Registrazione al Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004 - Redazione: C.so della Repubblica 343 - 00049 VELLETRI RM - 06.9630051 - fax 0696100596 - [email protected] Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia e pastorale per la vita della Diocesi di Velletri -Segni Anno 12, n. 11 (124) - Novembre 2015
Novembre
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Ecclesia in cammino
- Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo,
perché apre il cuore alla speranza (...),
+ Vincenzo Apicella
p. 3
- La Parola del Papa: A Cuba e negli USA,
predicando giustizia e misericordia,
Stanislao Fioramonti
p. 4
-1965 - 2015: 50 anni di episcopato di
S. Em.za Card. Francis Arinze del Titolo
Suburbicario di Velletri-Segni
p. 7
- Lettera Enciclica “Laudato Sì” sulla cura
della casa comune,
Costantino Coros
p. 9
- La famiglia è....
Sara Gilotta
p. 10
- “È nostro figlio”: per uno sguardo non clericale
sull’omosessualità,
Giorgio Bernardelli
p. 11
- Desiderio di figli. Un sogno che non ha
prezzo!
Marta Pietroni
p. 12
- La scienza e l’anima,
Massimiliano Postorino
p.13
- 7a Giornata diocesana della Custodia del
Creato,
Claudio Gessi
p. 15
- Otto anni di Casa Nazareth,
Emanuela Nanni
- Anno giubilare / 2: Le radici ebraiche e le
conseguenze per l’oggi,
don Antonio Galati
- Le opere di misericordia / 4:
Alloggiare i pellegrini, Carlo Fatuzzo
- Le opere di misericordia divina nell’amore
coniugale, Chiara Molinari
p.16
p. 18
- L’attenzione della Chiesa alle cause di nullità
matrimoniale. Il Motu proprio di Papa Francesco
“Il Signore Gesù, giudice clemente”,
p. Vincenzo Molinaro
p. 24
Bollettino Ufficiale per gli atti di Curia
Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti
della Curia e pastorale per la vita della
Diocesi di Velletri-Segni
Direttore Responsabile
- “La Bellezza della Chiesa”: itinerario di
catechesi artistico-letterario,
UCD Velletri-Segni e
volontari UNITALSI
p. 25
- Il Nuovo Umanesimo: la teoria dei gender,
integrazione tra insegnamento della
religione cattolica e catechesi,
T. Righi e A. Rossetti
p. 26
Mons. Angelo Mancini
Collaboratori
Stanislao Fioramonti
Tonino Parmeggiani
Mihaela Lupu
Proprietà
Diocesi di Velletri-Segni
Registrazione del Tribunale di Velletri
- Sostegno al clero, responsabilità di tutti i fedeli.
Domenica 22 novembre Giornata di
sensibilizzazione (...),
mons. Paolo Picca
p. 27
- Festa dell’Esultanza ed esultanza per
l’Ordinazione sacerdotale di don Gabriele
Ardente, Giovanni Zicarelli
p. 28
- Velletri, 18 ottobre: Alla Chiesa di
Velletri-Segni il dono di altri ministri,
Ordinazione Diaconale di Carlo Fatuzzo e
Ammissione agli Ordini Sacri
di Damiano Uffredi,
a cura della redazione
p. 30
- “All’ombra dei cipressi”,
Sara Calì
p. 31
- Innocenzo III e il Regno inglese: apertura
dell’Anno Innocenziano - programma
p. 31
- 1915 - 2015. Gavignano ricorda padre
Angelo Cerbara, il cappellano - eroe caduto
a Col Di Lana nella Prima Guerra mondiale,
Loreda Carluccio
p. 32
- Chi è il catechista? Formazione per i
Catechisti delle parrocchie di Velletri,
Lariano e Landi
p. 33
n. 9/2004 del 23.04.2004
Stampa: Quadrifoglio S.r.l.
Albano Laziale (RM)
Redazione
Corso della Repubblica 343
00049 VELLETRI RM
06.9630051 fax 96100596
[email protected]
A questo numero hanno collaborato inoltre:
S.E. mons. Vincenzo Apicella, mons. Franco Risi, don Antonio
Galati, p. Vincenzo Molinaro, don Gaetano Zaralli,
mons. Paolo Picca, Sara Gilotta, Costantino Coros, Giorgio
Bernardelli, Marta Pietroni, Claudio Gessi, Emanuela Nanni,
Carlo Fatuzzo, Chiara Molinari, UCD Velletri-Segni e volontari dell’UNITALSI, Tiziana Righi e Alfiero Rossetti, Sara
Calì, Giovanni Zicarelli, Loreda Carluccio, Mara Della Vecchia,
Paolo Ricci.
Consultabile online in formato pdf sul sito:
www.diocesi.velletri-segni.it
DISTRIBUZIONE GRATUITA
p. 19
p. 20
- Per chi ha voglia di credere: Gocce
d’attesa, don Gaetano Zaralli
p. 21
- La scelta vocazionale al sacerdozio e
alla vita consacrata scaturisce dall’incontro
con Gesù, mons. Franco Risi
p. 22
- 21 ottobre, inizio solenne del Nuovo Anno
Formativo ed inizio del servizio del nuovo
Rettore Mons. Leonardo D’Ascenzo,
don Antonio Galati
p. 23
- Il sacro intorno a noi / 18: Il Trekking dello
Spirito agli Altipiani di Arcinazzo (Fr),
Stanislao Fioramonti
p. 34
- I Mercati di Traiano guardando al futuro,
Paolo Ricci
p. 36
- Bibbia e Musica,
Mara Della Vecchia
p. 37
- Nomine e Decreti Vescovili
p. 38
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In copertina:
La Guarigione del cieco di Betsaida,
1883, Carl Bloch.
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Vincenzo Apicella, vescovo
S
i avvicina il giorno dell’apertura della Porta Santa della Misericordia
e dell’inizio della Anno Giubilare straordinario, indetto da Papa
Francesco poiché, egli scrive, “abbiamo sempre bisogno di
contemplare il mistero della misericordia. E’ fonte di gioia, di serenità e di pace. E’ condizione della nostra salvezza. Misericordia: è
la parola che rivela il mistero della SS: Trinità. Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro. Misericordia:
è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre
il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato.” (Misericordiae Vultus, n.2).
La nostra diocesi si sta preparando già da qualche tempo a questo periodo di Grazia e alcuni sacerdoti, diaconi e laici hanno riflettuto su come
lo potremo vivere concretamente, in modo sia personale che comunitario, nella sua dimensione spirituale e “corporale”. Il punto di partenza e la motivazione profonda, che può sostenerci in questo cammino,
non può essere altro che l’esperienza di aver ottenuto, noi per primi, la
misericordia di Dio: se non prendiamo coscienza dei nostri limiti, del nostro
peccato, della nostra radicale insufficienza e del nostro assoluto bisogno di essere salvati dalla caducità e dall’inconsistenza della nostra vita
e di questo nostro mondo, non potremo andare lontano nella via che
Cristo ci indica e ci apre dinnanzi. Per questo si è pensato di proporre
con maggiore insistenza i tre fondamentali strumenti che il Signore ha
messo a nostra disposizione: la Parola, l’Eucarestia, la Penitenza.
Nel corso dell’Anno Santo della Misericordia saremo invitati ad approfondire la nostra conoscenza ed esplorare la ricchezza di questa realtà attraverso percorsi di catechesi , che possano attingere al tesoro sconfinato e inestimabile della Parola di Dio.
Allo stesso tempo la celebrazione e l’adorazione dell’Eucarestia
e il sacramento della Riconciliazione potranno farci incontrare realmente la Misericordia divina che ha voluto
lasciarci questi segni concreti della sua presenza, in cui, per
mezzo di Gesù Cristo e con la potenza dello Spirito Santo,
il Padre ci accoglie e ci rinnova come veri figli suoi.
Il Papa tra l’altro, come è noto, ha concesso a tutti i sacer-
doti, durante l’Anno giubilare, la facoltà di assolvere i fedeli da peccati normalmente “riservati”, come l’aborto e la diocesi sta pensando di
istituire un Centro di ascolto per valutare eventuali casi di nullità matrimoniale, oltre che ad assicurare in determinati orari la presenza di sacerdoti disponibili per le confessioni.
In secondo luogo, desideriamo ripercorrere l’itinerario delle opere di misericordia, che, secondo l’antica tradizione della Chiesa, sono scandite
in due settenari, enumerando le realtà che richiedono la nostra vicinanza
e la nostra cura. Sarà dato alle parrocchie di ogni città della diocesi il
compito di progettare ed organizzare un momento di riflessione, di preghiera e di proposta concreta su ciascuno di questi ambiti: malati, anziani, forestieri, carcerati, accoglienza delle povertà, defunti. Si cercherà,
così, di distribuire il lavoro, ma di mantenere, allo stesso tempo, un clima unitario di comunione, invitando tutta la diocesi a convergere, di volta in volta, in un diverso luogo determinato.
In un Giubileo, inoltre, è importante l’aspetto del pellegrinaggio e ne sono
stati previsti due: uno a piedi in diocesi, destinato particolarmente ai giovani, che si terrà ad Artena il 13 maggio, l’altro a Roma, nelle Basiliche
degli Apostoli, l’11 giugno. Come segni concreti, che dovranno restare
in futuro come frutto di questo Giubileo, si sta pensando ad un emporio alimentare per le persone in gravi difficoltà economiche, ad un potenziamento della nostra presenza nel carcere di Velletri, ad una possibile accoglienza di profughi e rifugiati, secondo quanto ci è stato richiesto espressamente da Papa Francesco ed ad un centro per il sostegno alla famiglia.
Per ultimo, accenno ad una proposta che non rientra direttamente nelle opere di misericordia, ma che intende cogliere questa occasione per
dotare la nostra Cattedrale di un’opera d’arte che possa aggiungersi
degnamente all’enorme patrimonio culturale che i nostri
padri ci hanno lasciato: una Porta Santa in bronzo, dedicata alle opere di misericordia ed ai nostri Santi Patroni,
ideata e realizzata da uno scultore veliterno, che andrà a
sostituire l’ormai fatiscente portone centrale. Il Signore conceda a tutti noi di vivere intensamente questo Anno di Grazia,
facendo esperienza della Sua misericordia per poterne diventare testimoni e strumento verso tutti i nostri fratelli.
Cristo e l’adultera, Nicola Poussin, 1653, Parigi.
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sintesi a cura di Stanislao Fioramonti
D
al 19 al 28 settembre papa Francesco
ha compiuto un viaggio apostolico a Cuba
e negli Stati Uniti d’America, visitando
anche la sede dell’Organizzazione delle Nazioni
Unite a New York. L’occasione è stata quella di
partecipare all’VIII incontro mondiale delle
Famiglie, svoltosi a Philadelphia. Numerosi gli appuntamenti importanti di questo viaggio, dall’incontro con le autorità cubane (il Presidente Raoul
Castro e suo fratello Fidel, mitico capo della rivoluzione e leader dell’isola per tanti decenni), alle
messe nelle piazze della Rivoluzione dell’Avana
e di Holguin e nel santuario mariano del Cobre
a Santiago; dalle conferenze stampa con i giornalisti sull’aereo papale nei vari spostamenti, agli
incontri con i vescovi statunitensi a Washington;
dalla canonizzazione del francescano spagnolo
Fra Junipero Serra, evangelizzatore della
California, alla visita al Congresso degli USA e
all’incontro con i senzatetto, sempre a Washington;
dalla visita alla sede dell’ONU e al Memorial di
Ground Zero di New York, all’incontro con le famiglie di immigrati ad Harlem e a Philadelphia, a quello con i carcerati e con le vittime di abusi sessuali
della stessa città e alla messa conclusiva dell’ VIII
Incontro Mondiale delle Famiglie.
Proponiamo di questo viaggio memorabile una sintesi delle due conferenze stampa tenute da papa
Francesco durante i voli da Santiago di Cuba a
Washington e da Philadelphia a Roma.
NEL VOLO DA CUBA AGLI USA
(22 settembre) Silvia Poggioli, National Public
Radio degli Stati Uniti.
Nei decenni in cui è stato al potere Fidel Castro,
la Chiesa cattolica cubana ha sofferto molto. Lei,
nel Suo incontro con Fidel, ha avuto la percezione
che lui fosse forse un po’ pentito?
F. Il pentimento è una cosa molto intima, una cosa
di coscienza. Nell’incontro con Fidel ho parlato di
storie di gesuiti conosciuti, perché gli ho portato
in regalo anche un libro del padre Llorente, molto amico suo, un gesuita, e anche un CD con le
conferenze del padre Llorente; e gli ho anche regalato due libri di padre Pronzato che sicuramente
lui apprezzerà. Abbiamo parlato molto dell’enciclica Laudato si’, perché lui è molto interessato
a questo tema dell’ecologia. È stato un incontro
non tanto formale, ma spontaneo; era presente
anche la famiglia, anche i miei accompagnatori,
il mio autista; ma noi eravamo un po’ separati, con
la moglie e lui, e gli altri non potevano sentire, ma
erano nello stesso ambiente. Sull’enciclica tanto, perché lui è molto preoccupato di questo. Del
passato non abbiamo parlato. Sì, del passato: del
collegio dei gesuiti, di come erano i gesuiti, di come
lo facevano lavorare, di tutto questo sì.
Gian Guido Vecchi, “Corriere della Sera”.
Santità, le Sue riflessioni, anche le Sue denunce, sull’iniquità del sistema economico mondiale, il rischio di autodistruzione del pianeta, il traffico di armi, sono anche denunce scomode, nel
senso che toccano interessi molto forti. Alla vigilia di questo viaggio sono emerse delle considerazioni abbastanza bizzarre - anche media molto importanti nel mondo le hanno riprese - di settori della società americana, anche, che arrivavano a chiedere se il Papa fosse cattolico… Già
c’erano state discussioni di quelli che parlavano
del “Papa comunista”; adesso addirittura: “Il Papa
è cattolico?”. Di fronte a queste considerazioni,
Lei che cosa pensa?
F. Io sono certo che non ho detto una cosa in
più che non sia nella Dottrina sociale della Chiesa.
Nell’altro volo, una Sua collega, quando sono andato a parlare ai Movimenti popolari, ha detto: “Lei
ha teso la mano a questo Movimento popolare,
ma la Chiesa, La seguirà?”. E io ho detto: “Sono
io a seguire la Chiesa”, e in questo credo di non
sbagliare, credo di non avere detto una cosa che
non sia nella Dottrina sociale della Chiesa. Forse
una spiegazione ha dato un’impressione di
essere un pochettino più “sinistrina”, ma sarebbe un errore di spiegazione. La mia dottrina, su
tutto questo, sulla Laudato si’, sull’imperialismo
economico, è quella della Dottrina sociale della
Chiesa. E se è necessario che io reciti il “Credo”,
sono disposto a farlo!
Jean-Louis de la Vaissiere,
agenzia “France Presse”.
Santo Padre, nell’ultimo viaggio in America
Latina ha criticato duramente il sistema capitali-
sta liberale. A Cuba sembra che le sue critiche
del sistema comunista non siano state tanto severe: erano molto più “soft”. Perché queste differenze?
F. Nei discorsi che ho fatto a Cuba, sempre ho
fatto accenno alla Dottrina sociale della Chiesa.
Le cose che si devono correggere le ho dette chiaramente, non “profumatamente”, “soft”. Ma anche
riguardo alla prima parte della sua domanda: più
di quello che ho scritto nell’Enciclica, e anche nella Evangelii gaudium, sul capitalismo selvaggio
o liberale, io non ho detto: tutto sta scritto lì. Non
ricordo di aver detto qualcosa di più di quello. Ma
qui a Cuba - questo forse chiarirà un po’ la sua
domanda - il viaggio è stato un viaggio molto pastorale con la comunità cattolica, con i cristiani, anche
con quelle persone di buona volontà e per questo i miei interventi sono stati omelie… Anche con
i giovani - che erano giovani credenti e non credenti e, fra i credenti, di diverse religioni - è stato un discorso di speranza, anche di incoraggiamento al dialogo tra loro, di andare insieme, cercare quelle cose che ci accomunano e non quelle che ci dividono, fare ponti… E’ stato un linguaggio
più pastorale. Invece, nell’Enciclica si dovevano
trattare cose più tecniche, e anche queste che Lei
ha menzionato.
Nelson Castro,“Radio Continental”, Argentina.
La domanda ritorna sul tema della dissidenza: perché è stato deciso di non ricevere i dissidenti? E,
secondo, c’è stato uno che si è avvicinato a Lei
e che è stato allontanato ed arrestato… La domanda è: ci sarà un ruolo della Chiesa cattolica nella ricerca di un’apertura alle libertà politiche, visto
il ruolo che ha svolto anche nel ristabilimento delle relazioni tra Cuba e Stati Uniti? Questo tema
delle libertà, che è un problema per coloro che
pensano diversamente in Cuba. Sarà un ruolo che
la Santa Sede pensa per la Chiesa cattolica nel
futuro di Cuba?
F. Anzitutto: non ho ricevuto nessuno in udienza
privata. E questo per tutti. E c’era anche un capo
di Stato che la chiedeva… Vi dico: no, non ho avuto nulla a che vedere con i dissidenti. Il comportamento con i dissidenti è stato quello che vi ho
già spiegato. La Chiesa di Cuba ha lavorato ad
una lista di prigionieri cui concedere l’indulto …
L’indulto è stato concesso a 3.500 circa… La cifra
me l’ha detta il presidente della Conferenza Episcopale:
sì, più di tremila. E ancora ci sono casi allo studio. E la Chiesa qui a Cuba sta lavorando per fare
indulti. Per esempio, qualcuno mi ha detto: “Sarebbe
bello finirla con l’ergastolo, ossia la prigione perpetua”. Parlando chiaramente, l’ergastolo è quasi una pena di morte nascosta. Questo l’ho detto pubblicamente in un discorso ai giuristi europei. Tu stai lì, morendo tutti i giorni senza la speranza della liberazione. E’ un’ipotesi. Un’altra ipotesi è che si facciano indulti generali ogni uno o
due anni. Ma la Chiesa sta lavorando.
NEL VOLO DI RITORNO DAGLI USA
(27 settembre) Elisabetta Dias, “Time Magazine”.
Questa è stata la sua prima visita negli Stati Uniti.
Cosa degli Stati Uniti L’ha sorpresa, e cosa è stato diverso rispetto alle Sue aspettative?
F. Sì, era la prima visita: mai ero stato qui. Mi ha
sorpreso “the warmth”, il calore della gente, tanto amabile: una cosa bella e anche differente. A
Nella foto del titolo: Papa Francesco si sposta verso Washington dalla base di Andrews in Maryland, con una Fiat 500 nera (Reuters).
continua nella pag. accanto
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Washington, un’accoglienza calorosa ma un po’
più formale, a New York un po’ esuberante, e a
Philadelphia molto espressiva. Tre modalità
diverse ma della stessa accoglienza. Io sono molto colpito dalla bontà, dall’accoglienza; e nelle cerimonie religiose anche dalla pietà, dalla religiosità. Si vedeva la gente pregare, e questo mi ha
colpito, e molto, molto. E’ bello. La sfida della Chiesa
oggi è essere come è stata sempre: vicina alla
gente, vicina al popolo degli Stati Uniti. Non una
Chiesa staccata dal popolo, no. E questa è una
sfida che la Chiesa degli Stati Uniti ha capito bene!
L’ha capita, e voglio farla.
Comprendo le vittime e le famiglie che non sono
riuscite a perdonare o che non vogliono perdonare. Non le giudico, prego per loro.
Una volta, in una di queste riunioni, ho incontrato diverse persone, e una donna mi ha detto: “Quando
mia madre è venuta a sapere che avevano abusato di me, ha bestemmiato contro Dio, ha perso la fede ed è morta atea”. Io comprendo quella donna. E Dio che è più buono di me la comprende. Sono sicuro che Dio ha accolto quella donna. Perché quello che è stato toccato, quello che
è stato distrutto era la sua propria carne, la carne di sua figlia. Io lo comprendo. Non giudico qual-
Papa Francesco si affaccia dal balcone del Congresso tra lo speaker della Casa Bianca e il vice presidente Usa (Afp).
Maria Antonietta Collins.
Santo Padre, Lei ha parlato molto del perdono,
che Dio ci perdona e che quelli che spesso chiedono perdono siamo noi. Ci sono molti sacerdoti che hanno commesso abusi sessuali sui minori e non hanno chiesto perdono alle loro vittime.
Lei li perdona? E Lei capisce, dall’altra parte, le
vittime e le famiglie che non riescono a perdonare
o che non vogliono?
F. Se una persona ha agito male, è cosciente di
quello che ha fatto e non chiede perdono, io chiedo a Dio che ne tenga conto. Io lo perdono, però
lui non riceve il perdono, è chiuso al perdono.
Una cosa è dare il perdono - tutti siamo obbligati a perdonare, perché tutti siamo stati perdonati - ma altra cosa è ricevere il perdono. E se quel
sacerdote è chiuso al perdono, non lo riceve perché ha chiuso la porta a chiave da dentro, e quello che resta è pregare, perché il Signore apra quella porta. Bisogna essere disposti a dare il perdono,
ma non tutti lo possono ricevere, lo sanno ricevere o sono disposti a riceverlo.
E’ duro quello che sto dicendo. E così si spiega
perché ci sia gente che finisce la sua vita in maniera dura, male, senza ricevere la carezza di Dio.
cuno che non può perdonare. Prego e chiedo a
Dio - perché Dio è un campione nel cercare una
via verso la soluzione - che lo metta a posto.
Andres Beltramo, Notimex.
Padre, tutti L’abbiamo sentita parlare tanto del processo di pace in Colombia, tra le Farc e il governo. Adesso c’è un accordo storico. Lei si sente
un po’ parte di questo accordo? E Lei aveva detto che pensava di andare in Colombia quando ci
fosse stato l’accordo: adesso ci sono molti colombiani che La stanno aspettando.
F. Quando ho avuto la notizia che a marzo sarebbe stato firmato l’accordo, ho detto al Signore: “Signore,
fa’ che arriviamo a marzo, che si arrivi con questa bella intenzione”, perché mancano piccole cose,
ma la volontà c’è. Da ambedue le parti. Anche del
piccolo gruppo, c’è, tutti e tre sono d’accordo.
Dobbiamo arrivare a marzo, all’accordo definitivo. Che era il punto della giustizia internazionale, Lei lo conosce. Sono rimasto contentissimo.
E mi sono sentito parte nel senso che ho sempre voluto questo, e ho parlato due volte con il
presidente Santos del problema, e la Santa Sede
è tanto aperta ad aiutare per quanto possibile.
Thomas Jansen, Cic (agenzia cattolica tedesca).
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Santo Padre, sulla crisi migratoria in Europa: molti Paesi stanno costruendo nuove barriere di filo
spinato. Che cosa dice di questo sviluppo?
F. Lei ha usato una parola: “crisi”. Si entra in uno
stato di crisi dopo un processo lungo. Questo è
un processo scoppiato da anni, perché le guerre dalle quali quella gente se ne va, fugge, sono
guerre di anni. La fame è fame da anni… Io penso che invece di sfruttare un continente o un Paese
o una terra, fare investimenti perché quella gente abbia lavoro eviterebbe questa crisi. E’ vero:
è una crisi di rifugiati - come ho detto al
Congresso - mai vista dopo l’ultima guerra mondiale, è la più grande. Lei mi
domanda sulle barriere. Lei sa
come finiscono i muri. Tutti i
muri crollano, oggi, domani o
dopo 100 anni. Ma crolleranno. Il muro non è una soluzione.
In questo momento l’Europa
è in difficoltà, è vero.
Dobbiamo essere intelligenti,
capire perché viene tutta quella ondata migratoria, e non è
facile trovare soluzioni. Ma con
il dialogo tra i Paesi, devono
trovarla. I muri, non sono mai
soluzioni; invece i ponti sì, sempre, sempre. I muri, le barriere durano poco tempo, o molto tempo, ma non sono una soluzione. Il problema rimane,
anche con più odio.
Jean-Marie Guénois,
“Le Figaro”.
Santo Padre, vogliamo sapere prima del Sinodo se nel Suo
cuore di pastore vuole veramente
una soluzione per i divorziati
risposati. E se il suo Motu Proprio
sulla facilitazione della nullità
ha chiuso - secondo Lei - questo dibattito. E infine, cosa risponde a quelli che temono, con questa riforma, la creazione di fatto di un cosiddetto “divorzio cattolico”.
F. Incomincio con l’ultima. Nella riforma dei processi, della modalità, ho chiuso la porta alla via
amministrativa che era la via attraverso la quale
poteva entrare il divorzio. E si può dire che quelli che pensano al “divorzio cattolico” sbagliano perché questo ultimo documento ha chiuso la porta
al divorzio che poteva entrare - sarebbe stato più
facile - per la via amministrativa. Sempre ci sarà
la via giudiziale. Quanto alla nozione di “divorzio
cattolico” e se il Motu Proprio ha chiuso il dibattito a venire nel Sinodo su questo tema, questo
è stato chiesto dalla maggioranza dei Padri sinodali al Sinodo dell’anno scorso: snellire i processi, perché c’erano processi che duravano 10-15
anni. I Padri sinodali hanno chiesto lo snellimento
dei processi di nullità matrimoniale.
Questo Motu Proprio facilita i processi nei tempi, ma non è un divorzio, perché il matrimonio è
indissolubile quando è sacramento, e questo la
Chiesa non lo può cambiare. E’ dottrina. Il procedimento legale è per provare che quello che sembrava sacramento non lo era: per mancanza di
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libertà, per esempio, o per
mancanza di maturità o per malattia mentale… Tanti sono i motivi che portano, dopo un’indagine,
a dire: “No, lì non c’è stato sacramento. Per esempio, perché quella persona non era libera”.
Un esempio: i matrimoni quando la fidanzata rimane incinta.
Io, a Buenos Aires, ai sacerdoti
consigliavo - ma con forza -, quasi proibivo di fare il matrimonio
in queste condizioni. Noi li
chiamiamo “matrimoni di fretta”,
per salvare tutte le apparenze.
E il bambino nasce, e alcuni matrimoni vanno bene, ma non c’è
la libertà! E poi vanno male, si
separano... Questa è una causa di nullità. Sono tante le cause di nullità.
Poi c’è il problema delle seconde nozze, dei divorziati che fanno una nuova unione. Voi leggete nell’ Instrumentum laboris
quello che si pone alla discussione. A me sembra un po’ semplicistico dire che la soluzione
per questa gente è che possano fare la comunione. Questa
non è l’unica soluzione. Quello
che l’Instrumentum laboris propone è molto di più. Il problema delle nuove unioni dei
divorziati non è l’unico problema. Nell’ Instrumentum laboris ce
ne sono tanti. Per esempio: i giovani non si sposano, non vogliono sposarsi. E’ un problema pastorale per la Chiesa.
Un altro problema: la maturità
affettiva per il matrimonio. Un altro problema: la
fede. Io ci credo che questo è “per sempre”? “Sì,
sì, ci credo...”. Ma ci credo veramente? La preparazione al matrimonio… Io ci penso tante volte: per diventare prete c’è una preparazione di otto
anni; e poi, siccome non è definitivo, la Chiesa
può toglierti lo stato clericale. Per sposarti, che
è per tutta la vita, si fanno quattro corsi, quattro
volte… C’è qualcosa che non va.
Il Sinodo deve pensare bene come fare la preparazione al matrimonio, è una delle cose più difficili. E ci sono tanti problemi… Ma, tutti sono elencati nell’Instrumentum laboris. Mi piace che Lei
mi abbia fatto la domanda sul “divorzio cattolico”:
no, quello non esiste. O non è stato matrimonio
- e questa è nullità, non è esistito -, o se è esistito è indissolubile. Questo è chiaro.
Stefano Maria Paci, Sky News.
Santità, Lei all’Onu ha usato parole molto forti per
denunciare il silenzio del mondo sulla persecuzione contro i cristiani che vengono privati delle
loro case, scacciati, privati dei beni, resi schiavi
e brutalmente uccisi. Adesso il presidente
Hollande ha annunciato l’inizio dei bombardamenti
da parte della Francia sulle basi dell’Isis in Siria:
cosa pensa di questa azione militare? E poi, anche
una curiosità: il Sindaco Marino, Sindaco di Roma,
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città del Giubileo, ha dichiarato che è venuto all’Incontro
Mondiale delle Famiglie, alla Messa, perché è stato invitato da Lei. Ci dice com’è andata?
F. Io non ho invitato il Sindaco Marino. Chiaro?
Io non l’ho fatto. Ho chiesto agli organizzatori, e
neppure loro l’hanno invitato. Lui è venuto, lui si
professa cattolico, è venuto spontaneamente.
Sul bombardamento, veramente, io ho avuto la
notizia l’altro ieri e non ho letto. Non conosco bene
la situazione. Ho sentito dire che la Russia era
in una posizione, gli Stati Uniti ancora non erano chiari… Non so cosa dirti, davvero, ma quando sento la parola “bombardamento”, morte, sangue… ripeto quello che ho detto al Congresso e alle
Nazioni Unite: evitare queste cose. Ma la situazione politica non la giudico perché non la conosco.
Sagrario Ruiz, Apodaca.
Santo Padre, per la prima volta ha visitato gli Stati
Uniti, non c’era mai stato prima; ha parlato al Congresso,
ha parlato alle Nazioni Unite, ha ricevuto autentici bagni di folla… Si sente più forte? E vorrei chiederle anche, perché l’abbiamo ascoltata dire di
evidenziare il ruolo delle religiose e delle donne
nella Chiesa statunitense: vedremo mai donne sacerdote nella Chiesa cattolica, come chiedono alcuni gruppi negli Stati Uniti e con avviene in altre
chiese cristiane?
F. Le suore degli Stati Uniti
hanno fatto meraviglie nel campo dell’educazione, nel campo della salute. Il popolo degli
Stati Uniti ama le suore: non
so quanto ami i preti, ma le
suore le ama, le ama tanto.
Le suore hanno scuole in tutti quartieri - ricchi, poveri - lavorano con i poveri e negli ospedali… Non so se ho avuto successo o no. Ma io ho paura
di me stesso, perché se ho
paura di me stesso, io mi sento sempre debole, nel senso di non avere il potere; il
potere è anche una cosa passeggera: oggi c’è, domani non
c’è… E’ importante se tu col
potere puoi far del bene.
E Gesù ha definito il potere:
il vero potere è servire, fare
i servizi, fare i servizi più umili. E io devo ancora andare
avanti in questo cammino del
servizio, perché sento che non
faccio tutto quello che devo
fare. Questo è il senso che
io ho del potere.
Terzo: le donne sacerdote:
questo non può farlo. Il
Papa san Giovanni Paolo II,
in tempi di discussione,
dopo lunga, lunga riflessione, lo ha detto chiaramente.
Non perché le donne non hanno la capacità, ma guarda:
nella Chiesa sono più importanti le donne che gli uomini, perché la chiesa è donna; è la Chiesa, non il Chiesa; la Chiesa è la sposa di Cristo, e la Madonna è più importante dei
Papi, dei vescovi e dei preti. E’ una cosa che devo
riconoscere: noi siamo un po’ in ritardo nella elaborazione di una teologia della donna. Dobbiamo
andare più avanti in quella teologia. Questo sì!
Matilde Imbertì, Radio France.
Santo Padre, negli Stati Uniti, Lei è diventato una
star. E’ bene per la Chiesa che il Papa sia una
star?
F. Tu sai quale era il titolo che usavano i Papi e
che si deve usare? “Servo dei servi di Dio”. E’ un
po’ differente dalla star! Le stelle sono belle da
guardare, a me piace guardarle quando il cielo
è sereno d’estate... Ma il Papa deve essere - deve
essere! - il servo dei servi di Dio. Sì, nei media
si usa questo, ma c’è un’altra verità: quante star
abbiamo visto noi che poi si spengono e cadono… E’ una cosa passeggera. Invece essere servo dei servi di Dio, questo è bello! Non passa. Non
so… Così la penso.
Nelle foto sopra: La stretta di mano con il
Vice presidente Usa, Joe Biden (Reuters);
L'incontro con Fidel Castro (Afp).
Novembre
2015
Cardinal Francis Arinze
Nato da una famiglia animista della tribù
Ibo, a nove anni si converte al cattolicesimo ricevendo il battesimo da padre Cipriano
Iwene Tansi (che diverrà, nel 1998, il primo beato nigeriano). I suoi familiari avversano la sua vocazione, ma in seguito si ricrederanno, convertendosi anch’essi
al cattolicesimo dopo la sua ordinazione a sacerdote.
Dopo il seminario, studia teologia
alla Pontificia Università Urbaniana.
Nel 1958 viene ordinato sacerdote.
Frequenta l’Istituto di pedagogia di
Londra. Tornato in Nigeria, a quasi 33 anni viene nominato vescovo
(6 luglio 1965, consacrato il successivo
29 agosto) e a 35 anni arcivescovo
di Onitsha (26 giugno 1967). Ha modo
così di partecipare, seppur brevemente, al Concilio Vaticano II.
Nel 1979 viene eletto Presidente della Conferenza dei Vescovi cattolici
della Nigeria.
Nel 1984 viene nominato presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo
Inter-Religioso in Vaticano.
Il 25 maggio 1985 papa Giovanni Paolo
II lo ha creato cardinale del titolo di
San Giovanni della Pigna, diaconia
elevata pro hac vice in titolo presbiterale il 29 gennaio 1996.
Nel 1998 organizza il viaggio apostolico di papa Giovanni Paolo II in
Nigeria.
Papa Giovanni Paolo II lo ha nominato membro del Comitato del
Grande Giubileo del 2000.
Diviene prefetto della Congregazione
per il culto divino e la disciplina dei
sacramenti (2002).
Il 25 aprile 2005 è stato eletto cardinale vescovo con il titolo della Chiesa Suburbicaria
di Velletri-Segni, succedendo a Joseph
Ratzinger diventato da una settimana
Papa con il nome di Papa Benedetto XVI.
Poliglotta (conosce bene anche l’italiano),
ottimo comunicatore, è un sostenitore della messa in latino.
È uno dei cardinali che ha celebrato la Messa
tridentina dopo la Riforma liturgica.
Termina il suo incarico di Prefetto della
Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina
dei Sacramenti il 9 dicembre 2008, per raggiunti limiti d’età.
Il cardinal Arinze ha tenuto gli esercizi spirituali per la Quaresima 2009 alla Curia Romana,
alla presenza di Benedetto XVI.
È stato membro: della Congregazione per
la Dottrina della Fede, della Congregazione
per le Chiese Orientali, della Congregazione
delle Cause dei Santi, della Congregazione
per l’Evangelizzazione dei Popoli, del
Pontificio Consiglio per i Laici, del
7
Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità
dei Cristiani, del Pontificio Comitato per i
Congressi Eucaristici Internazionali, del XII
Consiglio Ordinario della Segreteria
Generale del Sinodo dei Vescovi, del
Consiglio Speciale per l’Africa della
Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi,
del Consiglio Speciale per il Libano della
Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi.
delle quattro sessioni del Concilio Vaticano II,
non appena consacrato vescovo nell’agosto del
1965. Per me è stato l’esordio, un qualcosa che
non si dimentica, che colpisce. Sapevo che la
Chiesa era universale, ma vedere quei duemila vescovi e più da ogni parte del mondo, grandi nomi come i cardinali Alfredo Ottaviani, LeonJospeh Suenens, Josef Frings, Bernard Jan Alfrink,
Bernard Jan Doepfner, Giovanni Battista Montini
Riportiamo il contenuto di una intervista
che il Cardinal Francis Arinze
ha rilasciato a “Zenit. org”
il 22 ottobre 2012
per cogliere lo spirito di un giovanissimo
vescovo che prese
parte al Concilio Vaticano II.
e altri meno conosciuti. Chi poteva sapere allora che Karol Wojtyla o il giovane teologo Joseph
Ratzinger sarebbero diventati Pontefici? Solo
Dio lo sapeva. Ero il più giovane, non avevo un
gran che da dire, per me era importante ascoltare i maggiori, anche perché nella cultura africana il giovane non deve parlare quando lo fanno i più anziani.
“Era il padre conciliare più giovane quando partecipò alla quarta sessione del Concilio Vaticano
II. Era stato appena nominato vescovo. Oggi il
cardinale Francis Arinze, con 80 anni ben portati, assicura che il Vaticano II è stata una grazia per la Chiesa, senza la quale soltanto Dio
può sapere come sarebbero andate le cose.
Nell’intervista esclusiva concessa a ZENIT, il Card.
Arinze ha spiegato che la Gaudium et Spes e
gli altri documenti conciliari sono degli strumenti
che hanno permesso alla Chiesa di affrontare
lo tsunami della secolarizzazione.”
Lei era il vescovo più giovane nel Concilio,
vero?
Card. Arinze: Ho partecipato soltanto all’ultima
Come valuta oggi il Vaticano II?
Card. Arinze: Il Concilio è stato un regalo di Dio
a tutta la Chiesa, un patrimonio inesaurito, visto
che dopo cinquant’anni non siamo stati capaci di capire tutto quello che ci ha detto.
Poco dopo il Concilio arrivò il 68, con la rivoluzione studentesca alla Sorbona e uno tsunami di secolarismo. Cosa sarebbe successo
se questi fatti fossero avvenuti senza avere prima il Concilio Vaticano II?
Card. Arinze: Solo Dio sa cosa sarebbe successo. Possiamo forse intuirlo. Certo la Chiesa
avrebbe avuto forte difficoltà a vivere con il mondo di oggi. La storia non si ferma, il mondo con-
8
tinua con quanto ha di positivo e negativo.
Quella ribellione del 68 ha toccato le università, ma anche i sacerdoti e i seminari, non ha
risparmiato nessuno. E’ stata una prova dura,
anche per i genitori perché i figli si ribellavano.
Il che modo il Concilio Vaticano II ha contribuito alla crescita della Chiesa?
Card. Arinze: Il Concilio Vaticano II ha fornito
molti strumenti alla Chiesa per aiutarla ad affrontare e piuttosto incontrare il mondo d’oggi. Per
guardare il mondo non come un nemico, ma come
pellegrini che incontrano la vita. Come si vede
nel documento conciliare Gaudium et Spes, la
Chiesa vuole alimentare la speranza, vuole aiutare il mondo realizzare i progetti che hanno senso e valori. Noi non siamo del mondo ma stiamo nel mondo. La Basilica di san Pietro non è
solo una sacrestia da riempire con i cristiani, i
fedeli cattolici devono stare ovunque. La Chiesa
deve incontrare il mondo di oggi, i popoli, le lingue, le usanze, siano o no in linea con il Vangelo.
Deve incontrare anche le altre religioni, musulmane, buddiste, ecc. Il Concilio ci ha aiutato a
trovare l’uomo e i giovani con le loro domande.
Quali sono le difficoltà per la realizzazione
degli insegnamenti del Concilio?
Card. Arinze: La difficoltà maggiore è rappresentata dal fatto che molte persone non hanno
letto né leggono i documenti del Concilio. Parlano
perché ‘hanno sentito dire’ e credono
al commento negativo di qualcuno,
mentre la cosa che si dovrebbe
fare è leggere i documenti del
Concilio. Questo vale anche
per me che ho partecipato all’ultima sessione quando la metà
dei documenti erano già stati discussi e realizzati.
Un altro grande ostacolo è rappresentato
dai pregiudizi.
Alcune persone
hanno idee
fisse, e
espri-
Novembre
2015
mono un giudizio prima ancora di leggere i documenti. Così pur non conoscendo abbastanza il
Concilio Vaticano II chiedono il Vaticano III, o
IV.
E le critiche?
Card. Arinze: Ci sono alcuni che leggono i documenti per cercare di confermare la loro ideologia. Se c’é una riga che non sembra essere vicina alle loro aspirazioni, lasciano subito, e non
vogliono leggere più per paura di vedere le loro
tesi messe in discussione. Leggere con la mente aperta i sedici documenti del Concilio genera una visione positiva e gioiosa.
Oggi a cinquanta anni del Concilio c’é più
maturazione? Si riesce a capire meglio?
Card. Arinze: Sì è possibile, sempre che la persona guardi al Concilio senza pregiudizi, e non
abbia paura di scoprire ciò che si è veramente
detto. La persona che legge i documenti del
Concilio capisce che la Chiesa è divina e umana, con elementi divini che mai falliscono ed elementi umani che possono venire meno.
Non pretendiamo che il Vaticano II abbia risolto tutti i problemi dell’umanità. Un bel giorno ci
sarà anche un Vaticano III, non bisogna pensare che sia una Chiesa nuova, diversa da quella preconciliare. E’ la stessa Chiesa che progredisce
pel capire il Vangelo e testimoniare Gesù.
Eminenza, lei non ha l’impressione
che a volte chi chiede un Vaticano
III in fondo vuole un’altra
Chiesa?
Card. Arinze: Non possiamo non sospettare questo, anche se dobbiamo credere che questa persona sia onesta. Vorrei chiedere a questa persona: ‘Ha letto e digerito il Vaticano II? O c’é
qualche altra cosa che tu vuoi e come il Vaticano
II non lo ha detto pensi a un Vaticano III? Non
possiamo avere un Concilio ogni settimana. C’è
anche il Sinodo dei Vescovi che si tiene circa
ogni tre anni.
Ci sono cose che neanche un Concilio può
cambiare?
Card. Arinze: Sì, per esempio i dieci comandamenti.
Cosa immagina per il futuro?
Card. Arinze: Il Concilio ha aiutato la Chiesa
a porsi davanti alla realtà del mondo di oggi. Dobbiamo
trovare in Cristo la chiave per testimoniare. Non
siamo noi a inventare la Chiesa, ma Gesù, e il
Concilio ci aiuta in diversi modi anche a incontrare l’altro cristiano che non è cattolico. L’altro
credente e il non credente. Questa apertura è
preziosissima, senza per questo dubitare mai
nella nostra fede. Chi dubita della fede in Cristo
ha perso l’identità cristiana, come un cittadino
che ha perso il senso del suo paese, non può
essere ambasciatore.
In che modo il Concilio ha guardato a Maria?
Card. Arinze: Il Concilio ci ha orientato benissimo su come capire meglio la Madre di Dio,
Maria Santissima, nel contesto di tutta la Chiesa
e nel contesto di Cristo. Come Madre di Cristo
e figura della Chiesa. Per questo il Concilio non
ha voluto discutere su una mariologia separata dalla ecclesiologia. E ha chiarito che non siamo noi a fare grande Maria, ma è stato Dio a
fare grandi cose per Lei.
La devozione mariana riconosce questa grandezza già esistente. Un cristiano che non venera Maria Santissima deve essere invitato a leggere il capitolo VIII della Lumen Gentium, e se
questo non basta, può leggere Matteo e Luca
nei primi due capitoli del Vangelo, o anche il
capitolo XIX di Giovanni.
Al Sinodo si è parlato molto della confessione come strumento di nuova evangelizzazione
Card. Arinze: Come possiamo testimoniare o
predicare Gesù se non ci siamo convertiti? Lui
ci invita: “Convertitevi e credete al Vangelo”, e
ci ha detto se non fate penitenza non vi salverete. La confessione non è facoltativa. E’ il grande sacramento del popolo di Dio per la riconciliazione e la pace. Andare a confessarsi davanti a Dio non è come farlo in un tribunale nel quale l’imputato nega tutte le accuse, dice che non
era presente lì quel giorno.
La confessione significa ammettere: “per colpa
mia”. Non per colpa del governo o di mia suocera. Chi accetta di essere colpevole accetta di
cambiare vita, poi va a casa con la pace interiore. A volte chi non vuole confessarsi va dallo psichiatra o dallo psicoanalista, paga una bella somma, e non si porta il perdono.
Novembre
2015
Costantino Coros
alvaguardare il Creato, sradicare la povertà, porre attenzione alle diseguaglianze, modificare i modelli di consumo. Questi, in estrema sintesi, gli obiettivi dell’Enciclica “Laudato Sì”
di Papa Francesco, presentata lo scorso 18 giugno all’Aula Nuova del Sinodo nella Città del Vaticano.
“E’ un documento davvero unico in quanto unisce i concetti di fede e morale, ingegnosità e ragione”1. E’ permeato da un costante richiamo all’importanza della centralità della persona e all’investimento
sul suo benessere che riguarda il rispetto dell’ambiente
in cui vive: la Terra. A fondamento dell’Enciclica
è posto il concetto di “Ecologia integrale”.
Si tratta di una “ecologia che parla di cultura, che
unisce ambiente, economia e aspetti sociali, che
invoca una giustizia intergenerazionale, che fissa il bene comune2 come priorità assoluta e si
spinge a diventare ecologia dell’anima, a livello
tanto spirituale quanto esistenziale”3.
“Oggi, pensando al bene comune - scrive Papa
Francesco - abbiamo bisogno in modo ineludibile che la politica e l’economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana” (n. 189 - Laudato Sì).
L’Enciclica porta dentro si sé un messaggio molto importante: ci dice che tecnologia e scienza
possono andare insieme alla fede, all’etica ed ai
valori del cristianesimo.
L’umanità se riesce a praticare concretamente i
verbi dell’educare, del donare, del cooperare, del
curare, del pregare e del recuperare può costruire un futuro migliore per i suoi figli.
Sua Eminenza, il Card. Kodwo Appiah Turkson,
nel corso della presentazione dell’Enciclica ha sottolineato che il riferimento a san Francesco indica anche l’atteggiamento su cui si fonda tutta l’Enciclica:
quello della contemplazione orante. E’ un invito
a guardare al «poverello di Assisi» come a una
fonte d’ispirazione. San Francesco è «l’esempio
per eccellenza della cura per ciò che è debole e
di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità. […] In lui si riscontra fino a che punto sono
inseparabili la preoccupazione per la natura, la
giustizia verso i poveri, l’impegno nella società
e la pace interiore» (n. 10 - Laudato Sì).
Oggi la terra, nostra sorella, maltrattata e saccheggiata, si lamenta; e i suoi gemiti si uniscono a quelli di tutti i poveri e di tutti gli «scartati»
del mondo. Papa Francesco invita ad ascoltarli,
sollecitando tutti e ciascuno - singoli, famiglie, collettività locali, nazioni e comunità internazionale
- a una «conversione ecologica», secondo l’espressione
di san Giovanni Paolo II, cioè a «cambiare rotta», assumendo la responsabilità e la bellezza
di un impegno per la «cura della casa comune».
Papa Francesco riconosce che nel mondo si va
diffondendo la sensibilità per l’ambiente e la preoccupazione per i danni che esso sta subendo. Il
Papa mantiene uno sguardo di fiduciosa speranza
sulla possibilità di invertire la rotta: «L’umanità ha
ancora la capacità di collaborare per costruire la
nostra casa comune» (n. 13 - Laudato Sì); «l’essere umano è ancora capace di intervenire positivamente» (n. 58 - Laudato Sì); «non tutto è perduto, perché gli esseri umani, capaci di degradarsi fino all’estremo, possono anche superarsi,
S
9
ritornare a scegliere il bene
e rigenerarsi» (n. 205 Laudato Sì).
Il concetto di ecologia
integrale è il paradigma
in grado di articolare le relazioni fondamentali della persona con Dio, con se
stessa, con gli altri esseri umani, con il creato.
Il Santo Padre al n. 139
scrive: «quando parliamo
di “ambiente” facciamo
riferimento anche a una
particolare relazione:
quella tra la natura e
la società che la abita. Questo ci impedisce di considerare la natura come
qualcosa di separato
da noi o come una
mera cornice della
nostra vita. Siamo
inclusi in essa, siamo parte di essa e
ne siamo compenetrati. Le ragioni per
le quali un luogo viene inquinato richiedono un’analisi del funzionamento della società, della sua
economia, del suo comportamento, dei suoi modi
di comprendere la realtà. Data l’ampiezza dei cambiamenti, non è più possibile trovare una risposta specifica e indipendente per ogni singola parte del problema. È fondamentale cercare soluzioni integrali, che considerino le interazioni dei
sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali. Non
ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socioambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura».
“Tutto il Creato è permeato da Dio. Quando si rompe la relazione tra l’uomo e Dio si genera il peccato. Questa rottura della relazione è dovuta all’individualismo. Il ‘peccato ecologico’ è non soltanto
contro Dio, ma anche contro il nostro vicino e le
future generazioni”4.
La testimonianza di san Francesco ci mostra che
la povertà e l’austerità da lui praticata e predicata “non erano un ascetismo solamente esteriore, ma qualcosa di più radicale: una rinuncia
a fare della realtà un mero oggetto di uso e di
dominio” (n. 11 - Laudato Sì). L’umanità è chiamata farsi carico con responsabilità di proteggere
l’ambiente, ma per far questo deve tenere che
essa non può essere “solo assicurata sulla base
del calcolo finanziario di costi e benefici.
L’ambiente è uno di quei beni che i meccanismi
del mercato non sono in grado di difendere o di
promuovere adeguatamente»5 (n. 190).
Il Papa chiama tutti ad una ‘conversione ecologica’. Questo vale sia per le persone sia per le
aziende. “L’Enciclica invita il mondo degli affari
ad essere parte della soluzione. Sottolinea il fatto che non bisogna dipendere in modo eccessi-
vo dalla tecnologia. Questa
deve essere al servizio dell’umanità e guidata da principi morali. Oggi, per le
imprese, conta molto,
come esse operano
sotto il profilo della produzione e dell’attenzione alla cura
dell’ambiente.
Comportamenti che
ne qualificano la reputazione molto di più del
brand e del marketing”6.
Per questo “gli sforzi per un uso sostenibile delle risorse naturali non sono una spesa inutile, bensì un
investimento che potrà
offrire altri benefici economici a medio termine. Se non abbiamo ristrettezze di
vedute, possiamo
scoprire che la diversificazione di una
produzione più innovativa e con minore
impatto ambientale, può essere molto redditizia.
Si tratta di aprire la strada a opportunità differenti,
che non implicano di fermare la creatività umana e il suo sogno di progresso, ma piuttosto di
incanalare tale energia in modo nuovo” (n. 191).
Per raggiungere questo obbiettivo c’è bisogno di
una “politica che pensi con una visione più ampia
e che porti avanti un nuovo approccio integrale,
includendo in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi” (n. 197). Secondo il racconto
biblico della creazione “Dio pose l’essere umano nel giardino appena creato (cfr Gen 2,15) non
solo per prendersi cura dell’esistente (custodire),
ma per lavorarvi affinché producesse frutti (coltivare). Così gli operai e gli artigiani «assicurano la creazione eterna » (Sir 38,34). In realtà, l’intervento umano che favorisce il prudente sviluppo
del creato è il modo più adeguato di prendersene cura, perché implica il porsi come strumento
di Dio per aiutare a far emergere le potenzialità
che Egli stesso ha inscritto nelle cose: «Il Signore
ha creato medicamenti dalla terra, l’uomo assennato non li disprezza» (Sir 38,4) - (n. 124).
Ciò implica una conversione del cuore e dell’anima per “vivere la vocazione di essere custodi
dell’opera di Dio” come parte essenziale di “un’esistenza virtuosa” non interpretata come qualcosa
di opzionale e nemmeno come aspetto secondario dell’esperienza cristiana (n. 217). Una sana
relazione col creato è dimensione della conversione integrale della persona (n. 218).
Questo ci insegna san Francesco. “Per il credente,
il mondo non si contempla dal di fuori ma dal di
dentro, riconoscendo i legami con i quali il Padre
ci ha unito a tutti gli esseri” (n. 220). Ciascun credente “non interpreta a propria superiorità come
motivo di gloria personale o di dominio irresponsabile,
ma come una diversa capacita che a sua volta
continua a pag. 10
Nell’immagine del titolo: La creazione, opera pittorica di Piet Glober.
Novembre
2015
10
Sara Gilotta
I
l Sinodo sulla famiglia
e i suoi contenuti, credo, possano essere
motivo importante
per
riflettere sulla condizione
della famiglia oggi e sulla necessità che tocca tutti, ma
soprattutto i giovani di
saper e di volere agire, in
modo da scegliere il cammino
più opportuno per avere
ancora fiducia nella “istituzione”
famiglia. Ma che cosa oggi
si intende per famiglia e, soprattutto, è sufficiente considerarla entro i “limiti” della tradizione? Perché non può non
essere trascurato il fatto certo che essa, come tutte le
realtà e le istituzioni umane,
va considerata non solo in
relazione a quei principi religiosi che regolano la vita di chi ha fede, ma
forse innanzitutto inserendo la famiglia stessa nel tempo in cui vive e si
esprime, sia per quanto riguarda il rapporto con il mondo esterno, sia per
quello tra i diversi membri che formano il nucleo familiare, con la reciprocità di ruoli, che via via la caratterizzano e la modificano. Anzi a questo proposito può essere molto interessante riflettere sulle origini stesse
della famiglia, che, come sembra, non nacque con l’uomo, ma costituì senza dubbio una parte essenziale della sua storia.
Non a caso Foscolo dice che il passaggio dalla condizione ferina dell’umanità a quella che, a buon diritto, può considerasi l’inizio della civiltà si
deve all’istituzione della religione, delle leggi e , appunto del matrimonio,
o forse sarebbe meglio dire della coppia stabile di un uomo e di una donna. Situazione che contribuì anche ad un genere di vita più stanziale, ma
che si fondò essenzialmente sul “lavoro” della donna volto a convincere
l’uomo con cui aveva generato un figlio, non solo a tornare da lei per portare i frutti della caccia, ma a fermarsi presso di lei e i figli sempre più a
lungo. E’ questo uno studio celebre di Luigi Zoja, che però non spiega
ancora la nascita della famiglia vera e propria. Perché, per parlare di famiglia, è necessario inserirla nella società, qualunque essa sia e in un insieme di norme e di leggi che hanno contribuito a rafforzarla e a difenderla
da forze centrifughe comunque sempre esistite.
Ed è da qui che, secondo me, è necessario partire per considerare le luci
e le ombre , che toccano la famiglia della prima metà del XXI secolo. I
problemi, le difficoltà che la investono sono senza alcun dubbio molti, tuttavia, credo che il primo riguardi in modo ineludibile la vita di ogni uomo
e di ogni donna con il carico di aspettative esistenziali che caratterizza
la realtà di tutti cambiata nel tempo davvero nel profondo, senza lasciare, se così si può dire, nemmeno qualche traccia del passato anche assai
recente .Intendo dire che oggi parlare della famiglia cosiddetta patriarcale che pure costituì senza dubbio uno dei baluardi più efficienti di molte società, non è più possibile. Perché quelle che erano considerate le
“funzioni”specifiche del padre e della madre, si sono certamente affievo-
lite e confuse, conducendo
la famiglia tutta in modo inconfutabile ad una instabilità e
debolezza sempre più evidenti.
D’altra parte la società contemporanea è divenuta una
società “a valenza orizzontale”, in cui persino il criterio di autorevolezza viene riconosciuto con estrema difficoltà e non solo dai
giovani. Così se alla madre
è rimasto il ruolo naturale
di colei che risponde ai bisogni fondamentali del figlio,
al padre è rimasto ben poco
e per di più è lui che deve
voler continuamente edificare il proprio ruolo di guida, oltre che di amico.
Oggi le regole su cui si fondava l’educazione dei giovani di ambo i sessi e che erano valide, pur nei naturali mutamenti, sino
a qualche anno fa, sono state travolte da un mondo che non riconosce
e che, quindi, non accetta se non ciò che è o appare più facile o più adatto a confrontarsi e contemporaneamente ad adeguarsi con il mondo esterno spesso mancando della capacità culturale e morale di riconoscere davvero se stesso e perciò l’altro, a cominciare da chi è più prossimo a chi
è più lontano.
E’ questo, secondo me, il primo grande problema da affrontare, perché il
matrimonio può funzionare solo se i coniugi per primi si riconoscono , si
rispettano ed ancor di più si aiutano reciprocamente anche nella più piccola delle quotidianità. E’ a tutto ciò che la Chiesa con il suo Sinodo deve
aiutarci a guardare, se, come già è accaduto spesso nella storia, vuole
aiutare la famiglia a ricostruirsi e a rafforzarsi.
Questo, secondo me, deve essere il cammino che chiunque voglia sottrarre la famiglia ad un declino irreversibile, deve voler percorrere. Deve,
infatti, aiutare i giovani a non temere più, come accade già da tempo,il
“per sempre” che il matrimonio religioso giustamente pretende , anzi far
riferimento ad esso, per farlo diventare mezzo innanzitutto di educazione e crescita personale e poi sociale e familiare. Indubbiamente una sfida non facile, se si guarda con lucidità alla situazione nella quale siamo
tutti egualmente immersi. In essa persino il concetto di amore è indebolito, perché dove prevale l’egotismo, naturalmente l’ amore che è incontro basato per sua natura sulla generosità, sul rispetto ed anche sul
sacrificio, soffre e finisce irrimediabilmente per logorarsi. E la Chiesa, come
e molto più di sempre, deve assegnarsi un compito assai importante che
è quello, secondo me, non solo della difesa della famiglia, ma di una rieducazione di tutti forse cominciando dai bambini e dalle bambine, cui deve
saper chiarire il vero ruolo che ciascuno deve ricoprire nella società, non
al fine di alzare nuovi steccati tra i sessi, ma, anzi, per insegnare che collaborazione e rispetto non sono segno di debolezza, ma di reciproca formazione, da cui solo può nascere una società e, quindi, una famiglia più
forte e consapevole.
segue da pag. 9
gli impone una grave responsabilità che deriva
dalla sua fede” (n. 220).
“Il mondo è qualcosa di più che un problema da
risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo
nella letizia e nella lode” (n. 12).
1
Passaggio dell’intervento in conferenza stampa a cura del Prof.
Hans Joachim (John) Schellnhuber, fondatore e direttore del Potsdam
Institute for Climate Impact Research.
2
“L’enciclica ci chiama a praticare il bene comune: la città e l’ambiente sono la casa comune. Viviamo spesso itinerari umani, frammentati e contradditori. Ognuno cerca di salvarsi nel proprio angolo. Ognuno persegue il proprio interesse. Ma c’è una “salvezza
comunitaria”, che parte dall’inclusione dei deboli, preziosa risorsa di ecologia integrale. “E’ questo – ha detto papa Francescoil tipo di mondo che desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo”. A tutti, allora, è chiesta una conversione alla costruzione responsabile della casa comune”. Valeria Martano, insegnante delle periferie romane, in occasione della conferenza stampa di presentazione dell’Enciclica.
3
Carlo Petrini in Vita Pastorale n.8/2015, pag. 21.
Passaggio della riflessione di Sua Eminenza il Metropolita di
Pergamo, John Zizioulas, svolta in occasione della presentazione dell’Enciclica “Laudato Sì”.
5
Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 470.
6
Passaggio dell’intervento della prof.ssa Carolyn Woo, presidente
dei Servizi di Soccorso cattolici, ed ex-decana del Mendoza College
of Business, dell’Università Notre Dame in occasione della conferenza stampa di presentazione della Laudato Sì.
4
Novembre
2015
11
Giorgio Bernardelli*
Su questo tema nella Chiesa dovrebbero
essere le famiglie molto più dei preti a parlarne.
Per cercare nella vita concreta la strada per un
incontro vero e aperto davvero al mistero.
«Alcuni nostri amici stavano organizzando il loro
raduno natalizio di famiglia quando il loro figlio
gay ha detto che voleva portare anche il suo partner. Queste persone credevano pienamente nell’insegnamento della Chiesa ed erano consapevoli
che i loro nipoti li avrebbero visti accogliere il figlio
e il suo partner in famiglia. La loro risposta si può
riassumere in tre parole: “È nostro figlio”». Ve la
ricordate questa frase? E vi ricordate anche dove
venne pronunciata? Eccovi un piccolo pro-memoria: accadeva giusto un anno fa, in Vaticano, nell’aula del Sinodo (non fuori) dove come ricorderete
si stava già discutendo di famiglia. Per essere
precisi la pronunciò la prima coppia che - in qualità di uditrice - prese la parola: i coniugi australiani Ron e Mavis Pirola, sposi con 55 anni di matrimonio alle spalle. E fu pronunciata nell’ambito
di un intervento che diceva anche tante altre cose
importanti sul tema dell’attrazione sessuale
nella vita di coppia (e che - lasciatecelo ricordare
- noi di Vino Nuovo fummo tra i primi a rilanciare). Queste parole mi sono venute in mente ieri
mentre leggevo il clamoroso racconto di mons.
Krzysztof Charamsa sulla sua omosessualità, con
tanto di conferenza stampa alla vigilia dell’inizio
del nuovo Sinodo. Ci ripensavo e vi vedevo tutta la differenza tra due diversi approcci su un tema
che certamente come Chiesa facciamo ancora
(tutti) una gran fatica ad affrontare sul serio.
Da una parte la disarmante semplicità di una coppia che - a partire dal proprio vissuto di genitori - si dà una risposta che apre un cammino tutto da costruire.
Dall’altra il gesto plateale di un teologo fino a ieri
in uno dei dicasteri più in vista della Curia Romana,
che per porre il problema apre i cassetti di un
mondo che non scopriamo certo oggi come un
po’ troppo asfittico. E che - prendendo come metro
di giudizio la propria situazione (e probabilmente altre simili) - con l’intenzione di fare chiarezza mischia due questioni che sono tra loro diverse: l’atteggiamento della Chiesa verso le relazioni omosessuali e il celibato del clero.
Penso si intuisca chiaramente quale sia la mia
opinione sui due modi di impostare la questione. So di essere decisamente drastico, ma a me
pare di vedere nel coming out di mons.
Charamsa la quintessenza del clericalismo. Un
atteggiamento che non cambia per il solo fatto
di andare in scena in versione LGBT: la ricerca
di un pulpito bello grosso e ai primi vespri della
festa per fare chiarezza su una vicenda personale, il Vaticano (pubblico e privato) come solo
metro di misura per giudicare l’atteggiamento cattolico medio nei confronti di questo tema, la convinzione che se «un prete importante» si espone finalmente di questo tema nella Chiesa si parlerà. Ecco: io credo che questo modo di fare alla
fine non aiuti proprio nessuno a fare chiarezza.
Basta leggere le reazioni del giorno dopo per trovare sostanzialmente tre posizioni: gli entusiasti («finalmente qualcuno che ha il coraggio di
dire come stanno le cose»), i complottisti («ecco
che cosa si sono inventati per impallinare il Sinodo»)
e i flagellanti («ci mancava solo questa...»). Tralasciando
ovviamente la quarta che comunque gira in rete
- quella degli omofobi tout court - anche se alla
fine penso che oggi sia la categoria che gongola
di più, per il bersaglio ghiotto che si ritrova inaspettatamente tra le mani.
Mi chiedo allora: nell’accettazione (vera e reciproca) delle diversità, la Chiesa - e dentro di essa
la comunità omosessuale - hanno più possibilità di fare passi avanti con l’uscita del monsignore
o con il pranzo di Natale citato nella loro testimonianza un anno fa al Sinodo dai coniugi Pirola?
Ho già nelle orecchie l’obiezione: “ma quelli mica
stanno in Vaticano...”. Ecco, appunto. Io credo
che il problema stia qui piuttosto che altrove. Che
sia ora di portare davvero le famiglie in Vaticano
e non solo con la candela in mano in piazza San
Pietro. Di dare più spazio alla vita e alle relazioni
concrete (compresa un’affettività vissuta giorno
per giorno in un rapporto di coppia) che alle lezioni di antropologia nell’elaborazione del magistero.
Provo a dirlo in un altro modo, spero sufficientemente chiaro: ho l’impressione che su questo
tema dell’omosessualità dovrebbero essere le famiglie molto più dei preti a parlare. Non per il gusto
di mettere a tacere chi ha il colletto bianco, ma
perché nella propria esperienza c’è qualcosa che
dovrebbe renderle più aperte a farsi delle
domande sulla sfera sessuale nella vita delle persone. Certo, lo so anch’io che le famiglie oggi
vivono mille difficoltà. Ma chi se non loro - a partire dalle proprie storie concrete come quel pranzo di Natale - può raccontare che è possibile scoprire dei valori anche dentro una relazione omosessuale senza al contempo mettere in discussione l’unicità della propria vocazione, quella di
un uomo e una donna che hanno scelto nel matrimonio di aprirsi alla vita?
Certo non è un percorso facile. È più semplice
la strada del prete che in Vaticano se ne esce
allo scoperto con il più classico «ma sotto sotto qui fanno tutti così...».
Non so se sia vero oppure no, ma sarebbe comunque ora di spiegargli che il mondo non finisce in
Vaticano e nelle sagrestie. E che non può essere quello il punto di vista per affrontare una questione che è ben più vasta rispetto alla presunta non osservanza del celibato (omosessuale o
meno) da parte del clero.
È più semplice la strada delle famiglie che lo identificano immediatamente come l’unica mela
marcia, continuando a guardare a ciò che ha a
che fare con l’omosessualità come una forma di
aggressione. Continuare a dividere nettamente
il campo tra “noi” e “loro”. Salvo poi guardare con
commiserazione (o tenere ben nascosto) l’amico, il parente o la situazione che ci porta ad affrontare questo tema non per l’ultima polemica che
dilaga sul web, ma per qualcosa che ha a che
fare con la vita di qualcuno che conosciamo bene.
Ed è più semplice anche la strada di chi nel movimento LGBT oggi pensa che l’uscita di Charamsa
sia un successo. Smaschera alcune ipocrisie, certo. Ma aiuta davvero a capirsi reciprocamente?
O alla fine non diventerà un alibi in più per continuare a non confrontarsi sul serio sul significato
della sessualità nel progetto di Dio sull’uomo e
sul mondo? «È nostro figlio». Io credo che parta da qui l’unica strada che la Chiesa ha davanti per uscire dalle ambiguità nel rapporto con l’omosessualità.
Con «nostro figlio» è ora di cominciare a cercare
insieme una strada. Ci sono già esperienze importanti in questo senso (in Italia ad esempio questa). Facciamole dialogare con il vissuto delle nostre
famiglie. Proviamo con umiltà a porci delle domande insieme, prima di snocciolare risposte. È nostro
figlio, non il monsignore di turno che ce lo chiede. Perché non dovremmo rispondergli?
* da “Vino Nuovo”, 04 ottobre 2015
Nell’immagine del titolo: un’opera pittorica di Cuong Nguyen.
Novembre
2015
12
Marta Pietroni
C
orrado Augias deve aver
avuto la mia stessa curiosità se in una sua risposta apparsa su Repubblica lo
scorso 17 ottobre fa riferimento al medesimo annuncio
pubblicitario che ho reperito in
rete qualche giorno fa sul sito
di un’agenzia ucraina che “si prende cura dei casi più disperati
di infertilità”. Proprio sulla
homepage della clinica in questione si legge: “Auguroni!
Vogliamo fare i migliori auguri alla nostra cliente più matura, con i suoi 66 anni, ha dato
alla luce due splendidi gemelli sani, noi tutti ci uniamo alla
gioia di questo evento straordinario”.
L’annuncio prosegue specificando
le dinamiche di questa vicenda e scrivendo - riporto testualmente - “I nostri medici, dopo
attenta valutazione dello stato
fisico e degli esami della signora hanno ritenuto la paziente in ottima salute, quindi hanno optato per
il pacchetto successo bimbo sicuro”. Eh sì, perché curiosando ancora
sul sito, nella sezione servizi e costi troviamo “successo assicurato” a
9.900 euro, oppure vari pacchetti di maternità surrogata, la “economy”,
la “standard” o la “vip surrogacy”! Non posso negare o tacere di aver
provato un senso di profonda tristezza, seguita ad un’iniziale sentimento
di rabbia. I pacchetti offerte di cui stiamo parlando infatti hanno a che
fare con una merce molto particolare, una merce che sta trovando diffusione in un mercato sempre più ampio e ricercato, quello della produzione di bambini. Single, coppie sposate, coppie di fatto, coppie infertili, coppie omosessuali stanno rendendo la maternità surrogata una pratica molto richiesta, soprattutto all’estero.
Di maternità surrogata, anche detta utero in affitto, ne esistono diversi tipi: la maternità possiamo dire tradizionale, dove il bambino è concepito con l’ovulo della donna che per nove mesi sarà incinta; e quella gestazionale, nella quale la donna surrogata utilizza solo il suo utero, come fosse un’incubatrice. In questo caso il bambino concepito viene creato in laboratorio con ovuli e spermatozoi che possono derivare
dagli aspiranti genitori o da donatori esterni.
Questo tipo di maternità può inoltre essere in un certo modo altruistica quando questi nove mesi non vengono retribuiti o commerciale, quando si risponde con un compenso a tale servizio. In Italia, così come in
Spagna, Portogallo, Francia, Germania e Cina tale pratica è illegale in
tutte le forme. Nel Regno Unito, Irlanda, Danimarca e Belgio invece è
permessa solo nella forma “altruistica” e, oltre ai paesi che non hanno
una normativa specifica al riguardo, è legale nella forma commerciale
in India, Ucraina, Russia, Georgia e Stati Uniti.
E proprio dall’India e dall’Ucraina
deriva il maggior numero di maternità surrogate registrate.
Un alto numero di cittadini occidentali paga anche fino a 150
mila dollari per avere un figlio
con questo sistema.
Ovviamente dell’intera cifra
soltanto una piccola parte
andrà alla madre surrogata, in
India parliamo di somme che
si aggirano tra gli 800 e i 2.500
dollari. Il giro di affari nel
mondo oscilla intorno ai 6 miliardi di dollari.
In mezzo a queste cifre da capogiro ogni tanto capita che, a seguito di complicanze, qualche madre
surrogata possa morire, ma questo interessa meno, incidenti
di poco rilievo in un sistema così
redditizio. Ma le critiche che da
ogni parte dovrebbero sollevarsi
nei confronti di una pratica così
disumana e vergognosa per una
società civile trovano ancora molte resistenze perché si continua a far leva sull’orami usurato sentimento di condiscendenza di fronte a chi tanto desidera un figlio. L’immagine dell’aiutare a
diventare genitori, del permettere la nascita di una famiglia, di un figlio
e del dare gioia a chi non può avere bambini convince ancora molti. Il
desiderio di un figlio a tutti i costi in realtà sta diventando una sorta di
desiderio compulsivo contemporaneo ma neanche in nome di un atto
d’amore si dovrebbero giustificare queste pratiche.
In nome dell’amore si può legittimare ogni azione tecnicamente possibile? Nella società civile in realtà esistono già tante leggi che ci vietano di fare altrettante cose, cose che magari vorremmo fare proprio in
nome di un cosiddetto amore. Queste leggi si sono sviluppate negli anni,
gli uomini le hanno acquisite col tempo. Il processo di disvelamento dei
diritti dell’uomo è un lungo e complesso cammino di presa di coscienza politica e sociale e di fronte al presunto diritto al figlio bisognerebbe lottare con forza per il diritto del figlio, della vita umana generata
che sempre più viene considerata come un mero prodotto, ordinabile,
commissionabile. Questo è terrificante! Per non parlare dello sfruttamento animalesco al quale viene sottoposta una madre surrogata.
Un corpo pagato come fosse un mezzo. Un figlio pagato, acquistato.
La madre surrogata un’incubatrice vivente che finito il suo compito si
vedrà retribuita una parcella e potrà tornare alla sua vita. Porterà per
nove mesi un figlio nel grembo e una volta dato alla luce rinuncerà al
riconoscimento, come da contratto e non lo vedrà più. I danni psicologici che vivono queste donne, spinte nella maggior parte dei casi dalla miseria e dalla possibilità di cospicui guadagni, le conseguenze del
terribile distacco che si deve immediatamente avere con una creatura
appena data alla luce, il diritto alla verità sulla propria origine che il bambino dovrebbe avere sono fattori secondari per noi “moderni”, divencontinua nella pag. accanto
Novembre
2015
prof. Massimiliano Postorino
P
asseggiando con un mio giovane amico sulla riva del mare d’autunno, il vento come un caldo soffio sfiorava i nostri
volti e gli sguardi si perdevano come aironi all’orizzonte. Sulle ali del vento discutevamo , scaldati da un tiepido sole e rasserenati da un tramonto che rapiva i pensieri, sul significato dell’Anima.
Pieno di giovanile entusiasmo e sottile ingegno,
l’amico e allievo si dilettava, con sorriso ironico e sarcastico, a mettere in contraddizione il
mio spirito critico di severo analista e rigoroso
ricercatore con la mia reputata “credulità” nell’esistenza dell’anima umana.
Il punto cruciale del suo ragionamento era: come
può una persona che è assertore dei principi fisiologici della Medicina credere in un’entità mai dimostrata come l’anima? Come può un medico credere che esista una sorta di “coscienza oltre la
morte” ?. Quella giovane mente ancora non era
avvezza al fatto che esistono due livelli di conoscenza: quella del pensiero logico e matematico) e quello della Sensibilità (empatica ed indefinibile) .
Il concetto di Anima appartiene senz’altro al mondo effimero della Sensibilità e non dei Sensi e
diviene chiaro e percepibile ad ogni medico nel
momento in cui si trova a constatare un decesso: pur se in quell’istante non si è ancora rilevato la fine del battito cardiaco, si avverte la sensazione forte che davanti si ha un corpo privo
di vita, un insieme di membra in cui si è spenta una luce ed è rimasta materia inanimata.
Tuttavia, pur essendo questa esperienza comune a tutti i medici, rimane una sensazione soggettiva e nulla ci evidenzia e ci oggettiva un fenomeno scientificamente spiegabile.
13
In questi anni di personale formazione
medica cristiano-cattolica molte volte ho
cercato qualche dato oggettivo che
potesse almeno gettare le basi di una discussione scientifica sull’esistenza dell’anima
o , come in termini neurologici viene definita tecnicamente, di una “coscienza dopo
la morte”.
Per tale motivo molti medici cattolici o atei
, tra cui il sottoscritto, si sono occupati
della cosiddetta “Near death experience”
, cioè di “quegli stati che talora emergono
nel momento in cui un paziente è in uno
stato di morte cerebrale ed arresto cardiaco transitorio e dunque in una sorte
di morte clinica apparente.
La traduzione letteraria di Near death experience è “esperienza simile alla morte”
e si riferisce a quei racconti che da alcuni pazienti vengono illustrati dopo un episodio di morte apparente. Molti sono a
conoscenza di storie aneddotiche di individui, già dichiarati morti , che poi risvegliandosi riferiscono la visione e il ricordo di un tunnel luminoso, di uno stato sublime di benessere, di pensieri e memorie particolari che sono poi comuni e quasi identiche fra i vari pazienti, al punto
tale da considerarle oggetto di studio da
parte di neurofisiologi, rianimatori, ricercatori e filosofi della scienza.
Gli studi sono stati condotti a partire dagli
ultimi anni 90 e dobbiamo ancor oggi ammettere, dopo tanti esperimenti , che conosciamo come funziona il cervello umano, come nasce ogni singola immagine
sensoriale o astratta partendo dall’analisi delle cellule neuronali, ma non sapcontinua a pag. 14
segue da pag. 12
tati oramai tanto buoni e compassionevoli di fronte a chi, in fondo, desidera con tutto il cuore di avere un figlio da crescere e amare. Bene,
allora è davvero il caso di diventare un po’ “cattivi” e dire no.
Non si può fare. Perché se tu singolo individuo, accecato dal tuo desiderio non riesci a comprendere quanto sia sbagliato agire in tal modo,
la legge e la società civile non te lo può permettere. Non saremo al passo coi tempi, sembreremo fuori moda a sostenere ciò ma dovremmo
farlo con forza e determinazione perché neanche tutto l’amore verso
un figlio desiderato o verso una persona che tanto desidera un figlio
può superare il più gande amore dovuto, quello che si manifesta col
profondo ed incondizionato rispetto verso la vita umana, verso la persona, bambini, feti o embrioni che essi siano.
Un rispetto che significa non trasformare queste vite umani in merce,
in prodotti di laboratorio, cavie da esperimento, “oggetto” tanto desiderato che va a tutti i costi ottenuto. E mentre in Belgio si discute se
rendere legale la maternità surrogata, di fronte alla Conferenza dell’Aja
è stato presentato “No maternity traffic”, un documento che ne chiede
la messa al bando globale così come fatto col traffico di bambini.
Alla base la campagna “Stop Surrogacy Now”, lanciata l’11 maggio 2015
che unisce organizzazioni e individui che sostengono posizioni anche
molto diverse su altre questioni e temi cruciali come l’aborto, le unioni
omosessuali ecc. ma che hanno trovato un punto in comune proprio
nella lotta alla maternità surrogata e quindi alla mercificazione delle donne e dei loro corpi, alla trasformazione dei bambini in merci fatte su misura, alla trasformazione di una funzione biologica normale di un corpo
di donna in un contratto commerciale, ai rischi per la salute, alla rottura del legame primordiale tra madre e figlio.
Nel frattempo in Italia, in stile quasi romantico, c’è chi scrive dell’esperienza
“svelata” di una coppia omosessuale che è riuscita ad aggirare la legge grazie all’utero in affitto e, come scrive Valentina Calzavara, autrice dell’articolo apparso su “La Tribuna” di Treviso lo scorso 18 ottobre,
“ne è la prova il sorriso di una piccola di tredici mesi che muove i primi passi tenuta per mano dai suoi due papà”.
Per coronare il loro sogno di genitorialità i due si sono recati in California
dove hanno trovato una donna che ha loro dato gli ovuli e un’altra, già
sposata e madre di tre figli, che ha messo a disposizione l’utero. E di
fronte ad un sogno così grande, afferma uno dei due uomini, non c’è
prezzo che tenga. E possiamo affermare che è proprio così, non c’è
prezzo che tenga, neanche la dignità e il valore intangibile di altri esseri umani.
Nell’immagine del titolo: opera pittorica di Eduardo Narinjo
14
segue da pag. 13
piamo come poi queste immagini si organizzano
in un pensiero e le sue sensazioni.
E’ questa la differenza fra cervello e mente o
se vogliamo fra funzione cerebrale biologica e
coscienza astratta.
Per fare un paragone è come se con il cervello potessimo disegnare le singole note, ma poi
non sappiamo come e cosa le organizzi in una
melodia. Il concetto di coscienza nei suddetti
limiti neurofisiologici che pure non riescono a
spiegarla , assomiglia al concetto cristiano di
Anima, ma nell’accezione religiosa l’anima continua ad esistere oltre la morte, mentre la coscienza no. Facendo a questo punto riferimento alle
morti apparenti accertate, i pazienti riferiscono
di “uno stato di coscienza (con percezioni sensoriali e pensieri)” in un periodo in cui il cervello
o tutto l’individuo è di fatto clinicamente morto: se così fosse significherebbe ammettere uno
stato scientificamente inspiegabile di coscienza post-morte o anima nell’accezione religiosa.
Il più importante studio effettuato a riguardo risale al 2001 ed è stato pubblicato con il titolo “Near
death experience in survivors of cardiac arrest:
a prospective study in the Netherlands”1 sulla
rivista Lancet (dicembre 2001) che rappresenta una delle più autorevoli riviste scientifiche mondiali. L’autore (Pim van Lommel: rianimatore ed
ateo) ha analizzato 344 casi di morti apparenti: nel 18% dei casi (62 pazienti) hanno riferito
l’esperienza del tunnel luminoso, ma solo nel
12% (41 pazienti) hanno raccontato un’esperienza ancora più complessa.
Questi individui erano tutti soggetti con problematiche
cardiologiche, giunti in ospedale per arresto car-
Novembre
2015
diaco ed ai quali è stata eseguita una rianimazione
cardio-polmonare per trenta minuti.
Durante questo periodo è avvenuta la registrazione
elettroencefalografica che risultava piatta (morte cerebrale) ed elettrocardiografica, anch’essa piatta (morte cardiaca).
La quota di pazienti (41) che hanno sperimentato una morte apparente più lunga, hanno riferito un’esperienza sensoriale e di pensiero più
complessa: essi hanno parlato di un tunnel di
luce, di uno stato di benessere, di un flash che
riavvolgeva come un film le tappe più importanti
della loro vita, ma soprattutto ne dava un giudizio etico e di coscienza (bene e male).
Questi stessi hanno in alcuni casi riferito circa
episodi e persone della loro vita pregressa di
cui non potevano essere a conoscenza e ancor
più sorprendentemente, hanno riferito un’esperienza
extracorporea, nella quale si sono visti dall’esterno mentre venivano rianimati, riferendo frasi e situazioni accadute nei momenti nei quali
il loro cervello era documentalmente fermo.
Tali esperienze sono state indipendenti dall’età, sesso, estrazione sociale, tipo di religione
o ateismo.
In realtà i ricercatori hanno cercato di dare una
spiegazione scientifica, ma questa lascia un grosso buco nero. Se infatti è vero che alcune sostanze come LSD, serotonina oppure specifiche stimolazioni elettriche (per altro nessuna di uso
clinico durante la rianimazione) possano indurre immagini di luce e stati di benessere, in nessun modo è possibile indurre un’istantanea di
valutazione critica (bene o male) della propria
vita pregressa; inoltre queste stesse sostanze
possono indurre un’esperienza extracorporea
ma le immagini non corrispondono poi alla realtà dei fatti, mentre al contrario nelle morti apparenti le scene e i colloqui attorno al paziente,
avvenuti mente il cervello era di fatto spento,
corrispondono alla realtà.
La scienza a questo punto si ferma e può solo
affermare che lo “stato di coscienza post-morte può avvenire ma non è dato sapere in che
modo sia possibile in quanto la sua esistenza
nega le leggi naturali, fisiche e chimiche, della fisiologia umana”2.
Alla luce di questi discorsi lo sguardo del mio
allievo aveva perso il sorriso faceto di prima e
con il pensiero stupito guardava l’orizzonte al
tramonto, mentre il suo aspetto si era fatto d’un
tratto molto serio.
“Stat rosa pristina nomine, sed nomina nuda tenemus”, la rosa esiste così come noi la percepiamo, ma poi il cervello le dona un nome e nel
volerla comprendere, come l’anima, perdiamo
la sua intrinseca poesia.
Riferimenti bibliografici:
1
“Near death experience in survivors of cardiac arrest:
a prospective study in the Netherlands”,
Lancet, dicembre 2001, Pim van Lommel et al.
2
“Sorella morte corporale: la scienza e l’aldilà”, autore Francesco
Agnoli, editrice La fontana di Siloe, 2014.
Nell’immagine del titolo: Ascesa nell’Empireo,
Hieronymus Bosch.
Novembre
2015
15
Claudio Gessi
abato 17 ottobre, si è svolta a Colleferro,
presso la Parrocchia di S. Barbara,
la 7a Giornata Diocesana della
Custodia del Creato. Il tema della iniziativa è stato quello indicato dalla Commissione
Episcopale per i Problemi Sociali e il Lavoro,
Giustizia e Pace, Custodia del Creato, unitamente alla Commissione Episcopale
per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso:
UN UMANO RINNOVATO PER ABITARE
LA TERRA. L’incontro, che ha visto la partecipazione di circa 60 persone, dopo un
saluto di Don Luciano Lepore, parroco ospitante, è stato introdotto dal diacono Vito Cataldi,
incaricato diocesano per la Pastorale
Sociale e il Lavoro.
Nel suo pur breve intervento, Cataldi ha messo in forte connessione il tema della Giornata con
l’ultima Enciclica di Papa Francesco LAUDATO
SI’, illustrando poi quale sarebbe stata la dinamica dell’incontro. Di seguito, ha preso la parola il nostro vescovo diocesano. Nella sua lunga
ed articolata relazione, una vera e propria LECTIO MAGISTRALIS sull’Enciclica sulla CURA DELLA CASA COMUNE, Mons. Apicella ha ripercorso,
con parole chiare e di piena comprensibilità, i
tratti salienti del documento papale, analizzando punto per punto i 6 capitoli di cui si compone l’enciclica.
Il vescovo, in particolare, si è soffermato sui punti che determinano la colonna portante dell’enciclica: l’inquinamento e i cambiamenti climatici
con le responsabilità dirette dell’uomo sulle situazioni di crisi ambientale oggi diventate emergenza,
la rilettura sapienziale della Sacra Scrittura sulla Creazione, pregi e difetti della Tecnocrazia, i
rischi insiti nella cultura dell’Antropocentrismo, il
S
valore irrinunciabile di una Ecologia Integrale quale unica via di uscita dalla crisi ambientale, il Dialogo
tra i vari livelli di responsabilità quale strumento
privilegiato per trovare le soluzioni più idonee, il
valore della Educazione per una vera Conversione
Ecologica, la necessità di ripensare a Stili di Vita
più sobri e rispettosi della natura. E’ toccato a Claudio
Gessi, Direttore della Commissione Regionale per
la Pastorale Sociale e il Lavoro, diretta emanazione della Conferenza Episcopale Laziale,
chiudere i lavori, incentrando il suo intervento sulle “azioni concrete” che l’enciclica di Papa Francesco
chiede di operare sul nostro territorio, con particolare attenzione a quella che e ormai una vera
e propria emergenza ambientale nell’area della
Valle del Sacco.
Gessi, in primis, ha ribadito la linearità del pensiero e dell’azione pastorale di Papa Francesco,
evidenziando la stretta correlazione tra l’enciclica, la Esortazione Apostolica EVANGELII GAU-
DIUM. Ha poi discussione del prossimo Convegno
Ecclesiale nazionale di FIRENZE 2015 e con ha
puntato il dito principalmente sui temi a forte implicazione locale: dell’inquinamento ambientale, la
cui azione di recupero è ormai ferma da troppo
tempo, e sulla questione dell’acqua pubblica, bene
irrinunciabile di tutti, che invece rischia di diventare speculazione di pochi, in mano a veri e propri “poteri forti”.
Nonostante lo straripante successo del referendum, la strada intrapresa da molte amministrazioni pubbliche, lancia forti preoccupazioni su una
“gestione privatistica” delle risorse idriche. Alla fine
del suo intervento, il direttore regionale ha rilanciato la proposta di un PATTO EDUCATIVO tra
famiglia, chiesa, scuola, istituzioni pubbliche, associazionismo per uno sforzo comune in tema di
“conversione ecologica e nuovi stili di vita”. La
manifestazione si è conclusa con la S. Messa presieduta da Mons. Apicella.
Novembre
2015
16
Emanuela Nanni*
tto anni (2007-2015), otto candeline da
spegnere! Tante storie e tanti volti passati attraverso questa Casa. Per raccontarli
preferisco lasciare che due nostre amiche parlino con le loro storie: storie che narrano fragilità, ferite, ma nello stesso tempo la capacità
di riprendere coraggio e di rimettersi in piedi.
Storie che abbiamo accolto e condiviso nell’esperienza di Casa Nazareth e che certamente
meglio di me possono trasmettere il percorso
che si sta facendo: un percorso interiore e profondo che dice la vita scorre anche nel tempo
del deserto, o di ciò che sembra tale.
Passo la parola alla nostra I amica G.B.:
“Pensando a questo articolo, vorrei far capire
alle persone che lo leggeranno che la vita è una
sfida molto complicata, ma con una buona dose
di coraggio ed autostima si può superare (non
dico senza difficoltà) e con un po’ più di leggerezza.
Io sono una persona che trova la felicità nelle
piccole cose, questo mi riesce bene. Anche il
solo cantare a squarciagola una canzone con
gli amici facendomi sentire da tutti, quasi a voler
dire, a chi ci sente, che và tutto bene e che non
c’è nulla che non và, per non dare la soddisfazione,
a chi ci ha fatto soffrire, di vederci sfiniti.
Io parlo cosi, ma potrei essere anche una di quelle persone false che si approfittano degli altri
e poi li gettano come carta sporca,come coloro che hanno sempre vissuto nella bambagia.
E invece no! Sono una ragazza di 23 anni, che
O
si ritrova in una Casa Famiglia, perché credevo che a 17 anni avrei potuto cavarmela da sola,
lasciando la scuola al terzo anno, accorgendomi
poi, che mia madre non poteva tirare avanti me,
mio fratello e mio padre che il suo stipendio lo
buttava nelle slot machine. Cosi mi dissi che
dovevo trovare lavoro prima possibile, ma l’unico che trovai era un call center.
Non è andata come credevo, lo stipendio era
a provvigione ed io non ero brava a rompere
alle persone. Cosi lasciai il call center. Di li a
poco mio padre tradì mia madre, e lei scoprendolo
lo cacciò di casa, cosi rimanemmo solo io, mia
madre e mio fratello. Abbiamo avuto delle difficoltà economiche, a causa del solo stipendio
di mia madre, ci siamo fatti aiutare da sua madre
e acceso alcuni prestiti. Dopo un paio di mesi
mia madre trovò un compagno che l’aiutò a pagare i debiti e le diede una mano economicamente
per il nostro sostentamento.
Poco dopo decisero di andare ad abitare insieme portando anche noi. Non andò come tutti
speravamo, non era tutto rose e fiori sia perché il compagno di mia madre aveva sottovalutato il dover passare la vita con dei ragazzi
che non fossero suoi figli, e quindi non cresciuti
secondo le sue regole, sia perché le aspettative iniziali che riservavo in lui non sono state
soddisfatte. Cosi lui decise di andarsene ad abitare più vicino al suo lavoro al centro di Roma
con nostra madre. Io e mio fratello andammo
a vivere da nostra nonna e nostro padre.
Ma anche a loro non andava giù questa cosa
perché mio padre non voleva avere a carico i
suoi figli e nonna che ci aveva accolti in casa
ma non accettati perché per lei eravamo solo
un disturbo per la sua privacy di anziana, senza pensare che se io e mio fratello non fossimo stati lì, probabilmente avremmo dormito in
macchina. A lei questo non importava come non
interessava a mio padre che non faceva altro
che dare la colpa a nostra madre.
Nel frattempo nostro padre aveva perso anche
il lavoro a causa delle sue malattie. Cosi nostra
madre non poteva mantenerci ed è rimasta a
vivere con il compagno. Nel frattempo mia nonna materna si è ammalata e mia madre l’ha ricoverata in un istituto. Mio padre trovò una casa
per me e mio fratello e malgrado avesse promesso di pagarci le spese, tutto questo non si
realizzò. Io continuavo a cercare lavoro, ma tutto era difficilissimo.
Per sei mesi abbiamo abitato in quella casa senza corrente, acqua ecc. poi inevitabilmente abbiamo dovuto lasciarla e per una settimana e mezza abbiamo dormito in una macchina messaci
a disposizione da mia madre. Attraverso un amico di mio padre ci hanno trovato un posto in un
vecchio casale. Avevamo una stanza e la cucina in comune. Lì per la prima volta nella mia
vita ho sentito il calore di una famiglia.
Un giorno arrivò un amico del proprietario del
casale che ci provò con me. Lui aveva venti
anni più di me. Con il tempo ho scoperto che
mi piaceva e l’ho frequentato per due anni, anche
se sapevo che non era un tipo raccomandabicontinua nella pag. accanto
Novembre
2015
17
segue da pag. 16
le. Per tutto quel tempo ho vissuto male: con
delle abitudini sbagliate, bevevo, frequentavo
le discoteche e mi facevo le canne.
Una sera lui per gioco mi puntò il fucile contro,
alle spalle e partì un colpo. Fui ricoverata e restai
in coma dopo l’intervento alla testa. Ho fatto mesi
di riabilitazione ed ho sofferto dolori atroci. Ma
ho anche riscoperto la fede ed iniziato un cammino di conversione. Mai avrei pensato che da
quella situazione sarei riuscita a mettermi di nuovo in piedi. Mai avrei potuto immaginare che avrei
ricominciato a camminare finché non sono entrata in Casa Famiglia.
Oggi sono qui, e mi sto rendendo conto che posso farcela. Soprattutto a non fare nuovi sbagli
ma a cavarmela da sola”.
Dopo aver ascoltato G.B., passiamo ad un’altra storia che abbiamo incrociamo in questi anni
di Casa Nazareth. E’ raccontata da P.P.:
“Quindici anni di storia sofferta, ora finalmente la posso raccontare. Per tanti anni tra quelle mura subivo violenza fisica, morale e sessuale da un mostro, questo è il nome che gli
posso dare, perché la maggior parte lo faceva
d’avanti ad un bambino piccolo, nostro figlio.
Spesse volte andavo a finire in ospedale per
le botte che mi dava causandomi lividi sul mio
corpo e due volte mi ha rotto il timpano rischiando di non sentirci più. Il mostro quando ritornavo
la sera a casa solo perché non trovava l’acqua
in frigorifero iniziava a maltrattarmi puntandomi un coltello alla gola davanti al bambino che
piangeva. Cercava di difendermi e gli diceva:
< lascia stare mamma>, ma lui lo toglieva di mezzo prendendolo a brutte parole e diceva: <ci penso io ad ammazzare questa p.…. di tua madre>.
Io avevo definito la mia casa, la casa degli orrori. Avevamo paura di stare in quella casa.
Io avevo pensato sempre di andare via di casa.
Ma ai primi schiaffi ho pensato che era colpa
mia e ho cercato di evitare tutto ciò che gli dava
fastidio. Ho pensato anche che potesse cambiare perché quando l’ho conosciuto era un bravo ragazzo e riusciva anche a farmi stare bene.
Ad un certo punto mi accorgevo che era una
cosa più grande di me e non riuscivo a gestire la situazione che mi sfuggiva dalle mani. Spesso
si ubriacava e in più faceva uso di droghe.
A questo punto non sapevo più cosa dovevo
fare perché mi minacciava di brutto e la paura
era tanta. Ho pensato di andare via con il bambino, a questo pensiero mi prendeva la paura
che lui ritrovandomi mi avrebbe fatto del male.
Praticamente, secondo lui, me ne dovevo andare da sola lasciando mio figlio in mano a lui, che
lo stava addestrando nella strada peggiore che
possa esistere per una madre: la violenza su
di me, perché quando lui mi aggrediva, costringeva mio figlio a vedere la scena e a rifarlo.
Io sono cattolica e mi rivolgevo sempre al Signore
in preghiera di darmi la forza e l’energia di andare avanti con la speranza di trovare una soluzione perché stavo morendo giorno per giorno
e i miei occhi erano spenti il mio cuore batteva quasi per miracolo. Non sopportavo più che
mio figlio vedeva e sentiva quello che faceva
il padre e tutto quello che mi stava succedendo. Mi sono mi sono rivolta all’ assistente sociale e la sua risposta era di denunciarlo altrimenti
non potevano intervenire. Io avevo paura di farlo senza una protezione. Dopo ne ho parlato a
due sacerdoti, alla mia dottoressa: ogni volta
che andavo al pronto soccorso, ne ho parlato
anche all’assistente dell’ ospedale. Tutti dicevano che dovevo denunciarlo, ma non avevano un posto dove poi potevo andare a vivere
con mio figlio.
Il tempo passava ed io ancora mi trovavo dentro ad un tunnel senza vedere la luce. Un giorno mi sono recata ad uno studio legale. Anche
lì ho raccontato tutto e sono stata accompagnata
in questura: dove ho raccontato quello che mi
accadeva da qualche anno facendogli sentire
qualche registrazioni di come mi trattava verbalmente.Quando l’ispettore della questura mi
disse: “ ma tu sei pronta per fare la denuncia
e nel frattempo cerchiamo una casa d’accoglienza
per te e tuo figlio?”. Subito gli dissi di si, senza pensarci due volte. Avevo ancora paura se
si accorgeva di quello che stavo facendo, ma
non mi importava niente perché da quel giorno ho iniziato a vedere un piccolo un raggio di
luce e il mio cuore che faceva un battito in più.
Accarezzando mio figlio e stringendolo fra le mie
braccia con la le lacrime ai miei occhi rivolti al
cielo gli ho detto:” figlio mio questa volta ti prometto che ce la farò!”.
Il 14 di novembre 2014 ho fatto la denuncia nel
frattempo aspettavo la chiamata per andare via.
Il 19 di Novembre alle ore 9 sono andata via
di casa senza ripensamenti con mio figlio accompagnata dalla squadra mobile presso una casa
di accoglienza.
La sera mio figlio mi
ha detto: “mamma che
pace” ed io alzando
le braccia al cielo ho
esclamato “grazie
Dio, grazie alla Squadra
mobile e anche a
quell’avvocato”.
Passavano i giorni ed
ecco che da una
finestra ho visto un bel
raggio di sole che illuminava tutto.
Ho dovuto cambiare
due strutture per maggiore sicurezza mia e
di mio figlio. Ecco, passo dopo passo con tanto coraggio, ho iniziato
percorsi, affrontato
ostacoli, convivenze
forzate nelle strutture di accoglienza:
per me non è stato un
problema pur di arrivare alla indipendenza, alla libertà e
soprattutto alla nostra
felicità che vedo anco-
ra lontana. La vedo lontana perché mi rendo
conto che le donne non sono tutelate e ascoltate fino in fondo. Sono venuta a conoscenza
che ancora non c’è nessun provvedimento per
il mostro, ed ho ancora paura che un giorno arrivi prima da me e poi da mio figlio. Perché non
siamo in grado di mettere da parte le cose cattive? Nel mio piccolo orticello tolgo spesso l’erba cattiva per far crescere sane e belle le mie
piantine per non farle soffrire e poi morire.
A questo punto vorrei lanciare un appello a tutti coloro che fanno parte di questo contesto, di
provvedere al più presto possibile, di essere più
disponibili ad aiutare tutte le donne in difficoltà e di non permettere più che una donna con
i propri figli debba scappare via di casa e sentirci noi carcerate, vivere con mille difficoltà, affrontare ostacoli complicati per riprenderci la
nostra vita.
Vi prego in fine, noi donne quando chiediamo
aiuto, non ci dobbiamo sentire umiliate, ma ascoltate e protette ed aiutate fino in fondo. Grazie
a tutti quelli che fino ad ora mi hanno aiutata.
A questa casa e a chi fa in modo che continui
ad esistere per aiutare le donne come me”.
E’ vero che c’è sempre una speranza che è più
forte del dolore, delle ferite, e questa speranza sta dentro la vita “bella” delle persone incontrate in questi anni. Questa speranza la vogliamo festeggiare sabato 14 novembre p.v. presso la parrocchia di San Bruno a Colleferro
alle 17.00 con la celebrazione della Santa Messa
e a seguire con la Festa di…otto anni!
Vi aspettiamo!
*Caritas diocesana
Novembre
2015
18
don Antonio Galati
N
ell’articolo del mese scorso, che ha inaugurato questa serie
di interventi mensili sull’anno giubilare della misericordia, ci
si è soffermati sul fare un’introduzione generale sul senso del
giubileo, specialmente alla luce dell’origine ecclesiale di tale pratica,
che ha visto in Bonifacio VIII il suo iniziatore ufficiale. Tra le altre cose,
però, si è anche affermato che il giubileo, come tradizione religiosa,
ha le sue origini più antiche nei libri dell’Antico Testamento. Quello
che si vuole fare con questo intervento è quello di indicare quali siano queste origini e trarne delle indicazioni su come vivere il giubileo
che si aprirà il mese prossimo.
Il primo testo che si incontra, circa la pratica giubilare, è quello nel libro
del Levitico, cap. 25, versetti dall’8 al 13. La particolarità del testo è quella di avere un legame intrinseco con la pratica del riposo sabbatico, cioè
con il settimo giorno della settimana, quello in cui Dio si è riposato dopo
aver completato la creazione (cfr. Gn 2,2-3). Il testo inizia così: «Conterai
anche sette settimane di anni, cioè sette volte sette anni; queste sette
settimane di anni faranno un periodo di quarantanove anni. Al decimo
giorno del settimo mese, farai squillare la tromba dell’acclamazione; nel
giorno dell’espiazione farete squillare la tromba per tutto il paese. Dichiarerete
santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel paese per
tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo» (Lv 25,8-10).
Il testo precedente a questo citato riguarda la pratica dell’anno sabatico, cioè il settimo anno che chiude un ciclo di semina di sei anni, nel
quale gli israeliti dovevano lasciar riposare la terra e nutrirsi solo di quello che produceva, senza coltivarla (cfr. Lv 25,1-7). Insieme a questo tempo di sette anni, il Levitico ordina anche il riposo dopo sette settimane
di anni, cioè l’anno giubilare. La particolarità e la straordinarietà di questa pratica è data dal fatto che non solo è prescritto il riposo sabbatico
della terra come nel testo precedente.
In più l’anno giubilare è caratterizzato dalla liberazione e dalla restituzione della proprietà: «proclamerete la liberazione nel paese per tutti i
suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua
proprietà e nella sua famiglia. […] In quest’anno del giubileo, ciascuno
tornerà in possesso del suo» (Lv 25,10.13).
Senza dilungarsi troppo, perché lo spazio a disposizione non lo permette,
per comprendere il senso di queste prescrizioni è sufficiente considerare due cose: da una parte il fatto che gli israeliti non erano, o non si
dovevano considerare, proprietari della terra dove vivevano, perché quella terra, santa e promessa, è la terra di Dio - è Lui che l’ha consegnata alle tribù di Israele perché vi abitassero loro e i loro discendenti, ma
la proprietà resta di Dio -; d’altra parte è da considerare che, in caso di
indebitamenti che non potevano essere ripagati, era pratica dare in cambio le proprie proprietà e anche la propria libertà per saldare il debito
con il creditore. Ma la giustizia vuole che ogni discendente delle tribù
entrate in Palestina con l’Esodo possano abitare la terra data in eredità da Dio ai loro padri. Per questo motivo l’anno giubilare vuole introdurre questa pratica della libertà e della restituzione delle proprietà originarie: non essendo degli uomini, la terra che loro hanno può essere
data per ripagare il debito, ma fino ad un certo tempo, poi il ristabilimento
della giustizia originaria voluta da Dio chiede che quella terra torni ai legittimi proprietari e anche chi ha dato la propria libertà per pagare il debito deve tornare a poter usufruire liberamente della propria vita.
Da qui si comprende il senso profondo dell’anno giubilare: l’occasione
data agli uomini di Israele di ritornare a quella situazione originaria che
è quella voluta da Dio nella donazione e divisione della terra promessa
alle tribù fuggite dall’Egitto. In altre parole, l’occasione per ritornare allo
stato originale di giustizia.
Gli altri testi che trasmettono tradizioni simili sono individuabili fondamentalmente in Es 23,10s. e Nm 10,32 con la differenza che questi testi
non parlano dell’anno giubilare ogni cinquant’anni, cioè ogni sette settimane di anni, ma fanno riferimento, per il ristabilimento della giustizia,
all’anno sabbatico, cioè ogni settimo anno, come indicava la tradizione
di Lv 21,1-7. Ogni testo, inoltre, introduce delle novità. In quello dell’Esodo,
l’aspetto della giustizia sociale è sottolineato dal permettere agli indigenti
di mangiare del prodotto della terra che, negli altri sei anni invece, viene considerata proprietà di alcuni. In Neemia, invece, la caratteristica
dell’anno sabbatico è quella del condono dei debiti.
Per concludere, tralasciando le questioni più prettamente storiche e storiografiche dei testi, e le diverse specificità delle tradizioni, ciò che più
conta è che la tradizione del giubileo, anche quello cristiano, affonda le
sue radici nel ristabilimento di uno status prettamente sociale che permetta a tutti di riavere quegli stessi diritti e quelle stesse possibilità di
sopravvivenza che le vicende avverse della vita potrebbero aver negato. Nell’anno santo della misericordia, indetto da papa Francesco, forse c’è la possibilità di intervenire, come comunità cristiane, in questa direzione, esercitando anche questo tipo di misericordia più corporale e sociale, che ovviamente ha nel Vangelo la sua fonte. E se forse le nostre scelte per il ristabilimento di una giustizia sociale più equa potrebbero apparire ininfluenti a livello della società globalmente presa, saranno però fortemente influenti per coloro che saranno oggetto della nostra misericordia
– o meglio della misericordia di Dio che si esercita anche attraverso le
nostre scelte – per il ristabilimento della giustizia.
Nell’immagine del titolo:
Il riposo dello Shabbat, Samuel Hirszenberg, 1894.
Novembre
2015
Carlo Fatuzzo
«Ero straniero e
mi avete accolto»
(Matteo 25, 35).
I
l volto di Dio è dunque presente anche nello
straniero che bussa alla nostra porta
chiedendo un riparo, in chi sbarca sulle nostre
coste dopo aver affrontato il rischio di una morte
probabile in mare pur di fuggire da una morte
certa in patria, così come Gesù, Maria e Giuseppe
costretti a fuggire da Betlemme.
Di ospitalità si parla spesso nella Bibbia. Abramo
si mobilitò subito con sovrabbondante generosità
per tre sconosciuti ospiti piombatigli in casa
all’improvviso, proprio nell’ora in cui la calura
estiva mediorientale avrebbe potuto fargli
preferire egoisticamente una bella pennichella
pomeridiana (cfr. Genesi 18, 1-15). Ma in quell’ospite,
come sappiamo, c’era la presenza reale di Dio
venuto a visitarlo. Ciò divenne un esempio perenne
per tutti noi, come afferma il Nuovo Testamento
in riferimento a quell’episodio: «Non dimenticate
l’ospitalità: alcuni, praticandola, senza saperlo
hanno accolto degli angeli» (Ebrei 13, 2).
Similmente, esemplare è la meticolosità della
cura con la quale una donna di Sunem si occupò
un giorno di ospitare degnamente il profeta Eliseo.
Ella confidò al marito: «Io so che è un uomo
di Dio, un santo, colui che passa sempre da noi.
Facciamo una piccola stanza superiore, in muratura,
mettiamoci un letto, un tavolo, una sedia e un
candeliere; così, venendo da noi, vi si potrà ritirare»
(2 Re 4, 9-10).
Una “piccola stanza”, semplice ed essenziale,
con arredi minimi, eppure sufficiente per offrire
un dignitoso ricovero.
Già nell’Antico Testamento, Dio si autorivela all’uomo
con le prerogative di infinita bontà e
compassionevole misericordia che saranno poi
spiegate in pienezza con Gesù Cristo.
In particolare, Dio dimostra di voler difendere
e proteggere con una cura speciale le categorie
dell’umanità più deboli e indifese, più trascurate
dalla società umana e meno tutelate dalle leggi
civili. L’orfano, la vedova, il povero e lo
straniero immigrato, dunque, più esposti al rischio
di veder negato il proprio diritto inalienabile alla
sopravvivenza, sono marchiati dalla gelosa
predilezione di Dio ed Egli stesso invita più volte,
tramite la tuonante parola dei profeti, a
prendersene cura, quale vero culto e sacrificio
gradito a Lui.
Per far comprendere che l’accoglienza del profugo
straniero è prima di tutto un “debito” di
riconoscenza e giustizia di fronte a Dio, Egli ricorda
al Suo popolo che anch’esso è stato forestiero
in Egitto e ha beneficiato del favore divino per
essere affrancato. La xeniteia, lo stato di “straniero”
(in greco xenos) su questa terra, è nel DNA di
ogni uomo, come esprime bene una preghiera
contenuta nella Sacra Scrittura: «Noi siamo forestieri
davanti a Te e ospiti come tutti i nostri padri»
(1 Cronache 29, 15).
Gesù stesso, anche in questo caso, ha
sperimentato sulla propria pelle questa
condizione di disagio, di precarietà e di quella
19
mancanza di autosufficienza propria di chi non
possiede dimora e viene umiliato da porte sbattute
in faccia, sin dalla sua venuta sulla terra: sua
madre, la vergine Maria, infatti «lo pose in una
mangiatoia, perché per loro non c’era posto
nell’alloggio» (Luca 2, 7).
La situazione di Gesù rimane immutata anche
quando Egli diviene adulto: «Le volpi hanno le
loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il
Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo»
(Matteo 8, 20). Cristo ha sperimentato così la
necessità di venir accolto in casa altrui:
«Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio
e una donna, di nome Marta, lo ospitò» (Luca
10, 38).
Gesù mostra anche così, in fondo, di essersi
incarnato con una chiara identità di vero “ebreo”,
attributo la cui etimologia esprime proprio il significato
di “nomade”, “senza cittadinanza definitiva”, in
sostanza: straniero. E, poiché la nostra vera patria
non è sulla terra bensì in cielo, il Nuovo Testamento
ricorda che la solidarietà con ogni straniero riguarda
anche tutti noi cristiani: «Comportatevi con timore
di Dio nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri»
(1 Pietro 1, 17).
Nell’immagine sotto: Particolare del fregio, opere di misericordia: “Ospitare i pellegrini”, opera realizzata da
Giovanni Della Robbia e Santi Buglioni e Filippo Paladini, sec XVI,
Ospedale del Ceppo, Pistoia.
Novembre
2015
20
dott.ssa Chiara Molinari
ileggere il proprio matrimonio alla luce
della fede, è un passo da fare nel cammino diocesano, per rinvigorirla partendo dall’amore coniugale. L’uomo e la donna sono
immagine e somiglianza di Dio, partecipano della sua vita, respirano il suo respiro, sono Suoi
figli. E così, abitati dalla misericordia divina, abbiamo la possibilità di lasciar fluire il suo amore per
noi verso gli altri, attraverso le opere della misericordia. Per fare del bene bisogna avere un cuore generoso e buono, pensando alle necessità degli altri e fare qualcosa per loro.
L’amore coniugale si deve concretizzare in amore misericordioso, in un amore di autentica carità evangelica, in gesti di bontà, se infatti viviamo la misericordia che Gesù ci chiede di compiere, allora possiamo rinnovarci nell’anima e
nel corpo e in ogni cosa. E questo, nello specifico che caratterizza tale relazione umana: usare misericordia nella cura del coniuge (di crescita e di custodia), in ogni sua dimensione e
in ogni aspetto del legame; vivere di misericordia
accogliendo e educando nuove vite, proiettandole nel futuro.
Vivere da persone coniugate è partecipare a diffondere ovunque la Buona Notizia dell’Amore
di Dio. Ecco perché è così importante ricordare che il portare Cristo agli altri, e perché no al
proprio coniuge, è veritiero e fruttuoso solo se
si è completamente coinvolti, solo se tutta la propria persona si lascia compromettere.
Il messaggio dell’amore coniugale misericordioso
è presente nelle sette opere di misericordia divina, ci basti un elenco per farcene intuire le possibili applicazioni in ambito coniugale, riscopriamo
quelle corporali: dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi,
accogliere i forestieri, visitare gli infermi, visitare i carceri, seppellire i morti. E non dimentichiamo le opere di misericordia spirituale: consolare gli afflitti, insegnare agli ignoranti,
ammonire i peccatori, consigliare i dubbiosi, perdonare le offese, sopportare pazientemente le
persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i
morti. Quella della misericordia di Dio verso la
persona amata è la strada per compiere quel-
R
le opere di misericordia corporale e spirituale
che l’amore suggerisce in un’atmosfera di reciprocità, perché nella vita degli sposi si leggono tali opere, dar da mangiare e bere al proprio coniuge, vestire le sue nudità, aver cura
delle infermità del coniuge, seppellire le sue morti, consigliarlo, ammonire quel peccatore che hai
come sposo o sposa, consolare, sopportare, perdonare.
Riflettiamo sulle opere di misericordia, risvegliamo
la nostra coscienza spesso assopita davanti al
dramma della povertà, per entrare nel cuore del
Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della
misericordia divina. Il fatto che Gesù predica queste opere di misericordia è perché possiamo capire se viviamo o no come i suoi discepoli, se siamo in grado di compiere ogni giorno, alla persona amata, quelle opere di misericordia corporali e spirituali che l’amore di Dio suggerisce.
Lasciamo cadere la rabbia, il rancore per vivere felici, ascoltiamo la parola di Gesù che ha
posto come un ideale di vita e come
criterio di credibilità per la nostra
fede: “Beati i misericordiosi, perché
troveranno misericordia” (Mt 5,7).
Come è misericordioso Lui, così siamo chiamati ad esserlo verso la persona che ci sta accanto e verso gli
altri. L’amore coniugale è carità coniugale, gli sposi sono l’uno per l’altro, e per i figli, testimoni della salvezza, di cui il sacramento li rende partecipi. La capacità di Gesù
di entrare in un rapporto coniugale è una grazia, investe gli sposi
in modo illimitato, dona misericordia e crea un miracolo d’amore, di
serenità e pace.
E’ molto vero, dice il Papa, sembra che le opere di misericordia siano accessorie, un qualcosa riservato solo a qualcuno degli “addetti ai lavori”, diciamo che il cristiano non può essere uno specialista
della misericordia, noi siamo e saremo giudicati sulla misericordia.
La misericordia è poco presa in considerazione nel matrimonio, come
fosse qualcosa che riguarda qualcuno nello specifico, e invece riguarda tutti, non ha stagioni, anche
se il Giubileo si aprirà in
dicembre! Ecco che Papa
Francesco accompagna
questo invito a essere fraterni e solidali con un vocabolo: “calore”, il calore e
la tenerezza di Dio, che
ha quell’importanza come
si dicesse al coniuge: “Ti
voglio bene”.
Viviamo la via della misericordia nei nostri matrimoni,
ritroviamo i nostri cuori non
più aridi, ma aperti, alla commozione, all’affetto, al perdono. E’impensabile
una misericordia senza calore, perché il cuore
è calore, e se non c’è il cuore, e quindi il calore, non sapremo mai vedere un anziano che nella nostra visita ritrova forza e calore, e un marito, che già solo col suo sorriso, coi suoi occhi
che ti guardano e ti scaldano, valga più di qualunque altra cosa e fa capire come, se diamo
misericordia, la troveremo a nostra volta.
Una così bella frase tratta dalla Lettera di San
Paolo ai Corinzi, nella Bibbia, può aiutare a riflettere il senso della misericordia nell’amore coniugale, “L’amore è sempre paziente e gentile,
non è mai geloso. L’amore non è mai presuntuoso
o pieno di sé, non è mai scortese o egoista,
non si offende e non porta rancore. L’amore
non prova soddisfazione per i peccati altrui
ma si delizia della verità. E’ sempre pronto
a scusare, a dare fiducia, a sperare e a resistere a qualsiasi tempesta”.
Novembre
2015
21
il supporto di persone che in passato si erano
dimostrate amiche, si aggiungeva la paura di
veder scomparire una seconda volta Federico
non dalla vita domestica, ma dalla memoria di
chi dice di avergli voluto bene.
Donatella ancora una volta prende carta e penna e scrive, ancora una volta, sorretta più dalla fede in Dio che dal conforto dei conoscenti, dà segni di coraggio e di testarda volontà
nel protrarre i tempi della memoria: suo figlio
è vivo e continuerà a vivere nelle stanze in cui
suonò per sé e per gli altri della “bella musica”, continuerà a vivere Federico nella concretezza
dell’opera meravigliosa (Fondazione Argos).che
lo ha aiutato a crescere.
don Gaetano Zaralli
uella mattina Donatella aveva un problema in più: qualcuno le aveva detto di essere troppo legata al passato, troppo indaffarata a rimescolare i ricordi, troppo presa a parlare del figlio morto ormai da quasi due anni… “Che vuoi che importi più alla gente di Federico? Avrai le solite parole di compassione in risposta al tuo assillo e molti si gireranno dall’altra parte per non mostrare le loro
facce scocciate… Smettila, perciò, di agitarti
e pensa al futuro tuo e della tua famiglia!…”.
Non so se è crudeltà o buon senso sbattere in faccia a chi soffre per la perdita di una
persona cara, la poca voglia di ricordarla...
“La vita continua!…”, si dice, e la folla che
abbondante si stringe al dolore di una morte il giorno dei funerali, si scioglie presto nello spazio di poche ore.
Di Donatella conservo una lettera che ripropongo volentieri, trovandola particolarmente efficace ai fini della comprensione non solo
di chi è portatore di handicap, ma anche e
soprattutto dei genitori che con il disabile debbono convivere.
Q
Caro Don Gaetano,
sono la solita “Donatella”, come scrivi tu, sempre pronta a combattere.
Ho partecipato alla catechesi di sabato 24 gennaio… A 29 giorni dalla perdita di Federico e
dal grande vuoto lasciato, la mia rabbia
aumenta sempre di più nell’ascoltare certi genitori che pensano di capire o dare consigli a noi
mamme di ragazzi “diversi”. Auguro ad ognuno di loro di non avere mai a che fare con questa diversità!…
Ho vissuto quasi 19 anni con il mio Federico
(non vedente) e ti posso assicurare, caro Don
Gaetano, che non è stato per niente facile, come
quando da piccolo lo tenevo in braccio e mi chiedevano tutti “che dorme?”. Ma posso dirti che
per me, nonostante tutto, è stato un onore averlo avuto!… Lo ho amato più di ogni altra cosa
al mondo, così come lo amo ancora… Mi ha
sempre dato tante soddisfazioni, da piccolo nel
chiamare “mamma!” e da grande con la sua
bella musica…
Donatella
Quella mattina Donatella aveva un problema
in più: al disagio che le veniva dal dover sopportare il dolore della perdita del figlio, senza
Sono passati ormai quasi 21 mesi, ma il dolore che mi spezza il cuore è sempre lo stesso.
A volte mi sembra di essere più serena, ma l’attimo dopo mi ritrovo a piangere senza alcun
motivo, solo perché i miei occhi non ce la fanno a trattenere le lacrime! L’unica cosa che mi
dà forza di andare avanti, oltre la mia famiglia,
è la fede e il fatto che credo ci possa essere
un aldilà, e sono sicura che quando arriverà il
mio momento, ci sarà lui ad accogliermi a braccia aperte.
Ho passato 19 anni a prendermi cura del mio
Federico, adesso cerco di fare del tutto per non
farlo dimenticare, è un po’ la mia paura anche
se so che nessuno di chi lo conosceva potrà
mai farlo. Ho scritto per lui alcuni versi:
Gocce d’attesa
La tua musica è ancora dentro di noi,
la bellezza della tua persona è chiusa nei nostri
cuori,
lo spazio che hanno i ricordi di te è ancora immenso nel tempo che passa,
la tua luce ci accarezza e sembra che la tua
voce dica:
“Nulla, mai nulla finisce davvero!…”.
E’ strano come il dolore e l’amore che convivono nella stessa anima possano diventare all’improvviso poesia… E la poesia è il mezzo migliore per trasmettere ad altre anime, forse meno
sensibili, forse più distratte, forse già troppo provate, la voglia di riprendere a pensare con serenità ad un presente tanto ricco di vita da far
risorgere, giorno dopo giorno, la speranza di
un amore.
Novembre
2015
22
mons. Franco Risi
L
’incontro con Gesù è un evento personale, intimo, che va a toccare la parte più segreta della nostra umanità, lasciando in noi
un segno indelebile. Don Divo Barsotti, nel suo commento alla prima lettera di Giovanni, afferma: «Quando Dio tocca l’uomo entra in lui
e l’uomo è posseduto fino alle prime intime radici dell’essere e sente
di essere trasformato, di essere una sola cosa con lui, un solo spirito, talmente vive la sua medesima vita: vivo io ma non sono più io che
vivo, è il Cristo che vive in me».
Ugualmente, don Tonino Bello, vescovo di Molfetta, affermava che «la vocazione è la parola che dovresti amare di più, perché è il segno di quanto
sei importante agli occhi di Dio. E’ l’indice di gradimento presso di lui, della tua fragile vita. Sì, perché se ti chiama vuol dire che ti ama. Gli stai a
cuore, non c’è dubbio. In una turba sterminata di gente risuona un nome,
il tuo. Stupore generale! A te non ci aveva pensato nessuno. Lui sì! Davanti
ai microfoni della storia ti affida un compito su misura…per lui! Sì, per lui,
non per te. Più che una missione sembra una scommessa. Ha scritto TI
AMO sulla roccia, non sulla sabbia, come nelle vecchie canzoni. E accanto ci ha messo il tuo nome. Forse l’ha sognato di notte, nella tua notte.
Alleluja! Puoi dire a tutti: non si è vergognato di me!».
Questi due pensieri di due sacerdoti trovano fondamento nel Vangelo.
Tra i tanti incontri narrati nel Vangelo, prendo in considerazione quello che
Gesù ha avuto con un “tale” che corse verso di lui, e, gettandosi in ginocchio, gli pose una domanda: «Maestro buono, che cosa devo fare per ave-
re la vita eterna?» (cfr. Mc 10, 17-30). Gesù allora gli propone l’osservanza dei comandamenti. Quest’uomo, già fedele all’osservanza delle dieci parole fin dalla sua giovinezza, sembra restare deluso dalla risposta, forse scontata, che gli sembra di aver ricevuto. Gesù,
che scontato non è mai, prima di alzare la qualità della sua risposta, dimostra quanto è capace di amare coloro che si accostano a lui. Infatti, fissatolo, lo amò.
Questo ci fa capire che si può seguire la persona di Gesù solo
se nell’incontro con lui ci si lascia fissare dal suo sguardo
e penetrare nell’intimo dal suo amore. Questo richiede,
da parte della persona, di cooperare e far proprio lo sguardo di Gesù, che è essenzialmente vigilanza nell’accogliere l’invito del Signore per poter restare uniti a lui
come il tralcio alla vite.
Certamente questo ideale di vita con Gesù si può
realizzare da una parte accogliendo la chiamata divina, dall’altra seguendo il cammino formativo proposto dagli educatori scelti dalla Chiesa: formazione umana, spirituale, culturale e pastorale, tutte vissute nella comunione.
Per quanto riguarda la prima è necessario
lasciarsi aiutare dai formatori a purificarci dall’attaccamento dalle realtà del mondo, che ci impediscono di accogliere la chiamata di Gesù; infatti quel tale si allontanò triste dalla persona di
Gesù perché troppo legato a se stesso.
Ad esempio, quante persone cristiane, madri e padri,
che lavorano tutta la settimana, affermano di non poter frequentare l’Eucaristia
domenicale perché non hanno tempo? Essi spiegano che la domenica
occorre dedicarsi al recupero del lavoro di casa tralasciato durante la settimana, e questo purtroppo toglie tempo prezioso all’incontro con la Parola
di Dio, con il Signore stesso, disposto a fissarci negli occhi con immenso amore. Ci si dimentica che con l’ascolto della Parola del Signore si dà
senso cristiano alla vita, in quanto in questo ascolto, e soprattutto nella
risposta, è in gioco la vita eterna.
Tutto questo ci fa capire che, per incontrare lo sguardo di Gesù, è necessario che tutti i cristiani non pongano l’attenzione primaria sul fare, ma
piuttosto sull’essere interiore, che da significato alle nostre azioni. Certamente,
ogni cristiano, e ogni sacerdote testimone dell’amore di Cristo che lo ha
chiamato a servirlo, dovrebbe fondare questo cammino sulla fede in Gesù
Cristo, figlio di Dio. Ne segue che i giovani avrebbero bisogno di essere
accompagnati alla scoperta personale di Cristo, come vera ricchezza dell’uomo, che non viene mai meno con il cambiare delle mode.
Gli educatori devono, quindi, invitarli con forza ad uscire da quel torpore
che li avvolge, e aiutarli a sentire la propria chiamata per il proprio bene
e per il bene degli altri. In questa prospettiva, oggi, dobbiamo affermare
che c’è una ripresa di una vita di preghiera, sufficiente ad aprire strade
nuove, capace di orientare i giovani verso i valori che danno senso e significato alla loro vita. La preghiera, trova maggior frutto se è legata ad una
testimonianza di vita fedele e credibile: se cristiani non si nasce, si diventa grazie al germe posto dallo Spirito Santo e impegnandosi durante tutta la propria vita. Perciò bisogna far del tutto per far incontrare e riconoscere Gesù come vero Maestro e Signore.
“La grazia di Dio va riconosciuta come la prima risorsa
per le vocazioni di oggi e di domani, questi testimoni sono
grazia di Dio in veste umana” (VeC 12).
Lo stesso papa Benedetto XVI, in occasione del congresso
ecclesiastico della diocesi di Roma, tenutosi nel giugno
2007, dichiara con forza che Gesù è il Signore, e che occorre educare alla fede, alla sequela, alla testimonianza; ha
affermato che l’impegno della Chiesa e della comunità cristiana è una sfida decisiva per il futuro della fede e del
cristianesimo e che, quindi, deve essere una priorità per
avvicinare a Cristo le nuove generazioni, che vivono in
un mondo dove Dio sembra non interessare più.
Nell’immagine del titolo: Gesù e il giovane ricco,
Heinrich Hofmann, 1889.
Novembre
2015
don Antonio Galati
I
l 21 ottobre scorso si è svolta, al Pontificio
Collegio Leoniano, seminario regionale
per il Lazio Sud e le diocesi suburbicarie, l’annuale cerimonia di inaugurazione del nuovo anno formativo e accademico. L’appuntamento annuale è ricorso
anche quest’anno, con la tradizionale
familiarità che “regna” nel seminario di Anagni.
Familiarità dovuta al fatto che, prima di tutto, il seminario è il “nostro” seminario, quello in cui si sono formati la gran maggioranza
dei sacerdoti della nostra diocesi e che, un
po’ tutti, hanno il diritto - e anche il dovere in forza del servizio importante che svolge nei confronti dell’educazione dei futuri
sacerdoti - di sentire come proprio.
Inoltre il grado di familiarità, da quest’anno, per
la nostra diocesi di Velletri-Segni, è sicuramente
aumentato, perché - oltre al direttore degli studi, che già da qualche anno è don Luigi Vari,
oltre ad uno dei tre vicerettori, ruolo ricoperto
già da due anni da don Marco Fiore, e oltre a
don Franco Risi, da diverso tempo confessore
stabile e residenziale in seminario - da quest’anno
il rettore del seminario è don Leonardo
D’Ascenzo. In questo clima di familiarità e di amicizia, è stato mons. Ambrogio Spreafico,
vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino, ha dare
inizio alla cerimonia di inaugurazione, tenendo
una prolusione sul tema della misericordia e della compassione. Attraverso alcuni riferimenti scritturistici, mons. Spreafico ha cercato di trasmettere
ai presenti quegli atteggiamenti misericordiosi
e compassionevoli che Dio ha rivolto a Israele
nella sua storia, e che poi si sono incarnati nella vita di Gesù.
Al termine della prolusione, i presenti hanno potuto celebrare una solenne eucarestia nella cappella grande del seminario, che è stata presieduta
dal vescovo di Anagni-Alatri, mons. Lorenzo Loppa,
e che ha concelebrato insieme agli altri vescovi presenti - oltre a mons. Spreafico, c’erano il
vescovo di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo,
mons. Gerardo Antonazzo, e il nostro vescovo, mons. Vincenzo Apicella - e ai sacerdoti che
erano convenuti per l’occasione. Oltre a loro,
ovviamente, erano presenti alla concelebrazione
i membri dell’equipe formativa del Leoniano, guidata
appunto da don Leonardo, e
alcuni dei professori dell’Istituto
coadiuvati da don Gigi, in qualità di direttore.
Inoltre non mancavano alla celebrazione i seminaristi del
Leoniano e gli altri studenti,
insieme con altri professori e
con le persone che, a vario
titolo, aiutano l’ordinarietà
della vita del seminario e dell’istituto.Durante la celebrazione,
dopo l’omelia di mons. Loppa,
23
don Leonardo ha fatto la sua professione
di fede e il giuramento di fedeltà - dovuti a
chi inizia dei servizi particolari nella Chiesa
e a nome della Chiesa - ma che, conoscendolo,
ha fatto non solo perché richiesti, ma come
ulteriore espressione della sua volontà di porsi a servizio della comunità ecclesiale che
ha nel Leoniano il centro della formazione
dei suoi futuri sacerdoti.
In tutti i presenti si sono potuti notare atteggiamenti e sentimenti di riconoscimento e
ringraziamento per l’impegno con cui questo folto numero di sacerdoti, e non solo, impiegano molta parte del loro tempo al servizio
dei seminaristi e degli studenti che animano la vita del Leoniano, sia dal punto di vista
accademico che da quello della preparazione
al ministero ordinato.
Credendo di esprimere i sentimenti di tutti, a conclusione di questa breve cronaca della giornata, si vogliono qui di nuovo esprimere i più veri
e sinceri ringraziamenti e auguri a don Leonardo
e a don Gigi e, ovviamente, a tutti coloro che,
a vario titolo, li affiancano e li aiutano nei loro
servizi.
Ad maiorem Dei gloriam.
Novembre
2015
24
p. Vincenzo Molinaro omd*
N
ell’editoriale del numero di ottobre 2015
di Ecclesia in cammino, commentando la notizia appena divulgata, il
nostro vescovo ha presentato il documento Mitis
Judex Dominus Jesus di Papa Francesco, dandone anche la traduzione “il Signore Gesù, Giudice
clemente”. (Questa è la lettera del papa indirizzata
alle chiese d’Occidente, una simile è stata inviata alle Chiese d’Oriente)
Il Vescovo ha colto gli elementi principali di innovazione introdotti dal Papa. Il primo è il richiamo alla responsabilità in prima persona dei vescovi stessi giudici naturali dei fedeli in quanto pastori. Pertanto in virtù del servizio episcopale, ogni
vescovo è chiamato a operare questa conversione, ossia a interessarsi e accompagnare i fedeli che sono in difficoltà, a farlo di persona, non
demandando agli uffici. In effetti, quando pensiamo a una pratica di nullità matrimoniale, il nostro
pensiero va al Tribunale Ecclesiastico, alla Rota
Romana, alle lungaggini processuali, ai costi.
Tutti elementi che scoraggiano le coppie e impediscono di usufruire della possibilità di avere una
sentenza di nullità e vedere riaperte le porte della misericordia e dei sacramenti.
Ancora sullo stesso principio, il nostro vescovo osserva come sia desiderio e comando di Papa
Francesco, che la presenza del vescovo nel procedimento giudiziale sia il discernimento pastorale che si manifesta non solo nella sentenza,
ma nel modo come questa viene data. La presenza del Pastore sarà quella che cerca, sorregge, incoraggia le pecorelle ferite, ne fascia
le piaghe e le conforta.
Altro elemento ugualmente notato da Mons. Apicella,
è l’introduzione di vie nuove tendenti alla brevità dei procedimenti. Come vedremo, ci sono
diverse possibilità con l’unico scopo di giungere a una rapida conclusione del procedimento.
Ora sottolineati gli aspetti strettamente pastorali, possiamo avvicinarci di più al Motu
Proprio e coglierne la grande portata non solo
pastorale ma anche giuridica. Intanto diciamo
che si chiama Motu Proprio perché è una iniziativa personale del Papa il quale interviene su
un aspetto della vita della chiesa che ritiene bisognoso di essere illuminato dal ministero petrino, quindi destinato alla chiesa universale.
Papa Francesco non ha voluto aspettare la celebrazione del Sinodo sulla vocazione e missione della famiglia (ora alle ultime fasi della sua
celebrazione), anzi possiamo dire che ha voluto influenzare il Sinodo stesso, quasi sfidando
i Padri Sinodali con questo documento che dimostra la sua volontà di giungere a decisioni concrete e percepite dalla comunità ecclesiale.
Come se lui stesso abbia voluto dire: ”Non parliamo soltanto tra noi, osserviamo la situazione delle persone e cominciamo con gli interventi
sul campo”. Dal documento traspare questa sua
volontà di non aspettare ancora. La conferma
viene dalla stessa data di entrata in vigore, stabilita nello stesso giorno di inizio del Giubileo.
Ciò consente una facile riflessione. Il Papa intende anche questa vicinanza con le famiglie in difficoltà come un’opera di misericordia di cui ogni
vescovo deve rendersi protagonista.
Obiettivo della riforma del processo canonico
di nullità matrimoniale, che entrerà in vigore dal
prossimo 8 dicembre, è quello di moltiplicare il
servizio ai fedeli, rendendo la giustizia ecclesiastica
vicina a tutti coloro che ne hanno bisogno.
Tutto ciò rispettando comunque il contraddittorio tra le parti (diritto di difesa, assistenza tecnica da parte dei propri Patroni) e l’imparzialità del giudice, il quale associa un discernimento
giudiziale ad uno pastorale.
Affrontiamo un esame veloce del Motu Proprio
seguendo i punti del documento.
1. E’ sufficiente una sola sentenza in favore della nullità esecutiva: non è più richiesta
una doppia decisione conforme in favore della
nullità del matrimonio, affinché le parti siano ammesse alla celebrazione di nuove nozze canoniche,
ma è sufficiente la certezza morale della nullità raggiunta dal primo giudice.
2. Il Giudice unico sotto la responsabilità del Vescovo: in ciascuna diocesi il giudice di prima istanza per le
cause di nullità del matrimonio, salvo espresse eccezioni, è il Vescovo
diocesano, che può esercitare la potestà giudiziale personalmente o per mezzo di altri, a norma del diritto. Il Vescovo
diocesano, infatti, in comunione con
il Pontefice, è il garante dell’unità della fede e della dottrina.
3. Lo stesso Vescovo è giudice: per
il compito di pastore e capo nella sua
Chiesa, il Vescovo è giudice tra i fedeli lui affidati. Egli è invitato ad intervenire direttamente nella funzione giudiziaria in materia matrimoniale.
4. Il processo breve: oltre a rendere più agile il processo matrimoniale,
si è disegnata una forma di processo più breve, nei casi in cui l’accusata
nullità del matrimonio è sostenuta da
argomenti particolarmente evidenti.
Tra le circostanze che possono consentire la trattazione della causa di nullità del matrimonio per
mezzo del processo più breve è contemplata la
mancanza di fede.
Tale introduzione, assoluta novità nel processo canonico, è segno di grande cambiamento
delle norme, pur senza intaccare l’aspetto giudiziario, unico garante della indissolubilità del
matrimonio. A garanzia di tale principio, in tale
tipologia di processo, giudice è lo stesso
Vescovo, che si consulta con due assessori circa la certezza morale dei fatti addotti per la nullità matrimoniale. Se il Vescovo raggiunge questa certezza, pronuncia la decisione, altrimenti rinvia la causa al processo ordinario, che, comunque, può durare al massimo un anno.
5. L’appello alla Sede Metropolitana: la parte che si ritiene gravata dalla prima sentenza,
come anche il promotore di giustizia o il difensore del vincolo, possono proporre appello al
tribunale di istanza superiore, che deve sempre essere composto da un collegio di tre giudici. Se, dopo una sentenza dichiarativa della
nullità matrimoniale, si propone appello, questo
può essere respinto in caso di evidente mancanza di argomenti, per esempio in caso di appello strumentale per nuocere all’altra parte.
6. Il compito delle Conferenze Episcopali: esse
devono rispettare ed agevolare la vicinanza tra
il giudice ed i fedeli, aiutando a mettere in pratica la riforma del processo canonico. Le
Conferenze Episcopali sono anche invitate a facilitare la gratuità delle procedure, “salva la giusta e dignitosa retribuzione degli operatori dei
tribunali”.
7. L’appello alla Sede Apostolica: permane la
possibilità di ricorrere in grado di appello al Tribunale
della Sede Apostolica, ossia la Rota Romana,
in segno della comunione delle Chiese particolari
con la Sede di Pietro.
8. Previsioni per le Chiese Orientali: sono previste norme particolari per la riforma del processo
continua nella pag. accanto
Novembre
2015
25
UCD Velletri-Segni
I
l 26 settembre scorso, ad Artena, si è svolta la prima festa-raduno
per i ragazzi che hanno ricevuto il sacramento della santa Cresima
nell’anno 2014-2015. È partita un po’ in sordina, vista la presenza
non proprio massiccia dei rappresentanti della diocesi, ma siamo certi
che l’eco del successo sarà da stimolo per le prossime edizioni.
Il titolo ci sembra già molto eloquente!!! Coloro che hanno “confermato” la propria fede sono chiamati a testimoniarla con gioia e ad amare! Circa una quarantina di ragazzi provenienti dalla rettoria SS Giuseppe
e Vitaliano di Segni, da Artena e da Velletri, nel pomeriggio, hanno incontrato diverse realtà diocesane dove uomini, donne, ragazzi e ragazze,
senza particolari titoli o speciali capacità, giovani e meno giovani, mettono a disposizione il proprio talento.
Il talento nel fare cosa? Ciò che serve: Ecco le mie mani, ecco i miei
piedi… ecco me! Fanne ciò di cui hai bisogno Signore!
Il messaggio che questa festa vuole portare è proprio che ognuno di
noi è necessario nella Chiesa, perché è una tessera indispensabile per
la realizzazione del progetto divino. Ognuno ha un talento da spendere per realizzare il Capolavoro! Dopo la cena tutti insieme a ballare con
la Just Dance e a cantare con il Karaoke perché dove c’è Gesù c’è GIOIA!
La parola ai volontari dell’UNITALSI
“E questi chi sono?” Molto probabilmente questa sarà stata la prima domanda che si saranno posti i ragazzi della Festa dei Cresimati del 26 settembre in Artena, nel momento in cui il primo dei quattro gruppi è entrato nella stanza a noi assegnata. Certamente la presenza di Diletta, che
ha la loro età, li avrà un po’ rassicurati per cui a seguire, il nostro dialogo con tutti loro, è stato costruttivo e cordiale.
Il nome UNITALSI (Unione Nazionale Italiana per Trasporto Ammalati
a Lourdes ed altri Santuari Internazionali) era sconosciuto ai più, al contrario le nostre attività, i Pellegrinaggi e le azioni sul territorio erano note,
anche se non direttamente riconducibili al nome della nostra
Associazione.
I ragazzi nelle età della crescita cognitiva, sono molto attenti a ciò che
accade loro intorno e spesso si specchiano nelle realtà sempre più complesse in cui vivono. Per questo hanno sempre più bisogno di esempi
positivi per sviluppare la capacità di coordinare e organizzare regole e
rapporti reciproci, basati su moralità, rispetto, aspettative, principi etici
e perché no, anche religiosi. Abbiamo cercato, nella coscienza dei nostri
limiti, di trasmettere questo ai ragazzi della Festa, comunicando loro le
nostre esperienze di servizio verso i più deboli, gli emarginati, le persone sole o malate, semplici gesti di assistenza che nello spirito del Vangelo,
si trasformano in Atti di Carità cristiana.
Non aver timore della diversità, che per definizione è dono di Dio, ma
avere il coraggio di andare incontro a coloro verso i quali la vita è stata meno generosa e che sovente abbracciano il Cristo, nelle loro piccole o grandi sofferenze quotidiane. Un sorriso, un abbraccio o semplicemente il dare ascolto: piccoli passi che donano gioia infinita a chi
li riceve ma soprattutto scaldano il cuore di chi li compie con vera spontaneità e autentica generosità. Amore, verità, esempi. Un esempio come
segue da pag. 24
matrimoniale del Codice delle Chiese Orientali,
stante la peculiarità del loro ordinamento ecclesiale e disciplinare.
Di assoluta novità nell’ambito della pastorale dei
fedeli separati o divorziati è l’espressa previsione,
nelle regole procedurali unite al Motu Proprio
del Pontefice, della necessità di attenzione, da
parte del Vescovo, a seguire i coniugi separati o divorziati che per la loro condizione di vita
abbiano eventualmente abbandonato la pratica religiosa, condividendo con i parroci la sol-
quello raccontato da Diletta, che essendo loro coetanea, è stata ascoltata con viva attenzione. Un ragazzo con insegnante di sostegno nella
sua classe, lei figlia di Vincenzo e Fabiola, volontari UNITALSI, non trova nulla di strano avvicinarsi a lui, fra le iniziali titubanze degli altri.
Poi, ecco la forza dell’esempio, le resistenze di tutti a poco a poco sono
vinte, sconfitte, non ci sono più differenze, la diffidenza ha lasciato il posto
all’amicizia ed alla complicità tipica dei compagni di classe. Il giorno degli
esami di terza media probabilmente i ragazzi lo ricorderanno a lungo:
tutti in aula, uniti in un solo abbraccio a sostenere il loro compagno e
condividere insieme con lui momenti importanti, di amicizia, di amore
e di crescita individuale e collettiva.
Alla fine per noi è stata una bella esperienza, ci auguriamo lo sia stata anche per tutti i ragazzi, le loro catechiste, i catechisti e tutti i presenti, che sono stati semplicemente straordinari per ascolto e partecipazione. Anche questa volta, come sempre ci capita, abbiamo risposto
all’invito cercando di poter essere utili, di dare qualcosa, torniamo invece a casa con la convinzione di aver ricevuto molto, molto di più: anche
questo è dono dello Spirito di Dio.
lecitudine pastorale verso questi fedeli in difficoltà.
A tal fine, il Pontefice prevede una indagine pregiudiziale o pastorale affidata a persone competenti in materia che accolgano nelle strutture parrocchiali o diocesane i fedeli separati o
divorziati che intendano valutare l’esistenza di
presupposti per la dichiarazione di nullità del loro
matrimonio.
La riforma tiene conto del motivo principale per
cui si richiede la pronuncia della nullità matrimoniale: questa viene richiesta per motivi di coscien-
Elisabetta, Giovanni, Matteo, Vincenzo e Diletta
za, per esempio vivere i sacramenti della Chiesa
o perfezionare un nuovo vincolo stabile e felice con la celebrazione di nuove nozze, in quanto viene riconosciuto che il vincolo precedente
non possedeva i presupposti per un valido sacramento. La vicinanza della Chiesa alle esigenze dei fedeli, dunque, fornisce una opportunità
di comprensione del proprio vissuto e di maturazione nella fede.
*delegato diocesano per la Pastorale familiare
Novembre
2015
26
Tiziana Righi e Alfiero Rossetti*
ei giorni 3 e 4 ottobre 2015, presso i locali del Centro di Spiritualità dell’Acero, si
è tenuto il Corso d’aggiornamento per gli
insegnanti di Religione Cattolica, in collaborazione con l’Ufficio Catechistico Diocesano, per
la prima volta Insegnanti di Religione e
Catechisti si sono ritrovati insieme per condividere e vivere un momento importante come quello della formazione.
Il tema del Corso è stato: Il Nuovo Umanesimo:
la teoria del gender, integrazione tra insegnamento
della religione cattolica e catechesi.
La giornata del 3 ottobre è stata articolata in
due parti: La prima parte della mattina ha preso il via con un momento di preghiera comunitaria e dal saluto dei rispettivi direttori degli uffici diocesani e della presenza di sua eccellenza Mons. Vincenzo Apicella. La mattinata è proseguita con la relazione del Prof. Paolo
Spaviero (docente di morale fondamentale presso il Pontificio Collegio Leoniano di Anagni) che
ha introdotto il tema sul nuovo Umanesimo e
sulla teoria del Gender dividendo l’intervento in
due momenti distinti, nella prima si è posto l’attenzione sul pensiero di esponenti della filosofia antica in correlazione con i filosofi dell’epoca
moderna. L’intervento è risultato molto stimolante ed interessante in quanto ha posto in essere come negli ultimi anni sia cambiato il modo
di pensare l’uomo nella sua complessità.
Nella seconda, il relatore ha messo in evidenza come la teoria del gender non sia solo un
problema dell’epoca moderna , ma è un riflesso del passato che nel segno dell’attuale vicenda umana chiede un riconoscimento legale dei
propri diritti nella sua specificità.
N
Nella seconda parte della giornata quella
pomeridiana si è dato spazio ai laboratori, nei
quali i partecipanti sono stati portati all’attenzione
del documento del Sinodo della Famiglia che
si svolgerà a Firenze, per produrre materiale da
discutere in quella sede relative alle nostre esigenze diocesane.
La giornata del 4 ottobre è stata strutturata in
tre momenti : il primo ha avuto inizio con la
consueta preghiera comunitaria, la seconda parte ha visto come protagonista la responsabile
della Caritas Giovanile della nostra diocesi che ha presentato il Progetto Caritas
Nazionale sul tema “Giovani e volontariato” in collaborazione con l’ufficio scolastico nazionale illustrando come il
volontariato presso realtà disagiate e la
scuola possono sviluppare l’interesse dei
giovani verso il loro prossimo.
Nella terza parte della mattina è intervenuto
il prof. Tibaldi Marco di Bologna che ha
presentato la sua relazione tema “Rapporto
tra IRC catechesi “ coinvolgendo i partecipanti in un “gioco” di ruoli, per far capire come sia possibile trasmettere ai giovani e adulti di oggi l’insegnamento della Parola di Dio attualizzandoli e portandoli
alla propria esperienza personale.(Catechesi
Visiva), dandoci appuntamento per la seconda parte della relazione nel pomeriggio.
La prima sezione della giornata ha avuto come momento culminante la
Celebrazione Eucaristica seguita da un
lauto pranzo ristoratore, per poi riprendere i lavori nel pomeriggio dove siamo
stati chiamati a riflettere sull’argomento
trattato la mattina, in un primo momento in solitudine (deserto) per fare proprie
le sensazione e i sentimenti che la storia Biblica
(La Storia di Re Davide e Betsabea) avevano
suscitato in noi. Per poi ritrovarci insieme per
condividere tutti insieme i nostri pensieri.
Le due giornate sono state ricche di emozioni
e ci hanno dato lo spunto di ripensare e mettere in pratica tutto ciò che ci è stato proposto
con i nostri alunni nelle scuole e nella catechesi.
I nostri ringraziamenti vanno all’Ufficio Catechistico
Diocesano e all’Ufficio Scuola.
*Ufficio IRC
Novembre
2015
27
Mons. Paolo Picca*
uesta giornata da più di 25 anni,
viene celebrata nelle parrocchie
ogni anno la domenica di
Cristo Re. Le Offerte sono destinate
non solo al proprio parroco ma a tutti i 36 mila sacerdoti diocesani che in
Italia dedicano la propria vita all’annuncio del Vangelo e al servizio del prossimo e vengono raccolte dall’Istituto
Centrale Sostentamento Clero (I.C.S.C.)
che ha sede a Roma.
Si tratta di un appuntamento importante per formare le comunità sul valore di
questa forma di partecipazione alla vita
della Chiesa, scaturita dalla revisione concordataria del 1984. Infatti da ormai 30
anni i sacerdoti non ricevono più la “congrua” dallo Stato ed è responsabilità di
ogni fedele partecipare al loro sostenta-
Q
mento, anche attraverso queste donazioni che
sono anche deducibili.
La Chiesa attraverso le sue molteplici attività
pastorali e sociali, e soprattutto attraverso la
presenza dei suoi sacerdoti, svolge un ruolo
molto importante per il bene del nostro
Paese. Diventa fondamentale educare le
comunità al senso di comunione fraterna, di
partecipazione attiva e di reale corresponsabilità ecclesiale.
Le Offerte Insieme ai sacerdoti vengono raccolte
a livello nazionale e contribuiscono ad assicurare il necessario a tutti i preti diocesani in Italia,
in particolare a coloro che prestano il proprio
ministero pastorale nelle comunità più piccole
e bisognose, e a quelli anziani e malati. Ma anche
a 500 fidei donum, i preti diocesani italiani che
annunciano la Buona Novella nei Paesi più poveri del mondo.
Nel 2014 in Italia sono state raccolte 110.831
Offerte, per un totale di 10 milioni e 546 mila
euro. Ricordiamo che le Offerte intestate
all’I.C.S.C. sono destinate unicamente al
sostentamento del clero diocesano e sono deducibili dal reddito complessivo, ai fini del calcolo dell’Irpef, fino ad un massimo di euro
1.032,91 all’anno. Da qualche anno nella
nostra diocesi di Velletri-Segni il Vescovo ha stabilito che venga fatta una colletta in tutte le chiese parrocchiali e rettorie per raccogliere queste offerte. Rimane sempre valida la possibilità di fare offerte individuali mediante bollettino
di c/c postale che si può trovare in tutte le chiese.
*Delegato diocesano per la
Promozione al sostegno economico del clero
Novembre
2015
28
Giovanni Zicarelli
U
na “Festa dell’Esultanza”, quella tenuta nella prima metà di ottobre nella parrocchia di San Bruno, in Colleferro, su
cui ha come aleggiato il mistero trascendente
della Vocazione sacerdotale.
Giorni scanditi da eventi orbitanti intorno
all’Ordinazione presbiterale di don Gabriele Ardente,
celebrata il 10 ottobre nella chiesa di San Bruno.
Data ora entrata nella storia della parrocchia,
poiché per la prima volta, nell’ampia navata della sua chiesa, si è assistito a tale solenne rito.
Ciò per espresso desiderio dello stesso don Gabriele
che, come già riportato nei cenni biografici pubblicati nel numero di settembre 2015, dal 2010
fino a tale data, ha svolto in San Bruno il suo
ministero diaconale.
Alla sera dell’Ordinazione si è giunti attraverso
quello che può essere definito un percorso preparatorio per coloro che vi avrebbero assistito:
La sera di lunedì 5 ottobre,
nella Sala Bachelet di San
Bruno, si è tenuto l’appuntamento “Vocazione”, in cui don
Gabriele ha testimoniato il suo
avvicinamento alla Fede alla
presenza del parroco don
Augusto Fagnani, di don
Marco Fiore, responsabile del
Centro Diocesano Vocazioni,
di Francesca Proietti, vice presidente settore Giovani
dell’Azione Cattolica Diocesana
Alcuni momenti dell’Ordinazione sacerdotale di don Gabriele Ardente.
e, tra il pubblico, delle suore Apostoline
di Santa Maria dell’Acero, del ministro dell’Eucaristia Roberta Davelli e
di alcuni ragazzi dell’ACR.
Il momento significativo della sua “chiamata”, è stato testimoniato spiegando che, a 19 anni, trovandosi una sera
in discoteca, quindi uno dei luoghi preferiti dai ragazzi per divertirsi, si è improvvisamente reso conto che quello non
era il suo mondo.
Giovedì 8 ottobre, dalle ore 18,00, sempre presso la Sala Bachelet, si è tenuta quella che, più che una conferenza, si può definire una profonda riflessione sulla vocazione da parte di mons.
Leonardo D’Ascenzo, rettore del
Pontificio Collegio Leoniano di Anagni;
presenti, fra gli altri, don Augusto, don
Gabriele e il direttore regionale della Pastorale Sociale Claudio Gessi.
Iniziando con l’affermazione che non
si può parlare di Vocazione sacerdotale
senza un diretto riferimento a Gesù
e continuando con la considerazione che, nonostante la diminuzione delle nascite, il numero di frequentatori di seminario in Italia
rimane costante (intorno ai 3 mila a fronte di cir-
Il coro Kalenda Maya Chorus.
Novembre
2015
segue da pag. 28
ca 1 milione che ogni anno
pensano di voler un domani intraprendere la via del
sacerdozio), don Leonardo
è poi entrato nel vivo dell’argomentazione raziocinando, a partire da alcune
sue riflessioni, su cosa
debba essere un prete:
un uomo di preghiera che
testimonia la suprema opera di Gesù; un uomo chiamato ad amare ogni persona
con tutto se stesso; un
uomo capace di un’umanità verso gli altri che sia in
continua evoluzione; un
uomo che sia innanzitutto in
comunione col proprio
Vescovo e il proprio presbiterio;
un uomo inserito con discernimento nel territorio ovvero capace di applicare la teoRiflessione sulla vocazione con mons.
logia ai bisogni delle persone
L. D’Ascenzo, Rettore del Pontificio
Collegio Leoniano di Anagni.
che incontra; un uomo che
sa ascoltare e accompagnare
sia un’intera comunità che
la singola persona; una
guida compassionevole che
sappia condurre sempre
alla parola del Signore.
Venerdì 9 ottobre, alle
18,30, nella navata della chiesa di San Bruno, è stata la
volta dei suggestivi canti del
coro Kalenda Maya Chorus
diretto dalla Mª Maria Violante la quale, oltre a Tra i vari momenti salienti della celebrazione:
dirigere le bravissime coriste in alcuni canti che la chiamata del presbitero a cui don Gabriele
hanno spaziato dal Sacro al Barocco al Pop, si ha risposto «Eccomi!»; la sua prostrazione a terè alternata come solista all’organo con il M° Enrico ra in segno di umiltà e di affidamento totale della propria vita a Dio; l’imposizione delle mani sul
Angelini.
Sabato 10 ottobre, alle ore 17,30, nella chiesa capo di don Gabriele
di San Bruno, è stata celebrata l’Ordinazione pre- in ginocchio da
sbiterale di don Gabriele Ardente. Solenne fun- parte del vescovo
zione presieduta dal vescovo, S.E. Rev.ma mons. e, a seguire, di
Vincenzo Apicella, coadiuvato da sacerdoti di tutti i sacerdoti; la
tutta la Diocesi. Tra i numerosi fedeli presenti, vestizione degli abiil sindaco di Colleferro Pierluigi Sanna e, giun- ti sacerdotali ovveti da Roma, i familiari di don Gabriele, tra cui i ro della stola e
genitori Bruno e Teresa e i fratelli Roberta, Andrea, della casula; da
parte del vescovo,
Paolo, Marco e Fabio.
Un momento della processione con la statua di san Bruno.
29
Un momento della prima
Santa Messa di don Gabriele
l’unzione con il sacro Crisma dei
palmi delle mani dell’ordinato in
ginocchio; la consegna, sempre
da parte del vescovo, del Pane
e di un calice contenente il Vino
consacrati poi nell’azione eucaristica; l’abbraccio a don Gabriele
di tutto il presbiterio presente, quindi anche del vescovo e, sempre
da parte di tutti, il bacio dei palmi delle mani appena consacrati
di don Gabriele ormai nuovo presbitero. Al termine della cerimonia
sono seguiti i saluti e gli auguri di parenti ed amici.
L’indomani, domenica 11, alle ore
11,30, don Gabriele Ardente ha
officiato la sua prima Santa Messa,
con l’omelia tenuta da don
Augusto quale parroco che gli
è stato accanto negli ultimi cinque anni.
Sempre domenica 11, alle 18,30, si è svolta la solenne processione con la statua lignea
di san Bruno, opera del M° Roberto
Campagna (2006), portata in spalla per le
vie del quartiere preceduta da alcuni fedeli con candele accese, dalla Banda musicale della città di Colleferro e dai sacerdoti don Augusto, don Ettore, vice parroco di
Santa Barbara, e don Gabriele e con al seguito autorità cittadine e fedeli. Al rientro in parrocchia, sono stati esplosi festosi fuochi d’artificio.
A don Gabriele, amato e stimato dai parrocchiani
di San Bruno, a comprova le lacrime commosse di alcuni durante l’Ordinazione e la prima Messa,
l’augurio di un sacerdozio che, riprendendo le
parole di don Leonardo, sia sempre “capace di
testimoniare il primato del Signore”.
30
Novembre
2015
a cura della Redazione
ella domenica in cui la
Liturgia della Parola ci
ricorda il fine ultimo della missione del Servo di Jahvè
ovvero di Gesù Cristo il quale “non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la
propria vita in riscatto per
molti” la nostra Chiesa Diocesana
ha avuto la gioia ci conferire il
Sacramento dell’Ordine nel
suo primo grado, il Diaconato
ad un giovane ben preparato
e ben disposto a mettersi alla
sequela di Gesù: Carlo Fatuzzo.
Nella stesa celebrazione il
vescovo mons. Vincenzo
Apicella con un rito molto
semplice ma significativo ha comunicato alla Chiesa
Locale che Damiano Uffredi già da qualche anno
in seminario è ufficialmente inserito nel cammino verso il sacerdozio.
Nel numero di ottobre di ecclesia abbiamo chiesto a Don Carlo Fatuzzo di presentarsi e lui lo
ha fatto mettendo in risalto la motivazione di fondo che lo ha spinto a rispondere alla chiamata vocazionale, così in quell’occasione si esprimeva: Se ho una cosa davvero importante da
dirvi, è semplicemente la gioia che da sempre
mi dà la fede in Gesù: dentro quest’unico Nome
è racchiusa tutta la mia vita, con tutte le sue
vicende.
«Per me vivere è Cristo» (Fil 1,21), come afferma S. Paolo. E a proposito delle sue precedenti
esperienze, studi e attività citando ancora san
Paolo diceva: ciò che per me poteva essere un
guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di
Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come
spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui» (Fil 3,7-9).
Proprio queste sue espressioni sono state riprese ed evidenziate nell’omelia di mons. Apicella.
C’è da dire che tutto questo fervore e disponibilità non arrivano per caso ancora è don Carlo
a darcene conto quando affermava: Nella passione per la Sua Parola contenuta nella Sacra
Scrittura, e nell’affascinante proposta di vita concreta che essa offre – in special modo attraverso
la carità e il servizio ai fratelli, che è la via preferenziale per un vero rapporto con Dio – ho
sempre trovato la fonte e il centro della mia spiritualità personale, e la chiave per la sua espressione comunitaria.
Certamente gratoall’esempio di grande fede e
vita cristiana della mia famiglia, devo riconoscere
il ruolo fondamentale nella mia formazione e nella maturazione della mia vocazione alla spiritualità focolarina, cui sono da sempre molto legato, ispiratrice per anni del mio impegno in molteplici iniziative di volontariato e nel servizio educativo-formativo rivolto a bambini, ragazzi e gio-
N
vani, animato da un motto biblico che Chiara
Lubich mi suggerì per orientare tutta la mia esistenza: «Chi ama suo fratello dimora nella luce»
(1Gv 2,10).
Don Carlo Fatuzzo viene dalla terra di Sicilia è
nato a Siracusa nel 1982, mentre Damiano Uffredi
è nativo di Velletri. Anche
Damiano, alla scuola di
Don Paolo Picca prima
e di altri sacerdoti poi ha
dimostrato sin dall’inizio
del suo cammino in
seminario una volontà ferrea nel conferma la
chiamata vocazionale
negli impegni che un seminarista deve affrontare.
Alla celebrazione che ha
visto la partecipazione di
tanti sacerdoti, diaconi,
ministri e grande partecipazione del Popolo di
Dio, ovviamente erano presenti i familiari due giovani, per don Carlo
appositamente venuti
dalla Sicilia. Il silenzio che avvolgeva i due riti
ha sottolineato il coinvolgimento e l’emozione
dei familiare e dei fedeli colpiti dalla generosità e disponibilità di don Carlo e di Damiano. Il
coro della Cattedrale con i suoi bei canti ha reso
la celebrazione bella scorrevole e partecipata.
Questa è stata anche la prima occasione
per il neo Rettore del Pontificio Collegio
Leoniano, il Seminario di Anagni, mons.
Leonardo D’Ascenzo del nostro presbiterio
diocesano di svolgere pubblicamente una
delle sue funzione ovvero quella di presentare i candidati. Di questo bel
momento diciamo grazie a don Carlo e
a Damiano, alle loro famiglie, al vescovo mons. Apicella, al Seminario di Anagni,
ma soprattutto diciamo grazie a Dio per
il dono delle vocazioni che elargisce a
servizio della sua Chiesa.
Novembre
2015
31
Sara Calì
“È l’estate/ fredda, dei morti”, concludeva
Pascoli nel chiudere le strofe saffiche di
Novembre, tra le “umili” Myricae.
Nell’Ottocento romantico Cesarotti traduceva le
Poesie di Ossian che avrebbero avuto larga eco
in tutta Europa, Foscolo rispondeva mestamente
a Pindemonte e con loro tanti poeti, affascinati dallo spazio quieto e meditativo dei cimiteri,
ne cantavano la malinconia, pretesto per innalzare il ragionamento a considerazioni sulla sopravvivenza dell’anima e degli affetti dopo la morte. In ogni paese c’è un angolo dedicato ai defunti che nel mese di novembre, quando la luce declina inesorabilmente, tornano più fortemente all’attenzione dei congiunti, distratti dalle fatiche del
vivere quotidiano.
P. Girolamo Mele nelle sue Notiziole paesane,
in cui annota piccoli aneddoti su Montefortino,
racconta che “fino al 1870 i morti si seppellivano
nelle Chiese e nel nostro paese i più poveri venivano sepolti nella Chiesa di Santa Maria e proprio perché poveri vi si ponevano senza la cassa”, destinati a passare, dopo molti anni, nel più
anonimo ossario. Il rapporto con la morte è stato, da sempre, molto controverso e relegato quanto più possibile lontano dalla quotidianità, lo dimostra il fatto che anche in un piccolo paese, per
le operazioni di traslazione, fossero ingaggiati
dei forestieri, detti sterratombe, che venivano
tenuti a debita distanza dagli abitanti, a causa
del loro abbigliamento e del loro ruolo.
P. Mele racconta perfino che “una volta entrarono in un’osteria del paese per ivi mangiare e
bere e il locale per lungo tempo perdette la clientela”. Dopo l’ordinanza governativa che imponeva le sepoltura fuori dalle Chiese e dai centri abitati, in Artena si individuò una zona vicina al Convento francescano che comprese anche
una parte dell’orto dei frati.
Fu costruito un ingresso monumentale di stile
neoclassico assieme ad alcune tombe architettonicamente eleganti, destinate alle famiglie
più abbienti e alcuni loculi. Il luogo, che già per
sua conformazione era scosceso e scomodo,
rimase per tanti anni trascurato, fin quando, per
volontà dell’allora sindaco Gino
Bucci, acquistò il decoro degno
della sua funzione.
Lo sappiamo dal suo libro Il mio
paese ha cambiato volto, nel quale egli racconta che il cimitero,
negli anni Cinquanta, “era un
poggio di rovi e di sterpi, con croci e lapidi divelte, sparse alla rinfusa, con muri cadenti coperti di parietaria, sfaldati dal gelo, gramigna avviluppata a gigli e crisantemi, edera abbarbicata
alle tombe, sentieri intricati di erbacce impraticabili per la presenza di serpenti e nidi di vespe.
Solo a primavera il custode vendeva le erbacce e in agosto appiccava il fuoco” per far sì che
il primo novembre una gran folla potesse riversarsi con zappe, falci e rastrelli a pulire ulteriormente
e a far visita ai morti portando fiori.
Pur non eguagliando, forse, il fascino dei cimiteri inglesi, le prime tombe, con la loro elegante
bellezza, ci ricordano i versi ottocenteschi e meditativi di Foscolo “celeste è questa/ corrispondenza d’amorosi sensi,/ celeste dote è negli
umani; e spesso/ per lei si vive con l’amico estinto/ e l’estinto con noi”.
Prossimi appuntamenti in programma:
Sabato 28 Novembre 2015
Anagni ore 17 Sala della Ragione, Palazzo Comunale
Innocenzo III e il Regno inglese
Apertura dell’ Anno Innocenziano
Interviene il Presidente del Comitato
“800 anni Innocenzo III 1216 – 2016”
Dott. Luca Pierron
Conferenza (modera Luca Pierron)
Intervengono
il Prof.Giovanni Diurni su
“Le novae Leges canoniche tra diritto positivo, politica e
istituzioni: Innocenzo III e la questione inglese “ e
il Dott. Stanislao Fioramonti su
“Le lettere di Innocenzo III a Giovanni senza terra”.
Recital di Musica da Camera del duo “D’Amico - De Matteis” per
violoncello e pianoforte.
Novembre
2015
32
Loreda Carluccio
A
cento anni (1915 – 2015) dalla prima
grande Guerra che sconvolse il mondo intero, Gavignano, il caratteristico
paese che sorge su un piccolo promontorio che
domina sulla valle del Sacco, la ricorda commemorando uno dei suoi concittadini più illustri,
padre Angelo Cerbara, il prete caduto sulle Dolomiti
tra i comuni di Livinallongo e Col di Lana. Il primo cittadino Emiliano Datti, il 24 ottobre alle
ore 9.15 ha, insieme ai suoi concittadini, deposto una corona di fiori al cimitero di Gavignano.
A seguire mons. Vincenzo Apicella e il preposito generale dei Padri Somaschi padre Franco
Moscone hanno celebrato la S. Messa. Alle ore
11.15, presso il palazzo di Corte di Gavignano
si è tenuto un interessante convegno sulla figura di questo grande e generoso personaggio.
Oltre allo stesso primo cittadino Emiliano Datti,
sono intervenuti Padre Giuseppe Oddone, lo storico Luigi Roberti, il gen. di Divisione Giuseppe
Nicola Tota, capo del quinto Reparto Affari Generali
dello SME, lo storico Piero Capozi, i familiari di
padre Angelo Cerbara e gli alunni della scuola
“Innocenzo III”.
Angelo Cerbara nasce a Gavignano, in provincia di Roma, l’1 maggio del 1888 da Luigi ed
Anna Vari; educato alla fede ed al sacrificio dai
suoi genitori, di carattere allegro, estroverso, con
una spiccata intelligenza, fu invitato da due zii
già somaschi, il P. Vincenzo Cerbara ed il P. Francesco
Cerbara, ad entrare nel Collegio Rosi di Spello
dove rimase dal 1901 al 1904 per compiervi i
suoi studi ginnasiali.
Nel frattempo maturò il suo desiderio di diventare religioso. A sedici anni entrò in noviziato a
Roma a San Girolamo della Carità ed emise la
professione semplice 11 novembre del 1905, per
poi frequentare il Seminario Romano, ove conseguì la licenza liceale ed iniziò gli studi di filosofia. A San Girolamo della Carità conobbe P.
Lorenzo Cossa, generale dell’ordine, uomo colto, santo e sapiente e il professore universitario Giulio Salvatori, un laico che aveva fatto del-
la cultura e della santità il suo ideale e che frequentava regolarmente la casa religiosa.
Entrambi furono per il giovane Angelo punti di
riferimento importanti per la sua vita.
Nel 1908 il chierico Angelo Cerbara decise di
anticipare come volontario il servizio militare, per
essere poi più libero nel cammino verso il sacerdozio. Fu inviato a Messina dove a soli vent’anni
visse l’esperienza terribile del terremoto che si
abbattè sulla città e su Reggio radendole al suolo nella notte tra il 28 e il 29 dicembre. In questa missione, per lo zelo che dimostrò nel raccogliere i feriti e seppellire i cadaveri gli fu conferita una medaglia al merito. Scrive da Messina
ad un compagno di studi: “Tu non puoi immaginare le scene strazianti a cui sono stato testi-
mone. L’esempio del mio fondatore Girolamo Emiliani
mi era presente e stimolato da questo esempio mi caricavo sulle spalle quei cadaveri spesso fetidi, mutilati, sanguinanti, per comporli nella sepoltura”.
Finito il servizio militare tornò a Roma e riprese gli studi. Nell’autunno del 1911 scoppiò la
guerra di Libia e fu richiamato sotto le armi come
sergente del 26° reggimento di fanteria e trasferito a Napoli. Nel 1912 a Derna partecipò alle
battaglie con gli arabo-turchi. Prese parte ad altre
azioni belliche. Si meritò un’altra medaglia al merito perché: “Inviato il giorno 19 marzo di pattuglia a Marabutto (santuario mussulmano), dopo
che un’altra pattuglia precedentemente inviatavi
aveva dovuto ripiegare di fronte a forze nemiche superiori, disimpegnava con intelligenza ed
ardire il mandato affidatogli. Minacciata la pattuglia sulla fronte e sui fianchi da gruppi di nemici di maggior forza, ripiegava con essa con ordine e con calma perfetta”.
Stringe una forte amicizia, durata fino alla morte, con Guglielmo Turco, un piemontese nativo
di Monastero Vasco, ventunenne postulante somasco di Nervi, anche lui valorosissimo soldato,
sbarcato a Derna nello stesso periodo di Angelo.
All’amico comunica le tappe del suo cammino
sacerdotale non nascondendo il desiderio che
Guglielmo, forgiato dalle dure fatiche di guerra, possa quanto prima entrare in noviziato.
Il 19 febbraio 1913 emise la professione solenne. Prima del sacerdozio si laureò nelle scuole del Pontificio Seminario Romano, nel frattempo
frequentò anche il corso di Lettere e Filosofia
nella R. Università di Roma La Sapienza.
Ordinato diacono, fu subito nominato Vicedirettore
dell’orfanotrofio di S. Maria in Aquiro. Il 5 aprile 1914 celebrò la prima S. Messa nell’adiacente
parrocchia di Santa Maria in
Aquiro: ebbe immediatamente
l’incarico di viceparroco e continuò l’impegno di vicerettore nell’opera degli orfani. Per la sua
ordinazione sacerdotale così gli
scrisse da Said Giab, presso
Tripoli, il suo capitano Paolo
Fasella: “Tu fosti un modello di
soldato in pace, fosti soldato valoroso in guerra, e sarai il sacerdote forte e coraggioso, che con
la bontà farà il bene. Fortunati
quelli che ti conosceranno”.
Non passò un anno che nel marzo 1915 fu strappato dal suo lavoro educativo e pastorale e richiamato nuovamente sotto le
armi. Raggiunse il suo reggimento
mobilitato di stanza a Viterbo
e fu destinato alla Sanità, ma
in caso di guerra chiese di poter
essere nominato cappellano militare. Fu subito inviato al fronte, al Col di lana, con il 60° reggimento di fanteria, di cui era
tenente cappellano. Fu sempre
in prima linea, accanto ai suoi
continua nella
pag. accanto
Novembre
2015
33
Parroci di Velletri,
Lariano e Landi
«Chi è il catechista? È colui
che custodisce e alimenta la
memoria di Dio; la custodisce
in se stesso e la sa risvegliare
negli altri. (...)
La fede contiene proprio la
memoria della storia di Dio con
noi, la memoria dell’incontro
con Dio che si muove per primo, che crea e salva, che ci
trasforma; la fede è memoria
della sua Parola che scalda
il cuore, delle sue azioni di salvezza con cui ci dona vita, ci purifica, ci cura, ci nutre.
Il catechista è proprio un cristiano che mette questa memoria al servizio dell’annuncio;
non per farsi vedere, non per
parlare di sé, ma per parlare
di Dio, del suo amore, della sua fedeltà. Parlare e trasmettere tutto quello che Dio ha rivelato, cioè la dottrina nella sua totalità, senza tagliare
né aggiungere. (...)
Il catechista allora è un cristiano che porta in sé la memoria di Dio, si
lascia guidare dalla memoria di Dio in tutta la sua vita, e la sa risvegliare nel cuore degli altri»
FRANCESCO, Omelia alla Messa per l’Incontro dei catechisti
in occasione dell’Anno della Fede, 29 settembre 2013
parole di papa Francesco presento, a nome dei sacerdella città, il cammino di formazione che tutti i catechisti ed eduC ondotiqueste
segue da pag. 32
soldati, a tu per tu con la morte. Incarnò perfettamente la figura del sacerdote nel suo amore a Cristo e ai soldati sofferenti e il modello di
ufficiale militare, nel suo amore alla patria, nell’impegno a tenere alto il morale del suo battaglione, nella condivisione di gioie, dolori e rischi
dei suoi soldati.
Nell’agosto del 1915 gli fu conferita la medaglia
d’argento al valor militare per “il suo costante
ed ammirevole spirito di carità”.
Molto della personalità di uomo, di soldato, di
religioso, di educatore, di sacerdote di P. Cerbara
è possibile ricostruirla dalle sue lettere che scrive dal fronte. Da molte traspare il suo grande
entusiasmo per gli spettacoli della natura, in particolare la vista delle Dolomiti, che gli ispiravano mistici sentimenti religiosi o lo inducevano
a ricordare: “Spero che il Signore mi conceda
il ritorno ai colli Albani almeno per potermi beare ancora del canto dei canarini veliterni (di Velletri)
instancabili.” Dalla descrizione della natura traspare l’anima del poeta e del mistico ma anche
del letterato, amante di una bella prosa d’arte.
In altre lettere si tocca il commosso ricordo dei
suoi orfani che, davanti alla morte di tanti padri
di famiglia, si sovrappone alla dolorosa constatazione
di tanti orfani che la guerra stava creando.
Il metodo educativo di San Girolamo Emiliani,
al quale P. Cerbara ispirava il suo comportamento,
catori della città di Velletri,
vivranno insieme e non nelle singole parrocchie della Città.
La comunità cristiana, fin
dall’inizio, costituisce il
luogo naturale di evangelizzazione:
«Non esiste comunità cristiana, capace di generare
la fede e di farla crescere, senza l’espressione ministeriale di persone capaci di mettersi al servizio della comunione e della missione» (CEI, La formazione
dei catechisti per l’iniziazione cristiana dei fanciulli
e dei ragazzi, n. 10).
“Comunione e missione”,
stili desiderati dal nostro
vescovo Vincenzo per i catechisti nella nostra Città.
Infatti, non si può concepire il servizio catechistico in modo isolato, ma
in sinergia con tutte le realtà parrocchiali.
Conseguentemente la sua stessa formazione, chiede di essere sostenuta da questa prospettiva di comunione, che tenteremo di motivare
attraverso questo itinerario:
12 Novembre ore 20.30: il perché di questo cammino; l’Annuncio.
(parrocchia s. Giovanni Battista)
26 Novembre ore 20.30: L’Anno liturgico; l’itinerario biblico di Luca.
(parrocchia s. Giovanni Battista)
7 gennaio 2016 ore 20.30: Il Gesù di Luca
21 gennaio ore 20.30: La Comunità di Luca
4 febbraio ore 20.30: “Un’esperienza comunitaria”
si può riassumere in una frase del santo: “con
questi miei poveri voglio vivere e morire”.
P. Angelo applicò alla lettera questo ideale nella sua vita militare stando accanto ai soldati “che
aveva appreso ad amare come fratelli in Gesù
e compagni di pericolo e disertori della morte”.
Non meno forte era il suo amore per la Patria,
la sua “bella Italia”, sostenuto dalla certezza che
la guerra che si stava combattendo era giusta
e che la vittoria, sia pure attraverso molti sacrifici, era sicura.
L’Italia poteva rinascere civilmente e cristianamente. Questo amore per la Patria, P. Angelo,
lo collegò sempre con la devozione personale
a San Girolamo Emiliani, in cui vide un modello di soldato a servizio della sua Patria ed un
infaticabile apostolo di
carità. Ne diffuse tra i
soldati i quadri devozionali, le medaglie da
appuntare sul petto, le
immaginette con la preghiera del soldato a San
Girolamo Emiliani perché non facesse solo cessare la guerra ma
curasse presto le piaghe del conflitto e provvedesse, attraverso
coloro che a lui si ispi-
ravano, all’educazione degli orfani continuando ad essere l’araldo della rinascita civile e religiosa dell’Italia. Sempre dalle sue lettere ci viene testimoniata la sua fede profonda e la completa e cosciente disponibilità al martirio accogliendo su di se la volontà di Dio, qualunque essa
fosse stata.
“Con questi miei poveri voglio vivere e morire”:
aveva scelto di stare sempre con loro e accanto ad uno dei suoi soldati la morte lo ha raggiunto.
Il 22 ottobre 1915 mentre in prima linea assisteva un caporal maggiore ferito gravemente a
morte nel bosco sopra Liviné, fu colpito da una
granata nemica alla testa e in altre parti del corpo. Morì il giorno dopo: “E’ un martire. Così lo
chiamano tutti quelli del suo reggimento, ufficiale
e soldati e tutti quelli
che lo hanno conosciuto.”
Sepolto prima alle
pendici di Col di Lana
poi trasportato a
Digonera e nel 1924 fu
traslato con onoranze
solenni nella natia
Gavignano. (ripreso
da uno scritto di Padre
Giuseppe Oddone)
Novembre
2015
34
Stanislao Fioramonti
G
li Altipiani di Arcinazzo, nota località montana sulla via Sublacense, tra Subiaco
e Guarcino, prendono il nome dal paese di Arcinazzo Romano, l’antica Ponza, ma il
loro territorio appartiene a tre diversi comuni:
Arcinazzo Romano, appunto, e Trevi nel Lazio
e Piglio in provincia di Frosinone.
Si è venuta formando con gli anni, tra gli Altipiani
e Piglio (FR), una serie di cammini e sentieri ispirati a santi o a eventi di fede; collegati tra loro
unendo luoghi sacri e santuari, costituiscono un
vero “Trekking dello Spirito” lungo 10 km, con
partenza e arrivo agli Altipiani.
Queste le sue tappe:
1) Chiesa parrocchiale degli Altipiani (m.
840). Intitolata a Maria Refugium Peccatorum,
sulla facciata ha una lapide che ne delinea la
storia: “All’inizio del X anniversario della consacrazione
di questa chiesa parrocchiale, avvenuta il
6.8.1963, il parroco don Angelo Caranzetti perpetua nel tempo la munificenza della N.D. Lucia
Parodi Delfino, che molto contribuì alla sua costruzione, a gloria di Dio e della Madre divina e a
ricordo del marito sen. Leopoldo Parodi Delfino
e dei figli Paolo e Gerardo. Altipiani di Arcinazzo
6.8.1972”. Sull’architrave dell’ingresso è una invocazione: “Beata Virgo Maria, ora pro nobis peccatoribus”.
All’interno, ai due lati del transetto, tele moderne dedicate a S. Benedetto (di Carlo Mariani)
e a Don Bosco e un quadro della Vergine che
protegge la chiesa, di Sandro Conti (1945). Sull’arco
dell’abside, nella quale è un grande crocifisso,
la scritta: “Cor meum refugium tuum erit”.
Su invito del parroco p. Mario Fucà, Cappuccino
del convento di Fiuggi, sabato 13 settembre 2014
siamo partiti dalla chiesa per fare il
2) Sentiero “Via Lucis”, inaugurato il 16 agosto 2014, che dagli
Altipiani porta in vetta al m.
Retafani (m 1154), ove nel 2012
è stata posta una grande croce
di legno.
Dalla chiesa abbiamo seguito la
via di Fiuggi per circa 1 km fino
all’incrocio con via delle Fragole
e via Giuseppe Pagliei; questa è
lunga circa 200 metri e sbocca sulla asfaltata che contorna il m.
Retafani, nel punto in cui termina via Guido Rossa e inizia via
Fedele Calvosa.
Da qui inizia il sentiero, che piega a destra in falsopiano al margine delle case, poi inizia a salire più decisamente in una valletta
erbosa libera dagli alberi.
Lungo la salita al monte, per rappresentare i Misteri della Luce del
S. Rosario (istituiti da Giovanni Paolo
II con la Lettera Apostolica
Rosarium Virginis Mariae del 16
ottobre 2002), per iniziativa della parrocchia sono state installate
cinque sculture in ferro di Ernesto
Gentilini, raffiguranti gli episodi contemplati da
quei misteri, e cioè il battesimo Cristo, le nozze di Cana, l’annuncio del Regno, la Trasfigurazione
e l’istituzione dell’Eucarestia.
Naturalmente ad ogni stazione p. Mario ha letto il brano del Vangelo pertinente il “mistero” e
poi ha recitato tutta una posta del Rosario, così
per fare 300 metri di dislivello in salita ci abbiamo messo 3 ore. Ma poi arrivati in cima, in un
bell’ambiente naturale abbiamo finalmente
aperto gli zaini. Dopo un’ora di riposo, per conoscere l’altro versante (di Piglio) della boscosa
montagna, io e Ottavio Tatangelo di Sora siamo scesi in circa mezz’ora fino ai prati di San
Biagio, dove è stato tracciato il “Cammino contemplativo Karol Wojtyla”, che parte dal laghetto Inzuglio. Per il rientro abbiamo scelto il
3) Sentiero Natura Retafani, ottima carrareccia (ma invasa dall’erba cresciuta per la piogcontinua nella pag. accanto
Novembre
2015
gia) che girando alla base del monte collega il
laghetto Inzuglio con gli Altipiani per via
Pasquale Lolli o via Guido Rossa, la SP 147 di
Fiuggi e la chiesa parrocchiale.
4) Il “Cammino contemplativo Karol
Wojtyla” fu inaugurato il 30 aprile 2011 nella
località del comune di Piglio (FR) dove papa Giovanni
Paolo II il 15 aprile 2004 trascorse qualche ora
in preghiera e contemplazione. Lungo il percorso
nel 2012 sono state installate sculture in ferro
delle stazioni della Via Crucis, grandi m. 3 x 2,
opera dell’artista alatrense Adamo Dell’Orco.
Questo cammino prevede tre fermate:
La prima è all’inizio del cammino, indicato un
blocco marmoreo presso il laghetto in Località
Inzuglio e su un rialzo dalla statua in resina di
Papa Woityla. Vicina è una cappellina della SS.ma
Trinità eretta (lapide) per devozione dal popolo di Piglio; sotto l’altarino la lapide: “A perenne e grato ricordo di Fernando Cardinali, membro infaticabile del Comitato Organizzatore della SS.ma Trinità, gli amici affranti per la prematura
dipartita lo additano ad esempio come uomo probo e onesto, dedito alla famiglia e sempre disponibile nei confronti del prossimo. Comitato SS.ma
Trinità, Piglio 2002”.
Il percorso prosegue costeggiando da destra il
laghetto e poi entra per circa 500 metri ancora
verso destra; al bordo della sterrata quattro blocchi di marmo con impresse frasi celebri di G. Paolo II: “Non abbiate paura del futuro, perché il futuro siete voi”; “Io vi ho cercato, voi siete venuti da me, per questo vi ringrazio”; “Prendete in mano la
vostra vita e fatene un capolavoro”; “La pace non può regnare tra gli uomini, se prima non
regna nel cuore di ciascuno di
loro”. La seconda fermata è presso l’imbocco dei Prati di S. Biagio
(m 970), sotto il m. Retafani, dove
su un piccolo rialzo del terreno una
stele di marmo bianco riporta una frase celebre del papa montanaro:
“Non abbiate paura. Aprite, anzi,
spalancate le porte a Cristo. GP
II. Piglio, 30 aprile 2011. Egidio
Ambrosetti scolpì”.
Ancora più avanti, in mezzo ai Prati
di S. Biagio, presso un rifugio di pasto-
ri, tra cavalli e mucche al pascolo, è la
terza sosta; una
croce di granito sotto un faggio, con la
scritta: “Qui recitò
l’Angelus Karol Wojtyla”.
5) Tornati al laghetto Inzuglio (m 951), si attraversa la strada provinciale e si è subito al bivio
per il santuario della Madonna del Monte
(m. 970), alle falde orientali del monte Scalambra.
La chiesa è citata per la prima volta in un documento del 1328 circa il pagamento della “decima annuale corrisposta agli esattori della Curia
romana da Berardo Tyberii per l’importo di soldi 5” (Battelli, Rationes decimarum..., 1946). Compare
anche negli Statuti della Terra di Piglio del 1479.
In una fonte posteriore, i “Fondi manoscritti” dell’Archivio
Colonna, si parla di un luogo di ristoro presente nei paraggi. Vi si notifica che la Sacra Miracolosa
Immagine del Monte “si palesò nella antica sua
cona li cinque marzo dell’anno 1756 con gran
fama di miracoli, il primo dei quali fu nella persona di una filettinese, Domenica Rosa Pontesilli
ossessa, per esser liberata dai Spiriti maligni dalla Virgine che all’apparire di questa Sacra Immagine
allora fra gli albori, vomitò fava, ed un pezzo di
mattone”. Da un documento ritrovato nell’archivio
parrocchiale risulta che il 5 marzo di ogni anno
35
il clero e i devoti di Piglio e di Filettino si recavano in pellegrinaggio alla Madonna del Monte,
per ringraziarla degli scampati pericoli legati alla
stagione invernale e per auspicare buoni frutti
nelle stagioni successive (primavera ed estate), che sono le più produttive per l’agricoltura.
Il tradizionale pellegrinaggio si svolge anche ai
nostri giorni.
Il santuario, restaurato alcuni anni fa (verso il
2007) dal Comune di Piglio, sorge probabilmente
lungo un’antica via che conduceva a Trevi attraverso gli Altipiani di Arcinazzo e costituiva una
tappa importante per i pastori transumanti e per
i pellegrini diretti ai monasteri benedettini di Subiaco
o al santuario della SS. ma Trinità di Vallepietra.
Un tempo era custodito da un eremita, che qui
viveva in solitudine e in preghiera.
Oggi è inserito nel tratto laziale del Sentiero europeo E1. Da qui si può salire al m. Scalambra o
prendere il sentiero che scende agli Altipiani, costeggiando prima la recinzione dei Salesiani, poi quella del maneggio. In 45 minuti esso sbuca su una
sterrata che a sinistra sale alla vetta del m. Scalambra
(m. 1420) lungo il suo boscoso
fianco settentrionale (“Sentiero
Madonna della Pace”), a destra
invece costeggia il maneggio e
arriva alla
6) Via Sublacense (m. 830)
alla fine della pista ciclabile, di
fronte alla trattoria “Sorpaiolo” e
a pochi metri dai ruderi della villa dell’imperatore Traiano.
Lungo la ciclabile, in mezzo a grandi distese prative, si torna in centro alla chiesa degli Altipiani (2,7
m). Pochi metri prima del bivio
per Piglio si incontra a sinistra
la villa Parodi-Delfino (famiglia
che costruì all’inizio del Novecento
il polverificio di Colleferro) e a destra
la chiesetta dell’Assunta (chiesetta Parodi), che è stato il primo e per molti anni l’unico luogo di culto della località.
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2015
36
Paolo Ricci
L
o scorso 14 ottobre è stato presentato a Roma, al Museo dei Mercati di Traiano,
un progetto innovativo per la fruizione
delle opere: una nuova app per sperimentare
una visita completamente immersiva del Museo
dei Fori Imperiali nei Mercati di Traiano grazie
all’utilizzo di Glass (visori di realtà aumentata)
e dei Beacon (ripetitori bluetooth a bassa frequenza).
I Mercati di Traiano – Museo
dei Fori Imperiali a Roma
potranno essere visitati in una
modalità innovativa grazie al
progetto sperimentale “Museo
Glass Beacon: il museo del
futuro”, la nuova applicazione
tecnologica sviluppata da ETT
S.p.A. in collaborazione con
Mirko Di Ciaccio, vincitore del
bando “Cultura Futura” della Regione Lazio aperto ai
giovani creativi.
La sperimentazione è promossa dall’Assessorato alla
Cultura e allo Sport di Roma
– Sovrintendenza Capitolina
ai Beni Culturali con la
Direzione scientifica del Museo, i servizi
museali sono di Zètema Progetto Cultura.
Con questa iniziativa tecnologica si potrà girare per il Museo con occhiali di ultima generazione dotati di un piccolo display, questi visori
di realtà aumentata permettono una fruizione
innovativa e immersiva nei diversi ambienti.
Avvicinandosi alle opere, i visitatori grazie ai Beacon
posizionati nelle opere, potranno scoprire la storie del Museo e dei suoi personaggi visualizzando direttamente sul display tutte le informazioni:
testo, immagini, video e una riproduzione audio
che potrà essere ascoltata da un apposito auricolare negli occhiali.
L’applicazione rimarrà a disposizione dei visitatori gratuitamente per i due mesi successivi.
Un’esperienza unica e personalizzata, all’interno
di uno dei più prestigiosi musei del Sistema Musei
Civici, inserito all’interno del più vasto patrimonio
artistico di Roma e luogo di grande ricchezza
e vivacità culturale.
Nell’arco dei due mesi la Direzione del Museo,
ETT e Di Ciaccio, organizzeranno 10 incontri
formativi rivolti alle scuole per sensibilizzare i
più giovani sul ruolo attivo dei New Media e del-
le tecnologie nella valorizzazione dei beni culturali. L’adesione del Museo non è stata
casuale, fin dalla sua apertura infatti, si è mostrato aperto alla sperimentazione delle tecnologie
innovative, un approccio che gli ha consentito
di entrare nella rete di eccellenza europea VMUST.
La versatilità della collezione e i percorsi monumentali hanno poi fornito terreno fertile per lo
storytelling e l’interazione
col paesaggio urbano. Nei
due mesi di sperimentazione
il museo offre quindi un ulteriore percorso virtuale di realtà aumentata articolato in
14 punti di interesse collocati
tra il primo e il secondo piano dei Mercati di Traiano e
due punti esterni, uno sulla prima terrazza e l’altro su
Via della Torre.
I pezzi più significativi della collezione diventeranno
dei veri e propri personaggi
che racconteranno in prima
persona la storia dei Fori
Imperiali rispetto alla loro
collocazione originaria con
curiosità e aneddoti.
Le opere sono state scelte in funzione della loro
rappresentatività all’interno della collezione del
Museo dei Fori Imperiali, queste sono i punti
di interesse che rappresentano le maggiori attrazioni del complesso archeologico e che raccontano
al visitatore la storia dei Mercati di Traiano e dei
suoi protagonisti.
continua a pag. 37
Novembre
2015
37
Mara Della Vecchia
I
l testo biblico è sempre stato, nel passato come nel presente, oggetto di studio e approfondimento, esso rappresenta un riferimento
fondamentale nella cultura occidentale: dal punto di vista letterario, artistico, linguistico e simbolico, ma costituisce anche un imprescindibile fonte di ispirazione sul piano musicale. Nella storia della musica di occidente i riferimenti alla Bibbia sono costanti e innumerevoli.
Nello stesso testo sacro sono presenti moltissime citazioni relative alla
musica quale espressione della fede, della lode a Dio, o come elemento
del culto e ancora la musica come espressione dell’ ispirazione profetica o della sofferenza umana ed anche la musica che accompagna
i grandi e piccoli eventi del popolo di Dio.
Fino al XIX secolo la produzione musicale di ispirazione biblica è stata sempre copiosa, sia per la musica strettamente liturgica, che quindi aveva un preciso scopo pratico di animazione della funzioni religiose,
sia per la musica religiosa intesa come musica spirituale, destinata all’ascolto. Lo scenario cambia con il secolo XX, quando i compositori sembrano non ritrovare più nel testo biblico quella sostanza simbolica radicata nella cultura occidentale e così la produzione musicale sui temi
della Bibbia diminuisce in modo sensibile, al punto che tanti musicisti
di questo periodo ignorano completamente la musica sacra, cosa che
difficilmente era accaduta nei secoli precedenti.
Tuttavia grandi musicisti primo novecento quali Schoenberg e Stravinskij
hanno comunque puntato la loro attenzione verso il testo sacro con
grandi e bellissime opere.
Cosa c’è nel panorama contemporaneo riguardo la relazione musica e Bibbia?
Troviamo a sorpresa un profondo interesse per i testi biblici da parte di musicisti che animano o hanno animato la vita
musicale anche commerciale del secondo novecento, come
Roman Vlad, che ebbe modo
di dichiarare che molta della
sua produzione artistica è su
testi della Bibbia o ad essa ispirata. Luciano Berio attratto in
qualche modo dagli scritti
biblici. Oliver Messiaen, la cui
opera è interamente impregnata
dal messaggio biblico. Egli stesso si considerava un musicista “teologo”.
È interessante citare il pensiero
di personalità più stretta-
mente legate alla chiesa come Davide Maria Turoldo il quale parla della forza che sente nel rapporto tra Bibbia e musica, oppure Gianfranco
Ravasi che nella sua analisi della musica nella Bibbia ha parlato di un
legame musicale che attraversa l’intera narrazione biblica dalla
Creazione all’Apocalisse: nella Genesi si legge: “In principio Dio disse” e nel vangelo di Giovanni “In principio era il Verbo e il Verbo era
Dio” dove il Verbo cioè la parola coincideva con la musica presso il popolo ebraico. Nell’Apocalisse ricorrono spesso delle descrizioni di suoni
e musica. Anche in molte religioni orientali la creazione del mondo è
vista come il nascere del suono dal silenzio totale dal quale scaturisce
l’armonia che è Dio stesso.
È dunque un argomento ricco di spunti per riflettere e approfondire un
aspetto dei testi sacri che a volte nella conoscenza della Bibbia può
essere sottovalutato.
segue da pag. 36
Un percorso empatico ed emozionale, complice l’utilizzo delle tecnologie multimediali
– immagini, proiezioni olografiche, animazioni
in 3D – che offre al visitatore un’esperienza
divertente e al tempo stesso formativa.
Il risultato è una visita unica e altamente
tecnologica in cui tutti potranno muoversi
liberamente, scegliendo in autonomia il proprio percorso e relativi contenuti multimediali,
il tutto senza l’ausilio di cuffie aggiuntive
in quanto gli occhiali sono dotati di audio
in diverse lingue.
Un interessante incontro
quello tra passato e futuro che convergono in una
tecnologia innovativa capace di stimolare una ulteriore riflessione sull’importanza della cultura e sulla valorizzazione del patrimonio artistico di Roma.
Foto di G. Manelli
per ETT SpA
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Novembre
2015
Bollettino diocesano:
Prot. VSCA 24/2015
DECRETO NOMINA PRESIDENTE
DELL’ISTITUTO “MONS. G. SAGNORI” IN SEGNI
Ai sensi dell’art.7 dello Statuto dell’Istituto “Mons. G Sagnori”, Via Tomassi, 44, 00037 Segni (RM). Atto Notaio Valente del 24.06.2005 regis.to
il 07.07.2005 a Palestrina al n° 824 mod. S1, Repertorio n° 115370, Raccolta 31188
NOMINO Il Dr. Luigi Vari
Presidente dell’Istituto “Mons. G. Sagnori” con decorrenza 02.10.2015 per la durata di n° 5 anni.
Velletri, 02 ottobre 2015
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Prot. VSCA 25/2015
+ Vincenzo Apicella, vescovo
DECRETO NOMINA MEMBRO DI DIRITTO
DELL’ISTITUTO “MONS. G. SAGNORI” IN SEGNI
Ai sensi dell’art.7 dello Statuto dell’Istituto “Mons. G. Sagnori”, Via Tomassi, 44, 00037 Segni (RM).
Atto Notaio Valente del 24.06.2005 regis.to il 07.07.2005 a Palestrina al n° 824 mod. S1, Repertorio n° 115370, Raccolta 31188
NOMINO Mons. Franco Fagiolo
Membro di Diritto dell’Istituto “Mons. G. Sagnori” con decorrenza 02.10.2015 per la durata di n° 5 anni.
Velletri, 02 ottobre 2015
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Prot. VSCA 26/2015
+ Vincenzo Apicella, vescovo
DECRETO NOMINA CONSIGLIERE
DELL’ISTITUTO “MONS. G. SAGNORI” IN SEGNI
Ai sensi dell’art.7 dello Statuto dell’Istituto “Mons. G. Sagnori”, Via Tomassi, 44, 00037 Segni (RM). Atto Notaio Valente del 24.06.2005 regis.to
il 07.07.2005 a Palestrina al n° 824 mod. S1, Repertorio n° 115370, Raccolta 31188
NOMINO Il Sig. Ing. Aldo Tedeschi
Consigliere dell’Istituto “Mons. G. Sagnori” con decorrenza 15.09.2015 per la durata di n° 5 anni.
Velletri, 02 ottobre 2015
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Prot. VSCA 27/2015
+ Vincenzo Apicella, vescovo
DECRETO NOMINA A CONSIGLIERE
DELL’ISTITUTO “MONS. G. SAGNORI” IN SEGNI
Ai sensi dell’art.7 dello Statuto dell’Istituto “Mons. G. Sagnori”, Via Tomassi, 44, 00037 Segni (RM).
Atto Notaio Valente del 24.06.2005 regis.to il 07.07.2005 a Palestrina al n° 824 mod. S1, Repertorio n° 115370, Raccolta 31188
NOMINO Mons. Angelo Mancini
Consigliere dell’Istituto “Mons. G. Sagnori”con decorrenza 02.10.2015 per la durata di n° 5 anni.
Velletri, 02 ottobre 2015
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Prot. VSCA 28/2015
+ Vincenzo Apicella, vescovo
ATTESTATO DI ORDINAZIONE PRESBITERALE
DI DON GABRIELE ARDENTE
Sabato 10 Ottobre 2015, presso la Parrocchia di San Bruno vescovo in Colleferro,
è stato Ordinato Presbitero per codesta Diocesi, per la imposizione della mani e la preghiera consacratoria di S. Ecc.za Rev.ma Mons. Vincenzo
Apicella Vescovo Diocesano
il Rev.do Don Gabriele Ardente.
Alla solenne concelebrazione, inserita nella “Festa parrocchiale dell’Esultanza” hanno partecipato molti sacerdoti, diaconi e ministri e una numerosa rappresentanza del Popolo di Dio.
Velletri, 10 ottobre 2015
+ Vincenzo Apicella, vescovo
Novembre
2015
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Bollettino diocesano:
Prot. VSCA 29/2015
DECRETO DI NOMINA DI DON GABRIELE ARDENTE
A VICARIO PARROCCHIALE DI SAN BRUNO IN COLLEFERRO
La Parrocchia di San Bruno in Colleferro ha bisogno dell’apporto di un vicario parrocchiale che aiuti il parroco nella cura pastorale. Ben conoscendo la vitalità di quella comunità si rende necessaria la nomina di un vicario. Pertanto per la facoltà datami dal can. n° 557 del Codice di
Diritto Canonico, con il presente decreto che ha effetto immediato,
nomino te Rev.do don Gabriele Ardente
nato a Roma il 15.07.1975
ordinato presbitero per la nostra Diocesi il 10.10.2015
Vicario Parrocchiale della Parrocchia di San Bruno in Colleferro
Nell’attuare quanto richiesto dal Codice di Diritto Canonico in sintonia con il Parroco
di S. Bruno vescovo, ti assista la mia personale fiducia.
Velletri, 10 ottobre 2015
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Prot. VSCA 31/2015
+ Vincenzo Apicella, vescovo
ATTESTATO DI ORDINAZIONE DIACONALE DI DON CARLO FATUZZO
Domenica 18 Ottobre 2015, presso la Parrocchia Basilica Cattedrale di San Clemente I, p.m. in Velletri
ha ricevuto il primo grado del sacramento dell’Ordine sacro ovvero il Diaconato per codesta Diocesi, per la imposizione della mani e la preghiera
consacratoria di S. Ecc.za Rev.ma Mons. Vincenzo Apicella Vescovo Diocesano
il Rev.do Don Carlo Fatuzzo.
Alla solenne concelebrazione vespertina, nella XXIX domenica del tempo ordinario, la cui liturgia della Parola presentava la figura del “Cristo
venuto per servire” hanno partecipato molti sacerdoti, diaconi e ministri e una numerosa rappresentanza del Popolo di Dio.
Velletri, 18 ottobre 2015
+ Vincenzo Apicella, vescovo
Il cancelliere vescovile, Mons. Angelo Mancini
Incarico della CEI per S.E. Mons. V. Apicella
Nel corso dei lavori svoltisi dal 30 settembre al 2 ottobre 2015 a
Firenze, il Consiglio Episcopale Permanente della CEI ha provveduto
alla nomina dei membri delle Commissioni Episcopali, i cui Presidenti
erano stati eletti nel corso dell’Assemblea Generale tenuta nel maggio
2015. Di ciascuna Commissione Episcopale fa parte un Vescovo
emerito, indicato dalla Presidenza.
Il nostro vescovo è tornato a far parte della Commissione Episcopale
per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, così composta:
S.E. Mons. Filippo SANTORO (Taranto), Presidente;
S.E. Mons. Francesco ALFANO
(Sorrento - Castellammare di Stabia);
S.E. Mons. Vincenzo APICELLA (Velletri - Segni);
S.E. Mons. Marco ARNOLFO (Vercelli);
S.E. Mons. Claudio CIPOLLA (el. Padova);
S.E. Mons. Giampaolo CREPALDI (Trieste);
S.E. Mons. Maurizio GERVASONI (Vigevano);
S.E. Mons. Giovanni RICCHIUTI
(Altamura - Gravina - Acquaviva delle Fonti);
S.E. Mons. Gastone SIMONI (em. Prato);
S.E. Mons. Mario TOSO (Faenza - Modigliana).
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