MARZO 2010 INCHIESTA Carceri: abbiamo indagato i perché del collasso INTERVISTA Scamarcio: “mi sento cittadino del mondo” BEST SELLER Altro che chirurgia estetica! Un libro ci salverà ISSN 2035-701X “Poste Italiane. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1, DCB Torino n° 2 Anno 2010”- € 1,20 MIRANDOLINA, FASCINO SENZA ETÀ Palcoscenico RUBRICHE BACKSTAGE IERI ACCADRA' ANTISPOT GIRA LA MODA INTERNET VOTI NOTI FORUM 20 22 ISTANTANEE IN VERSI La poesia di Gregory Corso L’ETERNITÀ IN UN MOMENTO Fotografia ASPETTANDO IL 16 APRILE… Dietro le quinte di “Vivere di periferia” SPECCHIO, SPECCHIO DELLE MIE BRAME… Un libro ci salverà dai “body drama”? 30 A CHANCE TO BE ROMANTIC… Emergenti 32 UN CAFFÈ CON CAVOUR Intervista impossibile TUTTI I COLORI DEL VERDE Europa sotto i Venti PER CHI SUONA CAMPANELLA? Appuntamento con la musica classica PESCAT(T)ORE VAGANTE Conversazione con Riccardo Scamarcio Inchiesta …E TUTTO IL MONDO FUORI 46 CAPITALI ITALIANE 50 NEL MONDO Aspettando i 150 anni dell’unità nazionale GIOVANI CRITICI 36 43 COSTUME E SOCIETÀ MUSICA 28 40 41 SALINGER’S FUNERAL PARTY Reportage dalla Scuola Holden IL PEZZO MANCANTE Immigrazione: dopo Rosarno, esplode anche Milano CHE “INCANTEVOLE INCOERENTE”! Intervista a Federica Camba 38 16 Sovraffollamento, violenze, tasso di recidività altissimo: nelle carceri vengono violati ogni giorno i diritti più elementari. Voci, storie e numeri di un sistema al collasso 52 54 APPUNTAMENTI Le date da non perdere 60 CRUCIRIPASSO Tutti pronti per storia dell’arte? 62 marzo n°2 Direttore responsabile Renato Truce Vice direttore Lidia Gattini Coordinamento di redazione Eleonora Fortunato Segreteria di redazione Sonia Fiore Redazione di Torino Valeria Dinamo corso Allamano, 131 - 10095 Grugliasco (To) tel. 011.7072647 / 283 - fax 011.7707005 e-mail: [email protected] Redazione di Genova Giovanni Battaglio e-mail: [email protected] Redazione di Roma Simona Neri, Matteo Marchetti via Nazionale, 5 - 00184 Roma tel. 06.47881106 - fax 06.47823175 e-mail: [email protected] Hanno collaborato Giovanni Battaglio, Patrizia Battaglio, Stefania Benetti, Roberto Bertoni, Fiammetta Bertotto, Marco Billeci, Lorenzo Brunetti, Andrea Boutros, Maria Elena Buslacchi, Giulia Cerino, Annalisa Citoni, Chiara Colasanti, Emanuele Colonnese, Giorgio Comola, Mario Coppola, Daniela Vitello, Alessandra D’Acunto, Isabella Del Bove, Chiara Falcone, Paolo Fornari, Benedetta Gaino, Marzia Mancuso, Matteo Marchetti, Francesca Marrollo, Caterina Mascolo, Benedetta Michelangeli, Serena Mosso, Elena Prati, Luca Sappino, Samuele Sicchio, Jacopo Zoffoli. Direttore dei sistemi informativi e multimediali Daniele Truce Impaginazione Giorgia Nobile, Gianni La Rocca Illustrazioni Alessandro Pozzi Fotografie e fotoservizi Circolo di Sophia, Massimiliano T., Fotolia, Agenzia Infophoto Sito web: www.zai.net Francesco Tota Editore Mandragola Editrice società cooperativa di giornalisti via Nota, 7 - 10122 Torino Emergenza diritti umani nelle carceri del nostro Paese: i giovani reporter hanno deciso di affrontare questo argomento delicato sia per i recenti fatti di cronaca, sia perché hanno scoperto che fra i loro coetanei c’è un’allarmante disinformazione. Così, partendo dalla trasmissione radiofonica su Radio Zai.net e dai dati sul sovraffollamento delle carceri, Serena e Micol hanno provato a ricostruire una situazione ormai purtroppo al limite della tollerabilità per uno Stato veramente civile, interrogandosi anche sulla validità del piano varato dal governo per porvi rimedio. Consueto focus sull’immigrazione con l’articolo di Matteo a pag. 20. Ancora una volta l’attualità ci offre spunti di riflessione sul futuro delle nostre città: la rivolta interetnica di via Padova a Milano mostra i limiti delle politiche di integrazione del nostro Paese. Cambio di tono a pag. 22 con un servizio tutto dedicato alle nostre lettrici: complice l’uscita in Italia del best seller “Body drama”, ci siamo domandati se l’accettazione del proprio corpo e, di conseguenza, della propria femminilità possa essere favorita anche dalle pagine di un libro. All’interno del servizio troverete i dubbi di Benedetta, che ha scritto il servizio, le risposte dell’autrice e le opinione lasciate da alcune lettrici nel nostro forum su Facebook. Pausa musicale da pag. 27 con la cantautrice Federica Camba, gli emergenti Chance to be romantic e un grande interprete di Liszt, il maestro Michele Campanella. Un tuffo nelle novità cinematografiche con Riccardo Scamarcio (ritratto in un bellissimo primo piano anche sulla nostra copertina), che a pag. 36 ci ha raccontato l’ultimo film di Ferzan Ozpetek, “Mine vaganti”, di cui è protagonista. Con Galatea Ranzi, nei panni di una radiosa Mirandolina, andiamo invece a teatro (pag. 38). Prima di lasciarvi al racconto di Ilenia sul suo viaggio in Irlanda (pag. 56) e al cruciripasso di Chiara questo mese sulla storia dell’arte, concedetevi un piccolo viaggio nel tempo con un’intervista impossibile al regista dell’unificazione italiana, il Conte Camillo Benso di Cavour, di cui quest’anno ricorrono duecento anni dalla nascita. Stampa Stige S.p.A. - via Pescarito, 110 10099 S. Mauro (To) Buona lettura Zai.net Lab Anno IX / n. 2 - Marzo 2010 Autorizzazione del Tribunale di Roma n°486 del 05/08/2002 Abbonamento sostenitore: 25 euro Abbonamento annuale studenti: 10 euro (9 numeri) Servizio Abbonamenti MANDRAGOLA Editrice società cooperativa di giornalisti versamento su c/c postale n° 73480790 via Nazionale, 5 - 00184 Roma tel 06.47881106 - fax 06.47823175 Col contributo di: La rivista è stampata su carta riciclata E 2000, Cartiere Cariolaro Questa testata fruisce dei contributi statali diretti della legge 7 agosto 1990, n. 250. Questo periodico è associato all’Unione Stampa Periodica Italiana Centro Unesco di Torino Sponsor: Col contributo di: In associazione con: Col patrocinio di: Con la partecipazione di: Media partner: GE A ST K C BA Hanno contribuito a questo numero: Gino Centofante Elisabetta Raggio 17 anni, collaboratore del giornale dell’Istituto Tecnico “Galileo Galilei” di Pontecorvo (Fr), ama molto leggere e si interessa a qualsiasi tipo d’espressione artistica e letteraria. Tra i suoi progetti futuri c’è proprio quello di diventare giornalista. Va matto per i dolci, in particolare la cioccolata, ama giocare a pallavolo, e la frase che gli si sente ripetere più spesso è “Avanti sempre e comunque”. Non perdetevi il suo intervento nel forum. 19 anni, vive a Roma e da settembre è finalmente stata catapultata nel fantastico quanto terribile mondo universitario della Sapienza, dove studia Psicologia. Nonostante gli orari impossibili delle lezioni e l’enorme mole di studio, non rinuncia alle sue passioni: amici, lettura, nuoto e, ovviamente, scrittura. Per questo collabora con Zai.net, sperando di divertirsi, di imparare e, perché no, di appassionare voi lettori. Fiammetta Bertotto 21 anni, frequenta il terzo anno di Lettere moderne all’Università di Torino. Ha molte passioni: cinema, fotografia, scrittura entrano a diritto nella top ten, ma è interessata a qualunque forma d’arte e cultura che si proponga di interrogare e rappresentare il mondo. Alla domanda “cosa farai da grande?” non sa ancora dare una risposta sicura, perché vorrebbe esistesse una professione in grado di mettere insieme tutti i suoi interessi; forse un giorno la scoprirà. Micol Debash Neomaggiorenne, è studentessa e direttrice del giornale scolastico del Liceo ebraico “Renzo Levi” di Roma. Tra orari scolastici interminabili e progetti extra, cerca di gestire al meglio la sua vita frenetica, lasciando spazio ai libri, alla musica, alla scrittura e a una forte attrazione verso il mondo americano. Inoltre, non perde di vista l’importanza dell’appoggio di chi le è accanto, come i genitori, senza i quali ogni aspirazione sarebbe irrealizzabile. Il suo obiettivo? Una volta terminato il liceo, mettere il proprio mondo in una valigia e trasferirsi a New York per studiare giornalismo all’università: la volontà non manca e ce la sta mettendo davvero tutta! Carlo Guidi 16 anni, studente del liceo classico “Mazzini” di Genova, si definisce “un essere sbiadito ed enigmatico”. Ama scrivere poesie e testi in prosa. Un tuono esplode dentro di lui ogni volta che le lettere nere di un libro penetrano nella sua mente: è anche il suo arzigogolato modo per dire che gli piace la lettura. Se ancora non si fosse capito, ama i paradossi. Ah… suona in una band! Ada Marrocco 19 anni, di Terracina (Lt), la sua passione più grande è la musica: canta e scrive canzoni e il suo sogno nel cassetto è proprio quello di diventare una cantautrice. Ama molto anche la scrittura e le lingue straniere (in particolare lo spagnolo), motivo per cui, in realtà, non le dispiacerebbe nemmeno fare il lavoro di giornalista, preferibilmente nell’ambito musicale. Nel frattempo, anche grazie alla nostra rivista, si mette alla prova per riuscire a realizzare almeno uno dei suoi due sogni nel cassetto, non è certo difficile immaginare quale… IER IA CC AD RÀ A cura di Isabella Del Bove, 18 anni Notizie serie e curiose selezionate dai calendari del passato 1 MARZO 1562 Oltre mille Ugonotti vengono massacrati dai cattolici a Vassy, in Francia, segnando l'inizio della prima guerra di religione 1896 Henri Becquerel scopre la 4 MARZO 1848 Carlo Alberto emana lo Statuto Albertino 12 MARZO 1894 La Coca-Cola viene venduta in bottiglie per la prima volta 1877 Emile Berliner inventa il microfono radioattività 1983 La Swatch presenta il suo primo orologio 1994 La Chiesa d'Inghilterra ordina il 16 8 MARZO 1925 Italia: viene assegnato 2 MARZO 1717 The Loves of Mars and Venus diventa il primo balletto eseguito in Inghilterra 1923 Esce il primo numero della famosa rivista Time all'Hockey Club Milano il primo scudetto dell'hockey su ghiaccio 1908 A Milano viene fondata l’Inter 9 MARZO 1935 Adolf Hitler ordina il riarmo della Germania in violazione al Trattato di Versailles: nasce la Wehrmacht 1978 In un agguato a Roma le Brigate Rosse rapiscono Aldo Moro uccidendo cinque uomini della scorta MARZO 1969 Si svolge a Tolosa il primo volo sperimentale del Concorde 1562 A Napoli sono banditi i baci in pubblico. Per i contravventori è prevista la pena di morte 1955 A Ginevra viene presentata al pubblico quella che diventerà una delle icone del boom economico italiano del dopoguerra: la Fiat 600 27 MARZO 1964 Alle 17:36 locali, il più 3 MARZO 1955 Elvis Presley appare in televisione per la prima volta potente terremoto mai registrato negli USA (magnitudo 9.2 della Scala Richter) colpisce l'Alaska centro-meridionale: 125 le vittime e ingenti i danni specie nella città di Anchorage 2006 Muore Rudolf Vrba, l'unica persona fuggita da Aushwitz MARZO primo sacerdote donna T O P IS T AN A cura di Caterina Mascolo, 21 anni CHE GIOIA L’INNO ALLO STUPIDO! Una rivalutazione della scemenza mancava proprio nel panorama delle pubblicità. Nello spot della Diesel, nota marca di abbigliamento giovanile, ascoltiamo: “gli intelligenti vedono le cose per ciò che sono, gli stupidi per come potrebbero essere”. Ora, vi sfido ancora a trovare una logica in questa affermazione. Poco credibile anche l’idea di camuffare la stupidità come rottura di argini e testa d’ariete di nuove scoperte, a meno che tutti i grandi progressi dell’umanità non debbano essere ricondotti anziché al genio e alla fatica di chi si impegnò per ottenere risultati di una certa rilevanza, al mero guizzo di uno scemo. Uno degli slogan rivendica, poi, che “gli intelligenti hanno il cervello, gli stupidi le palle”, anche questo mi pare proprio un non-senso. Lo choc dello spot in sé non è da condannare, se in primis lo scopo della reclame è quello di rimbalzare di bocca in bocca. Si abbia però il coraggio di proporla per quel che è, senza ricamarci su presupposti pseudo-ideologici. CE L’HAI O NON CE L’HAI? Non accenna a lasciare il piccolo schermo il pacchetto di Pocket Coffee, ricarica di energia tascabile per migliaia di studenti alle prese con gli esami. In un’aula dove si sta tenendo uno scritto è un continuo bisbigliare di “ce l’hai? ce l’ho… ce l’hai? ce l’ho”: credete si tratti della soluzione della verifica? No! L’oggetto misterioso altri non è che il cioccolatino ripieno! Il professore si accorge del trambusto e si aggira tra i banchi (qui si registra un picco di tensione non indifferente) fino a scorgere un’ipotetica vittima. Il ragazzo china il capo mesto, l’espressione affranta è degna di un momento drammatico ma poi... riemerge con la confezione dei Pocket Coffee! Non ci soffermiamo sul colpo di scena risibile, ma sulla reazione del docente: invece di farglieli ingoiare con tutta la carta, sorride bonario e il dramma scampato sfocia in un divertente siparietto. L’impalcatura dello spot è assai fantasiosa: un vero cult, poi, lo studente bianchiccio in perenne stato di semicoscienza che per non svenire è costretto ad ingurgitare massicce dosi di cioccolato e caffè! TONO EPICO FUORI LUOGO Come non menzionare la serie di uomini scemi che invadono gli spot? Un esempio da non trascurare è mostrato dallo shampoo Clear: Cristiano Ronaldo, un famoso calciatore, anzi, come sottolinea il modesto sottotitolo, il miglior giocatore al mondo, palleggia con la bottiglietta del prodotto. Sin qui, nulla di sconcertante. Il ridicolo è però in agguato: il campione, illuminato dai riflettori, dichiara vinta la sua partita contro… la forfora. Il tono epico risulta comico associato alle squamette di cuoio capelluto! LA RA A GI OD M A cura di Alessandra D’Acunto, 21 anni TREGGINS, MUST DELLA NUOVA STAGIONE IL FASCINO DELLA MODA COLPISCE CHIUNQUE! E COSÌ, NEANCHE UN “ADDETTO AI LAVORI” DI ZAI.NET, COME LA NOSTRA SERENA, HA POTUTO SOTTRARSI ALL’OBIETTIVO DI ALESSANDRA... Up-to-date, ma con qualche rischio Cara Serena, tu sì che puoi indossare i treggings! Spiegherò subito questo termine fresco di stagione, che si riferisce a quei pantaloni aderentissimi e lucidi, perfetto incrocio tra trousers e leggings, indossati dalla nostra modella per un giorno. Sono pantacollant rinforzati al punto da sostituire i pantaloni, una delle novità più gettonate dell’ultimo periodo. Out di giorno, sono adatti ad una sera in disco o a un qualsiasi appuntamento trendy, ma presentano anche qualche rischio. Effetto salsiccia: se non vi sentite particolarmente in forma, evitateli, sono così aderenti da formare antipatici rotolini qua e là. Effetto Catwoman: a meno che il vostro intento non sia emulare l’eroina dei fumetti, sconsiglio di abbinarvi top succinti o aderenti, per puntare a qualcosa di più comodo ma allo stesso tempo stiloso, ad esempio un miniabito a palloncino. Il look di Serena è up-to-date anche nelle scarpe plateau che, supportate da un sostegno sotto la pianta, alleggeriscono il peso sui tacchi. Se non vi convincono, optate per tronchetti, in versione scamosciata o lucida. Quando il dettaglio fa la differenza La disinvoltura con cui Serena posa indurrebbe a chiudere un occhio di fronte ad alcune stonature, tanto più che, di primo acchito, sembrerebbero non esserci sostanziali differenze con la foto “In”. In realtà, abbiamo una palese dimostrazione di come, spesso, siano i famosi dettagli a fare la differenza, rendendo labile il confine tra “In” e “Out”. Mi riferisco agli accessori indossati, adatti a contesti sportivi e casual, al contrario dei treggings, riservati a occasioni d’effetto. La borsa e il poncho, infatti, due oggetti di gran moda presi singolarmente – in più accomunati dalla natura vintage - non vanno molto d’accordo in questa combinazione di colori e tessuti. Il poncho, in particolare, è un vero e proprio patchwork, ossia un lavoro di ritagli e incastri di stoffe diverse, che costituisce un oneroso “di più” rispetto al filato lucido dei treggings e alla pelle della borsa. Occhio, perciò, anche ai materiali da abbinare. E ricordate: i treggings danno vita a un look d’impatto senza bisogno di troppe aggiunte. A cura di Lorenzo Palaia, 19 anni IN TE RN ET Il bavaglio mediatico: comincia la battaglia per la ‘Net Neutrality’ entre nel mondo assistiamo allo scontro tra la Cina e gli Usa – che, autoproclamatisi paladini della libertà, insistono sulla libertà di informazione in Rete nella crociata contro la censura dei regimi dittatoriali – in Italia il decreto Romani rischia di avvicinare il nostro Paese a questi regimi. Si tratta in realtà della consueta delega al Governo per il recepimento delle direttive Ue, che in questo caso ha dovuto aggiornare la normativa sui “Servizi Media Audiovisivi” (Direttiva 2007/65/CE) con un decreto che sarà emanato a breve e che comprenderà: norme in materia di pubblicità televisiva per dirottare la pubblicità dalle ‘pay tv’ alle altre emittenti, in cui qualcuno ha ravvisato un conflitto di interessi tra Sky e Mediaset (di proprietà del Presidente del Consiglio); norme in materia di produzione cinematografica, che aboliscono l’obbligo del 10% di produzione indipendente; infine norme in materia di Internet, che introducono importanti limitazioni da non sottovalutare. I siti, infatti, dovranno essere registrati come normali organi di stampa, cosa che prima (legge Levi-Prodi) era necessaria solo per quelli giornalistici; non solo: la trasmissione audiovisiva dovrà essere autorizzata dal ministero, e l’Agcom (Autorità per le Garanzia nelle Comunicazioni) sarà tenuta a controllare che i contenuti non violino il diritto d’autore. Canzoni e video, ad esempio, non saranno più ascoltabili gratuitamente se protetti dal copyright e la distribuzione libera della cultura farà un ulteriore passo indietro. Ma la cosa che contraddice di più il concetto di ‘Net Neutrality’ è che la responsabilità delle violazioni sarà individuata nei gestori, che quindi dovranno vigilare sulle loro reti. Siti come Youtube, Google e Facebook, dunque, non saranno più liberi centri di circolazione delle informazioni lasciati al senso di responsabilità penale e civile dei naviganti, ma soggetti a selezione e censura dall’alto. La Rete, quindi, sarà la vera responsabile delle singole violazioni. Ci si appresta così alla distruzione di un baluardo della democrazia partecipata dal basso, in cui ognuno è responsabile di ciò che dice e non delega a nessun altro la propria parola, e insieme vengono meno i propositi di autoregolamentazione ed autoresponsabilizzazione proposti dallo stesso Governo poco tempo fa. Chi sa se il prossimo passo non sarà proprio, come in Cina, l’oscuramento dei siti? M Il sito del mese reato nell’agosto 2005 a Hong Kong e già tradotto in 15 lingue diverse, aNobii è un social network letterario che permette agli amanti della letteratura (purché siano informatizzati) di pubblicare la propria libreria online, trovare eventualmente compatibilità con altri internauti, pubblicare le proprie recensioni e idee, il tutto (volendo) con una larga privacy. Una specie di caffè letterario virtuale globalizzato insomma, che non è di certo al pari della fisica concretezza di uno reale, ma che consente un interessante diversivo. C Il blog d’informazione del mese el dare spazio al giornalismo partecipativo in rete - strumento di informazione che consente la cosiddetta ‘democratizzazione’ del fatto e dell’opinione - da cosa iniziare se non da Fai Notizia? Il blog dei radicali, infatti, è stato il primo esperimento del genere in Italia e ancora oggi è un simbolo di efficiente informazione partecipata. N TI O N TI VO A cura di Lorenzo Brunetti, 19 anni LADY GAGA LA REGINA INCONTRASTATA DELLE HIT PARADE MONDIALI HA ALLE SPALLE UN CURRICULUM DI TUTTO RISPETTO E UN PROGETTO CHE RICORDA ANDY WARHOL. MICA SCEMA LA RAGAZZA! i noto per Lady Gaga ci può essere solo il voto, dato che il volto continua rimanere nascosto dal trucco pirotecnico; pare però che la nuova regina indiscussa delle discoteche - che continua ad inebriare i nostri spiriti con hits come Bad Romance, Just dance, Paparazzi - sia un vero talento. Stefani Joanne Angelina Germanotta è una cantautrice statunitense di origini siciliane. Influenzata dalla musica pop degli anni Ottanta di artisti come Madonna e Michael Jackson e dal glam rock di David Bowie e Queen (insomma, riferimenti culturali seri), per il suo nome si è ispirata proprio alla canzone Radio GaGa. Nata a New York da genitori palermitani, è cresciuta nell’East Side di Manhattan. La passione e il talento per la musica cominciano a farsi sentire ben presto e già a tredici anni compone la sua prima ballata per pianoforte. A diciassette è una delle venti persone al mondo ad aver ottenuto l’ammissione anticipata alla Tisch School of the Arts presso la New York University, dove studia musica. E tanto basta per zittire chi storce il naso di fronte alla musica dance pop. Ma la storia di Stefani Joanne Angelina Germanotta è davvero piena di sorprese. Iscritta alla New York University, ha composto saggi e documenti su temi come arte e religione. Ma, a dimostrazione di come anche la musica commerciale viva di talento, inizia la sua carriera scrivendo canzoni per artisti come le Pussycat Dolls. Negli stessi anni continua ad esibirsi nei club del Lower East Side con gruppi alternativi; intenta a trovare un proprio stile musicale, decide di dedicarsi sempre più a qualcosa di nuovo e provocatorio per la scena underground e rock ’n’ roll newyorkese, ovvero la musica pop. Pare che il padre, un imprenditore italo-americano, rimase sconvolto quando scoprì che la figlia si era messa in mostra in un bar burlesque, esibendosi al fianco di drag queen e spogliarellisti. L’8 aprile 2008 debutta il singolo Just Dance, che raggiunge ben presto la posizione n° 2 della U.S. Dance e diviene n° 1 in sette Paesi, tra cui Stati Uniti, Australia e Canada. Nell’agosto 2008, con l’album The Fame, analizza ogni aspetto della fama; l'album raggruppa diversi generi, che vanno dalla dance all elettropop. Lady Gaga ha dato vita al progetto collettivo denominato “House of Gaga”, un laboratorio creativo dove vengono realizzati capi d'abbigliamento, scenografie e dove si sperimentano nuovi tipi di suoni. Al progetto partecipano stilisti e produttori, dando vita ad un team creativo sul modello della Factory di Andy Warhol. D Stefani Germanotta ha ammesso che per il suo look prende ispirazione dai vestiti dei sexy shop e confessa che altre fonti di ispirazione, per la sua musica, sono i film porno. Questa sfumatura erotico-surreale, dall’abbigliamento al sound, vanta estimatori d’eccezione, come la regina assoluta dei cambi di look: Madonna. Le due bionde, simbolo della vecchia e nuova generazione di cantanti trasgressive, si sono incontrate agli MTV VMAs 2009 e Madonna, a chi le ha chiesto un’opinione sulla giovane collega, ha risposto così: «Ho appena visto Lady GaGa. Sembra che stia andando al carnevale di Venezia, è bellissima». Insomma, la Thatcher sarà anche stata la Lady d’acciaio, ma Stefani Germanotta è Lady Gaga! Voto 8+ Lady Gaga M RU FO A cura di Jacopo Zoffoli, 21 anni RIFORMA: CONTO ALLA ROVESCIA NUOVI LICEI, NUOVI TECNICI E NUOVI PROFESSIONALI: DA SETTEMBRE 2010 LA SCUOLA SUPERIORE NON SARÀ PIÙ LA STESSA. ECCO LE OPINIONI DEI NOSTRI LETTORI Canta che ti passa! Quello che farei volentieri in questo momento sarebbe andare a trovare, uno ad uno, tutti quei 500mila ragazzini che di qui a poco abbandoneranno le medie per le superiori. Purtroppo, evidenti difficoltà pratiche e logistiche mi impediscono di realizzare tale desiderio. Ciononostante, posso provare ad immaginare la scena. Prendiamo come cavia (mi si perdoni il termine) un tipico quattordicenne della provincia di Vibo Valentia, cui chi scrive si fregia di appartenere. Perché l’“esperimento” risulti più chiaro al lettore settentrionale, metterò in evidenza alcune delle principali peculiarità dello studente cavia: lo studente vibonese tipo possiede in genere grande spirito pratico e capacità di adattamento. Egli percorre ogni mattina strade degne della parte più malmessa di Kabul per recarsi in strutture scolastiche dove le lezioni vengono seguite a rischio della vita. Crolli di muri e cornicioni, scale antincendio che solo un Indiana Jones nel fiore degli anni sarebbe capace di utilizzare, bagni contaminati dalla malaria e insegnanti simili ad Erinni per i continui attacchi nervosi sono per lui bazzecole! Ora, se mi fosse possibile, mi recherei al cospetto del nostro studentello, ostentando andatura saltellante ed espressione gioiosa sul volto. Lo guarderei sorridendo, a mo’ di paralisi, e poi, con gli occhi scintillanti, esclamerei: “ma lo sai che l’anno prossimo, per te, sarà come andare a scuola in Finlandia?”. Oh, già posso immaginare lo sguardo stupito del pargolo e ciò che mi risponderebbe! “Vuoi dire che il viaggio che faccio ogni mattina per attraversare il Gran Canyon (termine vernacolare per definire una nota buca del comune di Vibo Valentia, ndr) sarà pagato dallo Stato? Che non dovrò più comprare i libri con i miei soldi? Che smetteranno di chiamare Bertolaso ogni volta che la prof del piano di sopra sbatte il pugno sul banco?”. Ma no caro fanciullo! La tua scuola avrà esattamente gli stessi soldi di prima, se non meno. Anche le ore diminuiranno e gli insegnanti saranno il doppio più isterici, ma di questo non devi preoccuparti, tanto si sta procedendo per il licenziamento in massa. Tu però, da qui a qualche anno, potresti riuscire a raggiungere un soddisfacente livello di ignoranza, così da non accorgerti di tutto ciò e vivere felice. Per facilitare l’impresa, iscriviti al liceo musicale! Canta che ti passa! Di Marzia Mancuso, 17 anni Riforma a chi? L’argomento del forum di questo mese mi trova abbastanza dubbioso. Il tema è: la riforma della scuola superiore varata dal ministro Gelmini. Già, ma quale riforma? Perché, è stata varata davvero una riforma della scuola? Forse pecco di scarsa attenzione, ma se c’è stata una riforma non me ne sono accorto. A me è giunta notizia che dall’anno prossimo ci saranno solo tagli, tagli a volontà, tagli per tutti i gusti, conditi con scelte alquanto azzardate come quella di togliere ore di Italiano e Storia al Liceo Classico e di accorpare Storia e Geografia in un’unica materia, ammannita in tre misere ore mentre oggi quelle dedicate complessivamente a Storia e Geografia (ben distinte, si badi bene) sono quattro. Assurda è anche l’idea di togliere la Geografia dagli Istituti nautici: rischiamo in futuro di avere marinai che navigheranno senza 15 L’esame di Stato saper disegnare una rotta e turisti che, vedendo la Statua della Libertà a New York, penseranno di aver raggiunto le Indie come Colombo. Senza dimenticare l’ancor più assurda idea di togliere la Storia dell’Arte da alcuni indirizzi (nel Paese che vanta il più grande patrimonio artistico al mondo): quando si recheranno a Firenze a visitare il Duomo, i futuri studenti potrebbero pensare che la celebre Cupola, anziché Filippo Brunelleschi, l’abbia realizzata Andy Warhol (sempre che sappiano chi sia Andy Warhol). Inoltre, a rendere veramente preoccupante questa riforma, è l’introduzione del Liceo musicale/coreutico: in primo luogo, il musicale conterà solo quaranta unità, il coreutico addirittura solo dieci in tutta Italia (dunque, in pratica, non esistono); in secondo luogo, non mi pare siano previste materie fondamentali come la Storia e la Geografia e ci si chiede quali strade possano aprirsi ad un ragazzo che esce da un simile indirizzo. Ma in fondo, chissenefrega. Per fare carriera, basta partecipare al Grande Fratello o essere avvenenti fanciulle: uno scranno in Parlamento è assicurato e, se si è particolarmente fortunate, anche un posto al governo. Di Roberto Bertoni, 19 anni Un punto di questa riforma a mio avviso degno di contestazione riguarda il cambiamento di modalità per accedere al tanto atteso e sospirato esame di maturità. Tra pochi mesi, infatti, tutti quelli che dovranno trascorrere la fatidica “notte prima degli esami” avranno come sostituto alla canzone di Venditti l’ansia di non essere riusciti ad avere il sei in tutte le discipline e, quindi, di dover ripetere l’anno anche per un semplice cinque in educazione fisica. I docenti dovrebbero impedire, forse, a chi eccelle in tutte le materie eccetto una di potersi presentare alle prove? Un quesito assurdo e lievemente ridicolo: lo stesso Einstein non riuscì a conseguire più volte gli obiettivi minimi richiesti dal docente di letteratura. Bisognerebbe far scoprire a noi studenti vere motivazioni per immergerci nei libri - solo così potremo scoprire e rafforzare la nostra passione per la cultura piuttosto che obbligarci a studiare il minimo indispensabile per ogni materia, schiavi di voti e registri. Anziché lasciarsi travolgere da nuove riforme, la scuola dovrebbe riscoprire semplicemente il piacere di educare giovani e brillanti menti. Di Indhya Contu, 17 anni Più laboratori, più poesia Vi sembra possibile che nella nostra scuola superiore imparare ad usare il computer sia un optional, mentre lo studio di una determinata regola grammaticale o matematica sia discriminante per la valutazione finale? Che cosa faremo, una volta terminata la scuola, nel nostro posto di lavoro? Useremo il computer o quell’argomento scolastico quasi inutile? Io non so se la riforma debba essere fatta da un governo di centro-sinistra piuttosto che da uno di centro-destra, e non mi interessa neanche saperlo. So solo che la scuola italiana, così come è, non va. Gli insegnanti dovrebbero essere, da una parte, incentivati e retribuiti in modo proporzionale al loro impegno. Dall’altra parte, però, dovrebbero essere aumentati i controlli sulla qualità del loro insegnamento, cosicché solo i migliori possano continuare a fare questo lavoro che, mi rendo conto, è tra i più difficili e delicati, mentre per gli altri si troveranno altre mansioni. Per quanto riguarda noi studenti, bisognerebbe trovare il modo di premiare quelli più impegnati e non i più furbi. Inoltre, vorrei che non fosse ostacolato il nostro desiderio di essere protagonisti nella nuova scuola che cambia. Per questo, desidererei meno ore seduto sui banchi ad ascoltare l’insegnante spiegare i famosi programmi ministeriali, e più tempo dedicato alla poesia e al teatro, da fare e non da subire e basta; oppure più ore nei laboratori, dove, operando e sperimentando in prima persona, si può a mio parere assimilare meglio anche le nozioni teoriche. Inoltre, vorrei che nella nuova scuola il rapporto tra insegnante e studente fosse diverso. Non so che farmene di un burocrate, che viene in classe solo a riempire carte o ad impartire nozioni, e non sa niente di me, delle mie aspirazioni. Di Gino Centofante, 17 anni Inchiesta 16 ... E TUTTO IL MOND L’ARTICOLO 27 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA AFFERMA: «LE PENE NON POSSONO CONSISTERE IN TRATTAMENTI CONTRARI AL SENSO DI UMANITÀ E DEVONO TENDERE ALLA RIEDUCAZIONE DEL CONDANNATO». PERCHÉ IL SISTEMA CARCERARIO NEL NOSTRO PAESE È AL COLLASSO? di Micol Debash, 18 anni, Liceo “Renzo Levi”, e Serena Mosso, 18 anni, Liceo “Manara” zet Sulejmanovic, ex detenuto bosniaco del carcere di Rebibbia (Roma) tra il novembre 2002 e l’aprile 2003, si è rivolto alla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, chiedendo giustizia per l’inumano trattamento cui è stato sottoposto durante la sua detenzione. Izet, condannato a due anni di prigione per furto aggravato, ha avuto ragione: essere costretti a vivere in una cella di tre metri quadrati è tortura. E non solo la Corte accoglie le accuse dell’ex galeotto, ma denuncia anche l’Italia per il mancato rispetto degli standard stabiliti dal Comitato per la prevenzione della tortura. Tra l’altro, sette anni fa, periodo a cui risale il fatto, Rebibbia non era affollata come lo è oggi. Come mai c’è stato bisogno dell’intervento di una Corte e di un giudice stranieri? La nostra Italia non è forse uno Stato di I diritto? Infrangere la legge, trasgredire al “diritto”, comporta anche la perdita dei “diritti”, al plurale? Il detenuto bosniaco ha avuto la possibilità di rifarsi sul sistema, ma quanti subiscono e basta? Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha detto: «Uno Stato civile non può togliere la dignità e attentare alla salute di chi è stato giudicato colpevole con situazioni igieniche che potrebbero comprometterne la salute». Parole di buonsenso, certo, ma che tradiscono un’idea vaga, lontana dalla realtà della condizione carceraria nel nostro Paese. I dati in nostro possesso parlano chiaro: i detenuti in Italia sono 65.355, a fronte di una capienza regolare di 43.074 e a una soglia massima di tollerabilità (situazioni di particolare emergenza) di 64.111. Siamo dunque al collasso, ben al di sotto di 17 O FUORI Rivolta nel carcere di San Vittore (Milano); a fianco la rotonda di Regina Coeli (Roma) qualsiasi standard di abitabilità. In Italia siamo tornati alla tortura: la detenzione è l’esperienza più degradante che la nostra società è in grado di offrire. Mentre il numero di detenuti cresce ad un ritmo incessante, le condizioni igieniche sono sempre più precarie, la promiscuità è all’ordine del giorno, le attività formative stentano a partire e il carcere perde il suo scopo, divenendo un semplice contenitore di elementi espulsi dalla società e posti in un luogo di emarginazione, dove la rieducazione è sostituita dalla sofferenza. Non può definirsi civile uno Stato in cui il criminale perde ogni diritto, in cui un uomo va dietro le sbarre e non ne esce rieducato. Se il 70% dei detenuti, una volta uscito, torna a delinquere, significa che lo Stato non lo ha recuperato, ma nascosto temporaneamente sotto il tappeto, un tappeto di altre persone, in questo caso. In prigione sono tutti impuniti, abbandonati nella propria cella con chissà quante altre persone, all’insegna del maltrattamento, della degradazione, della disumanità. Il caso Cucchi Poi, certo, avvengono le tragedie, i misteri si infittiscono, come le telecamere e i microfoni dei giornalisti, e per un po’ se ne parla. Stefano Cucchi, un ragazzo romano di 31 anni, viene arrestato nella notte tra il 15 e il 16 ottobre per possesso di stupefacenti. Quando i familia- ri riescono a incontrarlo, è già in obitorio. Ferite, graffi, ecchimosi, lividi, mandibola fratturata, coccige danneggiato, occhi pesti. Cosa gli è successo in carcere? Davvero, come ha avuto il coraggio di sostenere il sottosegretario Giovanardi, Stefano è morto «perché era uno spacciatore e anche anoressico»? La famiglia fa pubblicare le foto dei suoi poveri resti e l’opinione pubblica sembra impressionata, scossa, si accende la miccia sul web, il moto di indignazione questa volta prende fuoco. Quelle foto, quei lividi, sembrano ricordare la frase di De André: «Non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte: mi cercarono l’anima a forza di botte». E certo la droga, per quanto possa devastare il corpo e la mente di chi ne diventa schiavo, non porta degli anfibi e non frantuma le ossa, né fa sparire le cartelle cliniche che dovrebbero svelare la verità. Un detenuto di una cella vicina sostiene di aver visto le guardie carcerarie pestare il poveretto a sangue, e ricordando le scene del G8 di Genova nel 2001 non si fa neanche fatica a crederci. Ora ci sarà un processo. Giovanardi dice: «è un drogato». Certo, risponde la famiglia, Stefano si drogava. Questo basta a farlo ammazzare di botte? Privare qualcuno della libertà non dovrebbe essere solo una punizione, come dice la nostra Carta Costituzionale, all’articolo 27: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Chi ha scritto quelle parole aveva ancora in mente gli abusi, i soprusi e le torture delle galere fasciste. Quelle parole sono state scritte per segnare una differenza: il detenuto non è un peso, né un subumano. È un cittadino che ha sbagliato, che deve pagare il suo errore e che deve (si badi bene, deve) essere reinserito nella società. Ma a noi italiani questo sembra non interessare: anziché potenziare istituti come la libertà vigilata, il lavoro extracarcerario o le comunità di Inchiesta 18 Cooperativa di detenute nel carcere di Pozzuoli recupero, variamo leggi sempre più dure, che mettono in galera tossicodipendenti, alcolisti, trasgressori del codice della strada. Tutti in galera, lontani dagli occhi, dal cuore, dalla civiltà. E queste non sono situazioni appannaggio di qualche singola e problematica realtà, ma il tratto comune e distintivo di tutte le 205 prigioni italiane, che non violano solo la Costituzione, ma anche varie leggi, rendendosi colpevoli di maltrattamento – ogni volta che un detenuto è costretto a dormire per terra o a stare in una cella sovraffollata – o di induzione al suicidio. Il carcere è perciò un luogo in cui si compiono crimini e reati nei confronti dei prigionieri, che, cosa ancora più grave, rimangono impuniti proprio là dove dovrebbe regnare la legalità e la giustizia. Bisognerebbe iniziare a risolvere il problema dalla radice, ma si dà il caso che l’irregolarità esiste anche nelle fondamenta e nelle strutture carcerarie. Abbiamo chiesto a Riccardo Arena, voce di Radio Carcere, quali interventi sarebbero necessari per modernizzare le carceri e garantire una piena riabilitazione dei detenuti. «Sono favorevole a una modernizzazione – ci ha risposto Arena – purché abbia un filo logico e coerente. Non occorrono carceri nuove ma diversificate, a seconda della persona che ci deve andare. Per i condannati a 5-10 anni di reclusione servono carceri-fabbrica dove si lavora, ai tossicodipendenti unità terapeutiche. Per chi è sottoposto a misura cautelare, e quindi presunto non colpevole, ci vogliono strutture che si allontanano dalla realtà del carcere per avvicinarsi ad “alberghi sicuri”. Dobbiamo affrontare l’edilizia penitenziaria, perché l’80% degli istituti è del 1800 e quindi costituito da strutture inadeguate alla detenzione prevista in Italia». Con la professoressa Francesca Vianello, membro dell’associazione Antigone per i diritti e le garanzie sul sistema penale, entriamo invece nei dettagli del sovraffollamento delle carceri. «La situazione è drammatica: 65.000 detenuti per una capienza regolamentare di 43.000. Il nostro paese vince la triste gara di tasso di sovraffollamento. In Europa siamo secondi solo alla Grecia. Questo problema non ha precedenti nella storia italiana. Il numero dei detenuti cresce continuamente, mille ingressi al mese. Sovraffollamento significa prima di tutto mancanza di spazio: molte celle hanno la famosa “terza branda”. Negli Istituti del Veneto che ho visitato ci sono addirittura materassi per terra. Alcuni esempi: 10 metri quadrati per tre persone, che diventano 18 nelle celle da 8. Si è costretti a vivere in 2,25 metri quadrati per 20 ore al giorno». Il piano carceri Per ovviare al problema del sovraffollamento, il Piano Carceri approntato dal governo prevede la costruzione di 47 nuovi padiglioni, per una spesa di 500 milioni di euro stanziati dalla Finanziaria più altri 100 milioni provenienti dal bilancio del Ministero della Giustizia. Una buona cosa, no? Colpo di scena: in Italia esistono circa 40 penitenziari già pronti, alcuni già arredati e provvisti di moderne tecnologie, che potrebbero perfettamente ovviare al problema. Oltre a Riccardo Arena e Francesca Vianello, a parlarne è anche il portale di informazione indipendente per il comparto sicurezza e difesa GrNet.it. Il dispendio di fondi del governo andrebbe impiegato quindi nella ristrutturazione L’appello del Manifesto e di Antigone L'opinione pubblica ha diritto di conoscere quanto accade nei penitenziari italiani. Non esiste alcuna norma che vieti espressamente alla stampa di visitare gli istituti carcerari. Ma, negli ultimi anni, l'amministrazione penitenziaria ha ristretto sempre più le possibilità di accesso. Il diritto all'informazione libera deve poter comprendere la visita dei luoghi di detenzione, nel rispetto della sicurezza pubblica. Al ministro della Giustizia, che denuncia l'emergenza carceri, segnaliamo che esiste anche "un'emergenza informazione". Il testo completo su www.articolo21.org Primi firmatari: Rita Levi Montalcini, Stefano Rodotà, Valerio Onida. www.associazioneantigone.it 19 degli edifici più antichi, come dice Arena, o nella riattivazione di quelli già esistenti, ma inutilizzati. Fortunatamente il dibattito parlamentare alla Camera e le assenze nei banchi della maggioranza hanno permesso l’approvazione di un emendamento del Pd che impegna il Governo a dare priorità alla ristrutturazione e messa a norma delle numerose case circondariali attualmente esistenti. Anche perché, senza imbarcarsi in nuovi appalti, di oscure storie di speculazione ce ne sono abbastanza. Ad esempio, Giuseppe Lo Bianco (sul Fatto Quotidiano del 14 gennaio scorso) racconta la storia dell’istituto di Gela. Progettato nel 1959, i lavori iniziano solo nel 1982 per essere interrotti dopo 8 morti nel cantiere. Siamo nel novembre del 1990. Seguono anni di gare di appalto, progetti, richieste di fondi senza poi effettiva applicazione. Il Comune resta da solo a gestire la costruzione, tra bande mafiose e corruzione. Nel 1992 erano già stati spesi 5 milioni di euro. I lavori continuano, tanto che, durante il secondo governo Detenuti presenti e capienza istituti di pena • Detenuti presenti: 65.355 • Capienza regolamentare: 43.074 • Capienza tollerabile: 64.111 • Presenze stranieri: 24.190 (37%) Fonte Ministero della Giustizia - Dap Prodi, il ministro della Giustizia Clemente Mastella decide di organizzare l’inaugurazione. Peccato che al carcere di Gela manchino ancora cucina, lavanderia e altri servizi. Servono ancora 2 milioni di euro per ultimarlo, quindi nuove gare d’appalto e nuove attese. Il tutto per una struttura che potrà ospitare solo 96 detenuti, mentre al nostro Paese servirebbero altri 20.000 posti. Di storie simili ce ne sono a decine, ma lo Stato ritiene necessario creare nuove strutture. «Contesto i provvedimenti presi ora dal governo – afferma Arena – perché si tratta di favori concessi ai palazzinari, che prendono un guadagno del 500% quando ci sono le gare d’appalto per la costruzione di nuove carceri. Il problema andrebbe affrontato diversamente». Già, ma come? Le soluzioni «La questione dell’ampliamento dell’edilizia carceraria è una sconfitta annunciata – sostiene Francesca Vianello – perché più prigioni si costruiscono più se ne riempiono. Bisogna eliminare la prospettiva della neutralizzazione e del contenimento: la popolazione carceraria viene da un background di esclusione sociale. Ci sono tossicodipendenti, persone malate, stranieri che rappresentano area problematica perché hanno le famiglie lontane e non hanno risorse. Questo significa che sono più soli. In questo contesto il Piano Carceri non va: è importante recuperare tutte quelle caserme dismesse, poi trasferirvi almeno le persone che possono essere inserite in istituti a custodia attenuata». Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone, ha delle proposte per superare l’emergenza carceri. «Occorre anche ridurre i tempi di custodia cautelare e renderla meno obbligatoria per alcuni reati. È necessario, inoltre, rilanciare un sistema che già funziona nel processo penale minorile, ovvero quello della messa alla prova». «La proposta è sicuramente intelligente» commenta Riccardo Arena. «La messa alla prova è già applicata nella giustizia minorile. Prevede che una persona imputata non venga processata ma “messa in prova”, appunto, e processata solo se commette un secondo reato. Vista oggi la diversificazione dei reati commessi, sarebbe opportuno introdurre pene diverse dal carcere, come i lavori socialmente utili. Bisogna lavorare su più fronti: occorre anche un sistema processuale più efficiente, il nostro è incoerente. Il processo penale deve durare meno e avere pene più giuste». Anche Francesca Vianello è favorevole alla messa alla prova: «Sarebbe giusto introdurla per le persone imputabili fino a 3 anni (che comunque, se incensurati, non andranno mai in carcere, ndr) che possono svolgere delle attività. Si può poi pensare ai domiciliari per chi deve scontare solo un anno di pena residua. Ma soprattutto è importante accompagnare il detenuto dall’interno all’esterno del carcere, ci deve essere automatismo nella concessione delle misure alternative. Sappiamo che il passaggio dall’interno all’esterno è quello più delicato: in Italia il tasso di recidività è del 70%. Significa che il carcere non funziona né per il detenuto né per la società. I recidivi, invece, calano se i detenuti sono stati accompagnati nel loro percorso di scarcerazione. Insomma, bisogna favorire un reinserimento sociale». Alla nostra domanda sul perché queste alternative non vengano applicate, Riccardo Arena risponde alludendo alla “mancanza di fantasia e volontà da parte della politica per affrontare la questione processuale”. «Napolitano invocava l’esigenza di rinnovare il sistema sanzionatorio, ma il governo non ha raccolto l’istanza. Il centrodestra non produce riforme a riguardo, ma l’opposizione da parte sua non si lamenta nella maniera adeguata. Dovrebbe chiedere a gran voce la riforma, e noi con lei». Immigrazione 20 IL PEZZO MANCANTE NUOVA RIVOLTA IN ITALIA. SIAMO A MILANO, DOVE SI CREDE DI FARE L’INTEGRAZIONE CON L’ESERCITO E DOVE LA “TOLLERANZA ZERO” FALLISCE OGNI GIORNO. E I QUARTIERI DI TUTTA ITALIA RISCHIANO DI ESPLODERE di Matteo Marchetti, 21 anni a sala del teatro è gremita in ogni ordine di posti. Sul palco, frac a code e cappello a cilindro, il mago si prepara ad un numero difficilissimo. «E ora, signore e signori, chiamando a raccolta tutte le mie arti magiche, farò sparire i clandestini! Sim sala bim!». Puf! In un lampo, tutti i clandestini spariscono. Applausi scroscianti sommergono il grande prestigiatore, che però, non contento, promette un altro numero strabiliante. «Non vi è bastato? Allora farò sparire anche gli stranieri!». E con un altro hocus pocus, fra lo stupore dei presenti, anche tutti gli stranieri – zingari, rumeni, filippini, sudamericani, cinesi, africani – svaniscono in una nuvola di fumo. Il pubblico è in delirio, inneggia al mago liberatore dell’Italia, i più esagitati gli chiedono urlando di diventare Presidente del Consiglio a vita. Proprio mentre il grande mago si accinge a cavare un coniglio dal suo cappello, però, il sindaco di Milano Letizia Moratti si sveglia. Il teatro sparisce, insieme all’illusione notturna. La realtà è ben diversa, nonostante le promesse elettorali sue e del suo padrino politico Silvio Berlusconi fossero più o meno dello stesso tenore di quelle del mago. Chissà se, una volta sveglia, percorrerà quei tre chilometri abbondanti che separano Palazzo Marino, sede del Comune, dalla frontiera. Già, frontiera, perché quando c’è una guerra c’è sempre una frontiera, uno steccato che divide persone, modi di pensare, stili di vita. Via Padova è una prosecuzione del lussuoso corso Buenos Aires, strada glamour del capoluogo lombardo. Di qua, il negozio Lacoste e l’Adidas Store; di là, “As Kebab”, il ristorante giapponese Tokyo L e un internet point cinese. E poi più avanti, “Khaled Multi Service – Consulenza Immobiliare” e il bar rosticceria “Macchu Picchu”. Un cartellone sopra a una sala per feste di bambini: Bienvenidos a mi fiesta. Chissà quanto si sarà sentito “bienvenido” Ahmed Mamoud El Fayed Adou, il diciannovenne egiziano ucciso qui il 13 febbraio scorso da cinque membri di una gang di latinoamericani. Il suo assassinio ha scatenato una guerra. Macchine rovesciate, vetrine in frantumi, incendi, caccia all’uomo. Sembra di essere di nuovo a Rosarno, ma stavolta gli italiani non c’entrano. È uno scontro fra gangs, africani contro latinos, come a Los Angeles o Chicago, solo che stavolta siamo a Milano. Questa natura “interetnica” degli scontri ci lascia tutti spiazzati: durante la rivolta di Rosarno i contorni erano netti, neri contro italiani, 21 “noi” contro di “loro”, e ognuno trovava i buoni e i cattivi a seconda delle sue convinzioni (lo abbiamo fatto anche noi nello scorso numero, ndr). Stavolta no, stavolta è cattivi contro cattivi, loro contro loro. Quel generico, unico “altro” che per noi sono gli stranieri si è spaccato, questa volta in due parti, la prossima chissà. Mentre ancora si contano i danni, il day after è all’insegna della paura. Arrivano i “nostri”: 600 militari e quasi duecento poliziotti in più per presidiare quattro chilometri di asfalto. Polizia, armi, fucili. Altri muri, nuove barriere. Come quella che, non più di sei mesi fa, aveva voluto tracciare Antonio Casale, parrucchiere in via Padova 108 con un tricolore in vetrina. «Qualche straniero entra in negozio con fare minaccioso. Mi chiede in malo modo il perché della bandiera. E allora rispondo: io sono italiano, tu dimostralo!». Però, dice il signor Antonio, «non sono razzista, solo sono rimasto l’unico parrucchiere italiano dopo il Ponte Nuovo». L’unico? L’unico. Sulla strada ci sono 965 negozi, e 346 hanno un titolare straniero. È un bene? È un male? È così. Gioisca, signor Antonio, il suo tricolore avrà ottocento ardimentosi pronti a difenderlo con la baionetta fra i denti. Peccato che poi un giorno la polizia se ne andrà, perché costa troppo, e il suo glorioso avamposto di italianità tornerà in territorio nemico. Il quartiere rimarrà sempre quella somma di ghetti che è da anni. I quartieri “etnici” non dovrebbero esistere. Saranno pure pittoreschi, divertenti per chi li guarda dal finestrino di un’automobile o per chi cerca un involtino primavera, ma non sono “fabbriche di integrazione”. Un cinese che vive con altri cinesi, lavorando in un negozio cinese frequentato solo da cinesi non diventerà mai italiano. Anche dopo cent’anni, resterebbe un cinese che, per uno strano scherzo del destino, si è costruito il suo Sichuan a due passi dal Colosseo. Questo è stato l’errore di Walter Veltroni, che quando era sindaco di Roma cantava le lodi dell’Esquilino, il bellissimo rione ottocentesco a un passo da via Cavour oggi Babele multicolore. «È un modello di integrazione», diceva. No, caro Walter, non lo è. È una somma di ghetti, uniti solo dalla continuità geografica. C’è il distretto arabo e quello cinese, quello africano e quello sudamericano. I cinesi si incontrano su via Principe Eugenio e i sudamericani si sono impossessati del campetto di Colle Oppio. Pochissimi peruviani vanno a prendersi un gelato da Fassi, nessun asiatico si azzarda a interrompere le agguerrite sfide tipo Bolivia-Perù giocate sulla Domus Aurea. E in tutto questo gli italiani che possono permetterselo scappano, gli altri, più sfortunati, rimangono e si chiudono, piangendo la sorte ria della loro casetta assediata dalla puzza di cumino; a volere una casa in uno stabile abitato da soli africani sarà sempre e solo un africano. «Bisogna evitare i quartieri-ghetto», tuona il Ministro dell’Interno Maroni. Bene, bravo, bis. Peccato che Maroni non sia il mago del sogno di Letizia Moratti. Il commercio immobiliare è regolato dal mercato. O davvero crediamo di poter stabilire per legge chi può comprare una casa e dove? Se non ci andasse bene “la legge è uguale per tutti”, basta ricordarsi che ancora prima in questo stesso Paese fu coniato pecunia non olet. Il denaro è la nostra vocazione, molto più dell’accoglienza. Ci ricordiamo gli anni Cinquanta? Non sono solo gli anni del boom economico; sono gli anni della più grande migrazione interna di sempre, più di due milioni di persone che dal Sud sono andate a vivere a Milano, Torino, Genova. «Non si affitta ai meridionali» era il cartello più gentile che potessero trovare in giro; ancora negli anni Settanta, i dirigenti del sindacato si lamentavano per la scarsa propensione degli operai del Nord a fare fronte comune con i “terroni”. Oggi quelle stesse case a ballatoio, un tempo appannaggio di napoletani e calabresi, vengono prese d’assalto da immigrati di ogni Paese. Oggi come allora, un padrone di casa si arricchisce e gli affitti schizzano in alto. Come arricchirsi infatti in un quartiere degradato? Facile: si prende un appartamento di 30 metri quadri e si affitta a venti persone, impilandole come cassette di frutta. Il degrado porta degrado, e così via all’infinito. Una cosa però si potrebbe far notare: oggi quei terroni puzzolenti che i milanesi e i torinesi disprezzavano sono tanto milanesi e torinesi quanto i loro aguzzini di un tempo. I Rosario e i Carmine si sono alleati agli Ambrogio e agli Umberto nella lotta contro il negher. Dunque l’integrazione funziona. Basta favorirla. Con la scuola, ad esempio. L’elementare “Città del Sole” a via Padova (Milano) e la media Daniele Manin all’Esquilino (Roma) hanno due cose in comune: la maggioranza di alunni stranieri e la coda di genitori provenienti da altri quartieri che chiedono di poter iscrivere i propri figli. Istruzione di qualità, sul territorio. Cinesi, bengalesi, sudamericani non diventeranno mai italiani se li teniamo a distanza, se li chiudiamo in un loro proprio circuito interno. E infatti, ecco il tetto al 30% per gli alunni stranieri nelle classi, anche se parlano benissimo italiano. E gli altri? Raus! Troppo spesso si usa l’immagine del mosaico per spiegare la natura multietnica delle nostre città. Forse, più che un mosaico, è un molto più popolare e meno complicato puzzle: gli incastri possibili ci sono già, basta avere la voglia di cercarli. Quando i terroni invadevano il Nord è stato fatto. Con gli stranieri il puzzle si complica, aumentano i pezzi. Soprattutto, però, manca l’immagine finale, il risultato di tutto il lavoro: quella dovrebbe fornirla la politica. Ma fra una Protezione Civile Spa e l’immancabile riforma della giustizia, deve essere finita in fondo a un cassetto, e chissà quando la tirerà fuori. Costume 22 SPECCHIO, SPECCHIO DELLE MIE BRAME… ARRIVA DALL’AMERICA IL LIBRO CHE DICHIARA GUERRA AI DRAMMI E AI TABÙ DELL’ADOLESCENZA. MA SIAMO SICURI CHE LA STRADA PER CONOSCERE E ACCETTARE IL NOSTRO CORPO SIA PROPRIO QUESTA? FORSE UN PUNTO DI PARTENZA… di Benedetta Michelangeli, 20 anni anche a quelle più serie riguardanti malattie sessualmente trasmissibili, problemi psicologici. ody Drama (Il mio corpo nell’edizione italiana) è un libro a metà strada tra il manuale di medicina, l’autobiografia dell’autrice Nancy Amanda Redd, ex Miss Bikini America, e uno scrigno con consigli, risposte e foto su tutti quei drammi e tabù legati al corpo femminile e alla sessualità affrontati apertamente, con lo scopo di liberare le ragazze in crisi con il proprio corpo dal disagio e dall’imbarazzo che spesso provano, e di guidarle nella conoscenza di esso. Il volume, accolto a braccia aperte dalla critica - nominato Best Book 2009 dall’Associazione Librai Americani (!) - come testo innovativo per il modo in cui sono mostrate le diverse sfaccettature del mondo femminile, cerca di fornire, attraverso un linguaggio semplice e giovanile, risposte a questioni leggere, come la ricerca del reggiseno più adatto da indossare, i diversi metodi di depilazione, consigli per tenersi in forma o per liberarsi dall’acne, ma Perché leggere questo libro Potersi confrontare con fotografie non ritoccate di ragazze vere, l’una diversa dall’altra, trovare notizie utili su problemi fisici e psicologici che si affrontano quotidianamente, capire quando è necessario chiedere aiuto ad un medico perché si ha a che fare con una vera e propria patologia, e quando invece bisogna smettere di vedere le particolarità del proprio corpo come anormalità, può essere estremamente utile per una ragazza. Il fine che il libro si propone è importante e prezioso, in una società in cui l’appartenenza ad un paradigma di bellezza fissato da soubrette, modelle, attrici, sembra essere la qualità senza la quale è impossibile raggiungere la soddisfazione personale, ma sopratutto la tanto ambita accettazione da parte degli “altri”. Paradossalmente il luogo comune per il quale ciò che conta non è l’esteriorità, ma ciò che si è, oggi non appare più tanto comune. Diventa, quindi, B 23 sempre più difficile cercare il modo di convincere tutte quelle ragazze che arrivano ad odiare anche le loro più piccole imperfezioni, a smettere di essere ossessionate dal loro inafferrabile modello di perfezione. Qualche dubbio Sarebbe bello sapere di poter contare su un libro, in quel particolare momento della vita che è l’adolescenza, e poter anche grazie ad esso abbandonare le insicurezze sul proprio corpo guardandosi finalmente allo specchio senza ansie e preoccupazioni. E’ però inverosimilmente facile! L’accettazione del proprio corpo, dei suoi pregi come dei suoi difetti, il vivere serenamente la propria sessualità, può essere stimolato da un libro, ma rappresenta la meta di un percorso personale, affrontato da ciascuno con modalità e tempi diversi. Affrontarlo con l’aiuto di qualcuno, cercando di condividere più o meno liberamente ansie, paure e curiosità, può aiutare moltissimo. Imparare da soli è il modo più semplice per saziare la curiosità sul proprio corpo, e può rivelarsi utile, ma la ricerca di un dialogo costruttivo con qualcuno che ispiri fiducia, il confronto con un adulto, che sia un genitore o un medico può esserlo ancora di più. Spesso abbattere il muro che si viene a creare fra un genitore e un figlio è difficile; la strada più breve, quindi, è evitare di affrontare l’argomento e cercare informazioni qua e là. Creare un dialogo tra l’adolescente e l’adulto, con l’impegno da parte di entrambi, non è impossibile e porterebbe la soddisfazione nel constatare che è possibile parlare apertamente dei propri problemi con qualcuno, anche di quelli più intimi. In occasione della presentazione romana del libro, abbiamo incontrato l’autrice di Body Drama, Nancy Amanda Redd, per farle qualche domanda sul suo ambizioso progetto. Un consiglio che spesso si trova nel suo libro è accettare quello che viene considerato un difetto del corpo come qualcosa di “normale”. Quanto ciò può essere di conforto se, sfogliando una qualsiasi rivista o accendendo la televisione, l’immagine che si ha davanti non assomiglia neanche lontanamente alla “normalità”? «Nel libro c’è un capitolo in cui mostro come vengono ritoccate le foto delle riviste, perché ci si deve rendere conto che questi corpi perfetti che si vedono in tv o sui giornali in realtà non sono così, ma sono truccati». Se si negano ideali fisici quali quelli di modelle e attrici, c’è comunque un modello da seguire, una “normalità”? «Sì, penso che sia anche positivo per certi versi, per esempio in televisione cominciamo a vedere una maggiore varietà di modelli, come il serial televisivo Ugly Betty, in cui la protagonista è tutt’altro che bella, nel senso convenzionale del termine, ma è comunque amatissima dalle adolescenti. Anche nel mondo della moda iniziamo a vedere modelle non anoressiche. La bellezza ha molto a che vedere col portamento, con la sicurezza che hai di te: si possono prendere tutti gli attributi che sono considerati belli e metterli su una persona che non si ama, Lʼaccettazione del proprio corpo, dei suoi pregi come dei suoi difetti, rappresenta la meta di un percorso personale, affrontato da ciascuno con modalità e tempi diversi questa sembrerà comunque brutta; allo stesso tempo una persona che non è considerata convenzionalmente bella, ma è sicura di sé, ha un atteggiamento positivo, apparirà bella». La galleria fotografica che mostra il corpo della donna senza tabù è un modo per creare un confronto costruttivo fra il proprio corpo e quello delle altre donne, ma anche per fornire un’ “educazione al corpo”. C’è sfiducia da parte sua nei confronti della scuola e della famiglia, che dovrebbero assumere un ruolo importante in questo campo? «Negli Stati Uniti in molti casi l’educazione del corpo viene messa insieme all’educazione sessuale, che in alcune scuole non si insegna affatto. Body Drama non vuole sostituirsi all’insegnamento scolastico, ma vuole essere un supplemento all’educazione classica. Per me era importante presentare il corpo della donna in una maniera che non fosse sessuale. Quando ero giovane io, mi ponevo tante domande sulle mie parti intime, chiedendomi se erano o no normali, e non avevo fonti o persone con cui potermi confrontare». Quanto ha pesato la sua esperienza diretta nella realizzazione del libro? «Tutte le ragazze da giovani stanno male per un motivo o per l’altro, la differenza è che quando ero piccola io, se volevo assomigliare alle celebrità, potevo comprarmi delle scarpe carine, dei trucchi, ma non potevo fare di più. Alla fine ero costretta ad accettarmi per quella che ero. Oggi invece la gamma di soluzioni disponibili per chi vuole modificare il proprio corpo è quasi infinita, a partire dagli interventi dannosi e irreversibili come la chirurgia plastica. E’ come se ci si aspettasse che le ragazze dall’essere bambine diventassero improvvisamente adulte, senza fase intermedia». Sarebbe utile che anche i ragazzi leggessero Body Drama? «Sì sarebbe importante, perché i ragazzi apprezzano quello che conoscono tramite ciò che si raccontano fra di loro, o tramite il porno. Se un tempo un ragazzo era felice di Costume 24 trovarsi davanti ad una ragazza nuda perché non ne aveva mai vista una, oggi gli adolescenti vedono la nudità molto prima dell’esperienza dal vivo, attraverso il porno, internet. Quindi, si aspettano un certo corpo che poi non trova riscontro nella realtà, e finiscono spesso per dire delle cose molto offensive alle ragazzine. Purtroppo temo che sarà difficile far leggere questo libro ai ragazzi, penso che sia più importante che le ragazze imparino a rispondere a tono quando vengono fatte loro queste critiche». Il suo libro può essere utile per una serena accettazione del proprio corpo in un società in cui tutto ciò che si discosta dai modelli di perfezione assoluta è mediocre? «Può esserlo, perché mostra come l’imperfezione è ciò che ci rende diverse e soprattutto perché non esistono modelli assoluti. Se tutte le ragazze apprezzassero il loro corpo e si sentissero belle, questo avrebbe un impatto reale sulle loro vite: sarebbero più produttive, più sicure di sé, meno aggressive... sarebbe un mondo migliore insomma». Se tutte le ragazze apprezzassero il loro corpo e si sentissero belle, questo avrebbe un impatto reale sulle loro vite L’idea che finalmente si elimini ogni tabù sul corpo femminile e sul suo stereotipo attraverso un libro è sicuramente allettante. Siamo nel 2010, ci vantiamo di aver raggiunto le pari opportunità, ma troppo spesso vedo che l’unica cosa ad essere cambiata sono le misure: siamo passati da un 90-6090 a un 20-20-20. Sicuramente non basterà un libro a far accettare a noi stesse il nostro corpo così com’è, ma almeno ci aiuterà a vederlo un po’ più normale di quel che ci sembra durante le nostre giornate più nere. 10 e lode all’autrice per l’idea. Elena Prati, 18 anni Nancy Amanda Redd, passando dal red carpet ad Harvard, è diventata in pochissimo tempo il guru di tutte le adolescenti americane e delle loro madri, che vedono in questo manuale rivoluzionario, un aiuto libero e intelligente per spazzare via definitivamente incertezze e false informazioni circa la perdita di peso e le malattie sessualmente trasmissibili. Strano è, a mio avviso, che una reginetta di bellezza, seppur laureata, dopo essere apparsa sulle copertine patinate delle più famose riviste di gossip, abbia voluto immolarsi come paladina della naturalezza, dispensando consigli su cibo, sesso e autostima. Chiamatemi ‘antica’, se volete, ma di donne che hanno rotto i tabù senza essere per forza alte un metro e ottanta per 50 chili di peso ce ne sono state a bizzeffe; basti pensare a Coco Chanel con suoi pantaloni, Simone de Beauvoir, artefice di una rivoluzione “mentale”, nonché ispiratrice del movimento femminista degli anni Settanta, e ancora Nora al Faiz, la prima donna parlamentare in Arabia Saudita. Giulia Molari, 18 anni Un manuale non guarisce dai disagi quelle ragazze che guardandosi allo specchio vedono solo difetti. La prima cosa che bisognerebbe spiegare è che per sentirsi meglio e per farsi accettare dagli altri bisogna accettare se stessi. Sicuramente una ragazza di 14-15 anni avrà molta più sicurezza ricevendo consigli e risposte, ma non è sapendo qual è il reggiseno più adatto da indossare che si sentirà più in forma. Grazia Resta, 17 anni Test 25 IO STO BENE IO STO MALE! QUANTO TI METTE A DISAGIO UN BRUFOLO USCITO A TRADIMENTO PROPRIO IL GIORNO DELLA FESTA IN DISCOTECA? DOPO IL NOSTRO ARTICOLO SUI DRAMMI LEGATI ALL’ADOLESCENZA, QUESTO MESE NON POTEVAMO PORVI CHE DOMANDE “ESISTENZIALI”... A B C Quanto ci metti la mattina per prepararti prima di andare a scuola? Per fortuna la scuola è solamente a un paio d'isolati da casa, perciò tra doccia, profumazione, lavaggio/stiraggio capelli, trucco ed eventuale selezione del vestiario, mi basta svegliarmi alle cinque del mattino. Beh, così su due piedi non saprei quantificare, ma ogni giorno della mia vita ringrazio l'inventore dell'entrata alla seconda ora. Una mezz'oretta. Ho 54 anni, faccio il bidello e ho appena finito l'ultimo cruciverba sul mio settimanale di enigmistica preferito – fortuna che mi è capitata questa copia di Zai.net tra le mani... B C A B C A B C A Stasera grande evento mondano in disco – non si può mancare! Ma... ti svegli con un brufolo enorme al centro della guancia... Svegli il resto della famiglia con un urlo agghiacciante da film horror! Ti chiudi in casa dandoti malato/a e contagioso o inventando gravi lutti di massa familiari. Sbatti un paio di volte la testa al muro ma poi ti convinci che con un po'... forse un bel po' di fondotinta riuscirai a passare inosservato. All'ultimo momento contatti le forze dell’ordine rivelando che c’è una bomba nella discoteca: la serata verrà rinviata e nessuno si farà male. Tieni alla tua linea? Quel minimo che basta, tre grammi di pasta al giorno non me li faccio mai mancare! Il giusto. Bisogna imparare ad accettare il proprio corpo, come gli altri devono accettare che voglio farmi una liposuzione o girare con lo scafandro se non mi sento a mio agio! Non ci tengo mica tanto... sarà per questo che nell'ultimo mese ho preso dieci chili! Basta rimanere un po' in disparte a scuola, indossare abiti di colore nero... E se per i diciotto anni ci facessimo regalare un bel ritocchino? Un ritocchino? Ma come minimo per i diciotto voglio un restauro totale degno della trasmissione Extreme A B C A B C Makeover! Ora devo solo convincere i miei a chiedere un mutuo, anche se loro sono più propensi a mandarmi dallo psicologo... I miei, taccagni come sono, al massimo mi regaleranno un taglio di capelli alla scuola per parrucchieri! Un'aggiustatina alla gobbetta sul naso non mi farebbe schifo, ma per il momento mi accontenterei di un bel viaggio ad Amsterdam. Ma no, cosa pensate, voglio andare lì per i tulipani e i mulini a vento! Il tuo rapporto con l'estetista... Diciamo che non a caso la famiglia del mio fidanzato/a possiede un eccellente centro estetico all'interno del quale mi sono trasferita/o in pianta stabile! Niente di che, a parte cerette, lampade, pulizia del viso, trattamenti vari, fanghi, massaggi... insomma, quello che fanno un po’ tutti, no? Beh, non che ci lasci euro a palate, ma a me non piace affatto essere bianco come un cencio! In definitiva, ti piaci o no? A forza di farmi problemi sul mio aspetto sono arrivata/o alle finali di un importante concorso di bellezza... ma non ho vinto. E visto che tanti programmi della nostra televisione mi hanno portato ad una smodata e maniacale competitività con tutto e tutti, il tiepido risultato non ha fatto altro che farmi stare peggio! Mi piacciono di più Raul Bova e le veline... in effetti dovrei proprio convincere quegli spilorci dei miei genitori a pagarmi il ritocchino di cui si parlava prima. Infine ho imparato ad accettarmi e sono diventato buddista con la speranza che alla prossima reincarnazione mi tocchi un po' più di fortuna. LEGGI IL TUO PROFILO A PAG. 59 GIORNALISTI CON UN BASTA UN COLPO DI MOUSE PER ENTRARE NELLA REDAZIONE DI ZAI.NET E FAR PARTE DEL GRUPPO DI REPORTER PIU' GIOVANI D'ITALIA. LORO L'HANNO FATTO... Cos’è Zai.net? Un network che prende vita nelle varie edizioni della rivista mensile (nazionale, Lazio e Liguria), nel sito, nella radio e nelle tante iniziative che coinvolgono le scuole di tutta Italia. Dove si trova il mensile? Zai.net non si compra in edicola, ma arriva direttamente a scuola, in classe. Per ricevere la tua copia a casa, puoi abbonarti individualmente andando sul sito www.zai.net e seguendo le istruzioni alla voce “Abbonamenti”. Come si entra a far parte della redazione? Basta scrivere un’email alla redazione ([email protected]), oppure cercare il gruppo Zai.net su Facebook: noi vi teniamo al corrente sul percorso degli articoli e vi forniamo le dritte per svolgerli al meglio. Le distanze non contano, contano solo l’entusiasmo e la voglia di scrivere. Come si finanzia Zai.net? Finora ha spesso contato sul contributo economico di Enti pubblici e privati che ne condividevano l’approccio innovativo e le finalità formative. Ma la parte più cospicua dei costi è da sempre sostenuta dalla nostra cooperativa di giornalisti, Mandragola Editrice. Info: [email protected] - tel. 06 47881106 ELISA, 15 ANNI Ho conosciuto Zai.net grazie alla mia professoressa di italiano, che lo utilizza come un vero e proprio laboratorio di scrittura. Anche se ho appena preso contatti con la redazione, già mi sento a casa e spero di riuscire presto a pubblicare qualcosa di mio e a dare un contributo. MIRKO, 15 ANNI La prima volta che ho sfogliato questa rivista è stato grazie a mio fratello maggiore, che ci pubblicava degli articoli. Così ho cercato di imitarlo, ed eccomi qua! All’inizio pensavo che sarebbe stato difficile affrontare la sfida, ma poi ho capito di poter imparare molto. GIULIA, 17 ANNI Leggo Zai.net da un bel po’, ma pensavo che non fosse semplice collaborare. Poi un giorno ho mandato un’email e ho subito ricevuto la risposta... incredibile! Adesso ricevo spesso gli inviti della redazione a scrivere per il forum e nella rubrica delle recensioni. 28 FEDERICA CAMBA: “Magari oppure no”, il primo album MUSICA 32 MICHELE CAMPANELLA: Ma questo è un classico! Musica 28 CHE “INCANTEVOLE INCOERENTE”! HA FIRMATO I SUCCESSI DI LAURA PAUSINI, GIANNI MORANDI, ALESSANDRA AMOROSO, MA ADESSO HA DECISO DI AFFRONTARE IL PUBBLICO DA SOLA. IN OCCASIONE DELL’USCITA DEL SUO PRIMO ALBUM, “MAGARI OPPURE NO”, ABBIAMO INCONTRATO PER VOI FEDERICA CAMBA 29 errori e ci è piaciuto tenerli, ci sono delle stonature, un po’ come aveva fatto la Morisette. Insomma, abbiamo usato pochi trucchi, come dev’essere». Mi ha molto colpito anche la scelta degli strumenti anni omana di nascita (14 luglio 1974) e cagliaritana d’a’70 e quella di mettersi a scrivere le musiche per l’ordozione, anche se dalla maggiore età vive a Milano, chestra diretta da Vessicchio. Com’è stato? Federica Camba trova da sempre più consono scri«Un colpo al cuore: io non ho il pianto facile… facilissivere che parlare. Durante un concerto incontra casualmenmo! Quando senti una cosa che hai scritto a casa tua, te il produttore di Laura Pausini, che ascolta alcuni pezzi e suonata da 22 elementi, in questo posto fatto di legno inserisce nel cd Tra te e il mare i brani Jenny e Anche se non scuro, asciutto, e senti il volume della musica che è pari mi vuoi. Quando conosce Daniele Coro è intesa totale: fra all’emozione che ti sale… ho pianto come una pazza!». le prime canzoni composte all’unisono c’è Bellissimo così La descrizione del “morsetto” alla pancia che senti sin da ancora per la Pausini, assieme a Ogni colore al cielo, altro quando sei piccola è molto bella (“A volte adoro quella brano scritto da lei con un diverso coautore. Oggi è un’auormai familiare malinconia che mi accompagna sin da pictrice ricercata da artisti come Gianni Morandi ed Eros cola, quella specie di morsetto alla pancia - più che allo stoRamazzotti e da produttori internazionali del calibro di Steve maco - che mi fa scrivere per ore, ovunque mi trovi, su qualLipson, che ha lavorato fra gli altri con Robbie Williams, siasi cosa si possa calcare dell’inchiostro”, ndr)! Annie Lennox e Grace Jones. Se amate il brano Senza nuvo«Grazie! Vedi… alla fine continuo a piangere, quindi il le cantato da Alessandra Amoroso e il tormentone Dentro ad morsetto alla pancia c’è sempre! Non c’è nulla da fare: ogni brivido di Marco Carta dovete ringraziare lei. Adesso, puoi studiare musica quanto vuoi, ma se una cosa non però, Federica ha deciso di uscire allo scoperto. ti fa venire i brividi, non c’è!». Come mai questa scelta? “Ho cassetti pieni di scontrini, pezzi di carta igienica, foto, «Non è stato un cambiamento del genere “Ok, da adesso pezzi di giornale, angoli di settimana enigmistica, perfino canto io!”. In realtà ho sempre cantato, sin da piccola, ero multe … tutti pieni delle mie parole …” : di cose da dire molto egocentrica: facevo i concertini nel palazzo con tutti ne hai tante! Oltre al fatto che è “sincero” ed è “una torta gli adulti che mi guardavano! E’ stato casuale che siano fatta in casa”, cosa vorresti che il pubblico sentisse non uscite prima “loro”, le mie canzoni, di me: è un giro straal primo ascolto dell’album, ma magari al secondo, quanno, puramente casuale! Non inizio qualcosa di nuovo: do ha interiorizzato i testi? continuo!». «Bella domanda! Mi piace il fatto che, in questo periodo in Questo darsi “in pasto” al pubblico, come lo vivi? cui tutto deve essere facile, lucido, splendente, veloce e fare «Con molta emozione: il pubblico ti dà quello che è giueffetto al primo colpo, noi abbiamo scelto dei modi più sto che ti dia, e proprio per questo motivo non vedo pacati, più caldi per parlare d’amore. Ci siamo sforzati di l’ora di cantare questo disco dal vivo! Ho scelto la musifarlo, però, in modo un pochino diverso: non quelle quattro ca per comunicare: quando stai bello nudo di fronte alla parole che colpiscono all’istante e poi ti stufano, ma che gente, allora capisci se arriva qualcosa, se hai fatto entrano magari nella quotidianità, nei compromessi, nell’inbene, se hai sbagliato». coerenza! Anche perché non è che l’amore sia sempre splenIn Magari oppure no parli di un allontanamento che dente o sempre quello che ti fa male, c’è la via di mezzo!». potrebbe lasciar sperare in un riavvicinamento… C’è un brano a cui sei particolarmente affezionata? «Non è che non avessi le idee chiare, eh! Quando si è «Moltissimo a Magari oppure no e poi Come siamo in tanti. piccoli si vedono le cose tutte in bianco e nero: l’amoTu senti una cosa tua, ma in realtà è la cosa che capita a re inizia e l’amore finisce, ci si lascia o si rimane insieme. tutti. Viviamo in grandi città, con milioni di persone, ma Quando sei un pochino più grande, capisci che, invece, ci quando veramente stiamo male non serve a niente che sono un sacco di sfumature nel tuo rapporto: non si deve siamo in così tanti! C’è molta solitudine, e questa cosa terarrivare per forza a lasciarsi, magari un allontanamento rorizza al punto che magari ci si rifugia in internet per crea nuova linfa vitale per tutti e due, no?». sentire il calore degli amici in un’altra grande città, menMagari oppure no: come mai questa canzone come tre la persona che ti vive accanto “biglietto da visita”? sta chattando con qualcun altro di «Il titolo del disco ha un significaNon è che lʼamore sia qualche altra grande città! to forse scaramantico: magari queParadossi su paradossi!». sto disco vi piace, magari no! sempre splendente o Le imperfezioni sono ciò che rende Oppure, magari la gente conosceva già le mie canzoni, no? Magari vi sempre quello che ti fa male, una persona incantevole, come dici in Incantevole Incoerenza… piaceranno cantate da me oppure cʼè una via di mezzo! «Certo, perché uno si deve prendere no! Io la sto buttando sul ridere, un po’ con ironia! Non è bello dire però non è un’indecisione: è il “Guardami, sono splendida nei miei errori”? Certo, lo devi fatto di averci messo l’anima e avere la consapevolezza dire ridendo, ma è così! Siamo tutti fatti di piccoli errori, picdi dire “Sicuramente vi piace”, insomma!». cole incoerenze: siamo speciali per quello». Immagina di presentare il tuo album a chi non ti conosce! Com’è stato scrivere canzoni per Alessandra Amoroso o «La prima parola che mi viene in mente: sincero. Questo è Marco Carta? un disco nato in giornate normali: non c’è bisogno di qual«Un’emozione grandissima, le coccole del pubblico mi cosa di eclatante per scrivere. Lavoro con Daniele (Coro, sono arrivate al di là del fatto che cantassi o no io! ndr) da tanti anni e scriviamo tantissimo, quasi una canzoVedere che una cosa che nasce dentro di te scintilla ne ogni due giorni, di conseguenza è come se fosse una nelle persone è bellissimo». parte della giornata! Vedi che io scrivo in continuazione Cosa aspettate allora a far nascere in voi la stessa scin(mostra il suo blocchetto, ndr), sono malata! Per questo è tilla? Ascoltate Magari oppure no almeno due volte sincero, è vero, è una torta fatta in casa. La sincerità contiprima di esprimere un giudizio. A metà del secondo nua nel suono del disco, negli arrangiamenti: non abbiamo ascolto vi sarete già riconosciuti, ve lo assicuro: queregistrato in digitale, ma in analogico, per sentire il gusto stione di incantevole incoerenza! della chitarra, del suono, anche degli errori! Ci sono degli di Chiara Colasanti, 19 anni R Talent scout 30 A CHANCE TO BE ROMANTIC… COGLIETE ANCHE VOI L’OCCASIONE! DUE RAGAZZI DI CREMONA, UNA SMODATA PASSIONE PER LA MUSICA, UN PIZZICO DI FORTUNA E CHILI E CHILI DI IMPEGNO. GLI CHANCE SANNO COGLIERE PROPRIO TUTTE LE OCCASIONI. FORSE È PER QUESTO CHE SONO RIUSCITI A CONQUISTARE DUE PAGINE SUL NOSTRO GIORNALE… di Chiara Colasanti, 19 anni Chance To Be Romantic, un nome, una garanzia in un mondo così poco romantico ma così tanto sdolcinato (non è assolutamente la stessa cosa!). Il nome mi ha folgorata mentre vagavo senza meta tra Facebook e Myspace e, dopo il classico primo ascolto (che A può essere fatale), eccomi qui a contattarli per un’intervista: non potevo lasciarmeli scappare! Ma conosciamoli un po’ meglio. Dario, 25 anni, è industrial designer e grafico free lance, mentre Francesco di anni ne ha solo 20 ed è studente di Sicurezza delle reti Informatiche e lavoratore part time. Com'è nato il vostro gruppo? «Avevamo il desiderio di continuare a far musica e sognare insieme dopo un’esperienza purtroppo finita non nel miglio- 31 Oggi quasi tutti cantano in inglese; per noi la scelta dellʼitaliano è diventata un modo per distinguerci re dei modi. Gli Chance sono nati anche dalla voglia da parte di entrambi di sperimentare sonorità nuove, di comporre senza preconcetti dettati da un genere in particolare. Volevamo, insomma, sentirci liberi di esprimere le nostre emozioni senza alcun vincolo. Sentivamo di avere ancora molte esperienze da vivere insieme: finalmente ci era stata donata dal destino una nuova ‘chance’. Visto che nulla accade per caso… perché non coglierla insieme?». Quali sono i problemi più grandi ai quali andate incontro quando state assieme? «Principalmente sono problemi legati alle nostre individualità e diversità comportamentali; per esempio punti di vista diversi rispetto ad un determinato problema. Musicalmente però andiamo d’accordo». Come nascono le vostre canzoni? Dario: «Scrivere canzoni è per me una terapia d’urto. Ci sono giorni in cui sento che sto per scoppiare, allora mi viene quasi naturale prendere in mano la chitarra, o anche soltanto la penna. E’ in questi momenti che mi accorgo di come la musica riesca ad estrapolarmi frasi, parole che mai a voce avrei il coraggio di pronunciare. E mi fa stare meglio; me ne rendo conto quando rileggo i miei testi a posteriori. Tornando a noi, una volta scritto il testo e la melodia base di chitarra e voce, suono le canzoni a Francesco, per avere un riscontro. A questo punto inizia il suo lavoro: lui per me è come un sarto che costruisce un abito attorno ad un manichino; il suo compito è quello di creare melodie con la chitarra (assoli, ritmi etc.) che siano a misura, della taglia giusta per le canzoni che scrivo». Quanta importanza date alla lingua in cui vi esprimete nelle vostre canzoni? «Siamo convinti che la lingua con cui si trasmettono le proprie emozioni sia importantissima perché è solo grazie ad essa che le parole prendono il colore da noi desiderato. Scrivere in italiano è naturale, meno meccanico. Purtroppo ci rendiamo conto di come la nostra lingua sia davvero sottovalutata, svalutata da molti gruppi. E’ un vero peccato; oggi quasi tutti cantano in inglese; per noi la scelta dell’italiano è diventata un modo per distinguerci». Cosa pensate della situazione contemporanea della musica in Italia? «Ci sono alcuni artisti e gruppi emergenti in Italia davvero incredibili; meriterebbero sicuramente più spazio, più visibilità. Inoltre, ormai la strada più facile per arrivare al pubblico è passare in televisione; è il periodo dei talent show, dei reality. In questi contesti è molto facile avere successo, anche se alcune volte si rivela fragile, una piccola fiammella che svanisce poco dopo poiché non adeguatamente alimentata». Quanta importanza date al look? «Come band non diamo molta importanza al look. Quello che conta è far musica, lo stile rimane personale, quello che ognuno ha sempre avuto». Cosa ci potete dire del vostro album? Raccontateci un po' com'è stato “immergersi” in studio! «L’ep è stato partorito Tutto in un attimo (è il titolo, ndr): è un album interamente sull’amore. Un amore che a volte si rivela malinconico, lontano, conflittuale, tormentato, altre è più sereno, consapevole, pieno ma sopratutto capace di far sognare. E’ stata per noi la prima vera esperienza in studio, e non è stata assolutamente una passeggiata. Pensavamo di vivere lo studio come un’esperienza divertente e spensierata, invece ci siamo accorti che va affrontata con serietà e determinazione. Sicuramente in futuro rientreremo in studio più preparati e più convinti delle nostre capacità». Progetti futuri? «Nell’immediato il desiderio è quello di portare la nostra musica fuori dalla sala prove, ma senza grandi aspettative; contemporaneamente vogliamo crescere musicalmente e come gruppo. Nel nostro piccolo, ci piacerebbe poter diventare grandi, anche solo per pochissime persone. Sarebbe il massimo, un giorno lontano, poter vedere il passerotto del nostro logo librarsi e volare alto come un’ aquila; significherebbe che qualcosa di buono abbiamo fatto, che siamo maturati. Parlando di progetti più a lungo termine, diciamo che il sogno rimane registrare il primo full-length, anche perché i pezzi ci sono». Quanto vi ha aiutato myspace? «Myspace, come altri social network, dà la possibilità alle band emergenti di far ascoltare i propri pezzi e permette anche di farsi un’idea di quello che è il riscontro dopo un lavoro. Grazie a Myspace, per esempio, abbiamo rimediato questa intervista, ed è per noi davvero un onore poter parlare della nostra passione con Zai.net. Ma poi, scusate, perché avete intervistato proprio noi?!» Non aggiungo altro se non che se ho scelto loro un motivo c'è, ve l'assicuro, solo che non riesco ancora a farglielo capire! Li trovate su http://www.myspace.com/achancetoberomantic Siete tra quelli che iniziano a sfogliare il giornale partendo dalla musica? Ragazzi, per voi ci sono buone notizie: l’appuntamento con gli emergenti raddoppia e sbarca su Radio Jeans! Presto potrete ascoltare i brani e le interviste con i nuovi talenti del panorama italiano e internazionale su satellite e in streaming su www.radiojeans.it. Musica classica 32 PER CHI SUONA CAMPANELLA? CHE COSA DEVE ASPETTARSI UN GIOVANE CHE HA DECISO DI CONSACRARSI ALLA MUSA EUTERPE? NE ABBIAMO PARLATO CON MICHELE CAMPANELLA, IL PIÙ GRANDE INTERPRETE ED ESPERTO DI LISZT di Jacopo Zoffoli, 21 anni CITTA’ IN MUSICA! orse è capitato anche a qualcuno di voi: suonare uno strumento, quindi dedicarsi alla musica classica con una certa costanza, ed essere etichettato dal professore di italiano o di matematica come “scansafatiche”. L’istituzione dei licei coreutici e musicali – ci viene detto – andrà incontro all’esigenza di quanti vorrebbero completare serenamente la propria formazione di musicisti, o comunque di artisti, senza rimanere “ignoranti”. Noi, però, che siamo i soliti ficcanaso, siamo andati a domandare l’opinione di un grande pianista, Michele Campanella, che non sembra disposto a liquidare la questione in termini così semplicistici. E non ci siamo lasciati sfuggire l’occasione per avere con lui un dialogo sulla musica classica tout court… Cosa direbbe ai ragazzi che giudicano la musica classica noiosa? «Ogni ramo del sapere umano approfondito è affascinante, ma se guardiamo una cosa da lontano, è facile che la prima reazione sia di spavento a causa della nostra incompetenza, come accade con la biologia o la matematica. L'ascolto della musica classica richiede una maggiore attenzione rispetto alla musica leggera, poiché è più complessa, ma questo non vuol dire che sia sinonimo di noia, anzi, è sinonimo di ricchezza e bellezza». Per secoli l'Italia ha mangiato pane e musica. La produzione musicale di oggi mi sembra povera, piatta e simile a se stessa… «Il discorso è complicato. Prima la musica classica non era legata alle logiche commerciali e soprattutto non F La musica classica e l’opera come non le avete mai sentite, in onda su Radio Jeans. Con Guido Barbieri, critico musicale, docente al Conservatorio di Trapani e storica voce di Radiotre, una serie di puntate sulla storia della musica in una cornice originale: le città dove hanno lavorato i grandi compositori come Mozart, Chopin, Verdi. Le puntate, di 45 minuti l’una, hanno infatti come fil rouge la ricostruzione del background storico e culturale in cui un dato autore ha vissuto. Nel corso del programma si ascoltano i brani tratti da un’opera e i giovani reporter in studio rivolgono a Barbieri domande e osservazioni. Inoltre, il nucleo strettamente musicale viene corredato da microapprofondimenti sull’arte e sulla letteratura del periodo. La possibilità di partire da argomenti più familiari e l’attenzione data alla storia sociale delle città costituisce un ottimo punto di partenza e una perfetta cornice in cui inserire la vera protagonista: la musica. Presto potrai ascoltarle anche tu, visita il sito www.radiojeans.it 33 MICHELE CAMPANELLA Considerato internazionalmente uno dei maggiori virtuosi e interpreti lisztiani, ha affrontato in 40 anni di attività molte tra le principali pagine della letteratura pianistica. La Società "Franz Liszt" di Budapest gli ha conferito il Gran Prix du Disque nel 1976, 1977 e nel 1998, quest'ultimo per l'incisione “Franz Liszt - The Great Transcriptions I-II” edita dalla Philips. Il ministero della Cultura ungherese gli ha conferito la medaglia ai “meriti lisztiani”, così come la American Liszt Society. La sua discografia comprende incisioni per etichette quali Emi (Ravel), Philips (Liszt, Saint-Saëns), Foné (Chopin), PYE (Liszt, Ciajkowskij), Fonit Cetra (Busoni), Nuova Era (Ciajkowskij, Liszt, Musorgskij, Balakirev), Musikstrasse (Rossini), P&P (Brahms, Liszt, Scarlatti), Niccolò (Schumann). E’ membro delle Accademie di Santa Cecilia, Filarmonica Romana, Cherubini di Firenze; è direttore artistico di tre stagioni concertistiche nate nell’ambito delle Università di Napoli, Benevento e Catanzaro. musica, qualsiasi altra riproduzione è, appunto, una mera copia, mentre quando hai davanti la persona che crea quel suono dal proprio corpo, l'emozione è totalmente diversa». Gli enti lirici e concertistici incoraggiano un pubblico fatto di giovani? «In alcuni casi ci provano, anche mostrando buona volontà. Però manca il marketing, manca la capacità di incuriosire. La gente ha paura di entrare in teatro perché si sente in imbarazzo, mentre il teatro deve essere la casa di tutte le classi sociali e di tutte le generazioni. I ragazzi non sanno con costanza quello che succede nel teatro della propria città». Sta ormai per entrare in vigore la riforma dei licei musicali e dei conservatori… «E' come sempre una questione di facciata: equiparare il conservatorio a una università è la cosa più sbagliata che si possa fare. Un ragazzo, collegandomi a quello che dicevamo in precedenza, deve entrare in conservatorio da bambino e non a diciotto anni avendo fatto mezz'ora a settimana di pianoforte a scuola. Come al solito, però, noi siamo contenti perché il problema di facciata è stato risolto». Come vede il futuro della musica? «Inseriamo il futuro della musica nel futuro dell'Italia. Sicuramente non migliorerà, forse peggiorerà. Dobbiamo sperare che ci sia una presa di coscienza autentica». Il pianista Michele Campanella era così distante dal popolo. Accanto a questo c'è da dire che nel nostro Paese non c’è mai stato un sistema educativo adeguato e ben radicato sul territorio. Ma il genio sostituisce, come sempre, l'organizzazione: da noi i talenti nascono come un fiore in mezzo al cemento. All'estero, invece, prima c'è la preparazione e poi si selezionano i talenti». A proposito di giovani talenti, come potrebbero essere aiutati? «Dando a tutti l'opportunità di studiare, al momento giusto e nella cornice giusta. Un talento va coltivato, non si può aspettare che arrivi già formato, e il sistema scolastico deve incoraggiare una preparazione quanto più possibile serena. L'altro giorno un ragazzo mi ha raccontato di avere contro i professori del suo liceo perché studia pianoforte ad alti livelli; il musicista non deve essere ignorante, ma deve avere l'opportunità di lavorare costantemente sullo strumento, egli è prima di tutto uno strumentista: prima ci sono le mani (nel caso del pianoforte) e poi tutto il resto. E’ ancora troppo scarsamente radicata la consapevolezza del fatto che siamo professionisti atipici: la nostra formazione avviene sin da piccoli, poiché cresciamo sviluppando il nostro corpo sullo strumento, e questo richiede tempo, costanza e dedizione». Lo studio del pianoforte aiuta anche lo sviluppo cerebrale? «Certamente. Il pianoforte è lo strumento più complesso che ci sia: ci sono due pentagrammi, uno dedicato alla melodia e l'altro all'accompagnamento, le mani perciò fanno due cose diverse, a volte anche quattro. Il cervello compie un esercizio molto sofisticato controllando dieci dita singolarmente e contemporaneamente». Cosa dovrebbero fare i nostri lettori per iniziare ad apprezzare la musica classica? «C’è solo un modo: andare a sentirla dal vivo. Oggi apriamo youtube e possiamo farlo lo stesso, ma è come visitare una città per fotografia. I concerti sono la vera 36 CINEMA: Riccardo Scamarcio, “mina vagante” GIOVANI CRITICI 43 FOTOGRAFIA: Henri Cartier-Bresson, l’occhio del secolo Cinema 36 PESCAT(T)ORE VAG A N T E NUOVA AVVENTURA PER FERZAN OZPETEK E UN CAST ESPLOSIVO, INTITOLATA (FORSE NON A CASO) “MINE VAGANTI”. ZAI.NET HA INTERVISTATO PER VOI RICCARDO SCAMARCIO, CHE NEL FILM INTERPRETA TOMMASO di Elena Prati, 18 anni Liceo scientifico “Galilei” ttore ormai affermato del cinema italiano, Riccardo Scamarcio a 31 anni sembra aver conquistato il pubblico con ruoli per ogni età e per ogni gusto. In questa sua ultima avventura, al fianco di una grande firma del cinema come Ferzan Ozpetek interpreta un ruolo inaspettato, quello di Tommaso, giovane che vuole affermare le proprie scelta personali anche a costo di andare contro le aspettative della sua famiglia. È il primo film che gira con Ferzan Ozpetek, cosa le ha insegnato questo maestro? «Devo dire che la cosa che mi ha molto colpito di Ferzan, e grazie alla quale ci siamo veramente intesi, è questa sua capacità di cercare la vita dentro la scena, di riuscire a creare delle dinamiche e a muovere i personaggi all’interno di essa, cercando e accogliendo incidenti e imprevisti, trasformandoli in pura espressività. Non è un regista rigido, è organico alla scena e questi elementi ci hanno molto uniti, perché anche io ho questa visione del nostro mestiere». Quali sono stati i punti di forza di un cast così eterogeneo, sia per età sia per esperienza? «Intanto i molti attori del cast sono tutti molto bravi; poi sicuramente anche le esperienze personali e il regista hanno fatto da collante. Ferzan è una persona in grado di A trasmettere un forte senso paterno, e questo a mio avviso è davvero molto importante perché in qualche modo gli attori sono figli e i registi sono padri. Ferzan è riuscito a soddisfare tutti i bisogni dei propri figli, ognuno con esigenze specifiche». Il personaggio di Tommaso, che torna a casa per affermare le proprie scelte personali, le è in qualche modo familiare nella sua lotta per costruire da sé il futuro che vuole? «Io fortunatamente ho avuto una famiglia abbastanza aperta e non ho mai avuto paura di tornare, non ho mai fatto la valigia di cartone, non sono mai scappato. Sono molto legato alla mia terra e ai miei genitori, non ho mai avuto questo bisogno disperato di fuggire da loro, di non voler tornare. Questa è forse la differenza più grande tra me e il personaggio di Tommaso. Un punto nel quale mi riconosco, però, è sicuramente la missione che compie: osservando le dinamiche della sua famiglia, riesce a sistemare le cose per gli altri, anche se per sé non riesce a fare nulla». Quello offerto dal film è secondo lei un ritratto fedele delle dinamiche della famiglia contemporanea? «Credo di sì, anche se forse alcuni meccanismi potranno sembrare un po’ obsoleti. Noi raccontiamo la storia di un microcosmo familiare di provincia in cui tutti sanno tutto di tutti, e questo condiziona molto le scelte di vita dei vari personaggi». Qual è il suo rapporto con il Meridione? «Direi ottimo, nel senso che sono cresciuto in Puglia e poi 37 Riccardo Scamarcio insieme a Ferzan Ozpetek; in basso e nella pagina accanto con Nicole Grimaudo in due scene del film. C’è poi la mancanza di politiche giovanili serie, un allonandandomene via ho sentito la mancanza di un sacco di tanamento progressivo dei giovani da tutto ciò che è culcose, che magari prima consideravo scontate. Ottimo perché tura e approfondimento. Anche la tendenza ad accedere quando trascorro del tempo lì mi prendo il meglio e quanalle informazioni senza andare a fondo acuisce il pessimido vado via mi rendo conto che ne ho abbastanza. Da smo: tutto quello che non si conosce fa paura. un certo punto di vista è la fortuna di chi non è costretPossediamo le cose senza sapere come funzionano, manto a stare sempre nello stesso luogo. Detto questo, ci giamo la frutta ma non sappiamo da dove viene; abbiasono anche tutti gli inconvenienti di stare sempre in mo perso completamente il contatto con ciò che usiamo: giro, cosa che destabilizza. Devo aggiungere, però, che tutto questo contribuisce a farci sentire frustrati, quasi anche il mio rapporto con il Settentrione è ottimo, a alienati. Credo che anche la superficialità contribuisca a volte mi manca Milano. Non sono meridionalista, pur farci sentire vittime». essendo un gran meridionale, mi sento cittadino del mondo». Se non avesse potuto fare l’attore, cosa le sarebbe piaciuto diventare? Sarebbe scappato come tanti altri talenti? «Non so dire se sarei rimasto in Italia. Anche la tendenza ad Difficilmente riesco a vedermi stabilmenaccedere alle informazioni senza te trasferito all’estero, io amo l’Italia, nonostante tutto quello che sta succeapprofondirle acuisce il dendo in questi anni. Non ce la farei mai pessimismo: tutto quello che non si a vivere lontano da qui. Penso avrei fatto il pescatore, anzi il “pescattore”». conosce fa paura Secondo un recente studio noi italiani siamo i più pessimisti al mondo, crede che sia vero? Anche lei a 17, 18 anni si sentiva così pessimista? «Questo è un dato inquietante, che purtroppo però rispecchia i nostri tempi. Probabilmente una responsabilità ce l’ha anche l’invasione tecnologica, positiva per tantissimi aspetti, ma che se mal gestita può scatenare effetti allarmanti. Palcoscenico 38 MIRANDOLINA, FASCINO SENZA ETÀ INTRIGHI AMOROSI, VIZI E VANITÀ DI UN MONDO IN CADUTA LIBERA: DAL 16 AL 28 MARZO AL TEATRO ELISEO DI ROMA IN SCENA UN GRANDE CAPOLAVORO DEL TEATRO ITALIANO di Antonella Andriuolo, 22 anni n affresco vivace della società settecentesca, un piccolo mondo antico e il vivere quotidiano in una Firenze d’epoca. Ma anche l’astuzia di una donna libera ed emancipata che rivendica il diritto di sedurre ed ammaliare, tenendo le fila della complessa macchina teatrale architettata da Goldoni, fautore, in quegli anni, di un modello drammaturgico rivoluzionario. È proprio la sua Locandiera, per la regia di Pietro Carriglio, che torna in scena al Teatro Eliseo di Roma, dal 16 al 28 marzo, con i suoi intrighi amorosi, i suoi colpi di scena ma, soprattutto, con i suoi personaggi; Fabrizio, il paziente cameriere, il marchese di Forlimpopoli, nobile decaduto, il conte di Albafiorita, ostentatore di ogni ricchezza, e il misogino cavaliere di Ripafratta. Al centro, l’unica vera protagonista: la locandiera Mirandolina. Per avvicinarci a questa enigmatica figura, che ancor oggi mantiene intatto il suo fascino, abbiamo intervistato chi la interpreta sul palco, l’attrice Galatea Ranzi. In scena con un grande classico: La locandiera di Carlo Goldoni. Iniziamo con una panoramica sullo spettacolo. «La lettura che abbiamo realizzato di questo capolavoro di Goldoni, con la compagnia del Teatro Stabile di Palermo, è sicuramente singolare; si tratta di un’opera estremamente attuale poiché pone al centro la tematica del rapporto fra uomo e donna. Mirandolina costituisce il motore dell’intera vicenda, il fulcro dell’azione ed, intorno a lei, ruotano, come satelliti, quattro uomini, quattro figure maschili. Io credo che sia molto interes- U sante sottolineare l’elemento della seduzione e delle differenti maniere di sedurre che risiedono nella capacità, squisitamente femminile, di saper reagire e confrontarsi con diverse circostanze. Riproporre dei classici, anche se rinnovati, è sempre un’operazione culturalmente valida poiché aiuta a sviluppare la capacità critica dello spettatore: una persona che ha visto La locandiera dieci, venti o trenta anni fa e che rivede oggi la stessa commedia, effettua, anche inconsapevolmente, un lavoro di comparazione. Si innescano, in chi guarda, dei meccanismi di valutazione, paragone, ricordo, di attenzione al confronto fra un attore ed un altro, tra una regia ed un’altra. Tutto questo mi conduce alla convinzione che il teatro sia da interpretare come un strumento altamente formativo, non solo negli anni della scuola ma nell’arco della vita». Come lei ha anticipato, questa Locandiera non è come tutte le altre: è una rappresentazione dal taglio nuovo ed originale. Le chiedo, allora, a quale aspetto dell’opera dovrebbe far maggiormente attenzione uno spettatore, ovvero quale consiglio darebbe al pubblico per cogliere al meglio questa chiave di lettura inedita? «Il taglio nuovo che è stato conferito all’opera è immediatamente percepibile già a partire dalla scenografia, curata dallo stesso regista (Pietro Cartiglio, ndr), una scenografia molto scarna, costituita da tre panche ed un tavolo, che punta all’essenzialità dell’ambiente. Già questo, penso, potrebbe suggerire allo spettatore una chiave di lettura rinnovata, che propone un Goldoni non di maniera e sfrondato, nella commedia, di tutto quello può essere convenzione settecentesca. È quindi un allestimento che sembra azzerare la linea temporale e che si “avvicina”, visivamente e storicamente, al pubblico 39 Oggi Mirandolina potrebbe essere una donna in carriera, una professionista, una donna, dunque, perfettamente calata nel suo tempo e in cui è facile identificarsi Galatea Ranzi sul palco nei panni di Mirandolina odierno. Questo aspetto di immediatezza è stato ricercato anche nel linguaggio e nella scrittura su cui abbiamo lavorato molto cercando di renderla, pur rimanendo fedeli all’originale, più asciutta e diretta». Mirandolina, per la sua epoca, rappresenta sicuramente il prototipo della donna moderna. Secondo lei, chi sono oggi le contemporanee “Mirandoline”? «La Mirandolina goldoniana è una donna che lavora, una donna che sa scrivere e far di conto, per l’epoca, in effetti, una vera rarità. Oggi Mirandolina potrebbe essere una donna in carriera, una professionista, una donna, dunque, che vive a pieno la contemporaneità, perfettamente calata nel suo tempo ed in cui è facile identificarsi». Lei ha lavorato non solo in teatro ma anche nel campo del cinema e della tv. Cosa le ha lasciato ogni singola esperienza? «Credo che per un attore avere la possibilità di provarsi con diversi mezzi sia l’ideale perché, in ognuno di questi, è possibile sperimentare molteplici registri di recitazione, espressione e comunicazione. Poter alternare teatro, cinema e tv sicuramente giova: quello che impari al cinema o in tv lo riversi nel teatro e viceversa. Tuttavia, ci sono grandi differenze. In teatro, per esempio, si approfondisce maggiormente lo studio del personaggio, la ricerca diventa un progressivo sforzo di labor limae che esorta ad un costante perfezionamento. Cinema e televisione, al contrario, hanno tempi piuttosto rapidi ma, bisogna dirlo, vi sono anche numerosi punti di contatto che facilitano il lavoro dell’attore». E quanto ha inciso, se ha inciso, la sua formazione accademica? «L’Accedemia d’Arte Drammatica varia di anno in anno, nel senso che gli insegnanti che vi passano sono svariati. Io ho avuto però la fortuna di fare in accademia degli incontri significativi; ho lavorato con Marisa Fabbri, che reputo una mia grande maestra, e, sempre in accademia, è avvenuto l’incontro con Luca Ronconi e Paolo Terni, insegnante di storia della musica, che mi ha 16 | 28 marzo 2010 LA LOCANDIERA di Carlo Goldoni regia, scene e costumi Pietro Carriglio musiche Matteo D'Amico luci Gigi Saccomandi con Galatea Ranzi, Luca Lazzareschi, Sergio Basile, Luciano Roman con la partecipazione di Nello Mascia produzione Teatro Biondo Stabile di Palermo Teatro Stabile di Catania www.teatroeliseo.it permesso di “aprire lo sguardo” anche verso una conoscenza musicale. Una marcia in più per chi fa questo mestiere». Come attrice, nel corso degli anni, ha prestato il suo volto anche ad alcuni film che hanno avuto molto successo fra i giovani. Quale potrebbe essere, quindi, il canale giusto per avvicinare i ragazzi anche al mondo del teatro? «Io trovo che i giovani siano realmente entusiasti del teatro. La nuova generazione è una generazione attenta e partecipe a questo tipo d’arte. A noi è spesso capitato di fare delle recite per delle scuole ed abbiamo riscontrato che la risposta dei ragazzi è sempre molto positiva. Ti racconto, a proposito, una mia esperienza personale: quando ho lavorato a Siracusa, presso il teatro greco, interpretando le tragedie classiche, opere molte volte studiate in classe, ho potuto constatare un coinvolgimento dei più giovani davvero eccezionale, autentico. I ragazzi sentono il palcoscenico e si appassionano. Forse più degli adulti». Poesia 40 ISTANTANEE IN VERSI UN POETA? SÌ, MA NON È ABBASTANZA. UN VAGABONDO? SÌ, MA NON SAREBBE DEL TUTTO GIUSTO. UN ALCOLIZZATO? FORSE, MA ALLA FINE LA DEFINIZIONE MIGLIORE PER DESCRIVERE IL POETA GREGORY CORSO È QUELLA DATA DA FERNANDA PIVANO: “UNA PERSONA IRRITANTE, MA NEL CONTEMPO UN GENIO DALLA POTENZA UNICA” di Alessandro Senzameno, 21 anni icuramente non aveva il verso elaborato di Ginsberg, né la mente visionaria di Kerouac, ma possiamo dire senza troppe remore che le poesie scritte tra il 1955, anno della sua prima pubblicazione, e il 2001, anno della sua morte, sono tra le più belle, dirette, cristalline e originali che il ’900 letterario abbia mai visto. Nulla a che vedere con la poesia accademica o con quella volutamente beat, Gregory Corso è un’altra storia, una storia di vita prima di tutto. Appassionato di fotografia, la Pivano ce lo descrive come un uomo che si isolava dal mondo e che spesso vagava per New York a fotografare tutto ciò che poteva essere immortalato. Questo faceva nelle sue poesie, fotografava: attimi, cartelloni, frasi, funerali, perfino avvenimenti immaginari. Leggendaria la poesia Bomb, a forma di fungo nucleare, S nella quale esprime l’amore per quella bomba che prima o poi, se non lo ha già fatto, l’uomo costruirà. Gregory Corso era diverso dagli altri, per molti era “il Beat”, non era lo scrittore di Howl e nemmeno di On the road, capostipiti di quella generazione maledetta, ma forse ne è stato il vero rappresentante per lo stile di vita. Lui stesso si riconosce nel Beat quando afferma: “Il Beat è qualunque uomo che rompa il sentiero stabilito per seguire il sentiero destinato”. Lui lasciò quel sentiero, quando andò in riformatorio per poi raggiungere il carcere. Qui si avvicinò ai grandi poeti e scrittori della letteratura anglosassone e mondiale tra cui Marlowe, Shelley e Whitman. Ma è Roma il luogo in cui raggiunse quello stato di precarietà che tanto aveva cercato nella sua vita. In molti lo ricordano mentre veniva cacciato ubriaco dai pub di Campo de’ Fiori, di Via del Governo Vecchio o di San Callisto. A metà fra affascinante uomo di cultura e insopportabile ubriacone, Corso è riuscito con la sua vita a personificare la deriva, quel modo di esistere che porta gli uomini a rifuggire dalla realtà per buttarsi in un’altra apparentemente più piacevole. Dopo una vita di eccessi, che lo portò a capire che “a volte anche l´inferno è un buon posto, se serve a dimostrare con la sua esistenza che deve esistere anche il suo contrario, cioè il paradiso. E cos´è questo paradiso? La poesia”, morì il 17 gennaio del 2001, a otto mesi dall’avvenimento che avrebbe messo in luce il concetto della sua Bomb: se amiamo qualcosa non ci può far male. Ora Gregory Corso riposa in quella città che, a modo suo, gli ha permesso di raggiungere il suo stato di estasi che altri, come Kerouac, hanno raggiunto tramite la meditazione Zen: Roma. Nel cimitero inglese, o acattolico, o ancora dei poeti - chiamatelo come preferite poco sotto il suo amato Shelley, Corso riposa beato e battuto, come la poesia che ha sempre scritto, come la poesia che lo protegge incisa sulla lapide: “Spirit / is Life / It flows thru / the death of me / endlessy / like a river / unafraid / of becoming / the sea.” Da sinistra, Allen Ginsberg, Gregory Corso e Barney Rosset negli anni Cinquanta in Washington Square Park. Burt Glinn/Magnum Photos. Reportage Scuola Holden 41 SALINGER’S FUNERAL PARTY «CHI LI VUOLE I FIORI QUANDO SEI MORTO?». NOVE RACCONTI PER NOVE LETTORI D’ECCEZIONE AL FUNERALE PIÙ INSOLITO DI QUESTO INIZIO ANNO di Fiammetta Bertotto, 21 anni .D. Salinger ci ha lasciato il 27 gennaio. Era un uomo schivo, allergico alla fama; almeno, così è sempre stato descritto e così l’ho sempre immaginato. Amava scrivere, sì, ma solo per se stesso. Scrisse soprattutto di bambini e fu un bambino in particolare a renderlo tanto celebre, quanto Salinger non voleva proprio essere; finché non si chiuse in se stesso e si ritirò dal mondo letterario. Le sue non sono le solite storie sui bambini o per bambini. Non ci sono lupi e vecchiette, non ci sono streghe o briciole di pane sparse sul sentiero. Quelli di Salinger sono bambini non bambini: sono ribelli, buffi, intelligenti; sanno affrontare la vita e la morte. Sono a tratti cinici, ma pur sempre cacciatori di sogni. Non solo d’infanzia ha scritto, ma anche di uomini e donne, smarriti nelle loro vite quotidiane, uniche e banali. Persi tra telefonate e rossetto, pesci banana e baseball, fantasticando su anatre e uomini ghignanti. Poi, luminosa e buia, c’è New York. E’ in onore di questo universo, che la Scuola Holden ha voluto commemorare la scomparsa di Salinger cui, del resto, l’istituto torinese deve il nome. E’ stata una serata particolare, quella del 9 febbraio: pioggerellina invernale e lumini accesi per le scale. Una tromba, una chitarra e una poltrona rossa. Cuscini colorati e luci soffuse. Torte, biscotti, salatini e mandarini. Nove racconti e una domanda. Chi li vuole i fiori quando sei morto? Risposta: nessuno. Oppure, tutti. Li vuole il rito, o chi non li ha ricevuti in vita. Li vuole l’ape che gironzola per il cimitero, o i parenti del defunto. Li vuole il fiorista. Queste frasi, risposte più simili a perle di saggezza, si sono susseguite in dissolvenza sul muro, a mo’ di sfondo dell’incontro. Poi, su un palchetto lì vicino, i protagonisti. Nove racconti per nove lettori d’eccezione: Dario Voltolini, Davide Longo, Ernesto Franco, Elena Varvello, Enrico Remmert, Fabio Geda, Paolo Giordano, Letizia Muratori e, infine, il preside della Scuola Holden, Alessandro Baricco. Ognuno di loro non ha solo letto il racconto, ma l’ha interpretato, facendolo suo, aggiungendoci il proprio imbarazzo, il proprio divertimento, i propri pensieri e i propri insegnamenti. Allo stesso modo i musicisti, i cui pezzi, tra un racconto e l’altro, hanno contribuito a rendere la serata ancora più J ricca e coinvolgente, nel nome di un vero e proprio funeral party all’americana. Un’iniziativa da lodare, poiché insolita e necessaria; non solo per ricordare la persona di Salinger, ma per garantire ai suoi personaggi e alle loro storie un ruolo duraturo tra le nostre fantasie, le nostre chiacchiere e i nostri sorrisi. Spero con tutta lʼanima che quando morirò qualcuno avrà tanto buonsenso da scaraventarmi nel fiume o qualcosa del genere. Qualunque cosa, piuttosto che ficcarmi in un dannato cimitero. La gente che la domenica viene a mettervi un mazzo di fiori sulla pancia e tutte quelle cretinate. Chi li vuole i fiori, quando sei morto? Nessuno J.D.Salinger, Il giovane Holden, tr. It. Einaudi, capitolo XX, pag 181 Recensione 43 HENRI CARTIER-BRESSON: L’ETERNITÀ IN UN MOMENTO UNA MOSTRA A PALAZZO DUCALE HA RACCOLTO OLTRE QUARANTA SCATTI REALIZZATI DURANTE DUE VIAGGI IN RUSSIA NEL 1954 E 1972. DOCUMENTI STORICI OPERA DEL GRANDE FOTOGRAFO – SCOMPARSO NEL 2004 – CHE SI GUADAGNÒ L’APPELLATIVO DI “OCCHIO DEL SECOLO” di Ida Duretto, 18 anni Liceo classico “DʼOria” iuscire a “mettere sulla stessa linea di mira il cuore, la mente e l’occhio”: questo è il segreto di un grande fotografo. Considerato il padre del fotogiornalismo, Henri Cartier Bresson fu il primo reporter occidentale autorizzato a fotografare liberamente in Unione Sovietica, durante il dopoguerra. Per la prima volta in Italia, a Genova, vengono esposti oltre quaranta suoi scatti, realizzati durante i due viaggi in Russia (1954 e 1972) e raccolti nel libro Henry Cartier-Bresson: A propos de l’URSS. La mostra Henri Cartier-Bresson. Russia, alla Loggia degli Abati di Palazzo Ducale, costituisce un importante documento storico, che permette di conoscere e di capire davvero un periodo difficile, come quello del dopoguerra sovietico. Bresson si guadagnò l’appellativo di “occhio del secolo”, grazie alla sua capacità di cogliere e immortalare, con la macchina fotografica, quelli che definiva gli “istanti decisivi”. Nei suoi scatti, accanto alla Storia, fatta di grandi personaggi, spicca, per contrasto, la presenza del popolo, degli umili, dei bambini. In una delle foto più significative dell’intera mostra si può osservare, in primo piano, il viso di una bimba curiosa, che durante una parata militare si sporge tra le schiere serrate dei fanti. A volte, invece, sono proprio i personaggi importanti ad “affacciarsi” nei luoghi più semplici. In un’altra fotografia, i ritratti di Lenin e Stalin spiano dall’alto alcuni operai alla mensa. A Bresson interessa soprattutto la vita quotidiana, in tutti i suoi aspetti, dal lavoro ai divertimenti, dalle fiere agricole ai matrimoni. Non c’è nulla di più naturale che due padri che, portando a spasso con il passeggino i rispettivi figli, leggono il giornale, reggendolo con la mano libera. E, infatti, anche questo quadretto si è meritato uno scatto. Ma ciò che colpisce maggiormente l’osservatore, oltre al realismo dei soggetti, è l’alta espressività dei volti immortalati. Le figure di Bresson sono davvero umane, vive, perché riescono a trasmettere una grande carica emotiva, solamente attraverso R uno sguardo. L’impiego della gestualità, del movimento, come forma di comunicazione, è particolarmente accentuato, ad esempio, nella rappresentazione della “Giornata dello Sport”, allo stadio Dynamo. Non sono necessarie didascalie, né pannelli informativi, accanto alle foto: esse sole bastano a soddisfare la curiosità e a rispondere ad ogni domanda. Di fronte alla figura del bambino, che si staglia sullo sfondo del lago Sevan, tenuto in equilibrio dal padre con una sola mano, si resta stupiti, ma appagati, quasi partecipi di un segreto inesplicabile. Forse lo stesso mistero che ci rende tanto invidiosi dei pastori del Kirghizistan, soggetto di un’altra delle fotografie in esposizione. Mentre li si osserva pascolare placidi gli armenti, immersi in un paesaggio innevato, si percepisce la perfetta armonia con la natura, di cui ormai la civiltà del progresso ha rotto il delicato equilibrio. Si prova lo stesso sentimento nell’osservare i pescatori sul fiume ghiacciato o i pellegrini al monastero di Petchora: ci si sente unici testimoni di un passato, di antiche consuetudini e valori, ormai perduti. Accanto a queste fotografie, veri e propri idilli bucolici, risalta quella dei binari, in costruzione, della nuova ferrovia: il simbolo del progresso rapido e inarrestabile. Henry Cartier-Bresson nella sua pellicola immortala l’istante ma, allo stesso tempo, rappresenta l’universale. I soggetti ritratti, pur inquadrati in un particolare periodo storico e in specifiche coordinate geografiche, non ne sono condizionati, ma assumono una caratterizzazione a tutto tondo. Perché come diceva lui stesso: «Le fotografie possono raggiungere l'eternità attraverso il momento». Nei suoi scatti, accanto alla Storia fatta di grandi personaggi, spicca, per contrasto, la presenza del popolo Recensioni 44 LIBRI La figlia della fortuna Di Isabel Allende, Feltrinelli, 333 pp., 8,00 euro MUSICA Dialetti D’Italia Autori vari, Warner Music Uscito in concomitanza con l’inizio dell’ultima edizione del Festival di Sanremo e prendendo evidentemente spunto dal dibattito sulla possibilità di presentare alla gara canzoni in vernacolo, Dialetti d’Italia raccoglie i maggiori successi della musica popolare italiana. Dalle Alpi (Montagne del me’ Piemont, La pastorala, Il cjalzumit, La Valsugana) alle isole (Non potho reposare, Ciuri ciuri, Vitti ‘na crozza), dalla pianura padana (L’uva fogarina, La bella Gigogin, Sciur padrun da li beli braghi bianchi) al Meridione (Calabrisella, Quant’è bello lu primm’ammore, Malafemmena, ‘O surdato ‘nnammurato) e al centro (Vola Vola, Tanto pe’ cantà), le voci di cantanti e interpreti di tutte le epoche (basti pensare che le registrazioni sono quelle dagli anni ’30 agli anni ’70, artisti quali Casadei, Villa, Modugno, Califano, Cinguetti, il Maestro Pregadio, Ranieri, Taranto, Vanoni, il Quartetto Cetra, Rascel, i Ricchi & Poveri e tanti altri) ci accompagnano in un viaggio nel cuore delle più belle melodie della grande musica italiana e nei ricordi di una tradizione che si tramanda ormai da decenni. Come bonus track due straordinari testi in napoletano e in genovese recitati rispettivamente da Totò (‘A livella) e da Gilberto Govi (Ma se ghe penso). Una raccolta da avere in casa per la nostra cultura personale… o semplicemente per poter rendere felice qualcuno di una o due generazioni più grandi, cantando con loro le canzoni che hanno fatto la storia della nostra musica. Un motivo per ascoltarlo: Facciamo sentire come suona bene il “sì” da queste parti! Un motivo per non ascoltarlo: Se in campo musicale siete inguaribili e irrecuperabili esterofili. Chiara Colasanti, 19 anni Dopo la parentesi culinaria di Afrodita, La figlia della fortuna ha segnato il ritorno della scrittrice alla modalità narrativa che più la caratterizza. Protagonista del romanzo è una giovane cilena, Eliza, abbandonata sulla soglia di casa dei fratelli inglesi Sommers, da poco arrivati a Valparaiso. Accettata e accolta dalla famiglia, Eliza cresce tra due mondi del tutto opposti: da una parte l’eccentrica Rose la educa tra danze, pizzi e bustini, alla vita mondana, dall’altra la cuoca e governante india Mama Fresia la inizia alle gioie più autentiche in mezzo a pentole e galline. La vita della giovane cambia quando scoppia l’amore con Joaquìn, un giovane idealista che si precipita all’entusiasmante corsa all’oro in California. Da questo momento veniamo catapultati in un’altra realtà: Eliza si recherà nelle terre aride e inospitali d’America per ritrovare il suo amore, scoprendo nel contempo anche la sua vera natura. Un motivo per leggerlo: Ideale se vi piacciono gli amori contrastati e avventurosi. Un motivo per non leggerlo: Se non siete appassionati di romanzi di formazione. Elena Dardano, 16 anni FILM Avatar Di James Cameron Avatar è senza ombra di dubbio il fenomeno cinematografico dell’anno, un film in grado di battere tutti i record d’incassi, tenendo a 500 milioni di distacco il secondo classificato (Titanic, dello stesso regista James Cameron). Di pareri se ne sono sentiti tanti, quasi esclusivamente positivi, ma non si possono tralasciare quelle poche e sfocate voci fuori dal coro che hanno dato del “furbacchione” a Cameron per essere sparito dopo Titanic ed essere ricomparso 12 anni dopo con un altro Kolossal (con la K maiuscola). Altra accusa, i molti film presi in “prestito” per l’ispirazione, partendo da una mascolina Sigourney Weaver che fa il suo ingresso in scena alla Alien con tanto di sigaretta in bocca, passando per Pochaontas, Balla coi lupi e il nostrano Aida degli alberi. Proprio il regista di quest’ultimo, Guido Manuli, ha affermato che non può che essere contento se un regista come Cameron ha preso spunto da un film poco conosciuto anche nel suo paese d’origine. Un motivo per vederlo: È un film che va visto. Senza se e senza ma. Un motivo per non vederlo: Se volete andare controcorrente. Alessandro Senzameno, 21 anni Z a i . n e t è p e r i l d i r i t t o d i c r i t i c a … v o t a , c o n s i g l i a , s t ro n c a f i l m , 45 LIBRI OPERA L’ultimo orco Falstaff Di Silvana De Mari, Salani editore, 717 pp., 18,60 euro Regia di Franco Zeffirelli, Teatro dell’Opera di Roma A una prima lettura, o a una lettura distratta, potrebbe sembrare un fantasy come tanti altri, con gli stessi temi di cavalleria e di guerra, i medesimi ideali che così spesso ricorrono, l’onore, l’amore donato incondizionatamente, il coraggio, il valore, l’onestà. Eppure ogni personaggio che si muove nel mondo magico creato da Silvana De Mari possiede autonomia e personalità, ma soprattutto grande umanità. Protagonista della storia è un bambino grosso per la sua età, Rankstrail, che per mantenere in vita la madre malata e la sorella appena nata si vede costretto a trasgredire le leggi, a rubare, a ricevere frustate. Alla morte della madre malata, Rankstrail parte di nascosto per arruolarsi nell’armata mercenaria al servizio di un anziano folle e malvagio, il giudice amministratore della città di Daligar. Nell’armata il bambino diverrà ragazzo e poi uomo, scontrandosi con l’odio, la vergogna, gli egoismi, giungendo grazie alle sue capacità fino al comando di quel manipolo di pezzenti. Combattendo e vivendo, Rankstrail scoprirà verità latenti sul mondo e su se stesso, comprendendo che orchi non si è per nascita, ma per scelta. Un motivo per leggerlo: Un libro intenso, sintesi mirabile fra fantasy ed epica. Un motivo per non leggerlo: Se avete incrollabili pregiudizi sul genere fantasy. Con il Falstaff di Giuseppe Verdi il Teatro dell’Opera di Roma ha inaugurato la stagione 2010, insieme alla quale è stato dato il via anche al terzo ciclo di conferenze dal titolo Opera e Filosofia, cinque incontri dedicati agli studenti dei licei romani organizzati in collaborazione con il settore didattica del teatro e l’università Roma Tre. Il 26 gennaio più di mille ragazzi hanno ascoltato il racconto dell’opera dalle parole del noto musicologo Quirino Principe; il giorno successivo gli stessi ragazzi hanno avuto l’opportunità di assistere allo spettacolo. Non starò, come faccio solitamente, a dare giudizi tecnico-vocali sui singoli interpreti, ma mi soffermerò sui ragazzi che entravano per la prima volta nel Teatro dell’Opera: espressioni sbalordite e sorrisi di emozione erano presenti sui loro volti già prima dell’inizio dello spettacolo. Durante la rappresentazione il silenzio ha regnato sovrano e grandissimi applausi hanno salutato il direttore al suo ingresso in buca dell’orchestra. Un motivo per vederlo: Brillava di luce propria sulla scena il mezzosoprano Francesca Franci, che come sempre riesce a fare sua la parte e a dominare la scena come una vera prima donna dovrebbe saper fare. Un motivo per non vederlo: Unico punto nero della serata la prova del cast sostanzialmente disomogeneo e non adatto alla situazione. Marco Felici, 17 anni Jacopo Zoffoli, 21 anni DA NON PERDERE È morto Tito Di Zandonai Editore, 122pp., 13,50 Euro «In paese da giorni non si parlava d’altro. Il televisore era incandescente, e il nonno non capiva perché mai un uomo appena morto e già sottoterra corresse di qua e di là sullo schermo. Cosa gli passasse per la testa, al nonno, se confinasse quest’apparizione di Tito nel regno della magia, degli angeli o del demonio o la percepisse come un mistero del mondo moderno, non lo saprò mai. So soltanto che le immagini tremolanti lo irritavano. In special modo le famose scene d’amore nei film americani, quelle lo travolgevano con la forza sibillina di una cascata». Inizia così “E’ morto Tito”, raccolta di racconti della scrittrice dalmata Marica Bodrožić, tradotta in italiano dal tedesco per la prima volta da Zandonai Editore. Accolti in Germania, terra d’adozione della Bodrožić (classe 1973), con grande successo di pubblico e critica, questi ventidue racconti dipingono con inaspettata potenza lirica e uno stile raffinato e quasi sempre vibrante il disgregarsi della Jugoslavia. Secondo Claudio Magris, che firma la prefazione del libro, ci troviamo di fronte a «una delle più singolari, fresche e originali voci della letteratura tedesca contemporanea». l i b r i , m u s i c a e a l t r o s u i s i t i w w w. z a i . n e t e w w w. s t r o n c a . n e t Vivere di periferia 46 ASPETTANDO IL 16 APRILE… DIETRO LE QUINTE FORSE È ANCORA UN PO’ PRESTO PER FARE IL BACKSTAGE DI “VIVERE DI PERIFERIA”, MA DA UN ISTITUTO MILANESE È ARRIVATA QUESTA BELLISSIMA TESTIMONIANZA E COSÌ NON ABBIAMO SAPUTO RESISTERE Di Alida Parisi, docente dellʼIstituto “Pareto” Fotografie di S.K., 18 anni l concorso “Vivere di periferia” è stato accolto con grande entusiasmo da parte dei ragazzi perché è una di quelle rare occasioni in cui possono parlare liberamente del loro vissuto e soprattutto possono esprimersi con estrema sincerità su ciò che amano di più, su ciò che detestano ed anche su come vorrebbero che fossero la loro vita, il loro quartiere, il loro gruppo di amici, la loro famiglia, i loro insegnanti, il loro futuro. Quando si parla di periferie è automatico focalizzarne immediatamente il degrado, e le diverse caratterizzazioni rimandano tutte ai soliti cliché: luoghi abbandonati o addirittura non-luoghi, città dormitorio dove la vita è immobile, anche se quotidianamente vissuta, dai giovani, nei parchetti, nei cortili, negli scantinati, negli oratori. Non a scuola, né nelle biblioteche, né nei centri culturali. Eppure spesso le scuole di periferia, come anche le parrocchie e le biblioteche o le diverse associazioni che operano su questi territori, si attivano in progetti extrascolastici, quindi pomeridiani, in genere legati allo sport, a volte al teatro o al cinema, il cui fine ultimo è tenere quanto più possibile i giovani in luoghi ‘protetti’, lontani da incontri, rapporti e scambi non sempre sani. Si tratta di inventarsi ogni volta qualcosa di ‘interessante’ per vincere la noia e la carenza di cultura. Ma la sete di avventura, il bisogno di ideali, la ricerca di idoli si contrappongono continuamente alla mancanza di aspirazioni, alla tristezza dilagante e alla rassegnazione serpeggiante in ogni battuta. O almeno sembrerebbe così. Sicuramente la ricerca di idoli ed eroi, in un ambito carente di cultura, spinge ad adottare quelli che offrono i mass media e i social network: il modello vincente, cioè di successo, è I quello legato all’esteriorità, alla banalità, al danaro, facile, abbondante e non-importa-come… Ma non è poi, in fondo, esattamente così; i giovani, è nella loro fisiologia, hanno la capacità di sorprendere sempre e di meravigliare chi riesce ad osservarli e ad ascoltarli, rinunciando ad ogni attacco di facile cinismo e gratuito sarcasmo. In occasione del concorso, quando si è trattato di pensare al soggetto, di immaginare le scene del cortometraggio, di definire i pensieri, di ‘fotografare’ i paesaggi, di riprendere le espressioni dei volti e di fissare i momenti clou, accanto al racconto del degrado è emerso un mondo di sentimenti, di storie di amicizia, di passione per l’arte, di entusiasmo creativo, di aspirazioni per il futuro, di legame e orgoglio per il proprio quartiere, di riscoperta di quegli spazi, pochi, che pure esistono e che, nel corso degli anni, hanno fatto parte della loro crescita. In definitiva un’immagine del ‘loro territorio’ inteso come lo era per le antiche tribù di indiani, di loro proprietà, conosciuto nei minimi particolari, nel bene e nel male. Le periferie sono luoghi di periferia, non ci sono le discoteche, è vero, non 47 potranno mai avere cinema come lo storico Odeon del centro, al massimo dei Multisala. Ma sono come quei cieli azzurri, impressi in qualche romantico scatto fotografico, con qualche nuvola grigia, qualche altra bianca e qualche antenna tivù proiettata verso l’infinito. Conservano la tristezza degli edifici brutti e grigi (o eccessivamente colorati), delle strade a volte rotte e in alcune ore vuote e desolate, ma anche lo sguardo affettuoso di chi, avendole vissute da sempre, riesce a trovarci il posto 'bello', a volte a crearlo, e confida in un futuro più vivibile, che allontani sempre di più da quei luoghi la condizione e il ricordo dei vecchi stereotipi. Alcuni suggestivi scorci del quartiere Quarto Oggiaro e della stazione centrale di Milano. GLI SMS DEI RAGAZZI Salve prof! Poi domani le spieghiamo tutto, è tardi per kiamarla ora. Abbiamo girato fino alle 6… Ma ci siamo divertiti =) domani registra l’Elisa e un pezzo io… Ci vediamo domani, grazie prof! Ciao ragazzi…! Salve Prof..! Ho gli ultimi aggiornamenti del cortometraggio x domani… Allora, mangiano tt insieme al bar della scuola, ...HO CANCELLATO REGISTA E TECNICO. Poi andiamo tt insieme al bocciodromo dove insieme fare il graffito.. Nn so qnt tempo metteremo… ma ci divertiremo Pensate a qlk frase da scrivere… Cmq credo k andiamo a piedi… Il graffito verrà fatto a Bruzzano… Poi al max decideremo cm arrivarci… Ale e Eli, mi raccomando dobbiamo essere vestiti cm il giorno dll riprese… beh, credo di aver dtt tt.. se nn capite ditemelo =) Salve Prof..! No, non sto sentendo nessuno perché sto provando a studiare economia politica =) anche per me comunque è stata una bella esperienza, mi sono divertita un sacco e soprattutto almeno si conoscerà in giro come viviamo all’interno dei nostri quartieri =) Il concorso si concluderà il 16 aprile 2010 a Roma con la premiazione dei migliori lavori. Vi aspettiamo! www.viverediperiferia.it 52 STORIA: Intervista impossibile con Cavour COSTUME & SOCIETÀ 56 EUROPA SOTTO I VENTI: Viaggio in Irlanda Architettura 50 CAPITALI ITALIANE NEL MONDO MODELLANDO I QUARTIERI E LE CITTA’, GLI ITALIANI HANNO LASCIATO I SEGNI DELL’UNITA’ NAZIONALE ANCHE ALL’ESTERO. TORINO VI ASPETTA PER UNA MOSTRA DA NON PERDERE di Caterina Mascolo, 20 anni e immaginando il 2011 non riuscite a scorgere altro se non una terribile ansia da scrutini/esame di maturità non disperate: ecco almeno una buona motivazione che renderà speciale questi lunghi dodici mesi! L’Italia celebrerà difatti il centocinquantesimo anniversario dell’unità nazionale. Ogni candelina nasconde i volti dei personaggi che si sono battuti per un paese finalmente unito (li ritroviamo spesso, ieratici ed un po’ noiosi, nelle pagine da studiare), degli eventi cruciali capaci di segnare per sempre (“eis aei”, avrebbe detto Tucidide) l’evoluzione di una storia tessuta con barricate, assalti e canzoni. Potrete approfondire gli sviluppi, le conseguenze ed i percorsi battuti da quest’epoca così decisiva non solo con la regolare didattica, ma anche con l’aiuto di numerosi speciali ed approfondimenti, sia bibliografici che televisivi, basati proprio sul fatidico 1861. Meno esplorato e poco conosciuto risulta invece il prodotto, in qualche modo “estero”, della nostra unificazione. Questo processo implica l’assunzione di una sola capitale: prima di Roma, già Firenze e Torino assursero a prime città della nazione. La cornice di tale esperienza non si limita però ai soli confini italiani: esiste infatti una fondamentale, parallela storia dei segni culturaliarchitettonici-urbanistici che i nostri emigrati sono riusciti ad imprimere nei luoghi e nelle città in cui si stabilirono. Non sono affatto sporadici i territori, o meglio, le stesse capitali straniere che possono dirsi molto influenzate dai nostri costumi: dall’edilizia alla gastro- S nomia, dal creare nuovi spazi al far conoscere usi e costumi lontani, gli italiani si sono distinti per gettare solide radici nei paesi di emigrazione. Albania, Etiopia, Argentina, Stati Uniti: la forma mentis e le abitudini tipiche del nostro vivere hanno viaggiato e si sono sedimentate su patrimoni culturali diversi, generando situazioni ogni volta differenti, peculiari e ricche di spunti innovativi. Tutti questi apporti fecondi sono stati analizzati nel lavoro di “Capitali italiane nel mondo 1861-2011”, un’iniziativa che descrive l’impronta italiana all’estero, concentrandosi sull’architettura come strumento visibile e concreto di imprinting culturale, ideologico e sociale. Attraverso lo studio della conformazione e della trasformazione degli ambienti di inseNew York Times Building arch. Renzo Piano 51 Buenos Aires, scorcio del quartiere La Boca; nella pagina accanto Berlino, cantiere Stadtschloss, arch. Franco Stella (foto di Filippo Proietti) diamento, in primis i quartieri, si raggiunge l’interessante obbiettivo di comprendere quali siano stati i modelli di comportamento esportati, quali le abitudini di vita, quali le relazioni sociali ed il mescolarsi di culture implicato da movimenti così massicci. Affiorano così i valori e gli apporti economici scaturiti da ben 150 anni di emigrazione italiana, principi che concorrono ad illuminare una più precisa ed esatta comprensione del ruolo ricoperto dalle nostre generazioni passate nel mondo, una posizione caratterizzata non da staticità, bensì da un incessante e tumultuoso mutamento. Questo continuo incedere di cambiamenti ed evoluzioni è utile non solo per una maggior chiarezza storica, ma soprattutto per la nostra autocoscienza di oggi: capire, non solo fantasticare, su ciò che eravamo è un presupposto necessario per riappropriarci dell’identità che oggi ci distingue. La valorizzazione del ricco patrimonio del lavoro italiano all’estero deve essere però ricompreso nel solco della storia identitaria nazionale, con un’attenzione particolare rivolta proprio agli studenti e ai giovani. Curiosi di investigare tutti i cenni di questo nodale processo, anche quelli più erosi dallo scorrere del tempo? Torino vi aspetta! Il progetto “Capitali italia- ne nel mondo”, realizzato dalla Regione Piemonte e dall’Ordine degli Architetti di Torino, sarà reso ancor più esplicito dall’allestimento nella sede delle ex OGROfficine Grandi Riparazioni. Lo scenario è molto suggestivo: queste officine infatti rappresentano uno degli esempi più affascinanti dell’odierna archeologia industriale. L’esposizione ha inoltre ricevuto il contributo fondamentale del centro “Altreitalie”, il cui scopo è quello di ricomporre l’identità italiana nel mondo, ripercorrendone le vicende geografiche e storiche. Il racconto all’interno dell’allestimento procederà per macroaree territoriali, alle quali corrisponderanno altrettanti vincoli tematici. Per l’epoca pre-unitaria saranno visionati centri come Vienna e San Pietroburgo, l’oriente sarà invece scrutato attraverso le manifestazioni presenti a Istanbul e Bangkok. Le facce meno note dell’America saranno svelate mediante le immagini di New York come di Buenos Aires; un’altra importante sezione comprenderà i flussi creativi verso Tunisi ed Asmara, Tirana e Tripoli. In conclusione, non mancherà un focus sugli spostamenti post bellici: qui le protagoniste saranno Berlino e Barcellona. La complessità delle molteplici sfaccettature di questi diversi insediamenti emergerà attraverso l’uso non solo di immagini, ma anche di interviste, maquettes e progetti volti agli spazi del vivere quotidiano quanto all’architettura di professionisti. Ogni storia per essere raccontata ha bisogno di un linguaggio: l’architettura sarà il nostro vocabolario per penetrare tutti gli aspetti di questo fenomeno. Abbandonando una visione pauperistica poco utile al fine di un giusto inquadramento storico, il progetto coniuga ed associa la storia dell’emigrazione alla storia degli edifici, costruzioni a loro volta manifesti di concezioni abitative. Un’anticipazione del gioco di specchi tra modo di vivere e modalità costruttive? La nostra abitudine di fare di ogni incrocio una piazza, con una precisa volontà di appropriazione dello spazio pubblico. Ancora turbati da esami futuri? Potreste sfruttare questo evento per prepararvi sui 150 anni dell’unità… il tema si presta certo a scommesse! Intervista impossibile 52 UN CAFFÈ CON CAMILLO BENSO CONTE DI CAVOUR È STATO IL REGISTA DELL’UNIFICAZIONE ITALIANA, IL POLITICO PIÙ LUNGIMIRANTE E SPREGIUDICATO DEL RISORGIMENTO. IN OGNI CITTÀ UNA VIA IMPORTANTE O UNA PIAZZA PORTA IL SUO NOME: NEL BICENTENARIO DALLA NASCITA, È GIUNTO IL MOMENTO DI CONOSCERLO DA VICINO di Samuele Sicchio, 21 anni facoltà di Giurisprudenza odernizzatore del piccolo Regno di Piemonte e Sardegna, ideatore dell'alleanza con la Francia, uomo colto, poliglotta, amante della buona tavola e del buon vino, Camillo Benso conte di Cavour ha realizzato in dieci anni ciò che si vagheggiava ormai da un secolo, ovvero l'unificazione degli stati italiani in una sola nazione. Lo raggiungiamo nella sua residenza torinese di via Lagrange, ormai quasi nel centocinquantenario della prima seduta plenaria del Parlamento del nuovo Regno d'Italia, da lui presieduta il 17 marzo 1861. Perché il Regno di Piemonte? «Tutti i moti rivoluzionari che avevano per obiettivo l'unificazione sono falliti. Perché? Perché a prendervi parte sono sempre stati pochi uomini, certamente motivati, ma senza possibilità di farcela. Borghesi, intellettuali, politici, uomini di cultura, tutti patrioti, ma sempre e solo un gruppo poco numeroso: le masse non hanno mai partecipato M a questi moti, e non sanno quasi nulla della nostra volontà di unire la nazione. Il Regno di Piemonte e Sardegna è l'unico stato italiano ad avere la possibilità di creare un'alleanza militare e politica per sfidare l'Impero asburgico, l'unico a disporre di un esercito, di infrastrutture, e soprattutto della volontà di farlo. Per questo ho voluto prima ammodernarlo, poi unire le forze politiche del parlamento di Torino, infine cercare un'alleanza con la Francia, perché da soli non avremmo mai potuto farcela». E la Crimea? «E' stato un modo per far conoscere il Regno di Piemonte alle grandi potenze europee, Francia e Inghilterra in primis. I nostri 15.000 bersaglieri si sono distinti alla Battaglia del fiume Chernaya, permettendomi di sedere al tavolo della pace e portare l'attenzione internazionale sulla situazione italiana». Cos'è la politica del "connubio"? «E' l'alleanza politica che ho personalmente promosso tra liberali e democratici nel Parlamento di Torino: ho voluto che tutti mettessero da parte le proprie divisioni politiche, almeno finché non fosse avvenuta l'unificazione. Insieme 53 abbiamo promosso una politica di forte laicizzazione e industrializzazione del Regno di Piemonte. Abbiamo realizzato grandi riforme, innovazioni agricole e zootecniche, riformato l'esercito aggiornandolo a criteri moderni, migliorato il bilancio statale». E' stato difficile ottenere l'alleanza con la Francia? «Diciamo che gran parte del merito va a mia cugina, la contessa di Castiglione, Virginia Oldoini: l'ho spedita in Francia a perorare la nostra causa con le sue grazie (sorride, ndr), e l'effetto su Napoleone III non è mancato: gli Accordi di Plombierès (del 1859, nei quali la Francia si impegnava a scendere in campo al fianco del Regno di Piemonte in caso di aggressione austriaca, ndr) sono frutto anche delle sue capacità deduttive». Poi tutti in guerra. «Era inevitabile. L'Impero asburgico non avrebbe mai ceduto il Lombardo-Veneto pacificamente. E l'Austria, a livello militare e territoriale, è sempre stata il più grande ostacolo al nostro progetto. Così, nell'aprile del 1859, le abbiamo mosso guerra per la seconda volta». Ve la siete vista brutta a Solferino e a San Martino? «In effetti sì, ma ci siamo battuti alla pari e forse meglio dei nostri alleati francesi, quella giornata resterà nella nostra storia militare. I francesi hanno combattuto a Solferino, noi a San Martino. Assalti, contrassalti, ritirate, scontri all'arma bianca. Fu la più sanguinosa battaglia del XIX secolo: 30.000 tra morti, feriti e dispersi in un solo giorno di scontri. Ricordo che a San Martino l'esito della battaglia rimase incerto fino a sera, quando una carica dei nostri carabinieri a cavallo sloggiò finalmente gli austriaci dal paese e ci consegnò la vittoria. Era il 24 giugno 1859; lo scontro pose fine alla Seconda Guerra d'Indipendenza». Che conseguenze ha avuto la battaglia? «L'armistizio di Villafranca di Verona. Pare che Napoleone III restò tanto impressionato dal numero delle vittime che decise di venire a patti con gli austriaci. Noi avremmo proseguito la guerra, ma da soli non ce l'avremmo mai fatta. Inoltre, è "merito" di quella battaglia se è nata la Croce Rossa, sa? C'erano così tanti feriti, un vero massacro. E un imprenditore svizzero lì di passaggio, Henri Dunant, pensò bene di creare il primo embrione di un servizio di assistenza sanitaria non militare per i soldati feriti». E poi c'è stata la spedizione dei Mille... «Sì. Con un occhio al Papa e un altro alla reazione che avrebbero avuto le grandi potenze, Francia e Inghilterra in primis, abbiamo lasciato che Garibaldi partisse. All'inizio non credevo che avrebbe avuto successo, ma il generale si è battuto come un leone, la Sicilia è insorta e l'ha seguito, e così tutto si è compiuto». Com'è stato il suo rapporto con Garibaldi? «Sicuramente molto problematico, ma entrambi sapevamo di volere la stessa cosa. Solo, la volevamo ottenere in due modi diversi. Siamo stati rispettivamente la mente e il cuore dell'unificazione». Cosa pensa dell'annessione del Mezzogiorno? «Che certamente, sin dall'epoca romana, l'Italia è sempre stata una, e che il Mezzogiorno è naturalmente parte di essa. Non si può pensare all'Italia senza pensare al Sud, così come non si può pensare all'Italia senza pensare alle Isole, al Centro, al Nord». Riusciamo a rivolgere al conte anche una domanda sull'attualità, al di fuori dell'intervista. Quali sono invece, oggi, i problemi dell'Italia? «Sicuramente la quasi totale mancanza di meritocrazia, una cultura molto spesso arretrata e provinciale, l'ignoranza, le nuove forme di povertà, la subordinazione nei confronti della Santa Sede nelle scelte di laicità fondamentali, la cronica e irrisolta situazione di arretratezza del Mezzogiorno, con annessa la grave piaga della mafia, che finalmente, vedo, si sta combattendo con maggior vigore. Come non aggiungere, poi, la televisione, sempre più piena di programmi spazzatura e contenuti non solo scadenti, ma anche volgari e diseducativi... Spero infine che le celebrazioni per il centocinquantenario dell'Unificazione non siano solcate da polemiche sterili e inutili, ma siano l'inizio di un nuovo sentire la nostra identità nazionale». Per le immagini presenti in queste pagine si ringrazia particolarmente l’Associazione Amici della Fondazione Camillo Benso di Cavour, sito: www.camillocavour.com CAVOUR A ROMA. BICENTENARIO DELLA NASCITA 1810-2010 Si è appena conclusa nella Capitale la mostra che ha dato inizio alle manifestazioni per il bicentenario della nascita di Cavour. Prodotto dall’Associazione “Amici”, con il contributo della Regione Piemonte, Assessorato alla Cultura, l’evento, organizzato presso la sede romana della Regione Piemonte, ha avuto un forte significato simbolico: Cavour non poté andare a Roma da vivo, in quanto la sua prematura scomparsa il 6 giugno 1861 gli lasciò solo il tempo d’indicarla come capitale ideale dell’Italia unita al Parlamento riunito a Torino, invitando a sacrificare l’orgoglio piemontese in nome di un simbolo in cui tutti gli italiani si sarebbero potuti facilmente riconoscere. La mostra ha ricostruito, in collaborazione con la fondazione Cavour e con la supervisione di storici del Risorgimento, gli ambienti e gli ambiti in cui si formò e agì Camillo Benso di Cavour evidenziando lo spirito, il metodo e gli ingranaggi della sua attività politica, dando così ai visitatori l’occasione di ripercorrere pagine significative del Risorgimento inserite nel contesto italiano, europeo e mondiale. Viaggi 54 TUTTI IN CLASSE TURISTICA! C’È TEMPO FINO AL 31 MARZO PER ISCRIVERSI AL CONCORSO ORGANIZZATO DAL TOURING CLUB ITALIANO IN COLLABORZIONE CON IL MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE. LE DIECI CLASSI FINALISTE SARANNO INVITATE AL FESTIVAL DEL TURISMO SCOLASTICO, DAL 28 AL 30 OTTOBRE A BENEVENTO empo di gite scolastiche. Per molti studenti la primavera segna il momento più atteso dell’anno, subito dopo l’estate. Preparata la valigia tutti siamo pronti per partire alla conquista delle capitali europee. Parigi, Berlino, Praga, Atene. Ma quanti sono anche i tesori che le città italiane nascondono, tutti da scoprire? La gita scolastica rappresenta un momento di socializzazione unico: nascono nuove amicizie, si conoscono i professori da un altro punto di vista, si sta insieme. Non bisogna però dimenticare che accanto a tutto questo i giorni di viaggio d’istruzione costituiscono un’occasione T importante per la formazione di ogni studente. Vedere opere d’arte, visitare musei, conoscere meglio il patrimonio culturale e ambientale che ogni luogo ci offre: anche questa è cultura. Per riflettere sui cento e più significati della gita scolastica, valorizzare la programmazione didattica e culturale delle scuole e sensibilizzare gli studenti alla conoscenza del territorio che si visita o in cui si vive è nato quattro anni fa Classe Turistica, il festival del turismo scolastico. Organizzato dal Touring Club Italiano in collaborazione con il ministero della Pubblica Istruzione, dopo il successo delle precedenti COME PARTECIPARE Partecipare con la propria classe al concorso Classe Turistica, organizzato dal Touring Club Italiano con la collaborazione del Ministero della Pubblica Istruzione è semplice. È infatti sufficiente inviare la domanda di partecipazione compilata in ogni sua parte (si può scaricare dal sito internet www.classeturistica.it) entro il 31 marzo 2010. Le sezioni in cui gli studenti delle classi possono gareggiare sono due: “Un viaggio di classe” – per raccontare l’esperienza di una gita d’istruzione svolta – e “Vieni da noi” – per proporre il proprio territorio quale ipotetica meta di viaggio. Non ci sono limiti se non quelli della fantasia: dai disegni alle sceneggiature per un corto, dai diari di viaggio alle fotografie. L’importante è che il materiale sia consegnato su cd o dvd, come da regolamento (pubblicato sempre sul sito www.classeturistica.it). Le dieci classi finaliste, accompagnate dai docenti, saranno invitate al Festival che si terrà dal 28 al 30 ottobre a Benevento. In quell’occasione verranno visionati i progetti e premiati i vincitori. Il tutto fra momenti di socializzazione con studenti provenienti da tutta Italia e visite guidate. edizioni si svolge quest’anno dal 28 al 30 ottobre 2010 a Benevento. Tre giorni in cui verranno visionati i lavori delle 10 classi risultate finaliste e premiati i vincitori. Ma il programma sarà ricco di appuntamenti, dalle visite alle città, alle attività ludiche e sportive e altro ancora. Tutti i perché di una gita Prendere e partire. Per noi giovani del 2010 è molto più semplice che in passato. E se cinquant’anni fa i nostri nonni sono andati in viaggio di nozze a pochi passi, oggi per noi è abitudine organizzare le vacanze estive – o, perché no, anche qualche weekend lungo – a centinaia se non migliaia di chilometri da casa. Merito dell’innovazione tecnologica, dell’abbattimento dei confini e dei nuovi costumi sociali. Eppure, nonostante il viaggio non sia più un “evento” come un tempo, la gita scolastica continua a mantenere una sua aura tutta magica. Resta il momento per sancire amicizie, spezzare cuori, concludere idealmente un anno scolastico o la fine di un percorso non sempre facile o piacevole. La gita è un modo per essere “gruppo”, nell’età in cui questa parola ha un senso, è avere 18 anni e sentirsi cittadini del mondo, è il ricordo della scuola che ognuno si porterà dentro anche da adulto. E che rivivrà forse, un giorno, da tutta un’altra prospettiva. Due sono le sezioni in cui le classi possono cimentarsi nel raccontare questa esperienza. “Un viaggio di classe”, destinata a raccogliere i contributi delle classi che vogliono descrivere un viaggio d’istruzione svolto, e “Vieni da noi”, rivolto invece a promuovere il proprio territorio quale potenziale meta per una gita scolastica. Racconti, diari, guide, fotografie, reportage, manifesti, video, spot, corti, sceneggiature, disegni. Le modalità per partecipare sono numerose e l’unico limite è dettato dalla creatività. Ogni istituto può partecipare con più classi, ognuna con un proprio elaborato. Una giuria di esperti valuterà tutti i progetti pervenuti selezionando i 10 migliori, i cui autori saranno invitati a partecipare gratuitamente al Festival. DATE UTILI 31 marzo: termine ultimo per inviare al Touring Club Italiano l’iscrizione della propria classe. 31 maggio: termine per l’invio del materiale da sottoporre alla Giuria del concorso. Tutte le informazioni sono reperibili sul sito www.classeturistica.it Europa sotto i venti 56 Blarney Castle. In questo maniero è racchiusa la leggenda della pietra dell’eloquenza che, se baciata in un determinato modo, può donare il dono della dialettica. TUTTI I COLORI DEL VERDE TRA CASTELLI, QUADRIFOGLI E SENSAZIONI DEL TUTTO INEDITE, IL MIO DIARIO DI BORDO ALLA SCOPERTA DELL’ISOLA DI SMERALDO di Ilenia Melodia, 17 anni Liceo classico “E. Duni” are un viaggio da soli è sicuramente una delle esperienze più importanti per un 17enne; lo sanno bene le centinaia di ragazzi che ogni anno decidono di trascorrere un periodo di vacanza-studio all’estero (in Italia sono diversi le strutture che offrono questa opportunità: Inpdap, Intercultura, Wep, Interstudio Viaggi, Cts, solo per citarne alcuni). Quest’idea è venuta in mente a 138 ragazzi – tra cui la sottoscritta – provenienti da diverse città italiane, che si sono rivolti all’Inpdap: esattamente cinque mesi dopo eravamo su un aereo, destinazione: Irlanda. Durata del soggiorno: 15 giorni. Di questa terra sapevamo ben poco, eppure la sentivamo già molto vicina a noi. Il clima è freddo (l’estate irlandese corrisponde a un autunno inoltrato italiano) e, a fronte dei nostri 40°, sembrava un’impresa riuscire a resistere dopo aver già affrontato l’inverno. Tuttavia, la voglia di vivere questa esperienza era forte e, imbarcate le valigie all’aeroporto e salutati calorosamente i parenti, siamo partiti pieni di entusiasmo. F Da Limerick a Cork L’accoglienza del clima irlandese non è delle migliori: cielo grigio e pioggia battente sui nostri k-way. Siamo divisi in due gruppi, ciascuno dei quali si reca a scuola di mattina e fa le escursioni nel pomeriggio (poi, nella seconda settimana, il programma si inverte). Ci sistemiamo a Limerick, nota città dell’omonima contea situata nella parte sud-occidentale del paese - il cui nome in gaelico (l’antica lingua irlandese) significa “Palude deserta” conosciuta anche come “Città dei coltelli” a causa delle innumerevoli battaglie combattute nei suoi pressi. La prima escursione è presto nel pomeriggio, nell’ora in cui il cielo prepara la sua quotidiana pioggia; dopo un’ora di pullman arriviamo alla celebre Rock of Cashel, detta anche Rocca di San Patrizio, dedicata al protettore dell’Irlanda. Si tratta di una cattedrale gotica nel cui retro potremo visitare un cimitero pieno di croci gaeliche (o celtiche). Il vento è freddo: una salita conduce all’ingresso della costruzione che ci appare, meravigliosa e maestosa, alla nostra destra; in alcuni punti manca il tetto, la pioggia cade dentro donando all’atmosfera un quid di magico. Usciamo dalla rocca, immergendoci nel verde e tra la moltitudine di croci e tombe. Potrebbe essere il perfetto scenario di un episodio della saga di Harry Potter, così passeggiamo per questo set naturale e scattiamo foto ovunque. I nostri occhi brillano di mille colori e in noi, 138 giovanissimi e inesperti cittadini del mondo, c’è la sensazione di sentirci parte del globo. Tra serate di karaoke e sport, passano i giorni, quindi eccoci alla volta del Blarney Castle. Situato nella contea di Cork, è noto per una curiosa leggenda: una pietra, la Blarney Stone (Pietra dell’Eloquenza), posta nel punto più alto del castello (per raggiungerla bisogna salire 1200 gradini), sarebbe in grado di assicurare il dono della dialettica a chi la bacia sdraiandosi sulla schiena e rimanendo sospeso nel vuoto. Alcuni si lanciano nell’impresa, altri preferiscono rinunciare: l’eloquenza può attendere. Il castello è circondato da un giardino stupendo: sembra di essere in un paradiso terrestre. Il verde, il cielo grigio, il sole debole incitano alla ricerca di noi stessi: ci sentiamo come Ulisse che cerca la sua Itaca. Gli irlandesi sono gentili e all’ingresso del castello allietano la nostra attesa suonandoci qualcosa e facendoci scorrere davanti agli occhi, come in un veloce trailer, tutte le immagini che 57 Uno scorcio di paradiso irlandese nel giardino di Blarney castle. l’Irlanda propone di sé. Poi siamo a Cork, una delle città più importanti subito dopo Dublino, che si presenta frenetica, quasi poco accogliente (ma la cornice in cui si trova è così bella che non ci facciamo nemmeno caso). Il meteo è sempre lo stesso: cielo nuvoloso e temperature intorno ai 10°; i nostri group leader ci lasciano due ore di libertà da poter dedicare allo shopping. Finalmente si fanno acquisti! Giriamo per il centro della città liberi, spensierati, ci siamo solo noi e chilometri da percorrere tra negozi e pub. Specialmente nel tardo pomeriggio, molte persone si ritrovano nei locali per bere orgogliose la loro Guinness, birra dal sapore amaro e dal colore scuro di origine irlandese prodotta per la prima volta nel 1759 da Arthur Guinness (a noi non è stato concesso assaggiarla in quanto minorenni). Da Adare a Bunratty La nostra esperienza nell’isola di Smeraldo prosegue. Ormai ci siamo ambientati, abbiamo assaporato la cultura irlandese attraverso le danze, le tradizioni, i ritmi: siamo a nostro agio in questa terra. Limerick è una città affascinante soprattutto grazie al quartiere medievale e al castello, il King John’s Castle, che si erge fiero sul fiume Shannon. Siamo a metà del nostro soggiorno e ci rechiamo ad Adare, pittoresco e minuscolo villaggio situato nella contea di Limerick. Anche stavolta abbiamo un paio d’ore di libertà, per fare un po’ di shopping nei negozi situati sulla via principale su cui si affacciano tanti cottage col tetto di paglia. Ci sentiamo quasi dentro un mondo fatato con queste case così strane; entriamo in un parco, meta preferita - ci dicono - degli sposi nel giorno delle nozze: osserviamo incuriositi i corvi che volano intorno a noi e l’incredibile quantità di verde che ci circonda. Questa Irlanda è davvero un paradiso! Il sole, intanto, è uscito allo scoperto per esaltare la bellezza dei fiori che abbelliscono le aiuole. E’ giunto il momento di lasciare Adare, per passare alla rude forza dei Celti: eccoci a Craggaunowen, un villaggio celtico perfettamente ricostruito, fatto di palafitte e pietre, che ci riporta nel passato più remoto dell’Irlanda. Ad accoglierci è una simpatica donna vestita con un abito del tempo, che ricorda vagamente un sacco di patate. La seguiamo per il bosco intricato, ascoltando i mille suoni della natura: ci sono piante mai viste prima. In una serra è stata ricostruita anche una tipica imbarcazione da guerra celtica. Ad un tratto, sulla fune di protezione della Limerick in una giornata di forte pioggia. Europa sotto i venti 58 Cliff of Moher, costa occidentale dell’Irlanda nave, si vede uno strano movimento: un ragno, il cui colore è perfettamente mimetizzato con la corda, si muove facendo su e giù. Il ribrezzo è inevitabile, anche se in Irlanda ci sono così tanti ragni che è impossibile non vederne almeno dieci ogni due passi! Usciamo da Craggaunowen, intanto il cielo si è rannuvolato ed è iniziata la quotidiana pioggia fresca irlandese. A volte ci pesano tutte queste goccioline, abituati come siamo al caldo sole italiano; eppure le sentiamo parte di questo dipinto a metà tra la realtà e la fantasia, e sappiamo che senza pioggia non ci sarebbe l’Irlanda! Torniamo a Limerick per la notte, il vento si è alzato, sentiamo le acque dello Shannon, che scorre accanto al nostro dormitorio, agitarsi e quel suono ci accompagna sino al mattino. Qualche giorno dopo partiamo per Bunratty: visitiamo un castello che è tra i più importanti dell’isola. E’ alto, regolare, si allontana dallo stereotipo fiabesco dei castelli pieni di torri dentro le quali venivano imprigionate le principesse: il Bunratty sembra un unico blocco di pietra pieno di tanta storia. Con la guida visitiamo la Sala del Generale e la Sala del Trono, poi ci danno due ore di libertà dentro al castello: possiamo andare dove vogliamo, vedere quello che ci pare, salire e scendere tutte quelle terribili scale a chiocciola. Arrivati sulle torri, lo spettacolo è garantito: distese di verde e fiumiciattoli che sinuosi scorrono intorno ai campi. Nelle sale ci sono ancora i mobili dell’epoca: freddi, scuri, rigidi, capaci di riportare nel periodo dei re, delle regine, delle principesse e, perché no,delle favole. Poco distante dal maniero c’è un piccolo villaggio, anch’esso costruito in cottage, che rievoca la vita quotidiana dei contadini: dal momento del lavoro nelle stalle alla cena frugale della famiglia riunita. Sono i nostri ultimi giorni in terra irlandese e con l’ansia del rientro mista al dispiacere della partenza, torniamo a Limerick. Ultima tappa: Clonmacnoise Le procedure di assegnazione degli attestati di frequenza alle lezioni nel college sono ultimate, non ci resta che visitare le ultime località: Clonmacnoise e Galway. E’ la vigilia del rientro: partiamo nel primo pomeriggio per arrivare a Clonmacnoise, monastero situato nella contea di Offaly cui è annesso l’immancabile cimitero pieno di grandi croci celtiche. Anche qui scorrono le acque dello Shannon, fiume gentile che ci ha accompagnato nel nostro percorso. L’odore fresco dell’erba bagnata dalla leggera pioggia mattutina ci permette di assaporare gli ultimi momenti di libertà nella natura irlandese, in quella pace che caratterizza gran parte del territorio. Partiamo da Clonmacnoise dopo qualche ora e arriviamo nella vicina Galway, ultima tappa di questo fantastico viaggio. Abbiamo di nuovo alcune ore di libertà e possiamo fare altri acquisti. Siamo nella città della ragazza di cui Mundy, un noto cantante irlandese, dice di essere innamorato nella celebre canzone “Galway girl” (colonna sonora del film “PS: I love you”). Infatti, su alcune magliette esposte nelle vetrine sono scritte parti del testo. Questa canzone ci è stata insegnata nel college i primi giorni e tutte le mattine l’abbiamo cantata insieme ai nostri insegnanti. La giornata passa in fretta, ci ritroviamo nei nostri appartamenti per trascorrere l’ultima notte irlandese: c’è chi beve una cioccolata calda, chi scatta foto, chi prepara le valigie, chi ride, scherza, pensa. In tutti noi c’è la consapevolezza di aver vissuto un’esperienza unica, come quelle distese di verde che sappiamo, in fondo al cuore, non avranno mai fine. La selvaggia regione di Connemara a nord dell’isola Risultati test CHE RAPPORTO HAI COL TUO CORPO? (pag. 25) 59 Punteggio: per ogni risposta A: 1 punto - per ogni risposta B: 2 punti - per ogni risposta C: 3 punti Fino a 10 punti: Da 11 a 15 punti: Da 16 a 21 punti: Schizoide Normale? Meno peggio Avere un bell'aspetto è sicuramente una gran fortuna, ma in caso contrario non è il caso di farvene una malattia; non è così strano se un liceale ha un po' d’acne e non tutte le adolescenti hanno una quinta abbondante di reggiseno! Non lasciatevi ingannare dai modelli che vi propongono i media – in tivù sembra tutto più bello di quanto non sia in realtà (sono le luci!) e le modelle delle pubblicità sono tutte photoshoppate! Mhm, in effetti ’sto risultato è tutto tranne che un profilo psicologico, ma accontentatevi una volta buona! Non dev'essere facile per nessuno, in un’epoca in cui l'immagine è più importante della sostanza (perché dai, non prendiamoci in giro, purtroppo è così), rimanere del tutto indifferenti di fronte agli standard di perfezione estetica proposti e ribaditi continuamente. Perciò, non dovete sentirvi anormali se ogni tanto coglie pure voi il desiderio di qualche ritocchino minimo, di una linea più snella, di una pelle più liscia; tranquilli, nessuno ve lo rinfaccerà più di tanto. Niente da fare – tra fasulli attentatori e bidelli di mezza età – stavolta proprio non riusciamo a tirare fuori un profilo equilibrato! Ci abbiamo provato, ma a quanto pare un po' tutti ci preoccupiamo almeno un po' del nostro aspetto fisico – e la cosa in sé non è nemmeno poi così grave. A differenza dei primi due profili, voi non siete ancora così “corrotti” ed irrecuperabili, quindi, che siate maschietti o femminucce, ci sentiamo di consigliarvi la lettura di Body drama... della serie “salviamo il salvabile”! Dopo “Piemonte Sotto i Venti” e “Liguria Sotto i Venti”, “Lazio Forteen” è la nuova guida monografica a misura di teenager realizzata da Zai.net in collaborazione con Touring Club Italiano e promossa dalla Regione Lazio per gli studenti delle scuole medie inferiori. Tra abbazie, riserve naturali, antichi mestieri e leggende, tanti i suggestivi itinerari che vi porteranno alla scoperta dell’Appennino laziale. Se amate la natura e avete voglia di nuove emozioni, zaino in spalla... si parte! www.sottoiventi.it Lazio Forteen TI N E M A NT U P AP 2 A cura di Caterina Mascolo, 21 anni MARZO LA SPEZIA Prima data di marzo nella città ligure per Elio e le Storie Tese, che coniugheranno i successi dell’ultimo disco a quelli che li consacrarono al grande pubblico. Non aspettatevi però solo la musica: con la simpatia che da sempre li distingue allestiranno uno show in grado di coinvolgervi anche sul piano verbale. Se volete conoscerli meglio, anziché spulciare discografie, ascoltateli in radio. Da ormai quindici anni, infatti, assieme al deejay Linus conducono settimanalmente un appuntamento dal titolo “Cordialmente”. I loro nomi all’interno di questo format? Pasquale, Moletta di Pasovale, Il Vecchio Leone e The Connector... a voi riconoscerli! Fino all’ MARZO MILANO Se le culture esotiche vi affascinano, ecco un appuntamento da non perdere: il capoluogo lombardo ospita, infatti, nelle belle sale del suo Palazzo Reale, la mostra dal titolo “Giappone. Potere e splendore, 1568-1868”, con ben duecento capolavori provenienti da musei illustri quali quelli di Kyoto e Tokio, mai esposti in Italia. Il filo che collega tutte le opere riguarda lo sviluppo di questo Paese e la sua trasformazione in “stato moderno”; un cambiamento epocale, ma non repentino, che ebbe luogo proprio negli anni in cui vennero realizzati i lavori osservabili a Milano. Si può comprendere la storia a partire dall’arte? Questa è la scommessa dell’allestimento… a voi la risposta! 10 MARZO 8 MARZO TORINO Cosa manca al fumetto italiano? C’è un mercato delle graphic novel? Qual è la situazione del mercato del fumetto popolare? C’è spazio per gli autori emergenti? Porte aperte alla Scuola Holden dalle 19.00 in poi per trovare le risposte insieme a editori, sceneggiatori, disegnatori. Tra gli ospiti dell’incontro per fare “Il punto sul… fumetto”: Tito Faraci, Igort, Cristiano Spadavecchia, Roberto Gagnor, Bruno Sarda, Luca Blengino e molti altri. Per informazioni: Scuola Holden – Corso Dante 118, Torino; www.scuolaholden.it – [email protected] – tel. 011 6632812 – cell. 327 3819503 8 MARZO Ecco una di quelle ricorrenze spesso svuotate del loro senso più profondo per essere ridotte soltanto a una buona occasione per entrare gratis nei vari luna-park/discoteche etc etc. Una festa che, per conservare un’utilità civica, dovrebbe tornare a essere pungolo di dibattito e di discussione, a farci riflettere sulle conquiste (economiche, sociali, politiche) della condizione femminile e sugli ostacoli ancora da abbattere. Volete documentarvi in maniera più esaustiva? Vi consigliamo il libro scritto da Tilde Capomazza e Marisa Ombra: “8 Marzo: storie miti riti della giornata della donna”. 61 Dal 15 28 MARZO BRESCIA Il centro turistico-giovanile gruppo Belluno organizza una gita molto interessante a Brescia con lo scopo di far visitare ai ragazzi una mostra sulla cultura inca. I pezzi sono svariati ed abbracciano sia il repertorio ceramico, sia la produzione locale in legno, turchese e tessuti con applicazioni di penne colorate. La partenza è da Belluno alle 7.15, l’arrivo è previsto per le 11,30. Il pranzo è libero, il pomeriggio prevede anche un giro panoramico completo della città. Per maggiori informazioni: tel.0437-950075. NAPOLI Vi piacciono le lingue, ma i corsi sono spesso troppo onerosi? Fino al 18 giugno, in via Duomo 288, potrete usufruire, previa prescrizione, di un ciclo di lezioni in tedesco per imparare a decifrare i testi scientifici. Winckelmann o Adorno non avranno più segreti per voi! L’insegnante preposta sarà madrelingua, così da consentirvi anche un’utile conversazione pratica. Furchtlosigkeit! (ovvero... coraggio!) Dal 4 al 23 MARZO MARZO PALERMO La speleologia vi intriga? Partecipate numerosi al corso organizzato dal C.A.I. di Palermo, allora! Il corso si terrà sotto la direzione di Matteo Ribaudo, aiutato da altri istruttori e aiuto istruttori del G.S.C.A.I. della sezione palermitana. Le lezioni si accompagneranno ad esercitazioni pratiche, davvero un buon modo per avvicinarsi alla natura in modo cosciente e responsabile! Dal 23 MARZO ROMA Gli Afterhours rientrano a pieno titolo tra le band più amate dai giovani: se ancora non li avete ascoltati dal vivo, correte all’Auditorium della Conciliazione! Dopo i sold out di luglio e settembre, ecco con la primavera le nuove esibizioni del gruppo capitanato dal carismatico Manuel Agnelli. Lo show si chiamerà “Il teatro degli Afterhours”, ma nessuna informazione più dettagliata è al momento circolata. Un motivo in più per andare ad assistere di persona! 22 al 28 MARZO TORINO Se il pattinaggio è uno dei vostri sport preferiti, accaparratevi gli ultimi biglietti disponibili per i “Campionati mondiali di pattinaggio di figura”! La bellezza della musica, l’incanto del ghiaccio e l’abilità degli sportivi creeranno una magia unica, tutta da gustare nel Palavela di Torino! Sono attesi in televisione trecento milioni di spettatori… del resto 200 atleti provenienti da cinquanta Paesi fanno gola! Le sessioni previste di gara sono nove, più il Galà: quattro la mattina (danza, programma obbligatorio ed originale, programma corto maschile e femminile), cinque pomeridiane (coppie, programma corto e libero, programma libero maschile, femminile e danza). Non vi resta che scovare i vostri beniamini, buon tifo! www.torino2010.org Cruciripasso 62 UPGRADE: IMPARA L’ARTE… QUESTO MESE, IL MINI-PAROLIERE! FORMATE IL MAGGIOR NUMERO DI TERMINI POSSIBILE UTILIZZANDO LE LETTERE NEL RIQUADRO ROSSO E INVIATELE ALLA NOSTRA REDAZIONE: UN PREMIO IN PALIO PER CHI NE INDIVIDUA DI PIÙ! ORIZZONTALI 1. Il pittore de La danse 7. Un elemento architettonico 13. Al centro di Notre Dame 14. Sono pari in leccese 15. Sono doppie in Renoir 16. Si usa su tela o su tavola 17. Canova ne è un esponente 20. Al centro degli anni 21. Iniziali del pittore La fitte 22. Sono pari in corno 23. L’inizio di oggi 24. Il nome di Klee 26. La prospettiva di Leonardo 28. Uguali in Lola 29. Gli estremi del pittore Nolde 30. Iniziali di Rothko 31. Lo erano M. Chagall e A. Raphaël 32. Iago senza coda 33. Se inglese 35. Al centro di Mosè 37. Uguali in beffe 39. Iniziali del pittore Raschen 41. A metà sera 42. Bernardino di Betto 45. Elemento architettonico 47. Pari in Ionesco 48. Estremi di Raffaello 49. Con Davide nel famoso quadro di Caravaggio 51. Iniziali del pittore Pils 52. Lo erano Fattori e Lega 54. Iniziali del pittore Palmer 55. È raffigurata in un quadro di Degas 56. Il nome di Bronzino 57. La pittura di Antonio Ligabue 58. Uguali in raro 59. Ha dipinto Gli amanti 65. Iniziali del pittore di Guernica 66. Una tecnica pittorica 67. I personaggi ne La deposizione di Caravaggio VERTICALI 1. La Gioconda 2. La città di Fidia 3. Dispari in torvo 4. Si usa per cavalcare 5. Scalpo a metà 6. Lesso senza testa 8. Protagonista di molte sculture antiche 9. Parti del fregio 10. Città romana famosa per la pittura Una sbirciatina, piccola, alle soluzioni sul sito: www.zai.net Per inviare le parole, scrivete a [email protected] 11. Gelosa senza GS 12. Lo era Van Gogh 18. Con la nobiltà e il Terzo Stato 19. Sine nobilitate ne è una delle etimologie 25. Sono “l’oggetto” della nail art 27. Al centro dell’arma 34. La città con Palazzo Schifanoia 36. Insieme ai corvi in un famoso quadro di Van Gogh 38. Con Narciso in un quadro di Waterhouse 40. Lo stile ornamentale del primo Settecento in Francia 43. L’inizio di Renoir 44. Famoso pittore statunitense 46. Venivano usati in Grecia per votazioni particolari 50. …col vento 51. Il pittore de Il bagno turco 52. Il più famoso impressionista 53. In chef e in fichi 59. La metà della mela 60. Il centro del male 61. Andare in inglese 62. Raffigurato sul trono 63. Uguali in Ilio 64. Dispari in tali 65. Pira a metà Oroscopo a cura di Cassandra 63 Ariete Toro 21/03 - 21/04 21/04 - 21/05 Affari di cuore Dopo un febbraio piuttosto movimentato, marzo riserva sorprese un po’ più tranquille… riprendete fiato e cercate di ricaricare le pile. Amicizia & famiglia Non dedicate il vostro tempo solo al puro relax e all’ozio, ma anche ai bei rapporti che sapete far nascere. Consiglio Fate un po’ di giardinaggio! Affari di cuore Dopo un San Valentino senza parole … troverete le parole adatte per esprimere i vostri sentimenti e risolvere una situazione che vi pesava da tempo. Bravi! Amicizia & famiglia Qualche pianeta sta girando in direzione opposta alla vostra, meglio correre ai ripari! Consiglio Avete mai pensato di comprarvi un giardino zen? Gemelli 21/05 - 21/06 Affari di cuore Questo mese si preannuncia tutt’altro che messaggero di buone nuove. L’inverno continua a bloccarvi con il suo freddo! Amicizia & famiglia I pianeti sotto questo punto di vista sono discordi: chi dice che va bene, chi dice che non va… io ho scommesso che ve la caverete, fatemi sapere! Consiglio Un bel massaggio thailandese per sciogliervi un po’! Cancro Leone Vergine 22/06 - 22/07 23/07 - 23/08 24/08 - 23/09 Affari di cuore Ok, la tisana l’avete presa, ma non sembra aver sortito l’effetto sperato. Tranquilli, l’amore sta aspettando dietro l’angolo di casa vostra per farvi una bella sorpresa! Amicizia & famiglia Il periodo buio sta passando e anche se sentirete l’effetto della lontananza… c’è chi la annullerà con il bene che vi vuole. Consiglio Sfogatevi con la Kick Boxing. Affari di cuore State facendo di tutto per cercare di capirci qualcosa, eh? A quanto ho sentito pare che le occasioni non mancheranno, starà a voi cogliere l’attimo fuggente! Amicizia & famiglia Dopo un periodo burrascoso per qualche delusione, bisogna ritrovare la grinta e far vedere chi ha la criniera più bella del reame! Consiglio Vi ci vuole un concerto. Affari di cuore Cupido è stato avvistato dalle vostre parti, ma non potete prendervela solo con lui se la persona amata non è ancora tutta vostra! Amicizia & famiglia Questo mese porterà tante belle novità, insieme alla solita mole di impegni che ormai siete abituati a sopportare. Consiglio Una bella scampagnata. Bilancia Scorpione Sagittario 24/9 - 22/10 23/10 - 22/11 23/11 - 21/12 Affari di cuore Va bene, ve lo concedo: siete stati bravi e siete riusciti a rimettervi in carreggiata, ma adesso non dovete adagiarvi: esprimetevi! Amicizia & famiglia Gli sforzi sono stati riconosciuti e l’armonia sembra regnare sovrana, attenti solo a non rovinarla con qualche nota stonata. Consiglio Che ne dite di disegnare o creare qualcosa? Affari di cuore Aprite gli occhi, lo capite che c’è qualcuno che non fa altro che organizzare “fortuiti” incontri pur di conoscervi? Amicizia & famiglia State attenti alle vostre alzate d’ingegno, oltre che in famiglia e con gli amici anche quando siete alla guida. Consiglio Fate lunghe passeggiate in città o in campagna. Capricorno Acquario 22/12 - 21/01 21/01 - 19/02 Affari di cuore State attenti ai segnali che vi lancia il partner in maniera ben poco equivoca! Mi raccomando, non fate castronerie di cui potreste pentirvi, siete a rischio! Amicizia & famiglia Anche qui il terreno è sdrucciolevole... non svegliate il can che dorme! Consiglio Perché non provate uno sport di squadra? Affari di cuore Bene, Venere ha deciso di lasciarvi in pace… del tutto! Mi dispiace veramente tanto, ma al momento la solitudine è una compagna decisamente socievole! Amicizia & famiglia Da questo punto di vista invece le cose stanno migliorando, anche grazie a una buona congiunzione astrale. Consiglio Shopping selvaggio per scaricare i nervi! Affari di cuore Un marzo così non si è mai visto. Avete veramente i pianeti dalla vostra e… la classe non è acqua! Amicizia & famiglia Sembrate intrisi di un potente fluido ipnotico, qual è il vostro segreto per piacere a tutti quanti in maniera così lampante? Consiglio Una bella corsa per ricaricarvi mentre scaricate un po’ di tensione accumulata! Segno del mese Pesci Pesci Affari di cuore Complimenti! La scala reale di cuori non accenna ad abbandonarvi… Auguri! Amicizia & famiglia Forse è perché ci troviamo nel mese del vostro compleanno, ma tutti sono così gentili con voi! Godetevela che dura un mese! Consiglio Una bella nuotata per entrare in contatto con il vostro elemento! 20 febbraio - 20 marzo