Lo specchio delle mie brame
Sono curioso di leggere l’ultima traduzione dei
vangeli… mi faciliterebbe la vita e forse mi
darebbe più coraggio. Piuttosto che sentirmi per
esempio “servo inutile” (brutta traduzione come
ci ha ricordato don Romano recentemente), che
fa passare la voglia non solo di impegnarsi, ma
anche di dare un senso alla propria vita,
potremmo scoprire che siamo, non dico servi
utili ma che so … servi operosi, servi che non
chiedono contraccambio. Che andrebbe anche
bene salvo che poi, in qualche modo, riusciamo
sempre da soli o tramite altri, a darci comunque
una ricompensa.
Forse potremmo optare per servi semplici, servi
inconsapevoli, servi miti, tranquilli, servi fedeli …
Il problema rimane comunque: sul fatto di
essere servi ormai non ci piove, anche perché
l’alternativa, come ben sappiamo è servire
mammona, con lo strascico di nefandezze che
questa scelta comporta. Ma sulla qualità del
nostro servizio brancoliamo ancora nel buio.
Certo la categoria dell’utilità non ci aiuta molto,
anzi forse per entrare appena appena nel
mistero dobbiamo allontanarci il più possibile dal
concetto di utilità. Il perché in fondo è semplice:
ciò che è utile, per noi o per gli altri, alla fine lo
decidiamo sempre noi anziché farlo decidere a
nostro Signore. E allora si che siamo davvero
inutili, sprecati e degni di essere “potati” dal
vignaiolo.
E allora che fare? Meglio accendere la luce della
preghiera.
Dio solo è luce e noi siamo il suo riflesso; NON
siamo la fonte della luce ma se ci facciamo
specchi
perfettamente
riflettenti
possiamo
rimandare la stessa luce. Quindi mi viene da
dire: evitiamo di renderci utili, specialmente se
non ne siamo convinti, che è anche un po’ triste
e sa tanto di bancario del talento sotterrato. Dio
ci chiama a ben altro: a farci specchi puliti per
risplendere della Sua luce.
Forse possiamo anche faticare poco per farci
specchi
puliti,
dipende
anche
dalla
“manutenzione” che abbiamo avuto finora. Se è
stata un po’ carente non impariamo a fidarci
dell’amore degli altri o ci fidiamo della persona
sbagliata. Ma a far da soli certamente siamo
tutti carenti, deficitari. Finiamo per pretendere,
per giudicare e ricadiamo nella categoria
dell’utile o inutile per me o per gli altri. Il mio
sguardo, la mia parola finiscono nuovamente per
riflette solamente giudizio e i suoi figliastri: finta
pietà, riprovazione, non importa se detto o
taciuto è comunque recepito. Se il mio desiderio
di dare o ricevere amore lo affido veramente a
Dio allora la musica cambia e come dice Benigni
è quella che conta, non le parole.
Nell’incontrare l’altro, se desidero che davvero
l’altro cambi ma per il suo vero bene, non credo
ci sia bisogno di fare grandi proclami, promesse
eterne né tanto meno insegnare a vivere; non
devo prendere decisioni vitali, macerarmi nel
dubbio o nell’angoscia.
Devo piuttosto farmi antenna-occhio e antennaorecchio in diretta sintonia con quello che
conosco di Gesù e del suo cuore: possiamo
chiamarla preghiera o come vogliamo.
Ecco: io ringrazio Dio e la mia misera e semplice
esperienza con ospiti della caritas e con i fratelli
che
generosamente
ci
aiutano
nella
“conformazione del nostro cuore”. Questo
contatto costante mi restituisce dignità anche se
non fa delle cose speciali: continua però a
rinfrescarmi la memoria su come Dio desidera
che io mi renda “utile”…e spero a fare u po’ di
semplicità e di verità.
Se infatti aiutiamo una persona a trovare un
lavoro o una casa o accompagnandolo a curarsi
o facendogli compagnia abbiamo fatto questo e
niente di più.
Abbiamo fatto solamente ciò che per giustizia
andava fatto. Ciò che potremo fare invece per
amore solo Dio lo sa e lo permette, nella misura
in cui preghiamo il Signore di insegnarci a stare
vicino a Lui e come dice San Pietro, che cosa sia
conveniente domandare.
Giovanni Fulloni
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Spero proprio che qualcuno alla svelta traduca i vangeli in mod