Registrazione al Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004 - Redazione: C.so della Repubblica 343 - 00049 VELLETRI RM - 06.9630051 - fax 0696100596 - [email protected] Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia e pastorale per la vita della Diocesi di Velletri -Segni Anno 12, n. 11 (124) - Novembre 2015 Novembre 2015 2 Ecclesia in cammino - Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza (...), + Vincenzo Apicella p. 3 - La Parola del Papa: A Cuba e negli USA, predicando giustizia e misericordia, Stanislao Fioramonti p. 4 -1965 - 2015: 50 anni di episcopato di S. Em.za Card. Francis Arinze del Titolo Suburbicario di Velletri-Segni p. 7 - Lettera Enciclica “Laudato Sì” sulla cura della casa comune, Costantino Coros p. 9 - La famiglia è.... Sara Gilotta p. 10 - “È nostro figlio”: per uno sguardo non clericale sull’omosessualità, Giorgio Bernardelli p. 11 - Desiderio di figli. Un sogno che non ha prezzo! Marta Pietroni p. 12 - La scienza e l’anima, Massimiliano Postorino p.13 - 7a Giornata diocesana della Custodia del Creato, Claudio Gessi p. 15 - Otto anni di Casa Nazareth, Emanuela Nanni - Anno giubilare / 2: Le radici ebraiche e le conseguenze per l’oggi, don Antonio Galati - Le opere di misericordia / 4: Alloggiare i pellegrini, Carlo Fatuzzo - Le opere di misericordia divina nell’amore coniugale, Chiara Molinari p.16 p. 18 - L’attenzione della Chiesa alle cause di nullità matrimoniale. Il Motu proprio di Papa Francesco “Il Signore Gesù, giudice clemente”, p. Vincenzo Molinaro p. 24 Bollettino Ufficiale per gli atti di Curia Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia e pastorale per la vita della Diocesi di Velletri-Segni Direttore Responsabile - “La Bellezza della Chiesa”: itinerario di catechesi artistico-letterario, UCD Velletri-Segni e volontari UNITALSI p. 25 - Il Nuovo Umanesimo: la teoria dei gender, integrazione tra insegnamento della religione cattolica e catechesi, T. Righi e A. Rossetti p. 26 Mons. Angelo Mancini Collaboratori Stanislao Fioramonti Tonino Parmeggiani Mihaela Lupu Proprietà Diocesi di Velletri-Segni Registrazione del Tribunale di Velletri - Sostegno al clero, responsabilità di tutti i fedeli. Domenica 22 novembre Giornata di sensibilizzazione (...), mons. Paolo Picca p. 27 - Festa dell’Esultanza ed esultanza per l’Ordinazione sacerdotale di don Gabriele Ardente, Giovanni Zicarelli p. 28 - Velletri, 18 ottobre: Alla Chiesa di Velletri-Segni il dono di altri ministri, Ordinazione Diaconale di Carlo Fatuzzo e Ammissione agli Ordini Sacri di Damiano Uffredi, a cura della redazione p. 30 - “All’ombra dei cipressi”, Sara Calì p. 31 - Innocenzo III e il Regno inglese: apertura dell’Anno Innocenziano - programma p. 31 - 1915 - 2015. Gavignano ricorda padre Angelo Cerbara, il cappellano - eroe caduto a Col Di Lana nella Prima Guerra mondiale, Loreda Carluccio p. 32 - Chi è il catechista? Formazione per i Catechisti delle parrocchie di Velletri, Lariano e Landi p. 33 n. 9/2004 del 23.04.2004 Stampa: Quadrifoglio S.r.l. Albano Laziale (RM) Redazione Corso della Repubblica 343 00049 VELLETRI RM 06.9630051 fax 96100596 [email protected] A questo numero hanno collaborato inoltre: S.E. mons. Vincenzo Apicella, mons. Franco Risi, don Antonio Galati, p. Vincenzo Molinaro, don Gaetano Zaralli, mons. Paolo Picca, Sara Gilotta, Costantino Coros, Giorgio Bernardelli, Marta Pietroni, Claudio Gessi, Emanuela Nanni, Carlo Fatuzzo, Chiara Molinari, UCD Velletri-Segni e volontari dell’UNITALSI, Tiziana Righi e Alfiero Rossetti, Sara Calì, Giovanni Zicarelli, Loreda Carluccio, Mara Della Vecchia, Paolo Ricci. Consultabile online in formato pdf sul sito: www.diocesi.velletri-segni.it DISTRIBUZIONE GRATUITA p. 19 p. 20 - Per chi ha voglia di credere: Gocce d’attesa, don Gaetano Zaralli p. 21 - La scelta vocazionale al sacerdozio e alla vita consacrata scaturisce dall’incontro con Gesù, mons. Franco Risi p. 22 - 21 ottobre, inizio solenne del Nuovo Anno Formativo ed inizio del servizio del nuovo Rettore Mons. Leonardo D’Ascenzo, don Antonio Galati p. 23 - Il sacro intorno a noi / 18: Il Trekking dello Spirito agli Altipiani di Arcinazzo (Fr), Stanislao Fioramonti p. 34 - I Mercati di Traiano guardando al futuro, Paolo Ricci p. 36 - Bibbia e Musica, Mara Della Vecchia p. 37 - Nomine e Decreti Vescovili p. 38 Il contenuto di articoli, servizi foto e loghi nonché quello voluto da chi vi compare rispecchia esclusivamente il pensiero degli artefici e non vincola mai in nessun modo Ecclesìa in Cammino, la direzione e la redazione. Queste, insieme alla proprietà, si riservano inoltre il pieno ed esclusivo diritto di pubblicazione, modifica e stampa a propria insindacabile discrezione senza alcun preavviso o autorizzazioni. Articoli, fotografie ed altro materiale, anche se non pubblicati, non si restituiscono. E’ vietata ogni tipo di riproduzione di testi, fotografie, disegni, marchi, ecc. senza esplicita autorizzazione del direttore. In copertina: La Guarigione del cieco di Betsaida, 1883, Carl Bloch. Novembre 2015 3 Vincenzo Apicella, vescovo S i avvicina il giorno dell’apertura della Porta Santa della Misericordia e dell’inizio della Anno Giubilare straordinario, indetto da Papa Francesco poiché, egli scrive, “abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia. E’ fonte di gioia, di serenità e di pace. E’ condizione della nostra salvezza. Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS: Trinità. Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro. Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato.” (Misericordiae Vultus, n.2). La nostra diocesi si sta preparando già da qualche tempo a questo periodo di Grazia e alcuni sacerdoti, diaconi e laici hanno riflettuto su come lo potremo vivere concretamente, in modo sia personale che comunitario, nella sua dimensione spirituale e “corporale”. Il punto di partenza e la motivazione profonda, che può sostenerci in questo cammino, non può essere altro che l’esperienza di aver ottenuto, noi per primi, la misericordia di Dio: se non prendiamo coscienza dei nostri limiti, del nostro peccato, della nostra radicale insufficienza e del nostro assoluto bisogno di essere salvati dalla caducità e dall’inconsistenza della nostra vita e di questo nostro mondo, non potremo andare lontano nella via che Cristo ci indica e ci apre dinnanzi. Per questo si è pensato di proporre con maggiore insistenza i tre fondamentali strumenti che il Signore ha messo a nostra disposizione: la Parola, l’Eucarestia, la Penitenza. Nel corso dell’Anno Santo della Misericordia saremo invitati ad approfondire la nostra conoscenza ed esplorare la ricchezza di questa realtà attraverso percorsi di catechesi , che possano attingere al tesoro sconfinato e inestimabile della Parola di Dio. Allo stesso tempo la celebrazione e l’adorazione dell’Eucarestia e il sacramento della Riconciliazione potranno farci incontrare realmente la Misericordia divina che ha voluto lasciarci questi segni concreti della sua presenza, in cui, per mezzo di Gesù Cristo e con la potenza dello Spirito Santo, il Padre ci accoglie e ci rinnova come veri figli suoi. Il Papa tra l’altro, come è noto, ha concesso a tutti i sacer- doti, durante l’Anno giubilare, la facoltà di assolvere i fedeli da peccati normalmente “riservati”, come l’aborto e la diocesi sta pensando di istituire un Centro di ascolto per valutare eventuali casi di nullità matrimoniale, oltre che ad assicurare in determinati orari la presenza di sacerdoti disponibili per le confessioni. In secondo luogo, desideriamo ripercorrere l’itinerario delle opere di misericordia, che, secondo l’antica tradizione della Chiesa, sono scandite in due settenari, enumerando le realtà che richiedono la nostra vicinanza e la nostra cura. Sarà dato alle parrocchie di ogni città della diocesi il compito di progettare ed organizzare un momento di riflessione, di preghiera e di proposta concreta su ciascuno di questi ambiti: malati, anziani, forestieri, carcerati, accoglienza delle povertà, defunti. Si cercherà, così, di distribuire il lavoro, ma di mantenere, allo stesso tempo, un clima unitario di comunione, invitando tutta la diocesi a convergere, di volta in volta, in un diverso luogo determinato. In un Giubileo, inoltre, è importante l’aspetto del pellegrinaggio e ne sono stati previsti due: uno a piedi in diocesi, destinato particolarmente ai giovani, che si terrà ad Artena il 13 maggio, l’altro a Roma, nelle Basiliche degli Apostoli, l’11 giugno. Come segni concreti, che dovranno restare in futuro come frutto di questo Giubileo, si sta pensando ad un emporio alimentare per le persone in gravi difficoltà economiche, ad un potenziamento della nostra presenza nel carcere di Velletri, ad una possibile accoglienza di profughi e rifugiati, secondo quanto ci è stato richiesto espressamente da Papa Francesco ed ad un centro per il sostegno alla famiglia. Per ultimo, accenno ad una proposta che non rientra direttamente nelle opere di misericordia, ma che intende cogliere questa occasione per dotare la nostra Cattedrale di un’opera d’arte che possa aggiungersi degnamente all’enorme patrimonio culturale che i nostri padri ci hanno lasciato: una Porta Santa in bronzo, dedicata alle opere di misericordia ed ai nostri Santi Patroni, ideata e realizzata da uno scultore veliterno, che andrà a sostituire l’ormai fatiscente portone centrale. Il Signore conceda a tutti noi di vivere intensamente questo Anno di Grazia, facendo esperienza della Sua misericordia per poterne diventare testimoni e strumento verso tutti i nostri fratelli. Cristo e l’adultera, Nicola Poussin, 1653, Parigi. Novembre 2015 4 sintesi a cura di Stanislao Fioramonti D al 19 al 28 settembre papa Francesco ha compiuto un viaggio apostolico a Cuba e negli Stati Uniti d’America, visitando anche la sede dell’Organizzazione delle Nazioni Unite a New York. L’occasione è stata quella di partecipare all’VIII incontro mondiale delle Famiglie, svoltosi a Philadelphia. Numerosi gli appuntamenti importanti di questo viaggio, dall’incontro con le autorità cubane (il Presidente Raoul Castro e suo fratello Fidel, mitico capo della rivoluzione e leader dell’isola per tanti decenni), alle messe nelle piazze della Rivoluzione dell’Avana e di Holguin e nel santuario mariano del Cobre a Santiago; dalle conferenze stampa con i giornalisti sull’aereo papale nei vari spostamenti, agli incontri con i vescovi statunitensi a Washington; dalla canonizzazione del francescano spagnolo Fra Junipero Serra, evangelizzatore della California, alla visita al Congresso degli USA e all’incontro con i senzatetto, sempre a Washington; dalla visita alla sede dell’ONU e al Memorial di Ground Zero di New York, all’incontro con le famiglie di immigrati ad Harlem e a Philadelphia, a quello con i carcerati e con le vittime di abusi sessuali della stessa città e alla messa conclusiva dell’ VIII Incontro Mondiale delle Famiglie. Proponiamo di questo viaggio memorabile una sintesi delle due conferenze stampa tenute da papa Francesco durante i voli da Santiago di Cuba a Washington e da Philadelphia a Roma. NEL VOLO DA CUBA AGLI USA (22 settembre) Silvia Poggioli, National Public Radio degli Stati Uniti. Nei decenni in cui è stato al potere Fidel Castro, la Chiesa cattolica cubana ha sofferto molto. Lei, nel Suo incontro con Fidel, ha avuto la percezione che lui fosse forse un po’ pentito? F. Il pentimento è una cosa molto intima, una cosa di coscienza. Nell’incontro con Fidel ho parlato di storie di gesuiti conosciuti, perché gli ho portato in regalo anche un libro del padre Llorente, molto amico suo, un gesuita, e anche un CD con le conferenze del padre Llorente; e gli ho anche regalato due libri di padre Pronzato che sicuramente lui apprezzerà. Abbiamo parlato molto dell’enciclica Laudato si’, perché lui è molto interessato a questo tema dell’ecologia. È stato un incontro non tanto formale, ma spontaneo; era presente anche la famiglia, anche i miei accompagnatori, il mio autista; ma noi eravamo un po’ separati, con la moglie e lui, e gli altri non potevano sentire, ma erano nello stesso ambiente. Sull’enciclica tanto, perché lui è molto preoccupato di questo. Del passato non abbiamo parlato. Sì, del passato: del collegio dei gesuiti, di come erano i gesuiti, di come lo facevano lavorare, di tutto questo sì. Gian Guido Vecchi, “Corriere della Sera”. Santità, le Sue riflessioni, anche le Sue denunce, sull’iniquità del sistema economico mondiale, il rischio di autodistruzione del pianeta, il traffico di armi, sono anche denunce scomode, nel senso che toccano interessi molto forti. Alla vigilia di questo viaggio sono emerse delle considerazioni abbastanza bizzarre - anche media molto importanti nel mondo le hanno riprese - di settori della società americana, anche, che arrivavano a chiedere se il Papa fosse cattolico… Già c’erano state discussioni di quelli che parlavano del “Papa comunista”; adesso addirittura: “Il Papa è cattolico?”. Di fronte a queste considerazioni, Lei che cosa pensa? F. Io sono certo che non ho detto una cosa in più che non sia nella Dottrina sociale della Chiesa. Nell’altro volo, una Sua collega, quando sono andato a parlare ai Movimenti popolari, ha detto: “Lei ha teso la mano a questo Movimento popolare, ma la Chiesa, La seguirà?”. E io ho detto: “Sono io a seguire la Chiesa”, e in questo credo di non sbagliare, credo di non avere detto una cosa che non sia nella Dottrina sociale della Chiesa. Forse una spiegazione ha dato un’impressione di essere un pochettino più “sinistrina”, ma sarebbe un errore di spiegazione. La mia dottrina, su tutto questo, sulla Laudato si’, sull’imperialismo economico, è quella della Dottrina sociale della Chiesa. E se è necessario che io reciti il “Credo”, sono disposto a farlo! Jean-Louis de la Vaissiere, agenzia “France Presse”. Santo Padre, nell’ultimo viaggio in America Latina ha criticato duramente il sistema capitali- sta liberale. A Cuba sembra che le sue critiche del sistema comunista non siano state tanto severe: erano molto più “soft”. Perché queste differenze? F. Nei discorsi che ho fatto a Cuba, sempre ho fatto accenno alla Dottrina sociale della Chiesa. Le cose che si devono correggere le ho dette chiaramente, non “profumatamente”, “soft”. Ma anche riguardo alla prima parte della sua domanda: più di quello che ho scritto nell’Enciclica, e anche nella Evangelii gaudium, sul capitalismo selvaggio o liberale, io non ho detto: tutto sta scritto lì. Non ricordo di aver detto qualcosa di più di quello. Ma qui a Cuba - questo forse chiarirà un po’ la sua domanda - il viaggio è stato un viaggio molto pastorale con la comunità cattolica, con i cristiani, anche con quelle persone di buona volontà e per questo i miei interventi sono stati omelie… Anche con i giovani - che erano giovani credenti e non credenti e, fra i credenti, di diverse religioni - è stato un discorso di speranza, anche di incoraggiamento al dialogo tra loro, di andare insieme, cercare quelle cose che ci accomunano e non quelle che ci dividono, fare ponti… E’ stato un linguaggio più pastorale. Invece, nell’Enciclica si dovevano trattare cose più tecniche, e anche queste che Lei ha menzionato. Nelson Castro,“Radio Continental”, Argentina. La domanda ritorna sul tema della dissidenza: perché è stato deciso di non ricevere i dissidenti? E, secondo, c’è stato uno che si è avvicinato a Lei e che è stato allontanato ed arrestato… La domanda è: ci sarà un ruolo della Chiesa cattolica nella ricerca di un’apertura alle libertà politiche, visto il ruolo che ha svolto anche nel ristabilimento delle relazioni tra Cuba e Stati Uniti? Questo tema delle libertà, che è un problema per coloro che pensano diversamente in Cuba. Sarà un ruolo che la Santa Sede pensa per la Chiesa cattolica nel futuro di Cuba? F. Anzitutto: non ho ricevuto nessuno in udienza privata. E questo per tutti. E c’era anche un capo di Stato che la chiedeva… Vi dico: no, non ho avuto nulla a che vedere con i dissidenti. Il comportamento con i dissidenti è stato quello che vi ho già spiegato. La Chiesa di Cuba ha lavorato ad una lista di prigionieri cui concedere l’indulto … L’indulto è stato concesso a 3.500 circa… La cifra me l’ha detta il presidente della Conferenza Episcopale: sì, più di tremila. E ancora ci sono casi allo studio. E la Chiesa qui a Cuba sta lavorando per fare indulti. Per esempio, qualcuno mi ha detto: “Sarebbe bello finirla con l’ergastolo, ossia la prigione perpetua”. Parlando chiaramente, l’ergastolo è quasi una pena di morte nascosta. Questo l’ho detto pubblicamente in un discorso ai giuristi europei. Tu stai lì, morendo tutti i giorni senza la speranza della liberazione. E’ un’ipotesi. Un’altra ipotesi è che si facciano indulti generali ogni uno o due anni. Ma la Chiesa sta lavorando. NEL VOLO DI RITORNO DAGLI USA (27 settembre) Elisabetta Dias, “Time Magazine”. Questa è stata la sua prima visita negli Stati Uniti. Cosa degli Stati Uniti L’ha sorpresa, e cosa è stato diverso rispetto alle Sue aspettative? F. Sì, era la prima visita: mai ero stato qui. Mi ha sorpreso “the warmth”, il calore della gente, tanto amabile: una cosa bella e anche differente. A Nella foto del titolo: Papa Francesco si sposta verso Washington dalla base di Andrews in Maryland, con una Fiat 500 nera (Reuters). continua nella pag. accanto Novembre 2015 Washington, un’accoglienza calorosa ma un po’ più formale, a New York un po’ esuberante, e a Philadelphia molto espressiva. Tre modalità diverse ma della stessa accoglienza. Io sono molto colpito dalla bontà, dall’accoglienza; e nelle cerimonie religiose anche dalla pietà, dalla religiosità. Si vedeva la gente pregare, e questo mi ha colpito, e molto, molto. E’ bello. La sfida della Chiesa oggi è essere come è stata sempre: vicina alla gente, vicina al popolo degli Stati Uniti. Non una Chiesa staccata dal popolo, no. E questa è una sfida che la Chiesa degli Stati Uniti ha capito bene! L’ha capita, e voglio farla. Comprendo le vittime e le famiglie che non sono riuscite a perdonare o che non vogliono perdonare. Non le giudico, prego per loro. Una volta, in una di queste riunioni, ho incontrato diverse persone, e una donna mi ha detto: “Quando mia madre è venuta a sapere che avevano abusato di me, ha bestemmiato contro Dio, ha perso la fede ed è morta atea”. Io comprendo quella donna. E Dio che è più buono di me la comprende. Sono sicuro che Dio ha accolto quella donna. Perché quello che è stato toccato, quello che è stato distrutto era la sua propria carne, la carne di sua figlia. Io lo comprendo. Non giudico qual- Papa Francesco si affaccia dal balcone del Congresso tra lo speaker della Casa Bianca e il vice presidente Usa (Afp). Maria Antonietta Collins. Santo Padre, Lei ha parlato molto del perdono, che Dio ci perdona e che quelli che spesso chiedono perdono siamo noi. Ci sono molti sacerdoti che hanno commesso abusi sessuali sui minori e non hanno chiesto perdono alle loro vittime. Lei li perdona? E Lei capisce, dall’altra parte, le vittime e le famiglie che non riescono a perdonare o che non vogliono? F. Se una persona ha agito male, è cosciente di quello che ha fatto e non chiede perdono, io chiedo a Dio che ne tenga conto. Io lo perdono, però lui non riceve il perdono, è chiuso al perdono. Una cosa è dare il perdono - tutti siamo obbligati a perdonare, perché tutti siamo stati perdonati - ma altra cosa è ricevere il perdono. E se quel sacerdote è chiuso al perdono, non lo riceve perché ha chiuso la porta a chiave da dentro, e quello che resta è pregare, perché il Signore apra quella porta. Bisogna essere disposti a dare il perdono, ma non tutti lo possono ricevere, lo sanno ricevere o sono disposti a riceverlo. E’ duro quello che sto dicendo. E così si spiega perché ci sia gente che finisce la sua vita in maniera dura, male, senza ricevere la carezza di Dio. cuno che non può perdonare. Prego e chiedo a Dio - perché Dio è un campione nel cercare una via verso la soluzione - che lo metta a posto. Andres Beltramo, Notimex. Padre, tutti L’abbiamo sentita parlare tanto del processo di pace in Colombia, tra le Farc e il governo. Adesso c’è un accordo storico. Lei si sente un po’ parte di questo accordo? E Lei aveva detto che pensava di andare in Colombia quando ci fosse stato l’accordo: adesso ci sono molti colombiani che La stanno aspettando. F. Quando ho avuto la notizia che a marzo sarebbe stato firmato l’accordo, ho detto al Signore: “Signore, fa’ che arriviamo a marzo, che si arrivi con questa bella intenzione”, perché mancano piccole cose, ma la volontà c’è. Da ambedue le parti. Anche del piccolo gruppo, c’è, tutti e tre sono d’accordo. Dobbiamo arrivare a marzo, all’accordo definitivo. Che era il punto della giustizia internazionale, Lei lo conosce. Sono rimasto contentissimo. E mi sono sentito parte nel senso che ho sempre voluto questo, e ho parlato due volte con il presidente Santos del problema, e la Santa Sede è tanto aperta ad aiutare per quanto possibile. Thomas Jansen, Cic (agenzia cattolica tedesca). 5 Santo Padre, sulla crisi migratoria in Europa: molti Paesi stanno costruendo nuove barriere di filo spinato. Che cosa dice di questo sviluppo? F. Lei ha usato una parola: “crisi”. Si entra in uno stato di crisi dopo un processo lungo. Questo è un processo scoppiato da anni, perché le guerre dalle quali quella gente se ne va, fugge, sono guerre di anni. La fame è fame da anni… Io penso che invece di sfruttare un continente o un Paese o una terra, fare investimenti perché quella gente abbia lavoro eviterebbe questa crisi. E’ vero: è una crisi di rifugiati - come ho detto al Congresso - mai vista dopo l’ultima guerra mondiale, è la più grande. Lei mi domanda sulle barriere. Lei sa come finiscono i muri. Tutti i muri crollano, oggi, domani o dopo 100 anni. Ma crolleranno. Il muro non è una soluzione. In questo momento l’Europa è in difficoltà, è vero. Dobbiamo essere intelligenti, capire perché viene tutta quella ondata migratoria, e non è facile trovare soluzioni. Ma con il dialogo tra i Paesi, devono trovarla. I muri, non sono mai soluzioni; invece i ponti sì, sempre, sempre. I muri, le barriere durano poco tempo, o molto tempo, ma non sono una soluzione. Il problema rimane, anche con più odio. Jean-Marie Guénois, “Le Figaro”. Santo Padre, vogliamo sapere prima del Sinodo se nel Suo cuore di pastore vuole veramente una soluzione per i divorziati risposati. E se il suo Motu Proprio sulla facilitazione della nullità ha chiuso - secondo Lei - questo dibattito. E infine, cosa risponde a quelli che temono, con questa riforma, la creazione di fatto di un cosiddetto “divorzio cattolico”. F. Incomincio con l’ultima. Nella riforma dei processi, della modalità, ho chiuso la porta alla via amministrativa che era la via attraverso la quale poteva entrare il divorzio. E si può dire che quelli che pensano al “divorzio cattolico” sbagliano perché questo ultimo documento ha chiuso la porta al divorzio che poteva entrare - sarebbe stato più facile - per la via amministrativa. Sempre ci sarà la via giudiziale. Quanto alla nozione di “divorzio cattolico” e se il Motu Proprio ha chiuso il dibattito a venire nel Sinodo su questo tema, questo è stato chiesto dalla maggioranza dei Padri sinodali al Sinodo dell’anno scorso: snellire i processi, perché c’erano processi che duravano 10-15 anni. I Padri sinodali hanno chiesto lo snellimento dei processi di nullità matrimoniale. Questo Motu Proprio facilita i processi nei tempi, ma non è un divorzio, perché il matrimonio è indissolubile quando è sacramento, e questo la Chiesa non lo può cambiare. E’ dottrina. Il procedimento legale è per provare che quello che sembrava sacramento non lo era: per mancanza di continua a pag. 6 6 libertà, per esempio, o per mancanza di maturità o per malattia mentale… Tanti sono i motivi che portano, dopo un’indagine, a dire: “No, lì non c’è stato sacramento. Per esempio, perché quella persona non era libera”. Un esempio: i matrimoni quando la fidanzata rimane incinta. Io, a Buenos Aires, ai sacerdoti consigliavo - ma con forza -, quasi proibivo di fare il matrimonio in queste condizioni. Noi li chiamiamo “matrimoni di fretta”, per salvare tutte le apparenze. E il bambino nasce, e alcuni matrimoni vanno bene, ma non c’è la libertà! E poi vanno male, si separano... Questa è una causa di nullità. Sono tante le cause di nullità. Poi c’è il problema delle seconde nozze, dei divorziati che fanno una nuova unione. Voi leggete nell’ Instrumentum laboris quello che si pone alla discussione. A me sembra un po’ semplicistico dire che la soluzione per questa gente è che possano fare la comunione. Questa non è l’unica soluzione. Quello che l’Instrumentum laboris propone è molto di più. Il problema delle nuove unioni dei divorziati non è l’unico problema. Nell’ Instrumentum laboris ce ne sono tanti. Per esempio: i giovani non si sposano, non vogliono sposarsi. E’ un problema pastorale per la Chiesa. Un altro problema: la maturità affettiva per il matrimonio. Un altro problema: la fede. Io ci credo che questo è “per sempre”? “Sì, sì, ci credo...”. Ma ci credo veramente? La preparazione al matrimonio… Io ci penso tante volte: per diventare prete c’è una preparazione di otto anni; e poi, siccome non è definitivo, la Chiesa può toglierti lo stato clericale. Per sposarti, che è per tutta la vita, si fanno quattro corsi, quattro volte… C’è qualcosa che non va. Il Sinodo deve pensare bene come fare la preparazione al matrimonio, è una delle cose più difficili. E ci sono tanti problemi… Ma, tutti sono elencati nell’Instrumentum laboris. Mi piace che Lei mi abbia fatto la domanda sul “divorzio cattolico”: no, quello non esiste. O non è stato matrimonio - e questa è nullità, non è esistito -, o se è esistito è indissolubile. Questo è chiaro. Stefano Maria Paci, Sky News. Santità, Lei all’Onu ha usato parole molto forti per denunciare il silenzio del mondo sulla persecuzione contro i cristiani che vengono privati delle loro case, scacciati, privati dei beni, resi schiavi e brutalmente uccisi. Adesso il presidente Hollande ha annunciato l’inizio dei bombardamenti da parte della Francia sulle basi dell’Isis in Siria: cosa pensa di questa azione militare? E poi, anche una curiosità: il Sindaco Marino, Sindaco di Roma, Novembre 2015 città del Giubileo, ha dichiarato che è venuto all’Incontro Mondiale delle Famiglie, alla Messa, perché è stato invitato da Lei. Ci dice com’è andata? F. Io non ho invitato il Sindaco Marino. Chiaro? Io non l’ho fatto. Ho chiesto agli organizzatori, e neppure loro l’hanno invitato. Lui è venuto, lui si professa cattolico, è venuto spontaneamente. Sul bombardamento, veramente, io ho avuto la notizia l’altro ieri e non ho letto. Non conosco bene la situazione. Ho sentito dire che la Russia era in una posizione, gli Stati Uniti ancora non erano chiari… Non so cosa dirti, davvero, ma quando sento la parola “bombardamento”, morte, sangue… ripeto quello che ho detto al Congresso e alle Nazioni Unite: evitare queste cose. Ma la situazione politica non la giudico perché non la conosco. Sagrario Ruiz, Apodaca. Santo Padre, per la prima volta ha visitato gli Stati Uniti, non c’era mai stato prima; ha parlato al Congresso, ha parlato alle Nazioni Unite, ha ricevuto autentici bagni di folla… Si sente più forte? E vorrei chiederle anche, perché l’abbiamo ascoltata dire di evidenziare il ruolo delle religiose e delle donne nella Chiesa statunitense: vedremo mai donne sacerdote nella Chiesa cattolica, come chiedono alcuni gruppi negli Stati Uniti e con avviene in altre chiese cristiane? F. Le suore degli Stati Uniti hanno fatto meraviglie nel campo dell’educazione, nel campo della salute. Il popolo degli Stati Uniti ama le suore: non so quanto ami i preti, ma le suore le ama, le ama tanto. Le suore hanno scuole in tutti quartieri - ricchi, poveri - lavorano con i poveri e negli ospedali… Non so se ho avuto successo o no. Ma io ho paura di me stesso, perché se ho paura di me stesso, io mi sento sempre debole, nel senso di non avere il potere; il potere è anche una cosa passeggera: oggi c’è, domani non c’è… E’ importante se tu col potere puoi far del bene. E Gesù ha definito il potere: il vero potere è servire, fare i servizi, fare i servizi più umili. E io devo ancora andare avanti in questo cammino del servizio, perché sento che non faccio tutto quello che devo fare. Questo è il senso che io ho del potere. Terzo: le donne sacerdote: questo non può farlo. Il Papa san Giovanni Paolo II, in tempi di discussione, dopo lunga, lunga riflessione, lo ha detto chiaramente. Non perché le donne non hanno la capacità, ma guarda: nella Chiesa sono più importanti le donne che gli uomini, perché la chiesa è donna; è la Chiesa, non il Chiesa; la Chiesa è la sposa di Cristo, e la Madonna è più importante dei Papi, dei vescovi e dei preti. E’ una cosa che devo riconoscere: noi siamo un po’ in ritardo nella elaborazione di una teologia della donna. Dobbiamo andare più avanti in quella teologia. Questo sì! Matilde Imbertì, Radio France. Santo Padre, negli Stati Uniti, Lei è diventato una star. E’ bene per la Chiesa che il Papa sia una star? F. Tu sai quale era il titolo che usavano i Papi e che si deve usare? “Servo dei servi di Dio”. E’ un po’ differente dalla star! Le stelle sono belle da guardare, a me piace guardarle quando il cielo è sereno d’estate... Ma il Papa deve essere - deve essere! - il servo dei servi di Dio. Sì, nei media si usa questo, ma c’è un’altra verità: quante star abbiamo visto noi che poi si spengono e cadono… E’ una cosa passeggera. Invece essere servo dei servi di Dio, questo è bello! Non passa. Non so… Così la penso. Nelle foto sopra: La stretta di mano con il Vice presidente Usa, Joe Biden (Reuters); L'incontro con Fidel Castro (Afp). Novembre 2015 Cardinal Francis Arinze Nato da una famiglia animista della tribù Ibo, a nove anni si converte al cattolicesimo ricevendo il battesimo da padre Cipriano Iwene Tansi (che diverrà, nel 1998, il primo beato nigeriano). I suoi familiari avversano la sua vocazione, ma in seguito si ricrederanno, convertendosi anch’essi al cattolicesimo dopo la sua ordinazione a sacerdote. Dopo il seminario, studia teologia alla Pontificia Università Urbaniana. Nel 1958 viene ordinato sacerdote. Frequenta l’Istituto di pedagogia di Londra. Tornato in Nigeria, a quasi 33 anni viene nominato vescovo (6 luglio 1965, consacrato il successivo 29 agosto) e a 35 anni arcivescovo di Onitsha (26 giugno 1967). Ha modo così di partecipare, seppur brevemente, al Concilio Vaticano II. Nel 1979 viene eletto Presidente della Conferenza dei Vescovi cattolici della Nigeria. Nel 1984 viene nominato presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-Religioso in Vaticano. Il 25 maggio 1985 papa Giovanni Paolo II lo ha creato cardinale del titolo di San Giovanni della Pigna, diaconia elevata pro hac vice in titolo presbiterale il 29 gennaio 1996. Nel 1998 organizza il viaggio apostolico di papa Giovanni Paolo II in Nigeria. Papa Giovanni Paolo II lo ha nominato membro del Comitato del Grande Giubileo del 2000. Diviene prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti (2002). Il 25 aprile 2005 è stato eletto cardinale vescovo con il titolo della Chiesa Suburbicaria di Velletri-Segni, succedendo a Joseph Ratzinger diventato da una settimana Papa con il nome di Papa Benedetto XVI. Poliglotta (conosce bene anche l’italiano), ottimo comunicatore, è un sostenitore della messa in latino. È uno dei cardinali che ha celebrato la Messa tridentina dopo la Riforma liturgica. Termina il suo incarico di Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti il 9 dicembre 2008, per raggiunti limiti d’età. Il cardinal Arinze ha tenuto gli esercizi spirituali per la Quaresima 2009 alla Curia Romana, alla presenza di Benedetto XVI. È stato membro: della Congregazione per la Dottrina della Fede, della Congregazione per le Chiese Orientali, della Congregazione delle Cause dei Santi, della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, del Pontificio Consiglio per i Laici, del 7 Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, del Pontificio Comitato per i Congressi Eucaristici Internazionali, del XII Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, del Consiglio Speciale per l’Africa della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, del Consiglio Speciale per il Libano della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi. delle quattro sessioni del Concilio Vaticano II, non appena consacrato vescovo nell’agosto del 1965. Per me è stato l’esordio, un qualcosa che non si dimentica, che colpisce. Sapevo che la Chiesa era universale, ma vedere quei duemila vescovi e più da ogni parte del mondo, grandi nomi come i cardinali Alfredo Ottaviani, LeonJospeh Suenens, Josef Frings, Bernard Jan Alfrink, Bernard Jan Doepfner, Giovanni Battista Montini Riportiamo il contenuto di una intervista che il Cardinal Francis Arinze ha rilasciato a “Zenit. org” il 22 ottobre 2012 per cogliere lo spirito di un giovanissimo vescovo che prese parte al Concilio Vaticano II. e altri meno conosciuti. Chi poteva sapere allora che Karol Wojtyla o il giovane teologo Joseph Ratzinger sarebbero diventati Pontefici? Solo Dio lo sapeva. Ero il più giovane, non avevo un gran che da dire, per me era importante ascoltare i maggiori, anche perché nella cultura africana il giovane non deve parlare quando lo fanno i più anziani. “Era il padre conciliare più giovane quando partecipò alla quarta sessione del Concilio Vaticano II. Era stato appena nominato vescovo. Oggi il cardinale Francis Arinze, con 80 anni ben portati, assicura che il Vaticano II è stata una grazia per la Chiesa, senza la quale soltanto Dio può sapere come sarebbero andate le cose. Nell’intervista esclusiva concessa a ZENIT, il Card. Arinze ha spiegato che la Gaudium et Spes e gli altri documenti conciliari sono degli strumenti che hanno permesso alla Chiesa di affrontare lo tsunami della secolarizzazione.” Lei era il vescovo più giovane nel Concilio, vero? Card. Arinze: Ho partecipato soltanto all’ultima Come valuta oggi il Vaticano II? Card. Arinze: Il Concilio è stato un regalo di Dio a tutta la Chiesa, un patrimonio inesaurito, visto che dopo cinquant’anni non siamo stati capaci di capire tutto quello che ci ha detto. Poco dopo il Concilio arrivò il 68, con la rivoluzione studentesca alla Sorbona e uno tsunami di secolarismo. Cosa sarebbe successo se questi fatti fossero avvenuti senza avere prima il Concilio Vaticano II? Card. Arinze: Solo Dio sa cosa sarebbe successo. Possiamo forse intuirlo. Certo la Chiesa avrebbe avuto forte difficoltà a vivere con il mondo di oggi. La storia non si ferma, il mondo con- 8 tinua con quanto ha di positivo e negativo. Quella ribellione del 68 ha toccato le università, ma anche i sacerdoti e i seminari, non ha risparmiato nessuno. E’ stata una prova dura, anche per i genitori perché i figli si ribellavano. Il che modo il Concilio Vaticano II ha contribuito alla crescita della Chiesa? Card. Arinze: Il Concilio Vaticano II ha fornito molti strumenti alla Chiesa per aiutarla ad affrontare e piuttosto incontrare il mondo d’oggi. Per guardare il mondo non come un nemico, ma come pellegrini che incontrano la vita. Come si vede nel documento conciliare Gaudium et Spes, la Chiesa vuole alimentare la speranza, vuole aiutare il mondo realizzare i progetti che hanno senso e valori. Noi non siamo del mondo ma stiamo nel mondo. La Basilica di san Pietro non è solo una sacrestia da riempire con i cristiani, i fedeli cattolici devono stare ovunque. La Chiesa deve incontrare il mondo di oggi, i popoli, le lingue, le usanze, siano o no in linea con il Vangelo. Deve incontrare anche le altre religioni, musulmane, buddiste, ecc. Il Concilio ci ha aiutato a trovare l’uomo e i giovani con le loro domande. Quali sono le difficoltà per la realizzazione degli insegnamenti del Concilio? Card. Arinze: La difficoltà maggiore è rappresentata dal fatto che molte persone non hanno letto né leggono i documenti del Concilio. Parlano perché ‘hanno sentito dire’ e credono al commento negativo di qualcuno, mentre la cosa che si dovrebbe fare è leggere i documenti del Concilio. Questo vale anche per me che ho partecipato all’ultima sessione quando la metà dei documenti erano già stati discussi e realizzati. Un altro grande ostacolo è rappresentato dai pregiudizi. Alcune persone hanno idee fisse, e espri- Novembre 2015 mono un giudizio prima ancora di leggere i documenti. Così pur non conoscendo abbastanza il Concilio Vaticano II chiedono il Vaticano III, o IV. E le critiche? Card. Arinze: Ci sono alcuni che leggono i documenti per cercare di confermare la loro ideologia. Se c’é una riga che non sembra essere vicina alle loro aspirazioni, lasciano subito, e non vogliono leggere più per paura di vedere le loro tesi messe in discussione. Leggere con la mente aperta i sedici documenti del Concilio genera una visione positiva e gioiosa. Oggi a cinquanta anni del Concilio c’é più maturazione? Si riesce a capire meglio? Card. Arinze: Sì è possibile, sempre che la persona guardi al Concilio senza pregiudizi, e non abbia paura di scoprire ciò che si è veramente detto. La persona che legge i documenti del Concilio capisce che la Chiesa è divina e umana, con elementi divini che mai falliscono ed elementi umani che possono venire meno. Non pretendiamo che il Vaticano II abbia risolto tutti i problemi dell’umanità. Un bel giorno ci sarà anche un Vaticano III, non bisogna pensare che sia una Chiesa nuova, diversa da quella preconciliare. E’ la stessa Chiesa che progredisce pel capire il Vangelo e testimoniare Gesù. Eminenza, lei non ha l’impressione che a volte chi chiede un Vaticano III in fondo vuole un’altra Chiesa? Card. Arinze: Non possiamo non sospettare questo, anche se dobbiamo credere che questa persona sia onesta. Vorrei chiedere a questa persona: ‘Ha letto e digerito il Vaticano II? O c’é qualche altra cosa che tu vuoi e come il Vaticano II non lo ha detto pensi a un Vaticano III? Non possiamo avere un Concilio ogni settimana. C’è anche il Sinodo dei Vescovi che si tiene circa ogni tre anni. Ci sono cose che neanche un Concilio può cambiare? Card. Arinze: Sì, per esempio i dieci comandamenti. Cosa immagina per il futuro? Card. Arinze: Il Concilio ha aiutato la Chiesa a porsi davanti alla realtà del mondo di oggi. Dobbiamo trovare in Cristo la chiave per testimoniare. Non siamo noi a inventare la Chiesa, ma Gesù, e il Concilio ci aiuta in diversi modi anche a incontrare l’altro cristiano che non è cattolico. L’altro credente e il non credente. Questa apertura è preziosissima, senza per questo dubitare mai nella nostra fede. Chi dubita della fede in Cristo ha perso l’identità cristiana, come un cittadino che ha perso il senso del suo paese, non può essere ambasciatore. In che modo il Concilio ha guardato a Maria? Card. Arinze: Il Concilio ci ha orientato benissimo su come capire meglio la Madre di Dio, Maria Santissima, nel contesto di tutta la Chiesa e nel contesto di Cristo. Come Madre di Cristo e figura della Chiesa. Per questo il Concilio non ha voluto discutere su una mariologia separata dalla ecclesiologia. E ha chiarito che non siamo noi a fare grande Maria, ma è stato Dio a fare grandi cose per Lei. La devozione mariana riconosce questa grandezza già esistente. Un cristiano che non venera Maria Santissima deve essere invitato a leggere il capitolo VIII della Lumen Gentium, e se questo non basta, può leggere Matteo e Luca nei primi due capitoli del Vangelo, o anche il capitolo XIX di Giovanni. Al Sinodo si è parlato molto della confessione come strumento di nuova evangelizzazione Card. Arinze: Come possiamo testimoniare o predicare Gesù se non ci siamo convertiti? Lui ci invita: “Convertitevi e credete al Vangelo”, e ci ha detto se non fate penitenza non vi salverete. La confessione non è facoltativa. E’ il grande sacramento del popolo di Dio per la riconciliazione e la pace. Andare a confessarsi davanti a Dio non è come farlo in un tribunale nel quale l’imputato nega tutte le accuse, dice che non era presente lì quel giorno. La confessione significa ammettere: “per colpa mia”. Non per colpa del governo o di mia suocera. Chi accetta di essere colpevole accetta di cambiare vita, poi va a casa con la pace interiore. A volte chi non vuole confessarsi va dallo psichiatra o dallo psicoanalista, paga una bella somma, e non si porta il perdono. Novembre 2015 Costantino Coros alvaguardare il Creato, sradicare la povertà, porre attenzione alle diseguaglianze, modificare i modelli di consumo. Questi, in estrema sintesi, gli obiettivi dell’Enciclica “Laudato Sì” di Papa Francesco, presentata lo scorso 18 giugno all’Aula Nuova del Sinodo nella Città del Vaticano. “E’ un documento davvero unico in quanto unisce i concetti di fede e morale, ingegnosità e ragione”1. E’ permeato da un costante richiamo all’importanza della centralità della persona e all’investimento sul suo benessere che riguarda il rispetto dell’ambiente in cui vive: la Terra. A fondamento dell’Enciclica è posto il concetto di “Ecologia integrale”. Si tratta di una “ecologia che parla di cultura, che unisce ambiente, economia e aspetti sociali, che invoca una giustizia intergenerazionale, che fissa il bene comune2 come priorità assoluta e si spinge a diventare ecologia dell’anima, a livello tanto spirituale quanto esistenziale”3. “Oggi, pensando al bene comune - scrive Papa Francesco - abbiamo bisogno in modo ineludibile che la politica e l’economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana” (n. 189 - Laudato Sì). L’Enciclica porta dentro si sé un messaggio molto importante: ci dice che tecnologia e scienza possono andare insieme alla fede, all’etica ed ai valori del cristianesimo. L’umanità se riesce a praticare concretamente i verbi dell’educare, del donare, del cooperare, del curare, del pregare e del recuperare può costruire un futuro migliore per i suoi figli. Sua Eminenza, il Card. Kodwo Appiah Turkson, nel corso della presentazione dell’Enciclica ha sottolineato che il riferimento a san Francesco indica anche l’atteggiamento su cui si fonda tutta l’Enciclica: quello della contemplazione orante. E’ un invito a guardare al «poverello di Assisi» come a una fonte d’ispirazione. San Francesco è «l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità. […] In lui si riscontra fino a che punto sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore» (n. 10 - Laudato Sì). Oggi la terra, nostra sorella, maltrattata e saccheggiata, si lamenta; e i suoi gemiti si uniscono a quelli di tutti i poveri e di tutti gli «scartati» del mondo. Papa Francesco invita ad ascoltarli, sollecitando tutti e ciascuno - singoli, famiglie, collettività locali, nazioni e comunità internazionale - a una «conversione ecologica», secondo l’espressione di san Giovanni Paolo II, cioè a «cambiare rotta», assumendo la responsabilità e la bellezza di un impegno per la «cura della casa comune». Papa Francesco riconosce che nel mondo si va diffondendo la sensibilità per l’ambiente e la preoccupazione per i danni che esso sta subendo. Il Papa mantiene uno sguardo di fiduciosa speranza sulla possibilità di invertire la rotta: «L’umanità ha ancora la capacità di collaborare per costruire la nostra casa comune» (n. 13 - Laudato Sì); «l’essere umano è ancora capace di intervenire positivamente» (n. 58 - Laudato Sì); «non tutto è perduto, perché gli esseri umani, capaci di degradarsi fino all’estremo, possono anche superarsi, S 9 ritornare a scegliere il bene e rigenerarsi» (n. 205 Laudato Sì). Il concetto di ecologia integrale è il paradigma in grado di articolare le relazioni fondamentali della persona con Dio, con se stessa, con gli altri esseri umani, con il creato. Il Santo Padre al n. 139 scrive: «quando parliamo di “ambiente” facciamo riferimento anche a una particolare relazione: quella tra la natura e la società che la abita. Questo ci impedisce di considerare la natura come qualcosa di separato da noi o come una mera cornice della nostra vita. Siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati. Le ragioni per le quali un luogo viene inquinato richiedono un’analisi del funzionamento della società, della sua economia, del suo comportamento, dei suoi modi di comprendere la realtà. Data l’ampiezza dei cambiamenti, non è più possibile trovare una risposta specifica e indipendente per ogni singola parte del problema. È fondamentale cercare soluzioni integrali, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali. Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socioambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura». “Tutto il Creato è permeato da Dio. Quando si rompe la relazione tra l’uomo e Dio si genera il peccato. Questa rottura della relazione è dovuta all’individualismo. Il ‘peccato ecologico’ è non soltanto contro Dio, ma anche contro il nostro vicino e le future generazioni”4. La testimonianza di san Francesco ci mostra che la povertà e l’austerità da lui praticata e predicata “non erano un ascetismo solamente esteriore, ma qualcosa di più radicale: una rinuncia a fare della realtà un mero oggetto di uso e di dominio” (n. 11 - Laudato Sì). L’umanità è chiamata farsi carico con responsabilità di proteggere l’ambiente, ma per far questo deve tenere che essa non può essere “solo assicurata sulla base del calcolo finanziario di costi e benefici. L’ambiente è uno di quei beni che i meccanismi del mercato non sono in grado di difendere o di promuovere adeguatamente»5 (n. 190). Il Papa chiama tutti ad una ‘conversione ecologica’. Questo vale sia per le persone sia per le aziende. “L’Enciclica invita il mondo degli affari ad essere parte della soluzione. Sottolinea il fatto che non bisogna dipendere in modo eccessi- vo dalla tecnologia. Questa deve essere al servizio dell’umanità e guidata da principi morali. Oggi, per le imprese, conta molto, come esse operano sotto il profilo della produzione e dell’attenzione alla cura dell’ambiente. Comportamenti che ne qualificano la reputazione molto di più del brand e del marketing”6. Per questo “gli sforzi per un uso sostenibile delle risorse naturali non sono una spesa inutile, bensì un investimento che potrà offrire altri benefici economici a medio termine. Se non abbiamo ristrettezze di vedute, possiamo scoprire che la diversificazione di una produzione più innovativa e con minore impatto ambientale, può essere molto redditizia. Si tratta di aprire la strada a opportunità differenti, che non implicano di fermare la creatività umana e il suo sogno di progresso, ma piuttosto di incanalare tale energia in modo nuovo” (n. 191). Per raggiungere questo obbiettivo c’è bisogno di una “politica che pensi con una visione più ampia e che porti avanti un nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi” (n. 197). Secondo il racconto biblico della creazione “Dio pose l’essere umano nel giardino appena creato (cfr Gen 2,15) non solo per prendersi cura dell’esistente (custodire), ma per lavorarvi affinché producesse frutti (coltivare). Così gli operai e gli artigiani «assicurano la creazione eterna » (Sir 38,34). In realtà, l’intervento umano che favorisce il prudente sviluppo del creato è il modo più adeguato di prendersene cura, perché implica il porsi come strumento di Dio per aiutare a far emergere le potenzialità che Egli stesso ha inscritto nelle cose: «Il Signore ha creato medicamenti dalla terra, l’uomo assennato non li disprezza» (Sir 38,4) - (n. 124). Ciò implica una conversione del cuore e dell’anima per “vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio” come parte essenziale di “un’esistenza virtuosa” non interpretata come qualcosa di opzionale e nemmeno come aspetto secondario dell’esperienza cristiana (n. 217). Una sana relazione col creato è dimensione della conversione integrale della persona (n. 218). Questo ci insegna san Francesco. “Per il credente, il mondo non si contempla dal di fuori ma dal di dentro, riconoscendo i legami con i quali il Padre ci ha unito a tutti gli esseri” (n. 220). Ciascun credente “non interpreta a propria superiorità come motivo di gloria personale o di dominio irresponsabile, ma come una diversa capacita che a sua volta continua a pag. 10 Nell’immagine del titolo: La creazione, opera pittorica di Piet Glober. Novembre 2015 10 Sara Gilotta I l Sinodo sulla famiglia e i suoi contenuti, credo, possano essere motivo importante per riflettere sulla condizione della famiglia oggi e sulla necessità che tocca tutti, ma soprattutto i giovani di saper e di volere agire, in modo da scegliere il cammino più opportuno per avere ancora fiducia nella “istituzione” famiglia. Ma che cosa oggi si intende per famiglia e, soprattutto, è sufficiente considerarla entro i “limiti” della tradizione? Perché non può non essere trascurato il fatto certo che essa, come tutte le realtà e le istituzioni umane, va considerata non solo in relazione a quei principi religiosi che regolano la vita di chi ha fede, ma forse innanzitutto inserendo la famiglia stessa nel tempo in cui vive e si esprime, sia per quanto riguarda il rapporto con il mondo esterno, sia per quello tra i diversi membri che formano il nucleo familiare, con la reciprocità di ruoli, che via via la caratterizzano e la modificano. Anzi a questo proposito può essere molto interessante riflettere sulle origini stesse della famiglia, che, come sembra, non nacque con l’uomo, ma costituì senza dubbio una parte essenziale della sua storia. Non a caso Foscolo dice che il passaggio dalla condizione ferina dell’umanità a quella che, a buon diritto, può considerasi l’inizio della civiltà si deve all’istituzione della religione, delle leggi e , appunto del matrimonio, o forse sarebbe meglio dire della coppia stabile di un uomo e di una donna. Situazione che contribuì anche ad un genere di vita più stanziale, ma che si fondò essenzialmente sul “lavoro” della donna volto a convincere l’uomo con cui aveva generato un figlio, non solo a tornare da lei per portare i frutti della caccia, ma a fermarsi presso di lei e i figli sempre più a lungo. E’ questo uno studio celebre di Luigi Zoja, che però non spiega ancora la nascita della famiglia vera e propria. Perché, per parlare di famiglia, è necessario inserirla nella società, qualunque essa sia e in un insieme di norme e di leggi che hanno contribuito a rafforzarla e a difenderla da forze centrifughe comunque sempre esistite. Ed è da qui che, secondo me, è necessario partire per considerare le luci e le ombre , che toccano la famiglia della prima metà del XXI secolo. I problemi, le difficoltà che la investono sono senza alcun dubbio molti, tuttavia, credo che il primo riguardi in modo ineludibile la vita di ogni uomo e di ogni donna con il carico di aspettative esistenziali che caratterizza la realtà di tutti cambiata nel tempo davvero nel profondo, senza lasciare, se così si può dire, nemmeno qualche traccia del passato anche assai recente .Intendo dire che oggi parlare della famiglia cosiddetta patriarcale che pure costituì senza dubbio uno dei baluardi più efficienti di molte società, non è più possibile. Perché quelle che erano considerate le “funzioni”specifiche del padre e della madre, si sono certamente affievo- lite e confuse, conducendo la famiglia tutta in modo inconfutabile ad una instabilità e debolezza sempre più evidenti. D’altra parte la società contemporanea è divenuta una società “a valenza orizzontale”, in cui persino il criterio di autorevolezza viene riconosciuto con estrema difficoltà e non solo dai giovani. Così se alla madre è rimasto il ruolo naturale di colei che risponde ai bisogni fondamentali del figlio, al padre è rimasto ben poco e per di più è lui che deve voler continuamente edificare il proprio ruolo di guida, oltre che di amico. Oggi le regole su cui si fondava l’educazione dei giovani di ambo i sessi e che erano valide, pur nei naturali mutamenti, sino a qualche anno fa, sono state travolte da un mondo che non riconosce e che, quindi, non accetta se non ciò che è o appare più facile o più adatto a confrontarsi e contemporaneamente ad adeguarsi con il mondo esterno spesso mancando della capacità culturale e morale di riconoscere davvero se stesso e perciò l’altro, a cominciare da chi è più prossimo a chi è più lontano. E’ questo, secondo me, il primo grande problema da affrontare, perché il matrimonio può funzionare solo se i coniugi per primi si riconoscono , si rispettano ed ancor di più si aiutano reciprocamente anche nella più piccola delle quotidianità. E’ a tutto ciò che la Chiesa con il suo Sinodo deve aiutarci a guardare, se, come già è accaduto spesso nella storia, vuole aiutare la famiglia a ricostruirsi e a rafforzarsi. Questo, secondo me, deve essere il cammino che chiunque voglia sottrarre la famiglia ad un declino irreversibile, deve voler percorrere. Deve, infatti, aiutare i giovani a non temere più, come accade già da tempo,il “per sempre” che il matrimonio religioso giustamente pretende , anzi far riferimento ad esso, per farlo diventare mezzo innanzitutto di educazione e crescita personale e poi sociale e familiare. Indubbiamente una sfida non facile, se si guarda con lucidità alla situazione nella quale siamo tutti egualmente immersi. In essa persino il concetto di amore è indebolito, perché dove prevale l’egotismo, naturalmente l’ amore che è incontro basato per sua natura sulla generosità, sul rispetto ed anche sul sacrificio, soffre e finisce irrimediabilmente per logorarsi. E la Chiesa, come e molto più di sempre, deve assegnarsi un compito assai importante che è quello, secondo me, non solo della difesa della famiglia, ma di una rieducazione di tutti forse cominciando dai bambini e dalle bambine, cui deve saper chiarire il vero ruolo che ciascuno deve ricoprire nella società, non al fine di alzare nuovi steccati tra i sessi, ma, anzi, per insegnare che collaborazione e rispetto non sono segno di debolezza, ma di reciproca formazione, da cui solo può nascere una società e, quindi, una famiglia più forte e consapevole. segue da pag. 9 gli impone una grave responsabilità che deriva dalla sua fede” (n. 220). “Il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode” (n. 12). 1 Passaggio dell’intervento in conferenza stampa a cura del Prof. Hans Joachim (John) Schellnhuber, fondatore e direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research. 2 “L’enciclica ci chiama a praticare il bene comune: la città e l’ambiente sono la casa comune. Viviamo spesso itinerari umani, frammentati e contradditori. Ognuno cerca di salvarsi nel proprio angolo. Ognuno persegue il proprio interesse. Ma c’è una “salvezza comunitaria”, che parte dall’inclusione dei deboli, preziosa risorsa di ecologia integrale. “E’ questo – ha detto papa Francescoil tipo di mondo che desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo”. A tutti, allora, è chiesta una conversione alla costruzione responsabile della casa comune”. Valeria Martano, insegnante delle periferie romane, in occasione della conferenza stampa di presentazione dell’Enciclica. 3 Carlo Petrini in Vita Pastorale n.8/2015, pag. 21. Passaggio della riflessione di Sua Eminenza il Metropolita di Pergamo, John Zizioulas, svolta in occasione della presentazione dell’Enciclica “Laudato Sì”. 5 Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 470. 6 Passaggio dell’intervento della prof.ssa Carolyn Woo, presidente dei Servizi di Soccorso cattolici, ed ex-decana del Mendoza College of Business, dell’Università Notre Dame in occasione della conferenza stampa di presentazione della Laudato Sì. 4 Novembre 2015 11 Giorgio Bernardelli* Su questo tema nella Chiesa dovrebbero essere le famiglie molto più dei preti a parlarne. Per cercare nella vita concreta la strada per un incontro vero e aperto davvero al mistero. «Alcuni nostri amici stavano organizzando il loro raduno natalizio di famiglia quando il loro figlio gay ha detto che voleva portare anche il suo partner. Queste persone credevano pienamente nell’insegnamento della Chiesa ed erano consapevoli che i loro nipoti li avrebbero visti accogliere il figlio e il suo partner in famiglia. La loro risposta si può riassumere in tre parole: “È nostro figlio”». Ve la ricordate questa frase? E vi ricordate anche dove venne pronunciata? Eccovi un piccolo pro-memoria: accadeva giusto un anno fa, in Vaticano, nell’aula del Sinodo (non fuori) dove come ricorderete si stava già discutendo di famiglia. Per essere precisi la pronunciò la prima coppia che - in qualità di uditrice - prese la parola: i coniugi australiani Ron e Mavis Pirola, sposi con 55 anni di matrimonio alle spalle. E fu pronunciata nell’ambito di un intervento che diceva anche tante altre cose importanti sul tema dell’attrazione sessuale nella vita di coppia (e che - lasciatecelo ricordare - noi di Vino Nuovo fummo tra i primi a rilanciare). Queste parole mi sono venute in mente ieri mentre leggevo il clamoroso racconto di mons. Krzysztof Charamsa sulla sua omosessualità, con tanto di conferenza stampa alla vigilia dell’inizio del nuovo Sinodo. Ci ripensavo e vi vedevo tutta la differenza tra due diversi approcci su un tema che certamente come Chiesa facciamo ancora (tutti) una gran fatica ad affrontare sul serio. Da una parte la disarmante semplicità di una coppia che - a partire dal proprio vissuto di genitori - si dà una risposta che apre un cammino tutto da costruire. Dall’altra il gesto plateale di un teologo fino a ieri in uno dei dicasteri più in vista della Curia Romana, che per porre il problema apre i cassetti di un mondo che non scopriamo certo oggi come un po’ troppo asfittico. E che - prendendo come metro di giudizio la propria situazione (e probabilmente altre simili) - con l’intenzione di fare chiarezza mischia due questioni che sono tra loro diverse: l’atteggiamento della Chiesa verso le relazioni omosessuali e il celibato del clero. Penso si intuisca chiaramente quale sia la mia opinione sui due modi di impostare la questione. So di essere decisamente drastico, ma a me pare di vedere nel coming out di mons. Charamsa la quintessenza del clericalismo. Un atteggiamento che non cambia per il solo fatto di andare in scena in versione LGBT: la ricerca di un pulpito bello grosso e ai primi vespri della festa per fare chiarezza su una vicenda personale, il Vaticano (pubblico e privato) come solo metro di misura per giudicare l’atteggiamento cattolico medio nei confronti di questo tema, la convinzione che se «un prete importante» si espone finalmente di questo tema nella Chiesa si parlerà. Ecco: io credo che questo modo di fare alla fine non aiuti proprio nessuno a fare chiarezza. Basta leggere le reazioni del giorno dopo per trovare sostanzialmente tre posizioni: gli entusiasti («finalmente qualcuno che ha il coraggio di dire come stanno le cose»), i complottisti («ecco che cosa si sono inventati per impallinare il Sinodo») e i flagellanti («ci mancava solo questa...»). Tralasciando ovviamente la quarta che comunque gira in rete - quella degli omofobi tout court - anche se alla fine penso che oggi sia la categoria che gongola di più, per il bersaglio ghiotto che si ritrova inaspettatamente tra le mani. Mi chiedo allora: nell’accettazione (vera e reciproca) delle diversità, la Chiesa - e dentro di essa la comunità omosessuale - hanno più possibilità di fare passi avanti con l’uscita del monsignore o con il pranzo di Natale citato nella loro testimonianza un anno fa al Sinodo dai coniugi Pirola? Ho già nelle orecchie l’obiezione: “ma quelli mica stanno in Vaticano...”. Ecco, appunto. Io credo che il problema stia qui piuttosto che altrove. Che sia ora di portare davvero le famiglie in Vaticano e non solo con la candela in mano in piazza San Pietro. Di dare più spazio alla vita e alle relazioni concrete (compresa un’affettività vissuta giorno per giorno in un rapporto di coppia) che alle lezioni di antropologia nell’elaborazione del magistero. Provo a dirlo in un altro modo, spero sufficientemente chiaro: ho l’impressione che su questo tema dell’omosessualità dovrebbero essere le famiglie molto più dei preti a parlare. Non per il gusto di mettere a tacere chi ha il colletto bianco, ma perché nella propria esperienza c’è qualcosa che dovrebbe renderle più aperte a farsi delle domande sulla sfera sessuale nella vita delle persone. Certo, lo so anch’io che le famiglie oggi vivono mille difficoltà. Ma chi se non loro - a partire dalle proprie storie concrete come quel pranzo di Natale - può raccontare che è possibile scoprire dei valori anche dentro una relazione omosessuale senza al contempo mettere in discussione l’unicità della propria vocazione, quella di un uomo e una donna che hanno scelto nel matrimonio di aprirsi alla vita? Certo non è un percorso facile. È più semplice la strada del prete che in Vaticano se ne esce allo scoperto con il più classico «ma sotto sotto qui fanno tutti così...». Non so se sia vero oppure no, ma sarebbe comunque ora di spiegargli che il mondo non finisce in Vaticano e nelle sagrestie. E che non può essere quello il punto di vista per affrontare una questione che è ben più vasta rispetto alla presunta non osservanza del celibato (omosessuale o meno) da parte del clero. È più semplice la strada delle famiglie che lo identificano immediatamente come l’unica mela marcia, continuando a guardare a ciò che ha a che fare con l’omosessualità come una forma di aggressione. Continuare a dividere nettamente il campo tra “noi” e “loro”. Salvo poi guardare con commiserazione (o tenere ben nascosto) l’amico, il parente o la situazione che ci porta ad affrontare questo tema non per l’ultima polemica che dilaga sul web, ma per qualcosa che ha a che fare con la vita di qualcuno che conosciamo bene. Ed è più semplice anche la strada di chi nel movimento LGBT oggi pensa che l’uscita di Charamsa sia un successo. Smaschera alcune ipocrisie, certo. Ma aiuta davvero a capirsi reciprocamente? O alla fine non diventerà un alibi in più per continuare a non confrontarsi sul serio sul significato della sessualità nel progetto di Dio sull’uomo e sul mondo? «È nostro figlio». Io credo che parta da qui l’unica strada che la Chiesa ha davanti per uscire dalle ambiguità nel rapporto con l’omosessualità. Con «nostro figlio» è ora di cominciare a cercare insieme una strada. Ci sono già esperienze importanti in questo senso (in Italia ad esempio questa). Facciamole dialogare con il vissuto delle nostre famiglie. Proviamo con umiltà a porci delle domande insieme, prima di snocciolare risposte. È nostro figlio, non il monsignore di turno che ce lo chiede. Perché non dovremmo rispondergli? * da “Vino Nuovo”, 04 ottobre 2015 Nell’immagine del titolo: un’opera pittorica di Cuong Nguyen. Novembre 2015 12 Marta Pietroni C orrado Augias deve aver avuto la mia stessa curiosità se in una sua risposta apparsa su Repubblica lo scorso 17 ottobre fa riferimento al medesimo annuncio pubblicitario che ho reperito in rete qualche giorno fa sul sito di un’agenzia ucraina che “si prende cura dei casi più disperati di infertilità”. Proprio sulla homepage della clinica in questione si legge: “Auguroni! Vogliamo fare i migliori auguri alla nostra cliente più matura, con i suoi 66 anni, ha dato alla luce due splendidi gemelli sani, noi tutti ci uniamo alla gioia di questo evento straordinario”. L’annuncio prosegue specificando le dinamiche di questa vicenda e scrivendo - riporto testualmente - “I nostri medici, dopo attenta valutazione dello stato fisico e degli esami della signora hanno ritenuto la paziente in ottima salute, quindi hanno optato per il pacchetto successo bimbo sicuro”. Eh sì, perché curiosando ancora sul sito, nella sezione servizi e costi troviamo “successo assicurato” a 9.900 euro, oppure vari pacchetti di maternità surrogata, la “economy”, la “standard” o la “vip surrogacy”! Non posso negare o tacere di aver provato un senso di profonda tristezza, seguita ad un’iniziale sentimento di rabbia. I pacchetti offerte di cui stiamo parlando infatti hanno a che fare con una merce molto particolare, una merce che sta trovando diffusione in un mercato sempre più ampio e ricercato, quello della produzione di bambini. Single, coppie sposate, coppie di fatto, coppie infertili, coppie omosessuali stanno rendendo la maternità surrogata una pratica molto richiesta, soprattutto all’estero. Di maternità surrogata, anche detta utero in affitto, ne esistono diversi tipi: la maternità possiamo dire tradizionale, dove il bambino è concepito con l’ovulo della donna che per nove mesi sarà incinta; e quella gestazionale, nella quale la donna surrogata utilizza solo il suo utero, come fosse un’incubatrice. In questo caso il bambino concepito viene creato in laboratorio con ovuli e spermatozoi che possono derivare dagli aspiranti genitori o da donatori esterni. Questo tipo di maternità può inoltre essere in un certo modo altruistica quando questi nove mesi non vengono retribuiti o commerciale, quando si risponde con un compenso a tale servizio. In Italia, così come in Spagna, Portogallo, Francia, Germania e Cina tale pratica è illegale in tutte le forme. Nel Regno Unito, Irlanda, Danimarca e Belgio invece è permessa solo nella forma “altruistica” e, oltre ai paesi che non hanno una normativa specifica al riguardo, è legale nella forma commerciale in India, Ucraina, Russia, Georgia e Stati Uniti. E proprio dall’India e dall’Ucraina deriva il maggior numero di maternità surrogate registrate. Un alto numero di cittadini occidentali paga anche fino a 150 mila dollari per avere un figlio con questo sistema. Ovviamente dell’intera cifra soltanto una piccola parte andrà alla madre surrogata, in India parliamo di somme che si aggirano tra gli 800 e i 2.500 dollari. Il giro di affari nel mondo oscilla intorno ai 6 miliardi di dollari. In mezzo a queste cifre da capogiro ogni tanto capita che, a seguito di complicanze, qualche madre surrogata possa morire, ma questo interessa meno, incidenti di poco rilievo in un sistema così redditizio. Ma le critiche che da ogni parte dovrebbero sollevarsi nei confronti di una pratica così disumana e vergognosa per una società civile trovano ancora molte resistenze perché si continua a far leva sull’orami usurato sentimento di condiscendenza di fronte a chi tanto desidera un figlio. L’immagine dell’aiutare a diventare genitori, del permettere la nascita di una famiglia, di un figlio e del dare gioia a chi non può avere bambini convince ancora molti. Il desiderio di un figlio a tutti i costi in realtà sta diventando una sorta di desiderio compulsivo contemporaneo ma neanche in nome di un atto d’amore si dovrebbero giustificare queste pratiche. In nome dell’amore si può legittimare ogni azione tecnicamente possibile? Nella società civile in realtà esistono già tante leggi che ci vietano di fare altrettante cose, cose che magari vorremmo fare proprio in nome di un cosiddetto amore. Queste leggi si sono sviluppate negli anni, gli uomini le hanno acquisite col tempo. Il processo di disvelamento dei diritti dell’uomo è un lungo e complesso cammino di presa di coscienza politica e sociale e di fronte al presunto diritto al figlio bisognerebbe lottare con forza per il diritto del figlio, della vita umana generata che sempre più viene considerata come un mero prodotto, ordinabile, commissionabile. Questo è terrificante! Per non parlare dello sfruttamento animalesco al quale viene sottoposta una madre surrogata. Un corpo pagato come fosse un mezzo. Un figlio pagato, acquistato. La madre surrogata un’incubatrice vivente che finito il suo compito si vedrà retribuita una parcella e potrà tornare alla sua vita. Porterà per nove mesi un figlio nel grembo e una volta dato alla luce rinuncerà al riconoscimento, come da contratto e non lo vedrà più. I danni psicologici che vivono queste donne, spinte nella maggior parte dei casi dalla miseria e dalla possibilità di cospicui guadagni, le conseguenze del terribile distacco che si deve immediatamente avere con una creatura appena data alla luce, il diritto alla verità sulla propria origine che il bambino dovrebbe avere sono fattori secondari per noi “moderni”, divencontinua nella pag. accanto Novembre 2015 prof. Massimiliano Postorino P asseggiando con un mio giovane amico sulla riva del mare d’autunno, il vento come un caldo soffio sfiorava i nostri volti e gli sguardi si perdevano come aironi all’orizzonte. Sulle ali del vento discutevamo , scaldati da un tiepido sole e rasserenati da un tramonto che rapiva i pensieri, sul significato dell’Anima. Pieno di giovanile entusiasmo e sottile ingegno, l’amico e allievo si dilettava, con sorriso ironico e sarcastico, a mettere in contraddizione il mio spirito critico di severo analista e rigoroso ricercatore con la mia reputata “credulità” nell’esistenza dell’anima umana. Il punto cruciale del suo ragionamento era: come può una persona che è assertore dei principi fisiologici della Medicina credere in un’entità mai dimostrata come l’anima? Come può un medico credere che esista una sorta di “coscienza oltre la morte” ?. Quella giovane mente ancora non era avvezza al fatto che esistono due livelli di conoscenza: quella del pensiero logico e matematico) e quello della Sensibilità (empatica ed indefinibile) . Il concetto di Anima appartiene senz’altro al mondo effimero della Sensibilità e non dei Sensi e diviene chiaro e percepibile ad ogni medico nel momento in cui si trova a constatare un decesso: pur se in quell’istante non si è ancora rilevato la fine del battito cardiaco, si avverte la sensazione forte che davanti si ha un corpo privo di vita, un insieme di membra in cui si è spenta una luce ed è rimasta materia inanimata. Tuttavia, pur essendo questa esperienza comune a tutti i medici, rimane una sensazione soggettiva e nulla ci evidenzia e ci oggettiva un fenomeno scientificamente spiegabile. 13 In questi anni di personale formazione medica cristiano-cattolica molte volte ho cercato qualche dato oggettivo che potesse almeno gettare le basi di una discussione scientifica sull’esistenza dell’anima o , come in termini neurologici viene definita tecnicamente, di una “coscienza dopo la morte”. Per tale motivo molti medici cattolici o atei , tra cui il sottoscritto, si sono occupati della cosiddetta “Near death experience” , cioè di “quegli stati che talora emergono nel momento in cui un paziente è in uno stato di morte cerebrale ed arresto cardiaco transitorio e dunque in una sorte di morte clinica apparente. La traduzione letteraria di Near death experience è “esperienza simile alla morte” e si riferisce a quei racconti che da alcuni pazienti vengono illustrati dopo un episodio di morte apparente. Molti sono a conoscenza di storie aneddotiche di individui, già dichiarati morti , che poi risvegliandosi riferiscono la visione e il ricordo di un tunnel luminoso, di uno stato sublime di benessere, di pensieri e memorie particolari che sono poi comuni e quasi identiche fra i vari pazienti, al punto tale da considerarle oggetto di studio da parte di neurofisiologi, rianimatori, ricercatori e filosofi della scienza. Gli studi sono stati condotti a partire dagli ultimi anni 90 e dobbiamo ancor oggi ammettere, dopo tanti esperimenti , che conosciamo come funziona il cervello umano, come nasce ogni singola immagine sensoriale o astratta partendo dall’analisi delle cellule neuronali, ma non sapcontinua a pag. 14 segue da pag. 12 tati oramai tanto buoni e compassionevoli di fronte a chi, in fondo, desidera con tutto il cuore di avere un figlio da crescere e amare. Bene, allora è davvero il caso di diventare un po’ “cattivi” e dire no. Non si può fare. Perché se tu singolo individuo, accecato dal tuo desiderio non riesci a comprendere quanto sia sbagliato agire in tal modo, la legge e la società civile non te lo può permettere. Non saremo al passo coi tempi, sembreremo fuori moda a sostenere ciò ma dovremmo farlo con forza e determinazione perché neanche tutto l’amore verso un figlio desiderato o verso una persona che tanto desidera un figlio può superare il più gande amore dovuto, quello che si manifesta col profondo ed incondizionato rispetto verso la vita umana, verso la persona, bambini, feti o embrioni che essi siano. Un rispetto che significa non trasformare queste vite umani in merce, in prodotti di laboratorio, cavie da esperimento, “oggetto” tanto desiderato che va a tutti i costi ottenuto. E mentre in Belgio si discute se rendere legale la maternità surrogata, di fronte alla Conferenza dell’Aja è stato presentato “No maternity traffic”, un documento che ne chiede la messa al bando globale così come fatto col traffico di bambini. Alla base la campagna “Stop Surrogacy Now”, lanciata l’11 maggio 2015 che unisce organizzazioni e individui che sostengono posizioni anche molto diverse su altre questioni e temi cruciali come l’aborto, le unioni omosessuali ecc. ma che hanno trovato un punto in comune proprio nella lotta alla maternità surrogata e quindi alla mercificazione delle donne e dei loro corpi, alla trasformazione dei bambini in merci fatte su misura, alla trasformazione di una funzione biologica normale di un corpo di donna in un contratto commerciale, ai rischi per la salute, alla rottura del legame primordiale tra madre e figlio. Nel frattempo in Italia, in stile quasi romantico, c’è chi scrive dell’esperienza “svelata” di una coppia omosessuale che è riuscita ad aggirare la legge grazie all’utero in affitto e, come scrive Valentina Calzavara, autrice dell’articolo apparso su “La Tribuna” di Treviso lo scorso 18 ottobre, “ne è la prova il sorriso di una piccola di tredici mesi che muove i primi passi tenuta per mano dai suoi due papà”. Per coronare il loro sogno di genitorialità i due si sono recati in California dove hanno trovato una donna che ha loro dato gli ovuli e un’altra, già sposata e madre di tre figli, che ha messo a disposizione l’utero. E di fronte ad un sogno così grande, afferma uno dei due uomini, non c’è prezzo che tenga. E possiamo affermare che è proprio così, non c’è prezzo che tenga, neanche la dignità e il valore intangibile di altri esseri umani. Nell’immagine del titolo: opera pittorica di Eduardo Narinjo 14 segue da pag. 13 piamo come poi queste immagini si organizzano in un pensiero e le sue sensazioni. E’ questa la differenza fra cervello e mente o se vogliamo fra funzione cerebrale biologica e coscienza astratta. Per fare un paragone è come se con il cervello potessimo disegnare le singole note, ma poi non sappiamo come e cosa le organizzi in una melodia. Il concetto di coscienza nei suddetti limiti neurofisiologici che pure non riescono a spiegarla , assomiglia al concetto cristiano di Anima, ma nell’accezione religiosa l’anima continua ad esistere oltre la morte, mentre la coscienza no. Facendo a questo punto riferimento alle morti apparenti accertate, i pazienti riferiscono di “uno stato di coscienza (con percezioni sensoriali e pensieri)” in un periodo in cui il cervello o tutto l’individuo è di fatto clinicamente morto: se così fosse significherebbe ammettere uno stato scientificamente inspiegabile di coscienza post-morte o anima nell’accezione religiosa. Il più importante studio effettuato a riguardo risale al 2001 ed è stato pubblicato con il titolo “Near death experience in survivors of cardiac arrest: a prospective study in the Netherlands”1 sulla rivista Lancet (dicembre 2001) che rappresenta una delle più autorevoli riviste scientifiche mondiali. L’autore (Pim van Lommel: rianimatore ed ateo) ha analizzato 344 casi di morti apparenti: nel 18% dei casi (62 pazienti) hanno riferito l’esperienza del tunnel luminoso, ma solo nel 12% (41 pazienti) hanno raccontato un’esperienza ancora più complessa. Questi individui erano tutti soggetti con problematiche cardiologiche, giunti in ospedale per arresto car- Novembre 2015 diaco ed ai quali è stata eseguita una rianimazione cardio-polmonare per trenta minuti. Durante questo periodo è avvenuta la registrazione elettroencefalografica che risultava piatta (morte cerebrale) ed elettrocardiografica, anch’essa piatta (morte cardiaca). La quota di pazienti (41) che hanno sperimentato una morte apparente più lunga, hanno riferito un’esperienza sensoriale e di pensiero più complessa: essi hanno parlato di un tunnel di luce, di uno stato di benessere, di un flash che riavvolgeva come un film le tappe più importanti della loro vita, ma soprattutto ne dava un giudizio etico e di coscienza (bene e male). Questi stessi hanno in alcuni casi riferito circa episodi e persone della loro vita pregressa di cui non potevano essere a conoscenza e ancor più sorprendentemente, hanno riferito un’esperienza extracorporea, nella quale si sono visti dall’esterno mentre venivano rianimati, riferendo frasi e situazioni accadute nei momenti nei quali il loro cervello era documentalmente fermo. Tali esperienze sono state indipendenti dall’età, sesso, estrazione sociale, tipo di religione o ateismo. In realtà i ricercatori hanno cercato di dare una spiegazione scientifica, ma questa lascia un grosso buco nero. Se infatti è vero che alcune sostanze come LSD, serotonina oppure specifiche stimolazioni elettriche (per altro nessuna di uso clinico durante la rianimazione) possano indurre immagini di luce e stati di benessere, in nessun modo è possibile indurre un’istantanea di valutazione critica (bene o male) della propria vita pregressa; inoltre queste stesse sostanze possono indurre un’esperienza extracorporea ma le immagini non corrispondono poi alla realtà dei fatti, mentre al contrario nelle morti apparenti le scene e i colloqui attorno al paziente, avvenuti mente il cervello era di fatto spento, corrispondono alla realtà. La scienza a questo punto si ferma e può solo affermare che lo “stato di coscienza post-morte può avvenire ma non è dato sapere in che modo sia possibile in quanto la sua esistenza nega le leggi naturali, fisiche e chimiche, della fisiologia umana”2. Alla luce di questi discorsi lo sguardo del mio allievo aveva perso il sorriso faceto di prima e con il pensiero stupito guardava l’orizzonte al tramonto, mentre il suo aspetto si era fatto d’un tratto molto serio. “Stat rosa pristina nomine, sed nomina nuda tenemus”, la rosa esiste così come noi la percepiamo, ma poi il cervello le dona un nome e nel volerla comprendere, come l’anima, perdiamo la sua intrinseca poesia. Riferimenti bibliografici: 1 “Near death experience in survivors of cardiac arrest: a prospective study in the Netherlands”, Lancet, dicembre 2001, Pim van Lommel et al. 2 “Sorella morte corporale: la scienza e l’aldilà”, autore Francesco Agnoli, editrice La fontana di Siloe, 2014. Nell’immagine del titolo: Ascesa nell’Empireo, Hieronymus Bosch. Novembre 2015 15 Claudio Gessi abato 17 ottobre, si è svolta a Colleferro, presso la Parrocchia di S. Barbara, la 7a Giornata Diocesana della Custodia del Creato. Il tema della iniziativa è stato quello indicato dalla Commissione Episcopale per i Problemi Sociali e il Lavoro, Giustizia e Pace, Custodia del Creato, unitamente alla Commissione Episcopale per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso: UN UMANO RINNOVATO PER ABITARE LA TERRA. L’incontro, che ha visto la partecipazione di circa 60 persone, dopo un saluto di Don Luciano Lepore, parroco ospitante, è stato introdotto dal diacono Vito Cataldi, incaricato diocesano per la Pastorale Sociale e il Lavoro. Nel suo pur breve intervento, Cataldi ha messo in forte connessione il tema della Giornata con l’ultima Enciclica di Papa Francesco LAUDATO SI’, illustrando poi quale sarebbe stata la dinamica dell’incontro. Di seguito, ha preso la parola il nostro vescovo diocesano. Nella sua lunga ed articolata relazione, una vera e propria LECTIO MAGISTRALIS sull’Enciclica sulla CURA DELLA CASA COMUNE, Mons. Apicella ha ripercorso, con parole chiare e di piena comprensibilità, i tratti salienti del documento papale, analizzando punto per punto i 6 capitoli di cui si compone l’enciclica. Il vescovo, in particolare, si è soffermato sui punti che determinano la colonna portante dell’enciclica: l’inquinamento e i cambiamenti climatici con le responsabilità dirette dell’uomo sulle situazioni di crisi ambientale oggi diventate emergenza, la rilettura sapienziale della Sacra Scrittura sulla Creazione, pregi e difetti della Tecnocrazia, i rischi insiti nella cultura dell’Antropocentrismo, il S valore irrinunciabile di una Ecologia Integrale quale unica via di uscita dalla crisi ambientale, il Dialogo tra i vari livelli di responsabilità quale strumento privilegiato per trovare le soluzioni più idonee, il valore della Educazione per una vera Conversione Ecologica, la necessità di ripensare a Stili di Vita più sobri e rispettosi della natura. E’ toccato a Claudio Gessi, Direttore della Commissione Regionale per la Pastorale Sociale e il Lavoro, diretta emanazione della Conferenza Episcopale Laziale, chiudere i lavori, incentrando il suo intervento sulle “azioni concrete” che l’enciclica di Papa Francesco chiede di operare sul nostro territorio, con particolare attenzione a quella che e ormai una vera e propria emergenza ambientale nell’area della Valle del Sacco. Gessi, in primis, ha ribadito la linearità del pensiero e dell’azione pastorale di Papa Francesco, evidenziando la stretta correlazione tra l’enciclica, la Esortazione Apostolica EVANGELII GAU- DIUM. Ha poi discussione del prossimo Convegno Ecclesiale nazionale di FIRENZE 2015 e con ha puntato il dito principalmente sui temi a forte implicazione locale: dell’inquinamento ambientale, la cui azione di recupero è ormai ferma da troppo tempo, e sulla questione dell’acqua pubblica, bene irrinunciabile di tutti, che invece rischia di diventare speculazione di pochi, in mano a veri e propri “poteri forti”. Nonostante lo straripante successo del referendum, la strada intrapresa da molte amministrazioni pubbliche, lancia forti preoccupazioni su una “gestione privatistica” delle risorse idriche. Alla fine del suo intervento, il direttore regionale ha rilanciato la proposta di un PATTO EDUCATIVO tra famiglia, chiesa, scuola, istituzioni pubbliche, associazionismo per uno sforzo comune in tema di “conversione ecologica e nuovi stili di vita”. La manifestazione si è conclusa con la S. Messa presieduta da Mons. Apicella. Novembre 2015 16 Emanuela Nanni* tto anni (2007-2015), otto candeline da spegnere! Tante storie e tanti volti passati attraverso questa Casa. Per raccontarli preferisco lasciare che due nostre amiche parlino con le loro storie: storie che narrano fragilità, ferite, ma nello stesso tempo la capacità di riprendere coraggio e di rimettersi in piedi. Storie che abbiamo accolto e condiviso nell’esperienza di Casa Nazareth e che certamente meglio di me possono trasmettere il percorso che si sta facendo: un percorso interiore e profondo che dice la vita scorre anche nel tempo del deserto, o di ciò che sembra tale. Passo la parola alla nostra I amica G.B.: “Pensando a questo articolo, vorrei far capire alle persone che lo leggeranno che la vita è una sfida molto complicata, ma con una buona dose di coraggio ed autostima si può superare (non dico senza difficoltà) e con un po’ più di leggerezza. Io sono una persona che trova la felicità nelle piccole cose, questo mi riesce bene. Anche il solo cantare a squarciagola una canzone con gli amici facendomi sentire da tutti, quasi a voler dire, a chi ci sente, che và tutto bene e che non c’è nulla che non và, per non dare la soddisfazione, a chi ci ha fatto soffrire, di vederci sfiniti. Io parlo cosi, ma potrei essere anche una di quelle persone false che si approfittano degli altri e poi li gettano come carta sporca,come coloro che hanno sempre vissuto nella bambagia. E invece no! Sono una ragazza di 23 anni, che O si ritrova in una Casa Famiglia, perché credevo che a 17 anni avrei potuto cavarmela da sola, lasciando la scuola al terzo anno, accorgendomi poi, che mia madre non poteva tirare avanti me, mio fratello e mio padre che il suo stipendio lo buttava nelle slot machine. Cosi mi dissi che dovevo trovare lavoro prima possibile, ma l’unico che trovai era un call center. Non è andata come credevo, lo stipendio era a provvigione ed io non ero brava a rompere alle persone. Cosi lasciai il call center. Di li a poco mio padre tradì mia madre, e lei scoprendolo lo cacciò di casa, cosi rimanemmo solo io, mia madre e mio fratello. Abbiamo avuto delle difficoltà economiche, a causa del solo stipendio di mia madre, ci siamo fatti aiutare da sua madre e acceso alcuni prestiti. Dopo un paio di mesi mia madre trovò un compagno che l’aiutò a pagare i debiti e le diede una mano economicamente per il nostro sostentamento. Poco dopo decisero di andare ad abitare insieme portando anche noi. Non andò come tutti speravamo, non era tutto rose e fiori sia perché il compagno di mia madre aveva sottovalutato il dover passare la vita con dei ragazzi che non fossero suoi figli, e quindi non cresciuti secondo le sue regole, sia perché le aspettative iniziali che riservavo in lui non sono state soddisfatte. Cosi lui decise di andarsene ad abitare più vicino al suo lavoro al centro di Roma con nostra madre. Io e mio fratello andammo a vivere da nostra nonna e nostro padre. Ma anche a loro non andava giù questa cosa perché mio padre non voleva avere a carico i suoi figli e nonna che ci aveva accolti in casa ma non accettati perché per lei eravamo solo un disturbo per la sua privacy di anziana, senza pensare che se io e mio fratello non fossimo stati lì, probabilmente avremmo dormito in macchina. A lei questo non importava come non interessava a mio padre che non faceva altro che dare la colpa a nostra madre. Nel frattempo nostro padre aveva perso anche il lavoro a causa delle sue malattie. Cosi nostra madre non poteva mantenerci ed è rimasta a vivere con il compagno. Nel frattempo mia nonna materna si è ammalata e mia madre l’ha ricoverata in un istituto. Mio padre trovò una casa per me e mio fratello e malgrado avesse promesso di pagarci le spese, tutto questo non si realizzò. Io continuavo a cercare lavoro, ma tutto era difficilissimo. Per sei mesi abbiamo abitato in quella casa senza corrente, acqua ecc. poi inevitabilmente abbiamo dovuto lasciarla e per una settimana e mezza abbiamo dormito in una macchina messaci a disposizione da mia madre. Attraverso un amico di mio padre ci hanno trovato un posto in un vecchio casale. Avevamo una stanza e la cucina in comune. Lì per la prima volta nella mia vita ho sentito il calore di una famiglia. Un giorno arrivò un amico del proprietario del casale che ci provò con me. Lui aveva venti anni più di me. Con il tempo ho scoperto che mi piaceva e l’ho frequentato per due anni, anche se sapevo che non era un tipo raccomandabicontinua nella pag. accanto Novembre 2015 17 segue da pag. 16 le. Per tutto quel tempo ho vissuto male: con delle abitudini sbagliate, bevevo, frequentavo le discoteche e mi facevo le canne. Una sera lui per gioco mi puntò il fucile contro, alle spalle e partì un colpo. Fui ricoverata e restai in coma dopo l’intervento alla testa. Ho fatto mesi di riabilitazione ed ho sofferto dolori atroci. Ma ho anche riscoperto la fede ed iniziato un cammino di conversione. Mai avrei pensato che da quella situazione sarei riuscita a mettermi di nuovo in piedi. Mai avrei potuto immaginare che avrei ricominciato a camminare finché non sono entrata in Casa Famiglia. Oggi sono qui, e mi sto rendendo conto che posso farcela. Soprattutto a non fare nuovi sbagli ma a cavarmela da sola”. Dopo aver ascoltato G.B., passiamo ad un’altra storia che abbiamo incrociamo in questi anni di Casa Nazareth. E’ raccontata da P.P.: “Quindici anni di storia sofferta, ora finalmente la posso raccontare. Per tanti anni tra quelle mura subivo violenza fisica, morale e sessuale da un mostro, questo è il nome che gli posso dare, perché la maggior parte lo faceva d’avanti ad un bambino piccolo, nostro figlio. Spesse volte andavo a finire in ospedale per le botte che mi dava causandomi lividi sul mio corpo e due volte mi ha rotto il timpano rischiando di non sentirci più. Il mostro quando ritornavo la sera a casa solo perché non trovava l’acqua in frigorifero iniziava a maltrattarmi puntandomi un coltello alla gola davanti al bambino che piangeva. Cercava di difendermi e gli diceva: < lascia stare mamma>, ma lui lo toglieva di mezzo prendendolo a brutte parole e diceva: <ci penso io ad ammazzare questa p.…. di tua madre>. Io avevo definito la mia casa, la casa degli orrori. Avevamo paura di stare in quella casa. Io avevo pensato sempre di andare via di casa. Ma ai primi schiaffi ho pensato che era colpa mia e ho cercato di evitare tutto ciò che gli dava fastidio. Ho pensato anche che potesse cambiare perché quando l’ho conosciuto era un bravo ragazzo e riusciva anche a farmi stare bene. Ad un certo punto mi accorgevo che era una cosa più grande di me e non riuscivo a gestire la situazione che mi sfuggiva dalle mani. Spesso si ubriacava e in più faceva uso di droghe. A questo punto non sapevo più cosa dovevo fare perché mi minacciava di brutto e la paura era tanta. Ho pensato di andare via con il bambino, a questo pensiero mi prendeva la paura che lui ritrovandomi mi avrebbe fatto del male. Praticamente, secondo lui, me ne dovevo andare da sola lasciando mio figlio in mano a lui, che lo stava addestrando nella strada peggiore che possa esistere per una madre: la violenza su di me, perché quando lui mi aggrediva, costringeva mio figlio a vedere la scena e a rifarlo. Io sono cattolica e mi rivolgevo sempre al Signore in preghiera di darmi la forza e l’energia di andare avanti con la speranza di trovare una soluzione perché stavo morendo giorno per giorno e i miei occhi erano spenti il mio cuore batteva quasi per miracolo. Non sopportavo più che mio figlio vedeva e sentiva quello che faceva il padre e tutto quello che mi stava succedendo. Mi sono mi sono rivolta all’ assistente sociale e la sua risposta era di denunciarlo altrimenti non potevano intervenire. Io avevo paura di farlo senza una protezione. Dopo ne ho parlato a due sacerdoti, alla mia dottoressa: ogni volta che andavo al pronto soccorso, ne ho parlato anche all’assistente dell’ ospedale. Tutti dicevano che dovevo denunciarlo, ma non avevano un posto dove poi potevo andare a vivere con mio figlio. Il tempo passava ed io ancora mi trovavo dentro ad un tunnel senza vedere la luce. Un giorno mi sono recata ad uno studio legale. Anche lì ho raccontato tutto e sono stata accompagnata in questura: dove ho raccontato quello che mi accadeva da qualche anno facendogli sentire qualche registrazioni di come mi trattava verbalmente.Quando l’ispettore della questura mi disse: “ ma tu sei pronta per fare la denuncia e nel frattempo cerchiamo una casa d’accoglienza per te e tuo figlio?”. Subito gli dissi di si, senza pensarci due volte. Avevo ancora paura se si accorgeva di quello che stavo facendo, ma non mi importava niente perché da quel giorno ho iniziato a vedere un piccolo un raggio di luce e il mio cuore che faceva un battito in più. Accarezzando mio figlio e stringendolo fra le mie braccia con la le lacrime ai miei occhi rivolti al cielo gli ho detto:” figlio mio questa volta ti prometto che ce la farò!”. Il 14 di novembre 2014 ho fatto la denuncia nel frattempo aspettavo la chiamata per andare via. Il 19 di Novembre alle ore 9 sono andata via di casa senza ripensamenti con mio figlio accompagnata dalla squadra mobile presso una casa di accoglienza. La sera mio figlio mi ha detto: “mamma che pace” ed io alzando le braccia al cielo ho esclamato “grazie Dio, grazie alla Squadra mobile e anche a quell’avvocato”. Passavano i giorni ed ecco che da una finestra ho visto un bel raggio di sole che illuminava tutto. Ho dovuto cambiare due strutture per maggiore sicurezza mia e di mio figlio. Ecco, passo dopo passo con tanto coraggio, ho iniziato percorsi, affrontato ostacoli, convivenze forzate nelle strutture di accoglienza: per me non è stato un problema pur di arrivare alla indipendenza, alla libertà e soprattutto alla nostra felicità che vedo anco- ra lontana. La vedo lontana perché mi rendo conto che le donne non sono tutelate e ascoltate fino in fondo. Sono venuta a conoscenza che ancora non c’è nessun provvedimento per il mostro, ed ho ancora paura che un giorno arrivi prima da me e poi da mio figlio. Perché non siamo in grado di mettere da parte le cose cattive? Nel mio piccolo orticello tolgo spesso l’erba cattiva per far crescere sane e belle le mie piantine per non farle soffrire e poi morire. A questo punto vorrei lanciare un appello a tutti coloro che fanno parte di questo contesto, di provvedere al più presto possibile, di essere più disponibili ad aiutare tutte le donne in difficoltà e di non permettere più che una donna con i propri figli debba scappare via di casa e sentirci noi carcerate, vivere con mille difficoltà, affrontare ostacoli complicati per riprenderci la nostra vita. Vi prego in fine, noi donne quando chiediamo aiuto, non ci dobbiamo sentire umiliate, ma ascoltate e protette ed aiutate fino in fondo. Grazie a tutti quelli che fino ad ora mi hanno aiutata. A questa casa e a chi fa in modo che continui ad esistere per aiutare le donne come me”. E’ vero che c’è sempre una speranza che è più forte del dolore, delle ferite, e questa speranza sta dentro la vita “bella” delle persone incontrate in questi anni. Questa speranza la vogliamo festeggiare sabato 14 novembre p.v. presso la parrocchia di San Bruno a Colleferro alle 17.00 con la celebrazione della Santa Messa e a seguire con la Festa di…otto anni! Vi aspettiamo! *Caritas diocesana Novembre 2015 18 don Antonio Galati N ell’articolo del mese scorso, che ha inaugurato questa serie di interventi mensili sull’anno giubilare della misericordia, ci si è soffermati sul fare un’introduzione generale sul senso del giubileo, specialmente alla luce dell’origine ecclesiale di tale pratica, che ha visto in Bonifacio VIII il suo iniziatore ufficiale. Tra le altre cose, però, si è anche affermato che il giubileo, come tradizione religiosa, ha le sue origini più antiche nei libri dell’Antico Testamento. Quello che si vuole fare con questo intervento è quello di indicare quali siano queste origini e trarne delle indicazioni su come vivere il giubileo che si aprirà il mese prossimo. Il primo testo che si incontra, circa la pratica giubilare, è quello nel libro del Levitico, cap. 25, versetti dall’8 al 13. La particolarità del testo è quella di avere un legame intrinseco con la pratica del riposo sabbatico, cioè con il settimo giorno della settimana, quello in cui Dio si è riposato dopo aver completato la creazione (cfr. Gn 2,2-3). Il testo inizia così: «Conterai anche sette settimane di anni, cioè sette volte sette anni; queste sette settimane di anni faranno un periodo di quarantanove anni. Al decimo giorno del settimo mese, farai squillare la tromba dell’acclamazione; nel giorno dell’espiazione farete squillare la tromba per tutto il paese. Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo» (Lv 25,8-10). Il testo precedente a questo citato riguarda la pratica dell’anno sabatico, cioè il settimo anno che chiude un ciclo di semina di sei anni, nel quale gli israeliti dovevano lasciar riposare la terra e nutrirsi solo di quello che produceva, senza coltivarla (cfr. Lv 25,1-7). Insieme a questo tempo di sette anni, il Levitico ordina anche il riposo dopo sette settimane di anni, cioè l’anno giubilare. La particolarità e la straordinarietà di questa pratica è data dal fatto che non solo è prescritto il riposo sabbatico della terra come nel testo precedente. In più l’anno giubilare è caratterizzato dalla liberazione e dalla restituzione della proprietà: «proclamerete la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia. […] In quest’anno del giubileo, ciascuno tornerà in possesso del suo» (Lv 25,10.13). Senza dilungarsi troppo, perché lo spazio a disposizione non lo permette, per comprendere il senso di queste prescrizioni è sufficiente considerare due cose: da una parte il fatto che gli israeliti non erano, o non si dovevano considerare, proprietari della terra dove vivevano, perché quella terra, santa e promessa, è la terra di Dio - è Lui che l’ha consegnata alle tribù di Israele perché vi abitassero loro e i loro discendenti, ma la proprietà resta di Dio -; d’altra parte è da considerare che, in caso di indebitamenti che non potevano essere ripagati, era pratica dare in cambio le proprie proprietà e anche la propria libertà per saldare il debito con il creditore. Ma la giustizia vuole che ogni discendente delle tribù entrate in Palestina con l’Esodo possano abitare la terra data in eredità da Dio ai loro padri. Per questo motivo l’anno giubilare vuole introdurre questa pratica della libertà e della restituzione delle proprietà originarie: non essendo degli uomini, la terra che loro hanno può essere data per ripagare il debito, ma fino ad un certo tempo, poi il ristabilimento della giustizia originaria voluta da Dio chiede che quella terra torni ai legittimi proprietari e anche chi ha dato la propria libertà per pagare il debito deve tornare a poter usufruire liberamente della propria vita. Da qui si comprende il senso profondo dell’anno giubilare: l’occasione data agli uomini di Israele di ritornare a quella situazione originaria che è quella voluta da Dio nella donazione e divisione della terra promessa alle tribù fuggite dall’Egitto. In altre parole, l’occasione per ritornare allo stato originale di giustizia. Gli altri testi che trasmettono tradizioni simili sono individuabili fondamentalmente in Es 23,10s. e Nm 10,32 con la differenza che questi testi non parlano dell’anno giubilare ogni cinquant’anni, cioè ogni sette settimane di anni, ma fanno riferimento, per il ristabilimento della giustizia, all’anno sabbatico, cioè ogni settimo anno, come indicava la tradizione di Lv 21,1-7. Ogni testo, inoltre, introduce delle novità. In quello dell’Esodo, l’aspetto della giustizia sociale è sottolineato dal permettere agli indigenti di mangiare del prodotto della terra che, negli altri sei anni invece, viene considerata proprietà di alcuni. In Neemia, invece, la caratteristica dell’anno sabbatico è quella del condono dei debiti. Per concludere, tralasciando le questioni più prettamente storiche e storiografiche dei testi, e le diverse specificità delle tradizioni, ciò che più conta è che la tradizione del giubileo, anche quello cristiano, affonda le sue radici nel ristabilimento di uno status prettamente sociale che permetta a tutti di riavere quegli stessi diritti e quelle stesse possibilità di sopravvivenza che le vicende avverse della vita potrebbero aver negato. Nell’anno santo della misericordia, indetto da papa Francesco, forse c’è la possibilità di intervenire, come comunità cristiane, in questa direzione, esercitando anche questo tipo di misericordia più corporale e sociale, che ovviamente ha nel Vangelo la sua fonte. E se forse le nostre scelte per il ristabilimento di una giustizia sociale più equa potrebbero apparire ininfluenti a livello della società globalmente presa, saranno però fortemente influenti per coloro che saranno oggetto della nostra misericordia – o meglio della misericordia di Dio che si esercita anche attraverso le nostre scelte – per il ristabilimento della giustizia. Nell’immagine del titolo: Il riposo dello Shabbat, Samuel Hirszenberg, 1894. Novembre 2015 Carlo Fatuzzo «Ero straniero e mi avete accolto» (Matteo 25, 35). I l volto di Dio è dunque presente anche nello straniero che bussa alla nostra porta chiedendo un riparo, in chi sbarca sulle nostre coste dopo aver affrontato il rischio di una morte probabile in mare pur di fuggire da una morte certa in patria, così come Gesù, Maria e Giuseppe costretti a fuggire da Betlemme. Di ospitalità si parla spesso nella Bibbia. Abramo si mobilitò subito con sovrabbondante generosità per tre sconosciuti ospiti piombatigli in casa all’improvviso, proprio nell’ora in cui la calura estiva mediorientale avrebbe potuto fargli preferire egoisticamente una bella pennichella pomeridiana (cfr. Genesi 18, 1-15). Ma in quell’ospite, come sappiamo, c’era la presenza reale di Dio venuto a visitarlo. Ciò divenne un esempio perenne per tutti noi, come afferma il Nuovo Testamento in riferimento a quell’episodio: «Non dimenticate l’ospitalità: alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli» (Ebrei 13, 2). Similmente, esemplare è la meticolosità della cura con la quale una donna di Sunem si occupò un giorno di ospitare degnamente il profeta Eliseo. Ella confidò al marito: «Io so che è un uomo di Dio, un santo, colui che passa sempre da noi. Facciamo una piccola stanza superiore, in muratura, mettiamoci un letto, un tavolo, una sedia e un candeliere; così, venendo da noi, vi si potrà ritirare» (2 Re 4, 9-10). Una “piccola stanza”, semplice ed essenziale, con arredi minimi, eppure sufficiente per offrire un dignitoso ricovero. Già nell’Antico Testamento, Dio si autorivela all’uomo con le prerogative di infinita bontà e compassionevole misericordia che saranno poi spiegate in pienezza con Gesù Cristo. In particolare, Dio dimostra di voler difendere e proteggere con una cura speciale le categorie dell’umanità più deboli e indifese, più trascurate dalla società umana e meno tutelate dalle leggi civili. L’orfano, la vedova, il povero e lo straniero immigrato, dunque, più esposti al rischio di veder negato il proprio diritto inalienabile alla sopravvivenza, sono marchiati dalla gelosa predilezione di Dio ed Egli stesso invita più volte, tramite la tuonante parola dei profeti, a prendersene cura, quale vero culto e sacrificio gradito a Lui. Per far comprendere che l’accoglienza del profugo straniero è prima di tutto un “debito” di riconoscenza e giustizia di fronte a Dio, Egli ricorda al Suo popolo che anch’esso è stato forestiero in Egitto e ha beneficiato del favore divino per essere affrancato. La xeniteia, lo stato di “straniero” (in greco xenos) su questa terra, è nel DNA di ogni uomo, come esprime bene una preghiera contenuta nella Sacra Scrittura: «Noi siamo forestieri davanti a Te e ospiti come tutti i nostri padri» (1 Cronache 29, 15). Gesù stesso, anche in questo caso, ha sperimentato sulla propria pelle questa condizione di disagio, di precarietà e di quella 19 mancanza di autosufficienza propria di chi non possiede dimora e viene umiliato da porte sbattute in faccia, sin dalla sua venuta sulla terra: sua madre, la vergine Maria, infatti «lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (Luca 2, 7). La situazione di Gesù rimane immutata anche quando Egli diviene adulto: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Matteo 8, 20). Cristo ha sperimentato così la necessità di venir accolto in casa altrui: «Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò» (Luca 10, 38). Gesù mostra anche così, in fondo, di essersi incarnato con una chiara identità di vero “ebreo”, attributo la cui etimologia esprime proprio il significato di “nomade”, “senza cittadinanza definitiva”, in sostanza: straniero. E, poiché la nostra vera patria non è sulla terra bensì in cielo, il Nuovo Testamento ricorda che la solidarietà con ogni straniero riguarda anche tutti noi cristiani: «Comportatevi con timore di Dio nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri» (1 Pietro 1, 17). Nell’immagine sotto: Particolare del fregio, opere di misericordia: “Ospitare i pellegrini”, opera realizzata da Giovanni Della Robbia e Santi Buglioni e Filippo Paladini, sec XVI, Ospedale del Ceppo, Pistoia. Novembre 2015 20 dott.ssa Chiara Molinari ileggere il proprio matrimonio alla luce della fede, è un passo da fare nel cammino diocesano, per rinvigorirla partendo dall’amore coniugale. L’uomo e la donna sono immagine e somiglianza di Dio, partecipano della sua vita, respirano il suo respiro, sono Suoi figli. E così, abitati dalla misericordia divina, abbiamo la possibilità di lasciar fluire il suo amore per noi verso gli altri, attraverso le opere della misericordia. Per fare del bene bisogna avere un cuore generoso e buono, pensando alle necessità degli altri e fare qualcosa per loro. L’amore coniugale si deve concretizzare in amore misericordioso, in un amore di autentica carità evangelica, in gesti di bontà, se infatti viviamo la misericordia che Gesù ci chiede di compiere, allora possiamo rinnovarci nell’anima e nel corpo e in ogni cosa. E questo, nello specifico che caratterizza tale relazione umana: usare misericordia nella cura del coniuge (di crescita e di custodia), in ogni sua dimensione e in ogni aspetto del legame; vivere di misericordia accogliendo e educando nuove vite, proiettandole nel futuro. Vivere da persone coniugate è partecipare a diffondere ovunque la Buona Notizia dell’Amore di Dio. Ecco perché è così importante ricordare che il portare Cristo agli altri, e perché no al proprio coniuge, è veritiero e fruttuoso solo se si è completamente coinvolti, solo se tutta la propria persona si lascia compromettere. Il messaggio dell’amore coniugale misericordioso è presente nelle sette opere di misericordia divina, ci basti un elenco per farcene intuire le possibili applicazioni in ambito coniugale, riscopriamo quelle corporali: dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, visitare gli infermi, visitare i carceri, seppellire i morti. E non dimentichiamo le opere di misericordia spirituale: consolare gli afflitti, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consigliare i dubbiosi, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti. Quella della misericordia di Dio verso la persona amata è la strada per compiere quel- R le opere di misericordia corporale e spirituale che l’amore suggerisce in un’atmosfera di reciprocità, perché nella vita degli sposi si leggono tali opere, dar da mangiare e bere al proprio coniuge, vestire le sue nudità, aver cura delle infermità del coniuge, seppellire le sue morti, consigliarlo, ammonire quel peccatore che hai come sposo o sposa, consolare, sopportare, perdonare. Riflettiamo sulle opere di misericordia, risvegliamo la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà, per entrare nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina. Il fatto che Gesù predica queste opere di misericordia è perché possiamo capire se viviamo o no come i suoi discepoli, se siamo in grado di compiere ogni giorno, alla persona amata, quelle opere di misericordia corporali e spirituali che l’amore di Dio suggerisce. Lasciamo cadere la rabbia, il rancore per vivere felici, ascoltiamo la parola di Gesù che ha posto come un ideale di vita e come criterio di credibilità per la nostra fede: “Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia” (Mt 5,7). Come è misericordioso Lui, così siamo chiamati ad esserlo verso la persona che ci sta accanto e verso gli altri. L’amore coniugale è carità coniugale, gli sposi sono l’uno per l’altro, e per i figli, testimoni della salvezza, di cui il sacramento li rende partecipi. La capacità di Gesù di entrare in un rapporto coniugale è una grazia, investe gli sposi in modo illimitato, dona misericordia e crea un miracolo d’amore, di serenità e pace. E’ molto vero, dice il Papa, sembra che le opere di misericordia siano accessorie, un qualcosa riservato solo a qualcuno degli “addetti ai lavori”, diciamo che il cristiano non può essere uno specialista della misericordia, noi siamo e saremo giudicati sulla misericordia. La misericordia è poco presa in considerazione nel matrimonio, come fosse qualcosa che riguarda qualcuno nello specifico, e invece riguarda tutti, non ha stagioni, anche se il Giubileo si aprirà in dicembre! Ecco che Papa Francesco accompagna questo invito a essere fraterni e solidali con un vocabolo: “calore”, il calore e la tenerezza di Dio, che ha quell’importanza come si dicesse al coniuge: “Ti voglio bene”. Viviamo la via della misericordia nei nostri matrimoni, ritroviamo i nostri cuori non più aridi, ma aperti, alla commozione, all’affetto, al perdono. E’impensabile una misericordia senza calore, perché il cuore è calore, e se non c’è il cuore, e quindi il calore, non sapremo mai vedere un anziano che nella nostra visita ritrova forza e calore, e un marito, che già solo col suo sorriso, coi suoi occhi che ti guardano e ti scaldano, valga più di qualunque altra cosa e fa capire come, se diamo misericordia, la troveremo a nostra volta. Una così bella frase tratta dalla Lettera di San Paolo ai Corinzi, nella Bibbia, può aiutare a riflettere il senso della misericordia nell’amore coniugale, “L’amore è sempre paziente e gentile, non è mai geloso. L’amore non è mai presuntuoso o pieno di sé, non è mai scortese o egoista, non si offende e non porta rancore. L’amore non prova soddisfazione per i peccati altrui ma si delizia della verità. E’ sempre pronto a scusare, a dare fiducia, a sperare e a resistere a qualsiasi tempesta”. Novembre 2015 21 il supporto di persone che in passato si erano dimostrate amiche, si aggiungeva la paura di veder scomparire una seconda volta Federico non dalla vita domestica, ma dalla memoria di chi dice di avergli voluto bene. Donatella ancora una volta prende carta e penna e scrive, ancora una volta, sorretta più dalla fede in Dio che dal conforto dei conoscenti, dà segni di coraggio e di testarda volontà nel protrarre i tempi della memoria: suo figlio è vivo e continuerà a vivere nelle stanze in cui suonò per sé e per gli altri della “bella musica”, continuerà a vivere Federico nella concretezza dell’opera meravigliosa (Fondazione Argos).che lo ha aiutato a crescere. don Gaetano Zaralli uella mattina Donatella aveva un problema in più: qualcuno le aveva detto di essere troppo legata al passato, troppo indaffarata a rimescolare i ricordi, troppo presa a parlare del figlio morto ormai da quasi due anni… “Che vuoi che importi più alla gente di Federico? Avrai le solite parole di compassione in risposta al tuo assillo e molti si gireranno dall’altra parte per non mostrare le loro facce scocciate… Smettila, perciò, di agitarti e pensa al futuro tuo e della tua famiglia!…”. Non so se è crudeltà o buon senso sbattere in faccia a chi soffre per la perdita di una persona cara, la poca voglia di ricordarla... “La vita continua!…”, si dice, e la folla che abbondante si stringe al dolore di una morte il giorno dei funerali, si scioglie presto nello spazio di poche ore. Di Donatella conservo una lettera che ripropongo volentieri, trovandola particolarmente efficace ai fini della comprensione non solo di chi è portatore di handicap, ma anche e soprattutto dei genitori che con il disabile debbono convivere. Q Caro Don Gaetano, sono la solita “Donatella”, come scrivi tu, sempre pronta a combattere. Ho partecipato alla catechesi di sabato 24 gennaio… A 29 giorni dalla perdita di Federico e dal grande vuoto lasciato, la mia rabbia aumenta sempre di più nell’ascoltare certi genitori che pensano di capire o dare consigli a noi mamme di ragazzi “diversi”. Auguro ad ognuno di loro di non avere mai a che fare con questa diversità!… Ho vissuto quasi 19 anni con il mio Federico (non vedente) e ti posso assicurare, caro Don Gaetano, che non è stato per niente facile, come quando da piccolo lo tenevo in braccio e mi chiedevano tutti “che dorme?”. Ma posso dirti che per me, nonostante tutto, è stato un onore averlo avuto!… Lo ho amato più di ogni altra cosa al mondo, così come lo amo ancora… Mi ha sempre dato tante soddisfazioni, da piccolo nel chiamare “mamma!” e da grande con la sua bella musica… Donatella Quella mattina Donatella aveva un problema in più: al disagio che le veniva dal dover sopportare il dolore della perdita del figlio, senza Sono passati ormai quasi 21 mesi, ma il dolore che mi spezza il cuore è sempre lo stesso. A volte mi sembra di essere più serena, ma l’attimo dopo mi ritrovo a piangere senza alcun motivo, solo perché i miei occhi non ce la fanno a trattenere le lacrime! L’unica cosa che mi dà forza di andare avanti, oltre la mia famiglia, è la fede e il fatto che credo ci possa essere un aldilà, e sono sicura che quando arriverà il mio momento, ci sarà lui ad accogliermi a braccia aperte. Ho passato 19 anni a prendermi cura del mio Federico, adesso cerco di fare del tutto per non farlo dimenticare, è un po’ la mia paura anche se so che nessuno di chi lo conosceva potrà mai farlo. Ho scritto per lui alcuni versi: Gocce d’attesa La tua musica è ancora dentro di noi, la bellezza della tua persona è chiusa nei nostri cuori, lo spazio che hanno i ricordi di te è ancora immenso nel tempo che passa, la tua luce ci accarezza e sembra che la tua voce dica: “Nulla, mai nulla finisce davvero!…”. E’ strano come il dolore e l’amore che convivono nella stessa anima possano diventare all’improvviso poesia… E la poesia è il mezzo migliore per trasmettere ad altre anime, forse meno sensibili, forse più distratte, forse già troppo provate, la voglia di riprendere a pensare con serenità ad un presente tanto ricco di vita da far risorgere, giorno dopo giorno, la speranza di un amore. Novembre 2015 22 mons. Franco Risi L ’incontro con Gesù è un evento personale, intimo, che va a toccare la parte più segreta della nostra umanità, lasciando in noi un segno indelebile. Don Divo Barsotti, nel suo commento alla prima lettera di Giovanni, afferma: «Quando Dio tocca l’uomo entra in lui e l’uomo è posseduto fino alle prime intime radici dell’essere e sente di essere trasformato, di essere una sola cosa con lui, un solo spirito, talmente vive la sua medesima vita: vivo io ma non sono più io che vivo, è il Cristo che vive in me». Ugualmente, don Tonino Bello, vescovo di Molfetta, affermava che «la vocazione è la parola che dovresti amare di più, perché è il segno di quanto sei importante agli occhi di Dio. E’ l’indice di gradimento presso di lui, della tua fragile vita. Sì, perché se ti chiama vuol dire che ti ama. Gli stai a cuore, non c’è dubbio. In una turba sterminata di gente risuona un nome, il tuo. Stupore generale! A te non ci aveva pensato nessuno. Lui sì! Davanti ai microfoni della storia ti affida un compito su misura…per lui! Sì, per lui, non per te. Più che una missione sembra una scommessa. Ha scritto TI AMO sulla roccia, non sulla sabbia, come nelle vecchie canzoni. E accanto ci ha messo il tuo nome. Forse l’ha sognato di notte, nella tua notte. Alleluja! Puoi dire a tutti: non si è vergognato di me!». Questi due pensieri di due sacerdoti trovano fondamento nel Vangelo. Tra i tanti incontri narrati nel Vangelo, prendo in considerazione quello che Gesù ha avuto con un “tale” che corse verso di lui, e, gettandosi in ginocchio, gli pose una domanda: «Maestro buono, che cosa devo fare per ave- re la vita eterna?» (cfr. Mc 10, 17-30). Gesù allora gli propone l’osservanza dei comandamenti. Quest’uomo, già fedele all’osservanza delle dieci parole fin dalla sua giovinezza, sembra restare deluso dalla risposta, forse scontata, che gli sembra di aver ricevuto. Gesù, che scontato non è mai, prima di alzare la qualità della sua risposta, dimostra quanto è capace di amare coloro che si accostano a lui. Infatti, fissatolo, lo amò. Questo ci fa capire che si può seguire la persona di Gesù solo se nell’incontro con lui ci si lascia fissare dal suo sguardo e penetrare nell’intimo dal suo amore. Questo richiede, da parte della persona, di cooperare e far proprio lo sguardo di Gesù, che è essenzialmente vigilanza nell’accogliere l’invito del Signore per poter restare uniti a lui come il tralcio alla vite. Certamente questo ideale di vita con Gesù si può realizzare da una parte accogliendo la chiamata divina, dall’altra seguendo il cammino formativo proposto dagli educatori scelti dalla Chiesa: formazione umana, spirituale, culturale e pastorale, tutte vissute nella comunione. Per quanto riguarda la prima è necessario lasciarsi aiutare dai formatori a purificarci dall’attaccamento dalle realtà del mondo, che ci impediscono di accogliere la chiamata di Gesù; infatti quel tale si allontanò triste dalla persona di Gesù perché troppo legato a se stesso. Ad esempio, quante persone cristiane, madri e padri, che lavorano tutta la settimana, affermano di non poter frequentare l’Eucaristia domenicale perché non hanno tempo? Essi spiegano che la domenica occorre dedicarsi al recupero del lavoro di casa tralasciato durante la settimana, e questo purtroppo toglie tempo prezioso all’incontro con la Parola di Dio, con il Signore stesso, disposto a fissarci negli occhi con immenso amore. Ci si dimentica che con l’ascolto della Parola del Signore si dà senso cristiano alla vita, in quanto in questo ascolto, e soprattutto nella risposta, è in gioco la vita eterna. Tutto questo ci fa capire che, per incontrare lo sguardo di Gesù, è necessario che tutti i cristiani non pongano l’attenzione primaria sul fare, ma piuttosto sull’essere interiore, che da significato alle nostre azioni. Certamente, ogni cristiano, e ogni sacerdote testimone dell’amore di Cristo che lo ha chiamato a servirlo, dovrebbe fondare questo cammino sulla fede in Gesù Cristo, figlio di Dio. Ne segue che i giovani avrebbero bisogno di essere accompagnati alla scoperta personale di Cristo, come vera ricchezza dell’uomo, che non viene mai meno con il cambiare delle mode. Gli educatori devono, quindi, invitarli con forza ad uscire da quel torpore che li avvolge, e aiutarli a sentire la propria chiamata per il proprio bene e per il bene degli altri. In questa prospettiva, oggi, dobbiamo affermare che c’è una ripresa di una vita di preghiera, sufficiente ad aprire strade nuove, capace di orientare i giovani verso i valori che danno senso e significato alla loro vita. La preghiera, trova maggior frutto se è legata ad una testimonianza di vita fedele e credibile: se cristiani non si nasce, si diventa grazie al germe posto dallo Spirito Santo e impegnandosi durante tutta la propria vita. Perciò bisogna far del tutto per far incontrare e riconoscere Gesù come vero Maestro e Signore. “La grazia di Dio va riconosciuta come la prima risorsa per le vocazioni di oggi e di domani, questi testimoni sono grazia di Dio in veste umana” (VeC 12). Lo stesso papa Benedetto XVI, in occasione del congresso ecclesiastico della diocesi di Roma, tenutosi nel giugno 2007, dichiara con forza che Gesù è il Signore, e che occorre educare alla fede, alla sequela, alla testimonianza; ha affermato che l’impegno della Chiesa e della comunità cristiana è una sfida decisiva per il futuro della fede e del cristianesimo e che, quindi, deve essere una priorità per avvicinare a Cristo le nuove generazioni, che vivono in un mondo dove Dio sembra non interessare più. Nell’immagine del titolo: Gesù e il giovane ricco, Heinrich Hofmann, 1889. Novembre 2015 don Antonio Galati I l 21 ottobre scorso si è svolta, al Pontificio Collegio Leoniano, seminario regionale per il Lazio Sud e le diocesi suburbicarie, l’annuale cerimonia di inaugurazione del nuovo anno formativo e accademico. L’appuntamento annuale è ricorso anche quest’anno, con la tradizionale familiarità che “regna” nel seminario di Anagni. Familiarità dovuta al fatto che, prima di tutto, il seminario è il “nostro” seminario, quello in cui si sono formati la gran maggioranza dei sacerdoti della nostra diocesi e che, un po’ tutti, hanno il diritto - e anche il dovere in forza del servizio importante che svolge nei confronti dell’educazione dei futuri sacerdoti - di sentire come proprio. Inoltre il grado di familiarità, da quest’anno, per la nostra diocesi di Velletri-Segni, è sicuramente aumentato, perché - oltre al direttore degli studi, che già da qualche anno è don Luigi Vari, oltre ad uno dei tre vicerettori, ruolo ricoperto già da due anni da don Marco Fiore, e oltre a don Franco Risi, da diverso tempo confessore stabile e residenziale in seminario - da quest’anno il rettore del seminario è don Leonardo D’Ascenzo. In questo clima di familiarità e di amicizia, è stato mons. Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino, ha dare inizio alla cerimonia di inaugurazione, tenendo una prolusione sul tema della misericordia e della compassione. Attraverso alcuni riferimenti scritturistici, mons. Spreafico ha cercato di trasmettere ai presenti quegli atteggiamenti misericordiosi e compassionevoli che Dio ha rivolto a Israele nella sua storia, e che poi si sono incarnati nella vita di Gesù. Al termine della prolusione, i presenti hanno potuto celebrare una solenne eucarestia nella cappella grande del seminario, che è stata presieduta dal vescovo di Anagni-Alatri, mons. Lorenzo Loppa, e che ha concelebrato insieme agli altri vescovi presenti - oltre a mons. Spreafico, c’erano il vescovo di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo, mons. Gerardo Antonazzo, e il nostro vescovo, mons. Vincenzo Apicella - e ai sacerdoti che erano convenuti per l’occasione. Oltre a loro, ovviamente, erano presenti alla concelebrazione i membri dell’equipe formativa del Leoniano, guidata appunto da don Leonardo, e alcuni dei professori dell’Istituto coadiuvati da don Gigi, in qualità di direttore. Inoltre non mancavano alla celebrazione i seminaristi del Leoniano e gli altri studenti, insieme con altri professori e con le persone che, a vario titolo, aiutano l’ordinarietà della vita del seminario e dell’istituto.Durante la celebrazione, dopo l’omelia di mons. Loppa, 23 don Leonardo ha fatto la sua professione di fede e il giuramento di fedeltà - dovuti a chi inizia dei servizi particolari nella Chiesa e a nome della Chiesa - ma che, conoscendolo, ha fatto non solo perché richiesti, ma come ulteriore espressione della sua volontà di porsi a servizio della comunità ecclesiale che ha nel Leoniano il centro della formazione dei suoi futuri sacerdoti. In tutti i presenti si sono potuti notare atteggiamenti e sentimenti di riconoscimento e ringraziamento per l’impegno con cui questo folto numero di sacerdoti, e non solo, impiegano molta parte del loro tempo al servizio dei seminaristi e degli studenti che animano la vita del Leoniano, sia dal punto di vista accademico che da quello della preparazione al ministero ordinato. Credendo di esprimere i sentimenti di tutti, a conclusione di questa breve cronaca della giornata, si vogliono qui di nuovo esprimere i più veri e sinceri ringraziamenti e auguri a don Leonardo e a don Gigi e, ovviamente, a tutti coloro che, a vario titolo, li affiancano e li aiutano nei loro servizi. Ad maiorem Dei gloriam. Novembre 2015 24 p. Vincenzo Molinaro omd* N ell’editoriale del numero di ottobre 2015 di Ecclesia in cammino, commentando la notizia appena divulgata, il nostro vescovo ha presentato il documento Mitis Judex Dominus Jesus di Papa Francesco, dandone anche la traduzione “il Signore Gesù, Giudice clemente”. (Questa è la lettera del papa indirizzata alle chiese d’Occidente, una simile è stata inviata alle Chiese d’Oriente) Il Vescovo ha colto gli elementi principali di innovazione introdotti dal Papa. Il primo è il richiamo alla responsabilità in prima persona dei vescovi stessi giudici naturali dei fedeli in quanto pastori. Pertanto in virtù del servizio episcopale, ogni vescovo è chiamato a operare questa conversione, ossia a interessarsi e accompagnare i fedeli che sono in difficoltà, a farlo di persona, non demandando agli uffici. In effetti, quando pensiamo a una pratica di nullità matrimoniale, il nostro pensiero va al Tribunale Ecclesiastico, alla Rota Romana, alle lungaggini processuali, ai costi. Tutti elementi che scoraggiano le coppie e impediscono di usufruire della possibilità di avere una sentenza di nullità e vedere riaperte le porte della misericordia e dei sacramenti. Ancora sullo stesso principio, il nostro vescovo osserva come sia desiderio e comando di Papa Francesco, che la presenza del vescovo nel procedimento giudiziale sia il discernimento pastorale che si manifesta non solo nella sentenza, ma nel modo come questa viene data. La presenza del Pastore sarà quella che cerca, sorregge, incoraggia le pecorelle ferite, ne fascia le piaghe e le conforta. Altro elemento ugualmente notato da Mons. Apicella, è l’introduzione di vie nuove tendenti alla brevità dei procedimenti. Come vedremo, ci sono diverse possibilità con l’unico scopo di giungere a una rapida conclusione del procedimento. Ora sottolineati gli aspetti strettamente pastorali, possiamo avvicinarci di più al Motu Proprio e coglierne la grande portata non solo pastorale ma anche giuridica. Intanto diciamo che si chiama Motu Proprio perché è una iniziativa personale del Papa il quale interviene su un aspetto della vita della chiesa che ritiene bisognoso di essere illuminato dal ministero petrino, quindi destinato alla chiesa universale. Papa Francesco non ha voluto aspettare la celebrazione del Sinodo sulla vocazione e missione della famiglia (ora alle ultime fasi della sua celebrazione), anzi possiamo dire che ha voluto influenzare il Sinodo stesso, quasi sfidando i Padri Sinodali con questo documento che dimostra la sua volontà di giungere a decisioni concrete e percepite dalla comunità ecclesiale. Come se lui stesso abbia voluto dire: ”Non parliamo soltanto tra noi, osserviamo la situazione delle persone e cominciamo con gli interventi sul campo”. Dal documento traspare questa sua volontà di non aspettare ancora. La conferma viene dalla stessa data di entrata in vigore, stabilita nello stesso giorno di inizio del Giubileo. Ciò consente una facile riflessione. Il Papa intende anche questa vicinanza con le famiglie in difficoltà come un’opera di misericordia di cui ogni vescovo deve rendersi protagonista. Obiettivo della riforma del processo canonico di nullità matrimoniale, che entrerà in vigore dal prossimo 8 dicembre, è quello di moltiplicare il servizio ai fedeli, rendendo la giustizia ecclesiastica vicina a tutti coloro che ne hanno bisogno. Tutto ciò rispettando comunque il contraddittorio tra le parti (diritto di difesa, assistenza tecnica da parte dei propri Patroni) e l’imparzialità del giudice, il quale associa un discernimento giudiziale ad uno pastorale. Affrontiamo un esame veloce del Motu Proprio seguendo i punti del documento. 1. E’ sufficiente una sola sentenza in favore della nullità esecutiva: non è più richiesta una doppia decisione conforme in favore della nullità del matrimonio, affinché le parti siano ammesse alla celebrazione di nuove nozze canoniche, ma è sufficiente la certezza morale della nullità raggiunta dal primo giudice. 2. Il Giudice unico sotto la responsabilità del Vescovo: in ciascuna diocesi il giudice di prima istanza per le cause di nullità del matrimonio, salvo espresse eccezioni, è il Vescovo diocesano, che può esercitare la potestà giudiziale personalmente o per mezzo di altri, a norma del diritto. Il Vescovo diocesano, infatti, in comunione con il Pontefice, è il garante dell’unità della fede e della dottrina. 3. Lo stesso Vescovo è giudice: per il compito di pastore e capo nella sua Chiesa, il Vescovo è giudice tra i fedeli lui affidati. Egli è invitato ad intervenire direttamente nella funzione giudiziaria in materia matrimoniale. 4. Il processo breve: oltre a rendere più agile il processo matrimoniale, si è disegnata una forma di processo più breve, nei casi in cui l’accusata nullità del matrimonio è sostenuta da argomenti particolarmente evidenti. Tra le circostanze che possono consentire la trattazione della causa di nullità del matrimonio per mezzo del processo più breve è contemplata la mancanza di fede. Tale introduzione, assoluta novità nel processo canonico, è segno di grande cambiamento delle norme, pur senza intaccare l’aspetto giudiziario, unico garante della indissolubilità del matrimonio. A garanzia di tale principio, in tale tipologia di processo, giudice è lo stesso Vescovo, che si consulta con due assessori circa la certezza morale dei fatti addotti per la nullità matrimoniale. Se il Vescovo raggiunge questa certezza, pronuncia la decisione, altrimenti rinvia la causa al processo ordinario, che, comunque, può durare al massimo un anno. 5. L’appello alla Sede Metropolitana: la parte che si ritiene gravata dalla prima sentenza, come anche il promotore di giustizia o il difensore del vincolo, possono proporre appello al tribunale di istanza superiore, che deve sempre essere composto da un collegio di tre giudici. Se, dopo una sentenza dichiarativa della nullità matrimoniale, si propone appello, questo può essere respinto in caso di evidente mancanza di argomenti, per esempio in caso di appello strumentale per nuocere all’altra parte. 6. Il compito delle Conferenze Episcopali: esse devono rispettare ed agevolare la vicinanza tra il giudice ed i fedeli, aiutando a mettere in pratica la riforma del processo canonico. Le Conferenze Episcopali sono anche invitate a facilitare la gratuità delle procedure, “salva la giusta e dignitosa retribuzione degli operatori dei tribunali”. 7. L’appello alla Sede Apostolica: permane la possibilità di ricorrere in grado di appello al Tribunale della Sede Apostolica, ossia la Rota Romana, in segno della comunione delle Chiese particolari con la Sede di Pietro. 8. Previsioni per le Chiese Orientali: sono previste norme particolari per la riforma del processo continua nella pag. accanto Novembre 2015 25 UCD Velletri-Segni I l 26 settembre scorso, ad Artena, si è svolta la prima festa-raduno per i ragazzi che hanno ricevuto il sacramento della santa Cresima nell’anno 2014-2015. È partita un po’ in sordina, vista la presenza non proprio massiccia dei rappresentanti della diocesi, ma siamo certi che l’eco del successo sarà da stimolo per le prossime edizioni. Il titolo ci sembra già molto eloquente!!! Coloro che hanno “confermato” la propria fede sono chiamati a testimoniarla con gioia e ad amare! Circa una quarantina di ragazzi provenienti dalla rettoria SS Giuseppe e Vitaliano di Segni, da Artena e da Velletri, nel pomeriggio, hanno incontrato diverse realtà diocesane dove uomini, donne, ragazzi e ragazze, senza particolari titoli o speciali capacità, giovani e meno giovani, mettono a disposizione il proprio talento. Il talento nel fare cosa? Ciò che serve: Ecco le mie mani, ecco i miei piedi… ecco me! Fanne ciò di cui hai bisogno Signore! Il messaggio che questa festa vuole portare è proprio che ognuno di noi è necessario nella Chiesa, perché è una tessera indispensabile per la realizzazione del progetto divino. Ognuno ha un talento da spendere per realizzare il Capolavoro! Dopo la cena tutti insieme a ballare con la Just Dance e a cantare con il Karaoke perché dove c’è Gesù c’è GIOIA! La parola ai volontari dell’UNITALSI “E questi chi sono?” Molto probabilmente questa sarà stata la prima domanda che si saranno posti i ragazzi della Festa dei Cresimati del 26 settembre in Artena, nel momento in cui il primo dei quattro gruppi è entrato nella stanza a noi assegnata. Certamente la presenza di Diletta, che ha la loro età, li avrà un po’ rassicurati per cui a seguire, il nostro dialogo con tutti loro, è stato costruttivo e cordiale. Il nome UNITALSI (Unione Nazionale Italiana per Trasporto Ammalati a Lourdes ed altri Santuari Internazionali) era sconosciuto ai più, al contrario le nostre attività, i Pellegrinaggi e le azioni sul territorio erano note, anche se non direttamente riconducibili al nome della nostra Associazione. I ragazzi nelle età della crescita cognitiva, sono molto attenti a ciò che accade loro intorno e spesso si specchiano nelle realtà sempre più complesse in cui vivono. Per questo hanno sempre più bisogno di esempi positivi per sviluppare la capacità di coordinare e organizzare regole e rapporti reciproci, basati su moralità, rispetto, aspettative, principi etici e perché no, anche religiosi. Abbiamo cercato, nella coscienza dei nostri limiti, di trasmettere questo ai ragazzi della Festa, comunicando loro le nostre esperienze di servizio verso i più deboli, gli emarginati, le persone sole o malate, semplici gesti di assistenza che nello spirito del Vangelo, si trasformano in Atti di Carità cristiana. Non aver timore della diversità, che per definizione è dono di Dio, ma avere il coraggio di andare incontro a coloro verso i quali la vita è stata meno generosa e che sovente abbracciano il Cristo, nelle loro piccole o grandi sofferenze quotidiane. Un sorriso, un abbraccio o semplicemente il dare ascolto: piccoli passi che donano gioia infinita a chi li riceve ma soprattutto scaldano il cuore di chi li compie con vera spontaneità e autentica generosità. Amore, verità, esempi. Un esempio come segue da pag. 24 matrimoniale del Codice delle Chiese Orientali, stante la peculiarità del loro ordinamento ecclesiale e disciplinare. Di assoluta novità nell’ambito della pastorale dei fedeli separati o divorziati è l’espressa previsione, nelle regole procedurali unite al Motu Proprio del Pontefice, della necessità di attenzione, da parte del Vescovo, a seguire i coniugi separati o divorziati che per la loro condizione di vita abbiano eventualmente abbandonato la pratica religiosa, condividendo con i parroci la sol- quello raccontato da Diletta, che essendo loro coetanea, è stata ascoltata con viva attenzione. Un ragazzo con insegnante di sostegno nella sua classe, lei figlia di Vincenzo e Fabiola, volontari UNITALSI, non trova nulla di strano avvicinarsi a lui, fra le iniziali titubanze degli altri. Poi, ecco la forza dell’esempio, le resistenze di tutti a poco a poco sono vinte, sconfitte, non ci sono più differenze, la diffidenza ha lasciato il posto all’amicizia ed alla complicità tipica dei compagni di classe. Il giorno degli esami di terza media probabilmente i ragazzi lo ricorderanno a lungo: tutti in aula, uniti in un solo abbraccio a sostenere il loro compagno e condividere insieme con lui momenti importanti, di amicizia, di amore e di crescita individuale e collettiva. Alla fine per noi è stata una bella esperienza, ci auguriamo lo sia stata anche per tutti i ragazzi, le loro catechiste, i catechisti e tutti i presenti, che sono stati semplicemente straordinari per ascolto e partecipazione. Anche questa volta, come sempre ci capita, abbiamo risposto all’invito cercando di poter essere utili, di dare qualcosa, torniamo invece a casa con la convinzione di aver ricevuto molto, molto di più: anche questo è dono dello Spirito di Dio. lecitudine pastorale verso questi fedeli in difficoltà. A tal fine, il Pontefice prevede una indagine pregiudiziale o pastorale affidata a persone competenti in materia che accolgano nelle strutture parrocchiali o diocesane i fedeli separati o divorziati che intendano valutare l’esistenza di presupposti per la dichiarazione di nullità del loro matrimonio. La riforma tiene conto del motivo principale per cui si richiede la pronuncia della nullità matrimoniale: questa viene richiesta per motivi di coscien- Elisabetta, Giovanni, Matteo, Vincenzo e Diletta za, per esempio vivere i sacramenti della Chiesa o perfezionare un nuovo vincolo stabile e felice con la celebrazione di nuove nozze, in quanto viene riconosciuto che il vincolo precedente non possedeva i presupposti per un valido sacramento. La vicinanza della Chiesa alle esigenze dei fedeli, dunque, fornisce una opportunità di comprensione del proprio vissuto e di maturazione nella fede. *delegato diocesano per la Pastorale familiare Novembre 2015 26 Tiziana Righi e Alfiero Rossetti* ei giorni 3 e 4 ottobre 2015, presso i locali del Centro di Spiritualità dell’Acero, si è tenuto il Corso d’aggiornamento per gli insegnanti di Religione Cattolica, in collaborazione con l’Ufficio Catechistico Diocesano, per la prima volta Insegnanti di Religione e Catechisti si sono ritrovati insieme per condividere e vivere un momento importante come quello della formazione. Il tema del Corso è stato: Il Nuovo Umanesimo: la teoria del gender, integrazione tra insegnamento della religione cattolica e catechesi. La giornata del 3 ottobre è stata articolata in due parti: La prima parte della mattina ha preso il via con un momento di preghiera comunitaria e dal saluto dei rispettivi direttori degli uffici diocesani e della presenza di sua eccellenza Mons. Vincenzo Apicella. La mattinata è proseguita con la relazione del Prof. Paolo Spaviero (docente di morale fondamentale presso il Pontificio Collegio Leoniano di Anagni) che ha introdotto il tema sul nuovo Umanesimo e sulla teoria del Gender dividendo l’intervento in due momenti distinti, nella prima si è posto l’attenzione sul pensiero di esponenti della filosofia antica in correlazione con i filosofi dell’epoca moderna. L’intervento è risultato molto stimolante ed interessante in quanto ha posto in essere come negli ultimi anni sia cambiato il modo di pensare l’uomo nella sua complessità. Nella seconda, il relatore ha messo in evidenza come la teoria del gender non sia solo un problema dell’epoca moderna , ma è un riflesso del passato che nel segno dell’attuale vicenda umana chiede un riconoscimento legale dei propri diritti nella sua specificità. N Nella seconda parte della giornata quella pomeridiana si è dato spazio ai laboratori, nei quali i partecipanti sono stati portati all’attenzione del documento del Sinodo della Famiglia che si svolgerà a Firenze, per produrre materiale da discutere in quella sede relative alle nostre esigenze diocesane. La giornata del 4 ottobre è stata strutturata in tre momenti : il primo ha avuto inizio con la consueta preghiera comunitaria, la seconda parte ha visto come protagonista la responsabile della Caritas Giovanile della nostra diocesi che ha presentato il Progetto Caritas Nazionale sul tema “Giovani e volontariato” in collaborazione con l’ufficio scolastico nazionale illustrando come il volontariato presso realtà disagiate e la scuola possono sviluppare l’interesse dei giovani verso il loro prossimo. Nella terza parte della mattina è intervenuto il prof. Tibaldi Marco di Bologna che ha presentato la sua relazione tema “Rapporto tra IRC catechesi “ coinvolgendo i partecipanti in un “gioco” di ruoli, per far capire come sia possibile trasmettere ai giovani e adulti di oggi l’insegnamento della Parola di Dio attualizzandoli e portandoli alla propria esperienza personale.(Catechesi Visiva), dandoci appuntamento per la seconda parte della relazione nel pomeriggio. La prima sezione della giornata ha avuto come momento culminante la Celebrazione Eucaristica seguita da un lauto pranzo ristoratore, per poi riprendere i lavori nel pomeriggio dove siamo stati chiamati a riflettere sull’argomento trattato la mattina, in un primo momento in solitudine (deserto) per fare proprie le sensazione e i sentimenti che la storia Biblica (La Storia di Re Davide e Betsabea) avevano suscitato in noi. Per poi ritrovarci insieme per condividere tutti insieme i nostri pensieri. Le due giornate sono state ricche di emozioni e ci hanno dato lo spunto di ripensare e mettere in pratica tutto ciò che ci è stato proposto con i nostri alunni nelle scuole e nella catechesi. I nostri ringraziamenti vanno all’Ufficio Catechistico Diocesano e all’Ufficio Scuola. *Ufficio IRC Novembre 2015 27 Mons. Paolo Picca* uesta giornata da più di 25 anni, viene celebrata nelle parrocchie ogni anno la domenica di Cristo Re. Le Offerte sono destinate non solo al proprio parroco ma a tutti i 36 mila sacerdoti diocesani che in Italia dedicano la propria vita all’annuncio del Vangelo e al servizio del prossimo e vengono raccolte dall’Istituto Centrale Sostentamento Clero (I.C.S.C.) che ha sede a Roma. Si tratta di un appuntamento importante per formare le comunità sul valore di questa forma di partecipazione alla vita della Chiesa, scaturita dalla revisione concordataria del 1984. Infatti da ormai 30 anni i sacerdoti non ricevono più la “congrua” dallo Stato ed è responsabilità di ogni fedele partecipare al loro sostenta- Q mento, anche attraverso queste donazioni che sono anche deducibili. La Chiesa attraverso le sue molteplici attività pastorali e sociali, e soprattutto attraverso la presenza dei suoi sacerdoti, svolge un ruolo molto importante per il bene del nostro Paese. Diventa fondamentale educare le comunità al senso di comunione fraterna, di partecipazione attiva e di reale corresponsabilità ecclesiale. Le Offerte Insieme ai sacerdoti vengono raccolte a livello nazionale e contribuiscono ad assicurare il necessario a tutti i preti diocesani in Italia, in particolare a coloro che prestano il proprio ministero pastorale nelle comunità più piccole e bisognose, e a quelli anziani e malati. Ma anche a 500 fidei donum, i preti diocesani italiani che annunciano la Buona Novella nei Paesi più poveri del mondo. Nel 2014 in Italia sono state raccolte 110.831 Offerte, per un totale di 10 milioni e 546 mila euro. Ricordiamo che le Offerte intestate all’I.C.S.C. sono destinate unicamente al sostentamento del clero diocesano e sono deducibili dal reddito complessivo, ai fini del calcolo dell’Irpef, fino ad un massimo di euro 1.032,91 all’anno. Da qualche anno nella nostra diocesi di Velletri-Segni il Vescovo ha stabilito che venga fatta una colletta in tutte le chiese parrocchiali e rettorie per raccogliere queste offerte. Rimane sempre valida la possibilità di fare offerte individuali mediante bollettino di c/c postale che si può trovare in tutte le chiese. *Delegato diocesano per la Promozione al sostegno economico del clero Novembre 2015 28 Giovanni Zicarelli U na “Festa dell’Esultanza”, quella tenuta nella prima metà di ottobre nella parrocchia di San Bruno, in Colleferro, su cui ha come aleggiato il mistero trascendente della Vocazione sacerdotale. Giorni scanditi da eventi orbitanti intorno all’Ordinazione presbiterale di don Gabriele Ardente, celebrata il 10 ottobre nella chiesa di San Bruno. Data ora entrata nella storia della parrocchia, poiché per la prima volta, nell’ampia navata della sua chiesa, si è assistito a tale solenne rito. Ciò per espresso desiderio dello stesso don Gabriele che, come già riportato nei cenni biografici pubblicati nel numero di settembre 2015, dal 2010 fino a tale data, ha svolto in San Bruno il suo ministero diaconale. Alla sera dell’Ordinazione si è giunti attraverso quello che può essere definito un percorso preparatorio per coloro che vi avrebbero assistito: La sera di lunedì 5 ottobre, nella Sala Bachelet di San Bruno, si è tenuto l’appuntamento “Vocazione”, in cui don Gabriele ha testimoniato il suo avvicinamento alla Fede alla presenza del parroco don Augusto Fagnani, di don Marco Fiore, responsabile del Centro Diocesano Vocazioni, di Francesca Proietti, vice presidente settore Giovani dell’Azione Cattolica Diocesana Alcuni momenti dell’Ordinazione sacerdotale di don Gabriele Ardente. e, tra il pubblico, delle suore Apostoline di Santa Maria dell’Acero, del ministro dell’Eucaristia Roberta Davelli e di alcuni ragazzi dell’ACR. Il momento significativo della sua “chiamata”, è stato testimoniato spiegando che, a 19 anni, trovandosi una sera in discoteca, quindi uno dei luoghi preferiti dai ragazzi per divertirsi, si è improvvisamente reso conto che quello non era il suo mondo. Giovedì 8 ottobre, dalle ore 18,00, sempre presso la Sala Bachelet, si è tenuta quella che, più che una conferenza, si può definire una profonda riflessione sulla vocazione da parte di mons. Leonardo D’Ascenzo, rettore del Pontificio Collegio Leoniano di Anagni; presenti, fra gli altri, don Augusto, don Gabriele e il direttore regionale della Pastorale Sociale Claudio Gessi. Iniziando con l’affermazione che non si può parlare di Vocazione sacerdotale senza un diretto riferimento a Gesù e continuando con la considerazione che, nonostante la diminuzione delle nascite, il numero di frequentatori di seminario in Italia rimane costante (intorno ai 3 mila a fronte di cir- Il coro Kalenda Maya Chorus. Novembre 2015 segue da pag. 28 ca 1 milione che ogni anno pensano di voler un domani intraprendere la via del sacerdozio), don Leonardo è poi entrato nel vivo dell’argomentazione raziocinando, a partire da alcune sue riflessioni, su cosa debba essere un prete: un uomo di preghiera che testimonia la suprema opera di Gesù; un uomo chiamato ad amare ogni persona con tutto se stesso; un uomo capace di un’umanità verso gli altri che sia in continua evoluzione; un uomo che sia innanzitutto in comunione col proprio Vescovo e il proprio presbiterio; un uomo inserito con discernimento nel territorio ovvero capace di applicare la teoRiflessione sulla vocazione con mons. logia ai bisogni delle persone L. D’Ascenzo, Rettore del Pontificio Collegio Leoniano di Anagni. che incontra; un uomo che sa ascoltare e accompagnare sia un’intera comunità che la singola persona; una guida compassionevole che sappia condurre sempre alla parola del Signore. Venerdì 9 ottobre, alle 18,30, nella navata della chiesa di San Bruno, è stata la volta dei suggestivi canti del coro Kalenda Maya Chorus diretto dalla Mª Maria Violante la quale, oltre a Tra i vari momenti salienti della celebrazione: dirigere le bravissime coriste in alcuni canti che la chiamata del presbitero a cui don Gabriele hanno spaziato dal Sacro al Barocco al Pop, si ha risposto «Eccomi!»; la sua prostrazione a terè alternata come solista all’organo con il M° Enrico ra in segno di umiltà e di affidamento totale della propria vita a Dio; l’imposizione delle mani sul Angelini. Sabato 10 ottobre, alle ore 17,30, nella chiesa capo di don Gabriele di San Bruno, è stata celebrata l’Ordinazione pre- in ginocchio da sbiterale di don Gabriele Ardente. Solenne fun- parte del vescovo zione presieduta dal vescovo, S.E. Rev.ma mons. e, a seguire, di Vincenzo Apicella, coadiuvato da sacerdoti di tutti i sacerdoti; la tutta la Diocesi. Tra i numerosi fedeli presenti, vestizione degli abiil sindaco di Colleferro Pierluigi Sanna e, giun- ti sacerdotali ovveti da Roma, i familiari di don Gabriele, tra cui i ro della stola e genitori Bruno e Teresa e i fratelli Roberta, Andrea, della casula; da parte del vescovo, Paolo, Marco e Fabio. Un momento della processione con la statua di san Bruno. 29 Un momento della prima Santa Messa di don Gabriele l’unzione con il sacro Crisma dei palmi delle mani dell’ordinato in ginocchio; la consegna, sempre da parte del vescovo, del Pane e di un calice contenente il Vino consacrati poi nell’azione eucaristica; l’abbraccio a don Gabriele di tutto il presbiterio presente, quindi anche del vescovo e, sempre da parte di tutti, il bacio dei palmi delle mani appena consacrati di don Gabriele ormai nuovo presbitero. Al termine della cerimonia sono seguiti i saluti e gli auguri di parenti ed amici. L’indomani, domenica 11, alle ore 11,30, don Gabriele Ardente ha officiato la sua prima Santa Messa, con l’omelia tenuta da don Augusto quale parroco che gli è stato accanto negli ultimi cinque anni. Sempre domenica 11, alle 18,30, si è svolta la solenne processione con la statua lignea di san Bruno, opera del M° Roberto Campagna (2006), portata in spalla per le vie del quartiere preceduta da alcuni fedeli con candele accese, dalla Banda musicale della città di Colleferro e dai sacerdoti don Augusto, don Ettore, vice parroco di Santa Barbara, e don Gabriele e con al seguito autorità cittadine e fedeli. Al rientro in parrocchia, sono stati esplosi festosi fuochi d’artificio. A don Gabriele, amato e stimato dai parrocchiani di San Bruno, a comprova le lacrime commosse di alcuni durante l’Ordinazione e la prima Messa, l’augurio di un sacerdozio che, riprendendo le parole di don Leonardo, sia sempre “capace di testimoniare il primato del Signore”. 30 Novembre 2015 a cura della Redazione ella domenica in cui la Liturgia della Parola ci ricorda il fine ultimo della missione del Servo di Jahvè ovvero di Gesù Cristo il quale “non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” la nostra Chiesa Diocesana ha avuto la gioia ci conferire il Sacramento dell’Ordine nel suo primo grado, il Diaconato ad un giovane ben preparato e ben disposto a mettersi alla sequela di Gesù: Carlo Fatuzzo. Nella stesa celebrazione il vescovo mons. Vincenzo Apicella con un rito molto semplice ma significativo ha comunicato alla Chiesa Locale che Damiano Uffredi già da qualche anno in seminario è ufficialmente inserito nel cammino verso il sacerdozio. Nel numero di ottobre di ecclesia abbiamo chiesto a Don Carlo Fatuzzo di presentarsi e lui lo ha fatto mettendo in risalto la motivazione di fondo che lo ha spinto a rispondere alla chiamata vocazionale, così in quell’occasione si esprimeva: Se ho una cosa davvero importante da dirvi, è semplicemente la gioia che da sempre mi dà la fede in Gesù: dentro quest’unico Nome è racchiusa tutta la mia vita, con tutte le sue vicende. «Per me vivere è Cristo» (Fil 1,21), come afferma S. Paolo. E a proposito delle sue precedenti esperienze, studi e attività citando ancora san Paolo diceva: ciò che per me poteva essere un guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui» (Fil 3,7-9). Proprio queste sue espressioni sono state riprese ed evidenziate nell’omelia di mons. Apicella. C’è da dire che tutto questo fervore e disponibilità non arrivano per caso ancora è don Carlo a darcene conto quando affermava: Nella passione per la Sua Parola contenuta nella Sacra Scrittura, e nell’affascinante proposta di vita concreta che essa offre – in special modo attraverso la carità e il servizio ai fratelli, che è la via preferenziale per un vero rapporto con Dio – ho sempre trovato la fonte e il centro della mia spiritualità personale, e la chiave per la sua espressione comunitaria. Certamente gratoall’esempio di grande fede e vita cristiana della mia famiglia, devo riconoscere il ruolo fondamentale nella mia formazione e nella maturazione della mia vocazione alla spiritualità focolarina, cui sono da sempre molto legato, ispiratrice per anni del mio impegno in molteplici iniziative di volontariato e nel servizio educativo-formativo rivolto a bambini, ragazzi e gio- N vani, animato da un motto biblico che Chiara Lubich mi suggerì per orientare tutta la mia esistenza: «Chi ama suo fratello dimora nella luce» (1Gv 2,10). Don Carlo Fatuzzo viene dalla terra di Sicilia è nato a Siracusa nel 1982, mentre Damiano Uffredi è nativo di Velletri. Anche Damiano, alla scuola di Don Paolo Picca prima e di altri sacerdoti poi ha dimostrato sin dall’inizio del suo cammino in seminario una volontà ferrea nel conferma la chiamata vocazionale negli impegni che un seminarista deve affrontare. Alla celebrazione che ha visto la partecipazione di tanti sacerdoti, diaconi, ministri e grande partecipazione del Popolo di Dio, ovviamente erano presenti i familiari due giovani, per don Carlo appositamente venuti dalla Sicilia. Il silenzio che avvolgeva i due riti ha sottolineato il coinvolgimento e l’emozione dei familiare e dei fedeli colpiti dalla generosità e disponibilità di don Carlo e di Damiano. Il coro della Cattedrale con i suoi bei canti ha reso la celebrazione bella scorrevole e partecipata. Questa è stata anche la prima occasione per il neo Rettore del Pontificio Collegio Leoniano, il Seminario di Anagni, mons. Leonardo D’Ascenzo del nostro presbiterio diocesano di svolgere pubblicamente una delle sue funzione ovvero quella di presentare i candidati. Di questo bel momento diciamo grazie a don Carlo e a Damiano, alle loro famiglie, al vescovo mons. Apicella, al Seminario di Anagni, ma soprattutto diciamo grazie a Dio per il dono delle vocazioni che elargisce a servizio della sua Chiesa. Novembre 2015 31 Sara Calì “È l’estate/ fredda, dei morti”, concludeva Pascoli nel chiudere le strofe saffiche di Novembre, tra le “umili” Myricae. Nell’Ottocento romantico Cesarotti traduceva le Poesie di Ossian che avrebbero avuto larga eco in tutta Europa, Foscolo rispondeva mestamente a Pindemonte e con loro tanti poeti, affascinati dallo spazio quieto e meditativo dei cimiteri, ne cantavano la malinconia, pretesto per innalzare il ragionamento a considerazioni sulla sopravvivenza dell’anima e degli affetti dopo la morte. In ogni paese c’è un angolo dedicato ai defunti che nel mese di novembre, quando la luce declina inesorabilmente, tornano più fortemente all’attenzione dei congiunti, distratti dalle fatiche del vivere quotidiano. P. Girolamo Mele nelle sue Notiziole paesane, in cui annota piccoli aneddoti su Montefortino, racconta che “fino al 1870 i morti si seppellivano nelle Chiese e nel nostro paese i più poveri venivano sepolti nella Chiesa di Santa Maria e proprio perché poveri vi si ponevano senza la cassa”, destinati a passare, dopo molti anni, nel più anonimo ossario. Il rapporto con la morte è stato, da sempre, molto controverso e relegato quanto più possibile lontano dalla quotidianità, lo dimostra il fatto che anche in un piccolo paese, per le operazioni di traslazione, fossero ingaggiati dei forestieri, detti sterratombe, che venivano tenuti a debita distanza dagli abitanti, a causa del loro abbigliamento e del loro ruolo. P. Mele racconta perfino che “una volta entrarono in un’osteria del paese per ivi mangiare e bere e il locale per lungo tempo perdette la clientela”. Dopo l’ordinanza governativa che imponeva le sepoltura fuori dalle Chiese e dai centri abitati, in Artena si individuò una zona vicina al Convento francescano che comprese anche una parte dell’orto dei frati. Fu costruito un ingresso monumentale di stile neoclassico assieme ad alcune tombe architettonicamente eleganti, destinate alle famiglie più abbienti e alcuni loculi. Il luogo, che già per sua conformazione era scosceso e scomodo, rimase per tanti anni trascurato, fin quando, per volontà dell’allora sindaco Gino Bucci, acquistò il decoro degno della sua funzione. Lo sappiamo dal suo libro Il mio paese ha cambiato volto, nel quale egli racconta che il cimitero, negli anni Cinquanta, “era un poggio di rovi e di sterpi, con croci e lapidi divelte, sparse alla rinfusa, con muri cadenti coperti di parietaria, sfaldati dal gelo, gramigna avviluppata a gigli e crisantemi, edera abbarbicata alle tombe, sentieri intricati di erbacce impraticabili per la presenza di serpenti e nidi di vespe. Solo a primavera il custode vendeva le erbacce e in agosto appiccava il fuoco” per far sì che il primo novembre una gran folla potesse riversarsi con zappe, falci e rastrelli a pulire ulteriormente e a far visita ai morti portando fiori. Pur non eguagliando, forse, il fascino dei cimiteri inglesi, le prime tombe, con la loro elegante bellezza, ci ricordano i versi ottocenteschi e meditativi di Foscolo “celeste è questa/ corrispondenza d’amorosi sensi,/ celeste dote è negli umani; e spesso/ per lei si vive con l’amico estinto/ e l’estinto con noi”. Prossimi appuntamenti in programma: Sabato 28 Novembre 2015 Anagni ore 17 Sala della Ragione, Palazzo Comunale Innocenzo III e il Regno inglese Apertura dell’ Anno Innocenziano Interviene il Presidente del Comitato “800 anni Innocenzo III 1216 – 2016” Dott. Luca Pierron Conferenza (modera Luca Pierron) Intervengono il Prof.Giovanni Diurni su “Le novae Leges canoniche tra diritto positivo, politica e istituzioni: Innocenzo III e la questione inglese “ e il Dott. Stanislao Fioramonti su “Le lettere di Innocenzo III a Giovanni senza terra”. Recital di Musica da Camera del duo “D’Amico - De Matteis” per violoncello e pianoforte. Novembre 2015 32 Loreda Carluccio A cento anni (1915 – 2015) dalla prima grande Guerra che sconvolse il mondo intero, Gavignano, il caratteristico paese che sorge su un piccolo promontorio che domina sulla valle del Sacco, la ricorda commemorando uno dei suoi concittadini più illustri, padre Angelo Cerbara, il prete caduto sulle Dolomiti tra i comuni di Livinallongo e Col di Lana. Il primo cittadino Emiliano Datti, il 24 ottobre alle ore 9.15 ha, insieme ai suoi concittadini, deposto una corona di fiori al cimitero di Gavignano. A seguire mons. Vincenzo Apicella e il preposito generale dei Padri Somaschi padre Franco Moscone hanno celebrato la S. Messa. Alle ore 11.15, presso il palazzo di Corte di Gavignano si è tenuto un interessante convegno sulla figura di questo grande e generoso personaggio. Oltre allo stesso primo cittadino Emiliano Datti, sono intervenuti Padre Giuseppe Oddone, lo storico Luigi Roberti, il gen. di Divisione Giuseppe Nicola Tota, capo del quinto Reparto Affari Generali dello SME, lo storico Piero Capozi, i familiari di padre Angelo Cerbara e gli alunni della scuola “Innocenzo III”. Angelo Cerbara nasce a Gavignano, in provincia di Roma, l’1 maggio del 1888 da Luigi ed Anna Vari; educato alla fede ed al sacrificio dai suoi genitori, di carattere allegro, estroverso, con una spiccata intelligenza, fu invitato da due zii già somaschi, il P. Vincenzo Cerbara ed il P. Francesco Cerbara, ad entrare nel Collegio Rosi di Spello dove rimase dal 1901 al 1904 per compiervi i suoi studi ginnasiali. Nel frattempo maturò il suo desiderio di diventare religioso. A sedici anni entrò in noviziato a Roma a San Girolamo della Carità ed emise la professione semplice 11 novembre del 1905, per poi frequentare il Seminario Romano, ove conseguì la licenza liceale ed iniziò gli studi di filosofia. A San Girolamo della Carità conobbe P. Lorenzo Cossa, generale dell’ordine, uomo colto, santo e sapiente e il professore universitario Giulio Salvatori, un laico che aveva fatto del- la cultura e della santità il suo ideale e che frequentava regolarmente la casa religiosa. Entrambi furono per il giovane Angelo punti di riferimento importanti per la sua vita. Nel 1908 il chierico Angelo Cerbara decise di anticipare come volontario il servizio militare, per essere poi più libero nel cammino verso il sacerdozio. Fu inviato a Messina dove a soli vent’anni visse l’esperienza terribile del terremoto che si abbattè sulla città e su Reggio radendole al suolo nella notte tra il 28 e il 29 dicembre. In questa missione, per lo zelo che dimostrò nel raccogliere i feriti e seppellire i cadaveri gli fu conferita una medaglia al merito. Scrive da Messina ad un compagno di studi: “Tu non puoi immaginare le scene strazianti a cui sono stato testi- mone. L’esempio del mio fondatore Girolamo Emiliani mi era presente e stimolato da questo esempio mi caricavo sulle spalle quei cadaveri spesso fetidi, mutilati, sanguinanti, per comporli nella sepoltura”. Finito il servizio militare tornò a Roma e riprese gli studi. Nell’autunno del 1911 scoppiò la guerra di Libia e fu richiamato sotto le armi come sergente del 26° reggimento di fanteria e trasferito a Napoli. Nel 1912 a Derna partecipò alle battaglie con gli arabo-turchi. Prese parte ad altre azioni belliche. Si meritò un’altra medaglia al merito perché: “Inviato il giorno 19 marzo di pattuglia a Marabutto (santuario mussulmano), dopo che un’altra pattuglia precedentemente inviatavi aveva dovuto ripiegare di fronte a forze nemiche superiori, disimpegnava con intelligenza ed ardire il mandato affidatogli. Minacciata la pattuglia sulla fronte e sui fianchi da gruppi di nemici di maggior forza, ripiegava con essa con ordine e con calma perfetta”. Stringe una forte amicizia, durata fino alla morte, con Guglielmo Turco, un piemontese nativo di Monastero Vasco, ventunenne postulante somasco di Nervi, anche lui valorosissimo soldato, sbarcato a Derna nello stesso periodo di Angelo. All’amico comunica le tappe del suo cammino sacerdotale non nascondendo il desiderio che Guglielmo, forgiato dalle dure fatiche di guerra, possa quanto prima entrare in noviziato. Il 19 febbraio 1913 emise la professione solenne. Prima del sacerdozio si laureò nelle scuole del Pontificio Seminario Romano, nel frattempo frequentò anche il corso di Lettere e Filosofia nella R. Università di Roma La Sapienza. Ordinato diacono, fu subito nominato Vicedirettore dell’orfanotrofio di S. Maria in Aquiro. Il 5 aprile 1914 celebrò la prima S. Messa nell’adiacente parrocchia di Santa Maria in Aquiro: ebbe immediatamente l’incarico di viceparroco e continuò l’impegno di vicerettore nell’opera degli orfani. Per la sua ordinazione sacerdotale così gli scrisse da Said Giab, presso Tripoli, il suo capitano Paolo Fasella: “Tu fosti un modello di soldato in pace, fosti soldato valoroso in guerra, e sarai il sacerdote forte e coraggioso, che con la bontà farà il bene. Fortunati quelli che ti conosceranno”. Non passò un anno che nel marzo 1915 fu strappato dal suo lavoro educativo e pastorale e richiamato nuovamente sotto le armi. Raggiunse il suo reggimento mobilitato di stanza a Viterbo e fu destinato alla Sanità, ma in caso di guerra chiese di poter essere nominato cappellano militare. Fu subito inviato al fronte, al Col di lana, con il 60° reggimento di fanteria, di cui era tenente cappellano. Fu sempre in prima linea, accanto ai suoi continua nella pag. accanto Novembre 2015 33 Parroci di Velletri, Lariano e Landi «Chi è il catechista? È colui che custodisce e alimenta la memoria di Dio; la custodisce in se stesso e la sa risvegliare negli altri. (...) La fede contiene proprio la memoria della storia di Dio con noi, la memoria dell’incontro con Dio che si muove per primo, che crea e salva, che ci trasforma; la fede è memoria della sua Parola che scalda il cuore, delle sue azioni di salvezza con cui ci dona vita, ci purifica, ci cura, ci nutre. Il catechista è proprio un cristiano che mette questa memoria al servizio dell’annuncio; non per farsi vedere, non per parlare di sé, ma per parlare di Dio, del suo amore, della sua fedeltà. Parlare e trasmettere tutto quello che Dio ha rivelato, cioè la dottrina nella sua totalità, senza tagliare né aggiungere. (...) Il catechista allora è un cristiano che porta in sé la memoria di Dio, si lascia guidare dalla memoria di Dio in tutta la sua vita, e la sa risvegliare nel cuore degli altri» FRANCESCO, Omelia alla Messa per l’Incontro dei catechisti in occasione dell’Anno della Fede, 29 settembre 2013 parole di papa Francesco presento, a nome dei sacerdella città, il cammino di formazione che tutti i catechisti ed eduC ondotiqueste segue da pag. 32 soldati, a tu per tu con la morte. Incarnò perfettamente la figura del sacerdote nel suo amore a Cristo e ai soldati sofferenti e il modello di ufficiale militare, nel suo amore alla patria, nell’impegno a tenere alto il morale del suo battaglione, nella condivisione di gioie, dolori e rischi dei suoi soldati. Nell’agosto del 1915 gli fu conferita la medaglia d’argento al valor militare per “il suo costante ed ammirevole spirito di carità”. Molto della personalità di uomo, di soldato, di religioso, di educatore, di sacerdote di P. Cerbara è possibile ricostruirla dalle sue lettere che scrive dal fronte. Da molte traspare il suo grande entusiasmo per gli spettacoli della natura, in particolare la vista delle Dolomiti, che gli ispiravano mistici sentimenti religiosi o lo inducevano a ricordare: “Spero che il Signore mi conceda il ritorno ai colli Albani almeno per potermi beare ancora del canto dei canarini veliterni (di Velletri) instancabili.” Dalla descrizione della natura traspare l’anima del poeta e del mistico ma anche del letterato, amante di una bella prosa d’arte. In altre lettere si tocca il commosso ricordo dei suoi orfani che, davanti alla morte di tanti padri di famiglia, si sovrappone alla dolorosa constatazione di tanti orfani che la guerra stava creando. Il metodo educativo di San Girolamo Emiliani, al quale P. Cerbara ispirava il suo comportamento, catori della città di Velletri, vivranno insieme e non nelle singole parrocchie della Città. La comunità cristiana, fin dall’inizio, costituisce il luogo naturale di evangelizzazione: «Non esiste comunità cristiana, capace di generare la fede e di farla crescere, senza l’espressione ministeriale di persone capaci di mettersi al servizio della comunione e della missione» (CEI, La formazione dei catechisti per l’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi, n. 10). “Comunione e missione”, stili desiderati dal nostro vescovo Vincenzo per i catechisti nella nostra Città. Infatti, non si può concepire il servizio catechistico in modo isolato, ma in sinergia con tutte le realtà parrocchiali. Conseguentemente la sua stessa formazione, chiede di essere sostenuta da questa prospettiva di comunione, che tenteremo di motivare attraverso questo itinerario: 12 Novembre ore 20.30: il perché di questo cammino; l’Annuncio. (parrocchia s. Giovanni Battista) 26 Novembre ore 20.30: L’Anno liturgico; l’itinerario biblico di Luca. (parrocchia s. Giovanni Battista) 7 gennaio 2016 ore 20.30: Il Gesù di Luca 21 gennaio ore 20.30: La Comunità di Luca 4 febbraio ore 20.30: “Un’esperienza comunitaria” si può riassumere in una frase del santo: “con questi miei poveri voglio vivere e morire”. P. Angelo applicò alla lettera questo ideale nella sua vita militare stando accanto ai soldati “che aveva appreso ad amare come fratelli in Gesù e compagni di pericolo e disertori della morte”. Non meno forte era il suo amore per la Patria, la sua “bella Italia”, sostenuto dalla certezza che la guerra che si stava combattendo era giusta e che la vittoria, sia pure attraverso molti sacrifici, era sicura. L’Italia poteva rinascere civilmente e cristianamente. Questo amore per la Patria, P. Angelo, lo collegò sempre con la devozione personale a San Girolamo Emiliani, in cui vide un modello di soldato a servizio della sua Patria ed un infaticabile apostolo di carità. Ne diffuse tra i soldati i quadri devozionali, le medaglie da appuntare sul petto, le immaginette con la preghiera del soldato a San Girolamo Emiliani perché non facesse solo cessare la guerra ma curasse presto le piaghe del conflitto e provvedesse, attraverso coloro che a lui si ispi- ravano, all’educazione degli orfani continuando ad essere l’araldo della rinascita civile e religiosa dell’Italia. Sempre dalle sue lettere ci viene testimoniata la sua fede profonda e la completa e cosciente disponibilità al martirio accogliendo su di se la volontà di Dio, qualunque essa fosse stata. “Con questi miei poveri voglio vivere e morire”: aveva scelto di stare sempre con loro e accanto ad uno dei suoi soldati la morte lo ha raggiunto. Il 22 ottobre 1915 mentre in prima linea assisteva un caporal maggiore ferito gravemente a morte nel bosco sopra Liviné, fu colpito da una granata nemica alla testa e in altre parti del corpo. Morì il giorno dopo: “E’ un martire. Così lo chiamano tutti quelli del suo reggimento, ufficiale e soldati e tutti quelli che lo hanno conosciuto.” Sepolto prima alle pendici di Col di Lana poi trasportato a Digonera e nel 1924 fu traslato con onoranze solenni nella natia Gavignano. (ripreso da uno scritto di Padre Giuseppe Oddone) Novembre 2015 34 Stanislao Fioramonti G li Altipiani di Arcinazzo, nota località montana sulla via Sublacense, tra Subiaco e Guarcino, prendono il nome dal paese di Arcinazzo Romano, l’antica Ponza, ma il loro territorio appartiene a tre diversi comuni: Arcinazzo Romano, appunto, e Trevi nel Lazio e Piglio in provincia di Frosinone. Si è venuta formando con gli anni, tra gli Altipiani e Piglio (FR), una serie di cammini e sentieri ispirati a santi o a eventi di fede; collegati tra loro unendo luoghi sacri e santuari, costituiscono un vero “Trekking dello Spirito” lungo 10 km, con partenza e arrivo agli Altipiani. Queste le sue tappe: 1) Chiesa parrocchiale degli Altipiani (m. 840). Intitolata a Maria Refugium Peccatorum, sulla facciata ha una lapide che ne delinea la storia: “All’inizio del X anniversario della consacrazione di questa chiesa parrocchiale, avvenuta il 6.8.1963, il parroco don Angelo Caranzetti perpetua nel tempo la munificenza della N.D. Lucia Parodi Delfino, che molto contribuì alla sua costruzione, a gloria di Dio e della Madre divina e a ricordo del marito sen. Leopoldo Parodi Delfino e dei figli Paolo e Gerardo. Altipiani di Arcinazzo 6.8.1972”. Sull’architrave dell’ingresso è una invocazione: “Beata Virgo Maria, ora pro nobis peccatoribus”. All’interno, ai due lati del transetto, tele moderne dedicate a S. Benedetto (di Carlo Mariani) e a Don Bosco e un quadro della Vergine che protegge la chiesa, di Sandro Conti (1945). Sull’arco dell’abside, nella quale è un grande crocifisso, la scritta: “Cor meum refugium tuum erit”. Su invito del parroco p. Mario Fucà, Cappuccino del convento di Fiuggi, sabato 13 settembre 2014 siamo partiti dalla chiesa per fare il 2) Sentiero “Via Lucis”, inaugurato il 16 agosto 2014, che dagli Altipiani porta in vetta al m. Retafani (m 1154), ove nel 2012 è stata posta una grande croce di legno. Dalla chiesa abbiamo seguito la via di Fiuggi per circa 1 km fino all’incrocio con via delle Fragole e via Giuseppe Pagliei; questa è lunga circa 200 metri e sbocca sulla asfaltata che contorna il m. Retafani, nel punto in cui termina via Guido Rossa e inizia via Fedele Calvosa. Da qui inizia il sentiero, che piega a destra in falsopiano al margine delle case, poi inizia a salire più decisamente in una valletta erbosa libera dagli alberi. Lungo la salita al monte, per rappresentare i Misteri della Luce del S. Rosario (istituiti da Giovanni Paolo II con la Lettera Apostolica Rosarium Virginis Mariae del 16 ottobre 2002), per iniziativa della parrocchia sono state installate cinque sculture in ferro di Ernesto Gentilini, raffiguranti gli episodi contemplati da quei misteri, e cioè il battesimo Cristo, le nozze di Cana, l’annuncio del Regno, la Trasfigurazione e l’istituzione dell’Eucarestia. Naturalmente ad ogni stazione p. Mario ha letto il brano del Vangelo pertinente il “mistero” e poi ha recitato tutta una posta del Rosario, così per fare 300 metri di dislivello in salita ci abbiamo messo 3 ore. Ma poi arrivati in cima, in un bell’ambiente naturale abbiamo finalmente aperto gli zaini. Dopo un’ora di riposo, per conoscere l’altro versante (di Piglio) della boscosa montagna, io e Ottavio Tatangelo di Sora siamo scesi in circa mezz’ora fino ai prati di San Biagio, dove è stato tracciato il “Cammino contemplativo Karol Wojtyla”, che parte dal laghetto Inzuglio. Per il rientro abbiamo scelto il 3) Sentiero Natura Retafani, ottima carrareccia (ma invasa dall’erba cresciuta per la piogcontinua nella pag. accanto Novembre 2015 gia) che girando alla base del monte collega il laghetto Inzuglio con gli Altipiani per via Pasquale Lolli o via Guido Rossa, la SP 147 di Fiuggi e la chiesa parrocchiale. 4) Il “Cammino contemplativo Karol Wojtyla” fu inaugurato il 30 aprile 2011 nella località del comune di Piglio (FR) dove papa Giovanni Paolo II il 15 aprile 2004 trascorse qualche ora in preghiera e contemplazione. Lungo il percorso nel 2012 sono state installate sculture in ferro delle stazioni della Via Crucis, grandi m. 3 x 2, opera dell’artista alatrense Adamo Dell’Orco. Questo cammino prevede tre fermate: La prima è all’inizio del cammino, indicato un blocco marmoreo presso il laghetto in Località Inzuglio e su un rialzo dalla statua in resina di Papa Woityla. Vicina è una cappellina della SS.ma Trinità eretta (lapide) per devozione dal popolo di Piglio; sotto l’altarino la lapide: “A perenne e grato ricordo di Fernando Cardinali, membro infaticabile del Comitato Organizzatore della SS.ma Trinità, gli amici affranti per la prematura dipartita lo additano ad esempio come uomo probo e onesto, dedito alla famiglia e sempre disponibile nei confronti del prossimo. Comitato SS.ma Trinità, Piglio 2002”. Il percorso prosegue costeggiando da destra il laghetto e poi entra per circa 500 metri ancora verso destra; al bordo della sterrata quattro blocchi di marmo con impresse frasi celebri di G. Paolo II: “Non abbiate paura del futuro, perché il futuro siete voi”; “Io vi ho cercato, voi siete venuti da me, per questo vi ringrazio”; “Prendete in mano la vostra vita e fatene un capolavoro”; “La pace non può regnare tra gli uomini, se prima non regna nel cuore di ciascuno di loro”. La seconda fermata è presso l’imbocco dei Prati di S. Biagio (m 970), sotto il m. Retafani, dove su un piccolo rialzo del terreno una stele di marmo bianco riporta una frase celebre del papa montanaro: “Non abbiate paura. Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo. GP II. Piglio, 30 aprile 2011. Egidio Ambrosetti scolpì”. Ancora più avanti, in mezzo ai Prati di S. Biagio, presso un rifugio di pasto- ri, tra cavalli e mucche al pascolo, è la terza sosta; una croce di granito sotto un faggio, con la scritta: “Qui recitò l’Angelus Karol Wojtyla”. 5) Tornati al laghetto Inzuglio (m 951), si attraversa la strada provinciale e si è subito al bivio per il santuario della Madonna del Monte (m. 970), alle falde orientali del monte Scalambra. La chiesa è citata per la prima volta in un documento del 1328 circa il pagamento della “decima annuale corrisposta agli esattori della Curia romana da Berardo Tyberii per l’importo di soldi 5” (Battelli, Rationes decimarum..., 1946). Compare anche negli Statuti della Terra di Piglio del 1479. In una fonte posteriore, i “Fondi manoscritti” dell’Archivio Colonna, si parla di un luogo di ristoro presente nei paraggi. Vi si notifica che la Sacra Miracolosa Immagine del Monte “si palesò nella antica sua cona li cinque marzo dell’anno 1756 con gran fama di miracoli, il primo dei quali fu nella persona di una filettinese, Domenica Rosa Pontesilli ossessa, per esser liberata dai Spiriti maligni dalla Virgine che all’apparire di questa Sacra Immagine allora fra gli albori, vomitò fava, ed un pezzo di mattone”. Da un documento ritrovato nell’archivio parrocchiale risulta che il 5 marzo di ogni anno 35 il clero e i devoti di Piglio e di Filettino si recavano in pellegrinaggio alla Madonna del Monte, per ringraziarla degli scampati pericoli legati alla stagione invernale e per auspicare buoni frutti nelle stagioni successive (primavera ed estate), che sono le più produttive per l’agricoltura. Il tradizionale pellegrinaggio si svolge anche ai nostri giorni. Il santuario, restaurato alcuni anni fa (verso il 2007) dal Comune di Piglio, sorge probabilmente lungo un’antica via che conduceva a Trevi attraverso gli Altipiani di Arcinazzo e costituiva una tappa importante per i pastori transumanti e per i pellegrini diretti ai monasteri benedettini di Subiaco o al santuario della SS. ma Trinità di Vallepietra. Un tempo era custodito da un eremita, che qui viveva in solitudine e in preghiera. Oggi è inserito nel tratto laziale del Sentiero europeo E1. Da qui si può salire al m. Scalambra o prendere il sentiero che scende agli Altipiani, costeggiando prima la recinzione dei Salesiani, poi quella del maneggio. In 45 minuti esso sbuca su una sterrata che a sinistra sale alla vetta del m. Scalambra (m. 1420) lungo il suo boscoso fianco settentrionale (“Sentiero Madonna della Pace”), a destra invece costeggia il maneggio e arriva alla 6) Via Sublacense (m. 830) alla fine della pista ciclabile, di fronte alla trattoria “Sorpaiolo” e a pochi metri dai ruderi della villa dell’imperatore Traiano. Lungo la ciclabile, in mezzo a grandi distese prative, si torna in centro alla chiesa degli Altipiani (2,7 m). Pochi metri prima del bivio per Piglio si incontra a sinistra la villa Parodi-Delfino (famiglia che costruì all’inizio del Novecento il polverificio di Colleferro) e a destra la chiesetta dell’Assunta (chiesetta Parodi), che è stato il primo e per molti anni l’unico luogo di culto della località. Novembre 2015 36 Paolo Ricci L o scorso 14 ottobre è stato presentato a Roma, al Museo dei Mercati di Traiano, un progetto innovativo per la fruizione delle opere: una nuova app per sperimentare una visita completamente immersiva del Museo dei Fori Imperiali nei Mercati di Traiano grazie all’utilizzo di Glass (visori di realtà aumentata) e dei Beacon (ripetitori bluetooth a bassa frequenza). I Mercati di Traiano – Museo dei Fori Imperiali a Roma potranno essere visitati in una modalità innovativa grazie al progetto sperimentale “Museo Glass Beacon: il museo del futuro”, la nuova applicazione tecnologica sviluppata da ETT S.p.A. in collaborazione con Mirko Di Ciaccio, vincitore del bando “Cultura Futura” della Regione Lazio aperto ai giovani creativi. La sperimentazione è promossa dall’Assessorato alla Cultura e allo Sport di Roma – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali con la Direzione scientifica del Museo, i servizi museali sono di Zètema Progetto Cultura. Con questa iniziativa tecnologica si potrà girare per il Museo con occhiali di ultima generazione dotati di un piccolo display, questi visori di realtà aumentata permettono una fruizione innovativa e immersiva nei diversi ambienti. Avvicinandosi alle opere, i visitatori grazie ai Beacon posizionati nelle opere, potranno scoprire la storie del Museo e dei suoi personaggi visualizzando direttamente sul display tutte le informazioni: testo, immagini, video e una riproduzione audio che potrà essere ascoltata da un apposito auricolare negli occhiali. L’applicazione rimarrà a disposizione dei visitatori gratuitamente per i due mesi successivi. Un’esperienza unica e personalizzata, all’interno di uno dei più prestigiosi musei del Sistema Musei Civici, inserito all’interno del più vasto patrimonio artistico di Roma e luogo di grande ricchezza e vivacità culturale. Nell’arco dei due mesi la Direzione del Museo, ETT e Di Ciaccio, organizzeranno 10 incontri formativi rivolti alle scuole per sensibilizzare i più giovani sul ruolo attivo dei New Media e del- le tecnologie nella valorizzazione dei beni culturali. L’adesione del Museo non è stata casuale, fin dalla sua apertura infatti, si è mostrato aperto alla sperimentazione delle tecnologie innovative, un approccio che gli ha consentito di entrare nella rete di eccellenza europea VMUST. La versatilità della collezione e i percorsi monumentali hanno poi fornito terreno fertile per lo storytelling e l’interazione col paesaggio urbano. Nei due mesi di sperimentazione il museo offre quindi un ulteriore percorso virtuale di realtà aumentata articolato in 14 punti di interesse collocati tra il primo e il secondo piano dei Mercati di Traiano e due punti esterni, uno sulla prima terrazza e l’altro su Via della Torre. I pezzi più significativi della collezione diventeranno dei veri e propri personaggi che racconteranno in prima persona la storia dei Fori Imperiali rispetto alla loro collocazione originaria con curiosità e aneddoti. Le opere sono state scelte in funzione della loro rappresentatività all’interno della collezione del Museo dei Fori Imperiali, queste sono i punti di interesse che rappresentano le maggiori attrazioni del complesso archeologico e che raccontano al visitatore la storia dei Mercati di Traiano e dei suoi protagonisti. continua a pag. 37 Novembre 2015 37 Mara Della Vecchia I l testo biblico è sempre stato, nel passato come nel presente, oggetto di studio e approfondimento, esso rappresenta un riferimento fondamentale nella cultura occidentale: dal punto di vista letterario, artistico, linguistico e simbolico, ma costituisce anche un imprescindibile fonte di ispirazione sul piano musicale. Nella storia della musica di occidente i riferimenti alla Bibbia sono costanti e innumerevoli. Nello stesso testo sacro sono presenti moltissime citazioni relative alla musica quale espressione della fede, della lode a Dio, o come elemento del culto e ancora la musica come espressione dell’ ispirazione profetica o della sofferenza umana ed anche la musica che accompagna i grandi e piccoli eventi del popolo di Dio. Fino al XIX secolo la produzione musicale di ispirazione biblica è stata sempre copiosa, sia per la musica strettamente liturgica, che quindi aveva un preciso scopo pratico di animazione della funzioni religiose, sia per la musica religiosa intesa come musica spirituale, destinata all’ascolto. Lo scenario cambia con il secolo XX, quando i compositori sembrano non ritrovare più nel testo biblico quella sostanza simbolica radicata nella cultura occidentale e così la produzione musicale sui temi della Bibbia diminuisce in modo sensibile, al punto che tanti musicisti di questo periodo ignorano completamente la musica sacra, cosa che difficilmente era accaduta nei secoli precedenti. Tuttavia grandi musicisti primo novecento quali Schoenberg e Stravinskij hanno comunque puntato la loro attenzione verso il testo sacro con grandi e bellissime opere. Cosa c’è nel panorama contemporaneo riguardo la relazione musica e Bibbia? Troviamo a sorpresa un profondo interesse per i testi biblici da parte di musicisti che animano o hanno animato la vita musicale anche commerciale del secondo novecento, come Roman Vlad, che ebbe modo di dichiarare che molta della sua produzione artistica è su testi della Bibbia o ad essa ispirata. Luciano Berio attratto in qualche modo dagli scritti biblici. Oliver Messiaen, la cui opera è interamente impregnata dal messaggio biblico. Egli stesso si considerava un musicista “teologo”. È interessante citare il pensiero di personalità più stretta- mente legate alla chiesa come Davide Maria Turoldo il quale parla della forza che sente nel rapporto tra Bibbia e musica, oppure Gianfranco Ravasi che nella sua analisi della musica nella Bibbia ha parlato di un legame musicale che attraversa l’intera narrazione biblica dalla Creazione all’Apocalisse: nella Genesi si legge: “In principio Dio disse” e nel vangelo di Giovanni “In principio era il Verbo e il Verbo era Dio” dove il Verbo cioè la parola coincideva con la musica presso il popolo ebraico. Nell’Apocalisse ricorrono spesso delle descrizioni di suoni e musica. Anche in molte religioni orientali la creazione del mondo è vista come il nascere del suono dal silenzio totale dal quale scaturisce l’armonia che è Dio stesso. È dunque un argomento ricco di spunti per riflettere e approfondire un aspetto dei testi sacri che a volte nella conoscenza della Bibbia può essere sottovalutato. segue da pag. 36 Un percorso empatico ed emozionale, complice l’utilizzo delle tecnologie multimediali – immagini, proiezioni olografiche, animazioni in 3D – che offre al visitatore un’esperienza divertente e al tempo stesso formativa. Il risultato è una visita unica e altamente tecnologica in cui tutti potranno muoversi liberamente, scegliendo in autonomia il proprio percorso e relativi contenuti multimediali, il tutto senza l’ausilio di cuffie aggiuntive in quanto gli occhiali sono dotati di audio in diverse lingue. Un interessante incontro quello tra passato e futuro che convergono in una tecnologia innovativa capace di stimolare una ulteriore riflessione sull’importanza della cultura e sulla valorizzazione del patrimonio artistico di Roma. Foto di G. Manelli per ETT SpA 38 Novembre 2015 Bollettino diocesano: Prot. VSCA 24/2015 DECRETO NOMINA PRESIDENTE DELL’ISTITUTO “MONS. G. SAGNORI” IN SEGNI Ai sensi dell’art.7 dello Statuto dell’Istituto “Mons. G Sagnori”, Via Tomassi, 44, 00037 Segni (RM). Atto Notaio Valente del 24.06.2005 regis.to il 07.07.2005 a Palestrina al n° 824 mod. S1, Repertorio n° 115370, Raccolta 31188 NOMINO Il Dr. Luigi Vari Presidente dell’Istituto “Mons. G. Sagnori” con decorrenza 02.10.2015 per la durata di n° 5 anni. Velletri, 02 ottobre 2015 ————————————————————————————— Prot. VSCA 25/2015 + Vincenzo Apicella, vescovo DECRETO NOMINA MEMBRO DI DIRITTO DELL’ISTITUTO “MONS. G. SAGNORI” IN SEGNI Ai sensi dell’art.7 dello Statuto dell’Istituto “Mons. G. Sagnori”, Via Tomassi, 44, 00037 Segni (RM). Atto Notaio Valente del 24.06.2005 regis.to il 07.07.2005 a Palestrina al n° 824 mod. S1, Repertorio n° 115370, Raccolta 31188 NOMINO Mons. Franco Fagiolo Membro di Diritto dell’Istituto “Mons. G. Sagnori” con decorrenza 02.10.2015 per la durata di n° 5 anni. Velletri, 02 ottobre 2015 ————————————————————————————— Prot. VSCA 26/2015 + Vincenzo Apicella, vescovo DECRETO NOMINA CONSIGLIERE DELL’ISTITUTO “MONS. G. SAGNORI” IN SEGNI Ai sensi dell’art.7 dello Statuto dell’Istituto “Mons. G. Sagnori”, Via Tomassi, 44, 00037 Segni (RM). Atto Notaio Valente del 24.06.2005 regis.to il 07.07.2005 a Palestrina al n° 824 mod. S1, Repertorio n° 115370, Raccolta 31188 NOMINO Il Sig. Ing. Aldo Tedeschi Consigliere dell’Istituto “Mons. G. Sagnori” con decorrenza 15.09.2015 per la durata di n° 5 anni. Velletri, 02 ottobre 2015 ————————————————————————————— Prot. VSCA 27/2015 + Vincenzo Apicella, vescovo DECRETO NOMINA A CONSIGLIERE DELL’ISTITUTO “MONS. G. SAGNORI” IN SEGNI Ai sensi dell’art.7 dello Statuto dell’Istituto “Mons. G. Sagnori”, Via Tomassi, 44, 00037 Segni (RM). Atto Notaio Valente del 24.06.2005 regis.to il 07.07.2005 a Palestrina al n° 824 mod. S1, Repertorio n° 115370, Raccolta 31188 NOMINO Mons. Angelo Mancini Consigliere dell’Istituto “Mons. G. Sagnori”con decorrenza 02.10.2015 per la durata di n° 5 anni. Velletri, 02 ottobre 2015 ————————————————————————————— Prot. VSCA 28/2015 + Vincenzo Apicella, vescovo ATTESTATO DI ORDINAZIONE PRESBITERALE DI DON GABRIELE ARDENTE Sabato 10 Ottobre 2015, presso la Parrocchia di San Bruno vescovo in Colleferro, è stato Ordinato Presbitero per codesta Diocesi, per la imposizione della mani e la preghiera consacratoria di S. Ecc.za Rev.ma Mons. Vincenzo Apicella Vescovo Diocesano il Rev.do Don Gabriele Ardente. Alla solenne concelebrazione, inserita nella “Festa parrocchiale dell’Esultanza” hanno partecipato molti sacerdoti, diaconi e ministri e una numerosa rappresentanza del Popolo di Dio. Velletri, 10 ottobre 2015 + Vincenzo Apicella, vescovo Novembre 2015 39 Bollettino diocesano: Prot. VSCA 29/2015 DECRETO DI NOMINA DI DON GABRIELE ARDENTE A VICARIO PARROCCHIALE DI SAN BRUNO IN COLLEFERRO La Parrocchia di San Bruno in Colleferro ha bisogno dell’apporto di un vicario parrocchiale che aiuti il parroco nella cura pastorale. Ben conoscendo la vitalità di quella comunità si rende necessaria la nomina di un vicario. Pertanto per la facoltà datami dal can. n° 557 del Codice di Diritto Canonico, con il presente decreto che ha effetto immediato, nomino te Rev.do don Gabriele Ardente nato a Roma il 15.07.1975 ordinato presbitero per la nostra Diocesi il 10.10.2015 Vicario Parrocchiale della Parrocchia di San Bruno in Colleferro Nell’attuare quanto richiesto dal Codice di Diritto Canonico in sintonia con il Parroco di S. Bruno vescovo, ti assista la mia personale fiducia. Velletri, 10 ottobre 2015 —————————————————————————————— Prot. VSCA 31/2015 + Vincenzo Apicella, vescovo ATTESTATO DI ORDINAZIONE DIACONALE DI DON CARLO FATUZZO Domenica 18 Ottobre 2015, presso la Parrocchia Basilica Cattedrale di San Clemente I, p.m. in Velletri ha ricevuto il primo grado del sacramento dell’Ordine sacro ovvero il Diaconato per codesta Diocesi, per la imposizione della mani e la preghiera consacratoria di S. Ecc.za Rev.ma Mons. Vincenzo Apicella Vescovo Diocesano il Rev.do Don Carlo Fatuzzo. Alla solenne concelebrazione vespertina, nella XXIX domenica del tempo ordinario, la cui liturgia della Parola presentava la figura del “Cristo venuto per servire” hanno partecipato molti sacerdoti, diaconi e ministri e una numerosa rappresentanza del Popolo di Dio. Velletri, 18 ottobre 2015 + Vincenzo Apicella, vescovo Il cancelliere vescovile, Mons. Angelo Mancini Incarico della CEI per S.E. Mons. V. Apicella Nel corso dei lavori svoltisi dal 30 settembre al 2 ottobre 2015 a Firenze, il Consiglio Episcopale Permanente della CEI ha provveduto alla nomina dei membri delle Commissioni Episcopali, i cui Presidenti erano stati eletti nel corso dell’Assemblea Generale tenuta nel maggio 2015. Di ciascuna Commissione Episcopale fa parte un Vescovo emerito, indicato dalla Presidenza. Il nostro vescovo è tornato a far parte della Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, così composta: S.E. Mons. Filippo SANTORO (Taranto), Presidente; S.E. Mons. Francesco ALFANO (Sorrento - Castellammare di Stabia); S.E. Mons. Vincenzo APICELLA (Velletri - Segni); S.E. Mons. Marco ARNOLFO (Vercelli); S.E. Mons. Claudio CIPOLLA (el. Padova); S.E. Mons. Giampaolo CREPALDI (Trieste); S.E. Mons. Maurizio GERVASONI (Vigevano); S.E. Mons. Giovanni RICCHIUTI (Altamura - Gravina - Acquaviva delle Fonti); S.E. Mons. Gastone SIMONI (em. Prato); S.E. Mons. Mario TOSO (Faenza - Modigliana).