicana – respinta come un
corpo estraneo, anzi straniero –
tornava mestamente nelle retrovie per
scaricare il suo contenuto prezioso
dentro le fogne. Allo Stato non è
rimasto che arrendersi, sospendendo
un servizio costoso e soprattutto
vano.
In questa storia ci sono così tante
metafore del nostro Paese che corro a
ubriacarmi alla prima autobotte.
Da La Stampa del 05/04/2014.
2
FeedJournal
“Superato il Pd, anche Renzi lo sa Ora un’altra
Ue” (Luca De Carolis ed Emiliano Liuzzi).
by Il Fatto Quotidiano 5/4/2014
(il Chiosco)
Submitted at 4/5/2014 2:56:02 AM
DUE ORE CON GRILLO: CHE
PARLA DI EUROPA, VITA
PRIVATA, ESPULSIONI. DICE DI
AVERE MOLTA VOGLIA DI
INCONTRARE IL PAPA: “NON MI
STUPIREI SE LO VEDESSI
APPARIRE, MAGARI COL
FRIGORIFERO IN SPALLA COME
QUANDO LO IMITA CROZZA IO
SONO RELIGIOSO. INCONTRARE
L’EBETINO IN TV? NON CI
PENSO PROPRIO”.
È sempre difficile parlare con Beppe
Grillo. Il rischio è che sfugga, parta in
solitario e concluda con la sua
specialità: il monologo. La
chiacchierata di ieri è fatta all’hotel
Forum, proprietà di un suo amico e
casa Grillo nelle rare apparizioni
romane. C’è il Grillo politico, quello
che si aspetta i dossier e indica come
mandante “l’ingegner Carlo De
Benedetti”, e quello privato. C’è la
contraddizione tra il politico e il
comico, che lui gioca come in una
partita a poker, a seconda di come gli
torna meglio. Poche ricette, come
quella dei dazi sui prodotti agricoli
importati. Pochi punti, perché “la
Costituzione non è fatta di ambiguità,
ma di 139 articoli, ogni periodo è
meno di 20 parole”.
Grillo, partiamo dall’inizio o da
oggi?
Per me è lo stesso. L’inizio, oggi e
domani sono la stessa cosa. E si
chiamano Movimento 5 stelle. Questi
sono finiti. E non dite che sono
capace solo a dire parolacce.
Purtroppo servono anche quelle.
Serve la rabbia e la parolaccia.
D’altronde lei è partito da un
vaffanculo, giusto?
Quattro anni e mezzo fa è nato il
Movimento-Cinque stelle, il V Day
prima, e quello che abbiamo costruito
è unico e irripetibile.
Saranno finiti gli altri, ma anche voi
non ve la passate molto bene. E Renzi
promette di durare a lungo. Vuole
riformare il Senato.
Noi vinceremo le elezioni europee.
Saremo il primo partito. E quelli del
Pd lo sanno bene. Quanto alla riforma
non puoi dire che risparmierai un
miliardo dal Senato visto che costa
150 milioni l’anno. Sarebbe più
sensato renderlo un organo di
controllo e tagliare i parlamentari.
L’ascesa di Renzi è un’invenzione
giornalistica.
I sondaggi lo danno in testa.
Soprattutto dopo l’annuncio degli 80
euro in busta paga.
I sondaggi sono pilotati. Da sempre.
E gli 80 euro sono voto di scambio.
I dossier in arrivo dei quali parla
Casaleggio chi li sta facendo?
I giornali di De Benedetti. Ma lui
deve stare tranquillo, perché io vado a
Sankt Moritz in pullman. Noi
vogliamo fare il politometro se
andiamo al governo, per verificare
quanto aveva un politico prima di
iniziare e quanto ha dopo la carriera.
Lo faremo anche sui prenditori:
andiamo a vedere le società che sono
sparite, chi c’era. Per esempio,
vediamo quanti soldi aveva De
Benedetti prima dell’Olivetti e dopo
l’Olivetti, quando quella società con
70 mila dipendenti è sparita.
Andiamo a vedere la Telecom di
Tronchetti. Ora reagiamo.
Lei pensa che De Benedetti sia
un suo avversario?
Assolutamente, sì. Lui è il mandante.
Ha i lobbisti in Parlamento, come
Berlusconi, con cui si sono divisi le
cose. Detiene mezzi di
comunicazione che perdono centinaia
di milioni l’anno. Ha interessi nel
carbone.
Dossier o no, lei è sicuro di non aver
fatto troppi errori?
Ho la stessa sensazione di quando è
iniziata l’avventura, quando vedevo
le piazze riempirsi a ogni tappa. È
vero, abbiamo commesso molti errori.
E quel 25,5 per cento raccolto alle
Politiche ci è esploso tra le mani.
Sarebbe stupido dire che non è vero.
Abbiamo avuto problemi, abbiamo
sbagliato, ci sono stati troppi eccessi.
Ma abbiamo raggiunto un livello di
maturità che ci permette di essere il
primo partito.
Dicevamo degli errori, però. E delle
contraddizioni. Come quella di non
mandare nessuno dei parlamentari in
tivù mentre oggi vanno e spesso. Non
è incoerenza?
No. Si chiama maturità, che prima
non avevamo e oggi forse sì. La
televisione è una grande trappola, ha
dei manovratori dietro che ti fregano
se non sai come comportarti. Lo
fanno in maniera scientifica . Se tutti
fossimo andati in tivvù all’inizio
saremmo stati massacrati. Questo è il
sistema che voleva l’informazione. È
stata una di quelle scelte giuste.
E le espulsioni? Non pensa di aver
esagerato?
Io non espello, non licenzio nessuno
e non l’ho mai fatto. Non ne sarei
proprio capace. Hanno deciso la base,
il web, i parlamentari.
Parliamo di europarlamentarie, le
consultazioni sul web per scegliere i
candidati in Europa. Tanti attivisti e
anche parlamentari hanno protestato
contro le regole per l’invasione di
sconosciuti.
Non sono conosciuti dalle procure. E
questo è un nostro fiore all’occhiello.
Io poi non ne conosco quasi nessuno,
eppure dicono che decido tutto
dall’alto.
Lei ha postato anche una norma
aggiuntiva per escludere dalle liste
dipendenti o ex dipendenti della
Casaleggio associati.
C’erano dei casi di ex dipendenti
della Casaleggio e io mi sono
opposto, perché c’erano delle
insinuazioni. Ma il sistema ha
funzionato e funziona. Certo, il
candidato della Valle d’Aosta ha
preso 33 voti, ma lì sono 100 mila
persone, e poi si sono presentati in 4.
Alcuni deputati e senatori hanno
chiesto un’assemblea congiunta sul
deputato Riccardo Nuti, “re o” di aver
appoggiato ufficialmente una
candidata in Sicilia, eletta al primo
turno.
Non lo so, non ho letto nulla su
questo. Preferirei che i parlamentari si
astenessero dal dare consigli su
candidati o cose del genere. Magari
uno lo fa anche in buona fede, ma è
meglio tenersi fuori.
Lei ha votato?
Sì, l’ho fatto ieri sera (giovedì, ndr)
dal palco a Napoli, in diretta. Sono
andato sullo schermo, ho visto i 18
candidati della mia circoscrizione e
ho dato tre preferenze.
Per chi ha votato?
Il voto è segreto. Non ho fatto vedere
a chi ho dato il mio.
Il secondo turno è stato sospeso per
alcune ore.
Un programmatore ha sbagliato e ci
siamo dovuti fermare. Ma ripeto, il
sistema funziona: la gente sceglie,
senza trucchi. Ogni votazione viene
certificata da un ente terzo. Noi non
entriamo nel sistema delle preferenze.
Mai avuta la tentazione di scegliere
in prima persona qualche
parlamentare?
No, non è nelle mie corde. Io guardo
il Movimento che cresce. Siamo
passati da 199 liste certificate l’anno
scorso a quasi 700. Se ne metti venti
per lista sono 20mila attivisti. Ma
dove lo trovi un partito con questi
numeri?
Avete previsto una penale da 250
mila euro per gli eletti in Europa che,
in caso di sfiducia da parte della base,
non si vogliano dimettere. Ma il
vincolo di mandato è vietato dalle
norme europee e dalla Costituzione.
È un deterrente, poi vedremo se è
legale o meno. Secondo i nostri
avvocati si può fare. Ma è importante
aver messo anche il recall, come negli
Stati Uniti: se non rispetti il
programma, 500 persone della tua
circoscrizione ti mandano a casa.
Però oggi lei non fa comizi, è tornato
al suo lavoro con gli spettacoli
teatrali. Sono comizi a pagamento?
Certo. Ho sbagliato il titolo.
“SUPERATO page 4
FeedJournal
3
La paralisi deflattiva della BCE guida Italia,
Francia e Spagna nelle trappole del debito
by www.beppegrillo.it
Beppe Grillo (il Chiosco)
Submitted at 4/5/2014 3:40:12 AM
immagine: graffito comparso sui
muri del nuovo palazzo della BCE.
L'austerity voluta dalla BCE e
accettata dall'Italia ridotta a un cane
da pagliaio amplificato dai giornali di
regime ci sta facendo entrare in
deflazione.
Da Wikipedia: "La deflazione deriva
dalla debolezza della domanda di
beni e servizi, cioè un freno nella
spesa di consumatori e aziende, i
quali poi attendono ulteriori cali dei
prezzi, creando una spirale negativa.
Le imprese, non riuscendo a vendere
a determinati prezzi parte dei beni e
servizi, cercano di collocarli a prezzi
inferiori". E per farlo abbassano i
costi del lavoro. Imprese in crisi,
lavoratori più poveri.
Da The Telegraph del 2 aprile 2014
La paralisi deflattiva della BCE
guida Italia, Francia e Spagna nelle
trappole del debito. Francoforte
potrebbe in qualsiasi momento
rimettere in carreggiata l'euro,
mostrando una ferma volontà di
reagire alla situazione attuale, ma ha
scelto di non farlo.
E la Banca Centrale Europea gliel'ha
consentito. Negli ultimi cinque mesi,
la deflazione è avanzata a un tasso
annuo pari a -1.5% nell'Eurozona, in
conseguenza delle tasse imposte dalle
misure di austerity.
In base ai miei calcoli approssimativi
(annualizzati), partendo dai dati
mensili di Eurostat, da settembre i
prezzi sono calati al ritmo del 6.5% in
Grecia, del 5.6% in Italia, del 4.7% in
Spagna, del 4% in Portogallo, del 3%
in Slovenia e quasi del 2% in Olanda.
Il rialzo dell'euro rispetto a dollaro,
yen, yuan e alle valute di Brasile,
Turchia e paesi asiatici in via di
sviluppo, è in parte responsabile di
questa deflazione importata. Il tradeweighted index di Eurolandia è salito
del 6% in un anno.
Ma questa non può essere una
scusante: si tratta di una conseguenza
diretta della politica monetaria della
BCE. Francoforte potrebbe in
qualsiasi momento rimettere in
carreggiata l'euro, mostrando una
ferma volontà di reagire alla
situazione attuale. Ha scelto di non
farlo, nella speranza che qualche
parola di pace pronunciata senza
convinzione possa in qualche modo
invertire la tendenza globale.
È arduo stabilire quale sia il punto in
cui la deflazione si inserisce nel
sistema. Dalla metà del 2012, i prezzi
alla produzione si sono notevolmente
ridotti e la tendenza si è velocizzata a
febbraio, raggiungendo una
percentuale pari a -1.7%: il declino
più vertiginoso dalla crisi Lehman.
Ma questa volta non si tratta della
diretta conseguenza di un crac
finanziario: il fenomeno è cronico, e
più insidioso.
Il professor Luis Garicano, della
London School of Economics, ha
affermato che i modelli economici
utilizzati per prevedere l'inflazione
appaiono fuorvianti e comportano una
serie di errori di valutazione. " Sono
necessari interventi molto seri," ha
dichiarato.
Laurence Boone e Ruben SeguraCayuela, della Bank of America,
affermano che il loro indice di "
sorpresa inflattiva" continua a
scendere man mano che l'eurozona
viene scossa da uno shock dietro
l'altro, mentre il loro misuratore della
" vulnerabilità deflazionistica" ha
cominciato a lampeggiare in rosso per
la maggior parte dei paesi della UEM.
L'effetto è pesantemente corrosivo,
anche se la regione non è mai entrata
in deflazione tecnica. La lowflation
(bassa inflazione), vicina allo 0,5%,
può scombinare le traiettorie del
debito, se prolungata, portando
nuovamente l'Europa verso una crisi
debitoria. " La più pericolosa
minaccia per le dinamiche del debito
pubblico è un'inflazione inferiore alle
aspettative. Anche solo un'inflazione
più bassa del previso, non una
deflazione, comporterebbe un
significativo deterioramento delle
finanze pubbliche dei paesi, ha
affermato.
Secondo la banca, una lowflation
prolungata potrebbe provocare un
aumento dei rapporti di
indebitamento entro il 2018, il che
comporterebbe un aumento di 10
punti percentuali del debito sul PIL in
Francia (105%), di 15 in Italia
(148%), e di 24 punti in Spagna
(118%).
Questi paesi hanno di fronte
un'impresa di Sisifo: qualsiasi
risultato ottengano dall'austerità verrà
sbaragliato dalla forza maggiore della
deflazione del debito. Lo stesso "
effetto denominatore con il peso del
debito che aumenta più velocemente
del PIL nominale ingolferà anche il
settore privato, che è ancora il tallone
di Achille in Spagna, Portogallo e
Irlanda.
Secondo Moody's , la " bassa
inflazione" (dallo 0.5 all'1% fino al
2018) "rinnoverebbe la
preoccupazione sulla sostenibilità del
debito, serrando la morsa sulle
famiglie e sulle aziende con debiti a
tasso fisso. Eroderebbe, inoltre, gli
asset bancari, comportando nuovi
fallimenti delle banche, e colpirebbe
gli assicuratori sulla vita per
discrepanze sulle scadenze. "
Evitando una decisa deflazione non si
proteggerà completamente l'eurozona
da uno shock: la combinazione di
bassa crescita e bassa inflazione ha un
impatto significativo su tutti i settori
dell'economia", ha affermato.
Secondo l'affermazione di Reza
Moghadam, del Fondo Monetario
Internazionale, anche l'inflazione allo
0.5% minaccia di " soffocare la
nascente ripresa" dell'Europa.
Aggrava, inoltre, il divario nord-sud,
rendendo ancora più difficile al Club
Med il recupero della competitività
persa. Gli stati indebitati dovranno
apportare svalutazioni interne ancora
più drastiche per riguadagnare
terreno, ma ciò spingerà in alto i loro
rapporti di indebitamento. " Ogni
punto di aggiustamento relativo dei
prezzi dovrà essere perseguito a costo
di una maggiore deflazione del
debito", ha dichiarato.
Un'inflazione molto bassa può
avvantaggiare importanti segmenti
della popolazione, principalmente i
risparmiatori netti, ma nel contesto
odierno dei problemi dovuti al diffuso
indebitamento, va a detrimento della
ripresa dell'eurozona, soprattutto nei
paesi più fragili, dove vanifica gli
sforzi per ridurre il debito", ha
affermato.
Una volta compreso questo aspetto
fondamentale, e cioè che vanifica gli
sforzi per controllare il debito, la
spettacolare idiozia della politica
dell'UEM diviene palese. L'austerity
così concepita è controproducente. Il
fallimento principale è stato il rifiuto
della BCE di controbilanciare le
conseguenze della contrazione con
uno stimolo monetario sufficiente per
fare in modo che il PIL nominale
crescesse più rapidamente dello stock
del debito in Italia, Francia, Spagna,
Portogallo e Grecia, ma non solo in
questi paesi.
Ancora una volta, la BCE avrebbe
potuto agire in modo diverso, ma ha
scelto di non farlo perché ciò avrebbe
consentito che la sua politica
monetaria venisse contaminata dai
giudizi su rischi morali che esulano
dal suo ambito, dalle dottrine
premoderne delle banche centrali o
dalla paura di quello che potrebbe
dire o non dire la Germania.
Il suo fallimento è evidente
soprattutto in Italia, dove il debito è
saltato dal 119 al 133% dal 2010,
malgrado la stretta fiscale draconiana
e un avanzo primario di bilancio. Il
premier rockstar Matteo Renzi ha
preso possesso della sua carica come
un ciclone, portando un New Deal dei
primi 100 giorni che ha stracciato il
copione dell'austerità, rischiando il
tutto per tutto con le riforme dal lato
dell'offerta e una scossa fiscale per far
partire la crescita.
Antonio Guglielmi, di Mediobanca,
ha riferito che i mercati stanno
scommettendo che Renzi possa essere
un " catalizzatore di discontinuità"
capace di tirare fuori l'Italia
dall'apparentemente implacabile
trappola della bassa crescita,
attivando un circolo virtuoso cha alla
PARALISI page 6
4
FeedJournal
“SUPERATO
continued from page 2
Dovevano chiamarsi comizi a
pagamento.
Dunque è vero che Grillo si
arricchisce con la politica?
Negli ultimi due anni non ho
guadagnato. Zero in busta paga. Me
lo chiedono perché non sono rimasto
in pantofole a casa mia, a Genova o a
Marina di Bibbona. Me lo chiedono
sempre.
Ma non si è pentito?
Volete scherzare? È un’avventura
fantastica, umana, di politica e di
amicizia. Di conoscenza che non
avevo e che mi sono studiato. Io sono
fatto così, sono una persona che deve
arrivare al contatto reale.
Nel suo spettacolo afferma che il
populismo è alta politica. Perché?
Il populismo non è un partito, è
l’espressione più alta del politico.
Dire di no è una cosa positiva. In un
programma hanno fatto i conti di
quanto ci sono costati i no: ma
nessuno ha fatto i conti di quanto ci è
costato dire di sì a tante opere
incompiute.
Il suo no vale anche per l’Unione
europea?
Io dico no a quest’Europa, non al
concetto in genere, perché sono un
grande europeista. Guardi cosa
succede fuori del continente: negli
Stati Uniti torturano la gente a
Guantanamo. Noi europei siamo una
cosa diversa.
Questa Unione non le piace?
Io voglio il ritorno alla Comunità
europea, in cui si condivide tutto,
anche il debito. Non questa Unione,
dove siamo ingabbiati, costretti a
restituire quello che le banche hanno
investito nel nostro Paese come titoli
di Stato.
Lei è contro l’euro? Ha appena
ribadito che farete un referendum sul
tema.
Personalmente sono assolutamente
contro, ma a decidere devono essere i
cittadini, non un leader politico o un
partito.
Se l’Italia uscisse dalla moneta
unica, si tornerebbe alla lira?
No, potremmo fare un euro a due
velocità. Come 5 Stelle andremo a
Bruxelles a contrastare quei trattati
firmati da mascalzoni, da
incompetenti. Non è possibile firmare
una cosa come il fiscal compact che ti
impegna per 20 anni. Fanno
previsioni assurde, vogliono tagli
assurdi: possiamo mai tagliare 50
miliardi all’anno per un ventennio? I
fondi imperiali degli Stati Uniti si
stanno comprando tutto, e lo sta
facendo anche mezza Cina. Noi ci
siamo dentro a tutto questo: e non
abbiamo sovranità economica.
Come si riparte?
Primo, andare a Bruxelles ed
eliminare il trattato del fiscal compact
e il Mes, quello che sarebbe il fondo
salva stati e invece è un salva euro.
Secondo, verificare i finanziamenti
europei all’agricoltura: i soldi devono
arrivare ai prodotti tipici. Non è
possibile che in Sicilia importino le
arance dalla Tunisia. Io le ho trovate
buttate per strada. Il rimedio è la
fiscalizzazione: se vuoi la frutta
tunisina paghi il 25 per cento in più.
Lei vuole il ritorno dei dazi.
Sì, tireranno fuori questa parola che
fa paura a tanti: ma sono protezioni
che servono. Provi a vendere acciaio
negli Stati Uniti. E comunque, io non
sono un economista, sono un comico,
un rabdomante. Certo, mi informo:
ma queste cose non le dovete
chiedere a me. Dovreste andare dagli
economisti: ma non ne azzeccano mai
una.
Essere amico di Grillo di questi
tempi potrebbe essere un vantaggio,
non lo teme?
Ho avuto falsi amici intorno. Ne ho
avuti molti. Fa parte della vita. C’è
sempre un modo di ripartire.
Noi ci riferivamo alle clientele:
Grillo è uomo di potere oggi o no?
Grillo è un comico, il marchio di un
Movimento.
Lei sul sito si è definito capo
politico.
Era la dicitura obbligatoria per
potersi presentare.
Chi sono i nemici di Grillo? Renzi?
Il Pd? Napolitano ?
Nemici alla fine della loro stagione.
C’è una strada che è stata tracciata
dal Movimento e dalla quale non si
torna indietro. A me non interessa
quanto durerà l’ebetino di Firenze, mi
interessa sapere che non esistono più.
Lui è un bambino messo lì dalle
banche. Ma sono le ultime resistenze.
Napolitano, diceva. Lei lo ha
incontrato più volte.
Due volte. Napolitano è un vecchio
molto furbo e non saggio, come
dovrebbero invece essere i vecchi.
Finito anche lui. Quando lo abbiamo
incontrato è rimasto sempre in
silenzio. E alla fine ci ha offerto
qualcosa da bere. Hai l’impressione
di uscire da chissà dove, ti accorgi
che hai parlato solo tu. Il suo percorso
è stato quello di violare la
Costituzione e crearsi un
presidenzialismo che non era previsto
dai padri costituenti.
La Costituzione: vogliono cambiarla,
di nuovo.
Noi vogliamo inserire nella Carta i
referendum propositivi, i bilanci
partecipativi, l’obbligo di discussione
delle leggi popolari. Io l’ho letta la
Costituzione: è stata scritta con 9400
parole, divise in 480 periodi, ogni
periodo ha meno di venti parole.
L’hanno fatto apposta, perché è così
più semplice. Se si legge con calma,
capisci che è perfetta.
E invece?
Abbiamo una Corte Costituzionale
che ci mette 7 anni per decidere se
una legge è o meno costituzionale,
abbiamo i costituzionalisti: specialisti
del nulla, che devono chiarire cose
già chiare. Soprattutto, ogni volta che
mettono mano alla Carta la rovinano.
Penso alla parte sul federalismo: non
ci si capisce niente.
Che ne pensa della Consulta?
I suoi membri sono nati tutti negli
anni Trenta: vengono nominati 5 dai
partiti e 5 dal Quirinale, cinque infine
dal Csm. Non è un organo super
partes, è un organo politico. E dentro
c’è anche Giuliano Amato, l’ex
tesoriere di Craxi, messo lì per fare il
quindicesimo.
Amato è un possibile candidato al
Quirinale. Anzi, Sandra Bonsanti,
presidente di Libertà e Giustizia, dice
che è il candidato numero uno, il
segno della continuità.
Sarà Amato o sarà Draghi.
Non pare che Draghi ci pensi.
Non lo so, queste partite sono prive
di senso.
Se si votasse tra sei mesi? Rifareste
le Quirinarie?
Vediamo, ormai questo sistema non
regge più. Non so se ha senso
parlarne.
Ha sempre detto che papa Francesco
è un grillino:
anche lei si è messo in fila per
incontrarlo?
Io non mi metto in fila, perché non
mi stupirei se mi voltassi e lo vedessi
apparire lì, da dietro. Magari con il
frigorifero in spalla, come lo imita
Crozza. Questo è papa Francesco. Ma
certo che mi piacerebbe parlarci,
sarebbe un incontro che può
cambiarti la vita.
Lei è cattolico?
Si.
E va in chiesa ogni domenica?
Non vado in chiesa ogni domenica,
ma vado spesso. Sono un credente.
E a casa? Il Grillo politico come
funziona?
Male. Mi prendono in giro. Sgrido
mio figlio e lui mi risponde che uno
vale uno. Mi passano l’acqua e mi
dicono: “Tieni, arriva dal basso. E
questa è la democrazia dal basso”. Se
così non fosse sarebbe un dramma.
Chi c’è dietro a Grillo?
Mia moglie.
Credente con una moglie di origine
iraniana. Un anno fa è scomparso suo
suocero: le manca? Affrontavate
argomenti politici?
Mi manca molto. Mi mancano le
discussioni con lui, ma non c’era mai
la politica in mezzo. I viaggi. Come
quando mi ha portato in Iran, dove il
presidente si presenta in parlamento
con il mitra. Ma ho trovato un posto
per certi aspetti fantastico, dove le
persone hanno il sapore che avevano
gli italiani prima che questa politica li
contamini. Esiste ancora la
solidarietà.
L’Iran esce da una rivoluzione
fallita. Voi non avete paura di
perderla la vostra rivoluzione?
Noi in parte l’abbiamo già vinta. Se
qualcosa in questo Paese è cambiato
lo si deve al Movimento cinque stelle.
Poi non ce lo riconoscono. Dicono
che siamo contro l’abolizione delle
Province: bene, ma perché i grillini
non sono mai stati candidati in una
Provincia? Qualcuno è riuscito a
chiederselo? No. Io so che l’ebetino
ha preso il nostro programma e un
camper e ci è venuto dietro. È una
vecchia regola del marketing, che
Berlusconi conosce bene: copia il
programma al tuo avversario e
raccontalo prima di lui. Questo è stato
fatto. Solo che nessun giornale lo
scrive. Renzi lo sappiamo da dove
viene, è un figlioccio di Gelli, amico
di Verdini. Pretende di far riscrivere
la Costituzione da Boschi e Verdini.
Non lo farebbe un confronto con lui
in tivù?
Ma Renzi non è il mio avversario.
Non lo considero tale. L’hanno messo
lì. In televisione pensate che possa
aver timore di lui? Lo conosco il
mezzo. E porto argomenti. Il senso di
confrontarsi col niente non lo trovo.
Ma sicuramente andrò in televisione
in questa campagna elettorale. Mi
dicono che non parlo coi giornalisti,
ma la realtà è che lo faccio tutti i
giorni. Ma farò anche interventi, se
me lo chiederanno. Oggi c’è una
situazione diversa da quella che
abbiamo vissuto un anno fa. È
innegabile.
Napolitano presidente della
Repubblica non le piace. Ma M5S
poteva incidere sull’elezione del capo
dello Stato: perché alla fine non lo
avete fatto?
Perché la rete ci ha dato un’altra
indicazione.
Potevate giocare una partita più
strategica e proporre voi Romano
Prodi. Avreste messo in difficoltà il
Pd.
Noi non siamo qui per mettere in
difficoltà un partito che non esiste
più. Siamo per fare una politica che è
fatta anche di no. Duri, reali. La rete,
che sono i nostri elettori, ci aveva
offerto una diversa indicazione: non
sarebbe stato corretto andare con un
altro nome.
Da Il Fatto Quotidiano del 05/04/
2014.
FeedJournal
5
Afghanistan - Al via le elezioni presidenziali
by www.internazionale.it (il
Chiosco)
Submitted at 4/4/2014 9:58:00 AM
Un deposito di urne elettorali a
Herat, il 3 aprile 2014. (Behrouz
Mehri, Afp)
Il 5 aprile in Afghanistan si svolgono
le elezioni presidenziali, che
rappresenteranno il primo passaggio
di consegne democratico della storia
del paese. Il presidente Hamid
Karzai, che ha guidato il paese
dall’invasione statunitense che ha
rovesciato il governo dei taliban nel
2001, non potrà infatti partecipare in
quanto ha già avuto i due mandati
concessi dalla costituzione. Karzai
non ha ancora rivelato i suoi progetti
per il futuro, ma secondo molti
osservatori continuerà a esercitare
una forte influenza sulla politica
afgana attraverso i suoi legami
clientelari.
Il voto sarà monitorato da circa
duecentomila osservatori afgani, ma
due delle tre missioni internazionali
di osservatori si sono ritirate dopo i
recenti attacchi dei taliban contro gli
stranieri a Kabul. Il 10 per cento dei
28.500 seggi potrebbe rimanere
chiuso per motivi di sicurezza.
I seggi saranno aperti dalle sette alle
sedici. Le operazioni di spoglio e
conteggio delle schede saranno
particolarmente lunghe, dato che per
l’impraticabilità delle strade molti
seggi possono essere raggiunti solo a
dorso d’asino. I risultati preliminari
dovrebbero essere annunciati entro il
24 aprile. I candidati avranno tempo
fino al 27 aprile per fare ricorso
contro brogli e irregolarità,
un’eventualità molto probabile dato
che gli elettori sono dodici milioni ma
in circolazione ci sono venti milioni
di tessere elettorali e che quelle delle
donne non hanno la foto per rispetto
della cultura locale. Alle presidenziali
del 2009 una scheda su quattro è stata
considerata nulla.
Il 14 maggio dovrebbero essere
pubblicati i risultati definitivi. Se
nessuno dei candidati avrà ottenuto
più del 50 per cento dei voti al primo
turno, il ballottaggio tra i due più
votati si terrà il 28 maggio. In questo
caso il nuovo presidente potrebbe non
entrare in carica prima di ottobre.
Dopo il ritiro del fratello del
presidente, Qayum Karzai, i candidati
rimasti sono otto, ma solo tre sono
considerati in corsa per la vittoria:
Abdullah Abdullah. Nato nel 1960, è
un ex oftalmologo e leader della
resistenza antisovietica negli anni
ottanta. È stato ministro degli esteri
nel primo governo Karzai, ma si è
dimesso nel 2005 e alle elezioni del
2009 è stato il principale avversario
del presidente, arrivando al
ballottaggio per poi ritirarsi in
protesta contro le frodi. È l’unico dei
principali candidati che non fa parte
dell’etnia pashtun, la più grande del
paese, e ha la sua base elettorale nel
nord del paese grazie alle sue origini
tagiche e agli stretti rapporti con il
signore della guerra locale Ahmad
Shah Massud, ucciso dai taliban nel
2001. Se non riuscirà ad affermarsi al
primo turno le sue possibilità si
ridurranno sensibilmente, perché gli
elettori pashtun confluiranno sul suo
avversario al ballottaggio.
Ashraf Ghani Ahmadzai. Nato nel
1949, è stato ministro degli esteri e
funzionario della Banca mondiale.
Nel 2009 ha preso solo il 3 per cento
dei voti, ma questa volta si è alleato
con il signore della guerra pashtun
Abdul Rashid Dostum. Questo gli
garantisce una solida base territoriale
ma gli ha anche attirato le critiche dei
riformisti, dato che Dostum è
accusato di crimini di guerra come
aver fatto morire soffocati decine di
prigionieri taliban.
Zalmai Rassul. Nato nel 1942, è stato
ministro degli esteri ed è un lontano
parente dell’ultimo re Mohammad
Zahir Shah. È considerato il
candidato preferito di Karzai, di cui è
stato uno stretto collaboratore durante
l’esilio. Il fratello del presidente,
Qayum, ha invitato i suoi sostenitori a
votare per lui dopo essersi ritirato
dalla campagna. È anche ritenuto il
meno corrotto dei candidati, ma la
sua immagine moderna e
occidentalizzata potrebbe non
convincere gli elettori più
tradizionalisti.
I risultati delle presidenziali del 2009
e la composizione etnica
d e l l ’ A f g h a n i s t a n .
(afghanistanelectiondata.org)
I taliban hanno fatto appello al
boicottaggio del voto, che
considerano una messa in scena degli
invasori occidentali, e hanno
minacciato attacchi contro tutti gli
obiettivi legati alle elezioni.
L’esercito afgano ha dispiegato
duecentomila soldati per garantire la
sicurezza dei seggi. Finora però a
parte l’attacco contro l’hotel Serena a
Kabul del 21 marzo gli attentati di
alto livello sono stati pochi e
l’obiettivo dei taliban sembra più
attirare l’attenzione che creare seri
problemi allo svolgimento delle
elezioni, scrive l’Afghanistan analysts
network. In ogni caso le violenze
nelle ultime settimane sono state più
gravi rispetto alle precedenti elezioni,
e il 4 aprile un uomo vestito da
poliziotto ha ucciso la fotografa
tedesca dell’Associated Press Anja
Niedringhaus e ha ferito gravemente
la sua collega canadese Kathy
Gannon nella provincia di Khost, al
confine con il Pakistan.
Il disinteresse degli Stati Uniti. Una
delle maggiori differenze di queste
elezioni rispetto alle presidenziali del
2009 è il disinteresse degli Stati
Uniti, che entro la fine dell’anno
dovrebbero completare il ritiro delle
loro truppe dal paese. Negli ultimi
anni i rapporti tra Washington e
Kabul si sono fatti sempre più tesi. Il
governo statunitense ha cercato di
distanziarsi da Karzai, considerato il
simbolo di un’amministrazione
inefficiente e corrotta e del generale
fallimento di un intervento militare
lungo e costoso. Il presidente ha
risposto con denunce sempre più
accese dell’interferenza e dei
bombardamenti americani e con il
rifiuto di firmare un accordo sulla
AFGHANISTAN page 8
6
FeedJournal
PARALISI
continued from page 3
fine possa aumentare il limite di
velocità dell'economia e tagliare i
rapporti di indebitamento. Ma anche
questo scommettitore fiorentino alla
fine può fare ben poco contro la follia
granitica della costruzione UEM.
Mediobanca ha dichiarato che la sua
missione ultima di salvare l'Italia è
destinata al fallimento se la BCE non
lancerà un Quantitative Easing per
impedire la deflazione del debito, e se
dovrà adempiere al Fiscal Compact
dell'UE, costringendo così il paese a
un surplus primario di bilancio del
6% del PIL per il prossimo anno.
Secondo la banca, " Spetta a Renzi
dare un messaggio chiaro e deciso a
Francoforte sull'alleggerimento
dell'austerità".
Scopriremo giovedì se la BCE è
pronta ad affrontare la questione del
QE, o qualsiasi altra questione. I
prestiti alle imprese si stanno
contraendo al ritmo del 3%. La BCE
ha mancato il suo obiettivo di
inflazione del 2% per 150 punti base,
e continuerà a mancarlo di parecchio
nel 2015 e nel 2016, in base alle sue
stesse previsioni. Si potrebbe dire che
stia violando pesantemente il suo
mandato, per non parlare dei più vasti
obblighi del Trattato per sostenere la
crescita e gli obiettivi economici
dell'Unione, ma ancora se ne sta con
le mani in mano.
I critici hanno evidenziato che da
anni la crescita dell'aggregato M3
tedesco si attesta costantemente tra il
4 e il 5% all'anno, ma non riescono a
dire che la BCE imposta la sua
politica monetaria esclusivamente
sugli interessi di un paese,
indipendentemente dal grado di
devastazione degli altri paesi,
devastazione che ora sta toccando
anche Finlandia e Olanda. Se gli altri
governatori sono così inerti o
intimiditi dalla supremazia della
Bundesbank da sopportare tutto
questo, allora si meritano questo
destino.
Forse ci sarà un leggero taglio dei
tassi di interesse, o un tasso negativo
sui depositi, o la fine dello
sterilizzazione degli acquisti di
obbligazioni; o un po' di polvere negli
occhi che arriva con un anno di
ritardo, che sarà gravemente
insufficiente e che non farà alcuna
differenza. Quando la deflazione si
velocizza, ci vogliono iniziative più
radicali per gestirla. Jens Weidmann,
dalla Bundesbank, ha aperto le porte
al QE in modo davvero tiepido,
apparentemente per ragioni tattiche,
ma le conseguenze politiche di una
simile azione sono davvero punitive
in Germania.
La Bundesbank non ebbe voce in
capitolo nel piano di salvataggio della
BCE del 2012 ( OMT), ma la
Germania sì, e tale circostanza spesso
non è ben non compresa dagli analisti
anglosassoni. Lo schema è stato
progettato di concerto con il ministro
tedesco delle finanze, con il pieno
supporto della Cancelliera Angela
Merkel. A una cena privata tre
settimane prima dell'OMT, ho udito
un alto funzionario tedesco dichiarare
che " non vola una mosca
nell'eurozona senza l'approvazione di
Berlino", e non ho dubbi che ne fosse
convinto. Così funziona l'UEM. Non
ci sono segnali che lascino pensare
che la signora Merkel sia pronta per
un QE.
La BCE insiste nel dire che l'ultimo
calo dell'inflazione sarebbe dovuto
alla diminuzione dei costi
dell'energia, e che pertanto sarebbe
transitorio. Si tratta di un alibi
sospetto. La BCE ha dimostrato
l'opposto nel 2008, alzando i tassi in
uno shock petrolifero basato
sull'affermazione secondo cui gli
effetti dell'energia non sarebbero
passeggeri.
In ogni caso, alcuni dei principali
analisti energetici mondiali affermano
che il prezzo del petrolio ha appena
iniziato a scendere, visto l'aumento
della produzione di greggio. La
produzione dell'Iraq ha raggiunto il
suo massimo da 35 anni. Le
esportazioni della Libia saliranno
quando le milizie ribelli termineranno
il blocco. Gli Stati Uniti potrebbero
aggiungere 1 milione di barili al
giorno per quest'anno, toccando gli
11 milioni. Un calo a 80 dollari del
prezzo del barile sarebbe un
toccasana per i redditi reali che sono
in calo in mezza Europa, ma potrebbe
anche liberare aspettative inflattive,
un effetto simile a quello che colpì il
Giappone negli anni '90.
I timori per la deflazione in Europa si
placherebbero se fosse vero che
siamo giunti all'apice di un nuovo
ciclo di crescita economica globale.
Se ciò sia vero, proprio mentre Cina e
Stati Uniti si avvicinano, rimane da
vedere. " Potremmo avere di fronte a
noi anni di crescita lenta e inferiore
alla attese", ha dichiarato questa
settimana Christine Lagarde del FMI.
" Il rischio è che, senza una
sufficiente ambizione politica, il
mondo possa cadere in una trappola
di bassa crescita a medio-lungo
termine. L'area dell'euro ha bisogno
di altro monetary easing, anche
attraverso misure non convenzionali".
Potremmo anche essere vicini alla
fine di un ciclo quinquennale globale,
che Eurolandia ha ampiamente
mancato a causa dei suoi errori. Se
così fosse, la regione è solo a un
passo dal precipitare in una piena
deflazione, che porterà
matematicamente l'Italia e altri paesi
verso l'insolvenza, velocizzando una
crisi del debito sovrano troppo grande
per essere arginata. È una scelta
politica. Ci sono ventiquattro uomini
e donne che vogliono che tutto questo
accada." Ambrose Evans-Pritchard
VINCIAMONOI! Clicca sul banner
per scaricare il volantino:
Tweet su "#vinciamonoi"
Potrebbero interessarti questi post:
Draghi mago Silvan Le banche
italiane e Alien Il denaro non esiste
Beppe firma qui (Giuseppe Civati)
by www.ciwati.it (il Chiosco)
Submitted at 4/4/2014 6:52:39 PM
Il Senato – attacca Grillo – va tenuto,
va diminuito ma non va abolito come
dicono questi qua perché, primo, il
risparmio non è di un miliardo. E,
secondo, devi diminuire i deputati e
devi dare un compito diverso a pochi
senatori che facciano delle
commissioni magari di controllo.
Ora, a meno che il prof. Pertici
collabori nottetempo con il M5s
(senza dirmelo: dopo le cene con
Civati, i dopocena con Grillo), la
dichiarazione di Grillo fa pensare alla
nostra proposta e a quella Chiti (e 21
altri al Senato).
Con una sola precisazione: che
nemmeno Renzi abolisce il Senato,
gli toglie il carattere elettivo.
Tradotto: abolisce il voto per il
Senato.
Due considerazioni e un post
scriptum. Andrea Romano (Sc) ha
dichiarato giorni fa che è
«sacrosanta» la discussione sul
carattere elettivo del Senato; Paolo
Romani (Fi) ha espresso i suoi dubbi
sul Senato di secondo livello; Mario
Mauro (Pi) è stato ancora più duro e
articolato; Quagliariello (Ncd) ha da
sempre in mente un modello misto,
elettivo e non. Insomma, peccato che
nessuno lo dica, ma pare che la
questione abbia una certa consistenza
in tutte le forze politiche. M5s
compreso, a questo punto, a meno che
Grillo (come già per il Mattarellum)
poi non si smentisca.
Secondo dato: sulle indennità dei
senatori (uno dei paletti di Renzi) mi
permetto di insistere: perché il Pd non
rinuncia subito al finanziamento
indiretto (di secondo livello?) da
parte dei propri eletti, che si aggira
intorno al 30% dell'indennità
complessiva che i suoi parlamentari
percepiscono (comprese le spese per
stare a Roma: tolte quelle, si arriva
quasi alla metà). E' una decisione che
riguarda il Pd, che per altro aveva
sfidato e minacciato Grillo di fare lo
stesso con il finanziamento pubblico
(era la prima assemblea nazionale
dopo le primarie, in cui c'era anche
Letta premier). Così potremo dire che
i parlamentari sono già a metà prezzo
e che anche il Pd fa, come
organizzazione, i sacrifici che chiede
agli eletti. Perché fare tra un anno
quello che possiamo fare subito?
P.S.: se davvero il M5s è disponibile
a votare le cose proposte da altri se
vanno nella giusta direzione, perché
non farlo sulla riforma della
Costituzione, che è il 'posto' (e il
momento) giusto?
Caimano in ospedale,
ma zoppo ci cova
(Fabrizio d’Esposito e
Antonella Mascali).
by Il Fatto Quotidiano 5/4/2014
(il Chiosco)
Submitted at 4/5/2014 3:02:27 AM
CAIMANO page 7
Una precisazione necessaria (Aldo Giannuli)
by www.aldogiannuli.it (il
Chiosco)
Submitted at 4/4/2014 3:05:10 PM
Mi riferiscono che la mia firma
comparirebbe sotto l’appello di un
gruppo di intellettuali (fra cui Nico
Berti, Luciano Pellicani ed altri)
contrapposto a quello di Stefano
Rodotà e Gustavo Zagrebelsky. Non
so come sia nato questo equivoco (è
possibile che ci sia stato un errore di
invio di qualche mail) ma tengo a
precisare che io aderisco all’ appello
di Rodotà e Zagrebelsky e, di
conseguenza, non a quello che vi si
contrappone, come peraltro si deduce
dalla lettura del mio blog nel quale mi
riformato (elettivo, molto ristretto,
titolare esclusivo di funzioni di
controllo e garanzia costituzionale,
ma senza funzioni di indirizzo
politico riservate alla Camera)
Aldo Giannuli
sono schierato per il mantenimento
del Senato, pur se profondamente
FeedJournal
7
CAIMANO
continued from page 6
INCOMBE LA DECISIONE DEL
TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
SU COME IL CONDANNATO
DOVRÀ SCONTARE LA PENA:
SERVIZI SOCIALI O FORZATO A
CASA? IL RICOVERO POTREBBE
FAR EVITARE I DOMICILIARI.
Un anno dopo il ricovero per
l’uveite, nel pieno dei processi Ruby
e Mediaset, Silvio Berlusconi è
tornato all’ospedale San Raffaele da
condannato definitivo per Mediaset.
E come l’anno scorso si trova al
livello più lussuoso, il “Diamante”, al
sesto piano.
Il leader di Forza Italia è lì da
giovedì sera per l’infiammazione alla
cartilagine del ginocchio sinistro e
per una artrosi dovuta all’età.
Potrebbe essere dimesso in giornata,
se lo riterranno opportuno il suo
medico di fiducia e ospite delle serate
di Arcore, Alberto Zangrillo, e
l’ortopedico Pietro Randelli del
policlinico di San Donato, che lo sta
seguendo, come aveva già fatto in
passato. La prima conseguenza c’è
già: è stata annullata un’iniziativa
prevista a Torino lunedì prossimo.
Anche da ricoverato, comunque, fa e
riceve le sue telefonate politiche.
Ieri ha chiamato i nuovi vertici del
partito in Sicilia e ha scherzato sulla
sua salute: “Visto che sono giovane,
in questi ultimi mesi ho abusato del
mio fisico e lavorando dalle 7 del
mattino fino alle 3 di notte, questo è il
risultato…”. Ha pure attribuito agli
antidolorifici il suo tono dimesso.
Accanto a lui l’immancabile
compagna convivente Francesca
Pascale. Sulla sua presenza imperante
qualcuno ieri nel palazzo di giustizia
ha fatto una battuta: “Berlusconi si è
fatto ricoverare per provare a evitare
gli arresti domiciliari, ha paura di
dover stare giorno e notte con la
Pascale”.
BATTUTE a parte, è il consigliere
politico Giovanni Toti a respingere
sdegnato l’ipotesi avanzata da alcuni
giornalisti davanti all’ospedale: non è
che il ricovero è un escamotage per
far slittare l’udienza del 10 aprile
quando il tribunale di sorveglianza
dovrà decidere sui servizi sociali?
“Lo escludo categoricamente – ha
risposto Toti – semmai penalizza noi
per la campagna elettorale”. Poi, ci
tiene a tranquillizzare sulle condizioni
del Cavaliere: “Ha un ginocchio che
gli fa male ma non è nulla di grave. È
sereno e tranquillo, abbiamo parlato
del programma per le Europee e dei
fronti aperti”. Al San Raffaele sono
arrivati anche i figli maggiori di
Berlusconi, Marina e Pier Silvio, che
davanti alle telecamere dicono di aver
visto il padre “benissimo”. Nessuna
traccia di Barbara, invece, possibile
candidata alle elezioni europee. Nel
colorato e magico mondo
berlusconiano c’è però chi maligna
un ricovero “diplomatico” in vista del
10 aprile. Ovviamente la questione è
messa in termini difensivi per l’ex
Cavaliere: “Berlusconi sta
somatizzando questa attesa in
maniera drammatica. È normale,
comprensibile per un uomo di quasi
80 anni che si ritiene completamente
innocente. La botta al ginocchio è
arrivata, guarda caso, dopo l’incontro
con Napolitano, andato malissimo”.
MANCANO del resto appena cinque
giorno al fatidico giorno del tribunale
di sorveglianza e B. non regge lo
stress. È la ripetizione dei film già
visti con la condanna dell’agosto
scorso e la successiva decadenza.
Rabbia, umore nero, voglia di
ribaltare tutto. E, già come con la
Cassazione, impossibile fare
previsioni in un senso o nell’altro. La
Grande Attesa cominciata in un letto
del San Raffaele è la metafora
perfetta del berlusconismo malato sul
viale del tramonto e dell’isolamento.
Al solito, i suoi sono spaccati in mille
clan. Adesso, la nota prevalente è che
i falchi rinnegati, cioè quelli che
spinsero B. alla rottura con il governo
Letta, siano diventati moderati
filorenziani. Denis Verdini, infatti,
propugna la tesi del rispetto del patto
con Renzi, pur tra correzioni e nuove
priorità. A spingere invece per un
nuovo big bang sono i due
capigruppo parlamentari, Brunetta e
Romani. Ha scritto il primo ieri sul
Mattinale destinato a deputati e
senatori azzurri e visibile a tutti on
line: “Basta così. Ultima chiamata. O
cambia rotta, o addio”.
Gli azzurri, per esempio, chiedono
prima l’Italicum e poi la riforma del
Senato. Ma è fin troppo chiaro che
tutto dipenderà dal destino di
Berlusconi. Domiciliari o servizi
sociali. E da quando, poi? Il
tormentone non si risolverà se non
con la decisione dei magistrati
milanesi di sorveglianza. Tutto il
resto è fuffa, ormai.
Da Il Fatto Quotidiano del 05/04/
2014.
Piccoli liberali crescono (Marco Travaglio).
by Il Fatto Quotidiano 5/4/2014
(il Chiosco)
Submitted at 4/5/2014 2:17:22 AM
Prende quota su Il Giornale il
contrappello dei tre “intellettuali
liberali” Bedeschi, Berti e
Cofrancesco contro il documento di
Libertà e Giustizia che segnala i
pericoli di “svolta autoritaria” insiti
nella combinazione Italicum-Senato
delle Autonomie. Alle autorevoli
adesioni dei craxiani Ostellino e
Pellicani, se ne sono presto aggiunte
altre 46, fra cui quella del craxiano
Luigi Covatta e, per fare buon peso,
quella del craxiano Giuliano Ferrara.
Per ricostituire l’indimenticabile
Assemblea Socialista (quella dei
“nani e ballerine”, Rino Formica
dixit) mancano soltanto Sandra Milo
e il geometra Filippo Panseca (quello
della piramide simil-egizia in onore
del faraone Bettino I). Questi noti
frequentatori di se stessi, oltre alla
bizzarria di essere socialisti e di
definirsi “liberali”, non possono
proprio tollerare che esistano
intellettuali non organici al potere,
non appecoronati ai piedi del governo
di turno.
E questo, viste le loro biografie, è
comprensibile. Ma poi contestano a
Zagrebelsky, Rodotà, Pace,
Carlassare & C. anche “l’autorità
morale e il prestigio intellettuale” per
criticare le riforme targate
Renzusconi. Tralasciamo, per carità
di patria, il concetto di “prestigio
intellettuale”, che in bocca a un
Ostellino e a un Ferrara diventa un
ossimoro. E concentriamoci
sull’“autorità morale”. Quella di
Ferrara è nota da quando confessò,
vantandosene si capisce, di aver fatto
la spia per la Cia, a pagamento in
contanti si capisce, per poi elogiare e
difendere i peggiori lestofanti d’Italia:
da Craxi ad Andreotti, da Contrada a
Dell’Utri, da B. a Previti. Ma, tra i 51
firmaioli contrappellanti, c’è
addirittura chi lo batte: Pier Franco
Quaglieni, fondatore e presidente del
Centro Pannunzio di Torino.
Qualcuno dirà: e chi è costui? È quel
che domanderebbe anche Mario
Pannunzio, se fosse vivo. Nei primi
anni 90, Indro Montanelli vinse il
premio Pannunzio e lo accompagnai a
ritirarlo. Durante la cerimonia, un
trombone con barba e mustacchi
risorgimentali concionò e
tromboneggiò per ore, proclamandosi
erede unico e universale del fondatore
del Mondo. Montanelli, che di
Pannunzio (quello vero) era amico e
del suo giornale era collaboratore, lo
ascoltò con crescente impazienza, poi
mi sussurrò all’orecchio: “Ma chi è
quel bischero? Io frequentavo Mario
e il suo Mondo, ma non l’ho mai
visto né sentito nominare”. Era
Quaglieni. Dieci anni dopo, una
giovanissima magistrata torinese
denunciò per molestie un vecchio
sporcaccione che la tempestava di
telefonate sconce a ogni ora del
giorno e della notte, spacciandosi per
un tale “dottor Des Ambrois”.
Gl’investigatori le misero il telefono
sotto controllo e smascherarono il
molestatore: era Quaglieni. Le sue
erano ovviamente molestie
tipicamente liberali, nel solco della
tradizione crocian-einaudiana. Per
meglio camuffarsi, il volpino usava
astutamente come pseudonimo il
nome della via d’angolo della sede il
Centro Pannunzio (via Des Ambrois).
Al processo che ne seguì a Milano, il
presidente del “Pannunzio” dovette
penosamente ammettere ciò che non
poteva negare, visto che la voce
immortalata nelle intercettazioni era
la sua e il telefono da cui partivano le
sconcezze era quello di casa sua.
Seguirono le sue imbarazzate e
imbarazzanti scuse alla vittima, anche
per strappare ai magistrati una
modesta oblazione in pena
pecuniaria. In un paese normale, uno
così sarebbe scomparso dalla
circolazione. Invece il Quaglieni
seguitò a impartire lezioni di
liberalismo a destra e a sinistra.
Soprattutto a sinistra, visto che il
Centro Pannunzio s’è trasformato in
una succursale di Forza Italia,
frequentata da pensatori
tocquevilleani del calibro di Daniele
Capezzone, e l’erede dell’incolpevole
e ignaro Pan-nunzio si batte impavido
contro “l’egemonia culturale della
sinistra” (infatti nel 1976, quando il
vento della politica tirava a sinistra, si
era prontamente candidato nelle liste
del Pci, come si conviene a ogni
intellettuale controcorrente). Ora, da
quel popo’ di cattedra, fa la morale a
Zagrebelsky e a Rodotà.
Molestamente.
Da Il Fatto Quotidiano del 05/04/
2014.
8
FeedJournal
Renzi e Napolitano: riforme con o senza B.
(Wanda Marra).
by Il Fatto Quotidiano 5/4/2014
(il Chiosco)
Submitted at 4/5/2014 3:42:52 AM
IL PREMIER PRIMA SALE AL
COLLE E POI VA IN VATICANO
DOPO AVER OTTENUTO IL SÌ
ALL’IRRITUALE INCONTRO
PRIVATO: “DA FEDELE”.
A pranzo un’oretta dal presidente
della Repubblica. Colloquio ufficiale.
All’ora del thè 45 minuti da papa
Francesco, con la famiglia. Matteo
Renzi in un venerdì piuttosto intenso
fa lo stesso giro della regina
Elisabetta.
IL PUNTO con il capo dello Stato
arriva prima di una settimana di
fuoco, con la presentazione del Def e
la scadenza delle nomine. Ma
soprattutto dopo che Berlusconi si è
rimesso sulla scena con tutto il peso
della sua situazione giudiziaria,
andando a perorare la sua causa al
Colle. Il capo dello Stato ha
raccontato al premier com’è andato
quel colloquio. Ma soprattutto è stato
il premier a riferire l’esito di un altro
incontro, quello che il giorno prima
ha avuto con Denis Verdini e Gianni
Letta.
“Nessun problema – avrebbe detto a
Napolitano – Verdini mi ha assicurato
che sulle riforme loro sono pronti a
rispettare l’accordo”. E dunque, a
dispetto delle minacce dei “ribelli”
del Pd: “I voti in Senato ce li ho,
posso andare avanti”. Forza Italia,
d’altra parte, al di là delle
esternazioni di Brunetta, non si può
permettere di andare alle elezioni
troppo presto. E questo Verdini lo sa.
Alle europee rischia di arrivare al
15% e con Berlusconi ai domiciliari o
ai servizi sociali, magari “inagibile”
politicamente, rischia il totale
sfaldamento. Dal quale Renzi
potrebbe avere tutto da guadagnare:
per avere il tempo di riorganizzarsi i
parlamentari di Fi sono pronti a
garantire i loro voti al governo.
Napolitano ha concordato con il
quadro fornito da Renzi soprattutto
perché Berlusconi a questo punto
sembra incapace se non di nuocere,
almeno di incidere. E comunque,
nessuno può o vuole salvarlo dal suo
destino giudiziario, quale che sia.
E dunque, avanti, prima con
l’approvazione della riforma del
Senato, e solo dopo della legge
elettorale. Un timing che al presidente
della Repubblica va bene. Forte del
vento in poppa, ieri Maria Elena
Boschi non si è fatta scrupolo di
redarguire Rodotà: “In questi
trent’anni le continue prese di
posizione dei professori hanno
bloccato un processo di riforma non
rinviabile” . Nel colloquio RenziNapolitano, sullo sfondo anche la
possibilità di elezioni. Nessuno dei
due è entrato nei tempi e nei modi,
ma è chiaro ad entrambi che al
momento in cui la situazione
diventasse ingestibile o in cui Renzi
dovesse valutare che che è meglio
poter contare su una maggioranza più
solida e soprattutto su dei
parlamentari del Pd scelti da lui, la
legislatura finisce. E allora, si va a
votare anche con l’Italicum alla
Camera e il cosiddetto Consultellum
in Senato. Comunque, non è tema
in grado di resistere da solo ai taliban
e che possa collassare come quello di
Mohamed Najibullah dopo il ritiro
delle truppe sovietiche che lo
appoggiavano. Tuttavia “il più grande
pericolo per la democrazia in
Afghanistan nel lungo periodo non
sono i taliban, ma l’esercito”, scrive
Paul D. Miller su Foreign Policy.
Anche senza la firma dell’accordo
sulla permanenza delle truppe, gli
Stati Uniti e gli altri donatori
internazionali non cancelleranno il
sostegno finanziario a Kabul, e i
taliban non sembrano in grado di
riconquistare militarmente la capitale.
L’esercito riceve oltre cinque milioni
di dollari all’anno, oltre un quarto del
prodotto interno lordo
dell’Afghanistan, ed è di gran lunga
l’istituzione di cui gli afgani si fidano
di più. Se dalle elezioni dovesse
uscire un governo debole e
inefficiente, i generali potrebbero
approfittare dell’insofferenza degli
afgani per la corruzione e della
minaccia dei taliban per prendere il
controllo del paese, come successo
più volte nel vicino Pakistan. Gli Stati
Uniti e i loro alleati, a cui interessa
più la sicurezza del paese che lo
sviluppo della democrazia,
potrebbero tollerare una simile
eventualità, ma nel lungo termine le
conseguenze per la stabilità della
regione sarebbero disastrose, come
dimostra l’esempio pachistano.
AFGHANISTAN
continued from page 5
permanenza di un contingente
militare statunitense dopo il 2014.
La questione sarà affrontata dal suo
successore, e tutti e tre i principali
candidati hanno lasciato intendere che
firmeranno l’accordo. Per questo gli
Stati Uniti non sembrano avere
preferenze sul vincitore, e le loro
principali richieste saranno
l’autorizzazione delle operazioni
militari contro i taliban sul territorio
afgano, da cui partono anche i droni
usati per i bombardamenti nel vicino
Pakistan, e il rafforzamento
dell’esercito. L’avvio del processo di
pace con i taliban è considerato una
priorità dai candidati, ma non sembra
destinato a concretizzarsi a breve.
L’ombra del golpe. Il progressivo
disimpegno degli Stati Uniti
dall’Afghanistan ha suscitato il
timore che il governo locale non sia
all’ordine del giorno immediato.
Napolitano era soprattutto interessato
a sapere com’era andata a Londra con
Cameron e farsi raccontare le misure
economiche in cantiere. Anche sul
Def, Renzi l’ha rassicurato.
UNA VOLTA sceso dal Quirinale, il
premier si è preparato al colloquio col
Papa. Una visita privata, prima di
quella ufficiale. Una procedura
irrituale, che ha causato qualche
scompiglio in Vaticano. In genere, il
nuovo presidente del Consiglio,
prima vede il segretario di Stato
vaticano e poi magari fa un bilaterale
col Pontefice. Ma Matteo quando
vuole una cosa fa di tutto per
ottenerla: e dunque ce l’ha messa
tutta per conquistarsi la visita a un
Papa talmente popolare che chiunque
gli sia vicino brilla di luce riflessa.
Non solo: ha cercato di impostare un
rapporto umano, uno scambio diretto.
Senza contare che Renzi è cattolico
praticante, e che voleva andare per la
prima volta dal Papa come fedele,
portando con sè la famiglia. E dunque
alle 17 e 43 guidando la Lancia Delta
di famiglia accompagnato dalla
moglie, Agnese e dai figli Francesco,
Emanuele ed Ester è entrato in
Vaticano. Il Papa era da solo. Con i
tre piccoli ha parlato dei loro studi,
con Matteo e Agnese della loro vita
familiare e religiosa. Ma sull’udienza
è stata mantenuta da ambo le parti un
quasi totale riserbo.
Da Il Fatto Quotidiano del 05/04/
2014.
FeedJournal
9
Renzi lavora a tagli lineari per pagare
gli 80 euro Sanità nel mirino e l’Italia
rischia la deflazione (Marco Palombi).
by Il Fatto Quotidiano 5/4/2014
(il Chiosco)
Submitted at 4/5/2014 3:26:38 AM
VECCHI METODI.
Non è corretto parlare di tagli lineari,
bensì di corpose riorganizzazioni e
riduzioni di acquisti a livello
nazionale”. Questa è la tesi lasciata
trapelare dal Tesoro sulle coperture
strutturali del famoso taglio Irpef da
80 euro mensili e, va detto,
assomiglia un po’ a quella forma del
discorso che Ugo Tognazzi ha
immortalato nell’espressione
“supercazzola”. Non sono tagli
lineari, ma corpose riduzioni di spesa.
Lineari, visto che l’obiettivo di
risparmio è già deciso e non
verificato a consuntivo di eventuali
buone pratiche messe in campo nella
P.A. o nella gestione dei suoi appalti
per beni e servizi. Niente di nuovo
rispetto a quanto fatto da Giulio
Tremonti, Mario Monti e, in parte,
Enrico Letta.
CHE DI TAGLI LINEARI si stia
discutendo – e peraltro non solo nella
spesa intermedia (acquisti) – è non
solo una conseguenza logica di
quanto detto, ma è confermato da una
nota riassuntiva visionata dal Fatto
Quotidiano: Consip ha praticamente
chiuso quasi tutti i contratti sul 2014
e dunque dalla spesa per beni e
servizi il governo si aspetta di
ricavare 800 milioni bloccando tutto
quel che resta da fare (in realtà per la
Ragioneria generale al massimo si
risparmieranno 700 milioni). Anche
da capitoli di impatto mediatico come
gli stipendi dei manager potranno
arrivare pochi spiccioli: 500 milioni
secondo il governo, 300 per la
Ragioneria. I restanti 3,5 miliardi di
coperture che dovrebbero arrivare da
riduzioni di spesa sono tagli lineari –
come i primi due, d’altronde – ai
bilanci dei vari settori (Difesa e
Esteri, poco, Sanità molto), che
andranno a sommarsi a quelli ancora
operativi sul 2014 e 2015 delle
finanziarie dei tre precedenti
esecutivi.
Il settore della salute, come detto, è
nelle intenzioni del Tesoro l’obiettivo
più appetibile: 110 miliardi l’anno
sembrano un’enormità eppure i tagli
ci sono già stati, e non indolori.
L’incidenza della spesa sanitaria sul
Pil è passata dal 9,2 per cento del
2011 al 7,1 dell’anno scorso, meno
della media europea. Ormai ogni
riduzione di spesa incide sulla carne
viva dei cittadini. Tradotto: ogni
taglio significa meno servizi o
aumento del ticket. C’è sempre il
modo di spendere meglio i soldi, ma
il Sistema sanitario nazionale non può
sopportare più tagli lineari: lo dice
anche una Indagine conoscitiva
disposta all’unanimità dal Parlamento
e le cui conclusioni dovrebbero essere
pubblicate a breve, dopo sei mesi di
audizioni di tutti i soggetti coinvolti a
vario titolo col Ssn, dai medici ai
pazienti, dai Centri di ricerca agli
Osservatori.
L’AMACA del
05/03/2014 (Michele
Serra).
by La Repubblica 5/4/2014 (il
Chiosco)
Submitted at 4/5/2014 2:35:18 AM
SO DI un ristorante lombardo (locale
impeccabile, gestito da persone
impeccabili) che in una delle
numerose ispezioni della Asl si sente
imputare la seguente colpa: la
distanza tra la maniglia della porta di
sicurezza e il pavimento è di cinque
centimetri difforme dai parametri di
legge. Il gestore riesce a evitare la
multa solo dopo una estenuante
discussione. Ne esce furibondo. Paga
le tasse, non ha dipendenti in nero,
non incassa un solo euro senza
scontrino; nonostante questo si sente
trattato dallo Stato come un nemico
da sorvegliare. Si sa che la questione
è annosa. Come per l’uovo e la
gallina, non si capisce se sia un
popolo incline all’imbroglio ad avere
generato uno Stato sbirro, o
viceversa.
Ma in mezzo a quella morsa ci
stanno, del tutto incolpevoli, milioni
di onesti e di volonterosi: perché
devono pagare anche loro il prezzo
della secolare diffidenza (reciproca)
tra gli italiani e le leggi? Esiste uno
spiraglio, per sortire prima o poi da
questo odioso equivoco, o i ristoranti
(e le imprese di ogni ordine e grado)
bisogna aprirli tutti all’estero, lontano
da questo viluppo malsano di sospetti
occhiuti e di burocrazia impazzita?
Da La Repubblica del 05/04/2014.
ANCHE SE FACESSE tutto questo,
comunque, a Renzi mancherebbero
comunque 2 miliardi sui 6,6 che gli
servono per tagliare l’Irpef nel 2014
(l’anno prossimo, si spera nelle
forbici di san Carlo Cottarelli) Un
miliardo circa dovrebbe arrivare dai
2,5 totali di minori interessi sul debito
(Tesoro e Ue hanno invece detto no
ad un aumento del deficit), il resto
dagli incassi Iva sul pagamento di 1315 miliardi di debiti commerciali
della P.A.: non quelli vecchi, però,
ma quelli contratti in questi mesi, in
modo che i pagamenti dell’imposta
sul valore aggiunto siano entrate reali,
non già scontate in qualche modo
dalle aziende.
Il problema vero è che non solo la
sanità, ma l’intera economia del paese
non può più reggere a una politica
economica che l’ha già portata in
recessione e ora quasi in deflazione.
Avverte Francesco Boccia, presidente
Pd della commissione Bilancio di
Montecitorio: “Se noi in Italia, con
tassi di interesse in calo,
disinflazione, riduzione del Pil, dei
salari e del valore dei beni, facciamo
dei tagli indiscriminati della spesa
pubblica passeremmo dalla
disinflazione alla deflazione,
innescando una spirale perversa che
alla fine impazzirà con forti
ripercussioni negative per
l’economia”. E, ovviamente sui conti
pubblici.
Da Il Fatto Quotidiano del 05/04/
2014.
Africa - La mappa
dell’epidemia di
ebola
by www.internazionale.it (il
Chiosco)
Submitted at 4/4/2014 12:15:00 PM
Personale di Medici senza frontiere
cerca di costruire un reparto
d’isolamento a Guékedou, in Guinea.
(Seyllou, Afp)
Le autorità del Mali hanno
annunciato il 3 aprile di aver
registrato tre casi sospetti di febbre
emorragica dovuti al virus ebola. I
malati sono stati messi in isolamento.
Il virus ebola ha ucciso almeno
ottanta persone in Guinea. Secondo
l’ong Medici senza frontiere, presente
sul campo, l’epidemia in Guinea è
particolarmente pericolosa perché ci
sono diversi focolai sparsi nel paese.
Ebola provoca una febbre emorragica
con una mortalità che può essere del
90 per cento. Segnalati otto casi
sospetti in Liberia (di cui due
confermati) e due in Sierra Leone. Il
Senegal ha chiuso le frontiere.
L’Arabia Saudita nega il visto ai
pellegrini provenienti dai paesi
colpiti.
(Fonti: Ccd/Who/Le Monde/
Huffington Post)
Tra il 1976 e il 2012 il virus ebola ha
provocato la morte di 1.554 persone
(su 2.345 casi confermati). Questa
grave febbre emorragica è emersa per
la prima volta nel 1976 nell’attuale
Sud Sudan e contemporaneamente
nella Repubblica Democratica del
Congo. Esistono vari ceppi del virus:
quello che ha colpito in questi giorni
la Guinea è il ceppo Zaire, che ha il
tasso di mortalità più alto.
10
FeedJournal
Photokill
(Vittorio
Zucconi)
by www.repubblica.it (il
Chiosco)
Nigeria - L’economia nigeriana
crescerà del 65 per cento in un
giorno
by www.internazionale.it (il
Chiosco)
Submitted at 4/4/2014 11:32:00 AM
Un mercato a Lagos, in Nigeria, il 9
marzo 2012. (Benedicte Kurzen, The
New York Times/Contrasto)
Il 6 aprile la Nigeria potrebbe
diventare l’economia più grande
dell’Africa. Il merito non è della
crescita economica, ma del rebasing,
l’aggiornamento delle basi statistiche
del calcolo del pil.
La maggior parte dei paesi compie
questa operazione ogni tre o quattro
anni, mentre gli Stati Uniti
dispongono di un sistema per cui i
dati vengono aggiornati
costantemente. In Nigeria invece
l’ultimo aggiornamento risale al
1990, quando nel paese c’era una sola
compagnia aerea e gli utenti della rete
telefonica erano meno di
trecentomila. Negli ultimi anni il
rebasing è stato più volte annunciato
ma mai realizzato, perché l’istituto
nazionale di statistica non aveva
risorse sufficienti e il governo aveva
altre priorità.
Secondo alcuni analisti
l’aggiornamento dell’anno di
riferimento dal 1990 al 2010 potrebbe
significare un balzo del pil del 65 per
cento. Il pil nigeriano dovrebbe salire
a 315 miliardi di euro, superando
quello del Sudafrica (270 miliardi di
euro), finora il più alto del continente.
Questo a sua volta determinerà altri
aggiustamenti statistici, dal calcolo
del pil pro capite a quello del
rapporto tra pil e debito, e avrà
conseguenze pratiche dato che questi
indicatori vengono utilizzati per
ripartire gli aiuti internazionali e
influenzano gli investimenti
dall’estero.
L’ascesa dei Mint. Il boom
dell’economia nigeriana però non
esiste solo sulla carta. Negli ultimi
anni il tasso di crescita è stato
costantemente superiore al 7 per
cento e il paese dispone di grandi
riserve di petrolio e di una
demografia favorevole, con un’alta
percentuale di individui in età
lavorativa rispetto al totale. Secondo
le Nazioni Unite entro il 2050 la sua
popolazione dovrebbe passare dagli
attuali 170 milioni a 440 milioni,
facendone il terzo paese più popolato
al mondo.
Recentemente l’economista Jim
O’Neill, che nel 2001 aveva coniato
l’acronimo Bric per definire le
economie emergenti dello scorso
decennio (Brasile, India, Cina e
Russia), ha lanciato la sigla
Mint(Messico, Indonesia, Nigeria e
Turchia) per attirare l’attenzione su
questo nuovo gruppo di paesi in
rapido sviluppo.
Secondo O’Neill la Nigeria,
attualmente il più povero dei quattro
paesi, sarà anche quello che nei
prossimi anni crescerà più
rapidamente. L’ostacolo più grande
non sarà la corruzione endemica e
nemmeno l’alta criminalità,
nonostante l’aumento delle violenze
del gruppo islamista Boko Haram
nelle regioni settentrionali, ma la
mancanza di infrastrutture. La
creazione di una rete elettrica più
efficiente, che sopperisca alla
mancanza di energia che costringe la
maggior parte delle famiglie e delle
attività commerciali a ricorrere ai
generatori privati, basterebbe da sola
a portare la crescita economica dal 7
al 10-12 per cento, prevede O’Neill.
Submitted at 4/4/2014 11:42:28 PM
Anja Niedringhaus, la fotoreporter
tedesca che ci ha dato molte delle
poche immagini reali delle guerre in
Afghhanistan e Irak, è stata uccisa a
48 anni da un cosiddetto poliziotto
afghano. Nel tempo dello sciagurato
pseudogiornalismo fatto con
Photoshop e dei montaggi infantili
che passano per arguzia e
informazione, o nel rimescolamento
delle stesse notizie e delle bufale nel
rigurgito incessante di Internet che
consuma, digerisce e vomita se
stessa, lei ancora credeva nel vedere e
nel rischiare di persona. 70
giornalisti, in gran parte fotoreporter
od operatori, sono stati uccisi nel
2013.
Scarica

giudici al Colle (CARMELO LOPAPA)