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Ing. Stefano Fabbri
ANALISI STRUTTURALI
NON LINEARI: APPLICAZIONE
DEL METODO FEM
Sommario
1. Introduzione e background
storico
Le analisi strutturali di tipo non-lineare
sono molto diffuse in ogni ambito ingegneristico
e la loro complessità rappresenta una sfida sotto
molteplici aspetti (computazionale, teorico, di
allineamento tra risultati numerici e sperimentali,
ecc.).
In questo articolo sono presentate le linee generali
delle analisi strutturali non lineari tramite
il metodo FEM (Finite Element Method) e ne sono
descritti i fondamenti teorici e le principali fonti
di non-linearità. Inoltre, viene mostrato un esempio
di analisi numerica e viene esaminata la sensibilità
dei risultati ottenuti al variare di alcuni parametri.
Altran Italia fa largo impiego di analisi strutturali
FEM nelle sue divisioni AIT (Automotive) e ASD
(AeroSpazio e Difesa). In ASD le applicazioni sono
molto diversificate e vanno dai razzi vettori per
satelliti, ai satelliti stessi, ad ogni livello di
progetto. Le analisi di tipo non-lineare sono
impiegate dai Consultant Altran ovunque sia
presente una criticità di progetto e numerosi
clienti hanno espressamente richiesto questo tipo
di professionalità, cui Altran ha efficacemente
risposto.
L’ingegneria deve affrontare una vasta gamma di problemi legati ad un
numero esteso di applicazioni pratiche. Problemi apparentemente semplici, legati alla produzioni di beni e servizi utilizzati nella vita di tutti i
giorni, nascondono soluzioni complesse e non immediate.
Si consideri un oggetto comune come la ruota di un’automobile, mostrata in Figura 1.
Fonte: http://www.wikipedia.org/
Figura 1. Ruota di automobile.
La ruota è composta da un cerchione metallico e da uno pneumatico costituito da un elastomero rinforzato. La ruota è collegata al mozzo tramite perni filettati su cui sono serrati dei dadi di grosso diametro.
Comunemente, in caso di sostituzione, l’approccio di montaggio è serrare i dadi il più possibile per timore di un loro svitamento. In realtà,
esistono valori precisi del serraggio che sono determinati, in fase di progetto, attraverso analisi piuttosto complesse, che tengono conto delle
sollecitazioni dinamiche della ruota. Un possibile approccio preliminare,
per stabilire tali valori, è quello di stimare i carichi sul bullone in base
alle forze esterne, ipotizzando una loro distribuzione uniforme, e deter-
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minare la coppia minima di serraggio che impedisca lo slittamento
del cerchione sul mozzo e che non porti la vite a snervamento, con
adeguati margini di sicurezza. Con questo procedimento, si è effettuata un’analisi lineare del problema.
Nell’analisi lineare si fanno due ipotesi di base:
Dalla discussione precedente risulta che, per problematiche di
questo tipo, l’ipotesi di linearità del sistema non è più valida e, perciò, è necessario effettuare analisi non lineari, in cui l’eq. (1) diventa:
(2)
• gli effetti sono proporzionali alle cause che li hanno prodotti,
• vale il principio di sovrapposizione degli effetti, in base al quale
la combinazione lineare degli input ha come risultato la combinazione lineare degli output.
Questo approccio è utilizzato, come prima approssimazione, per la
risoluzione di un problema complesso, con l’obiettivo di ottenere
una stima del comportamento del sistema che si sta analizzando
e per effettuare un primo debug del modello complesso del sistema
stesso. Le analisi lineari sono, generalmente, semplici da impostare e sono risolvibili piuttosto rapidamente, richiedendo poche
risorse di calcolo. Infatti, l’analisi lineare si riduce spesso alla risoluzione di un sistema algebrico di equazioni lineari del tipo:
(1)
dove F è un vettore degli input, K è una matrice di proporzionalità
e u è il vettore degli output1.
L’eq. (1) è valida per qualunque tipo di analisi lineare, ed in particolare nelle analisi strutturali, il cui scopo è lo studio di spostamenti, sforzi, deformazioni e reazioni vincolari in una struttura o in
una parte di essa. Pertanto, nelle analisi strutturali, F rappresenta le forze esterne, K la matrice di rigidezza e u gli spostamenti: l'eq. (1) altro non è che la generalizzazione della Legge di
Hooke per l’elasticità. Tuttavia, come spesso accade, le semplificazioni sono difficili da applicare nei casi reali. Le sollecitazioni sui
bulloni non sono, in generale, determinabili analiticamente, poiché
il sistema è iperstatico (numero dei vincoli maggiore del numero dei
gradi di libertà) e le sollecitazioni stesse sono influenzate dal contatto tra cerchione e mozzo ruota. Se si applicasse l’eq. (1), F non
sarebbe una costante, ma dipenderebbe dal contatto del cerchione
con il mozzo e, quindi, dallo spostamento del cerchione stesso,
cioè da u. Questo è un primo esempio di non-linearità, per cui l’eq.
(1) comincia a perdere di validità. Sempre esaminando i bulloni, il
materiale con cui sono costruiti può essere soggetto a snervamento, per cui la sua rigidezza non sarebbe più indipendente dalla
deformazione. Quindi, continuando ad impiegare l’eq. (1), la costante K del sistema non risulterebbe, in realtà, costante, ma dipenderebbe ancora dagli spostamenti u. Infine, in generale,
esistono giunti bullonati in cui vi possono essere grandi spostamenti e/o deformazioni, che sono legati tra loro dal legame cinematico e che devono essere tenuti in considerazione.
1
Nel seguito, una lettera sottolineata una volta rappresenta un vettore, mentre una lettera sottolineata due volte indica una matrice.
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L’eq. (2) è più difficile da risolvere dell’eq. (1) e richiede l’impiego
di metodi iterativi e maggiori tempi di calcolo.
Analisi non lineari sono correntemente effettuate nell’ingegneria
e in svariati casi sono svolte mediante analisi numeriche, a causa
delle geometrie complesse sotto esame che non permettono di
avere una soluzione in forma chiusa. Una metodologia largamente
diffusa in ingegneria per affrontare analisi lineari e non lineari di
geometrie complesse è il cosiddetto metodo ad elementi finiti
(Finite Element Method, FEM). Esso consiste nel suddividere, in
parti più semplici, un problema complesso e non risolubile nel
suo insieme, effettuare una serie di calcoli locali in ciascuna parte
e ricostruire la soluzione di insieme.
Il metodo FEM nacque negli anni Trenta, almeno da un punto di
vista teorico (si veda [1]). Ma è negli anni Cinquanta che, presso
la Boeing, cominciarono a svilupparsi i primi metodi di calcolo per
elementi semplificati, che furono successivamente raffinati all’Università di Berkeley negli anni Sessanta con trattazioni analitiche rigorose. Il primo software general purpose per calcoli FEM
fu SAP (Structural Analysis Program), creato sempre a Berkeley
e poi distribuito liberamente. Nel 1965, la NASA promulgò una
gara d’appalto per lo sviluppo di un software per l’analisi FEM,
vinta dalla CSC (Computer Science Corporation) che, nel 1969,
fornì NASTRAN (NAsa STRuctural ANalysis) alla NASA. Successivamente, la MSC Software, che faceva parte del team di cui
CSC era prime contractor nell’attività per la NASA, produsse la
propria versione di Nastran e cominciò a commercializzarla diventando negli anni leader del settore (si veda [2] per ulteriori
dettagli). Nei primi anni Settanta nacquero i solutori FEM commerciali dedicati prevalentemente all’analisi non lineare come
ABAQUS, ANSYS e MARC, passati attraverso varie vicende commerciali. Ad esempio, MARC nacque come software separato e
fu, poi, acquistato dalla MSC Software. Attualmente, è stato inglobato come SOL600 in MSC Nastran, ma è disponibile anche
a parte per mantenere il know-how di esperti familiari con esso.
Il vantaggio dei software commerciali general purpose è che soddisfano una vasta gamma di esigenze, pur consentendo una certa
personalizzazione tramite user subroutines, con cui l’utente può
implementare funzioni dedicate. Inoltre, il fatto di essere commerciali, ne assicura una larga diffusione e, quindi, una validazione indiretta (in effetti, ogni software commerciale include un
disclaimer del fornitore sulle eventuali conseguenze negative derivanti dal suo impiego).
I settori di applicazione furono inizialmente i settori aerospaziale,
nucleare e civile. Sono tutti settori dove sono presenti elementi
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critici per la “missione” in senso lato, come una guarnizione oring2 in un’interfaccia tra ugello e corpo motore in un razzo, oppure una giunzione in una condotta di raffreddamento di un
reattore nucleare.
Attualmente, i solutori FEM non lineari sono impiegati, ad esempio, dove sono presenti anche simultaneamente:
• materiali non lineari (plasticizzazioni, creep, materiali elastomerici, schiume, suolo),
• condizioni al contorno (contatti, pressioni, forze centrifughe),
• grandi spostamenti e/o deformazioni (buckling, snap-through,
stampaggio),
sibilità a seconda del tipo di analisi. Gli elementi utilizzati nelle analisi sono, frequentemente, triangoli e quadrilateri per domini bidimensionali, esaedri e tetraedri per domini tridimensionali. Sui nodi
sono applicati carichi e vincoli (condizioni al contorno), che possono essere, ad esempio, forze o momenti. Scelta la tipologia di
soluzione (lineare o non lineare), il software crea un sistema di
equazioni algebriche dove le incognite sono gli spostamenti dei
nodi. Successivamente, gli spostamenti nodali sono utilizzati per ricavare altre variabili di interesse (ad esempio, sforzi e deformazioni).
In linea generale, ogni software FEM esegue sei passi base (si
veda [2]):
per analizzare:
• Definizione delle funzioni di forma dell’elemento
(3)
• componenti di automobili (pistoni, supporti elastomerici del
motore, guarnizioni delle portiere, crash),
• pneumatici (elastomeri rinforzati),
• propulsori aeronautici (palette, compressori e turbine),
• strutture aeronautiche (giunti bullonati, attacchi di carrelli),
• sistemi missilistici (case di motori, interfacce ugelli, agganci
di missili aria-aria),
• sistemi spaziali (sistemi di sgancio dei satelliti, payload adapters),
• metallurgia (saldature, fusioni, tempra),
• componenti elettronici,
• strutture navali,
• piattaforme offshore,
• reattori nucleari (interfacce, alte temperature, sistemi fluidi ad
alta pressione),
• equipaggiamenti biomedicali (pompe, elastomeri).
dove N è una matrice che lega lo spostamento u all’interno dell’elemento alle variabili nodali ue.
Ad esempio, per un’asta3 di lunghezza l, l’eq. (3) si semplifica
nell’eq. (4) (si veda la Figura 2 per la nomenclatura):
(4)
In base alle considerazioni precedenti, è evidente che:
• avere un software commerciale,
• che operi in ambiente Unix o Windows,
• che sia inserito all’interno di un PLM (Product Lifecycle Management),
• che goda di larga diffusione,
• che abbia un buon supporto da parte del venditore,
Figura 2. Spostamenti nodali in un elemento asta.
contribuisce a ridurre il time-to-market di un prodotto e migliora
il posizionamento sul mercato di un’azienda.
2. Sei passi base del metodo FEM
Il metodo FEM si basa sulla possibilità di risolvere le equazioni differenziali dell’analisi strutturale in modo approssimato, in un dominio ristretto (elemento finito). L’oggetto dell’analisi (campo) è
decomposto in elementi connessi tra loro da nodi. Ciascun elemento è caratterizzato da tipologia e materiale, con svariate pos-
• Definizione dei legami cinematico e costitutivo
Il legame cinematico lega gli spostamenti nodali u alle deformazioni ε secondo l’eq. (5):
(5)
3
2
Un o-ring è un anello di elastomero a sezione circolare usato come guarnizione meccanica o sigillo.
Elemento (monodimensionale) rettilineo a due nodi che presenta rigidezza solo per le traslazioni e, di conseguenza, trasmette solo forze assiali. Viene utilizzato di norma per la modellazione di strutture reticolari.
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dove L è una matrice di operatori differenziali (in questo caso
contiene la derivata prima rispetto a x).
L’eq.(5), per un’asta, diventa l’eq. (6):
(10)
(11)
(6)
In questo caso specifico, il legame cinematico è uno sviluppo in
serie al primo ordine delle deformazioni in termini di spostamenti
e, quindi, nella matrice L compare l’operatore derivata prima.
Per grandi deformazioni, compare il quadrato della derivata
prima, per cui è presente una non-linearità.
Il legame costitutivo lega gli sforzi σ e le deformazioni ε secondo la:
(7)
dove D è una matrice che rappresenta il legame tra le componenti di sforzi e deformazioni ed è una caratteristica del materiale.
Se si sceglie un materiale isotropo, omogeneo, elastico e lineare, nell’esempio dell’asta (monodimensionale) il legame costitutivo si riduce ad una costante di proporzionalità E, che è il
modulo di Young del materiale4:
(8)
In generale, il legame costitutivo può essere non elastico e nemmeno lineare (ad esempio, quando vi sono delle plasticizzazioni)
e, quindi, la matrice D cambia continuamente con le deformazioni e deve essere aggiornata. Si intravede, a questo punto, la
necessità di un metodo iterativo per risolvere il sistema di equazioni.
• Creazione delle matrici degli elementi
Ogni elemento è in equilibrio col sistema di forze esterne. Questa condizione può essere scritta come segue, nell’eq. (9):
L’eq. (10) è ottenuta da una condizione di stazionarietà dell’energia potenziale totale dell’elemento e, per un’asta di sezione
A, può essere riscritta come:
(12)
Nell’eq. (11) b sono i carichi di volume, t sono i carichi di superficie e F sono i carichi concentrati (per un’asta, solo questi
ultimi sono presenti, alle sue estremità). L’eq. (11) evidenzia
che i carichi di volume e superficie sono possibili fonti di non linearità, perché possono dipendere dagli spostamenti (ad esempio, forze centrifughe nel caso di carichi di volume e contatti nel
caso di carichi di superficie).
• Assemblaggio delle matrici
Successivamente, le matrici dei singoli elementi sono assemblate tra loro, per eliminare i gradi di libertà ridondanti dei nodi
comuni tra gli elementi. Ne risulta il sistema di equazioni complessivo mostrato nell’eq. (13):
(13)
dove K è la matrice di rigidezza del sistema.
• Risoluzione delle equazioni
Al sistema di equazioni dell’eq. (13) sono applicate le condizioni
al contorno (ad esempio, forze applicate o spostamenti imposti
vengono definiti nella fase di analisi dei requisiti del sistema),
per cui il sistema è partizionato tra equazioni relative a forze
applicate (con pedice a) e quelle relative a reazioni vincolari (con
pedice r):
(9)
(14)
e
e
dove K è la matrice di rigidezza dell’elemento e f sono le forze
nodali:
4
Il legame costitutivo per un materiale di questo tipo include anche il modulo di Poisson
ν, che tiene conto della contrazione trasversale alla direzione dello sforzo, ma non ha significato pratico per elementi di tipo asta semplice.
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dove uu sono gli spostamenti incogniti e us sono gli spostamenti assegnati.
Il sistema di eq. (14) è, successivamente, risolto rispetto ad
uu e fr fornisce le seguenti equazioni risolutive:
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(15)
(16)
L’eq. (15) e l’eq. (16) mostrano che la soluzione del sistema di
equazioni è influenzata sia dalle condizioni al contorno che dalla
matrice di rigidezza. Se uno dei due o entrambi dipendono dagli
spostamenti u, è necessario ricorrere ad un metodo iterativo.
• Calcolo degli sforzi e delle deformazioni
Una volta calcolati, gli spostamenti vengono inseriti nel legame
cinematico e costitutivo (step 2) per determinare il valore
degli sforzi e delle deformazioni.
3. Costi computazionali
I sei passi base mostrati hanno evidenziato le profonde differenze
nella soluzione di un problema lineare rispetto a uno non lineare.
Una conseguenza di queste differenze è il costo computazionale,
poiché le analisi lineari sono risolte in un passo solo, mentre quelle
non lineari sono risolte in modo incrementale, cioè con iterazioni in
cui i sei passi vengono effettuati ciclicamente ad ogni modifica degli
spostamenti calcolati, finché l’analisi termina, in base ad un criterio di convergenza.
Un esempio molto semplice di non-linearità è quella del materiale.
Una piastra sottoposta a trazione nel piano è stata analizzata con
le medesime condizioni di carico e vincolo. L’analisi con proprietà
lineari del materiale può essere compiuta in un solo passo in 0.88
secondi, mentre introducendo un comportamento non-lineare del
materiale può essere completata in 33 passi in 8.08 secondi.
Queste valutazioni mostrano che analisi non lineari vanno intraprese con le dovute cautele anche perché, in casi semplici, la convergenza è assicurata, ma in presenza di non-linearità spinte (ad
esempio, contatti o forti plasticizzazioni) non è detto che sia ottenibile immediatamente.
I costi computazionali dipendono, in modo preponderante, dal metodo di soluzione. Nel caso lineare, il sistema di equazioni algebriche è lineare ed è risolvibile in un solo passo (ad esempio, per
eliminazione gaussiana). Nel caso non lineare, il sistema di equazioni algebriche è non-lineare ed è risolvibile in modo iterativo (ad
esempio, col metodo di Newton-Raphson). Questo implica la presenza di criteri di convergenza, identificabili analizzando alcuni parametri dell’analisi e verificando che il loro valore si riduca col
progredire delle iterazioni. Un approccio può essere quello di misurare quanto il sistema sia lontano dall’equilibrio delle forze (metodo dei residui) oppure misurare la variazione relativa degli
spostamenti. La scelta di usare forze o spostamenti dipende dal
tipo di analisi e dal carico esterno. Ad esempio, il metodo dei residui può dare una convergenza prematura in analisi termostrutturali con espansione libera, in cui le reazioni vincolari sono assenti.
In tal caso, il controllo va fatto sugli spostamenti.
Le iterazioni (o incrementi di carico, in senso generale) possono
essere centinaia e dipendono dal valore iniziale assegnato al carico
stesso e dal massimo incremento di carico ammissibile. La scelta
del valore iniziale condiziona l’andamento della soluzione, perché
l’algoritmo di calcolo basa ogni incremento sui risultati di quelli
precedenti. Quindi, un valore iniziale che consenta la convergenza
del primo incremento di carico è estremamente importante per il
corretto svolgimento dell’analisi e per avere dei risultati in tempi
ragionevoli.
4. Alcuni tipi di non-linearità
Le non-linearità che possono presentarsi nell’analisi strutturale
possono essere di vario genere e, come già detto, possono attribuirsi a tre cause:
• geometria,
• materiale,
• condizioni al contorno.
Nei paragrafi successivi vengono analizzati questi tre tipi di non-linearità.
4.1 Non-linearità geometriche
Le non-linearità geometriche sono quelle per cui la struttura, soggetta al carico, può deformarsi a tal punto che la configurazione
deformata non può più essere considerata simile a quella indeformata. Questo comporta, ad esempio, che il carico sia applicato in
funzione della configurazione stessa.
Le varie tipologie di non-linearità geometriche sono:
• grandi spostamenti,
• grandi deformazioni,
• follower force,
• buckling.
Un esempio di grandi spostamenti è quello mostrato in Figura 3,
in cui, nell’ipotesi di piccoli spostamenti, il momento flettente nella
trave dipende solo dalla forza applicata F e dal braccio d, mentre,
per grandi spostamenti, il momento dipende anche dalla deformazione della struttura stessa perché il braccio aumenta, per cui
la configurazione di equilibrio finale deve essere determinata per
passi successivi.
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Figura 3. Esempio di grandi spostamenti.
Un altro caso di non-linearità geometrica è quello di grandi deformazioni, per cui il legame cinematico spostamenti-deformazioni
non è più lineare. In questo caso, per risolvere le equazioni differenziali dell’analisi strutturale, si deve impiegare uno sviluppo in
serie al secondo ordine delle deformazioni e, corrispondentemente,
una diversa espressione matematica degli sforzi.
Un’altra non-linearità geometrica è il caso della follower force, mostrata in Figura 4. Se il carico è, ad esempio, una pressione, deve
essere sempre normale alla superficie su cui è applicato e quindi
la “seguirà” nella sua deformazione.
Figura 4. Follower force.
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Un ultimo caso di non-linearità geometrica è il buckling, situazione
in cui una struttura collassa sotto un carico esterno. L’analisi di
buckling può essere svolta mediante due approcci: la risoluzione di
un problema di autovalori oppure un’analisi incrementale completa.
Il primo approccio è applicato quando la struttura caricata assume
una configurazione instabile come, ad esempio, una trave caricata
di punta a compressione al di sopra di uno specifico valore di carico, detto carico critico. In pratica, però, questo caso ideale non
si presenta mai, sia per la presenza di imperfezioni geometriche,
sia, soprattutto, perché il carico non è mai in una direzione neutra, ma genera dei momenti. A tal proposito, la Figura 5 illustra
un esempio di carico che può portare al collasso strutturale. Un
pannello irrigidito da correntini è una struttura che si utilizza nel
design delle strutture alari dei velivoli. Soggetto a carichi di compressione nel piano, ad esempio sul dorso dell’ala, si deforma
senza spostamenti fuori dal piano solo se la sollecitazione passa
attraverso il piano neutro. Questa condizione ideale non si verifica
mai, per cui la sollecitazione deforma il pannello fuori del piano finché gli sforzi all’interno dei correntini o della skin superano un valore che fa collassare la struttura.
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Figura 5. Compressione di un pannello irrigidito da correntini.
Per calcolare il valore del carico critico, l’approccio corretto è eseguire un’analisi non lineare con grandi spostamenti, che paradossalmente non arriva a convergenza perché, al collasso della
struttura, la matrice di rigidezza diventa singolare, ma l’ultimo incremento di carico arrivato a convergenza dà il valore del carico di
critico. Si noti che questo valore è, in generale, diverso da quello
ottenuto con l’analisi agli autovalori perché quest’ultima è di tipo lineare.
4.2 Non-linearità dei materiali
Un’altra vasta categoria di non-linearità è dovuta alle caratteristiche dei materiali. In molti casi, l’approccio iniziale è quello di considerare il materiale di tipo lineare, per semplicità e per avere una
stima iniziale dei risultati. In altri casi, le non-linearità non possono
essere ignorate, ad esempio, quando un materiale metallico supera il limite di snervamento o quando il materiale è intrinseca-
mente non lineare anche a valori bassi del carico.
Esistono svariate tipologie di materiali, ciascuno con un differente
comportamento. Alcuni esempi sono riportati in Tabella 1 (nella
pagina successiva). Per molti materiali è necessario scegliere un
modello rappresentativo e reperire dati sperimentali. Ciascun modello richiede, infatti, di attribuire dei valori a parametri numerici
che individuino la sua curva sforzi-deformazione e che devono essere individuati sperimentalmente.
Il solutore utilizza il modello del materiale per definire il legame
costitutivo (si veda l’eq. (7)) e aggiorna continuamente la matrice
di rigidezza dell’elemento al variare delle deformazioni. Si noti che
tale aggiornamento è continuo per:
• tutti i punti di integrazione,
• all’interno di ciascun elemento,
• ad ogni incremento di carico.
Questi tre aspetti comportano un aumento dei tempi di calcolo.
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Materiale
Caratteristiche
Esempio
Elastico
Sforzi funzione delle deformazioni.
Deformazioni sotto il limite di snervamento
per molti materiali (metalli, vetro, ecc.)
Elasto-plastico
Condizione di snervamento necessaria per calcolare gli sforzi
e le deformazioni plastiche. Deformazioni permanenti
alla rimozione del carico.
Metalli, suolo
Iper-elastico
Stress funzione delle deformazioni istantanee.
Alla riduzione di carico il materiale segue lo stesso percorso che
all’incremento di carico.
Elastomeri
Ipo-elastico
Curva sforzi-deformazione dipendente dalla velocità di
deformazione.
Cemento
Visco-elastico
Stress dipendenti dal tempo e dalla storia di carico.
Recupero completo di forma dopo rimozione del carico.
Gomma, vetro, plastiche industriali
Visco-plastico
Plasticità e scorrimento ad alta temperatura (creep).
Metalli, polveri
Memoria di forma
Materiali con trasformazioni di fase.
Materiali biomedicali, antenne satellitari
Creep
Deformazioni che aumentano sotto carico costante.
Sforzi che diminuiscono sotto deformazioni costanti.
Le deformazioni non sono istantanee.
Metalli ad alte temperature, materiali
polimmidici, semi-conduttori
Tabella 1. Tipologie di materiali con non-linearità.
4.3 Non linearità dovute alle
condizioni al contorno
La terza fonte di non-linearità sono le condizioni al contorno, che
possono dipendere dagli spostamenti.
Un caso relativamente semplice è quello già trattato di follower
force (ad esempio, un serbatoio in pressione ha il carico di pressione sempre ortogonale alla superficie interna).
Un caso più complesso e frequente in ambito industriale è quello
del contatto tra corpi. Alcuni esempi di problemi di contatto sono
lo stampaggio dei metalli, prove di crash, analisi di giunti bullonati.
Si noti che, spesso, in queste problematiche confluiscono tutte le
cause di non-linearità finora considerate.
I problemi di contatto sono caratterizzati da due importanti
aspetti: il riconoscimento del contatto e l’attrito. Il riconoscimento
del contatto comporta l’utilizzo di molte risorse di calcolo da parte
del solutore. Infatti, per ciascun nodo deve valutare la posizione
rispetto ad altri elementi, definire “di fronte” a quale elemento si
trovi, da quale lato della superficie di contatto e a che distanza.
Tutto questo implica una serie di prodotti vettoriali e confronti che
devono essere effettuati per un grande numero di nodi ed elementi.
Se un nodo entra all’interno di una banda di contatto (si veda la Figura 6), cioè la sua distanza da un elemento è inferiore ad una
Figura 6. Banda di contatto.
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certa tolleranza, è considerato in contatto con l’elemento e si applica un’equazione di vincolo. Questo vincolo è tale per cui il nodo
in contatto “scivola” sull’elemento in base al modello di attrito
scelto.
In ogni aspetto, tra quelli rapidamente elencati vi sono delle complessità notevoli. Basti pensare che anche solo la tolleranza di contatto ha un’importanza significativa sui costi di calcolo, perché la
procedura è iterativa e una tolleranza troppo stretta può comportare che il nodo oltrepassi la banda di contatto durante un iterazione e il contatto non venga riconosciuto subito, con conseguente
ricalcolo delle posizioni all’interno di un medesimo incremento.
L’altro aspetto da considerare è l’attrito. Nei casi reali, l’attrito
dipende da molti parametri, tra cui rugosità, lubrificazione, temperatura, stress normale e velocità relativa. Un modello di attrito
frequentemente utilizzato è quello coulombiano, in cui sono calcolate le condizioni di strisciamento o non strisciamento. I problemi si presentano nel modellare la transizione tra i due stati e
nello stabilire un valore appropriato per il coefficiente di attrito.
Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, i valori in letteratura
rappresentano solo una prima approssimazione per cui, in mancanza di test dedicati, conservativamente, si usano i valori più
bassi.
5. Esempio di analisi di un giunto
bullonato
precarico delle viti, delle forze scambiate tra viti ed elementi del
giunto, delle condizioni di distacco sono solo alcuni degli aspetti
da considerare. Esistono trattazioni avanzate (si veda, ad esempio,
la normativa tedesca [4]) il cui scopo è mettere l’ingegnere in condizione di calcolare in modo sistematico e conservativo giunti bullonati di tipo semplice. Questi approcci sono necessari qualora nel
progetto siano presenti delle configurazioni ripetute decine di volte
che debbano essere trattate in modo rapido per ottenere un’ottimizzazione strutturale (ad esempio, nel cassone alare di un velivolo). Quando, però, si ha a che fare con una giunzione particolare,
che sia anche critica per il progetto, è necessario effettuare
un’analisi numerica: in questo caso, l’approccio basato su FEM non
lineare è essenziale.
In quanto segue, viene presentato l’esempio di un giunto con quattro viti, soggetto a un carico esterno trasversale rispetto all’asse
delle viti (si veda Figura 7). Il modello FEM relativo alla Figura 7 è
mostrato in Figura 8 ed è stato realizzato attraverso il tool MSC
Patran mentre l’analisi è stata effettuata con il software MSC Nastran (si veda [5]). Il modello include 15.300 nodi e 25.971 elementi così distribuiti:
• 17.566 tetraedri a quattro nodi,
• 1.200 brick5 a sei nodi,
• 7.200 brick a otto nodi,
• un RBE26 per introdurre il carico e quattro elementi molla7 come
stabilizzatori numerici.
Un esempio significativo di applicazione degli argomenti trattati è
l’analisi di una giunzione bullonata sotto carichi elevati. Esso presenta tutte le non linearità esaminate finora: grandi spostamenti
o deformazioni, materiali non lineari e contatti.
I giunti bullonati presentano una complessità considerevole che
rappresenta una sfida per l’esame per via analitica. Il calcolo del
Elemento che presenta da quattro a ventisette nodi e che possiede solo tre gradi di libertà per nodo corrispondenti alle tre traslazioni. Questo elemento è in grado di modellare uno stato tensionale tridimensionale.
6
RBE (Rigid Body Element) è un elemento rigido che vincola cinematicamente due o più
punti di uno o più corpi. Il numero due indica la tipologia: nel codice di calcolo Nastran esiste più di un tipo.
7
Elemento rettilineo a due nodi dotato di rigidezza assiale e/o rotazionale, utilizzato per
modellare vari tipi di vincolo elastico, quali, ad esempio, gli spostamenti imposti.
Figura 7. Esempio di giunto bullonato.
Figura 8. Modello FEM di un giunto bullonato.
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In questo esempio, i materiali sono di tipo metallico (alluminio di
tipo Al 7.075-T6 per la flangia e viti in lega di nickel Inconel 706)
ed è stato adottato un modello elasto-plastico con incrudimento
isotropo8, per cui, dopo lo snervamento, gli stress seguono una
curva sforzi deformazioni σ-ε lineare a tratti.
Nell’analisi sono stati inclusi tutti i parametri ritenuti necessari
come i grandi spostamenti e le grandi deformazioni. Il contatto
è stato simulato con un coefficiente di attrito pari a 0.2 e un
modello coulombiano di tipo bilineare. La superficie rigida mostrata in Figura 7 è stata inclusa nell’analisi e posta a contatto
con la flangia.
A titolo illustrativo, in Figura 9 sono mostrati gli stress nella
flangia mentre in Figura 10 è mostrato il contatto tra flangia e
superficie rigida. Si noti che il contatto è non uniforme perché il
carico esterno dà luogo ad un momento che solleva una parte del
giunto.
Tramite l’analisi FEM sono state, quindi, valutate:
• la condizione di slittamento del giunto (analisi delle forze di contatto in funzione del carico applicato),
8
L'incrudimento è un fenomeno metallurgico per cui un materiale metallico risulta rafforzato in seguito ad una deformazione plastica a freddo. L’incrudimento isotropo si ha quando, invertendo lo sforzo, si ha snervamento al valore di sforzo attuale, cambiato di segno.
• lo stress massimo nelle viti, in funzione del carico applicato,
• la rigidezza del giunto (spostamento del punto di applicazione
della forza, in funzione del carico applicato).
Nel grafico di Figura 11 è mostrato il comportamento globale del
giunto, in termini di forze di contatto e sforzi massimi in una vite.
È evidente la condizione di slittamento del giunto, a circa 38.000 N,
quando la forza di contatto sulla superficie rigida diventa inferiore
a quella che agisce sulla flangia e lo sforzo nella vite aumenta. Lo
slittamento è ben evidenziato in Figura 12, in cui lo spostamento
del punto di applicazione del carico esterno aumenta fino a quando
i fori della flangia entrano in contatto con i fianchi delle viti. Successivamente, le viti continuano ad essere sollecitate e a lavorare
in regime plastico, fatto che si deduce dal plateau di sforzo evidenziato in Figura 11. La validità dell’analisi può essere stimata
sulla base dell’equilibrio delle forze sulla flangia, mostrato in Figura 13 (il fattore due tiene conto del doppio contatto sotto testa
e sulla superficie).
È stata, poi, effettuata un’analisi semplificata della sensibilità dei
risultati in cui sono stati ipotizzati piccoli spostamenti, piccole deformazioni e materiale lineare.
L’esame dei tempi di calcolo evidenzia i vantaggi dell’analisi semplificata dal punto di vista dei costi computazionali. Entrambe le
Figura 9. Sforzi nella flangia.
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Figura 10. Contatto tra flangia e superficie rigida.
analisi sono non lineari, poiché la non-linearità di contatto è sempre presente. Tuttavia, il tempo di calcolo dell’analisi semplificata
è stato di 4.299 secondi contro 9.6529, ridotto quindi al 45% rispetto all’analisi completa.
9
Su PC con Intel Centrino 1.8 GHz e 3 Gb di RAM.
In generale, l’analisi semplificata evidenzia un comportamento leggermente più rigido del giunto, con spostamenti inferiori a parità
di carico esterno (si veda Figura 14). La differenza fondamentale
è, ovviamente, nel comportamento dei materiali per cui lo sforzo
nella vite sale indefinitamente, che non è realistico. Questo
aspetto, però, non influenza in modo significativo la curva forza-
Figura 11. Forze di contatto e sforzi nella vite.
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Figura 12. Forze di contatto e rigidezza del giunto.
Figura 13. Calcolo del carico di slittamento.
Figura 14. Forze di contatto e sforzi nella vite (analisi semplificata).
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Figura 15. Forze di contatto e rigidezza del giunto (analisi semplificata).
spostamento in Figura 15 (rigidezza del giunto), che può quindi essere utilizzata come input per analisi FEM di livello superiore, in cui
non sia efficiente implementare un simile grado di dettaglio.
Tale approccio è stato adottato dalla divisione AeroSpazio e Difesa
di Altran nell’analisi di una specifica connessione bullonata ripetuta n volte, nell’ambito del progetto di un lanciatore per satelliti.
La connessione ha presentato delle prerogative peculiari, per cui
è stata analizzata in modo analogo a quanto mostrato precedentemente. L’attività ha comportato l’esame della connessione, la caratterizzazione dei materiali utilizzati, la modellazione FEM e
l’analisi dei risultati. Questi ultimi sono stati inseriti all’interno di
un modello globale, nel quale gli n giunti sono stati schematizzati
come “concentrati” in n elementi molla non lineari, la cui curva
forza-spostamento è stata ottenuta proprio da un grafico analogo
a quello mostrato in Figura 15.
6. Conclusioni e punti aperti
L’analisi dei giunti bullonati presenta una serie di complicazioni aggiuntive a quelle delle normali analisi non lineari:
• l’incertezza sul precarico delle viti,
• l’incertezza sui valori della coppia di serraggio,
• l’incertezza sui parametri di attrito.
L’incertezza sul precarico applicato alle viti resta un punto
aperto su cui esistono molteplici trattazioni. Un eventuale confronto con dati sperimentali si scontrerebbe con un’incertezza
sui valori della coppia di serraggio che dipende fortemente dal
metodo adottato (si veda la tabella A8 in [3]: con una chiave dinamometrica calibrata si ha un’incertezza attorno al 25% o superiore). Inoltre, durante il serraggio, circa il 40% della coppia
è speso in attrito sotto la testa della vite, il 50% serve a vincere
l’attrito sui filetti e solo il 10% circa è impiegato per mettere la
vite in tensione. Quindi, la mancanza di informazioni certe sui
parametri di attrito resta il terzo punto critico dell’analisi. Un
errore nella stima di tale parametro è sufficiente a determinare
una notevole variazione del precarico calcolato e degli sforzi trasmessi tra le interfacce bullonate. Una parziale soluzione si
avrebbe effettuando dei test di attrito almeno tra le interfacce,
per avere dei valori di riferimento. Tuttavia, il serraggio dei componenti finali avviene in condizioni che possono essere non perfettamente controllate e, quindi, conservativamente, si adottano
valori numerici bassi in modo che le viti siano precaricate maggiormente e che le interfacce trasmettano sforzi maggiori di
quelli presenti in realtà.
Da quanto discusso sinora, le analisi non lineari risultano più
complesse e dispendiose di quelle lineari, poiché richiedono l’uso
di uno schema incrementale di calcolo della soluzione. Talvolta
sono richieste più iterazioni successive prima di giungere ad una
soluzione soddisfacente: pertanto, una variabile importante da
considerare è la dimensione del modello, poiché il tempo richiesto per l’assemblaggio e per la soluzione dipende dal numero dei
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gradi di libertà del sistema. A tale problematica si può porre rimedio sfruttando proprietà geometriche di simmetria del modello, elementi ad integrazione ridotta e adottando ipotesi
semplificative a livello di analisi (piccoli spostamenti e/o piccole
deformazioni). Nonostante ciò, anche gli algoritmi più efficienti
possono fare poco in caso di forti non-linearità nei materiali o di
contatto, per cui lo sviluppo di nuove procedure numeriche è un
campo di ricerca ancora molto attivo.
Bibliografia
46
[01].
Ray W. Clough, Edward L. Wilson.
“Early Finite Element Research at
Berkeley”. Proceedings of the 5th U.S.
National Conference on Computational
Mechanics, 1999.
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[03].
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Training Material”.
[04].
Verein Deutscher Ingenieure VDI 2230,
“Systematic calculation of high duty
bolted joints with one cylindrical bolt”,
2003.
[05].
http://www.mscsoftware.com/
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Stefano Fabbri è Professional
Consultant in Altran Italia da
Marzo 2008, nella Divisione
ASD. Nel 1999 si è laureato
in Ingegneria Aerospaziale
presso l’Università di Roma
“La Sapienza”. Dal 2000 ha lavorato in Italia e UK per
aziende del settore aerospazio e difesa, come responsabile di progetto e analisi strutturale in programmi
spaziali e aeronautici, civili e militari. Le sue competenze riguardano: analisi dei requisiti di sistema e produzione di specifiche di sotto-sistema e componenti;
concurrent engineering su configurazioni, materiali, impiego di componenti off-the-shelf; analisi FEM (lineari e
non lineari, termostrutturali, dinamiche), utilizzo di applicativi CAE (I-Deas, Patran, Nastran, Marc, Abaqus,
LS-Dyna3D), sviluppo di metodi di analisi per materiali
compositi, test di qualifica termo-meccanici. E’ autore
di pubblicazioni sul birdstrike per la rivista “Sicurezza
Volo” dell’Aeronautica Militare Italiana.
[email protected]
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ANALISI STRUTTURALI NON LINEARI: APPLICAZIONE