MARZO 2010
INCHIESTA
Carceri: abbiamo
indagato i perché
del collasso
INTERVISTA
Scamarcio: “mi sento
cittadino del mondo”
BEST SELLER
Altro che chirurgia
estetica! Un libro
ci salverà
ISSN 2035-701X
“Poste Italiane. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1, DCB Torino n° 2 Anno 2010”- € 1,20
MIRANDOLINA, FASCINO
SENZA ETÀ
Palcoscenico
RUBRICHE
BACKSTAGE
IERI ACCADRA'
ANTISPOT
GIRA LA MODA
INTERNET
VOTI NOTI
FORUM
20
22
ISTANTANEE IN VERSI
La poesia di Gregory Corso
L’ETERNITÀ IN
UN MOMENTO
Fotografia
ASPETTANDO
IL 16 APRILE…
Dietro le quinte di
“Vivere di periferia”
SPECCHIO, SPECCHIO
DELLE MIE BRAME…
Un libro ci salverà
dai “body drama”?
30
A CHANCE TO BE
ROMANTIC…
Emergenti
32
UN CAFFÈ CON CAVOUR
Intervista impossibile
TUTTI I COLORI
DEL VERDE
Europa sotto i Venti
PER CHI SUONA
CAMPANELLA?
Appuntamento
con la musica classica
PESCAT(T)ORE VAGANTE
Conversazione con
Riccardo Scamarcio
Inchiesta
…E TUTTO IL
MONDO FUORI
46
CAPITALI ITALIANE
50
NEL MONDO
Aspettando i 150 anni dell’unità
nazionale
GIOVANI CRITICI
36
43
COSTUME E SOCIETÀ
MUSICA
28
40
41
SALINGER’S
FUNERAL PARTY
Reportage dalla Scuola Holden
IL PEZZO MANCANTE
Immigrazione: dopo Rosarno,
esplode anche Milano
CHE “INCANTEVOLE
INCOERENTE”!
Intervista a Federica Camba
38
16
Sovraffollamento, violenze, tasso di recidività
altissimo: nelle carceri vengono violati ogni giorno
i diritti più elementari. Voci, storie e numeri di un
sistema al collasso
52
54
APPUNTAMENTI
Le date da non perdere
60
CRUCIRIPASSO
Tutti pronti per storia dell’arte?
62
marzo
n°2
Direttore responsabile Renato Truce
Vice direttore Lidia Gattini
Coordinamento di redazione
Eleonora Fortunato
Segreteria di redazione Sonia Fiore
Redazione di Torino
Valeria Dinamo
corso Allamano, 131 - 10095 Grugliasco (To)
tel. 011.7072647 / 283 - fax 011.7707005
e-mail: [email protected]
Redazione di Genova
Giovanni Battaglio
e-mail: [email protected]
Redazione di Roma
Simona Neri, Matteo Marchetti
via Nazionale, 5 - 00184 Roma
tel. 06.47881106 - fax 06.47823175
e-mail: [email protected]
Hanno collaborato
Giovanni Battaglio, Patrizia Battaglio, Stefania
Benetti, Roberto Bertoni, Fiammetta Bertotto,
Marco Billeci, Lorenzo Brunetti, Andrea Boutros,
Maria Elena Buslacchi, Giulia Cerino, Annalisa
Citoni, Chiara Colasanti, Emanuele Colonnese,
Giorgio Comola, Mario Coppola, Daniela Vitello,
Alessandra D’Acunto, Isabella Del Bove, Chiara
Falcone, Paolo Fornari, Benedetta Gaino, Marzia
Mancuso, Matteo Marchetti, Francesca Marrollo,
Caterina Mascolo, Benedetta Michelangeli, Serena
Mosso, Elena Prati, Luca Sappino, Samuele
Sicchio, Jacopo Zoffoli.
Direttore dei sistemi informativi
e multimediali Daniele Truce
Impaginazione Giorgia Nobile,
Gianni La Rocca
Illustrazioni Alessandro Pozzi
Fotografie e fotoservizi
Circolo di Sophia, Massimiliano T., Fotolia,
Agenzia Infophoto
Sito web: www.zai.net
Francesco Tota
Editore
Mandragola Editrice
società cooperativa di giornalisti
via Nota, 7 - 10122 Torino
Emergenza diritti umani nelle carceri del nostro Paese: i
giovani reporter hanno deciso di affrontare questo argomento
delicato sia per i recenti fatti di cronaca, sia perché hanno
scoperto che fra i loro coetanei c’è un’allarmante
disinformazione. Così, partendo dalla trasmissione radiofonica
su Radio Zai.net e dai dati sul sovraffollamento delle carceri,
Serena e Micol hanno provato a ricostruire una situazione
ormai purtroppo al limite della tollerabilità per uno Stato
veramente civile, interrogandosi anche sulla validità del piano
varato dal governo per porvi rimedio.
Consueto focus sull’immigrazione con l’articolo di Matteo a
pag. 20. Ancora una volta l’attualità ci offre spunti di riflessione
sul futuro delle nostre città: la rivolta interetnica di via Padova
a Milano mostra i limiti delle politiche di integrazione del
nostro Paese.
Cambio di tono a pag. 22 con un servizio tutto dedicato alle
nostre lettrici: complice l’uscita in Italia del best seller “Body
drama”, ci siamo domandati se l’accettazione del proprio
corpo e, di conseguenza, della propria femminilità possa
essere favorita anche dalle pagine di un libro. All’interno del
servizio troverete i dubbi di Benedetta, che ha scritto il servizio,
le risposte dell’autrice e le opinione lasciate da alcune lettrici
nel nostro forum su Facebook.
Pausa musicale da pag. 27 con la cantautrice Federica
Camba, gli emergenti Chance to be romantic e un grande
interprete di Liszt, il maestro Michele Campanella. Un tuffo
nelle novità cinematografiche con Riccardo Scamarcio
(ritratto in un bellissimo primo piano anche sulla nostra
copertina), che a pag. 36 ci ha raccontato l’ultimo film di
Ferzan Ozpetek, “Mine vaganti”, di cui è protagonista. Con
Galatea Ranzi, nei panni di una radiosa Mirandolina, andiamo
invece a teatro (pag. 38).
Prima di lasciarvi al racconto di Ilenia sul suo viaggio in
Irlanda (pag. 56) e al cruciripasso di Chiara questo mese sulla
storia dell’arte, concedetevi un piccolo viaggio nel tempo con
un’intervista impossibile al regista dell’unificazione italiana, il
Conte Camillo Benso di Cavour, di cui quest’anno ricorrono
duecento anni dalla nascita.
Stampa Stige S.p.A. - via Pescarito, 110
10099 S. Mauro (To)
Buona lettura
Zai.net Lab
Anno IX / n. 2 - Marzo 2010
Autorizzazione del Tribunale di Roma
n°486 del 05/08/2002
Abbonamento sostenitore: 25 euro
Abbonamento annuale studenti: 10 euro
(9 numeri)
Servizio Abbonamenti MANDRAGOLA Editrice
società cooperativa di giornalisti
versamento su c/c postale n° 73480790
via Nazionale, 5 - 00184 Roma
tel 06.47881106 - fax 06.47823175
Col contributo di:
La rivista è stampata su carta riciclata E 2000,
Cartiere Cariolaro
Questa testata fruisce dei contributi statali
diretti della legge 7 agosto 1990, n. 250.
Questo periodico è associato
all’Unione Stampa Periodica Italiana
Centro Unesco di Torino
Sponsor:
Col contributo di:
In associazione con:
Col patrocinio di:
Con la partecipazione di:
Media partner:
GE
A
ST
K
C
BA
Hanno contribuito a questo numero:
Gino Centofante
Elisabetta Raggio
17 anni, collaboratore del giornale
dell’Istituto Tecnico “Galileo Galilei”
di Pontecorvo (Fr), ama molto
leggere e si interessa a qualsiasi
tipo d’espressione artistica e
letteraria. Tra i suoi progetti futuri
c’è proprio quello di diventare
giornalista. Va matto per i dolci,
in particolare la cioccolata, ama
giocare a pallavolo, e la frase
che gli si sente ripetere più
spesso è “Avanti sempre e
comunque”. Non perdetevi il suo
intervento nel forum.
19 anni, vive a Roma e da
settembre è finalmente stata
catapultata nel fantastico quanto
terribile mondo universitario
della Sapienza, dove studia
Psicologia. Nonostante gli orari
impossibili delle lezioni e
l’enorme mole di studio, non
rinuncia alle sue passioni: amici,
lettura, nuoto e, ovviamente,
scrittura. Per questo collabora con
Zai.net, sperando di divertirsi, di
imparare e, perché no, di
appassionare voi lettori.
Fiammetta Bertotto
21 anni, frequenta il terzo anno
di Lettere moderne all’Università
di Torino. Ha molte passioni:
cinema, fotografia, scrittura
entrano a diritto nella top ten, ma
è interessata a qualunque forma
d’arte e cultura che si proponga
di interrogare e rappresentare il
mondo. Alla domanda “cosa farai
da grande?” non sa ancora dare
una risposta sicura, perché
vorrebbe esistesse una
professione in grado di mettere
insieme tutti i suoi interessi; forse
un giorno la scoprirà.
Micol Debash
Neomaggiorenne, è studentessa e
direttrice del giornale scolastico del
Liceo ebraico “Renzo Levi” di Roma.
Tra orari scolastici interminabili e
progetti extra, cerca di gestire al
meglio la sua vita frenetica,
lasciando spazio ai libri, alla musica,
alla scrittura e a una forte attrazione
verso il mondo americano. Inoltre,
non perde di vista l’importanza
dell’appoggio di chi le è accanto,
come i genitori, senza i quali ogni
aspirazione sarebbe irrealizzabile. Il
suo obiettivo? Una volta terminato il
liceo, mettere il proprio mondo in
una valigia e trasferirsi a New York
per studiare giornalismo
all’università: la volontà non manca
e ce la sta mettendo davvero tutta!
Carlo Guidi
16 anni, studente del liceo
classico “Mazzini” di Genova, si
definisce “un essere sbiadito ed
enigmatico”. Ama scrivere poesie
e testi in prosa. Un tuono
esplode dentro di lui ogni volta
che le lettere nere di un libro
penetrano nella sua mente: è
anche il suo arzigogolato modo
per dire che gli piace la lettura.
Se ancora non si fosse capito,
ama i paradossi. Ah… suona in
una band!
Ada Marrocco
19 anni, di Terracina (Lt), la sua
passione più grande è la musica:
canta e scrive canzoni e il suo
sogno nel cassetto è proprio
quello di diventare una
cantautrice. Ama molto anche la
scrittura e le lingue straniere (in
particolare lo spagnolo), motivo
per cui, in realtà, non le
dispiacerebbe nemmeno fare il
lavoro di giornalista,
preferibilmente nell’ambito
musicale. Nel frattempo, anche
grazie alla nostra rivista, si mette
alla prova per riuscire a realizzare
almeno uno dei suoi due sogni
nel cassetto, non è certo difficile
immaginare quale…
IER
IA
CC
AD
RÀ
A cura di Isabella Del Bove, 18 anni
Notizie serie e curiose selezionate dai calendari del passato
1
MARZO
1562 Oltre mille Ugonotti vengono
massacrati dai cattolici a Vassy, in
Francia, segnando l'inizio della prima
guerra di religione
1896 Henri Becquerel scopre la
4
MARZO
1848 Carlo Alberto emana lo
Statuto Albertino
12
MARZO
1894 La Coca-Cola viene venduta in
bottiglie per la prima volta
1877 Emile Berliner inventa il
microfono
radioattività
1983 La Swatch presenta il suo
primo orologio
1994 La Chiesa d'Inghilterra ordina il
16
8
MARZO
1925 Italia: viene assegnato
2
MARZO
1717 The Loves of Mars and Venus
diventa il primo balletto eseguito in
Inghilterra
1923 Esce il primo numero della
famosa rivista Time
all'Hockey Club Milano il primo
scudetto dell'hockey su ghiaccio
1908 A Milano viene fondata l’Inter
9
MARZO
1935 Adolf Hitler ordina il riarmo della
Germania in violazione al Trattato di
Versailles: nasce la Wehrmacht
1978 In un agguato a Roma le Brigate
Rosse rapiscono Aldo Moro uccidendo
cinque uomini della scorta
MARZO
1969 Si svolge a Tolosa il primo
volo sperimentale del Concorde
1562 A Napoli sono banditi i baci in
pubblico. Per i contravventori è
prevista la pena di morte
1955 A Ginevra viene presentata al
pubblico quella che diventerà una
delle icone del boom economico
italiano del dopoguerra: la Fiat 600
27 MARZO
1964 Alle 17:36 locali, il più
3
MARZO
1955 Elvis Presley appare in
televisione per la prima volta
potente terremoto mai registrato
negli USA (magnitudo 9.2 della
Scala Richter) colpisce l'Alaska
centro-meridionale: 125 le vittime e
ingenti i danni specie nella città di
Anchorage
2006 Muore Rudolf Vrba, l'unica
persona fuggita da Aushwitz
MARZO
primo sacerdote donna
T
O
P
IS
T
AN
A cura di Caterina Mascolo, 21 anni
CHE GIOIA L’INNO ALLO STUPIDO!
Una rivalutazione della scemenza mancava proprio nel
panorama delle pubblicità. Nello spot della Diesel, nota
marca di abbigliamento giovanile, ascoltiamo: “gli intelligenti vedono le cose per ciò che sono, gli stupidi per come potrebbero essere”. Ora, vi sfido ancora a trovare
una logica in questa affermazione. Poco credibile anche
l’idea di camuffare la stupidità come rottura di argini e
testa d’ariete di nuove scoperte, a meno che tutti i grandi progressi dell’umanità non debbano essere ricondotti
anziché al genio e alla fatica di chi si impegnò per ottenere risultati di una certa rilevanza, al mero guizzo di
uno scemo. Uno degli slogan rivendica, poi, che “gli intelligenti hanno il cervello, gli stupidi le palle”, anche
questo mi pare proprio un non-senso. Lo choc dello spot
in sé non è da condannare, se in primis lo scopo della
reclame è quello di rimbalzare di bocca in bocca. Si abbia però il coraggio di proporla per quel che è, senza ricamarci su presupposti pseudo-ideologici.
CE L’HAI O NON CE L’HAI?
Non accenna a lasciare il piccolo schermo il pacchetto di Pocket Coffee, ricarica di energia tascabile per migliaia di studenti alle prese con gli esami. In un’aula dove si sta tenendo uno scritto è un
continuo bisbigliare di “ce l’hai? ce l’ho… ce l’hai?
ce l’ho”: credete si tratti della soluzione della verifica? No! L’oggetto misterioso altri non è che il
cioccolatino ripieno! Il professore si accorge del
trambusto e si aggira tra i banchi (qui si registra
un picco di tensione non indifferente) fino a scorgere un’ipotetica vittima. Il ragazzo china il capo
mesto, l’espressione affranta è degna di un momento drammatico ma poi... riemerge con la confezione dei Pocket Coffee! Non ci soffermiamo sul
colpo di scena risibile, ma sulla reazione del docente: invece di farglieli ingoiare con tutta la carta, sorride bonario e il dramma scampato sfocia in
un divertente siparietto. L’impalcatura dello spot è
assai fantasiosa: un vero cult, poi, lo studente bianchiccio in perenne stato di semicoscienza che per non svenire è costretto ad ingurgitare massicce dosi di cioccolato e caffè!
TONO EPICO FUORI
LUOGO
Come non menzionare la serie di uomini scemi che invadono gli spot? Un
esempio da non trascurare è mostrato dallo shampoo Clear: Cristiano Ronaldo, un famoso calciatore, anzi, come sottolinea il modesto sottotitolo,
il miglior giocatore al mondo, palleggia con la bottiglietta del prodotto.
Sin qui, nulla di sconcertante. Il ridicolo è però in agguato: il campione,
illuminato dai riflettori, dichiara vinta
la sua partita contro… la forfora. Il tono epico risulta comico associato alle squamette di cuoio capelluto!
LA
RA A
GI OD
M
A cura di Alessandra D’Acunto, 21 anni
TREGGINS, MUST DELLA
NUOVA STAGIONE
IL FASCINO DELLA MODA COLPISCE CHIUNQUE! E COSÌ, NEANCHE
UN “ADDETTO AI LAVORI” DI ZAI.NET, COME LA NOSTRA SERENA,
HA POTUTO SOTTRARSI ALL’OBIETTIVO DI ALESSANDRA...
Up-to-date, ma con qualche rischio
Cara Serena, tu sì che puoi indossare i treggings! Spiegherò subito questo termine fresco
di stagione, che si riferisce a quei pantaloni aderentissimi e lucidi, perfetto incrocio tra trousers e leggings, indossati dalla nostra modella per un giorno. Sono pantacollant rinforzati
al punto da sostituire i pantaloni, una delle novità più gettonate dell’ultimo periodo. Out
di giorno, sono adatti ad una sera in disco o a un qualsiasi appuntamento trendy, ma presentano anche qualche rischio.
Effetto salsiccia: se non vi sentite particolarmente in forma, evitateli, sono così aderenti da
formare antipatici rotolini qua e là.
Effetto Catwoman: a meno che il vostro intento non sia emulare l’eroina dei fumetti, sconsiglio di abbinarvi top succinti o aderenti, per puntare a
qualcosa di più comodo ma allo stesso tempo
stiloso, ad esempio un miniabito a palloncino. Il look di Serena è up-to-date anche nelle scarpe plateau che, supportate da un sostegno sotto la
pianta, alleggeriscono il peso sui
tacchi. Se non vi convincono, optate per tronchetti, in versione scamosciata o lucida.
Quando il dettaglio fa la differenza
La disinvoltura con cui Serena posa indurrebbe
a chiudere un occhio di fronte ad alcune stonature, tanto più che, di primo acchito,
sembrerebbero non esserci sostanziali differenze con la foto “In”. In
realtà, abbiamo una palese dimostrazione di come, spesso, siano i famosi dettagli a fare la differenza,
rendendo labile il confine tra “In” e “Out”.
Mi riferisco agli accessori indossati, adatti a contesti
sportivi e casual, al contrario dei treggings, riservati a
occasioni d’effetto. La borsa e il poncho, infatti, due oggetti di gran moda presi singolarmente – in più accomunati dalla natura vintage - non vanno molto d’accordo in
questa combinazione di colori e tessuti.
Il poncho, in particolare, è un vero e proprio patchwork, ossia un lavoro di ritagli e incastri di stoffe diverse, che costituisce un oneroso “di più” rispetto al filato lucido dei
treggings e alla pelle della borsa. Occhio, perciò, anche ai materiali da abbinare. E ricordate: i treggings danno vita a un look d’impatto senza bisogno di troppe aggiunte.
A cura di Lorenzo Palaia, 19 anni
IN
TE
RN
ET
Il bavaglio mediatico: comincia la
battaglia per la ‘Net Neutrality’
entre nel mondo assistiamo allo scontro tra la
Cina e gli Usa – che, autoproclamatisi paladini della libertà, insistono sulla libertà di informazione in Rete nella crociata contro la censura dei
regimi dittatoriali – in Italia il decreto Romani rischia di
avvicinare il nostro Paese a questi regimi. Si tratta in
realtà della consueta delega al Governo per il recepimento delle direttive Ue, che in questo caso ha dovuto
aggiornare la normativa sui “Servizi Media Audiovisivi”
(Direttiva 2007/65/CE) con un decreto che sarà emanato a breve e che comprenderà: norme in materia di pubblicità televisiva per dirottare la pubblicità dalle ‘pay tv’
alle altre emittenti, in cui qualcuno ha ravvisato un conflitto di interessi tra Sky e Mediaset (di proprietà del
Presidente del Consiglio); norme in materia di produzione cinematografica, che aboliscono l’obbligo del 10%
di produzione indipendente; infine norme in materia di
Internet, che introducono importanti limitazioni da non
sottovalutare. I siti, infatti, dovranno essere registrati
come normali organi di stampa, cosa che prima (legge
Levi-Prodi) era necessaria solo per quelli giornalistici;
non solo: la trasmissione audiovisiva dovrà essere autorizzata dal ministero, e l’Agcom (Autorità per le Garanzia nelle Comunicazioni) sarà tenuta a controllare
che i contenuti non violino il diritto d’autore.
Canzoni e video, ad esempio, non saranno più ascoltabili gratuitamente se protetti dal copyright e la distribuzione libera della cultura farà un ulteriore passo indietro. Ma la cosa che contraddice di più il concetto di
‘Net Neutrality’ è che la responsabilità delle violazioni
sarà individuata nei gestori, che quindi dovranno vigilare sulle loro reti. Siti come Youtube, Google e Facebook, dunque, non saranno più liberi centri di circolazione delle informazioni lasciati al senso di responsabilità penale e civile dei naviganti, ma soggetti a selezione e censura dall’alto. La Rete, quindi, sarà la vera responsabile delle singole violazioni.
Ci si appresta così alla distruzione di un baluardo della
democrazia partecipata dal basso, in cui ognuno è responsabile di ciò che dice e non delega a nessun altro
la propria parola, e insieme vengono meno i propositi
di autoregolamentazione ed autoresponsabilizzazione
proposti dallo stesso Governo poco tempo fa. Chi sa se
il prossimo passo non sarà proprio, come in Cina, l’oscuramento dei siti?
M
Il sito del mese
reato nell’agosto 2005 a Hong Kong e
già tradotto in 15 lingue diverse, aNobii
è un social network letterario che permette agli amanti della letteratura (purché siano
informatizzati) di pubblicare la propria libreria
online, trovare eventualmente compatibilità con
altri internauti, pubblicare le proprie recensioni
e idee, il tutto (volendo) con una larga privacy.
Una specie di caffè letterario virtuale globalizzato insomma, che non è di certo al pari della fisica concretezza di uno reale, ma che consente
un interessante diversivo.
C
Il blog d’informazione del mese
el dare spazio al giornalismo partecipativo in rete - strumento di informazione
che consente la cosiddetta ‘democratizzazione’ del fatto e dell’opinione - da cosa iniziare se non da Fai Notizia? Il blog dei radicali,
infatti, è stato il primo esperimento del genere in
Italia e ancora oggi è un simbolo di efficiente informazione partecipata.
N
TI
O
N
TI
VO
A cura di Lorenzo Brunetti, 19 anni
LADY GAGA
LA REGINA INCONTRASTATA DELLE HIT PARADE MONDIALI HA ALLE SPALLE
UN CURRICULUM DI TUTTO RISPETTO E UN PROGETTO CHE RICORDA
ANDY WARHOL. MICA SCEMA LA RAGAZZA!
i noto per Lady Gaga ci può essere solo il voto,
dato che il volto continua rimanere nascosto
dal trucco pirotecnico; pare però che la nuova
regina indiscussa delle discoteche - che continua ad
inebriare i nostri spiriti con hits come Bad Romance,
Just dance, Paparazzi - sia un vero talento.
Stefani Joanne Angelina Germanotta è una cantautrice
statunitense di origini siciliane. Influenzata dalla musica pop degli anni Ottanta di artisti come Madonna e Michael Jackson e dal glam rock di David Bowie e Queen
(insomma, riferimenti culturali seri), per il suo nome si
è ispirata proprio alla canzone Radio GaGa.
Nata a New York da genitori palermitani, è cresciuta nell’East Side di Manhattan. La passione e il talento per la
musica cominciano a farsi sentire ben presto e già a tredici anni compone la sua prima ballata per pianoforte.
A diciassette è una delle venti persone al mondo ad
aver ottenuto l’ammissione anticipata alla Tisch School
of the Arts presso la New York University, dove studia
musica. E tanto basta per zittire chi storce il naso di
fronte alla musica dance pop.
Ma la storia di Stefani Joanne Angelina Germanotta è
davvero piena di sorprese. Iscritta alla New York University, ha composto saggi e documenti su temi come
arte e religione. Ma, a dimostrazione di come anche la
musica commerciale viva di talento, inizia la sua carriera scrivendo canzoni per artisti come le Pussycat Dolls.
Negli stessi anni continua ad esibirsi nei club del Lower
East Side con gruppi alternativi; intenta a trovare un
proprio stile musicale, decide di dedicarsi sempre più a
qualcosa di nuovo e provocatorio per la scena underground e rock ’n’ roll newyorkese, ovvero la musica pop.
Pare che il padre, un imprenditore italo-americano, rimase sconvolto quando scoprì che la figlia si era messa in mostra in un bar burlesque, esibendosi al fianco
di drag queen e spogliarellisti. L’8 aprile 2008 debutta
il singolo Just Dance, che raggiunge ben presto la posizione n° 2 della U.S. Dance e diviene n° 1 in sette Paesi, tra cui Stati Uniti, Australia e Canada. Nell’agosto
2008, con l’album The Fame, analizza ogni aspetto della fama; l'album raggruppa diversi generi, che vanno
dalla dance all elettropop. Lady Gaga ha dato vita al
progetto collettivo denominato “House of Gaga”, un laboratorio creativo dove vengono realizzati capi d'abbigliamento, scenografie e dove si sperimentano nuovi tipi di suoni. Al progetto partecipano stilisti e produttori,
dando vita ad un team creativo sul modello della Factory di Andy Warhol.
D
Stefani Germanotta ha ammesso che per il suo look
prende ispirazione dai vestiti dei sexy shop e confessa
che altre fonti di ispirazione, per la sua musica, sono i
film porno. Questa sfumatura erotico-surreale, dall’abbigliamento al sound, vanta estimatori d’eccezione, come
la regina assoluta dei cambi di look: Madonna. Le due
bionde, simbolo della vecchia e nuova generazione di
cantanti trasgressive, si sono incontrate agli MTV VMAs
2009 e Madonna, a chi le ha chiesto un’opinione sulla
giovane collega, ha risposto così: «Ho appena visto
Lady GaGa. Sembra che stia andando al carnevale di Venezia, è bellissima». Insomma, la Thatcher sarà anche stata la Lady d’acciaio, ma Stefani Germanotta è Lady Gaga!
Voto 8+
Lady Gaga
M
RU
FO
A cura di Jacopo Zoffoli, 21 anni
RIFORMA: CONTO
ALLA ROVESCIA
NUOVI LICEI, NUOVI TECNICI E NUOVI PROFESSIONALI: DA SETTEMBRE
2010 LA SCUOLA SUPERIORE NON SARÀ PIÙ LA STESSA. ECCO LE
OPINIONI DEI NOSTRI LETTORI
Canta che ti passa!
Quello che farei volentieri in questo
momento sarebbe andare a trovare,
uno ad uno, tutti quei 500mila
ragazzini che di qui a poco
abbandoneranno le medie per le
superiori. Purtroppo, evidenti
difficoltà pratiche e logistiche mi
impediscono di realizzare tale
desiderio. Ciononostante, posso
provare ad immaginare la scena.
Prendiamo come cavia (mi si
perdoni il termine) un tipico
quattordicenne della provincia di
Vibo Valentia, cui chi scrive si fregia
di appartenere.
Perché l’“esperimento” risulti più
chiaro al lettore settentrionale,
metterò in evidenza alcune delle
principali peculiarità dello studente
cavia: lo studente vibonese tipo
possiede in genere grande spirito
pratico e capacità di adattamento.
Egli percorre ogni mattina strade
degne della parte più malmessa di
Kabul per recarsi in strutture
scolastiche dove le lezioni vengono
seguite a rischio della vita. Crolli di
muri e cornicioni, scale antincendio
che solo un Indiana Jones nel fiore
degli anni sarebbe capace di
utilizzare, bagni contaminati dalla
malaria e insegnanti simili ad Erinni
per i continui attacchi nervosi sono
per lui bazzecole!
Ora, se mi fosse possibile, mi
recherei al cospetto del nostro
studentello, ostentando andatura
saltellante ed espressione gioiosa
sul volto. Lo guarderei sorridendo, a
mo’ di paralisi, e poi, con gli occhi
scintillanti, esclamerei: “ma lo sai
che l’anno prossimo, per te, sarà
come andare a scuola in Finlandia?”.
Oh, già posso immaginare lo
sguardo stupito del pargolo e ciò
che mi risponderebbe! “Vuoi dire
che il viaggio che faccio ogni
mattina per attraversare il Gran
Canyon (termine vernacolare per
definire una nota buca del
comune di Vibo Valentia, ndr)
sarà pagato dallo Stato? Che non
dovrò più comprare i libri con i
miei soldi? Che smetteranno di
chiamare Bertolaso ogni volta che
la prof del piano di sopra sbatte
il pugno sul banco?”.
Ma no caro fanciullo! La tua
scuola avrà esattamente gli stessi
soldi di prima, se non meno.
Anche le ore diminuiranno e gli
insegnanti saranno il doppio più
isterici, ma di questo non devi
preoccuparti, tanto si sta
procedendo per il licenziamento
in massa. Tu però, da qui a
qualche anno, potresti riuscire a
raggiungere un soddisfacente
livello di ignoranza, così da non
accorgerti di tutto ciò e vivere
felice. Per facilitare l’impresa,
iscriviti al liceo musicale! Canta
che ti passa!
Di Marzia Mancuso, 17 anni
Riforma a chi?
L’argomento del forum di questo
mese mi trova abbastanza
dubbioso. Il tema è: la riforma
della scuola superiore varata dal
ministro Gelmini. Già, ma quale
riforma? Perché, è stata varata
davvero una riforma della scuola?
Forse pecco di scarsa attenzione,
ma se c’è stata una riforma non
me ne sono accorto. A me è
giunta notizia che dall’anno
prossimo ci saranno solo tagli,
tagli a volontà, tagli per tutti i
gusti, conditi con scelte alquanto
azzardate come quella di togliere
ore di Italiano e Storia al Liceo
Classico e di accorpare Storia e
Geografia in un’unica materia,
ammannita in tre misere ore
mentre oggi quelle dedicate
complessivamente a Storia e
Geografia (ben distinte, si badi
bene) sono quattro.
Assurda è anche l’idea di togliere
la Geografia dagli Istituti nautici:
rischiamo in futuro di avere
marinai che navigheranno senza
15
L’esame di Stato
saper disegnare una rotta e turisti
che, vedendo la Statua della
Libertà a New York, penseranno di
aver raggiunto le Indie come
Colombo.
Senza dimenticare l’ancor più
assurda idea di togliere la Storia
dell’Arte da alcuni indirizzi (nel
Paese che vanta il più grande
patrimonio artistico al mondo):
quando si recheranno a Firenze a
visitare il Duomo, i futuri studenti
potrebbero pensare che la celebre
Cupola, anziché Filippo
Brunelleschi, l’abbia realizzata
Andy Warhol (sempre che
sappiano chi sia Andy Warhol).
Inoltre, a rendere veramente
preoccupante questa riforma, è
l’introduzione del Liceo
musicale/coreutico: in primo
luogo, il musicale conterà solo
quaranta unità, il coreutico
addirittura solo dieci in tutta Italia
(dunque, in pratica, non esistono);
in secondo luogo, non mi pare
siano previste materie
fondamentali come la Storia e la
Geografia e ci si chiede quali
strade possano aprirsi ad un
ragazzo che esce da un simile
indirizzo.
Ma in fondo, chissenefrega. Per
fare carriera, basta partecipare al
Grande Fratello o essere avvenenti
fanciulle: uno scranno in
Parlamento è assicurato e, se si è
particolarmente fortunate, anche
un posto al governo.
Di Roberto Bertoni, 19 anni
Un punto di questa riforma a mio
avviso degno di contestazione
riguarda il cambiamento di
modalità per accedere al tanto
atteso e sospirato esame di
maturità. Tra pochi mesi, infatti,
tutti quelli che dovranno
trascorrere la fatidica “notte prima
degli esami” avranno come
sostituto alla canzone di Venditti
l’ansia di non essere riusciti ad
avere il sei in tutte le discipline e,
quindi, di dover ripetere l’anno
anche per un semplice cinque in
educazione fisica.
I docenti dovrebbero impedire,
forse, a chi eccelle in tutte le
materie eccetto una di potersi
presentare alle prove? Un quesito
assurdo e lievemente ridicolo: lo
stesso Einstein non riuscì a
conseguire più volte gli obiettivi
minimi richiesti dal docente di
letteratura.
Bisognerebbe far scoprire a noi
studenti vere motivazioni per
immergerci nei libri - solo così
potremo scoprire e rafforzare la
nostra passione per la cultura piuttosto che obbligarci a studiare
il minimo indispensabile per ogni
materia, schiavi di voti e registri.
Anziché lasciarsi travolgere da
nuove riforme, la scuola dovrebbe
riscoprire semplicemente il piacere
di educare giovani e brillanti menti.
Di Indhya Contu, 17 anni
Più laboratori, più poesia
Vi sembra possibile che nella nostra
scuola superiore imparare ad usare
il computer sia un optional, mentre
lo studio di una determinata regola
grammaticale o matematica sia
discriminante per la valutazione
finale? Che cosa faremo, una volta
terminata la scuola, nel nostro posto
di lavoro? Useremo il computer o
quell’argomento scolastico quasi
inutile? Io non so se la riforma
debba essere fatta da un governo di
centro-sinistra piuttosto che da uno
di centro-destra, e non mi interessa
neanche saperlo. So solo che la
scuola italiana, così come è, non va.
Gli insegnanti dovrebbero essere, da
una parte, incentivati e retribuiti in
modo proporzionale al loro
impegno. Dall’altra parte, però,
dovrebbero essere aumentati i
controlli sulla qualità del loro
insegnamento, cosicché solo i
migliori possano continuare a fare
questo lavoro che, mi rendo
conto, è tra i più difficili e
delicati, mentre per gli altri si
troveranno altre mansioni. Per
quanto riguarda noi studenti,
bisognerebbe trovare il modo di
premiare quelli più impegnati e
non i più furbi. Inoltre, vorrei che
non fosse ostacolato il nostro
desiderio di essere protagonisti
nella nuova scuola che cambia.
Per questo, desidererei meno ore
seduto sui banchi ad ascoltare
l’insegnante spiegare i famosi
programmi ministeriali, e più tempo
dedicato alla poesia e al teatro, da
fare e non da subire e basta;
oppure più ore nei laboratori, dove,
operando e sperimentando in prima
persona, si può a mio parere
assimilare meglio anche le nozioni
teoriche. Inoltre, vorrei che nella
nuova scuola il rapporto tra
insegnante e studente fosse diverso.
Non so che farmene di un burocrate,
che viene in classe solo a riempire
carte o ad impartire nozioni, e non
sa niente di me, delle mie
aspirazioni.
Di Gino Centofante, 17 anni
Inchiesta
16
... E TUTTO IL MOND
L’ARTICOLO 27 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA AFFERMA: «LE PENE NON
POSSONO CONSISTERE IN TRATTAMENTI CONTRARI AL SENSO DI UMANITÀ
E DEVONO TENDERE ALLA RIEDUCAZIONE DEL CONDANNATO». PERCHÉ IL
SISTEMA CARCERARIO NEL NOSTRO PAESE È AL COLLASSO?
di Micol Debash, 18 anni, Liceo “Renzo Levi”, e Serena Mosso, 18 anni, Liceo “Manara”
zet Sulejmanovic, ex detenuto bosniaco del carcere di
Rebibbia (Roma) tra il novembre 2002 e l’aprile 2003, si
è rivolto alla Corte europea dei diritti dell'uomo di
Strasburgo, chiedendo giustizia per l’inumano trattamento
cui è stato sottoposto durante la sua detenzione. Izet, condannato a due anni di prigione per furto aggravato, ha
avuto ragione: essere costretti a vivere in una cella di tre
metri quadrati è tortura. E non solo la Corte accoglie le accuse dell’ex galeotto, ma denuncia anche l’Italia per il mancato rispetto degli standard stabiliti dal Comitato per la prevenzione della tortura.
Tra l’altro, sette anni fa, periodo a cui risale il fatto,
Rebibbia non era affollata come lo è oggi. Come mai c’è
stato bisogno dell’intervento di una Corte e di un giudice stranieri? La nostra Italia non è forse uno Stato di
I
diritto? Infrangere la legge, trasgredire al “diritto”, comporta anche la perdita dei “diritti”, al plurale? Il detenuto bosniaco ha avuto la possibilità di rifarsi sul sistema, ma quanti subiscono e basta?
Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha detto:
«Uno Stato civile non può togliere la dignità e attentare alla salute di chi è stato giudicato colpevole con
situazioni igieniche che potrebbero comprometterne la
salute». Parole di buonsenso, certo, ma che tradiscono
un’idea vaga, lontana dalla realtà della condizione carceraria nel nostro Paese. I dati in nostro possesso parlano chiaro: i detenuti in Italia sono 65.355, a fronte di
una capienza regolare di 43.074 e a una soglia massima di tollerabilità (situazioni di particolare emergenza)
di 64.111. Siamo dunque al collasso, ben al di sotto di
17
O FUORI
Rivolta nel carcere di San Vittore (Milano); a
fianco la rotonda di Regina Coeli (Roma)
qualsiasi standard di abitabilità. In Italia siamo tornati
alla tortura: la detenzione è l’esperienza più degradante che la nostra società è in grado di offrire. Mentre il
numero di detenuti cresce ad un ritmo incessante, le
condizioni igieniche sono sempre più precarie, la promiscuità è all’ordine del giorno, le attività formative
stentano a partire e il carcere perde il suo scopo, divenendo un semplice contenitore di elementi espulsi dalla
società e posti in un luogo di emarginazione, dove la
rieducazione è sostituita dalla sofferenza.
Non può definirsi civile uno Stato in cui il criminale perde
ogni diritto, in cui un uomo va dietro le sbarre e non ne esce
rieducato. Se il 70% dei detenuti, una volta uscito, torna a
delinquere, significa che lo Stato non lo ha recuperato, ma
nascosto temporaneamente sotto il tappeto, un tappeto di
altre persone, in questo caso. In prigione sono tutti impuniti, abbandonati nella propria cella con chissà quante altre
persone, all’insegna del maltrattamento, della degradazione, della disumanità.
Il caso Cucchi
Poi, certo, avvengono le tragedie, i misteri si infittiscono, come le telecamere e i microfoni dei giornalisti, e
per un po’ se ne parla. Stefano Cucchi, un ragazzo romano di 31 anni, viene arrestato nella notte tra il 15 e il 16
ottobre per possesso di stupefacenti. Quando i familia-
ri riescono a incontrarlo, è già in obitorio. Ferite, graffi,
ecchimosi, lividi, mandibola fratturata, coccige danneggiato, occhi pesti. Cosa gli è successo in carcere?
Davvero, come ha avuto il coraggio di sostenere il sottosegretario Giovanardi, Stefano è morto «perché era
uno spacciatore e anche anoressico»?
La famiglia fa pubblicare le foto dei suoi poveri resti e
l’opinione pubblica sembra impressionata, scossa, si
accende la miccia sul web, il moto di indignazione questa volta prende fuoco. Quelle foto, quei lividi, sembrano ricordare la frase di De André: «Non mi uccise la
morte, ma due guardie bigotte: mi cercarono l’anima a
forza di botte». E certo la droga, per quanto possa
devastare il corpo e la mente di chi ne diventa schiavo,
non porta degli anfibi e non frantuma le ossa, né fa
sparire le cartelle cliniche che dovrebbero svelare la
verità. Un detenuto di una cella vicina sostiene di aver
visto le guardie carcerarie pestare il poveretto a sangue,
e ricordando le scene del G8 di Genova nel 2001 non si
fa neanche fatica a crederci. Ora ci sarà un processo.
Giovanardi dice: «è un drogato». Certo, risponde la
famiglia, Stefano si drogava. Questo basta a farlo
ammazzare di botte?
Privare qualcuno della libertà non dovrebbe essere solo
una punizione, come dice la nostra Carta Costituzionale,
all’articolo 27: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere
alla rieducazione del condannato». Chi ha scritto quelle
parole aveva ancora in mente gli abusi, i soprusi e le torture delle galere fasciste. Quelle parole sono state scritte
per segnare una differenza: il detenuto non è un peso, né
un subumano. È un cittadino che ha sbagliato, che deve
pagare il suo errore e che deve (si badi bene, deve) essere reinserito nella società. Ma a noi italiani questo sembra non interessare: anziché potenziare istituti come la
libertà vigilata, il lavoro extracarcerario o le comunità di
Inchiesta
18
Cooperativa di detenute
nel carcere di Pozzuoli
recupero, variamo leggi sempre più dure, che mettono in
galera tossicodipendenti, alcolisti, trasgressori del codice
della strada. Tutti in galera, lontani dagli occhi, dal cuore,
dalla civiltà. E queste non sono situazioni appannaggio di
qualche singola e problematica realtà, ma il tratto comune e distintivo di tutte le 205 prigioni italiane, che non
violano solo la Costituzione, ma anche varie leggi, rendendosi colpevoli di maltrattamento – ogni volta che un
detenuto è costretto a dormire per terra o a stare in una
cella sovraffollata – o di induzione al suicidio. Il carcere è
perciò un luogo in cui si compiono crimini e reati nei confronti dei prigionieri, che, cosa ancora più grave, rimangono impuniti proprio là dove dovrebbe regnare la legalità e la giustizia.
Bisognerebbe iniziare a risolvere il problema dalla radice,
ma si dà il caso che l’irregolarità esiste anche nelle fondamenta e nelle strutture carcerarie. Abbiamo chiesto a
Riccardo Arena, voce di Radio Carcere, quali interventi sarebbero necessari per modernizzare le carceri e garantire una
piena riabilitazione dei detenuti. «Sono favorevole a una
modernizzazione – ci ha risposto Arena – purché abbia un
filo logico e coerente. Non occorrono carceri nuove ma diversificate, a seconda della persona che ci deve andare. Per i
condannati a 5-10 anni di reclusione servono carceri-fabbrica dove si lavora, ai tossicodipendenti unità terapeutiche.
Per chi è sottoposto a misura cautelare, e quindi presunto
non colpevole, ci vogliono strutture che si allontanano dalla
realtà del carcere per avvicinarsi ad “alberghi sicuri”.
Dobbiamo affrontare l’edilizia penitenziaria, perché l’80%
degli istituti è del 1800 e quindi costituito da strutture inadeguate alla detenzione prevista in Italia».
Con la professoressa Francesca Vianello, membro dell’associazione Antigone per i diritti e le garanzie sul
sistema penale, entriamo invece nei dettagli del sovraffollamento delle carceri.
«La situazione è drammatica: 65.000 detenuti per una
capienza regolamentare di 43.000. Il nostro paese vince la
triste gara di tasso di sovraffollamento. In Europa siamo
secondi solo alla Grecia. Questo problema non ha precedenti nella storia italiana. Il numero dei detenuti cresce
continuamente, mille ingressi al mese. Sovraffollamento
significa prima di tutto mancanza di spazio: molte celle
hanno la famosa “terza branda”. Negli Istituti del Veneto
che ho visitato ci sono addirittura materassi per terra.
Alcuni esempi: 10 metri quadrati per tre persone, che
diventano 18 nelle celle da 8. Si è costretti a vivere in
2,25 metri quadrati per 20 ore al giorno».
Il piano carceri
Per ovviare al problema del sovraffollamento, il Piano
Carceri approntato dal governo prevede la costruzione di 47
nuovi padiglioni, per una spesa di 500 milioni di euro stanziati dalla Finanziaria più altri 100 milioni provenienti dal
bilancio del Ministero della Giustizia. Una buona cosa, no?
Colpo di scena: in Italia esistono circa 40 penitenziari già
pronti, alcuni già arredati e provvisti di moderne tecnologie,
che potrebbero perfettamente ovviare al problema.
Oltre a Riccardo Arena e Francesca Vianello, a parlarne è
anche il portale di informazione indipendente per il comparto sicurezza e difesa GrNet.it. Il dispendio di fondi del
governo andrebbe impiegato quindi nella ristrutturazione
L’appello del Manifesto e di Antigone
L'opinione pubblica ha diritto di conoscere quanto accade nei penitenziari italiani.
Non esiste alcuna norma che vieti espressamente alla stampa di visitare gli istituti
carcerari. Ma, negli ultimi anni, l'amministrazione penitenziaria ha ristretto sempre
più le possibilità di accesso.
Il diritto all'informazione libera deve poter
comprendere la visita dei luoghi di detenzione, nel rispetto della sicurezza pubblica.
Al ministro della Giustizia, che denuncia
l'emergenza carceri, segnaliamo che esiste anche "un'emergenza informazione".
Il testo completo su www.articolo21.org
Primi firmatari: Rita Levi Montalcini, Stefano
Rodotà, Valerio Onida.
www.associazioneantigone.it
19
degli edifici più antichi, come dice Arena, o nella riattivazione di quelli già esistenti, ma inutilizzati. Fortunatamente il
dibattito parlamentare alla Camera e le assenze nei banchi
della maggioranza hanno permesso l’approvazione di un
emendamento del Pd che impegna il Governo a dare priorità alla ristrutturazione e messa a norma delle numerose
case circondariali attualmente esistenti.
Anche perché, senza imbarcarsi in nuovi appalti, di
oscure storie di speculazione ce ne sono abbastanza. Ad
esempio, Giuseppe Lo Bianco (sul Fatto Quotidiano del
14 gennaio scorso) racconta la storia dell’istituto di
Gela. Progettato nel 1959, i lavori iniziano solo nel 1982
per essere interrotti dopo 8 morti nel cantiere. Siamo
nel novembre del 1990. Seguono anni di gare di appalto, progetti, richieste di fondi senza poi effettiva applicazione. Il Comune resta da solo a gestire la costruzione, tra bande mafiose e corruzione.
Nel 1992 erano già stati spesi 5 milioni di euro. I lavori continuano, tanto che, durante il secondo governo
Detenuti presenti e capienza istituti di pena
• Detenuti presenti: 65.355
• Capienza regolamentare: 43.074
• Capienza tollerabile: 64.111
• Presenze stranieri: 24.190 (37%)
Fonte Ministero della Giustizia - Dap
Prodi, il ministro della Giustizia Clemente Mastella decide di organizzare l’inaugurazione. Peccato che al carcere di Gela manchino ancora cucina, lavanderia e altri
servizi. Servono ancora 2 milioni di euro per ultimarlo,
quindi nuove gare d’appalto e nuove attese. Il tutto per
una struttura che potrà ospitare solo 96 detenuti, mentre al nostro Paese servirebbero altri 20.000 posti.
Di storie simili ce ne sono a decine, ma lo Stato ritiene
necessario creare nuove strutture. «Contesto i provvedimenti presi ora dal governo – afferma Arena – perché si
tratta di favori concessi ai palazzinari, che prendono un
guadagno del 500% quando ci sono le gare d’appalto
per la costruzione di nuove carceri. Il problema andrebbe affrontato diversamente». Già, ma come?
Le soluzioni
«La questione dell’ampliamento dell’edilizia carceraria è
una sconfitta annunciata – sostiene Francesca Vianello –
perché più prigioni si costruiscono più se ne riempiono.
Bisogna eliminare la prospettiva della neutralizzazione e
del contenimento: la popolazione carceraria viene da un
background di esclusione sociale. Ci sono tossicodipendenti, persone malate, stranieri che rappresentano area problematica perché hanno le famiglie lontane e non hanno
risorse. Questo significa che sono più soli. In questo contesto il Piano Carceri non va: è importante recuperare tutte
quelle caserme dismesse, poi trasferirvi almeno le persone
che possono essere inserite in istituti a custodia attenuata».
Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone, ha
delle proposte per superare l’emergenza carceri. «Occorre
anche ridurre i tempi di custodia cautelare e renderla meno
obbligatoria per alcuni reati. È necessario, inoltre, rilanciare
un sistema che già funziona nel processo penale minorile,
ovvero quello della messa alla prova».
«La proposta è sicuramente intelligente» commenta
Riccardo Arena. «La messa alla prova è già applicata
nella giustizia minorile. Prevede che una persona imputata non venga processata ma “messa in prova”, appunto, e processata solo se commette un secondo reato.
Vista oggi la diversificazione dei reati commessi, sarebbe opportuno introdurre pene diverse dal carcere, come
i lavori socialmente utili. Bisogna lavorare su più fronti:
occorre anche un sistema processuale più efficiente, il
nostro è incoerente. Il processo penale deve durare
meno e avere pene più giuste».
Anche Francesca Vianello è favorevole alla messa alla prova:
«Sarebbe giusto introdurla per le persone imputabili fino a
3 anni (che comunque, se incensurati, non andranno mai in
carcere, ndr) che possono svolgere delle attività. Si può poi
pensare ai domiciliari per chi deve scontare solo un anno di
pena residua. Ma soprattutto è importante accompagnare il
detenuto dall’interno all’esterno del carcere, ci deve essere
automatismo nella concessione delle misure alternative.
Sappiamo che il passaggio dall’interno all’esterno è quello
più delicato: in Italia il tasso di recidività è del 70%.
Significa che il carcere non funziona né per il detenuto né
per la società. I recidivi, invece, calano se i detenuti sono
stati accompagnati nel loro percorso di scarcerazione.
Insomma, bisogna favorire un reinserimento sociale».
Alla nostra domanda sul perché queste alternative non vengano applicate, Riccardo Arena risponde alludendo alla
“mancanza di fantasia e volontà da parte della politica per
affrontare la questione processuale”. «Napolitano invocava
l’esigenza di rinnovare il sistema sanzionatorio, ma il governo non ha raccolto l’istanza. Il centrodestra non produce
riforme a riguardo, ma l’opposizione da parte sua non si
lamenta nella maniera adeguata. Dovrebbe chiedere a gran
voce la riforma, e noi con lei».
Immigrazione
20
IL PEZZO MANCANTE
NUOVA RIVOLTA IN ITALIA. SIAMO A MILANO, DOVE SI CREDE DI FARE
L’INTEGRAZIONE CON L’ESERCITO E DOVE LA “TOLLERANZA ZERO”
FALLISCE OGNI GIORNO. E I QUARTIERI DI TUTTA ITALIA RISCHIANO DI
ESPLODERE
di Matteo Marchetti, 21 anni
a sala del teatro è gremita in ogni ordine di posti.
Sul palco, frac a code e cappello a cilindro, il
mago si prepara ad un numero difficilissimo. «E
ora, signore e signori, chiamando a raccolta tutte le mie
arti magiche, farò sparire i clandestini! Sim sala bim!».
Puf! In un lampo, tutti i clandestini spariscono. Applausi
scroscianti sommergono il grande prestigiatore, che
però, non contento, promette un altro numero strabiliante. «Non vi è bastato? Allora farò sparire anche gli
stranieri!». E con un altro hocus pocus, fra lo stupore
dei presenti, anche tutti gli stranieri – zingari, rumeni,
filippini, sudamericani, cinesi, africani – svaniscono in
una nuvola di fumo. Il pubblico è in delirio, inneggia al
mago liberatore dell’Italia, i più esagitati gli chiedono
urlando di diventare Presidente del Consiglio a vita.
Proprio mentre il grande mago si accinge a cavare un
coniglio dal suo cappello, però, il sindaco di Milano
Letizia Moratti si sveglia. Il teatro sparisce, insieme
all’illusione notturna. La realtà è ben diversa, nonostante le promesse elettorali sue e del suo padrino
politico Silvio Berlusconi fossero più o meno dello stesso tenore di quelle del mago. Chissà se, una volta sveglia, percorrerà quei tre chilometri abbondanti che separano Palazzo Marino, sede del Comune, dalla frontiera.
Già, frontiera, perché quando c’è una guerra c’è sempre
una frontiera, uno steccato che divide persone, modi di
pensare, stili di vita. Via Padova è una prosecuzione del
lussuoso corso Buenos Aires, strada glamour del capoluogo lombardo. Di qua, il negozio Lacoste e l’Adidas
Store; di là, “As Kebab”, il ristorante giapponese Tokyo
L
e un internet point cinese. E poi più avanti, “Khaled
Multi Service – Consulenza Immobiliare” e il bar rosticceria “Macchu Picchu”. Un cartellone sopra a una sala
per feste di bambini: Bienvenidos a mi fiesta. Chissà
quanto si sarà sentito “bienvenido” Ahmed Mamoud El
Fayed Adou, il diciannovenne egiziano ucciso qui il 13
febbraio scorso da cinque membri di una gang di latinoamericani.
Il suo assassinio ha scatenato una guerra. Macchine
rovesciate, vetrine in frantumi, incendi, caccia all’uomo.
Sembra di essere di nuovo a Rosarno, ma stavolta gli
italiani non c’entrano. È uno scontro fra gangs, africani
contro latinos, come a Los Angeles o Chicago, solo che
stavolta siamo a Milano. Questa natura “interetnica”
degli scontri ci lascia tutti spiazzati: durante la rivolta
di Rosarno i contorni erano netti, neri contro italiani,
21
“noi” contro di “loro”, e ognuno trovava i buoni e i cattivi a seconda delle sue convinzioni (lo abbiamo fatto
anche noi nello scorso numero, ndr). Stavolta no, stavolta è cattivi contro cattivi, loro contro loro. Quel generico, unico “altro” che per noi sono gli stranieri si è
spaccato, questa volta in due parti, la prossima chissà.
Mentre ancora si contano i danni, il day after è all’insegna della paura. Arrivano i “nostri”: 600 militari e quasi
duecento poliziotti in più per presidiare quattro chilometri di asfalto. Polizia, armi, fucili. Altri muri, nuove
barriere. Come quella che, non più di sei mesi fa, aveva
voluto tracciare Antonio Casale, parrucchiere in via
Padova 108 con un tricolore in vetrina. «Qualche straniero entra in negozio con fare minaccioso. Mi chiede in
malo modo il perché della bandiera. E allora rispondo:
io sono italiano, tu dimostralo!». Però, dice il signor
Antonio, «non sono razzista, solo sono rimasto l’unico
parrucchiere italiano dopo il Ponte Nuovo». L’unico?
L’unico. Sulla strada ci sono 965 negozi, e 346 hanno
un titolare straniero. È un bene? È un male? È così.
Gioisca, signor Antonio, il suo tricolore avrà ottocento
ardimentosi pronti a difenderlo con la baionetta fra i
denti. Peccato che poi un giorno la polizia se ne andrà,
perché costa troppo, e il suo glorioso avamposto di italianità tornerà in territorio nemico. Il quartiere rimarrà
sempre quella somma di ghetti che è da anni.
I quartieri “etnici” non dovrebbero esistere. Saranno
pure pittoreschi, divertenti per chi li guarda dal finestrino di un’automobile o per chi cerca un involtino primavera, ma non sono “fabbriche di integrazione”. Un cinese che vive con altri cinesi, lavorando in un negozio
cinese frequentato solo da cinesi non diventerà mai italiano. Anche dopo cent’anni, resterebbe un cinese che,
per uno strano scherzo del destino, si è costruito il suo
Sichuan a due passi dal Colosseo. Questo è stato l’errore
di Walter Veltroni, che quando era sindaco di Roma cantava le lodi dell’Esquilino, il bellissimo rione ottocentesco
a un passo da via Cavour oggi Babele multicolore. «È un
modello di integrazione», diceva. No, caro Walter, non lo
è. È una somma di ghetti, uniti solo dalla continuità geografica. C’è il distretto arabo e quello cinese, quello africano e quello sudamericano. I cinesi si incontrano su via
Principe Eugenio e i sudamericani si sono impossessati
del campetto di Colle Oppio. Pochissimi peruviani vanno
a prendersi un gelato da Fassi, nessun asiatico si azzarda
a interrompere le agguerrite sfide tipo Bolivia-Perù giocate sulla Domus Aurea. E in tutto questo gli italiani che
possono permetterselo scappano, gli altri, più sfortunati,
rimangono e si chiudono, piangendo la sorte ria della loro
casetta assediata dalla puzza di cumino; a volere una
casa in uno stabile abitato da soli africani sarà sempre e
solo un africano.
«Bisogna evitare i quartieri-ghetto», tuona il Ministro
dell’Interno Maroni. Bene, bravo, bis. Peccato che
Maroni non sia il mago del sogno di Letizia Moratti. Il
commercio immobiliare è regolato dal mercato. O davvero crediamo di poter stabilire per legge chi può comprare una casa e dove? Se non ci andasse bene “la
legge è uguale per tutti”, basta ricordarsi che ancora
prima in questo stesso Paese fu coniato pecunia non
olet. Il denaro è la nostra vocazione, molto più dell’accoglienza. Ci ricordiamo gli anni Cinquanta? Non sono
solo gli anni del boom economico; sono gli anni della
più grande migrazione interna di sempre, più di due
milioni di persone che dal Sud sono andate a vivere a
Milano, Torino, Genova. «Non si affitta ai meridionali»
era il cartello più gentile che potessero trovare in giro;
ancora negli anni Settanta, i dirigenti del sindacato si
lamentavano per la scarsa propensione degli operai del
Nord a fare fronte comune con i “terroni”. Oggi quelle
stesse case a ballatoio, un tempo appannaggio di napoletani e calabresi, vengono prese d’assalto da immigrati di ogni Paese. Oggi come allora, un padrone di casa
si arricchisce e gli affitti schizzano in alto. Come arricchirsi infatti in un quartiere degradato? Facile: si prende un appartamento di 30 metri quadri e si affitta a
venti persone, impilandole come cassette di frutta. Il
degrado porta degrado, e così via all’infinito.
Una cosa però si potrebbe far notare: oggi quei terroni
puzzolenti che i milanesi e i torinesi disprezzavano sono
tanto milanesi e torinesi quanto i loro aguzzini di un
tempo. I Rosario e i Carmine si sono alleati agli Ambrogio
e agli Umberto nella lotta contro il negher. Dunque l’integrazione funziona. Basta favorirla. Con la scuola, ad esempio. L’elementare “Città del Sole” a via Padova (Milano) e
la media Daniele Manin all’Esquilino (Roma) hanno due
cose in comune: la maggioranza di alunni stranieri e la
coda di genitori provenienti da altri quartieri che chiedono di poter iscrivere i propri figli. Istruzione di qualità, sul
territorio. Cinesi, bengalesi, sudamericani non diventeranno mai italiani se li teniamo a distanza, se li chiudiamo in
un loro proprio circuito interno. E infatti, ecco il tetto al
30% per gli alunni stranieri nelle classi, anche se parlano
benissimo italiano. E gli altri? Raus!
Troppo spesso si usa l’immagine del mosaico per spiegare la natura multietnica delle nostre città. Forse, più che
un mosaico, è un molto più popolare e meno complicato
puzzle: gli incastri possibili ci sono già, basta avere la
voglia di cercarli. Quando i terroni invadevano il Nord è
stato fatto. Con gli stranieri il puzzle si complica, aumentano i pezzi. Soprattutto, però, manca l’immagine finale,
il risultato di tutto il lavoro: quella dovrebbe fornirla la
politica. Ma fra una Protezione Civile Spa e l’immancabile
riforma della giustizia, deve essere finita in fondo a un
cassetto, e chissà quando la tirerà fuori.
Costume
22
SPECCHIO, SPECCHIO
DELLE MIE BRAME…
ARRIVA DALL’AMERICA IL LIBRO CHE DICHIARA GUERRA AI DRAMMI E AI
TABÙ DELL’ADOLESCENZA. MA SIAMO SICURI CHE LA STRADA PER
CONOSCERE E ACCETTARE IL NOSTRO CORPO SIA PROPRIO QUESTA?
FORSE UN PUNTO DI PARTENZA…
di Benedetta Michelangeli, 20 anni
anche a quelle più serie riguardanti malattie sessualmente trasmissibili, problemi psicologici.
ody Drama (Il mio corpo nell’edizione italiana) è
un libro a metà strada tra il manuale di medicina,
l’autobiografia dell’autrice Nancy Amanda Redd,
ex Miss Bikini America, e uno scrigno con consigli,
risposte e foto su tutti quei drammi e tabù legati al
corpo femminile e alla sessualità affrontati apertamente, con lo scopo di liberare le ragazze in crisi con il proprio corpo dal disagio e dall’imbarazzo che spesso provano, e di guidarle nella conoscenza di esso. Il volume,
accolto a braccia aperte dalla critica - nominato Best
Book 2009 dall’Associazione Librai Americani (!) - come
testo innovativo per il modo in cui sono mostrate le
diverse sfaccettature del mondo femminile, cerca di fornire, attraverso un linguaggio semplice e giovanile, risposte
a questioni leggere, come la ricerca del reggiseno più
adatto da indossare, i diversi metodi di depilazione, consigli per tenersi in forma o per liberarsi dall’acne, ma
Perché leggere questo libro
Potersi confrontare con fotografie non ritoccate di ragazze vere, l’una diversa dall’altra, trovare notizie utili su problemi fisici e psicologici che si affrontano quotidianamente, capire quando è necessario chiedere aiuto ad un medico perché si ha a che fare con una vera e propria patologia, e quando invece bisogna smettere di vedere le particolarità del proprio corpo come anormalità, può essere
estremamente utile per una ragazza. Il fine che il libro si
propone è importante e prezioso, in una società in cui
l’appartenenza ad un paradigma di bellezza fissato da
soubrette, modelle, attrici, sembra essere la qualità senza
la quale è impossibile raggiungere la soddisfazione personale, ma sopratutto la tanto ambita accettazione da
parte degli “altri”. Paradossalmente il luogo comune per
il quale ciò che conta non è l’esteriorità, ma ciò che si
è, oggi non appare più tanto comune. Diventa, quindi,
B
23
sempre più difficile cercare il modo di convincere tutte
quelle ragazze che arrivano ad odiare anche le loro più
piccole imperfezioni, a smettere di essere ossessionate
dal loro inafferrabile modello di perfezione.
Qualche dubbio
Sarebbe bello sapere di poter contare su un libro, in quel
particolare momento della vita che è l’adolescenza, e
poter anche grazie ad esso abbandonare le insicurezze sul
proprio corpo guardandosi finalmente allo specchio senza
ansie e preoccupazioni. E’ però inverosimilmente facile!
L’accettazione del proprio corpo, dei suoi pregi come dei
suoi difetti, il vivere serenamente la propria sessualità,
può essere stimolato da un libro, ma rappresenta la meta
di un percorso personale, affrontato da ciascuno con
modalità e tempi diversi. Affrontarlo con l’aiuto di qualcuno, cercando di condividere più o meno liberamente
ansie, paure e curiosità, può aiutare moltissimo. Imparare
da soli è il modo più semplice per saziare la curiosità sul
proprio corpo, e può rivelarsi utile, ma la ricerca di un dialogo costruttivo con qualcuno che ispiri fiducia, il confronto con un adulto, che sia un genitore o un medico può
esserlo ancora di più. Spesso abbattere il muro che si
viene a creare fra un genitore e un figlio è difficile; la strada più breve, quindi, è evitare di affrontare l’argomento e
cercare informazioni qua e là. Creare un dialogo tra l’adolescente e l’adulto, con l’impegno da parte di entrambi,
non è impossibile e porterebbe la soddisfazione nel constatare che è possibile parlare apertamente dei propri problemi con qualcuno, anche di quelli più intimi. In occasione della presentazione romana del libro, abbiamo
incontrato l’autrice di Body Drama, Nancy Amanda Redd,
per farle qualche domanda sul suo ambizioso progetto.
Un consiglio che spesso si trova nel suo libro è accettare
quello che viene considerato un difetto del corpo come
qualcosa di “normale”. Quanto ciò può essere di conforto
se, sfogliando una qualsiasi rivista o accendendo la televisione, l’immagine che si ha davanti non assomiglia
neanche lontanamente alla “normalità”?
«Nel libro c’è un capitolo in cui mostro come vengono
ritoccate le foto delle riviste, perché ci si deve rendere
conto che questi corpi perfetti che si vedono in tv o sui
giornali in realtà non sono così, ma sono truccati».
Se si negano ideali fisici quali quelli di modelle e
attrici, c’è comunque un modello da seguire, una
“normalità”?
«Sì, penso che sia anche positivo per certi versi,
per esempio in televisione cominciamo a vedere
una maggiore varietà di modelli, come il serial
televisivo Ugly Betty, in cui la protagonista è tutt’altro che bella, nel senso convenzionale del
termine, ma è comunque amatissima dalle adolescenti. Anche nel mondo della moda iniziamo a
vedere modelle non anoressiche. La bellezza ha molto
a che vedere col portamento, con la sicurezza che hai di
te: si possono prendere tutti gli attributi che sono considerati belli e metterli su una persona che non si ama,
Lʼaccettazione del proprio corpo,
dei suoi pregi come dei suoi difetti,
rappresenta la meta di un percorso
personale, affrontato da ciascuno
con modalità e tempi diversi
questa sembrerà comunque brutta; allo stesso tempo una
persona che non è considerata convenzionalmente bella,
ma è sicura di sé, ha un atteggiamento positivo, apparirà
bella».
La galleria fotografica che mostra il corpo della donna
senza tabù è un modo per creare un confronto costruttivo fra il proprio corpo e quello delle altre donne, ma
anche per fornire un’ “educazione al corpo”. C’è sfiducia da parte sua nei confronti della scuola e della famiglia, che dovrebbero assumere un ruolo importante in
questo campo?
«Negli Stati Uniti in molti casi l’educazione del corpo
viene messa insieme all’educazione sessuale, che in alcune scuole non si insegna affatto. Body Drama non vuole
sostituirsi all’insegnamento scolastico, ma vuole essere
un supplemento all’educazione classica. Per me era
importante presentare il corpo della donna in una maniera che non fosse sessuale. Quando ero giovane io, mi
ponevo tante domande sulle mie parti intime, chiedendomi se erano o no normali, e non avevo fonti o persone
con cui potermi confrontare».
Quanto ha pesato la sua esperienza diretta nella realizzazione del libro?
«Tutte le ragazze da giovani stanno male per un motivo o
per l’altro, la differenza è che quando ero piccola io, se volevo assomigliare alle celebrità, potevo comprarmi delle scarpe carine, dei trucchi, ma non potevo fare di più. Alla fine
ero costretta ad accettarmi per quella che ero. Oggi invece
la gamma di soluzioni disponibili per chi vuole modificare il
proprio corpo è quasi infinita, a partire dagli interventi dannosi e irreversibili come la chirurgia plastica. E’ come se ci
si aspettasse che le ragazze dall’essere bambine diventassero improvvisamente adulte, senza fase intermedia».
Sarebbe utile che anche i ragazzi leggessero Body
Drama?
«Sì sarebbe importante, perché i ragazzi apprezzano quello che conoscono tramite ciò che si raccontano fra di loro,
o tramite il porno. Se un tempo un ragazzo era felice di
Costume
24
trovarsi davanti ad una ragazza nuda perché non ne aveva
mai vista una, oggi gli adolescenti vedono la nudità molto
prima dell’esperienza dal vivo, attraverso il porno, internet. Quindi, si aspettano un certo corpo che poi non
trova riscontro nella realtà, e finiscono spesso per dire
delle cose molto offensive alle ragazzine. Purtroppo
temo che sarà difficile far leggere questo libro ai ragazzi, penso che sia più importante che le ragazze imparino a rispondere a tono quando vengono fatte loro queste critiche».
Il suo libro può essere utile per una serena accettazione del
proprio corpo in un società in cui tutto ciò che si discosta
dai modelli di perfezione assoluta è mediocre?
«Può esserlo, perché mostra come l’imperfezione è ciò che
ci rende diverse e soprattutto perché non esistono modelli
assoluti. Se tutte le ragazze apprezzassero il loro corpo e si
sentissero belle, questo avrebbe un impatto reale sulle loro
vite: sarebbero più produttive, più sicure di sé, meno
aggressive... sarebbe un mondo migliore insomma».
Se tutte le ragazze
apprezzassero il loro corpo e si
sentissero belle, questo avrebbe un
impatto reale sulle loro vite
L’idea che finalmente si elimini
ogni tabù sul
corpo femminile
e sul suo stereotipo attraverso un
libro è sicuramente allettante.
Siamo nel 2010,
ci vantiamo di
aver raggiunto le
pari opportunità,
ma troppo spesso vedo che l’unica cosa ad essere cambiata sono le misure: siamo passati da un 90-6090 a un 20-20-20. Sicuramente non basterà
un libro a far accettare a noi stesse il nostro
corpo così com’è, ma almeno ci aiuterà a
vederlo un po’ più normale di quel che ci
sembra durante le nostre giornate più nere.
10 e lode all’autrice per l’idea.
Elena Prati, 18 anni
Nancy Amanda Redd, passando dal red
carpet ad Harvard, è diventata in pochissimo tempo il guru di tutte le adolescenti
americane e delle loro madri, che vedono
in questo manuale rivoluzionario, un aiuto
libero e intelligente per spazzare via definitivamente incertezze e false informazioni
circa la perdita di peso e le malattie sessualmente trasmissibili.
Strano è, a mio avviso, che una reginetta di
bellezza, seppur laureata, dopo essere
apparsa sulle copertine patinate delle più
famose riviste di gossip, abbia voluto immolarsi come paladina della naturalezza, dispensando consigli su cibo, sesso e autostima.
Chiamatemi ‘antica’, se volete, ma di donne
che hanno rotto i tabù senza essere per forza
alte un metro e ottanta per 50 chili di peso ce
ne sono state a bizzeffe; basti pensare a
Coco Chanel con suoi pantaloni, Simone de
Beauvoir, artefice di una rivoluzione “mentale”, nonché ispiratrice del movimento femminista degli anni Settanta, e ancora Nora al
Faiz, la prima donna parlamentare in Arabia
Saudita.
Giulia Molari, 18 anni
Un manuale non guarisce dai disagi quelle
ragazze che guardandosi allo specchio
vedono solo difetti. La prima cosa che bisognerebbe spiegare è che per sentirsi
meglio e per farsi accettare dagli altri bisogna accettare se stessi. Sicuramente una
ragazza di 14-15 anni avrà molta più sicurezza ricevendo consigli e risposte, ma non
è sapendo qual è il reggiseno più adatto
da indossare che si sentirà più in forma.
Grazia Resta, 17 anni
Test
25
IO STO BENE
IO STO MALE!
QUANTO TI METTE A DISAGIO UN
BRUFOLO USCITO A TRADIMENTO
PROPRIO IL GIORNO DELLA FESTA IN
DISCOTECA? DOPO IL NOSTRO
ARTICOLO SUI DRAMMI LEGATI
ALL’ADOLESCENZA, QUESTO MESE
NON POTEVAMO PORVI CHE
DOMANDE “ESISTENZIALI”...
A
B
C
Quanto ci metti la mattina per prepararti prima di
andare a scuola?
Per fortuna la scuola è solamente a un paio d'isolati da casa, perciò tra doccia, profumazione,
lavaggio/stiraggio capelli, trucco ed eventuale
selezione del vestiario, mi basta svegliarmi alle
cinque del mattino.
Beh, così su due piedi non saprei quantificare,
ma ogni giorno della mia vita ringrazio l'inventore dell'entrata alla seconda ora.
Una mezz'oretta. Ho 54 anni, faccio il bidello e
ho appena finito l'ultimo cruciverba sul mio settimanale di enigmistica preferito – fortuna che mi
è capitata questa copia di Zai.net tra le mani...
B
C
A
B
C
A
B
C
A
Stasera grande evento mondano in disco – non si
può mancare! Ma... ti svegli con un brufolo enorme al centro della guancia...
Svegli il resto della famiglia con un urlo agghiacciante da film horror! Ti chiudi in casa dandoti
malato/a e contagioso o inventando gravi lutti di
massa familiari.
Sbatti un paio di volte la testa al muro ma poi ti
convinci che con un po'... forse un bel po' di fondotinta riuscirai a passare inosservato.
All'ultimo momento contatti le forze dell’ordine
rivelando che c’è una bomba nella discoteca: la
serata verrà rinviata e nessuno si farà male.
Tieni alla tua linea?
Quel minimo che basta, tre grammi di pasta al
giorno non me li faccio mai mancare!
Il giusto. Bisogna imparare ad accettare il proprio corpo, come gli altri devono accettare che
voglio farmi una liposuzione o girare con lo scafandro se non mi sento a mio agio!
Non ci tengo mica tanto... sarà per questo che
nell'ultimo mese ho preso dieci chili! Basta rimanere un po' in disparte a scuola, indossare abiti
di colore nero...
E se per i diciotto anni ci facessimo regalare un
bel ritocchino?
Un ritocchino? Ma come minimo per i diciotto voglio
un restauro totale degno della trasmissione Extreme
A
B
C
A
B
C
Makeover! Ora devo solo convincere i miei a chiedere un mutuo, anche se loro sono più propensi a
mandarmi dallo psicologo...
I miei, taccagni come sono, al massimo mi regaleranno un taglio di capelli alla scuola per parrucchieri!
Un'aggiustatina alla gobbetta sul naso non mi farebbe schifo, ma per il momento mi accontenterei di un
bel viaggio ad Amsterdam. Ma no, cosa pensate,
voglio andare lì per i tulipani e i mulini a vento!
Il tuo rapporto con l'estetista...
Diciamo che non a caso la famiglia del mio fidanzato/a possiede un eccellente centro estetico all'interno del quale mi sono trasferita/o in pianta stabile!
Niente di che, a parte cerette, lampade, pulizia
del viso, trattamenti vari, fanghi, massaggi...
insomma, quello che fanno un po’ tutti, no?
Beh, non che ci lasci euro a palate, ma a me non
piace affatto essere bianco come un cencio!
In definitiva, ti piaci o no?
A forza di farmi problemi sul mio aspetto sono
arrivata/o alle finali di un importante concorso di
bellezza... ma non ho vinto. E visto che tanti programmi della nostra televisione mi hanno portato
ad una smodata e maniacale competitività con
tutto e tutti, il tiepido risultato non ha fatto altro
che farmi stare peggio!
Mi piacciono di più Raul Bova e le veline... in
effetti dovrei proprio convincere quegli spilorci dei
miei genitori a pagarmi il ritocchino di cui si parlava prima.
Infine ho imparato ad accettarmi e sono diventato buddista con la speranza che alla prossima
reincarnazione mi tocchi un po' più di fortuna.
LEGGI IL TUO PROFILO A PAG. 59
GIORNALISTI
CON UN
BASTA UN COLPO DI MOUSE PER ENTRARE
NELLA REDAZIONE DI ZAI.NET E FAR PARTE DEL
GRUPPO DI REPORTER PIU' GIOVANI D'ITALIA.
LORO L'HANNO FATTO...
Cos’è Zai.net?
Un network che prende vita nelle varie edizioni della rivista mensile
(nazionale, Lazio e Liguria), nel sito, nella radio e nelle tante iniziative che
coinvolgono le scuole di tutta Italia.
Dove si trova il mensile?
Zai.net non si compra in edicola, ma arriva direttamente a scuola, in
classe. Per ricevere la tua copia a casa, puoi abbonarti
individualmente andando sul sito www.zai.net e seguendo le
istruzioni alla voce “Abbonamenti”.
Come si entra a far parte della redazione?
Basta scrivere un’email alla redazione ([email protected]), oppure
cercare il gruppo Zai.net su Facebook: noi vi teniamo al corrente sul
percorso degli articoli e vi forniamo le dritte per svolgerli al meglio. Le
distanze non contano, contano solo l’entusiasmo e la voglia di scrivere.
Come si finanzia Zai.net?
Finora ha spesso contato sul contributo economico di Enti pubblici e
privati che ne condividevano l’approccio innovativo e le finalità
formative. Ma la parte più cospicua dei costi è da sempre sostenuta
dalla nostra cooperativa di giornalisti, Mandragola Editrice.
Info: [email protected] - tel. 06 47881106
ELISA, 15 ANNI
Ho conosciuto Zai.net grazie alla
mia professoressa di italiano, che
lo utilizza come un vero e proprio
laboratorio di scrittura. Anche se
ho appena preso contatti con la
redazione, già mi sento a casa e
spero di riuscire presto a
pubblicare qualcosa di mio e a
dare un contributo.
MIRKO, 15 ANNI
La prima volta che ho sfogliato
questa rivista è stato grazie a mio
fratello maggiore, che ci
pubblicava degli articoli. Così ho
cercato di imitarlo, ed eccomi qua!
All’inizio pensavo che sarebbe stato
difficile affrontare la sfida, ma poi
ho capito di poter imparare molto.
GIULIA, 17 ANNI
Leggo Zai.net da un bel po’, ma
pensavo che non fosse semplice
collaborare. Poi un giorno ho
mandato un’email e ho subito
ricevuto la risposta... incredibile!
Adesso ricevo spesso gli inviti della
redazione a scrivere per il forum e
nella rubrica delle recensioni.
28
FEDERICA CAMBA:
“Magari oppure no”,
il primo album
MUSICA
32
MICHELE CAMPANELLA:
Ma questo è un classico!
Musica
28
CHE “INCANTEVOLE
INCOERENTE”!
HA FIRMATO I SUCCESSI DI LAURA PAUSINI, GIANNI MORANDI, ALESSANDRA
AMOROSO, MA ADESSO HA DECISO DI AFFRONTARE IL PUBBLICO DA SOLA.
IN OCCASIONE DELL’USCITA DEL SUO PRIMO ALBUM, “MAGARI OPPURE
NO”, ABBIAMO INCONTRATO PER VOI FEDERICA CAMBA
29
errori e ci è piaciuto tenerli, ci sono delle stonature, un po’
come aveva fatto la Morisette. Insomma, abbiamo usato
pochi trucchi, come dev’essere».
Mi ha molto colpito anche la scelta degli strumenti anni
omana di nascita (14 luglio 1974) e cagliaritana d’a’70 e quella di mettersi a scrivere le musiche per l’ordozione, anche se dalla maggiore età vive a Milano,
chestra diretta da Vessicchio. Com’è stato?
Federica Camba trova da sempre più consono scri«Un colpo al cuore: io non ho il pianto facile… facilissivere che parlare. Durante un concerto incontra casualmenmo! Quando senti una cosa che hai scritto a casa tua,
te il produttore di Laura Pausini, che ascolta alcuni pezzi e
suonata da 22 elementi, in questo posto fatto di legno
inserisce nel cd Tra te e il mare i brani Jenny e Anche se non
scuro, asciutto, e senti il volume della musica che è pari
mi vuoi. Quando conosce Daniele Coro è intesa totale: fra
all’emozione che ti sale… ho pianto come una pazza!».
le prime canzoni composte all’unisono c’è Bellissimo così
La descrizione del “morsetto” alla pancia che senti sin da
ancora per la Pausini, assieme a Ogni colore al cielo, altro
quando sei piccola è molto bella (“A volte adoro quella
brano scritto da lei con un diverso coautore. Oggi è un’auormai familiare malinconia che mi accompagna sin da pictrice ricercata da artisti come Gianni Morandi ed Eros
cola, quella specie di morsetto alla pancia - più che allo stoRamazzotti e da produttori internazionali del calibro di Steve
maco - che mi fa scrivere per ore, ovunque mi trovi, su qualLipson, che ha lavorato fra gli altri con Robbie Williams,
siasi cosa si possa calcare dell’inchiostro”, ndr)!
Annie Lennox e Grace Jones. Se amate il brano Senza nuvo«Grazie! Vedi… alla fine continuo a piangere, quindi il
le cantato da Alessandra Amoroso e il tormentone Dentro ad
morsetto alla pancia c’è sempre! Non c’è nulla da fare:
ogni brivido di Marco Carta dovete ringraziare lei. Adesso,
puoi studiare musica quanto vuoi, ma se una cosa non
però, Federica ha deciso di uscire allo scoperto.
ti fa venire i brividi, non c’è!».
Come mai questa scelta?
“Ho cassetti pieni di scontrini, pezzi di carta igienica, foto,
«Non è stato un cambiamento del genere “Ok, da adesso
pezzi di giornale, angoli di settimana enigmistica, perfino
canto io!”. In realtà ho sempre cantato, sin da piccola, ero
multe … tutti pieni delle mie parole …” : di cose da dire
molto egocentrica: facevo i concertini nel palazzo con tutti
ne hai tante! Oltre al fatto che è “sincero” ed è “una torta
gli adulti che mi guardavano! E’ stato casuale che siano
fatta in casa”, cosa vorresti che il pubblico sentisse non
uscite prima “loro”, le mie canzoni, di me: è un giro straal primo ascolto dell’album, ma magari al secondo, quanno, puramente casuale! Non inizio qualcosa di nuovo:
do ha interiorizzato i testi?
continuo!».
«Bella domanda! Mi piace il fatto che, in questo periodo in
Questo darsi “in pasto” al pubblico, come lo vivi?
cui tutto deve essere facile, lucido, splendente, veloce e fare
«Con molta emozione: il pubblico ti dà quello che è giueffetto al primo colpo, noi abbiamo scelto dei modi più
sto che ti dia, e proprio per questo motivo non vedo
pacati, più caldi per parlare d’amore. Ci siamo sforzati di
l’ora di cantare questo disco dal vivo! Ho scelto la musifarlo, però, in modo un pochino diverso: non quelle quattro
ca per comunicare: quando stai bello nudo di fronte alla
parole che colpiscono all’istante e poi ti stufano, ma che
gente, allora capisci se arriva qualcosa, se hai fatto
entrano magari nella quotidianità, nei compromessi, nell’inbene, se hai sbagliato».
coerenza! Anche perché non è che l’amore sia sempre splenIn Magari oppure no parli di un allontanamento che
dente o sempre quello che ti fa male, c’è la via di mezzo!».
potrebbe lasciar sperare in un riavvicinamento…
C’è un brano a cui sei particolarmente affezionata?
«Non è che non avessi le idee chiare, eh! Quando si è
«Moltissimo a Magari oppure no e poi Come siamo in tanti.
piccoli si vedono le cose tutte in bianco e nero: l’amoTu senti una cosa tua, ma in realtà è la cosa che capita a
re inizia e l’amore finisce, ci si lascia o si rimane insieme.
tutti. Viviamo in grandi città, con milioni di persone, ma
Quando sei un pochino più grande, capisci che, invece, ci
quando veramente stiamo male non serve a niente che
sono un sacco di sfumature nel tuo rapporto: non si deve
siamo in così tanti! C’è molta solitudine, e questa cosa terarrivare per forza a lasciarsi, magari un allontanamento
rorizza al punto che magari ci si rifugia in internet per
crea nuova linfa vitale per tutti e due, no?».
sentire il calore degli amici in un’altra grande città, menMagari oppure no: come mai questa canzone come
tre la persona che ti vive accanto
“biglietto da visita”?
sta chattando con qualcun altro di
«Il titolo del disco ha un significaNon è che lʼamore sia qualche altra grande città!
to forse scaramantico: magari queParadossi su paradossi!».
sto disco vi piace, magari no!
sempre splendente o
Le imperfezioni sono ciò che rende
Oppure, magari la gente conosceva
già le mie canzoni, no? Magari vi sempre quello che ti fa male, una persona incantevole, come dici
in Incantevole Incoerenza…
piaceranno cantate da me oppure
cʼè una via di mezzo!
«Certo, perché uno si deve prendere
no! Io la sto buttando sul ridere,
un po’ con ironia! Non è bello dire
però non è un’indecisione: è il
“Guardami, sono splendida nei miei errori”? Certo, lo devi
fatto di averci messo l’anima e avere la consapevolezza
dire ridendo, ma è così! Siamo tutti fatti di piccoli errori, picdi dire “Sicuramente vi piace”, insomma!».
cole incoerenze: siamo speciali per quello».
Immagina di presentare il tuo album a chi non ti conosce!
Com’è stato scrivere canzoni per Alessandra Amoroso o
«La prima parola che mi viene in mente: sincero. Questo è
Marco Carta?
un disco nato in giornate normali: non c’è bisogno di qual«Un’emozione grandissima, le coccole del pubblico mi
cosa di eclatante per scrivere. Lavoro con Daniele (Coro,
sono arrivate al di là del fatto che cantassi o no io!
ndr) da tanti anni e scriviamo tantissimo, quasi una canzoVedere che una cosa che nasce dentro di te scintilla
ne ogni due giorni, di conseguenza è come se fosse una
nelle persone è bellissimo».
parte della giornata! Vedi che io scrivo in continuazione
Cosa aspettate allora a far nascere in voi la stessa scin(mostra il suo blocchetto, ndr), sono malata! Per questo è
tilla? Ascoltate Magari oppure no almeno due volte
sincero, è vero, è una torta fatta in casa. La sincerità contiprima di esprimere un giudizio. A metà del secondo
nua nel suono del disco, negli arrangiamenti: non abbiamo
ascolto vi sarete già riconosciuti, ve lo assicuro: queregistrato in digitale, ma in analogico, per sentire il gusto
stione di incantevole incoerenza!
della chitarra, del suono, anche degli errori! Ci sono degli
di Chiara Colasanti, 19 anni
R
Talent scout
30
A CHANCE TO BE
ROMANTIC… COGLIETE
ANCHE VOI L’OCCASIONE!
DUE RAGAZZI DI CREMONA, UNA SMODATA PASSIONE PER LA MUSICA, UN
PIZZICO DI FORTUNA E CHILI E CHILI DI IMPEGNO. GLI CHANCE SANNO
COGLIERE PROPRIO TUTTE LE OCCASIONI. FORSE È PER QUESTO CHE
SONO RIUSCITI A CONQUISTARE DUE PAGINE SUL NOSTRO GIORNALE…
di Chiara Colasanti, 19 anni
Chance To Be Romantic, un nome, una garanzia in
un mondo così poco romantico ma così tanto sdolcinato (non è assolutamente la stessa cosa!). Il
nome mi ha folgorata mentre vagavo senza meta tra
Facebook e Myspace e, dopo il classico primo ascolto (che
A
può essere fatale), eccomi qui a contattarli per un’intervista:
non potevo lasciarmeli scappare! Ma conosciamoli un po’
meglio. Dario, 25 anni, è industrial designer e grafico free
lance, mentre Francesco di anni ne ha solo 20 ed è studente di Sicurezza delle reti Informatiche e lavoratore part time.
Com'è nato il vostro gruppo?
«Avevamo il desiderio di continuare a far musica e sognare
insieme dopo un’esperienza purtroppo finita non nel miglio-
31
Oggi quasi tutti cantano in
inglese; per noi la scelta
dellʼitaliano è diventata un modo
per distinguerci
re dei modi. Gli Chance sono nati anche dalla voglia da
parte di entrambi di sperimentare sonorità nuove, di comporre senza preconcetti dettati da un genere in particolare.
Volevamo, insomma, sentirci liberi di esprimere le nostre
emozioni senza alcun vincolo. Sentivamo di avere ancora
molte esperienze da vivere insieme: finalmente ci era stata
donata dal destino una nuova ‘chance’. Visto che nulla accade per caso… perché non coglierla insieme?».
Quali sono i problemi più grandi ai quali andate incontro quando state assieme?
«Principalmente sono problemi legati alle nostre individualità e diversità comportamentali; per esempio punti
di vista diversi rispetto ad un determinato problema.
Musicalmente però andiamo d’accordo».
Come nascono le vostre canzoni?
Dario: «Scrivere canzoni è per me una terapia d’urto. Ci
sono giorni in cui sento che sto per scoppiare, allora mi
viene quasi naturale prendere in mano la chitarra, o anche
soltanto la penna. E’ in questi momenti che mi accorgo di
come la musica riesca ad estrapolarmi frasi, parole che mai
a voce avrei il coraggio di pronunciare. E mi fa stare meglio;
me ne rendo conto quando rileggo i miei testi a posteriori.
Tornando a noi, una volta scritto il testo e la melodia base
di chitarra e voce, suono le canzoni a Francesco, per avere
un riscontro. A questo punto inizia il suo lavoro: lui per me
è come un sarto che costruisce un abito attorno ad un manichino; il suo compito è quello di creare melodie con la chitarra (assoli, ritmi etc.) che siano a misura, della taglia giusta per le canzoni che scrivo».
Quanta importanza date alla lingua in cui vi esprimete nelle
vostre canzoni?
«Siamo convinti che la lingua con cui si trasmettono le proprie emozioni sia importantissima perché è solo grazie ad
essa che le parole prendono il colore da noi desiderato.
Scrivere in italiano è naturale, meno meccanico. Purtroppo
ci rendiamo conto di come la nostra lingua sia davvero sottovalutata, svalutata da molti gruppi. E’ un vero peccato;
oggi quasi tutti cantano in inglese; per noi la scelta dell’italiano è diventata un modo per distinguerci».
Cosa pensate della situazione contemporanea della
musica in Italia?
«Ci sono alcuni artisti e gruppi emergenti in Italia davvero incredibili; meriterebbero sicuramente più spazio, più
visibilità. Inoltre, ormai la strada più facile per arrivare al
pubblico è passare in televisione; è il periodo dei talent
show, dei reality. In questi contesti è molto facile avere
successo, anche se alcune volte si rivela fragile, una piccola fiammella che svanisce poco dopo poiché non adeguatamente alimentata».
Quanta importanza date al look?
«Come band non diamo molta importanza al look.
Quello che conta è far musica, lo stile rimane personale, quello che ognuno ha sempre avuto».
Cosa ci potete dire del vostro album? Raccontateci un
po' com'è stato “immergersi” in studio!
«L’ep è stato partorito Tutto in un attimo (è il titolo,
ndr): è un album interamente sull’amore. Un amore che
a volte si rivela malinconico, lontano, conflittuale, tormentato, altre è più sereno, consapevole, pieno ma
sopratutto capace di far sognare. E’ stata per noi la
prima vera esperienza in studio, e non è stata assolutamente una passeggiata. Pensavamo di vivere lo studio come un’esperienza divertente e spensierata, invece
ci siamo accorti che va affrontata con serietà e determinazione. Sicuramente in futuro rientreremo in studio
più preparati e più convinti delle nostre capacità».
Progetti futuri?
«Nell’immediato il desiderio è quello di portare la
nostra musica fuori dalla sala prove, ma senza grandi
aspettative; contemporaneamente vogliamo crescere
musicalmente e come gruppo. Nel nostro piccolo, ci piacerebbe poter diventare grandi, anche solo per pochissime persone. Sarebbe il massimo, un giorno lontano,
poter vedere il passerotto del nostro logo librarsi e
volare alto come un’ aquila; significherebbe che qualcosa di buono abbiamo fatto, che siamo maturati.
Parlando di progetti più a lungo termine, diciamo che il
sogno rimane registrare il primo full-length, anche perché i pezzi ci sono».
Quanto vi ha aiutato myspace?
«Myspace, come altri social network, dà la possibilità
alle band emergenti di far ascoltare i propri pezzi e permette anche di farsi un’idea di quello che è il riscontro
dopo un lavoro. Grazie a Myspace, per esempio, abbiamo rimediato questa intervista, ed è per noi davvero un
onore poter parlare della nostra passione con Zai.net.
Ma poi, scusate, perché avete intervistato proprio noi?!»
Non aggiungo altro se non che se ho scelto loro un motivo c'è, ve l'assicuro, solo che non riesco ancora a farglielo
capire!
Li trovate su http://www.myspace.com/achancetoberomantic
Siete tra quelli che iniziano a sfogliare il giornale partendo dalla musica? Ragazzi, per
voi ci sono buone notizie: l’appuntamento
con gli emergenti raddoppia e sbarca su
Radio Jeans!
Presto potrete ascoltare i brani e le interviste con i nuovi talenti del panorama italiano e internazionale su satellite e in streaming su www.radiojeans.it.
Musica classica
32
PER CHI SUONA
CAMPANELLA?
CHE COSA DEVE ASPETTARSI UN GIOVANE CHE HA DECISO DI
CONSACRARSI ALLA MUSA EUTERPE? NE ABBIAMO PARLATO CON MICHELE
CAMPANELLA, IL PIÙ GRANDE INTERPRETE ED ESPERTO DI LISZT
di Jacopo Zoffoli, 21 anni
CITTA’ IN MUSICA!
orse è capitato anche a qualcuno di voi: suonare
uno strumento, quindi dedicarsi alla musica classica con una certa costanza, ed essere etichettato
dal professore di italiano o di matematica come “scansafatiche”. L’istituzione dei licei coreutici e musicali – ci
viene detto – andrà incontro all’esigenza di quanti vorrebbero completare serenamente la propria formazione
di musicisti, o comunque di artisti, senza rimanere
“ignoranti”. Noi, però, che siamo i soliti ficcanaso,
siamo andati a domandare l’opinione di un grande pianista, Michele Campanella, che non sembra disposto a
liquidare la questione in termini così semplicistici. E
non ci siamo lasciati sfuggire l’occasione per avere con
lui un dialogo sulla musica classica tout court…
Cosa direbbe ai ragazzi che giudicano la musica classica noiosa?
«Ogni ramo del sapere umano approfondito è affascinante, ma se guardiamo una cosa da lontano, è facile che la
prima reazione sia di spavento a causa della nostra
incompetenza, come accade con la biologia o la matematica. L'ascolto della musica classica richiede una maggiore attenzione rispetto alla musica leggera, poiché è più
complessa, ma questo non vuol dire che sia sinonimo di
noia, anzi, è sinonimo di ricchezza e bellezza».
Per secoli l'Italia ha mangiato pane e musica. La produzione musicale di oggi mi sembra povera, piatta e
simile a se stessa…
«Il discorso è complicato. Prima la musica classica non
era legata alle logiche commerciali e soprattutto non
F
La musica classica e l’opera come non le
avete mai sentite, in onda su Radio Jeans.
Con Guido Barbieri, critico musicale,
docente al Conservatorio di Trapani e storica voce di Radiotre, una serie di puntate
sulla storia della musica in una cornice originale: le città dove hanno lavorato i
grandi compositori come Mozart, Chopin,
Verdi. Le puntate, di 45 minuti l’una, hanno
infatti come fil rouge la ricostruzione del
background storico e culturale in cui un
dato autore ha vissuto.
Nel corso del programma si ascoltano i
brani tratti da un’opera e i giovani reporter in studio rivolgono a Barbieri domande
e osservazioni. Inoltre, il nucleo strettamente musicale viene corredato da microapprofondimenti sull’arte e sulla letteratura del periodo. La possibilità di partire da
argomenti più familiari e l’attenzione data
alla storia sociale delle città costituisce un
ottimo punto di partenza e una perfetta
cornice in cui inserire la vera protagonista:
la musica.
Presto potrai ascoltarle anche tu, visita il
sito www.radiojeans.it
33
MICHELE CAMPANELLA
Considerato internazionalmente uno dei
maggiori virtuosi e interpreti lisztiani, ha
affrontato in 40 anni di attività molte tra le
principali pagine della letteratura pianistica. La Società "Franz Liszt" di Budapest gli
ha conferito il Gran Prix du Disque nel 1976,
1977 e nel 1998, quest'ultimo per l'incisione
“Franz Liszt - The Great Transcriptions I-II”
edita dalla Philips. Il ministero della Cultura
ungherese gli ha conferito la medaglia ai
“meriti lisztiani”, così come la American
Liszt Society. La sua discografia comprende incisioni per etichette quali Emi (Ravel),
Philips (Liszt, Saint-Saëns), Foné (Chopin),
PYE (Liszt, Ciajkowskij), Fonit Cetra (Busoni),
Nuova Era (Ciajkowskij, Liszt, Musorgskij,
Balakirev), Musikstrasse (Rossini), P&P
(Brahms,
Liszt,
Scarlatti),
Niccolò
(Schumann). E’ membro delle Accademie
di Santa Cecilia, Filarmonica Romana,
Cherubini di Firenze; è direttore artistico di
tre stagioni concertistiche nate nell’ambito delle Università di Napoli, Benevento e
Catanzaro.
musica, qualsiasi altra riproduzione è, appunto, una
mera copia, mentre quando hai davanti la persona che
crea quel suono dal proprio corpo, l'emozione è totalmente diversa».
Gli enti lirici e concertistici incoraggiano un pubblico
fatto di giovani?
«In alcuni casi ci provano, anche mostrando buona
volontà. Però manca il marketing, manca la capacità di
incuriosire. La gente ha paura di entrare in teatro perché si sente in imbarazzo, mentre il teatro deve essere
la casa di tutte le classi sociali e di tutte le generazioni. I ragazzi non sanno con costanza quello che succede nel teatro della propria città».
Sta ormai per entrare in vigore la riforma dei licei musicali e dei conservatori…
«E' come sempre una questione di facciata: equiparare
il conservatorio a una università è la cosa più sbagliata
che si possa fare. Un ragazzo, collegandomi a quello
che dicevamo in precedenza, deve entrare in conservatorio da bambino e non a diciotto anni avendo fatto
mezz'ora a settimana di pianoforte a scuola. Come al
solito, però, noi siamo contenti perché il problema di
facciata è stato risolto».
Come vede il futuro della musica?
«Inseriamo il futuro della musica nel futuro dell'Italia.
Sicuramente non migliorerà, forse peggiorerà. Dobbiamo
sperare che ci sia una presa di coscienza autentica».
Il pianista Michele Campanella
era così distante dal popolo. Accanto a questo c'è da
dire che nel nostro Paese non c’è mai stato un sistema
educativo adeguato e ben radicato sul territorio. Ma il
genio sostituisce, come sempre, l'organizzazione: da
noi i talenti nascono come un fiore in mezzo al cemento. All'estero, invece, prima c'è la preparazione e poi si
selezionano i talenti».
A proposito di giovani talenti, come potrebbero essere
aiutati?
«Dando a tutti l'opportunità di studiare, al momento
giusto e nella cornice giusta. Un talento va coltivato,
non si può aspettare che arrivi già formato, e il sistema
scolastico deve incoraggiare una preparazione quanto
più possibile serena. L'altro giorno un ragazzo mi ha
raccontato di avere contro i professori del suo liceo perché studia pianoforte ad alti livelli; il musicista non
deve essere ignorante, ma deve avere l'opportunità di
lavorare costantemente sullo strumento, egli è prima di
tutto uno strumentista: prima ci sono le mani (nel caso
del pianoforte) e poi tutto il resto. E’ ancora troppo
scarsamente radicata la consapevolezza del fatto che
siamo professionisti atipici: la nostra formazione avviene sin da piccoli, poiché cresciamo sviluppando il
nostro corpo sullo strumento, e questo richiede tempo,
costanza e dedizione».
Lo studio del pianoforte aiuta anche lo sviluppo cerebrale?
«Certamente. Il pianoforte è lo strumento più complesso che ci sia: ci sono due pentagrammi, uno dedicato
alla melodia e l'altro all'accompagnamento, le mani perciò fanno due cose diverse, a volte anche quattro. Il cervello compie un esercizio molto sofisticato controllando
dieci dita singolarmente e contemporaneamente».
Cosa dovrebbero fare i nostri lettori per iniziare ad
apprezzare la musica classica?
«C’è solo un modo: andare a sentirla dal vivo. Oggi
apriamo youtube e possiamo farlo lo stesso, ma è come
visitare una città per fotografia. I concerti sono la vera
36
CINEMA:
Riccardo Scamarcio,
“mina vagante”
GIOVANI
CRITICI
43
FOTOGRAFIA:
Henri Cartier-Bresson,
l’occhio del secolo
Cinema
36
PESCAT(T)ORE
VAG A N T E
NUOVA AVVENTURA PER FERZAN OZPETEK E UN CAST ESPLOSIVO, INTITOLATA
(FORSE NON A CASO) “MINE VAGANTI”. ZAI.NET HA INTERVISTATO PER VOI
RICCARDO SCAMARCIO, CHE NEL FILM INTERPRETA TOMMASO
di Elena Prati, 18 anni
Liceo scientifico “Galilei”
ttore ormai affermato del cinema italiano, Riccardo
Scamarcio a 31 anni sembra aver conquistato il pubblico con ruoli per ogni età e per ogni gusto. In questa sua ultima avventura, al fianco di una grande firma del
cinema come Ferzan Ozpetek interpreta un ruolo inaspettato, quello di Tommaso, giovane che vuole affermare le proprie scelta personali anche a costo di andare contro le
aspettative della sua famiglia.
È il primo film che gira con Ferzan Ozpetek, cosa le ha insegnato questo maestro?
«Devo dire che la cosa che mi ha molto colpito di Ferzan, e
grazie alla quale ci siamo veramente intesi, è questa sua
capacità di cercare la vita dentro la scena, di riuscire a creare delle dinamiche e a muovere i personaggi all’interno di
essa, cercando e accogliendo incidenti e imprevisti, trasformandoli in pura espressività. Non è un regista rigido, è organico alla scena e questi elementi ci hanno molto uniti, perché anche io ho questa visione del nostro mestiere».
Quali sono stati i punti di forza di un cast così eterogeneo,
sia per età sia per esperienza?
«Intanto i molti attori del cast sono tutti molto bravi; poi
sicuramente anche le esperienze personali e il regista
hanno fatto da collante. Ferzan è una persona in grado di
A
trasmettere un forte senso paterno, e questo a mio avviso
è davvero molto importante perché in qualche modo gli
attori sono figli e i registi sono padri. Ferzan è riuscito a soddisfare tutti i bisogni dei propri figli, ognuno con esigenze
specifiche».
Il personaggio di Tommaso, che torna a casa per affermare
le proprie scelte personali, le è in qualche modo familiare
nella sua lotta per costruire da sé il futuro che vuole?
«Io fortunatamente ho avuto una famiglia abbastanza aperta e non ho mai avuto paura di tornare, non ho mai fatto la
valigia di cartone, non sono mai scappato. Sono molto legato alla mia terra e ai miei genitori, non ho mai avuto questo bisogno disperato di fuggire da loro, di non voler tornare. Questa è forse la differenza più grande tra me e il personaggio di Tommaso. Un punto nel quale mi riconosco,
però, è sicuramente la missione che compie: osservando le
dinamiche della sua famiglia, riesce a sistemare le cose per
gli altri, anche se per sé non riesce a fare nulla».
Quello offerto dal film è secondo lei un ritratto fedele delle
dinamiche della famiglia contemporanea?
«Credo di sì, anche se forse alcuni meccanismi potranno
sembrare un po’ obsoleti. Noi raccontiamo la storia di un
microcosmo familiare di provincia in cui tutti sanno tutto di
tutti, e questo condiziona molto le scelte di vita dei vari personaggi».
Qual è il suo rapporto con il Meridione?
«Direi ottimo, nel senso che sono cresciuto in Puglia e poi
37
Riccardo Scamarcio insieme a Ferzan Ozpetek; in basso e nella
pagina accanto con Nicole Grimaudo in due scene del film.
C’è poi la mancanza di politiche giovanili serie, un allonandandomene via ho sentito la mancanza di un sacco di
tanamento progressivo dei giovani da tutto ciò che è culcose, che magari prima consideravo scontate. Ottimo perché
tura e approfondimento. Anche la tendenza ad accedere
quando trascorro del tempo lì mi prendo il meglio e quanalle informazioni senza andare a fondo acuisce il pessimido vado via mi rendo conto che ne ho abbastanza. Da
smo: tutto quello che non si conosce fa paura.
un certo punto di vista è la fortuna di chi non è costretPossediamo le cose senza sapere come funzionano, manto a stare sempre nello stesso luogo. Detto questo, ci
giamo la frutta ma non sappiamo da dove viene; abbiasono anche tutti gli inconvenienti di stare sempre in
mo perso completamente il contatto con ciò che usiamo:
giro, cosa che destabilizza. Devo aggiungere, però, che
tutto questo contribuisce a farci sentire frustrati, quasi
anche il mio rapporto con il Settentrione è ottimo, a
alienati. Credo che anche la superficialità contribuisca a
volte mi manca Milano. Non sono meridionalista, pur
farci sentire vittime».
essendo un gran meridionale, mi sento cittadino del
mondo».
Se non avesse potuto fare l’attore, cosa le
sarebbe piaciuto diventare? Sarebbe
scappato come tanti altri talenti?
«Non so dire se sarei rimasto in Italia.
Anche la tendenza ad
Difficilmente riesco a vedermi stabilmenaccedere alle informazioni senza
te trasferito all’estero, io amo l’Italia,
nonostante tutto quello che sta succeapprofondirle acuisce il
dendo in questi anni. Non ce la farei mai
pessimismo: tutto quello che non si
a vivere lontano da qui. Penso avrei fatto
il pescatore, anzi il “pescattore”».
conosce fa paura
Secondo un recente studio noi italiani
siamo i più pessimisti al mondo, crede
che sia vero? Anche lei a 17, 18 anni si
sentiva così pessimista?
«Questo è un dato inquietante, che purtroppo però rispecchia i nostri tempi.
Probabilmente una responsabilità ce l’ha
anche l’invasione tecnologica, positiva
per tantissimi aspetti, ma che se mal
gestita può scatenare effetti allarmanti.
Palcoscenico
38
MIRANDOLINA,
FASCINO SENZA ETÀ
INTRIGHI AMOROSI, VIZI E VANITÀ DI UN MONDO IN CADUTA
LIBERA: DAL 16 AL 28 MARZO AL TEATRO ELISEO DI ROMA IN SCENA
UN GRANDE CAPOLAVORO DEL TEATRO ITALIANO
di Antonella Andriuolo, 22 anni
n affresco vivace della società settecentesca, un
piccolo mondo antico e il vivere quotidiano in una
Firenze d’epoca. Ma anche l’astuzia di una donna
libera ed emancipata che rivendica il diritto di sedurre ed
ammaliare, tenendo le fila della complessa macchina teatrale architettata da Goldoni, fautore, in quegli anni, di un
modello drammaturgico rivoluzionario. È proprio la sua
Locandiera, per la regia di Pietro Carriglio, che torna in
scena al Teatro Eliseo di Roma, dal 16 al 28 marzo, con i
suoi intrighi amorosi, i suoi colpi di scena ma, soprattutto, con i suoi personaggi; Fabrizio, il paziente cameriere,
il marchese di Forlimpopoli, nobile decaduto, il conte di
Albafiorita, ostentatore di ogni ricchezza, e il misogino
cavaliere di Ripafratta. Al centro, l’unica vera protagonista:
la locandiera Mirandolina. Per avvicinarci a questa enigmatica figura, che ancor oggi mantiene intatto il suo fascino, abbiamo intervistato chi la interpreta sul palco, l’attrice Galatea Ranzi.
In scena con un grande classico: La locandiera di Carlo
Goldoni. Iniziamo con una panoramica sullo spettacolo.
«La lettura che abbiamo realizzato di questo capolavoro di Goldoni, con la compagnia del Teatro Stabile di
Palermo, è sicuramente singolare; si tratta di un’opera
estremamente attuale poiché pone al centro la tematica
del rapporto fra uomo e donna. Mirandolina costituisce
il motore dell’intera vicenda, il fulcro dell’azione ed,
intorno a lei, ruotano, come satelliti, quattro uomini,
quattro figure maschili. Io credo che sia molto interes-
U
sante sottolineare l’elemento della seduzione e delle differenti maniere di sedurre che risiedono nella capacità,
squisitamente femminile, di saper reagire e confrontarsi
con diverse circostanze. Riproporre dei classici, anche se
rinnovati, è sempre un’operazione culturalmente valida
poiché aiuta a sviluppare la capacità critica dello spettatore: una persona che ha visto La locandiera dieci, venti
o trenta anni fa e che rivede oggi la stessa commedia,
effettua, anche inconsapevolmente, un lavoro di comparazione. Si innescano, in chi guarda, dei meccanismi di
valutazione, paragone, ricordo, di attenzione al confronto
fra un attore ed un altro, tra una regia ed un’altra. Tutto
questo mi conduce alla convinzione che il teatro sia da
interpretare come un strumento altamente formativo, non
solo negli anni della scuola ma nell’arco della vita».
Come lei ha anticipato, questa Locandiera non è come
tutte le altre: è una rappresentazione dal taglio nuovo ed
originale. Le chiedo, allora, a quale aspetto dell’opera
dovrebbe far maggiormente attenzione uno spettatore,
ovvero quale consiglio darebbe al pubblico per cogliere al
meglio questa chiave di lettura inedita?
«Il taglio nuovo che è stato conferito all’opera è immediatamente percepibile già a partire dalla scenografia,
curata dallo stesso regista (Pietro Cartiglio, ndr), una
scenografia molto scarna, costituita da tre panche ed un
tavolo, che punta all’essenzialità dell’ambiente. Già
questo, penso, potrebbe suggerire allo spettatore una
chiave di lettura rinnovata, che propone un Goldoni non
di maniera e sfrondato, nella commedia, di tutto quello
può essere convenzione settecentesca. È quindi un allestimento che sembra azzerare la linea temporale e che
si “avvicina”, visivamente e storicamente, al pubblico
39
Oggi Mirandolina
potrebbe essere una
donna in carriera, una
professionista, una
donna, dunque,
perfettamente calata nel
suo tempo e in cui è
facile identificarsi
Galatea Ranzi sul palco
nei panni di Mirandolina
odierno. Questo aspetto di immediatezza è stato ricercato anche nel linguaggio e nella scrittura su cui abbiamo lavorato molto cercando di renderla, pur rimanendo
fedeli all’originale, più asciutta e diretta».
Mirandolina, per la sua epoca, rappresenta sicuramente il
prototipo della donna moderna. Secondo lei, chi sono
oggi le contemporanee “Mirandoline”?
«La Mirandolina goldoniana è una donna che lavora, una
donna che sa scrivere e far di conto, per l’epoca, in effetti, una vera rarità. Oggi Mirandolina potrebbe essere una
donna in carriera, una professionista, una donna, dunque,
che vive a pieno la contemporaneità, perfettamente calata nel suo tempo ed in cui è facile identificarsi».
Lei ha lavorato non solo in teatro ma anche nel campo del
cinema e della tv. Cosa le ha lasciato ogni singola esperienza?
«Credo che per un attore avere la possibilità di provarsi con diversi mezzi sia l’ideale perché, in ognuno di
questi, è possibile sperimentare molteplici registri di
recitazione, espressione e comunicazione. Poter alternare teatro, cinema e tv sicuramente giova: quello che
impari al cinema o in tv lo riversi nel teatro e viceversa. Tuttavia, ci sono grandi differenze. In teatro, per
esempio, si approfondisce maggiormente lo studio del
personaggio, la ricerca diventa un progressivo sforzo di
labor limae che esorta ad un costante perfezionamento.
Cinema e televisione, al contrario, hanno tempi piuttosto rapidi ma, bisogna dirlo, vi sono anche numerosi
punti di contatto che facilitano il lavoro dell’attore».
E quanto ha inciso, se ha inciso, la sua formazione accademica?
«L’Accedemia d’Arte Drammatica varia di anno in anno,
nel senso che gli insegnanti che vi passano sono svariati. Io ho avuto però la fortuna di fare in accademia
degli incontri significativi; ho lavorato con Marisa
Fabbri, che reputo una mia grande maestra, e, sempre
in accademia, è avvenuto l’incontro con Luca Ronconi e
Paolo Terni, insegnante di storia della musica, che mi ha
16 | 28 marzo 2010
LA LOCANDIERA
di Carlo Goldoni
regia, scene e costumi
Pietro Carriglio
musiche Matteo D'Amico
luci Gigi Saccomandi
con Galatea Ranzi, Luca Lazzareschi,
Sergio Basile, Luciano Roman
con la partecipazione di
Nello Mascia
produzione Teatro Biondo Stabile di Palermo
Teatro Stabile di Catania
www.teatroeliseo.it
permesso di “aprire lo sguardo” anche verso una conoscenza musicale. Una marcia in più per chi fa questo
mestiere».
Come attrice, nel corso degli anni, ha prestato il suo volto
anche ad alcuni film che hanno avuto molto successo fra
i giovani. Quale potrebbe essere, quindi, il canale giusto
per avvicinare i ragazzi anche al mondo del teatro?
«Io trovo che i giovani siano realmente entusiasti del teatro.
La nuova generazione è una generazione attenta e partecipe a questo tipo d’arte. A noi è spesso capitato di fare delle
recite per delle scuole ed abbiamo riscontrato che la risposta dei ragazzi è sempre molto positiva. Ti racconto, a proposito, una mia esperienza personale: quando ho lavorato
a Siracusa, presso il teatro greco, interpretando le tragedie
classiche, opere molte volte studiate in classe, ho potuto
constatare un coinvolgimento dei più giovani davvero eccezionale, autentico. I ragazzi sentono il palcoscenico e si
appassionano. Forse più degli adulti».
Poesia
40
ISTANTANEE
IN VERSI
UN POETA? SÌ, MA NON È ABBASTANZA. UN VAGABONDO? SÌ, MA NON
SAREBBE DEL TUTTO GIUSTO. UN ALCOLIZZATO? FORSE, MA ALLA FINE LA
DEFINIZIONE MIGLIORE PER DESCRIVERE IL POETA GREGORY CORSO È
QUELLA DATA DA FERNANDA PIVANO: “UNA PERSONA IRRITANTE, MA NEL
CONTEMPO UN GENIO DALLA POTENZA UNICA”
di Alessandro Senzameno, 21 anni
icuramente non aveva il verso elaborato di
Ginsberg, né la mente visionaria di Kerouac, ma
possiamo dire senza troppe remore che le poesie
scritte tra il 1955, anno della sua prima pubblicazione,
e il 2001, anno della sua morte, sono tra le più belle,
dirette, cristalline e originali che il ’900 letterario abbia
mai visto. Nulla a che vedere con la poesia accademica
o con quella volutamente beat, Gregory Corso è un’altra
storia, una storia di vita prima di tutto. Appassionato di
fotografia, la Pivano ce lo descrive come un uomo che
si isolava dal mondo e che spesso vagava per New York
a fotografare tutto ciò che poteva essere immortalato.
Questo faceva nelle sue poesie, fotografava: attimi, cartelloni, frasi, funerali, perfino avvenimenti immaginari.
Leggendaria la poesia Bomb, a forma di fungo nucleare,
S
nella quale esprime l’amore per quella bomba che prima o
poi, se non lo ha già fatto, l’uomo costruirà.
Gregory Corso era diverso dagli altri, per molti era “il
Beat”, non era lo scrittore di Howl e nemmeno di On the
road, capostipiti di quella generazione maledetta, ma
forse ne è stato il vero rappresentante per lo stile di
vita. Lui stesso si riconosce nel Beat quando afferma:
“Il Beat è qualunque uomo che rompa il sentiero stabilito per seguire il sentiero destinato”. Lui lasciò quel
sentiero, quando andò in riformatorio per poi raggiungere il carcere. Qui si avvicinò ai grandi poeti e scrittori della letteratura anglosassone e mondiale tra cui
Marlowe, Shelley e Whitman.
Ma è Roma il luogo in cui raggiunse quello stato di precarietà che tanto aveva cercato nella sua vita. In molti
lo ricordano mentre veniva cacciato ubriaco dai pub di
Campo de’ Fiori, di Via del Governo Vecchio o di San
Callisto. A metà fra affascinante uomo di cultura e
insopportabile ubriacone, Corso è riuscito con
la sua vita a personificare la deriva, quel modo
di esistere che porta gli uomini a rifuggire dalla
realtà per buttarsi in un’altra apparentemente
più piacevole.
Dopo una vita di eccessi, che lo portò a capire
che “a volte anche l´inferno è un buon posto,
se serve a dimostrare con la sua esistenza che
deve esistere anche il suo contrario, cioè il
paradiso. E cos´è questo paradiso? La poesia”,
morì il 17 gennaio del 2001, a otto mesi dall’avvenimento che avrebbe messo in luce il concetto della sua Bomb: se amiamo qualcosa non
ci può far male.
Ora Gregory Corso riposa in quella città che, a
modo suo, gli ha permesso di raggiungere il
suo stato di estasi che altri, come Kerouac,
hanno raggiunto tramite la meditazione Zen:
Roma. Nel cimitero inglese, o acattolico, o
ancora dei poeti - chiamatelo come preferite poco sotto il suo amato Shelley, Corso riposa
beato e battuto, come la poesia che ha sempre
scritto, come la poesia che lo protegge incisa
sulla lapide: “Spirit / is Life / It flows thru / the
death of me / endlessy / like a river / unafraid /
of becoming / the sea.”
Da sinistra, Allen Ginsberg, Gregory Corso e Barney
Rosset negli anni Cinquanta in Washington Square
Park. Burt Glinn/Magnum Photos.
Reportage Scuola Holden
41
SALINGER’S
FUNERAL
PARTY
«CHI LI VUOLE I FIORI QUANDO SEI MORTO?». NOVE RACCONTI PER NOVE
LETTORI D’ECCEZIONE AL FUNERALE PIÙ INSOLITO DI QUESTO INIZIO ANNO
di Fiammetta Bertotto, 21 anni
.D. Salinger ci ha lasciato il 27 gennaio. Era un uomo
schivo, allergico alla fama; almeno, così è sempre
stato descritto e così l’ho sempre immaginato. Amava
scrivere, sì, ma solo per se stesso. Scrisse soprattutto di
bambini e fu un bambino in particolare a renderlo tanto
celebre, quanto Salinger non voleva proprio essere; finché
non si chiuse in se stesso e si ritirò dal mondo letterario.
Le sue non sono le solite storie sui bambini o per bambini. Non ci sono lupi e vecchiette, non ci sono streghe o
briciole di pane sparse sul sentiero. Quelli di Salinger
sono bambini non bambini: sono ribelli, buffi, intelligenti; sanno affrontare la vita e la morte. Sono a tratti cinici,
ma pur sempre cacciatori di sogni. Non solo d’infanzia ha
scritto, ma anche di uomini e donne, smarriti nelle loro
vite quotidiane, uniche e banali. Persi tra telefonate e rossetto, pesci banana e baseball, fantasticando su anatre e
uomini ghignanti.
Poi, luminosa e buia, c’è New York.
E’ in onore di questo universo, che la Scuola Holden ha
voluto commemorare la scomparsa di Salinger cui, del
resto, l’istituto torinese deve il nome. E’ stata una serata particolare, quella del 9 febbraio: pioggerellina invernale e lumini accesi per le scale. Una tromba, una chitarra e una poltrona rossa. Cuscini colorati e luci soffuse. Torte, biscotti, salatini e mandarini. Nove racconti e
una domanda.
Chi li vuole i fiori quando sei morto? Risposta: nessuno.
Oppure, tutti. Li vuole il rito, o chi non li ha ricevuti in
vita. Li vuole l’ape che gironzola per il cimitero, o i parenti del defunto. Li vuole il fiorista. Queste frasi, risposte più
simili a perle di saggezza, si sono susseguite in dissolvenza sul muro, a mo’ di sfondo dell’incontro.
Poi, su un palchetto lì vicino, i protagonisti. Nove racconti per nove lettori d’eccezione: Dario Voltolini,
Davide Longo, Ernesto Franco, Elena Varvello, Enrico
Remmert, Fabio Geda, Paolo Giordano, Letizia Muratori
e, infine, il preside della Scuola Holden, Alessandro
Baricco. Ognuno di loro non ha solo letto il racconto,
ma l’ha interpretato, facendolo suo, aggiungendoci il
proprio imbarazzo, il proprio divertimento, i propri pensieri e i propri insegnamenti.
Allo stesso modo i musicisti, i cui pezzi, tra un racconto
e l’altro, hanno contribuito a rendere la serata ancora più
J
ricca e coinvolgente, nel nome di un vero e proprio funeral party all’americana. Un’iniziativa da lodare, poiché
insolita e necessaria; non solo per ricordare la persona di
Salinger, ma per garantire ai suoi personaggi e alle loro
storie un ruolo duraturo tra le nostre fantasie, le nostre
chiacchiere e i nostri sorrisi.
Spero con tutta lʼanima che
quando morirò qualcuno avrà tanto
buonsenso da scaraventarmi nel fiume o
qualcosa del genere. Qualunque cosa,
piuttosto che ficcarmi in un dannato
cimitero. La gente che la domenica
viene a mettervi un mazzo di fiori sulla
pancia e tutte quelle cretinate. Chi li
vuole i fiori, quando sei morto? Nessuno
J.D.Salinger, Il giovane Holden, tr. It.
Einaudi, capitolo XX, pag 181
Recensione
43
HENRI
CARTIER-BRESSON:
L’ETERNITÀ IN UN
MOMENTO
UNA MOSTRA A PALAZZO DUCALE
HA RACCOLTO OLTRE QUARANTA
SCATTI REALIZZATI DURANTE DUE
VIAGGI IN RUSSIA NEL 1954 E 1972.
DOCUMENTI STORICI OPERA DEL
GRANDE FOTOGRAFO –
SCOMPARSO NEL 2004 – CHE SI
GUADAGNÒ L’APPELLATIVO DI
“OCCHIO DEL SECOLO”
di Ida Duretto, 18 anni
Liceo classico “DʼOria”
iuscire a “mettere sulla stessa linea di mira il cuore,
la mente e l’occhio”: questo è il segreto di un grande fotografo. Considerato il padre del fotogiornalismo, Henri Cartier Bresson fu il primo reporter occidentale
autorizzato a fotografare liberamente in Unione Sovietica,
durante il dopoguerra. Per la prima volta in Italia, a Genova,
vengono esposti oltre quaranta suoi scatti, realizzati durante i due viaggi in Russia (1954 e 1972) e raccolti nel libro
Henry Cartier-Bresson: A propos de l’URSS.
La mostra Henri Cartier-Bresson. Russia, alla Loggia degli
Abati di Palazzo Ducale, costituisce un importante documento storico, che permette di conoscere e di capire davvero un periodo difficile, come quello del dopoguerra sovietico. Bresson si guadagnò l’appellativo di “occhio del secolo”, grazie alla sua capacità di cogliere e immortalare, con la
macchina fotografica, quelli che definiva gli “istanti decisivi”. Nei suoi scatti, accanto alla Storia, fatta di grandi personaggi, spicca, per contrasto, la presenza del popolo, degli
umili, dei bambini. In una delle foto più significative dell’intera mostra si può osservare, in primo piano, il viso di una
bimba curiosa, che durante una parata militare si sporge tra
le schiere serrate dei fanti. A volte, invece, sono proprio i
personaggi importanti ad “affacciarsi” nei luoghi più semplici. In un’altra fotografia, i ritratti di Lenin e Stalin spiano
dall’alto alcuni operai alla mensa.
A Bresson interessa soprattutto la vita quotidiana, in
tutti i suoi aspetti, dal lavoro ai divertimenti, dalle fiere
agricole ai matrimoni. Non c’è nulla di più naturale che
due padri che, portando a spasso con il passeggino i
rispettivi figli, leggono il giornale, reggendolo con la
mano libera. E, infatti, anche questo quadretto si è
meritato uno scatto. Ma ciò che colpisce maggiormente
l’osservatore, oltre al realismo dei soggetti, è l’alta
espressività dei volti immortalati. Le figure di Bresson
sono davvero umane, vive, perché riescono a trasmettere una grande carica emotiva, solamente attraverso
R
uno sguardo. L’impiego della gestualità, del movimento,
come forma di comunicazione, è particolarmente accentuato, ad esempio, nella rappresentazione della
“Giornata dello Sport”, allo stadio Dynamo. Non sono
necessarie didascalie, né pannelli informativi, accanto
alle foto: esse sole bastano a soddisfare la curiosità e
a rispondere ad ogni domanda. Di fronte alla figura del
bambino, che si staglia sullo sfondo del lago Sevan,
tenuto in equilibrio dal padre con una sola mano, si
resta stupiti, ma appagati, quasi partecipi di un segreto inesplicabile. Forse lo stesso mistero che ci rende
tanto invidiosi dei pastori del Kirghizistan, soggetto di
un’altra delle fotografie in esposizione. Mentre li si
osserva pascolare placidi gli armenti, immersi in un paesaggio innevato, si percepisce la perfetta armonia con
la natura, di cui ormai la civiltà del progresso ha rotto
il delicato equilibrio. Si prova lo stesso sentimento nell’osservare i pescatori sul fiume ghiacciato o i pellegrini al monastero di Petchora: ci si sente unici testimoni di
un passato, di antiche consuetudini e valori, ormai perduti. Accanto a queste fotografie, veri e propri idilli bucolici, risalta quella dei binari, in costruzione, della nuova
ferrovia: il simbolo del progresso rapido e inarrestabile.
Henry Cartier-Bresson nella sua pellicola immortala l’istante ma, allo stesso tempo, rappresenta l’universale. I
soggetti ritratti, pur inquadrati in un particolare periodo
storico e in specifiche coordinate geografiche, non ne
sono condizionati, ma assumono una caratterizzazione a
tutto tondo. Perché come diceva lui stesso: «Le fotografie
possono raggiungere l'eternità attraverso il momento».
Nei suoi scatti, accanto alla
Storia fatta di grandi personaggi,
spicca, per contrasto, la presenza
del popolo
Recensioni
44
LIBRI
La figlia della fortuna
Di Isabel Allende, Feltrinelli, 333 pp., 8,00 euro
MUSICA
Dialetti D’Italia
Autori vari, Warner Music
Uscito in concomitanza con l’inizio
dell’ultima edizione del Festival di
Sanremo e prendendo evidentemente spunto dal dibattito sulla possibilità di presentare alla gara canzoni in
vernacolo, Dialetti d’Italia raccoglie i
maggiori successi della musica popolare italiana. Dalle Alpi (Montagne del me’ Piemont, La pastorala, Il
cjalzumit, La Valsugana) alle isole (Non potho reposare, Ciuri ciuri, Vitti ‘na crozza), dalla pianura padana
(L’uva fogarina, La bella Gigogin, Sciur padrun da li
beli braghi bianchi) al Meridione (Calabrisella, Quant’è
bello lu primm’ammore, Malafemmena, ‘O surdato
‘nnammurato) e al centro (Vola Vola, Tanto pe’ cantà),
le voci di cantanti e interpreti di tutte le epoche (basti pensare che le registrazioni sono quelle dagli anni
’30 agli anni ’70, artisti quali Casadei,
Villa, Modugno, Califano, Cinguetti, il Maestro Pregadio, Ranieri, Taranto, Vanoni, il Quartetto Cetra,
Rascel, i Ricchi & Poveri e tanti altri) ci accompagnano in un viaggio nel cuore delle più belle melodie della grande musica italiana e nei ricordi di una tradizione che si tramanda ormai da decenni. Come bonus
track due straordinari testi in napoletano e in genovese recitati rispettivamente da Totò (‘A livella) e da
Gilberto Govi (Ma se ghe penso). Una raccolta da avere in casa per la nostra cultura personale… o semplicemente per poter rendere felice qualcuno di una o
due generazioni più grandi, cantando con loro le canzoni che hanno fatto la storia della nostra musica.
Un motivo per ascoltarlo: Facciamo sentire come suona
bene il “sì” da queste parti!
Un motivo per non ascoltarlo: Se in campo musicale siete inguaribili e irrecuperabili esterofili.
Chiara Colasanti, 19 anni
Dopo la parentesi culinaria di Afrodita,
La figlia della fortuna ha segnato il ritorno della scrittrice alla modalità narrativa che più la caratterizza. Protagonista del romanzo è una giovane cilena,
Eliza, abbandonata sulla soglia di casa
dei fratelli inglesi Sommers, da poco arrivati a Valparaiso. Accettata e accolta
dalla famiglia, Eliza cresce tra due mondi del tutto opposti: da una parte l’eccentrica Rose la educa tra danze, pizzi e bustini, alla vita mondana, dall’altra la cuoca e governante india Mama Fresia la inizia alle gioie più autentiche
in mezzo a pentole e galline. La vita della giovane cambia
quando scoppia l’amore con Joaquìn, un giovane idealista
che si precipita all’entusiasmante corsa all’oro in California.
Da questo momento veniamo catapultati in un’altra realtà:
Eliza si recherà nelle terre aride e inospitali d’America per
ritrovare il suo amore, scoprendo nel contempo anche la
sua vera natura.
Un motivo per leggerlo: Ideale se vi piacciono gli amori contrastati e avventurosi.
Un motivo per non leggerlo: Se non siete appassionati di romanzi di formazione.
Elena Dardano, 16 anni
FILM
Avatar
Di James Cameron
Avatar è senza ombra di dubbio il fenomeno cinematografico dell’anno, un film
in grado di battere tutti i record d’incassi, tenendo a 500 milioni di distacco il
secondo classificato (Titanic, dello stesso regista James Cameron). Di pareri se
ne sono sentiti tanti, quasi esclusivamente positivi, ma non si possono tralasciare quelle poche e sfocate voci fuori dal coro che hanno dato del “furbacchione” a Cameron per essere sparito
dopo Titanic ed essere ricomparso 12 anni dopo con un altro Kolossal (con la K maiuscola).
Altra accusa, i molti film presi in “prestito” per l’ispirazione, partendo da una mascolina Sigourney Weaver che fa il
suo ingresso in scena alla Alien con tanto di sigaretta in
bocca, passando per Pochaontas, Balla coi lupi e il nostrano Aida degli alberi. Proprio il regista di quest’ultimo,
Guido Manuli, ha affermato che non può che essere contento se un regista come Cameron ha preso spunto da un
film poco conosciuto anche nel suo paese d’origine.
Un motivo per vederlo: È un film che va visto. Senza se e
senza ma.
Un motivo per non vederlo: Se volete andare controcorrente.
Alessandro Senzameno, 21 anni
Z a i . n e t è p e r i l d i r i t t o d i c r i t i c a … v o t a , c o n s i g l i a , s t ro n c a f i l m ,
45
LIBRI
OPERA
L’ultimo orco
Falstaff
Di Silvana De Mari, Salani editore, 717 pp., 18,60 euro
Regia di Franco Zeffirelli, Teatro dell’Opera di Roma
A una prima lettura, o a una lettura distratta, potrebbe sembrare un fantasy
come tanti altri, con gli stessi temi di
cavalleria e di guerra, i medesimi ideali che così spesso ricorrono, l’onore, l’amore donato incondizionatamente, il
coraggio, il valore, l’onestà. Eppure
ogni personaggio che si muove nel
mondo magico creato da Silvana De Mari possiede autonomia e personalità, ma soprattutto grande umanità. Protagonista della storia è un bambino grosso per la sua età,
Rankstrail, che per mantenere in vita la madre malata e la
sorella appena nata si vede costretto a trasgredire le leggi, a rubare, a ricevere frustate. Alla morte della madre malata, Rankstrail parte di nascosto per arruolarsi nell’armata mercenaria al servizio di un anziano folle e malvagio, il
giudice amministratore della città di Daligar. Nell’armata il
bambino diverrà ragazzo e poi uomo, scontrandosi con l’odio, la vergogna, gli egoismi, giungendo grazie alle sue capacità fino al comando di quel manipolo di pezzenti. Combattendo e vivendo, Rankstrail scoprirà verità latenti sul
mondo e su se stesso, comprendendo che orchi non si è
per nascita, ma per scelta.
Un motivo per leggerlo: Un libro intenso, sintesi mirabile fra fantasy ed epica.
Un motivo per non leggerlo: Se avete incrollabili pregiudizi sul genere fantasy.
Con il Falstaff di Giuseppe Verdi il Teatro dell’Opera di Roma ha inaugurato la
stagione 2010, insieme alla quale è stato dato il via anche al terzo ciclo di conferenze dal titolo Opera e Filosofia, cinque incontri dedicati agli studenti dei licei romani organizzati in collaborazione
con il settore didattica del teatro e l’università Roma Tre. Il 26 gennaio più di mille ragazzi hanno ascoltato il racconto dell’opera dalle parole del noto
musicologo Quirino Principe; il giorno successivo gli stessi
ragazzi hanno avuto l’opportunità di assistere allo spettacolo. Non starò, come faccio solitamente, a dare giudizi
tecnico-vocali sui singoli interpreti, ma mi soffermerò sui
ragazzi che entravano per la prima volta nel Teatro dell’Opera: espressioni sbalordite e sorrisi di emozione erano
presenti sui loro volti già prima dell’inizio dello spettacolo. Durante la rappresentazione il silenzio ha regnato sovrano e grandissimi applausi hanno salutato il direttore al
suo ingresso in buca dell’orchestra.
Un motivo per vederlo: Brillava di luce propria sulla
scena il mezzosoprano Francesca Franci, che come
sempre riesce a fare sua la parte e a dominare la scena come una vera prima donna dovrebbe saper fare.
Un motivo per non vederlo: Unico punto nero della serata la prova del cast sostanzialmente disomogeneo e
non adatto alla situazione.
Marco Felici, 17 anni
Jacopo Zoffoli, 21 anni
DA NON PERDERE
È morto Tito
Di Zandonai Editore, 122pp., 13,50 Euro
«In paese da giorni non si parlava d’altro. Il televisore era incandescente, e il nonno non capiva perché mai un uomo appena morto e già sottoterra corresse di qua e di là sullo schermo. Cosa gli passasse per la testa, al nonno, se confinasse quest’apparizione di Tito nel regno della magia, degli angeli o del demonio o la percepisse come un mistero del mondo moderno, non lo saprò mai. So soltanto che le immagini tremolanti lo irritavano. In
special modo le famose scene d’amore nei film americani, quelle lo travolgevano con la forza sibillina
di una cascata». Inizia così “E’ morto Tito”, raccolta di racconti della scrittrice dalmata Marica Bodrožić, tradotta in italiano dal tedesco per la prima volta da Zandonai Editore. Accolti in Germania,
terra d’adozione della Bodrožić (classe 1973), con grande successo di pubblico e critica, questi ventidue racconti dipingono con inaspettata potenza lirica e uno stile raffinato e quasi sempre vibrante il
disgregarsi della Jugoslavia. Secondo Claudio Magris, che firma la prefazione del libro, ci troviamo
di fronte a «una delle più singolari, fresche e originali voci della letteratura tedesca contemporanea».
l i b r i , m u s i c a e a l t r o s u i s i t i w w w. z a i . n e t e w w w. s t r o n c a . n e t
Vivere di periferia
46
ASPETTANDO IL 16 APRILE…
DIETRO LE QUINTE
FORSE È ANCORA UN PO’ PRESTO PER FARE IL BACKSTAGE DI
“VIVERE DI PERIFERIA”, MA DA UN ISTITUTO MILANESE È
ARRIVATA QUESTA BELLISSIMA TESTIMONIANZA E COSÌ NON
ABBIAMO SAPUTO RESISTERE
Di Alida Parisi, docente dellʼIstituto “Pareto”
Fotografie di S.K., 18 anni
l concorso “Vivere di periferia” è stato accolto con
grande entusiasmo da parte dei ragazzi perché è una
di quelle rare occasioni in cui possono parlare liberamente del loro vissuto e soprattutto possono esprimersi con estrema sincerità su ciò che amano di più, su
ciò che detestano ed anche su come vorrebbero che fossero la loro vita, il loro quartiere, il loro gruppo di amici,
la loro famiglia, i loro insegnanti, il loro futuro.
Quando si parla di periferie è automatico focalizzarne
immediatamente il degrado, e le diverse caratterizzazioni
rimandano tutte ai soliti cliché: luoghi abbandonati o
addirittura non-luoghi, città dormitorio dove la vita è
immobile, anche se quotidianamente vissuta, dai giovani,
nei parchetti, nei cortili, negli scantinati, negli oratori. Non
a scuola, né nelle biblioteche, né nei centri culturali.
Eppure spesso le scuole di periferia, come anche le parrocchie e le biblioteche o le diverse associazioni che operano su questi territori, si attivano in progetti extrascolastici, quindi pomeridiani, in genere legati allo sport, a
volte al teatro o al cinema, il cui fine ultimo è tenere
quanto più possibile i giovani in luoghi ‘protetti’, lontani
da incontri, rapporti e scambi non sempre sani.
Si tratta di inventarsi ogni volta qualcosa di ‘interessante’ per vincere la noia e la carenza di cultura. Ma la sete
di avventura, il bisogno di ideali, la ricerca di idoli si contrappongono continuamente alla mancanza di aspirazioni,
alla tristezza dilagante e alla rassegnazione serpeggiante
in ogni battuta. O almeno sembrerebbe così. Sicuramente
la ricerca di idoli ed eroi, in un ambito carente di cultura,
spinge ad adottare quelli che offrono i mass media e i
social network: il modello vincente, cioè di successo, è
I
quello legato all’esteriorità, alla banalità, al danaro, facile, abbondante e
non-importa-come… Ma non è poi, in
fondo, esattamente così; i giovani, è
nella loro fisiologia, hanno la capacità
di sorprendere sempre e di meravigliare chi riesce ad osservarli e ad
ascoltarli, rinunciando ad ogni attacco
di facile cinismo e gratuito sarcasmo.
In occasione del concorso, quando si
è trattato di pensare al soggetto, di
immaginare le scene del cortometraggio, di definire i pensieri, di ‘fotografare’ i paesaggi, di riprendere le
espressioni dei volti e di fissare i
momenti clou, accanto al racconto del
degrado è emerso un mondo di sentimenti, di storie di amicizia, di passione per l’arte, di entusiasmo creativo,
di aspirazioni per il futuro, di legame
e orgoglio per il proprio quartiere, di
riscoperta di quegli spazi, pochi, che
pure esistono e che, nel corso degli
anni, hanno fatto parte della loro crescita. In definitiva un’immagine del
‘loro territorio’ inteso come lo era per
le antiche tribù di indiani, di loro proprietà, conosciuto nei minimi particolari, nel bene e nel male.
Le periferie sono luoghi di periferia,
non ci sono le discoteche, è vero, non
47
potranno mai avere cinema come lo storico Odeon del centro, al massimo dei Multisala. Ma sono come quei cieli
azzurri, impressi in qualche romantico scatto fotografico,
con qualche nuvola grigia, qualche altra bianca e qualche
antenna tivù proiettata verso l’infinito. Conservano la tristezza degli edifici brutti e grigi (o eccessivamente colorati),
delle strade a volte rotte e in alcune ore vuote e desolate,
ma anche lo sguardo affettuoso di chi, avendole vissute da
sempre, riesce a trovarci il posto 'bello', a volte a crearlo, e
confida in un futuro più vivibile, che allontani sempre di più
da quei luoghi la condizione e il ricordo dei vecchi stereotipi.
Alcuni suggestivi scorci del quartiere Quarto Oggiaro e
della stazione centrale di Milano.
GLI SMS DEI RAGAZZI
Salve prof! Poi domani le spieghiamo tutto, è tardi per kiamarla ora. Abbiamo girato fino
alle 6… Ma ci siamo divertiti =)
domani registra l’Elisa e un
pezzo io… Ci vediamo domani, grazie prof!
Ciao ragazzi…! Salve Prof..! Ho
gli ultimi aggiornamenti del
cortometraggio x domani…
Allora, mangiano tt insieme al
bar della scuola, ...HO CANCELLATO REGISTA E TECNICO.
Poi andiamo tt insieme al bocciodromo dove insieme fare il
graffito.. Nn so qnt tempo metteremo… ma ci divertiremo
Pensate a qlk frase da scrivere… Cmq credo k andiamo a
piedi… Il graffito verrà fatto a
Bruzzano… Poi al max decideremo cm arrivarci… Ale e Eli, mi
raccomando dobbiamo essere vestiti cm il giorno dll riprese… beh, credo di aver dtt tt..
se nn capite ditemelo =)
Salve Prof..! No, non sto sentendo nessuno perché sto provando a studiare economia politica =) anche per me comunque è stata una bella esperienza, mi sono divertita un sacco
e soprattutto almeno si conoscerà in giro come viviamo
all’interno dei nostri quartieri =)
Il concorso si concluderà il 16
aprile 2010 a Roma con la
premiazione dei migliori lavori.
Vi aspettiamo!
www.viverediperiferia.it
52
STORIA:
Intervista impossibile
con Cavour
COSTUME &
SOCIETÀ
56
EUROPA SOTTO I VENTI:
Viaggio in Irlanda
Architettura
50
CAPITALI ITALIANE
NEL MONDO
MODELLANDO I QUARTIERI E LE CITTA’, GLI ITALIANI HANNO LASCIATO I
SEGNI DELL’UNITA’ NAZIONALE ANCHE ALL’ESTERO. TORINO VI ASPETTA
PER UNA MOSTRA DA NON PERDERE
di Caterina Mascolo, 20 anni
e immaginando il 2011 non riuscite a scorgere
altro se non una terribile ansia da scrutini/esame di
maturità non disperate: ecco almeno una buona
motivazione che renderà speciale questi lunghi dodici
mesi! L’Italia celebrerà difatti il centocinquantesimo anniversario dell’unità nazionale. Ogni candelina nasconde i
volti dei personaggi che si sono battuti per un paese finalmente unito (li ritroviamo spesso, ieratici ed un po’ noiosi, nelle pagine da studiare), degli eventi cruciali capaci di
segnare per sempre (“eis aei”, avrebbe detto Tucidide) l’evoluzione di una storia tessuta con barricate, assalti e
canzoni. Potrete approfondire gli sviluppi, le conseguenze
ed i percorsi battuti da quest’epoca così decisiva non solo
con la regolare didattica, ma anche con l’aiuto di numerosi speciali ed approfondimenti, sia bibliografici che televisivi, basati proprio sul fatidico 1861.
Meno esplorato e poco conosciuto risulta invece il prodotto, in qualche modo “estero”, della nostra unificazione. Questo processo implica l’assunzione di una sola
capitale: prima di Roma, già Firenze e Torino assursero
a prime città della nazione. La cornice di tale esperienza non si limita però ai soli confini italiani: esiste infatti una fondamentale, parallela storia dei segni culturaliarchitettonici-urbanistici che i nostri emigrati sono
riusciti ad imprimere nei luoghi e nelle città in cui si stabilirono. Non sono affatto sporadici i territori, o meglio,
le stesse capitali straniere che possono dirsi molto
influenzate dai nostri costumi: dall’edilizia alla gastro-
S
nomia, dal creare nuovi spazi al far conoscere usi e
costumi lontani, gli italiani si sono distinti per gettare
solide radici nei paesi di emigrazione.
Albania, Etiopia, Argentina, Stati Uniti: la forma mentis
e le abitudini tipiche del nostro vivere hanno viaggiato
e si sono sedimentate su patrimoni culturali diversi,
generando situazioni ogni volta differenti, peculiari e
ricche di spunti innovativi. Tutti questi apporti fecondi
sono stati analizzati nel lavoro di “Capitali italiane nel
mondo 1861-2011”, un’iniziativa che descrive l’impronta
italiana all’estero, concentrandosi sull’architettura come
strumento visibile e concreto di imprinting culturale,
ideologico e sociale. Attraverso lo studio della conformazione e della trasformazione degli ambienti di inseNew York Times Building
arch. Renzo Piano
51
Buenos Aires, scorcio del quartiere La Boca; nella
pagina accanto Berlino, cantiere Stadtschloss,
arch. Franco Stella (foto di Filippo Proietti)
diamento, in primis i quartieri, si raggiunge l’interessante obbiettivo di comprendere quali siano stati i
modelli di comportamento esportati, quali le abitudini di
vita, quali le relazioni sociali ed il mescolarsi di culture
implicato da movimenti così massicci. Affiorano così i
valori e gli apporti economici scaturiti da ben 150 anni di
emigrazione italiana, principi che concorrono ad illuminare una più precisa ed esatta comprensione del ruolo ricoperto dalle nostre generazioni passate nel mondo, una
posizione caratterizzata non da staticità, bensì da un
incessante e tumultuoso mutamento.
Questo continuo incedere di cambiamenti ed evoluzioni
è utile non solo per una maggior chiarezza storica, ma
soprattutto per la nostra autocoscienza di oggi: capire,
non solo fantasticare, su ciò che eravamo è un presupposto necessario per riappropriarci dell’identità che
oggi ci distingue. La valorizzazione del ricco patrimonio
del lavoro italiano all’estero deve essere però ricompreso nel solco della storia identitaria nazionale, con un’attenzione particolare rivolta proprio agli studenti e ai
giovani. Curiosi di investigare tutti i cenni di questo
nodale processo, anche quelli più erosi dallo scorrere
del tempo? Torino vi aspetta! Il progetto “Capitali italia-
ne nel mondo”, realizzato dalla Regione Piemonte e
dall’Ordine degli Architetti di Torino, sarà reso ancor più
esplicito dall’allestimento nella sede delle ex OGROfficine Grandi Riparazioni. Lo scenario è molto suggestivo: queste officine infatti rappresentano uno degli
esempi più affascinanti dell’odierna archeologia industriale. L’esposizione ha inoltre ricevuto il contributo
fondamentale del centro “Altreitalie”, il cui scopo è
quello di ricomporre l’identità italiana nel mondo,
ripercorrendone le vicende geografiche e storiche. Il racconto all’interno dell’allestimento procederà per
macroaree territoriali, alle quali corrisponderanno altrettanti vincoli tematici.
Per l’epoca pre-unitaria saranno visionati centri come
Vienna e San Pietroburgo, l’oriente sarà invece scrutato
attraverso le manifestazioni presenti a Istanbul e
Bangkok. Le facce meno note dell’America saranno svelate mediante le immagini di New York come di Buenos
Aires; un’altra importante sezione comprenderà i flussi
creativi verso Tunisi ed Asmara, Tirana e Tripoli. In conclusione, non mancherà un focus sugli spostamenti post
bellici: qui le protagoniste saranno Berlino e Barcellona.
La complessità delle molteplici sfaccettature di questi
diversi insediamenti emergerà attraverso l’uso non solo
di immagini, ma anche di interviste, maquettes e progetti volti agli spazi del vivere quotidiano quanto all’architettura di professionisti. Ogni storia per essere raccontata ha bisogno di un linguaggio: l’architettura sarà
il nostro vocabolario per penetrare tutti gli aspetti di
questo fenomeno. Abbandonando una visione pauperistica poco utile al fine di un giusto inquadramento storico, il progetto coniuga ed associa la storia dell’emigrazione alla storia degli edifici, costruzioni a loro volta
manifesti di concezioni abitative. Un’anticipazione del
gioco di specchi tra modo di vivere e modalità costruttive? La nostra abitudine di fare di ogni incrocio una
piazza, con una precisa volontà di appropriazione dello
spazio pubblico. Ancora turbati da esami futuri?
Potreste sfruttare questo evento per prepararvi sui 150
anni dell’unità… il tema si presta certo a scommesse!
Intervista impossibile
52
UN CAFFÈ
CON CAMILLO BENSO
CONTE DI CAVOUR
È STATO IL REGISTA DELL’UNIFICAZIONE ITALIANA, IL POLITICO PIÙ
LUNGIMIRANTE E SPREGIUDICATO DEL RISORGIMENTO. IN OGNI CITTÀ UNA
VIA IMPORTANTE O UNA PIAZZA PORTA IL SUO NOME: NEL BICENTENARIO
DALLA NASCITA, È GIUNTO IL MOMENTO DI CONOSCERLO DA VICINO
di Samuele Sicchio, 21 anni
facoltà di Giurisprudenza
odernizzatore del piccolo Regno di Piemonte e
Sardegna, ideatore dell'alleanza con la Francia,
uomo colto, poliglotta, amante della buona
tavola e del buon vino, Camillo Benso conte di Cavour
ha realizzato in dieci anni ciò che si vagheggiava ormai
da un secolo, ovvero l'unificazione degli stati italiani in
una sola nazione. Lo raggiungiamo nella sua residenza
torinese di via Lagrange, ormai quasi nel centocinquantenario della prima seduta plenaria del Parlamento del
nuovo Regno d'Italia, da lui presieduta il 17 marzo 1861.
Perché il Regno di Piemonte?
«Tutti i moti rivoluzionari che avevano per obiettivo l'unificazione sono falliti. Perché? Perché a prendervi parte
sono sempre stati pochi uomini, certamente motivati, ma
senza possibilità di farcela. Borghesi, intellettuali, politici,
uomini di cultura, tutti patrioti, ma sempre e solo un gruppo poco numeroso: le masse non hanno mai partecipato
M
a questi moti, e non sanno quasi nulla della nostra volontà di unire la nazione. Il Regno di Piemonte e Sardegna è
l'unico stato italiano ad avere la possibilità di creare
un'alleanza militare e politica per sfidare l'Impero asburgico, l'unico a disporre di un esercito, di infrastrutture, e
soprattutto della volontà di farlo. Per questo ho voluto
prima ammodernarlo, poi unire le forze politiche del parlamento di Torino, infine cercare un'alleanza con la
Francia, perché da soli non avremmo mai potuto farcela».
E la Crimea?
«E' stato un modo per far conoscere il Regno di Piemonte
alle grandi potenze europee, Francia e Inghilterra in primis. I nostri 15.000 bersaglieri si sono distinti alla
Battaglia del fiume Chernaya, permettendomi di sedere al
tavolo della pace e portare l'attenzione internazionale
sulla situazione italiana».
Cos'è la politica del "connubio"?
«E' l'alleanza politica che ho personalmente promosso tra
liberali e democratici nel Parlamento di Torino: ho voluto
che tutti mettessero da parte le proprie divisioni politiche,
almeno finché non fosse avvenuta l'unificazione. Insieme
53
abbiamo promosso una politica di forte laicizzazione e
industrializzazione del Regno di Piemonte. Abbiamo realizzato grandi riforme, innovazioni agricole e zootecniche,
riformato l'esercito aggiornandolo a criteri moderni,
migliorato il bilancio statale».
E' stato difficile ottenere l'alleanza con la Francia?
«Diciamo che gran parte del merito va a mia cugina, la
contessa di Castiglione, Virginia Oldoini: l'ho spedita in
Francia a perorare la nostra causa con le sue grazie (sorride, ndr), e l'effetto su Napoleone III non è mancato: gli
Accordi di Plombierès (del 1859, nei quali la Francia si
impegnava a scendere in campo al fianco del Regno di
Piemonte in caso di aggressione austriaca, ndr) sono frutto anche delle sue capacità deduttive».
Poi tutti in guerra.
«Era inevitabile. L'Impero asburgico non avrebbe mai
ceduto il Lombardo-Veneto pacificamente. E l'Austria, a
livello militare e territoriale, è sempre stata il più grande
ostacolo al nostro progetto. Così, nell'aprile del 1859, le
abbiamo mosso guerra per la seconda volta».
Ve la siete vista brutta a Solferino e a San Martino? «In
effetti sì, ma ci siamo battuti alla pari e forse meglio dei
nostri alleati francesi, quella giornata resterà nella nostra
storia militare. I francesi hanno combattuto a Solferino,
noi a San Martino. Assalti, contrassalti, ritirate, scontri
all'arma bianca. Fu la più sanguinosa battaglia del XIX
secolo: 30.000 tra morti, feriti e dispersi in un solo giorno di scontri. Ricordo che a San Martino l'esito della battaglia rimase incerto fino a sera, quando una carica dei
nostri carabinieri a cavallo sloggiò finalmente gli austriaci
dal paese e ci consegnò la vittoria. Era il 24 giugno 1859;
lo scontro pose fine alla Seconda Guerra d'Indipendenza».
Che conseguenze ha avuto la battaglia?
«L'armistizio di Villafranca di Verona. Pare che Napoleone
III restò tanto impressionato dal numero delle vittime che
decise di venire a patti con gli austriaci. Noi avremmo proseguito la guerra, ma da soli non ce l'avremmo mai fatta.
Inoltre, è "merito" di quella battaglia se è nata la Croce
Rossa, sa? C'erano così tanti feriti, un vero massacro. E un
imprenditore svizzero lì di passaggio, Henri Dunant, pensò
bene di creare il primo embrione di un servizio di assistenza sanitaria non militare per i soldati feriti».
E poi c'è stata la spedizione dei Mille...
«Sì. Con un occhio al Papa e un altro alla reazione che
avrebbero avuto le grandi potenze, Francia e Inghilterra in
primis, abbiamo lasciato che Garibaldi partisse. All'inizio
non credevo che avrebbe avuto successo, ma il generale
si è battuto come un leone, la Sicilia è insorta e l'ha
seguito, e così tutto si è compiuto».
Com'è stato il suo rapporto con Garibaldi?
«Sicuramente molto problematico, ma entrambi sapevamo
di volere la stessa cosa. Solo, la volevamo ottenere in due
modi diversi. Siamo stati rispettivamente la mente e il
cuore dell'unificazione».
Cosa pensa dell'annessione del Mezzogiorno?
«Che certamente, sin dall'epoca romana, l'Italia è sempre
stata una, e che il Mezzogiorno è naturalmente parte di
essa. Non si può pensare all'Italia senza pensare al Sud,
così come non si può pensare all'Italia senza pensare alle
Isole, al Centro, al Nord».
Riusciamo a rivolgere al conte anche una domanda sull'attualità, al di fuori dell'intervista. Quali sono invece,
oggi, i problemi dell'Italia?
«Sicuramente la quasi totale mancanza di meritocrazia,
una cultura molto spesso arretrata e provinciale, l'ignoranza, le nuove forme di povertà, la subordinazione nei
confronti della Santa Sede nelle scelte di laicità fondamentali, la cronica e irrisolta situazione di arretratezza del
Mezzogiorno, con annessa la grave piaga della mafia, che
finalmente, vedo, si sta combattendo con maggior vigore.
Come non aggiungere, poi, la televisione, sempre più
piena di programmi spazzatura e contenuti non solo scadenti, ma anche volgari e diseducativi... Spero infine che
le celebrazioni per il centocinquantenario dell'Unificazione
non siano solcate da polemiche sterili e inutili, ma siano
l'inizio di un nuovo sentire la nostra identità nazionale».
Per le immagini presenti in queste pagine si ringrazia particolarmente l’Associazione Amici della Fondazione
Camillo Benso di Cavour, sito: www.camillocavour.com
CAVOUR A ROMA. BICENTENARIO DELLA NASCITA 1810-2010
Si è appena conclusa nella Capitale la mostra che ha dato inizio alle manifestazioni per il
bicentenario della nascita di Cavour. Prodotto dall’Associazione “Amici”, con il contributo della
Regione Piemonte, Assessorato alla Cultura, l’evento, organizzato presso la sede romana della
Regione Piemonte, ha avuto un forte significato simbolico: Cavour non poté andare a Roma
da vivo, in quanto la sua prematura scomparsa il 6 giugno 1861 gli lasciò solo il tempo d’indicarla come capitale ideale dell’Italia unita al Parlamento riunito a Torino, invitando a sacrificare l’orgoglio piemontese in nome di un simbolo in cui tutti gli italiani si sarebbero potuti facilmente riconoscere. La mostra ha ricostruito, in collaborazione con la fondazione Cavour e con
la supervisione di storici del Risorgimento, gli ambienti e gli ambiti in cui si formò e agì Camillo
Benso di Cavour evidenziando lo spirito, il metodo e gli ingranaggi della sua attività politica,
dando così ai visitatori l’occasione di ripercorrere pagine significative del Risorgimento inserite
nel contesto italiano, europeo e mondiale.
Viaggi
54
TUTTI IN CLASSE TURISTICA!
C’È TEMPO FINO AL 31 MARZO PER ISCRIVERSI AL CONCORSO
ORGANIZZATO DAL TOURING CLUB ITALIANO IN COLLABORZIONE CON IL
MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE. LE DIECI CLASSI FINALISTE
SARANNO INVITATE AL FESTIVAL DEL TURISMO SCOLASTICO, DAL 28 AL 30
OTTOBRE A BENEVENTO
empo di gite scolastiche. Per molti studenti la primavera segna il momento più atteso dell’anno, subito dopo l’estate. Preparata la valigia tutti siamo
pronti per partire alla conquista delle capitali europee.
Parigi, Berlino, Praga, Atene. Ma quanti sono anche i tesori che le città italiane nascondono, tutti da scoprire?
La gita scolastica rappresenta un momento di socializzazione unico: nascono nuove amicizie, si conoscono i
professori da un altro punto di vista, si sta insieme. Non
bisogna però dimenticare che accanto a tutto questo i
giorni di viaggio d’istruzione costituiscono un’occasione
T
importante per la formazione di ogni studente. Vedere
opere d’arte, visitare musei, conoscere meglio il patrimonio culturale e ambientale che ogni luogo ci offre:
anche questa è cultura. Per riflettere sui cento e più significati della gita scolastica, valorizzare la programmazione didattica e culturale delle scuole e sensibilizzare
gli studenti alla conoscenza del territorio che si visita o
in cui si vive è nato quattro anni fa Classe Turistica, il
festival del turismo scolastico. Organizzato dal Touring
Club Italiano in collaborazione con il ministero della
Pubblica Istruzione, dopo il successo delle precedenti
COME PARTECIPARE
Partecipare con la propria classe al concorso Classe Turistica, organizzato dal Touring Club
Italiano con la collaborazione del Ministero della Pubblica Istruzione è semplice. È infatti sufficiente inviare la domanda di partecipazione compilata in ogni sua parte (si può scaricare dal
sito internet www.classeturistica.it) entro il 31 marzo 2010. Le sezioni in cui gli studenti delle classi possono gareggiare sono due: “Un viaggio di classe” – per raccontare l’esperienza di una
gita d’istruzione svolta – e “Vieni da noi” – per proporre il proprio territorio quale ipotetica meta
di viaggio. Non ci sono limiti se non quelli della fantasia: dai disegni alle sceneggiature per un
corto, dai diari di viaggio alle fotografie. L’importante è che il materiale sia consegnato su cd
o dvd, come da regolamento (pubblicato sempre sul sito www.classeturistica.it). Le dieci classi finaliste, accompagnate dai docenti, saranno invitate al Festival che si terrà dal 28 al 30 ottobre a Benevento. In quell’occasione verranno visionati i progetti e premiati i vincitori. Il tutto fra
momenti di socializzazione con studenti provenienti da tutta Italia e visite guidate.
edizioni si svolge quest’anno dal 28 al 30 ottobre 2010 a
Benevento. Tre giorni in cui verranno visionati i lavori delle 10 classi risultate finaliste e premiati i vincitori. Ma il
programma sarà ricco di appuntamenti, dalle visite alle
città, alle attività ludiche e sportive e altro ancora.
Tutti i perché di una gita
Prendere e partire. Per noi giovani del 2010 è molto più
semplice che in passato. E se cinquant’anni fa i nostri
nonni sono andati in viaggio di nozze a pochi passi, oggi per noi è abitudine organizzare le vacanze estive – o,
perché no, anche qualche weekend lungo – a centinaia
se non migliaia di chilometri da casa. Merito dell’innovazione tecnologica, dell’abbattimento dei confini e dei
nuovi costumi sociali. Eppure, nonostante il viaggio non
sia più un “evento” come un tempo, la gita scolastica
continua a mantenere una sua aura tutta magica. Resta
il momento per sancire amicizie, spezzare cuori, concludere idealmente un anno scolastico o la fine di un percorso non sempre facile o piacevole. La gita è un modo
per essere “gruppo”, nell’età in cui questa parola ha un
senso, è avere 18 anni e sentirsi cittadini del mondo, è
il ricordo della scuola che ognuno si porterà dentro anche da adulto. E che rivivrà forse, un giorno, da tutta
un’altra prospettiva.
Due sono le sezioni in cui le classi possono cimentarsi
nel raccontare questa esperienza. “Un viaggio di classe”, destinata a raccogliere i contributi delle classi che
vogliono descrivere un viaggio d’istruzione svolto, e
“Vieni da noi”, rivolto invece a promuovere il proprio
territorio quale potenziale meta per una gita scolastica.
Racconti, diari, guide, fotografie, reportage, manifesti,
video, spot, corti, sceneggiature, disegni. Le modalità
per partecipare sono numerose e l’unico limite è dettato dalla creatività. Ogni istituto può partecipare con più
classi, ognuna con un proprio elaborato. Una giuria di
esperti valuterà tutti i progetti pervenuti selezionando i
10 migliori, i cui autori saranno invitati a partecipare
gratuitamente al Festival.
DATE UTILI
31 marzo: termine ultimo per inviare al
Touring Club Italiano l’iscrizione della propria classe. 31 maggio: termine per l’invio
del materiale da sottoporre alla Giuria del
concorso. Tutte le informazioni sono reperibili sul sito www.classeturistica.it
Europa sotto i venti
56
Blarney Castle. In questo maniero è racchiusa
la leggenda della pietra dell’eloquenza che,
se baciata in un determinato modo, può
donare il dono della dialettica.
TUTTI I COLORI DEL VERDE
TRA CASTELLI, QUADRIFOGLI E SENSAZIONI DEL TUTTO INEDITE, IL MIO
DIARIO DI BORDO ALLA SCOPERTA DELL’ISOLA DI SMERALDO
di Ilenia Melodia, 17 anni
Liceo classico “E. Duni”
are un viaggio da soli è sicuramente una delle esperienze più importanti per un 17enne; lo sanno bene
le centinaia di ragazzi che ogni anno decidono di
trascorrere un periodo di vacanza-studio all’estero (in
Italia sono diversi le strutture che offrono questa opportunità: Inpdap, Intercultura, Wep, Interstudio Viaggi, Cts,
solo per citarne alcuni). Quest’idea è venuta in mente a
138 ragazzi – tra cui la sottoscritta – provenienti da diverse città italiane, che si sono rivolti all’Inpdap: esattamente cinque mesi dopo eravamo su un aereo, destinazione:
Irlanda. Durata del soggiorno: 15 giorni.
Di questa terra sapevamo ben poco, eppure la sentivamo
già molto vicina a noi. Il clima è freddo (l’estate irlandese corrisponde a un autunno inoltrato italiano) e, a fronte dei nostri 40°, sembrava un’impresa riuscire a resistere
dopo aver già affrontato l’inverno. Tuttavia, la voglia di
vivere questa esperienza era forte e, imbarcate le valigie
all’aeroporto e salutati calorosamente i parenti, siamo
partiti pieni di entusiasmo.
F
Da Limerick a Cork
L’accoglienza del clima irlandese non è delle migliori: cielo
grigio e pioggia battente sui nostri k-way. Siamo divisi in
due gruppi, ciascuno dei quali si reca a scuola di mattina
e fa le escursioni nel pomeriggio (poi, nella seconda settimana, il programma si inverte). Ci sistemiamo a
Limerick, nota città dell’omonima contea situata nella
parte sud-occidentale del paese - il cui nome in gaelico
(l’antica lingua irlandese) significa “Palude deserta” conosciuta anche come “Città dei coltelli” a causa delle
innumerevoli battaglie combattute nei suoi pressi.
La prima escursione è presto nel pomeriggio, nell’ora in
cui il cielo prepara la sua quotidiana pioggia; dopo un’ora di pullman arriviamo alla celebre Rock of Cashel, detta
anche Rocca di San Patrizio, dedicata al protettore
dell’Irlanda. Si tratta di una cattedrale gotica nel cui retro
potremo visitare un cimitero pieno di croci gaeliche (o celtiche). Il vento è freddo: una salita conduce all’ingresso
della costruzione che ci appare, meravigliosa e maestosa,
alla nostra destra; in alcuni punti manca il tetto, la pioggia cade dentro donando all’atmosfera un quid di magico.
Usciamo dalla rocca, immergendoci nel verde e tra la moltitudine di croci e tombe. Potrebbe essere il perfetto scenario di un episodio della saga di Harry Potter, così passeggiamo per questo set naturale e scattiamo foto ovunque. I nostri occhi brillano di mille colori e in noi, 138 giovanissimi e inesperti cittadini del mondo, c’è la sensazione di sentirci parte del globo.
Tra serate di karaoke e sport, passano i giorni, quindi
eccoci alla volta del Blarney Castle. Situato nella contea
di Cork, è noto per una curiosa leggenda: una pietra, la
Blarney Stone (Pietra dell’Eloquenza), posta nel punto più
alto del castello (per raggiungerla bisogna salire 1200 gradini), sarebbe in grado di assicurare il dono della dialettica a chi la bacia sdraiandosi sulla schiena e rimanendo
sospeso nel vuoto. Alcuni si lanciano nell’impresa, altri
preferiscono rinunciare: l’eloquenza può attendere.
Il castello è circondato da un giardino stupendo: sembra
di essere in un paradiso terrestre. Il verde, il cielo grigio,
il sole debole incitano alla ricerca di noi stessi: ci sentiamo come Ulisse che cerca la sua Itaca. Gli irlandesi sono
gentili e all’ingresso del castello allietano la nostra attesa
suonandoci qualcosa e facendoci scorrere davanti agli
occhi, come in un veloce trailer, tutte le immagini che
57
Uno scorcio di paradiso irlandese
nel giardino di Blarney castle.
l’Irlanda propone di sé.
Poi siamo a Cork, una delle città più importanti subito
dopo Dublino, che si presenta frenetica, quasi poco accogliente (ma la cornice in cui si trova è così bella che non
ci facciamo nemmeno caso).
Il meteo è sempre lo stesso: cielo nuvoloso e temperature intorno ai 10°; i nostri group leader ci lasciano due ore
di libertà da poter dedicare allo shopping. Finalmente si
fanno acquisti! Giriamo per il centro della città liberi,
spensierati, ci siamo solo noi e chilometri da percorrere
tra negozi e pub. Specialmente nel tardo pomeriggio,
molte persone si ritrovano nei locali per bere orgogliose
la loro Guinness, birra dal sapore amaro e dal colore scuro
di origine irlandese prodotta per la prima volta nel 1759
da Arthur Guinness (a noi non è stato concesso assaggiarla in quanto minorenni).
Da Adare a Bunratty
La nostra esperienza nell’isola di Smeraldo prosegue.
Ormai ci siamo ambientati, abbiamo assaporato la cultura irlandese attraverso le danze, le tradizioni, i ritmi:
siamo a nostro agio in questa terra. Limerick è una città
affascinante soprattutto grazie al quartiere medievale e al
castello, il King John’s Castle, che si erge fiero sul fiume
Shannon. Siamo a metà del nostro soggiorno e ci rechiamo ad Adare, pittoresco e minuscolo villaggio situato
nella contea di Limerick. Anche stavolta abbiamo un paio
d’ore di libertà, per fare un po’ di shopping nei negozi
situati sulla via principale su cui si affacciano tanti cottage col tetto di paglia. Ci sentiamo quasi dentro un mondo
fatato con queste case così strane; entriamo in un parco,
meta preferita - ci dicono - degli sposi nel giorno delle
nozze: osserviamo incuriositi i corvi che volano intorno a
noi e l’incredibile quantità di verde che ci circonda.
Questa Irlanda è davvero un paradiso! Il sole, intanto, è
uscito allo scoperto per esaltare la bellezza dei fiori che
abbelliscono le aiuole.
E’ giunto il momento di lasciare Adare, per passare alla
rude forza dei Celti: eccoci a Craggaunowen, un villaggio
celtico perfettamente ricostruito, fatto di palafitte e pietre,
che ci riporta nel passato più remoto dell’Irlanda. Ad accoglierci è una simpatica donna vestita con un abito del
tempo, che ricorda vagamente un sacco di patate. La
seguiamo per il bosco intricato, ascoltando i mille suoni
della natura: ci sono piante mai viste prima. In una serra
è stata ricostruita anche una tipica imbarcazione da guerra celtica. Ad un tratto, sulla fune di protezione della
Limerick in una giornata
di forte pioggia.
Europa sotto i venti
58
Cliff of Moher, costa
occidentale dell’Irlanda
nave, si vede uno strano movimento: un ragno, il cui colore è perfettamente mimetizzato con la corda, si muove
facendo su e giù. Il ribrezzo è inevitabile, anche se in
Irlanda ci sono così tanti ragni che è impossibile non
vederne almeno dieci ogni due passi!
Usciamo da Craggaunowen, intanto il cielo si è rannuvolato ed è iniziata la quotidiana pioggia fresca irlandese. A
volte ci pesano tutte queste goccioline, abituati come
siamo al caldo sole italiano; eppure le sentiamo parte di
questo dipinto a metà tra la realtà e la fantasia, e sappiamo che senza pioggia non ci sarebbe l’Irlanda!
Torniamo a Limerick per la notte, il vento si è alzato, sentiamo le acque dello Shannon, che scorre accanto al
nostro dormitorio, agitarsi e quel suono ci accompagna
sino al mattino.
Qualche giorno dopo partiamo per Bunratty: visitiamo un
castello che è tra i più importanti dell’isola. E’ alto, regolare, si allontana dallo stereotipo fiabesco dei castelli
pieni di torri dentro le quali venivano imprigionate le principesse: il Bunratty sembra un unico blocco di pietra
pieno di tanta storia. Con la guida visitiamo la Sala del
Generale e la Sala del Trono, poi ci danno due ore di libertà dentro al castello: possiamo andare dove vogliamo,
vedere quello che ci pare, salire e scendere tutte quelle
terribili scale a chiocciola. Arrivati sulle torri, lo spettacolo è garantito: distese di verde e fiumiciattoli che sinuosi
scorrono intorno ai campi. Nelle sale ci sono ancora i
mobili dell’epoca: freddi, scuri, rigidi, capaci di riportare
nel periodo dei re, delle regine, delle principesse e, perché no,delle favole. Poco distante dal maniero c’è un piccolo villaggio, anch’esso costruito in cottage, che rievoca
la vita quotidiana dei contadini: dal momento del lavoro
nelle stalle alla cena frugale della famiglia riunita.
Sono i nostri ultimi giorni in terra irlandese e con l’ansia
del rientro mista al dispiacere della partenza, torniamo a
Limerick.
Ultima tappa: Clonmacnoise
Le procedure di assegnazione degli attestati di frequenza
alle lezioni nel college sono ultimate, non ci resta che visitare le ultime località: Clonmacnoise e Galway.
E’ la vigilia del rientro: partiamo nel primo pomeriggio per
arrivare a Clonmacnoise, monastero situato nella contea di Offaly cui
è annesso l’immancabile cimitero
pieno di grandi croci celtiche.
Anche qui scorrono le acque dello
Shannon, fiume gentile che ci ha
accompagnato nel nostro percorso.
L’odore fresco dell’erba bagnata
dalla leggera pioggia mattutina ci
permette di assaporare gli ultimi
momenti di libertà nella natura
irlandese, in quella pace che caratterizza gran parte del territorio.
Partiamo da Clonmacnoise dopo
qualche ora e arriviamo nella vicina Galway, ultima tappa di questo
fantastico viaggio.
Abbiamo di nuovo alcune ore di
libertà e possiamo fare altri acquisti. Siamo nella città della ragazza
di cui Mundy, un noto cantante
irlandese, dice di essere innamorato nella celebre canzone “Galway
girl” (colonna sonora del film “PS:
I love you”). Infatti, su alcune
magliette esposte nelle vetrine
sono scritte parti del testo. Questa canzone ci è stata
insegnata nel college i primi giorni e tutte le mattine l’abbiamo cantata insieme ai nostri insegnanti. La giornata
passa in fretta, ci ritroviamo nei nostri appartamenti per
trascorrere l’ultima notte irlandese: c’è chi beve una cioccolata calda, chi scatta foto, chi prepara le valigie, chi
ride, scherza, pensa.
In tutti noi c’è la consapevolezza di aver vissuto un’esperienza unica, come quelle distese di verde che sappiamo,
in fondo al cuore, non avranno mai fine.
La selvaggia regione di
Connemara a nord dell’isola
Risultati test
CHE RAPPORTO HAI COL TUO CORPO? (pag. 25)
59
Punteggio:
per ogni risposta A:
1 punto - per ogni risposta B: 2 punti - per ogni risposta C: 3 punti
Fino a 10 punti:
Da 11 a 15 punti:
Da 16 a 21 punti:
Schizoide
Normale?
Meno peggio
Avere un bell'aspetto è sicuramente
una gran fortuna, ma in caso contrario non è il caso di farvene una malattia; non è così strano se un liceale
ha un po' d’acne e non tutte le adolescenti hanno una quinta abbondante di reggiseno! Non lasciatevi ingannare dai modelli che vi propongono i media – in tivù sembra tutto
più bello di quanto non sia in realtà
(sono le luci!) e le modelle delle
pubblicità sono tutte photoshoppate!
Mhm, in effetti ’sto risultato è tutto
tranne che un profilo psicologico, ma
accontentatevi una volta buona!
Non dev'essere facile per nessuno, in un’epoca in cui l'immagine
è più importante della sostanza
(perché dai, non prendiamoci in
giro, purtroppo è così), rimanere
del tutto indifferenti di fronte agli
standard di perfezione estetica
proposti e ribaditi continuamente.
Perciò, non dovete sentirvi anormali se ogni tanto coglie pure voi
il desiderio di qualche ritocchino
minimo, di una linea più snella, di
una pelle più liscia; tranquilli,
nessuno ve lo rinfaccerà più di
tanto.
Niente da fare – tra fasulli attentatori e bidelli di mezza età – stavolta proprio non riusciamo a tirare
fuori un profilo equilibrato! Ci abbiamo provato, ma a quanto pare
un po' tutti ci preoccupiamo almeno un po' del nostro aspetto fisico
– e la cosa in sé non è nemmeno
poi così grave. A differenza dei primi due profili, voi non siete ancora
così “corrotti” ed irrecuperabili,
quindi, che siate maschietti o femminucce, ci sentiamo di consigliarvi
la lettura di Body drama... della serie “salviamo il salvabile”!
Dopo “Piemonte Sotto i Venti” e
“Liguria Sotto i Venti”, “Lazio
Forteen” è la nuova guida monografica a misura di teenager realizzata da Zai.net in collaborazione
con Touring Club Italiano e promossa dalla Regione Lazio per gli studenti delle scuole medie inferiori.
Tra abbazie, riserve naturali, antichi
mestieri e leggende, tanti i
suggestivi itinerari che vi porteranno alla
scoperta
dell’Appennino
laziale.
Se amate la
natura e avete
voglia di nuove
emozioni, zaino
in spalla... si
parte!
www.sottoiventi.it
Lazio Forteen
TI
N
E
M
A
NT
U
P
AP
2
A cura di Caterina Mascolo, 21 anni
MARZO
LA SPEZIA Prima data di marzo nella città ligure
per Elio e le Storie Tese, che coniugheranno i
successi dell’ultimo disco a quelli che li
consacrarono al grande pubblico. Non aspettatevi
però solo la musica: con la simpatia che da
sempre li distingue allestiranno uno show in
grado di coinvolgervi anche sul piano verbale. Se
volete conoscerli meglio, anziché spulciare
discografie, ascoltateli in radio. Da ormai quindici
anni, infatti, assieme al deejay Linus conducono
settimanalmente un appuntamento dal titolo
“Cordialmente”. I loro nomi all’interno di questo
format? Pasquale, Moletta di Pasovale, Il Vecchio
Leone e The Connector... a voi riconoscerli!
Fino all’
MARZO
MILANO Se le culture esotiche vi affascinano,
ecco un appuntamento da non perdere: il
capoluogo lombardo ospita, infatti, nelle belle
sale del suo Palazzo Reale, la mostra dal titolo
“Giappone. Potere e splendore, 1568-1868”, con
ben duecento capolavori provenienti da musei
illustri quali quelli di Kyoto e Tokio, mai esposti
in Italia. Il filo che collega tutte le opere riguarda
lo sviluppo di questo Paese e la sua
trasformazione in “stato moderno”; un
cambiamento epocale, ma non repentino, che
ebbe luogo proprio negli anni in cui vennero
realizzati i lavori osservabili a Milano. Si può
comprendere la storia a partire dall’arte? Questa è
la scommessa dell’allestimento… a voi la risposta!
10
MARZO
8
MARZO
TORINO Cosa manca al fumetto italiano? C’è un
mercato delle graphic novel? Qual è la situazione del
mercato del fumetto popolare? C’è spazio per gli
autori emergenti? Porte aperte alla Scuola Holden
dalle 19.00 in poi per trovare le risposte insieme a
editori, sceneggiatori, disegnatori. Tra gli ospiti
dell’incontro per fare “Il punto sul… fumetto”: Tito
Faraci, Igort, Cristiano Spadavecchia, Roberto Gagnor,
Bruno Sarda, Luca Blengino e molti altri. Per
informazioni: Scuola Holden – Corso Dante 118,
Torino; www.scuolaholden.it – [email protected] –
tel. 011 6632812 – cell. 327 3819503
8
MARZO
Ecco una di quelle ricorrenze spesso svuotate del
loro senso più profondo per essere ridotte soltanto
a una buona occasione per entrare gratis nei vari
luna-park/discoteche etc etc. Una festa che, per
conservare un’utilità civica, dovrebbe tornare a
essere pungolo di dibattito e di discussione, a farci
riflettere sulle conquiste (economiche, sociali,
politiche) della condizione femminile e sugli
ostacoli ancora da abbattere. Volete documentarvi
in maniera più esaustiva? Vi consigliamo il libro
scritto da Tilde Capomazza e Marisa Ombra: “8
Marzo: storie miti riti della giornata della donna”.
61
Dal
15
28
MARZO
BRESCIA Il centro turistico-giovanile gruppo
Belluno organizza una gita molto interessante a
Brescia con lo scopo di far visitare ai ragazzi una
mostra sulla cultura inca. I pezzi sono svariati ed
abbracciano sia il repertorio ceramico, sia la
produzione locale in legno, turchese e tessuti con
applicazioni di penne colorate. La partenza è da
Belluno alle 7.15, l’arrivo è previsto per le 11,30. Il
pranzo è libero, il pomeriggio prevede anche un
giro panoramico completo della città. Per maggiori
informazioni: tel.0437-950075.
NAPOLI Vi piacciono le lingue, ma i corsi sono
spesso troppo onerosi? Fino al 18 giugno, in via
Duomo 288, potrete usufruire, previa prescrizione,
di un ciclo di lezioni in tedesco per imparare a
decifrare i testi scientifici. Winckelmann o Adorno
non avranno più segreti per voi! L’insegnante
preposta sarà madrelingua, così da consentirvi
anche un’utile conversazione pratica.
Furchtlosigkeit! (ovvero... coraggio!)
Dal
4
al
23
MARZO
MARZO
PALERMO La speleologia vi intriga?
Partecipate numerosi al corso organizzato dal
C.A.I. di Palermo, allora! Il corso si terrà sotto la
direzione di Matteo Ribaudo, aiutato da altri
istruttori e aiuto istruttori del G.S.C.A.I. della
sezione palermitana. Le lezioni si
accompagneranno ad esercitazioni pratiche,
davvero un buon modo per avvicinarsi alla
natura in modo cosciente e responsabile!
Dal
23
MARZO
ROMA Gli Afterhours rientrano a pieno titolo tra
le band più amate dai giovani: se ancora non li
avete ascoltati dal vivo, correte all’Auditorium della
Conciliazione! Dopo i sold out di luglio e settembre,
ecco con la primavera le nuove esibizioni del gruppo
capitanato dal carismatico Manuel Agnelli. Lo show
si chiamerà “Il teatro degli Afterhours”, ma nessuna
informazione più dettagliata è al momento circolata.
Un motivo in più per andare ad assistere di persona!
22
al
28
MARZO
TORINO Se il pattinaggio è uno dei vostri
sport preferiti, accaparratevi gli ultimi biglietti
disponibili per i “Campionati mondiali di
pattinaggio di figura”! La bellezza della musica,
l’incanto del ghiaccio e l’abilità degli sportivi
creeranno una magia unica, tutta da gustare nel
Palavela di Torino! Sono attesi in televisione
trecento milioni di spettatori… del resto 200
atleti provenienti da cinquanta Paesi fanno gola!
Le sessioni previste di gara sono nove, più il
Galà: quattro la mattina (danza, programma
obbligatorio ed originale, programma corto
maschile e femminile), cinque pomeridiane
(coppie, programma corto e libero, programma
libero maschile, femminile e danza). Non vi resta
che scovare i vostri beniamini, buon tifo!
www.torino2010.org
Cruciripasso
62
UPGRADE: IMPARA L’ARTE…
QUESTO MESE, IL MINI-PAROLIERE! FORMATE IL MAGGIOR NUMERO DI TERMINI
POSSIBILE UTILIZZANDO LE LETTERE NEL RIQUADRO ROSSO E INVIATELE ALLA
NOSTRA REDAZIONE: UN PREMIO IN PALIO PER CHI NE INDIVIDUA DI PIÙ!
ORIZZONTALI
1. Il pittore de La danse
7. Un elemento architettonico
13. Al centro di Notre Dame
14. Sono pari in leccese
15. Sono doppie in Renoir
16. Si usa su tela o su tavola
17. Canova ne è un esponente
20. Al centro degli anni
21. Iniziali del pittore La fitte
22. Sono pari in corno
23. L’inizio di oggi
24. Il nome di Klee
26. La prospettiva di Leonardo
28. Uguali in Lola
29. Gli estremi del pittore Nolde
30. Iniziali di Rothko
31. Lo erano M. Chagall e A. Raphaël
32. Iago senza coda
33. Se inglese
35. Al centro di Mosè
37. Uguali in beffe
39. Iniziali del pittore Raschen
41. A metà sera
42. Bernardino di Betto
45. Elemento architettonico
47. Pari in Ionesco
48. Estremi di Raffaello
49. Con Davide nel famoso quadro di
Caravaggio
51. Iniziali del pittore Pils
52. Lo erano Fattori e Lega
54. Iniziali del pittore Palmer
55. È raffigurata in un quadro di Degas
56. Il nome di Bronzino
57. La pittura di Antonio Ligabue
58. Uguali in raro
59. Ha dipinto Gli amanti
65. Iniziali del pittore di Guernica
66. Una tecnica pittorica
67. I personaggi ne La deposizione di
Caravaggio
VERTICALI
1. La Gioconda
2. La città di Fidia
3. Dispari in torvo
4. Si usa per cavalcare
5. Scalpo a metà
6. Lesso senza testa
8. Protagonista di molte sculture antiche
9. Parti del fregio
10. Città romana famosa per la pittura
Una sbirciatina, piccola, alle soluzioni sul sito: www.zai.net
Per inviare le parole, scrivete a [email protected]
11. Gelosa senza GS
12. Lo era Van Gogh
18. Con la nobiltà e il Terzo Stato
19. Sine nobilitate ne è una delle etimologie
25. Sono “l’oggetto” della nail art
27. Al centro dell’arma
34. La città con Palazzo Schifanoia
36. Insieme ai corvi in un famoso quadro di
Van Gogh
38. Con Narciso in un quadro di Waterhouse
40. Lo stile ornamentale del primo
Settecento in Francia
43. L’inizio di Renoir
44. Famoso pittore statunitense
46. Venivano usati in Grecia per votazioni
particolari
50. …col vento
51. Il pittore de Il bagno turco
52. Il più famoso impressionista
53. In chef e in fichi
59. La metà della mela
60. Il centro del male
61. Andare in inglese
62. Raffigurato sul trono
63. Uguali in Ilio
64. Dispari in tali
65. Pira a metà
Oroscopo
a cura di Cassandra
63
Ariete
Toro
21/03 - 21/04
21/04 - 21/05
Affari di cuore
Dopo un febbraio piuttosto
movimentato, marzo riserva
sorprese un po’ più tranquille…
riprendete fiato e cercate di
ricaricare le pile.
Amicizia & famiglia
Non dedicate il vostro tempo solo
al puro relax e all’ozio, ma anche
ai bei rapporti che sapete far
nascere.
Consiglio
Fate un po’ di giardinaggio!
Affari di cuore
Dopo un San Valentino senza
parole … troverete le parole
adatte per esprimere i vostri
sentimenti e risolvere una
situazione che vi pesava da
tempo. Bravi!
Amicizia & famiglia
Qualche pianeta sta girando in
direzione opposta alla vostra,
meglio correre ai ripari!
Consiglio
Avete mai pensato di comprarvi
un giardino zen?
Gemelli
21/05 - 21/06
Affari di cuore
Questo mese si preannuncia
tutt’altro che messaggero di buone
nuove. L’inverno continua a
bloccarvi con il suo freddo!
Amicizia & famiglia
I pianeti sotto questo punto di
vista sono discordi: chi dice che
va bene, chi dice che non va… io
ho scommesso che ve la caverete,
fatemi sapere!
Consiglio
Un bel massaggio thailandese per
sciogliervi un po’!
Cancro
Leone
Vergine
22/06 - 22/07
23/07 - 23/08
24/08 - 23/09
Affari di cuore
Ok, la tisana l’avete presa, ma non
sembra aver sortito l’effetto
sperato. Tranquilli, l’amore sta
aspettando dietro l’angolo di casa
vostra per farvi una bella sorpresa!
Amicizia & famiglia
Il periodo buio sta passando e
anche se sentirete l’effetto della
lontananza… c’è chi la annullerà
con il bene che vi vuole.
Consiglio
Sfogatevi con la Kick Boxing.
Affari di cuore
State facendo di tutto per cercare
di capirci qualcosa, eh? A quanto
ho sentito pare che le occasioni
non mancheranno, starà a voi
cogliere l’attimo fuggente!
Amicizia & famiglia
Dopo un periodo burrascoso per
qualche delusione, bisogna
ritrovare la grinta e far vedere chi
ha la criniera più bella del reame!
Consiglio
Vi ci vuole un concerto.
Affari di cuore
Cupido è stato avvistato dalle
vostre parti, ma non potete
prendervela solo con lui se la
persona amata non è ancora tutta
vostra!
Amicizia & famiglia
Questo mese porterà tante belle
novità, insieme alla solita mole di
impegni che ormai siete abituati a
sopportare.
Consiglio
Una bella scampagnata.
Bilancia
Scorpione
Sagittario
24/9 - 22/10
23/10 - 22/11
23/11 - 21/12
Affari di cuore
Va bene, ve lo concedo: siete stati
bravi e siete riusciti a rimettervi in
carreggiata, ma adesso non dovete
adagiarvi: esprimetevi!
Amicizia & famiglia
Gli sforzi sono stati riconosciuti e
l’armonia sembra regnare sovrana,
attenti solo a non rovinarla con
qualche nota stonata.
Consiglio
Che ne dite di disegnare o creare
qualcosa?
Affari di cuore
Aprite gli occhi, lo capite che c’è
qualcuno che non fa altro che
organizzare “fortuiti” incontri pur
di conoscervi?
Amicizia & famiglia
State attenti alle vostre alzate
d’ingegno, oltre che in famiglia e
con gli amici anche quando siete
alla guida.
Consiglio
Fate lunghe passeggiate in città o
in campagna.
Capricorno
Acquario
22/12 - 21/01
21/01 - 19/02
Affari di cuore
State attenti ai segnali che vi
lancia il partner in maniera ben
poco equivoca! Mi raccomando,
non fate castronerie di cui potreste
pentirvi, siete a rischio!
Amicizia & famiglia
Anche qui il terreno è
sdrucciolevole... non svegliate il
can che dorme!
Consiglio
Perché non provate uno sport di
squadra?
Affari di cuore
Bene, Venere ha deciso di
lasciarvi in pace… del tutto! Mi
dispiace veramente tanto, ma al
momento la solitudine è una
compagna decisamente socievole!
Amicizia & famiglia
Da questo punto di vista invece
le cose stanno migliorando,
anche grazie a una buona
congiunzione astrale.
Consiglio
Shopping selvaggio per scaricare
i nervi!
Affari di cuore
Un marzo così non si è mai visto.
Avete veramente i pianeti dalla
vostra e… la classe non è acqua!
Amicizia & famiglia
Sembrate intrisi di un potente
fluido ipnotico, qual è il vostro
segreto per piacere a tutti quanti
in maniera così lampante?
Consiglio
Una bella corsa per ricaricarvi
mentre scaricate un po’ di
tensione accumulata!
Segno del mese
Pesci
Pesci
Affari di cuore
Complimenti! La scala reale di
cuori non accenna ad
abbandonarvi… Auguri!
Amicizia & famiglia
Forse è perché ci troviamo nel mese
del vostro compleanno, ma tutti
sono così gentili con voi!
Godetevela che dura un mese!
Consiglio
Una bella nuotata per entrare in
contatto con il vostro elemento!
20 febbraio - 20 marzo
Scarica

nazionale-corretto.qxp:APPUNTAMENTI NAZIONALE.qxd