- Anemie - Piastrinopenie - Leucemie e Linfomi - I tumori solidi Anemie Barone C, Piraino B, Meduri S, Moschella E, Chirico V, Randazzo A, Di Bella C, La Rosa M, Munafò C, Rigoli L L’anemia è la patologia del sangue più comune e sintomo di numerose patologie ematologiche e non, più o meno gravi. Definizione Ridotta massa ematica e concentrazione di Hb= < 2DS con conseguente ridotto trasporto di O2 ai tessuti. Principali cause di anemia Definire il tipo di anemia è essenziale da un punto di vista diagnostico e terapeutico, anche se può essere complesso. “Pallore” ed “ittero” costituiscono i segni che colpiscono a prima vista. Ognuno di essi può essere espressione di una emopatia. Indubbiamente talune anemie sono proprie di determinati periodi dell’età infantile come la malattia emolitica del neonato, l’ anemia dovuta ad un’ allergia al latte vaccino, o l’anemia sideropenica da insufficiente apporto alimentare di ferro. Per un corretto approccio diagnostico sono importanti: anamnesi, esame obiettivo, analisi di laboratorio. Classificazione morfologica delle anemie Anemie microcitiche Anemie normocitiche Anemie macrocitiche (MCV < 80 fL) (MCV da 80 a 94 fl) (MCV >94 fL) • • Anemia sideroblastica • Anemia emolitiche congenite Senza midollo megaloblastico congenita (difetti di membrana, difetti (anemia aplastica, Blackfan- Anemia da carenza di ferro enzimatici eritrocitari, hb instabili) diamond, Anemia delle malattie Anemia molitiche acquisite (da Malattie croniche anticorpi, a.emolitica diseritropoietiche) Sindromi talassemiche microangiopatica) Anemia saturnina Emorragia Sequestro splenico Ipotiroidismo, epatiche, Con midollo megaloblastico (Deficit B12, Deficit Folico) Esami di laboratorio necessari in presenza di bambino anemico Esami di I° livello Emocromo con reticolociti, sideremia, transferrina, ferritina, elettroforesi Hb Esami di II° livello G6PD, Aptoglobina, Test di Coombs, AGA, tTG, Ig, ricerca dell’HP, vitamina B12, acido folico, piombemia, calcio, fosforo, fosfatasi alc, funzionalità renale Esami di III° livello eritropoietina, ricerca ac antivirus, biopsia midollare ed ossea A. ac. Anemia Sideropenica Cause di carenza di ferro più frequenti in età pediatrica Rapida crescita Insufficiente assorbimento: ridotta introduzione; malassorbimento (celiachia) Perdite aumentate: microemorragie croniche, intolleranza proteine latte vaccino, celiachia, uso prolungato aspirina Cause perinatali: emorragie feto-materno e gemello-gemello Altre: diverticolo di Meckel , duplicazione intestinale Terapia: 1) solfato ferroso per bocca 2) ferro carbonato per bocca 3) ferro destrano EV Durata della terapia: 1) almeno 6 mesi per bocca 2) almeno 1 mese se EV Controllo dell’efficacia: 1) controllare crisi reticolocitaria (1 settimana) 2) controllare incremento Hb (1 mese) 3) controllare ferritinemia (6 mesi) Anemie Emolitiche Le anemie emolitiche (A.E.) sono condizioni, eterogenee sotto il profilo eziopatogenetico, caratterizzate da una riduzione della vita media dei globuli rossi (G.R.) circolanti rispetto ai normali 100-120 giorni. La diminuita sopravvivenza delle emazie (iperemolisi), comunque determinata, comporta l’attivazione di meccanismi di compenso a livello midollare, con incremento dell’attività eritropoietica fino a 7-8 volte i valori basali. Quando l’aumentata produzione di G.R. ne bilancia l’accelerata distruzione, i livelli di emoglobina restano entro i limiti della norma (stato emolitico compensato). Se, invece, l’intensità del processo emolitico è tale da superare le capacità di compenso del midollo, eventualmente ridotte per la concomitante presenza di fattori che ne limitano la risposta, si determina uno stato anemico (anemia emolitica). Classificazione In base ai meccanismi eziopatogenetici, le A.E. vengono classificate in forme ereditarie, causate da difetti intrinseci dei G.R. (che possono interessare la membrana, il corredo enzimatico, le catene globiniche) determinati geneticamente, e forme acquisite. Queste ultime, ad eccezione dell’emoglobinuria parossistica notturna dovuta ad una mutazione somatica della cellula staminale con produzione di un clone eritrocitario anomalo, sono causate da noxae esterne che esercitano la loro azione lesiva su emazia metabolicamente e strutturalmente normali (Tabella I). In numerose altre condizioni anemiche (associate a neoplasie diffuse, a leucemie, a linfomi, a epatopatie, a insufficienza renale, ad artrite reumatoide ecc.), generalmente a patogenesi multifattoriale, può essere presente uno stato iperemolitico, di solito evidenziabile esclusivamente mediante studi di sopravvivenza eritrocitaria e poco rilevante ai fini del determinismo dell’anemia il cui meccanismo patogenetico principale risiede nella ridotta produzione midollare di G.R. Tali situazioni vengono definite di anemia con componente emolitica. ANEMIE EMOLITICHE EREDITARIE ANEMIE EMOLITICHE ACQUISITE ANEMIE EMOLITICHE AUTOIMMUNI ANEMIE EMOLITICHE DA DIFETTO DELLA • da anticorpi caldi MEMBRANA • da anticorpi freddi • da agglutinine fredde • da emolisine bifasiche • “mixed” • con test dell’antiglobulina diretto negativo • sferocitosi ereditaria • ellissocitosi e piropoichilocitosi ereditarie • altre forme ereditarie (stomatocitosi, acantocitosi) ANEMIE EMOLITICHE IMMUNOMEDIATE DA FARMACI ANEMIE EMOLITICHE DA DIFETTO • con meccanismo dell’immunocomplesso ENZIMATICO • con meccanismo dell’adsorbimento del farmaco • con meccanismo di induzione dell’autoimmunità • della via glicolitica di Embden-Meyerhof • dello shunt degli esoso-monofosfati ANEMIE EMOLITICHE DA ALLOANTICORPI • malattia emolitica del neonato • reazioni trasfusionali emolitiche ANEMIE EMOLITICHE DA DIFETTO DELLE CATENE GLOBINICHE • varianti emoglobiniche stabili • varianti emoglobiniche instabili EMOGLOBINURIA PAROSSISTICA NOTTURNA ANEMIE EMOLITICHE MECCANICHE • microangiopatiche • da traumatismo cardiaco • emoglobinuria da marcia ANEMIE EMOLITICHE DA AGENTI CHIMICI ANEMIE EMOLITICHE DA AGENTI INFETTIVI Anemie Emolitiche da Difetto della Membrana Eritrocitaria Le A.E. ereditarie da difetto della struttura e della funzione della membrana eritrocitaria comprendono varie forme tradizionalmente raggruppate in base ai peculiari aspetti morfologici dei G.R. patologici. La membrana eritrocitaria è costituita da un doppio strato di fosfolipidi, con intercalate molecole di colesterolo non esterificato, e da varie proteine. Alcune di tali proteine (α- e β-spettrina, actina, ankirina, proteine 4.1, 4.2, 4.9, p55, adducina ecc.), definite “periferiche” o “estrinseche”, costituiscono il citoscheletro, applicato in forma di reticolo esagonale contro la superficie interna della membrana, mentre altre (banda 3, glicoforine A, B e C, stomatina ecc.), denominate “integrali” o “intrinseche”, sono situate nel suo contesto. Sferocitosi Ereditaria Con il termine di Sferocitosi Ereditaria (HS) si indica un gruppo eterogeneo di A.E. ereditarie, dovute a varie mutazioni genetiche trasmesse come carattere autosomico dominante o recessivo, che causano alterazioni qualitative o quantitative, di differente tipo ed entità, delle diverse proteine di membrana del G.R., periferiche o integrali (anchirina e/o β-spettrina, banda 3, α-spettrina, banda 4.2). La riduzione della superficie della membrana, l’aumento della sua permeabilità al Na (con formazione di stomatociti e di sferociti) e la diminuita deformabilità delle emazie che ne conseguono provocano un’emolisi extravascolare per rimozione macrofagica che si realizza quasi esclusivamente a livello splenico, a causa dell’ostacolo meccanico rappresentato per gli sferociti poco deformabili dal tipo di microcircolo di tale organo, dell’ambiente metabolicamente sfavorevole (per una minore concentrazione di glucosio e di ATP, per un pH più basso, per una maggiore presenza di radicali liberi), e del contatto più intimo tra emazie e macrofagi che qui si verifica. Il quadro clinico varia in relazione al tipo e alla gravità del difetto biochimico e al conseguente grado di alterazione della membrana, potendosi osservare oltre alle forme tipiche, con modesta anemia, ittero e splenomegalia, forme asintomatiche o lievi, con stato emolitico compensato, forme gravi, con anemia intensa, e forme complicate da crisi aplastiche, da crisi emolitiche, da litiasi biliare, da ulcere malleolari ecc. La diagnosi si basa, oltre che sui dati clinicoanamnestici e sul rilievo degli indici di emolisi extravascolare e di compenso midollare, sulla evidenziazione di sferociti e di stomatociti nello striscio periferico e sull’aumento delle fragilità osmotiche eritrocitarie a fresco e dopo incubazione. Il test di lisi al glicerolo acidificato ed il pink test sono stati proposti in alternativa a quello per le resistenze globulari, mentre il test dell’autoemolisi viene raramente effettuato per la scarsa specificità. Una precisa caratterizzazione della forma e dell’anomalia biochimica che la sostiene, con eventuale documentazione del difetto genetico specifico, si può ottenere con valutazioni strutturali e funzionali delle proteine di membrana (mediante tecniche elettroforetiche e di immunoblotting, eventualmente dopo digestione triptica limitata della spettrina, tramite studi di trasporto ionico ovvero di rigidità e di fragilità della membrana ecc.) e con appropriate indagini genetiche e di biologia molecolare (studio del DNA genomico, del DNA “complementare” ecc.) TERAPIA SPLENECTOMIA: migliora nettamente la sopravvivenza eritrocitaria. Praticata dopo i 20 anni se anemia moderata (aumenta rischio di sepsi da meningococco, pneumococco, hemophilus, soprattutto in età infantile). Splenectomia nell’ infanzia solo se anemia grave, previa vaccinazione contro i suddetti batteri. Anemie Emolitiche da Difetti Enzimatici Al fine di conservare integre le proprie caratteristiche morfologiche e funzionali i G.R. devono produrre una quantità adeguata di energia da utilizzare in vari processi metabolici ATP-dipendenti (tra i quali la pompa Na/K che, estrudendo Na, impedisce l’iperidratazione cellulare) e devono mantenere allo stato ridotto il Fe emoglobinico, la globina e le proteine di membrana. Tali esigenze vengono soddisfatte metabolizzando il glucosio attraverso due vie principali: - la glicolisi aerobia di Embden-Meyerhof, con la quale da ogni molecola di glucosio vengono ricavate due molecole di ATP, utilizzate per soddisfare il fabbisogno energetico cellulare, e due molecole di NADH, coenzima della metaemoglobina reduttasi principale che mantiene il Fe emoglobinico allo stato bivalente; - lo shunt degli esoso-monofosfati, attraverso il quale viene prodotto NADPH, coenzima sia della metaemoglobina reduttasi accessoria sia, principalmente, della glutatione reduttasi nel processo di rigenerazione del glutatione ridotto (GSH), il quale a sua volta funge da substrato per la glutatione perossidasi che neutralizza le noxae ossidative, proteggendo dall’ossidazione la globina e le proteine strutturali del G.R. Deficit di glucosio-6-fosfato-deidrogenasi (G6PD) Le A.E. da deficit di glucosio-6-fosfato-deidrogenasi (G-6-PD) costituiscono un gruppo eterogeneo di forme dovute a svariate mutazioni del gene codificante per l’enzima posto sul cromosoma X, per cui vengono trasmesse secondo la modalità ginecoforo-diaginica, con femmine solitamente portatrici e maschi emizigoti affetti. Le mutazioni note sono oltre 350. Quadro di anemia emolitica normocitica ad insorgenza acuta, l’emolisi è determinata da noxae ossidanti (farmaci o sostanze chimiche, alimenti tipo fave, H2O2 rilasciata dai fagociti in corso di infezioni ecc.). Il difetto enzimatico determina diminuita produzione di NADPH e, conseguentemente, scarsa disponibilità di glutatione ridotto, per cui le noxae ossidative, non venendo neutralizzate, causano ossidazione dei gruppi tiolici dell’Hb, delle proteine strutturali del G.R. e del glutatione che si complessano a costituire i disolfuri misti. Si formano in tal modo i corpi di Heinz, inclusioni cellulari dislocate in posizione epilemmatica, che comportano intrappolamento delle emazie nel filtro splenico e successiva rimozione dal circolo. La sintomatologia, come anche l’età a cui si manifesta l’emolisi, varia notevolmente in relazione alla gravità del difetto enzimatico, potendosi osservare quadri che vanno una rapida insorgenza di sintomi di anemia, dolori lombari, subittero, urine ipercromiche per alcuni giorni a febbre, emoglobinuria e insufficienza renale acuta oppure a una condizione di emolisi cronica con crisi parossistiche scatenate a distanza di ore o giorni dall’esposizione ad agenti ossidanti, a situazioni ematologiche apparentemente normali con episodi emolitici intercorrenti. La diagnosi si basa sui dati clinico-anamnestici, sul rilievo dei consueti indici di emolisi e di compenso midollare, sulla dimostrazione dei corpi di Heinz (evidenziabili in vivo dopo lo stress ossidativo e prima della crisi emolitica o indotti in vitro mediante incubazione delle emazie con acetilfenilidrazina), sulla documentazione della sensibilità dei G.R. alle noxae ossidative (con il test di riduzione della metaHb mediante blu di metilene, con il test di stabilità del glutatione ecc.), ma soprattutto con lo studio della G6PD eritrocitaria, da eseguire a distanza dalla crisi emolitica. A tal fine, oltre ai test di screening, possono essere utili le indagini citochimiche che evidenziano la doppia popolazione di emazie, normale e carente, presente nelle donne eterozigoti in seguito all’inattivazione random del cromosoma X. Diagnostico è il dosaggio dell’enzima, mentre indagini più approfondite possono essere necessaire per l’identificazione delle sue varianti (elettroforesi, Km per G-6-PD e NADP, stabilità termica, pH ottimale, risposta agli inibitori ecc.). La caratterizzazione biochimica può essere affiancata o sostituita dall’analisi del DNA mediante tecniche di biologia molecolare. PROFILASSI: evitare esposizione a farmaci ossidanti e fave. TERAPIA CRISI EMOLITICA: idratazione, diuretici, trasfusioni se anemia molto grave Farmaci che possono causare anemia emolitica in Farmaci che possono essere somministrati a soggetti con deficit di G6PD soggetti con deficit di G6PD e senza NSHA Antimalarici Pirimetamina con sulfadossina (Fansidar) Pirimetamina con dapsone (Maloprim) Acido ascorbico Primachina Aspirina Clorochina Colchicina Isoniazide Sulfonamidi Menadiolo Sulfametossazolo, Altri sulfonamidi Fenitoina Probenecid Sulfoni Procainamide Dapsone, Tiazolosulfone Pirimetamina Chinidina Altri composti antibatterici Chinino Nitrofurantoina, Acido nalidixico Trimetoprima Antielmintici Beta-naftolo Miscellanea Vitamina K, Naftalene (palline antitarma) Blu di metilene Doxorubicina, rasburicas Deficit di piruvato-chinasi (PK) Il deficit di piruvato-chinasi (PK) costituisce il difetto enzimatico meno raro della via glicolitica di Embden- Meyerhof e viene trasmesso come carattere autosomico recessivo. Il malfunzionamento di tale via metabolica comporta una ridotta produzione di ATP, uno squilibrio elettrolitico con perdita del potassio cellulare, anemia di gravità variabile, normocromica e normocitica. Alle oltre 100 mutazioni descritte fa, riscontro una sintomatologia molto varia che si manifesta solo negli omozigoti. Sono presenti i caratteristici indici laboratoristici di emolisi extravascolare e di compenso midollare, mentre per la diagnosi vengono utilizzati vari test di screening, restando però conclusivo il dosaggio dell’attività dell’enzima. TERAPIA: splenectomia nei casi gravi Anemia Megaloblastica Nell'anemia megaloblastica il difetto principale risiede nell'alterata sintesi del DNA, quasi sempre imputabile a una carenza di vitamina B12 e/o acido folico. L'anemia perniciosa o malattia di Addison-Biermer rappresenta il 75% circa dei casi di ipovitaminosi B12: consiste nell'associazione fra anemia megaloblastica e gastrite cronica atrofica autoimmune con achilia gastrica. La megaloblastosi midollare è identica nel deficit di folati e in quello della vitamina B12 (cobalamina). Il fabbisogno quotidiano di acido folico è stimato intorno ai 50 mg per un adulto, nei bambini e negli adolescenti si raccomanda un'assunzione giornaliera variabile da 50 a 200 mg/24 h a seconda dell'età. L'assorbimento della vitamina B12 è un processo complesso: legata alle proteine della dieta la vitamina B12 è liberata nello stomaco in presenza di HCl e pepsina, legata al fattore proteico R che ne impedisce l'assorbimento gastrico. Nell'ambiente alcalino del duodeno la vitamina B12 è liberata dal fattore R dalle proteasi pancreatiche, legata quindi al fattore intrinseco (FI), proteina prodotta dalle cellule parietali della mucosa gastrica. La carenza di vitamina B12 si manifesta clinicamente dopo anni di bilancio negativo della vitamina. L'anemia da carenza dietetica è rara nei paesi occidentali, ma possibile nei vegetariani di stretta osservanza, a meno che non facciano uso di supplementi vitaminici. La gastrectomia totale costituisce un'indicazione per il trattamento sostitutivo con vitamina B12 per tutta la vita. Nell'anemia perniciosa l'insufficiente secrezione gastrica è dovuta alla distruzione della mucosa da parte di autoanticorpi anti-cellule parietali gastriche, presenti in circa il 65-70% dei pazienti: gli autoanticorpi, diretti contro una ATPasi di membrana deputata allo scambio tra ioni H+, secreti nel lume gastrico, e ioni K+, innescano un processo flogistico cronico con conseguente distruzione delle ghiandole gastriche. Nel 90% dei pazienti affetti da anemia perniciosa sono presenti autoanticorpi anti-FI; questi anticorpi sono tuttavia presenti anche in alcuni soggetti sani e possono comparire in altre patologie autoimmunitarie. L'anemia perniciosa è frequentemente associata ad altre patologia autoimmuni come il morbo di Graves (30% dei casi), la tiroidite di Hashimoto (10% dei casi); la vitiligine, il morbo di Addison, l'ipoparatiroidismo. L'anemia perniciosa è anche associata ad un aumento dell'incidenza di carcinoma e carcinoidi gastrici. Le manifestazioni cliniche del deficit di vitamina B12 sono suddivise in ematologiche (piastrinopenia e granulocitopenia), ed extraematologiche (psichiatriche parestesie, disturbi dell'equilibrio, diminuzione o perdita della sensibilità, cardiomegalia, glossite, iperpigmentazione, ingrigimento precoce dei capelli, di rado infertilità e sterilità). La diagnosi di anemia megaloblastica poggia sulla dimostrazione di una diminuzione dell'ematocrito e dell'emoglobina.. Il volume eritrocitario medio può raggiungere valori molto elevati, anche superiori a 125 fL; l'MCH è solitamente aumentato mentre l'MCHC è diminuito; spesso sono anche ridotti di numero le piastrine e i leucociti. Drepanocitosi La drepanocitosi è caratterizzata dalla combinazione di una grave anemia emolitica cronica ereditaria con crisi vaso-occlusive, a carattere recessivo. L’anemia falciforme è caratterizzata dalla presenza di un’ emoglobina anomala: HbS dovuta ad una mutazione puntiforme al codone 6 del gene b globinico che determina la sostituzione dell’Ac glutammico in valina (GAG GTG Glu Val). L’Hb S è scarsamente solubile e polimerizza quando deossigenata. I polimeri assumono una forma allungata e determinano distorsione a falce (donde il nome di falcemia) e rigidità del globulo rosso, che a sua volta è determinante dell’emolisi e delle crisi vasocclusive . Portatori del tratto falciforme (eterozigoti) hanno una certa resistenza al spesso fatali malaria causata da Plasmodium falciparum. Il gene S si riscontra con maggiore frequenza nei paesi dove l’immigrazione di persone di origine africana o mediterranea è stata più intensa (Americhe, Canada, Australia e più recentemente nel Nord Europa, dove gli immigrati costituiscono il 3% della popolazione residente). In Italia sono presenti più di 2 milioni di immigrati, che nei prossimi anni sicuramente raddoppieranno; molti di loro sono originari da regioni ad alta prevalenza di emoglobinopatie, pertanto la distribuzione e la presenza della malattia drepanocitica è destinata ad aumentare ed infatti trovare soggetti con malattia drepanocitica tra gli immigrati è un’evenienza sempre più frequente, anche in regioni dove la malattia era quasi sconosciuta. Il soggetto con anemia drepanocitica può manifestare disturbi estremamente eterogenei, variando da forme asintomatiche a forme gravi (talassodrepanocitosi, drepanocitosi omozigote). Le manifestazioni cliniche che caratterizzano la malattia sono l’anemia, il dolore causato dalle crisi vaso-occlusive e le infezioni. Nel lattante la malattia si manifesta nel 30% dei casi, con alterazioni a carico delle mani e dei piedi (sindrome mani-piede) che appaiono caldi, tumefatti e dolenti. L'anemia generalmente si manifesta dopo il 4° mese di vita, cioè quando l'emoglobina fetale (emoglobina normalmente nel feto) lascia il posto all'Hb S. I livelli di emoglobina oscillano tra i 7 ed i 10 g%, ma non occorre praticare trasfusioni perché l'Hb S cede l'ossigeno ai tessuti meglio dell'emoglobina normale. Altre condizioni in cui le trasfusioni sono necessarie: anemia marcata (Hb <6 g%); scompenso cardiocircolatorio; gravi processi infettivi (meningiti, sepsi); episodi dolorosi che durino da più di 7 giorni; priapismo; ulcere agli arti inferiori; complicazioni a carico del sistema nervoso; perdita di sangue con le urine ed anemizzazione grave; interventi chirurgici che richiedono anestesia generale; esami radiologici con mezzo di contrasto; gravidanza; disfunzione cronica d’organo (cuore, polmone, rene, fegato). Il dolore rappresenta "l’incubo" del soggetto drepanocitico. Le crisi dolorose possono essere scatenate da: infezioni; febbre elevata; perdita di grandi quantità di liquidi (vomito incoercibile, diarrea, sudorazione profusa); chetosi; soggiorno in alta montagna; freddo; intensa fatica; traumi; uso di farmaci diuretici ed anestetici; condizioni in cui vi è diminuzione della disponibilità di ossigeno. Terapia Analgesia (dal Paracetamolo per il dolore di intensità lieve fino ad arrivare alla Morfina per il dolore con intensità severa); Idratazione; Profilassi antibiotica (le infezioni - broncopolmoniti, osteomieliti, meningiti, sepsi etc, devono essere trattate tempestivamente, pertanto sono importanti le vaccinazioni, sia quelle obbligatorie che quelle facoltative); Trasfusioni (sporadiche, regolari, Exsanguinotrasfusioni); Sostegno psicologico. Se le crisi colpiscono ripetutamente lo stesso organo con il passare del tempo si provoca un deterioramento dell’organo colpito: osso/articolazioni (sindrome mani-piedi nel lattante; lo scheletro può andare incontro ad osteomielite e necrosi asettiche); addome ( addome acuto, infarti splenici,epatici, calcoli della colecisti); polmone (Chest syndrome caratterizzata da dolori toracici, spesso violenti, tosse, e febbre); rene (isostenuri-necrosi papillare); SNC (accidenti cerebrovascolari: nei bambini prevalgono gli infarti cerebrali, mentre negli adolescenti e negli adulti le emorragie cerebrali); cute (ulcere malleolari); retina (emorragie –retinopatia proliferativi); corpi cavernosi (priapismo). L’unica possibilità concreta di guarigione è data dal trapianto di midollo osseo donato da un fratello compatibile. Altra possibilità terapeutica è rappresentata dalla regolare eritroexchange o terapia trasfusionale che, da un lato riduce i livelli di Hb S e quindi il rischio di crisi vaso-occlusive, dall’altro lato si ha il rischio di contrarre malattie infettive, siderosi o alloimmunizzazione. Un’alternativa terapaeutica farmacologica è l’ idrossiurea, un chemioterapico che ha la capacità di incrementare l’emoglobina fetale riducendo notevolemente le crisi vasoccluisive. I pazienti in trattamento con idrossiurea devono essere sottoposti a periodici controlli ematologici, poiché può causare di una transitoria aplasia midollare (leucopenia, piastrinopenia e anemia), che si risolve con la sospensione del trattamento. Bibliografia 1. Autoimmune Hemolytic Anemia (AIHA) By J.L. Jenkins. The Regional Cancer Center. 2001 2. Worldwide prevalence of anaemia 1993–2005.World Health Organization (2008). Retrieved 2009-03-25. 3. Iron Deficiency Anaemia: Assessment, Prevention, and Control: A guide for programme managers" Retrieved 2010-08-24 4. Sickle cell disease in children and adolescents: diagnosis, guidelines for comprehensive care, and care paths and protocols for management of acute and chronic complications**revised at the annual meeting of the sickle cell disease care Consortium, Sedona, AZ, November 10-12, 2001) Piastrinopenie Gallizzi R, Vicchio P, Deak A, Barone C, Manti S, Chirico V, Piraino B, Salpietro DC Le piastrine sono piccole cellule anucleate (1-3 µm), derivanti dai megacariociti maturi e deputate all’emostasi primaria. Il range ematico di normalità delle piastrine varia dai 150.000 ai 400.000 µ/L e la loro emivita in circolo è di circa 9 giorni. Il mantenimento di tale range è il risultato di un costante equilibrio tra trombopoiesi e senescenza/consumo. Il principale regolatore di tale equilibrio è la trombopoietina (TPO), un fattore di crescita emopoietico sintetizzato dal fegato in maniera costitutiva, ciò significa che, nel momento in cui i livelli ematici di piastrine e megacariociti maturi si riducono, il TPO viene rimosso dal plasma in minore quantità, stimolando in questo modo la loro produzione. Si definisce piastrinopenia un numero di piastrine <150.000 µ/L. Innanzitutto, specie in assenza di sintomatologia clinica suggestiva, andrebbe esclusa la pseudopiastrinopenia, fenomeno causato dall’aggregazione piastrinica in presenza di EDTA (acido etilenediaminotetracetico), responsabile di ridotti livelli piastrinici nel 15-20% dei casi [1]. Sebbene la maggior parte dei nuovi contatori di cellule sono programmati per rilevare aggregati piastrinici, la conta manuale su striscio di sangue periferico rimane il test diagnostico più accurato. In relazione all’età di insorgenza, le cause di piastrinopenia possono essere varie. In epoca neonatale la soppressione midollare dovuta a infezioni, la trombocitopenia alloimmune neonatale (NAIT) e il passaggio di anticorpi da madre affetta da porpora trombocitopenica autoimmune (PTI) risultano essere le cause più frequenti di trombocitopenia. Nelle epoche successive le infezioni virali e la PTI rappresentano le situazioni di più comune riscontro. Le cause di trombocitopenia sono riassunte nella tabella 1, suddivise in cause immuni e non immuni (aumentato consumo, ridotta produzione, alterata distribuzione). Tab. 1 Cause di trombocitopenia CAUSE IMMUNI CAUSE NON IMMUNI/Alterata distribuzione Porpora trombocitopenica Splenomegalia/sequestro splenico autoimmune (PTI) Trombocitopenia allo immune CAUSE NON IMMUNI/Ridotta neonatale produzione Porpora post-trasfusionale Soppressione midollare da farmaci CAUSE NON IMMUNI/ Aumentato Infezioni virali (HCV, HIV, CMV ecc.) consumo Coagulazione intravascolare Sepsi disseminata (CID) Porpora trombocitopenica Sindrome mielodisplastica trombotica (TTP) Trombocitopenia eparina-indotta Anemia aplastica Sindrome emolitico-uremica Neoplasie (leucemie, linfomi, mieloma) Emangiomi giganti infiltrazione midollare di tumori solidi Nel bambino la causa più frequente di piastrinopenia è la Porpora Trombocitopenica idiopatica (trombocitopenia autoimmune), che può manifestarsi ad ogni età con un picco di incidenza compreso tra 3-5 anni. Tale condizione ha generalmente un andamento benigno, con tendenza alla risoluzione in un arco di tempo variabile da settimane a mesi. Generalmente l’anamnesi risulta positiva per eventi infettivi a carico delle prime vie respiratorie o vaccinazioni recenti. Il meccanismo patogenetico è di tipo immunologico con produzione di anticorpi diretti verso glicoproteine della superficie piastrinica. L’esordio con emorragie gravi (emorragie cerebrali) è infrequente. Nonostante la milza sia la sede di distruzione delle piastrine, tipicamente in questa patologia non è presente splenomegalia, riscontrabile invece nelle forme neoplastiche. Le possibilità terapeutiche più impiegate sono rappresentate dagli steroidi e dalle IGIV ad alto dosaggio. La terapia medica di prima linea potrebbe essere rappresentata da IGIV alla posologia di 0.8 gr/Kg die, da infondere in almeno 6 ore. Un approccio alternativo nella terapia della PTI è basato sull’impiego degli steroidi per os secondo i seguenti schemi: a) steroidi orali a dosi standard (prednisone 2 mg/Kg/die in tre dosi per 14 gg; ridurre e sospendere al giorno 21; dose max/die 80 mg); b) steroidi orali ad alte dosi (prednisone 4 mg/Kg/die in tre dosi per 7 gg; scalare del 50% nella settimana successiva; ridurre gradatamente in seguito fino al gg 21; dose max 180 mg/die nella prima settimana). In casi selezionati in bambini con grave piastrinopenia dopo fallimento delle terapie farmacologiche di prima linea , sono previsti protocolli terapeutici alternativi: Rituximab 375 mg/m2/dose, settimanalmente AZA 2-3 mg/Kg/die, CYS 5 mg/Kg in 2 somministrazioni Splenectomia, utile vaccinazione anti Meningococco, H. Influenzae, Pneumococco Esistono forme congenite di trombocitopenia classificate in base all’età di insorgenza, severità del quadro clinico, modalità di trasmissione, associazione ad altre anomalie di sviluppo, alterazione genetica, dimensione delle piastrine. La Tabella 2 riassume le principali trombocitopenie congenite suddivise per modalità di trasmissione [2]. Tab.2 Trombocitopenie congenite/modalità di trasmissione Autosomiche dominanti Anomalia May-Heggling Autosomiche recessive Trombocitopenia amegacariocitica X-linked Sindrome di Wiskott-Aldrich congenita (CAMT) Sindrome di Fetchner Trombocitopenia e assenza del Trombocitopenia X-linked radio Sindrome di Epstein Sindrome di Sebastian Trombocitopenia mediterranea Sindrome di Di George Disordini piastrinici familiari/leucemia mieloide acuta Cromosoma 10/THC2 Sindrome di Jacobsen Sindrome di Gray Trombocitopenia e sinostosi radiale Sindrome di Bernard-Soulier Mutazioni GATA1 Qualunque sia la causa, i segni e i sintomi di sospetto di una trombocitopenia comprendono manifestazioni emorragiche muco-cutanee (porpora, gengivorragia, epistassi). La trombocitopenia grave, definita come una conta piastrinica inferiore a 50x10 9/L, comporta un incrementato rischio di sanguinamento durante procedure invasive. Una conta piastrinica inferiore a 10x10 9/L può indurre delle gravi emorragie e causare di conseguenza la morte del paziente (emorragia intracranica). Il riconoscimento dell’eziologia alla base della trombocitopenia permette l’impostazione di un regime terapeutico appropriato che risulta essere parzialmente diverso per le diverse forme di piastrinopenia. La trasfusione di concentrati piastrinici è indicata per la profilassi e la terapia delle emorragie nei pazienti affetti da piastrinopenie iporigenerative e in quelli affetti da CID in presenza di emorragie (in quest’ultimo caso è necessaria la contemporanea correzione di altri deficit coagulativi). In ogni caso la soglia trasfusionale è di 10x10 9 piastrine/L. È possibile la trasfusione anche per conte comprese fra 10x 109 e 20x109/L. Va comunque tenuto presente che emorragie spontanee maggiori, sostenute da una piastrinopenia isolata, sono infrequenti per conte superiori a 20x109/L. La trasfusione di concentrati piastrinici non è indicata, salvo casi particolari, nei soggetti affetti da porpora trombocitopenica trombotica, sindrome emolitico-uremica, trombocitopenia autoimmune (salvo in caso di sanguinamenti maggiori), porpora post-trasfusionale e nei deficit funzionali piastrinici. Nella trombocitopenia alloimmune neonatale la trasfusione piastrinica è efficace solo se il donatore è negativo per gli alloantigeni piastrinici in causa. Importante ricordare che la trasfusione di concentrati piastrinici comporta una frequente, più o meno rapida, comparsa di alloimmunizzazione, con conseguente refrattarietà trasfusionale, per la difficoltà di reperire donatori compatibili. Bibliografia 1. Silvestri F, Virgolini L, Savignano C, Zaja F, Velisig M, Baccarani M. Incidence and diagnosis of EDTA-dependent pseudothrombocytopenia in a consecutive outpatient population referred for isolated thrombocytopenia. Vox Sang. 1995;68: 35-39. 2. Jonathan G. Drachman. Inherited thrombocytopenia: when a low platelet count does not mean ITP. Blood, 15 january 2004 _ volume 103, number 2. Leucemie e linfomi Rigoli L, Loddo I, Procopio V, La Rosa M, Amorini G, Di Bella, Salpietro A, Munafò C, Piraino B Le malattie linfoproliferative rappresentano un gruppo eterogeneo di neoplasie che originano dai sistemi reticoloendoteliale e linfatico. Le forme più importanti sono i linfomi di Hodgkin (LH) e i linfomi non Hodgkin (LNH). Le cause più frequenti di linfadenopatia sono le seguenti: 1. Infezioni (EBV, Toxoplasmosi, Cytomegalovirus, Febbre da graffio di gatto, Faringite, Tubercolosi, Scarlattina, HBV, HIV, Rosolia, Parotite, Varicella Zoster Virus ). 2. Tumori linfatici (linfoma di Hodgkin, linfoma non-Hodgkin, LLC, LLA,LMA). 3. Tumori metastatici (melanoma, carcinoma mammario, carcinoma polmonare, carcinoma gastrico, carcinoma prostatico,carcinoma renale, tumori del collo). 4. Malattie del collagene e vasculiti (RA,LES). Nell’inquadramento diagnostico, è molto importante l’anamnesi (graffio da gatto, ingestione di carne cruda, puntura di zecca, esposizione alla TBC, tossicodipendenze, trasfusioni, Leishmania, febbre tifoide, viaggi in Africa, Asia, Australia). Inoltre, la diagnosi si avvale di esami ematochimici (emocromo, sierologia per HIV, EBV, Toxoplasma, CMV, HBV, HCV), Rx torace, ecografia addome e biopsia linfonodale. Linfoma di Hodgkin Nel 1832, il patologo inglese Thomas Hodgkin descrisse per la prima volta la malattia che porta il suo nome: il morbo di Hodgkin. Si tratta di un processo neoplastico di verosimile origine linfoide o monocito-macrofagica contrassegnato da un tipico marker citologico: la cellula di Reed-Sternberg. Ha una frequenza di circa 5-6 nuovi casi/anno/1.000.000 e colpisce spesso soggetti di età inferiore ai 15 anni. L’incidenza dell’HD presenta un andamento bimodale, in relazione all’età. Un picco si ha intorno ai 20 anni e il secondo dopo i 50 anni (Fig 1). Il rapporto maschio/femmina è pari a 2,3:1. Fig.1 Incidenza della malattia di Hodgkin L’eziologia è sconosciuta. I principali dati clinici sono la linfoadenomegalia (Fig.2) laterocervicale e/o sopraclaveare accompagnata da segni sistemici quali febbre, sudorazione notturna e calo ponderale Fig.2 Linfoadenomegalia La diagnosi è istologica. In base alle caratteristiche anatomo-patologiche, si distinguono 4 tipi di linfomi di Hodgkin: 1. A predominanza linfocitaria (9-23%). 2. A sclerosi nodulare (33-59%). 3. A cellularità mista (21-38%). 4. A deplezione linfocitaria (1-10%) La stadiazione si effettua utilizzando la classificazione secondo Ann Arbor (stadi I-IV) che prevede le sottoclassi A o B in relazione alla presenza o assenza dei segni sistemici (febbre <38°C, calo ponderale, sudorazioni notturne profuse). I fattori prognostici sfavorevoli sono la presenza di sintomi sistemici alla diagnosi, impegno mediastinico importante, sesso maschile ed età superiore ai 7 anni. Per la stadiazione clinica del linfoma di Hodgkin sono utili la valutazione anamnestica ed obiettiva; esami di laboratorio quali VES, esame emocromocitometrico, LDH, cupremia, fibrinogenemia, esami della funzionalità epatica e renale, protidogramma, dosaggio Ig, intradermoreazioni, tipizzazione linfocitaria, Ac anti-HIV; ed infine la diagnostica per immagini (Rx-grafie, TAC, RMN, Scintigrafie, Linfografia). Per la stadiazione anatomo-patologica, si fa riferimento alla biopsia osteomidollare, alle biopsie epatiche e spleniche (laparoscopia) e alle biopsie dei linfonodi addominali. Qui di seguito è riportata la stadiazione dei linfomi di Hodgkin secondo la classificazione di Cotswolds (ANN ARBOR modificata) (Fig 3 e 4): Stadio I: Interessamento di una singola regione linfonodale superficiale (I) o di un singolo organo extralinfatico (IE). Stadio II: Interessamento di due o più regioni linfonodali poste tutte o sopra o sotto il diaframma (II2,3,etc.); eventuale estensione ad un organo extralinfatico contiguo (IIE). Stadio III: Interessamento di regioni linfonodali poste sia sopra che sotto il diaframma; eventuale estensione ad un organo extralinfatico contiguo (IIIE). III- Interessamento di regioni linfonodali dell'ilo epatico, splenico o tripode celiaco. III2- Interessamento di regioni linfonodali a livello mesenterico, iliaco e para-aortico. Stadio IV: Interessamento diffuso di uno o più organi extralinfatici, con o senza interessamento linfonodale. Fig.3 Fig.4 Nei linfomi di Hodgkin, la presentazione extranodale primitiva è molto rara (< 1% dei casi) eccetto che nell’AIDS. In tal caso, le localizzazioni preferite sono rappresentate dal polmone, dal S.N.C., dalla cute e dal tessuto linfoide del tratto gastrointestinale. I fattori prognostici sfavorevoli del linfoma di Hodgkin sono rappresentati da: Stadio: III e IV Varietà clinica: B (es. presenza di più sintomi) Istotipo: deplezione linfocitaria (Ki-1 related, CD30) Età: > 60 anni Sesso: maschile VES aumentata Massa tumorale rilevante: bulky disease Più sedi linfonodali interessate Mancata remissione dopo chemioterapia Ricaduta precoce dopo la remissione (prima di 1 anno) Trattamento inadeguato (bassa intensità di dose) Le più frequenti complicanze sono: Infezioni acute (15% in fase pre-chemioterapica) Sindrome mediastinica Versamenti pleurici e pericardici Compressione del SNC Insufficienza renale Insufficienza epatica Anemia Problemi connessi con la gravidanza L’approccio terapeutico del linfoma di Hodgkin varia secondo lo stadio. Nello stadio limitato (coinvolgimento di non più di 2 sedi contigue) IA e IIA, si effettua la radioterapia (dopo laparotomia), mentre nello stadio limitato IB e IIB alla radioterapia si associa la chemioterapia. Gli stadi IE e IIE (A e B), e lo stadio IIA avanzato, necessitano della chemioterapia e radioterapia limitata. Negli stadi III e IV, si effettua l’associazione chemioterapia-radioterapia su bulky. Linfomi Non-Hodgkin Sono un gruppo eterogeneo di neoplasie che originano dalla degenerazione maligna di cellule appartenenti a linee diverse del sistema immunitario. Sono descritti 3-4 nuovi casi/anno/1.000.000 di soggetti di età inferiore ai 15 anni. Il picco d’incidenza è compreso fra 7 e 11 anni, ed il rapporto maschio/femmina è pari a 3:1. L’eziologia è sconosciuta. Le localizzazioni più frequenti sono tonsille e cavo orale; stomaco, intestino e retto; cute. La sintomatologia dipende dalle sedi coinvolte. Nell’interessamento mediastinico si ha tosse, febbricola, dispnea ingravescente, versamento pleurico, sindrome della vena cava superiore. Nell’interessamento addominale prevalgono dolori addominali, vomito, massa addominale con presenza anche di un quadro di addome acuto. L’interessamento linfonodale è caratterizzato da linfoadenopatia laterocervicale, più raramente ascellare o inguinale. La diagnosi si basa sui reperti istologici e sull’aspirato midollare. L’esame citologico è utile in caso di versamento pleurico o ascitico. I linfomi non Hodgkin sono ad alto grado di malignità. Secondo la classificazione REAL (Tab.1) si distinguono in linfoma maligno (a grandi cellule, immunoblastico, plasmocitoide, a cellule chiare, polimorfo, con componente a cellule epitelioidi); linfoma maligno linfoblastico (a cellule convolute, a cellule non convolute); linfoma maligno a piccole cellule non clivate (linfoma di Burkitt, con aree follicolari). Si distinguono 3 fenotipi immunologici: T, B, e nonT non B. La stadiazione si basa su criteri clinico-strumentali; è chirurgica solo in caso di LNH addominale. Per la stadiazione si utilizza la classificazione secondo Murphy (stadi I-IV). Tab.1 Classificazione REAL dei linfomi non Hodgkin Linfomi Non-Hodgkin in età pediatrica I linfomi non Hodgkin sono rari in età pediatrica, pur rappresentando il terzo tumore in ordine di frequenza. La gestione di un bambino con linfoma non Hodgkin è molto complessa e richiede l'intervento coordinato di ematologi, chirurghi, radioterapisti, neurologi, psicologi ed eventualmente altri specialisti esperti. In età pediatrica si ha un’elevata frequenza dei linfomi ad alto grado di malignità. Vi sono 3 tipi istologici con diversi sottotipi: 1. Linfoma linfoblastico 2. Linfoma di Burkitt o tipo Burkitt 3. Linfoma diffuso a grandi cellule In caso di interessamento del midollo osseo, si ha difficoltà di classificazione riguardo i primi due tipi di linfoma. Pertanto, in questi casi, in presenza di una percentuale di cellule neoplastiche superiore al 25% (o 30% secondo altri Autori), si preferisce inquadrare la malattia come leucemia linfoblastica acuta. La terapia è sostanzialmente identica, indipendentemente dal grado di infiltrazione midollare. La stadiazione dei linfomi non Hodgkin in età pediatrica non differisce da quella dei linfomi degli adulti, ma è diverso il ruolo della chirurgia. Infatti, in età pediatrica, se i linfomi si presentano come grosse masse addominali e/o mediastiniche, è necessaria la laparotomia esplorativa e/o la mediastinoscopia per effettuare prelievi bioptici, soprattutto in assenza di linfonodi superficiali da sottoporre a biopsia. Durante l'intervento chirurgico sull'addome si effettua l'asportazione delle masse patologiche, in quanto secondo molti studi, la prognosi può migliorare. La terapia dei LNH nei bambini richiede un approccio multidisciplinare. La chemioterapia è importante praticamente in tutti i casi, poiché la malattia è considerata sempre disseminata fin dall'inizio, anche in quelli apparentemente localizzati. Sono stati proposti numerosi protocolli, a volte molto complessi, che richiedono l'utilizzo di 4-10 farmaci diversi. Nei LNH pediatrici la radioterapia ha un ruolo abbastanza marginale. A volte, si utilizza prima della chemioterapia per ottenere una rapida riduzione delle masse tumorali mediastiniche. Studi più recenti suggeriscono l'esclusione della radioterapia dal programma terapeutico, anche allo scopo di ridurre l'incidenza degli effetti collaterali a lungo termine nei soggetti trattati con modalità combinata, chemioterapia più radioterapia. Negli ultimi anni, si è avuto un miglioramento della prognosi dei bambini affetti da LNH. Nel 6070% dei casi, si ottiene la remissione a 5 anni; la percentuale può arrivare al 90% in alcuni sottotipi con stadio limitato (Tab.2). Il trapianto di midollo allogenico o autologo è una procedura ancora sperimentale, sulla cui efficacia a lungo termine mancano ancora dati certi. Tab.2 Fattori prognostici dei LNH Leucemie infantili Le leucemie sono le neoplasie più comuni dell’infanzia, rappresentando circa il 41% di tutte quelle che colpiscono i bambini di età inferiore ai 15 anni. La Leucemia Linfocitica Acuta (ALL, Acute Lymphoblastic Leukemia) comprende circa il 77% dei casi di leucemia pediatrica, la Leucemia Mieloide Acuta (AML, Acute Myelogenous Leukemia) l’11%, la Leucemia Mieloide Cronica (CML, Chronic Myelogenous Leukemia) il 2-3% e la Leucemia Mieloide Cronica Giovanile (JCML, Juvenile Chronic Myelogenous Leukemia) l’1-2%. I restanti casi sono provocati da diverse forme acute e croniche che non trovano una collocazione nelle classiche definizioni. Le leucemie possono essere definite un gruppo di malattie neoplastiche in cui alterazioni genetiche a carico della cellula ematopoietica danno origine a un’abnorme proliferazione clonale. Il progenitore di queste cellule ha un vantaggio sulla crescita rispetto agli elementi cellulari normali, a causa di un aumento della percentuale di proliferazione e di una riduzione delle apoptosi spontanee, questo fenomeno provoca un sovvertimento del normale funzionamento del midollo osseo, che con il passare del tempo porta a un quadro di insufficienza midollare. Gli elementi clinici, le indagini di laboratorio e le risposte ai trattamenti variano in relazione al tipo di leucemia. Leucemia Linfocitica Acuta (ALL) Sono più frequentemente colpiti i maschi delle femmine e si ha un picco di incidenza tra 2-6 anni. La malattia risulta più frequente nei bambini con particolari anomalie genetiche: sindrome di Down, atassia-teleangectasia e sindrome di Fanconi. L’eziologia dell’ALL rimane sconosciuta, anche se diversi fattori genetici ed ambientali (radiazioni ionizzanti, farmaci, agenti alchilanti ecc) sono stati correlati alla leucemia in età pediatrica. La classificazione dell’ALL è fatta sulla base della tipizzazione delle cellule maligne del midollo osseo, in relazione alla morfologia, alle caratteristiche fenotipiche con la valutazione dei marker di membrana e alle caratteristiche citogenetiche e genetico-molecolari. La morfologia da sola in genere è sufficiente a stabilire la diagnosi, ma sono indispensabili altre indagini per una corretta classificazione della malattia, che possono avere notevole influenza sia sulla prognosi sia sulla scelta della terapia più appropriata. Nella maggior parte dei pazienti con ALL sono state riscontrate anomalie cromosomiche come ad esempio la traslocazione t(9;22) (cromosoma Philadelphia) che esprime la proteina di fusione BCR/ABL. Manifestazioni cliniche La presentazione iniziale è generalmente aspecifica e di entità relativamente lieve. Sono quasi sempre presenti anoressia, astenia, irritabilità e una febbricola intermittente. Può presentarsi un dolore osseo, o meno frequentemente articolare, soprattutto agli arti inferiori. Quando la malattia progredisce, i segni e i sintomi da interessamento midollare diventano più evidenti con la comparsa del pallore cutaneo, di astenia, ematomi o epistassi, ma anche di febbre, che può risultare secondaria a un’infezione. All’esame obiettivo, i reperti di pallore, lesioni cutanee tipo porpora e petecchie o emorragie cutanee, possono essere segni di un’insufficienza midollare. La natura proliferativa della malattia può manifestarsi con linfadenopatia, splenomegalia o, meno comunemente, epatomegalia. Diagnosi L’ipotesi diagnostica viene suggerita dagli elementi riscontrati nel sangue periferico, che sono indicativi di un’alterazione midollare. L’anemia e la trombocitopenia sono presenti nella maggior parte dei pazienti. Quando i risultati dell’emocromo suggeriscono la possibilità di una leucemia, andrebbe subito analizzato il midollo per porre una diagnosi. La diagnosi di ALL è posta quando il midollo presenta una invasione da parte di una popolazione omogenea di linfociti >25%. Trattamento Il fattore prognostico più importante nell’ALL è il trattamento: senza un’adeguata terapia, la malattia è fatale. Negli ultimi 40 anni, la sopravvivenza dei bambini con l’ALL è aumentata grazie ai trial clinici, che hanno permesso di migliorare le terapie e l’evoluzione della malattia. La scelta del trattamento si fonda sulla stima del rischio clinico di ricaduta nel singolo paziente, che varia in modo significativo tra i diversi sottotipi dell’ALL. I tre fattori predittivi principali sono: - L’età del paziente al momento della diagnosi - Il numero di leucociti all’esordio - La velocità di risposta al trattamento (cioè quanto rapidamente le cellule leucemiche vengono eliminate dal midollo o dal sangue periferico) Rischio medio: Età compresa tra 1-10 anni Conta leucocitaria <50000/uL Rischio elevato: Età >10 anni Conta leucocitaria >50000/uL La prognosi dei pazienti a rischio più elevato può essere migliorata con la somministrazione di una terapia più intensa, anche se con un maggiore pericolo di tossicità. I bambini con ALL e quelli con specifiche alterazioni cromosomiche, quali t(9;22) o t(4;11), presentano un rischio di recidiva ancora maggiore, anche se vengono trattati con terapia intensiva. Generalmente la terapia iniziale è disegnata per eliminare le cellule leucemiche dal midollo osseo, nella fase nota come induzione della remissione. Durante questa fase la terapia è solitamente somministrata per 4 settimane e consiste in Vincristina settimanale, Corticosteroidi quali Desametasone o Prednisone e dosi ripetute di L- asparginasi o una singola dose di una preparazione a lunga durata di asparginasi pegilata. Si possono anche utilizzare Citarabina e/o Methotrexate per via intratecale. Con questo approccio, il 98% dei pazienti va in remissione, definita per la presenza di <5% di blasti nel midollo e un ritorno dei leucociti e delle piastrine ai valori nell’intervallo di normalità dopo 4-5 settimane dall’inizio del trattamento. La chemioterapia intratecale si impiega in genere all’inizio della terapia e poi ancora durante l’induzione. La seconda fase del trattamento è focalizzata sulla terapia del SNC, nel tentativo di prevenire le ricadute tardive. La chemioterapia intratecale è somministrata ripetutamente per mezzo di rachicentesi in concomitanza con la chemioterapia sistemica intensiva. La probabilità di ricaduta tardiva sul SNC è in questo modo ridotta a <5%. Una piccola percentuale di soggetti con caratteristiche che predicono un alto rischio di recidiva a livello del SNC può essere sottoposta a radioterapia cranio spinale, cui sono specialmente candidati coloro che, al momento della diagnosi, hanno linfoblasti e un aumento dei leucociti nel liquido cerebrospinale o segni di leucemia estesa a livello del SNC, come la presenza di paralisi dei nervi cranici. Dopo che è stata indotta la remissione, molti regimi prevedono 14-28 settimane di politerapia con farmaci e schedule variamente combinate a seconda del gruppo di rischio del paziente. Per finire, i pazienti assumono quotidianamente la Mercaptopurina e settimanalmente il Methotrexate, in genere con dosi intermittenti di Vincristina e Corticosteroidi. Questo periodo, noto come fase di mantenimento della terapia, dura dai 2 ai 3 anni, a seconda del protocollo utilizzato. Molti pazienti beneficiano della somministrazione di una fase intensiva ritardata del trattamento (intensificazione ritardata), circa 5-7 mesi dopo l’inizio della terapia e dopo una fase di relativa non tossicità (durante il mantenimento), per permettere un recupero dall’inizio della terapia intensiva. Un piccolo numero di soggetti con fattori prognostici particolarmente sfavorevoli, soprattutto quelli con la traslocazione t(9;22) nota come cromosoma Philadelphia, possono essere sottoposti ad un trapianto di midollo osseo durante la prima remissione. Il principale ostacolo alla guarigione è la recidiva della malattia, che si realizza a livello del midollo osseo nel 15-20% dei pazienti con ALL e si correla a gravi conseguenze, soprattutto se ha luogo durante o subito dopo il completamento della terapia. Una chemioterapia intensiva con farmaci non utilizzati in precedenza, seguita da un trapianto allogenico di cellule staminali, può aumentare la sopravvivenza a lungo termine di alcuni casi con recidiva midollare. Terapia di supporto Una particolare attenzione alle terapie mediche di supporto è essenziale per gestire con successo i programmi di chemioterapia aggressiva. I pazienti con estese masse tumorali sono a rischio di sviluppare una sindrome da lisi tumorale, nel momento in cui si inizia la terapia. La chemioterapia spesso provoca una grave mielosoppressione, che può rendere necessario trasfondere emazie e piastrine e che spesso richiede la somministrazione empirica di potenti antibiotici ad ampio spettro in caso di sepsi febbrile neutropenica. L’efficacia della terapia ha trasformato l’ALL da malattia acuta con un elevato indice di mortalità a malattia cronica. Tuttavia, il trattamento cronico può portare serie conseguenze psicosociali ai bambini affetti. A causa dell’intensità della terapia si possono verificare inoltre effetti tossici tardivi e acuti. Prognosi Al giorno d’oggi, la maggior parte dei bambini con l’ALL può avere una lunga aspettativa di vita, con una sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi >80%. Il principale fattore prognostico è la scelta della terapia strettamente correlata al rischio, mentre gli altri fattori sono il genere di trattamento scelto in relazione al tipo di ALL, lo stadio della malattia, l’età del paziente e l’entità della risposta alla prima terapia (favorevole se il paziente risponde in meno di 1 mese). La Minima Malattia Residua (MRD) può essere valutata con specifiche sonde molecolari per le traslocazioni e con altri marcatori del DNA contenuto nelle cellule leucemiche. La MRD può essere quantitativa e fornire una stima di quante cellule leucemiche sono ancora presenti nel midollo. Sebbene non sia noto quanta MRD possa essere eliminata dai meccanismi di difesa immunitaria del paziente, la presenza di un suo alto grado al termine dell’induzione è suggestiva per una prognosi sfavorevole e per un aumentato rischio di recidiva. Bibliografia 1. Pediatria di Nelson. 18° Edizione I Tumori Solidi Briuglia S, Comito D, Salpietro V, Barone C, Colavita L, Deak A, Talenti A, Munafò C, Salpietro DC I tumori solidi in età pediatrica sono la seconda causa di morte nei pazienti tra i 0 e i 14 anni (con una prevalenza dell’11%) nei Paesi industrializzati. La sopravvivenza dipende dal tipo di tumore e dalla precocità della diagnosi. I tipi di tumore solido più frequenti sono: - tumori del sistema nervoso centrale - retinoblastoma - neuroblastoma - nefroblastoma o tumore di Wilms - rari tumori dei tessuti molli - tumori ossei - altri più rari I tumori si originano per un processo di oncogenesi, che riconosce una componente genetica, talvolta ereditabile, e una componente ambientale (agenti mutageni). I segni e sintomi di tumori pediatrici sono piuttosto aspecifici e per questo si deve eseguire un attenta diagnosi differenziale all’insorgere di uno di essi: - cefalea e vomito mattutino sono molto frequenti in bambini con tumori cerebrali (per la presenza di ipertensione endocranica), ma possono essere provocati anche da emicrania e sinusite; - dolore osseo è presente nel tumore osseo e nelle leucemie, ma anche nelle infezioni, traumi e durante la crescita; - una massa addominale può essere causata da tumore di Wilms, linfoma o neuroblastoma ma anche da stipsi (per la presenza di fecaloma, che è un reperto frequente nei bambini), cisti renali e altro. Tumori del Sistema Nervoso Centrale Sono un gruppo di neoplasie maligne eterogeneo per sede e tipo istologico. Rappresentano il 21% di tutte le neoplasie dell’età pediatrica. L’incidenza è di 23-30 nuovi casi/anno/1.000.000 di soggetti di età < 15 anni, con un picco d’incidenza tra i 5–10 anni. L’eziologia è sconosciuta. I principali dati clinici sono i segni di ipertensione endocranica con l’insorgenza di cefalea, vomito a getto, papilledema, strabismo, diplopia; nei pz di età <2 anni si evidenzia: accresciuta irritabilità, aumento della circonferenza cranica, allargamento e tensione della fontanella, stasi delle vene del cuoio capelluto, occhi a “sole calante”. Vi sono inoltre sintomi tipici secondo la sede del tumore: T. cervelletto e IV ventricolo: astenia, asinergia, nistagmo, ipotonia muscolare, torcicollo o rigidità nucale T. del tronco cerebrale: paralisi progressive multiple e bilaterali a carico dei nervi cranici, atassia T. emisferi e ventricoli laterali: paresi, episodi comizali T. sellari, parasellari o soprasellari: ritardo di crescita (o pubertà ritardata e obesità), progressiva perdita del visus, diabete insipido La diagnosi è quando possibile istologica attraverso prelievo bioptico mediante stereotassi della sede interessata o strumentale con esame TAC, RMN, angiografia. Neuroblastoma È una neoplasia maligna ad insorgenza dalle cellule della cresta neurale e poichè tali cellule sono dislocate ubiquitariamente (gangli paravertebrali, surreni, cute,…) la neoplasia può svilupparsi in qualsiasi organo o apparato. Ha un’incidenza di 6.5– 10.1 nuovi casi/anno/1.000.000 di soggetti di età < 15 anni, con un picco d’incidenza tra 0– 2 anni e una lieve prevalenza nel sesso maschile (M/F = 1.2:1). L’eziologia è sconosciuta. I sintomi variano secondo la localizzazione del tumore: Localizzazione addominale: è la più frequente e spesso si manifesta con una massa palpabile nei quadranti laterali dell’addome o in regione alto costale, abitualmente oltrepassante la linea mediana, linfoadenomegalia, dolori addominali diffusi, anoressia, vomito, Localizzazione intratoracica: tosse, dispnea, disfagia, segni compressivi a carico del midollo spinale. Segni sistemici: dolore osteo-articolari, astenia, perdita di peso, pallore, febbre ricorrente. Può dare metastasi in vari organi (fegato, cute, ossa,…). La diagnosi si avvale di: - esame obiettivo - markers tumorali: incremento delle catecolamine urinarie VMA (acido vanil mandelico), HVA (acido omovanillico), incremento meno specifico di LDH, enolasi, ferritina - esami strumentali: (ecografia, TAC, RM, scintigrafia ossea) per lo studio morfologico della lesione e delle eventuali metastasi; - prelievo istologico della lesione (tumore primario e sue metastasi) per la diagnosi certa. La stadi azione è prevalentemente clinica ed è determinante per la scelta terapeutica e la prognosi. stadio tipo di trattamento prognosi I asportazione chirurgica 90-100% sopravvive II asportazione chirurgica 90% sopravvive; la sopravvivenza non è peggiorata dalla permanenza di residui tumorali III chirurgia e chemioterapia contro 30-40% sopravvive le metastasi IV chirurgia e radioterapia, 10-15% sopravvive chemioterapia contro le metastasi IVs nessun trattamento o solo minimo 81% sopravvive supporto Tumore di Wilms È una neoplasia maligna di tipo embrionario ed è il più frequente tumore in età pediatrica (5-10%). Origina dal blastema metanefrico primitivo, cioè dall’abbozzo embrionale del rene, quando alcune cellule perdono la loro capacità di differenziarsi in cellule renali adulte normali e acquisiscono la capacità di proliferare indefinitamente. L’incidenza è di 5.5 – 7.1 nuovi casi/anno/1.000.000 di soggetti di età < 15 anni, con un picco d’incidenza tra l’età di 1-5 anni e una prevalenza nel sesso femminile (M/F = 0.9:2). L’eziologia è sconosciuta ma nel 15-20% dei casi si presenta come una forma ereditaria, bilaterale o multifocale, spesso associata ad altre anomalie congenite (aniridia, emi-ipertrofia corporea, anomalie del tratto genito-urinario). E’ determinata nella maggior parte dei casi da una alterazione del gene WT1 (banda 11p13) situato sul braccio corto del cromosoma 11. I sintomi e/o segno clinici più frequenti sono: - il riscontro occasionale di “massa addominale” non oltrepassante la linea mediana, - macroematuria, - ipertensione per un’alterazione del sistema renina-angiotensina, I sintomi aspecifici (stipsi, anoressia, febbre, dolori addominali) spesso mancano, il bambino presenta buone condizioni cliniche e il sospetto viene posto per il riscontro di asimmetria o massa palpabile all’addome. L’iter diagnostico prevede oltre all’anamnesi e all’esame obiettivo, una valutazione con esami strumentali (ecografia, TC, RMN), mentre non vi sono markers tumorali specifici. La diagnosi differenziale viene spesso posta con il Neuroblastoma a localizzazione addominale. La diagnosi è istologica e la stadiazione chirurgica e anatomo-patologica è basata sul grado di estensione macro o microscopica del tumore (stadio I-V sec. NWTS). Retinoblastoma È un tumore raro con un’incidenza di circa 1:20.000 nati, ma è il principale tumore infantile intraoculare della retina. La diagnosi viene effettuata intorno ai 12 mesi di età, raramente >5 anni. Circa il 60% dei retinoblastomi sono sporadici (e unilaterale), mentre il 40% è familiare (e bilaterale). Nel 1971 Knudson scoprì che il retino blastoma è causato da due eventi mutazionali: una mutazione è ereditata per via germinale, mentre la seconda avviene nelle cellule somatiche. Nella forma non ereditaria entrambe le mutazioni avvengono nelle cellule somatiche. Il tumore si definisce endofitico se la massa tumorale si accresce verso l’interno della cavità oculare, esofitico se si estende verso la porzione esterna della retina. I sintomi principali sono: - una massa bianca nel campo pupillare (Leucocoria) - strabismo, - glaucoma, - dilatazione della pupilla - nistagmo L’iter diagnostico prevede: - esame oculare con fundus oculi - ecografia oculare - TC e/o RMN La terapia è efficace in oltre il 90% dei casi senza metastasi e consiste in: • Chemioterapia (chemioriduzione) seguita da radioterapia, crioterapia o laser • Radioterapia o enuclaezione • Nei tumori bilaterali: si procede all’escissione dell’occhio in cui il tumore appare più sviluppato, mentre nell’altro occhio la malformazione viene curata con fotocoagulazione laser. Sarcoma di Edwing Tumore maligno primitivo dell’osso, caratterizzato da tessuto d’aspetto istologico uniforme rappresentato da cellule piccole e rotonde con scarso citoplasma. I sintomi principali sono: febbre, dolore, tumefazione a carico del segmento osseo colpito, e dei tessuti molli circostanti. Esordisce tipicamente a carico della pelvi, degli arti, delle regioni paraspinali della parete toracica e metastatizzano alle ossa, al midollo osseo e ai polmoni. La diagnosi è radiologica ed istologica. Rabdomiosarcoma Neoplasia maligna ad insorgenza dalle cellule del muscolo scheletrico che rappresenta circa il 50% dei sarcomi dei tessuti molli del bambino. I sintomi dipendono dalla sede del tumore e sono determinati solitamente da un effetto massa (compressione). La diagnosi è istologica. Osteosarcoma Neoplasia primitiva dell’osso, caratterizzato dalla formazione diretta di osso o di tessuto osteoide da parte di cellule tumorali. Si presenta come un dolore e tumefazione a livello del segmento osseo colpito: femore, tibia, omero, mandibola, mascella, fibula. Il polmone è sede elettiva di metastasi. La diagnosi è radiologica ed istologica.