Un genere di prevenzione: il metodo Sara Dott.ssa Rosaria Marsico 07 Maggio 2014 Università della Calabria Il metodo Sara (Spousal Assault Risk Assessment) finalizzato alla valutazione del rischio di recidiva della violenza e di uxoricidio. “Data la costante presenza negli anni di omicidi in famiglia che riguardano solitamente partner uccise dai loro mariti o conviventi, attuali o ex, nonché il reiterarsi per anni dei maltrattamenti, è divenuta sempre più impellente l’esigenza di trovare strategie per individuare quei casi maggiormente a rischio di recidiva e attuare misure per proteggere le vittime e aiutare il reo a modificare comportamento” Le tipologie della violenza: Psicologica Fisica Economica Sessuale Stalking Uxoricidio La violenza alle donne come problema sociale Le conseguenze della violenza sulla salute psichica della donna I principali sintomi sono: • sentimenti di impotenza e di orrore; • distacco; • assenza di reattività emozionale; • sensazione di stordimento; • amnesia dissociativa; • incapacità di ricordare aspetti importanti del trauma, persistente rivissuto dell’evento attraverso immagini, pensieri, sogni, flash-back; • aumentato stato di allerta, come ipervigilanza, insonnia, incapacità di concentrazione, irrequietezza; • risposte di allarme esagerate; • pianto; Le conseguenze della violenza sulla salute fisica della donna I principali sintomi sono: • ferite (dalle lacerazioni alle fratture e danni agli organi interni); • invalidità permanenti o temporanee; • gravidanza indesiderata; • disturbi ginecologici: infezioni vaginali, dolori mestruali, dolori pelvici, irregolarità del ciclo mestruale; • malattie sessualmente trasmesse compreso l’HIV; • emicranie e mal di schiena cronico, • disturbi gastroenterici cronici, sindrome di irritabilità intestinale; • problemi cardiovascolari (ipertensione, tachicardia); • asma; • comportamenti autolesionisti (tabagismo,). La risposta sociosanitaria Gli ostacoli: 1. Mancanza di tempo 2. Paura di ferire la donna 3. Timore di scoprire un danno a cui non si sa rispondere 4. Mancanza di competenze 5. Paura di essere testimone di una vicenda scomoda Esperienze a confronto: le testimonianze di 9 operatrici sanitarie e di 1 operatore Omeopata Psicologa Assistente sociale Cardiologa Donna Farmacista Dottoressa Dottoressa Di Guardia di famiglia medica Infermiera Pediatra Il metodo d’indagine prescelto è stata l’intervista in profondità articolata per aree tematiche: • tipologia di risposte che il servizio sanitario fornisce alla donna in difficoltà • ricostruzione di alcuni casi significativi di violenza: caratteristiche della donna maltrattata e del maltrattante • eventuale partecipazione a percorsi formativi specifici sul tema della violenza Gli aspetti cruciali il lavoro di cura I segni invisibili della violenza La violenza si consuma in famiglia Incidente domestico o violenza? I ruoli di genere il disagio economico il bisogno di formazione La violenza assistita Il lavoro di cura: ”La salute dei suoi cari viene prima della propria(…)è un meccanismo strano che si ripete in tutte le donne e che credo sia da ricollegarsi a degli stereotipi culturali che la rilegano in una condizione di cura” (dottoressa di famiglia) Il lavoro di cura: “Molte volte se il marito ha un problema di salute, è la donna che l’accompagna; il contrario avviene ma meno spesso. Diciamo che le donne sono portate a preoccuparsi dello stato di salute del proprio marito mentre si preoccupano tendenzialmente meno del proprio. Trovi donne che sono disposte a sopportare meglio il dolore proprio che quello altrui. Questo lo vedi scritto tra le righe non sempre le donne lo dicono esplicitamente ma è così” (Intervista Cardiologa) Il lavoro di cura: “La donna, solitamente, si prende cura di tutto il nucleo familiare soprattutto se casalinga” (Intervista Dottoressa di Guardia medica). La violenza di genere si consuma in famiglia “Credo che il fenomeno della violenza, soprattutto di quella domestica sia diffusissimo e ancora sommerso. Molte vittime, molte mie pazienti preferiscono tacere, nascondere, giustificare. È facile che una di loro abbia uno sfogo momentaneo ma poi finisce là poiché è difficile che trovi il coraggio di interrompere quella relazione malata” (Intervista Dottoressa di famiglia) La violenza di genere si consuma in famiglia “A sentire la televisione è (un fenomeno) diffusissimo. Per quella che è la mia esperienza posso dirti che è frequente ma non penserei che sia così devastante. Poi è normale, ci sono tante situazioni nascoste che ignoriamo, che io forse ignoro però c’è anche da dire che io ho affrontato tutti casi piuttosto risolvibili perché se una donna non si trova bene con il marito basta che lo lasci. Non noto certo la devastazione che ci vogliono far credere quanto meno nella nostra regione”. (Intervista Omeopata) La violenza e il disagio economico “Se nella coppia lavora solo uno, la gestione economica fatta solo da uno è nociva perché è facile sentirsi dire ‘Io ho il controllo dei soldi per cui se abbiamo una discussione, non ti do nulla’. Questa è una sopraffazione vera e propria che, a volte, ferisce molto di più del darsi uno schiaffo in un momento di ira in cui si chiede anche perdono alla moglie perché ci si è lasciati trascinare.” (Intervista Pediatra) La violenza e il disagio economico “(Tollerano) Forse perché non hanno indipendenza economica, temono di non riuscire ad andare avanti. Non saprei, per come sono fatta io non ci penserei su due minuti ma non saprei cosa succede a queste donne. Forse molti uomini fanno giochi psicologici che riescono a frenare la denuncia o il semplice abbandono da parte delle loro mogli che, addirittura non riescono nemmeno a dire ‘subisco’, figurati a ribellarsi”. (Intervista Farmacista) I segni (in)visibili della violenza “Credo si tratti più di ripercussioni a livello psicologico perché, ad esempio, le donne che subiscono spesso chiedono alle altre donne come si comportano gli altri mariti, è alla continua ricerca di verificare l’altro come si comporta nella coppia. Si tratta di una donna che versa in un continuo stati di malessere, di disagio” (Intervista Assistente Sociale) Incidente domestico o violenza? “In alcuni casi, se la donna ha paura parla di incidenti domestici e di cadute accidentali mentre altre volte la donna sa che esiste il segreto professionale medico e paziente e si confida(…) Si verificano casi in cui la donna lamenta di dolori alla testa e, in quei casi, si vede ad esempio che manca una ciocca di capelli oppure, spesso, si trovano fra le dita dell’uomo tracce di capelli “ (Intervista Dottoressa di Guardia Medica) Incidente domestico o violenza? “E’ significativo il modo in cui una donna si presenta, si giustifica. Le donne che mentono trovano scuse banali del tipo ‘Sai sono caduta’, ‘Non ho visto la porta’ perché hanno paura di ammettere la verità(…)Di solito, sono questi i sintomi che ci permettono di capire che non si tratta di incidente domestico perché una donna che si procura una frattura cadendo dalle scale è arrabbiata con se stessa, se la prende con se stessa e con la sua distrazione. C’è una diversità di comportamento, del modo di parlare, della tonalità di voce: si finge ma non si sa fingere. La donna maltrattata viene ma ti dice piano piano di essere caduta dalle scale, ad esempio, quasi come se temesse di essere scoperta” (Intervista Infermiera del 118) Incidente domestico o violenza? “Dopo tanti anni di esperienza, tu ti rendi conto se chi hai di fronte sta cercando di nascondere con un alone ciò che le è accaduto. Quando la donna mente comincia a non saper spiegare la dinamica dell’incidente e a diventare titubante. Poi, non è da sottovalutare nemmeno il comportamento della persona che accompagna la malcapitata: anche le sue parole, i suoi gesti possono comunicarti se quel racconto è sincero o meno” (Intervista Tecnica di Radiologia) La violenza: una spirale intergenerazionale “Un figlio che assiste ad una qualsiasi forma di violenza, ne rimane impressionato. Anche una semplice minaccia pronunciata con un tono più duro può essere percepita dal bambino con più drammaticità di uno schiaffo(…)mi è capitato di soggetti un po’ assenti, che assumevano atteggiamenti simil autistici, di isolamento dal contesto familiare ma non solo magari anche scolastico. In alcuni bimbi mi ha colpito lo sguardo assente. In genere il bimbo ti guarda e sorride. In casi di violenza, il bambino non è attratto da ciò che gli sta intorno, è un po’ come se fosse in un altro mondo”. (Intervista Pediatra). La violenza: una spirale intergenerazionale “In genere è chiamata violenza assistita perché prendono, loro malgrado, parte ad una situazione di conflittualità(…)Il papà che si comporta in un certo modo con la mamma crea nel maschietto un’identificazione con l’aggressore(…)Al contrario, le bambine sono paurose, non vogliono parlare con l’estraneo, hanno disturbi del sonno, hanno problemi con il cibo. Le bambine si difendono identificandosi con la figura femminile di vittima(…). C’è una reazione a catena che si ripete, si perpetua(…)I bambini da grandi possono divenire violentatori e le bambine diventano vittime: entrambi modulano un comportamento negativo. Chi subisce, in genere, ripete. È una reazione a catena che si attiva” (Intervista Psicologa) La violenza: una spirale intergenerazionale “Forse si tratta di uomini che hanno vissuto in famiglie dove hanno assistito a scene in cui il padre picchiava la madre e così ci si sente autorizzato a fare lo stesso” (Intervista Infermiera del 118) La violenza: una spirale intergenerazionale “La donna, sin da bambina, viene picchiata ogni qualvolta sbaglia ed è per quel tipo di educazione ricevuta che la donna continua a subire in silenzio, continua a sentirsi in colpa e a non ribellarsi” (Intervista Infermiera del 118) La violenza: una spirale intergenerazionale “Mi riferisco a problemi familiari quali la violenza del padre sulla madre o sullo stesso figlio che, da grande, simulerà quei comportamenti bisogna dire che violenza genera violenza” (Intervista Dottoressa di Guardia Medica) La sfida del mondo sanitario, oggi, si gioca su due livelli: 1. da un lato riguarda l’assunzione del giusto atteggiamento da parte dei medici nei confronti delle donne che hanno subito violenza e che chiedono aiuto, 2.dall’altro attiene all’adeguato riconoscimento della violenza anche quando la donna non ne parla esplicitamente. Chi è SARA? È un canovaccio di idee L’aspetto preventivo più importante consiste nel creare le condizioni necessarie affinché il fenomeno non si sviluppi, anzi si arresti. In questo senso l’intervento sanitario deve essere finalizzato all’attuazione di una maggiore informazione rivolta alla donna circa i rischi della violenza e sulle strategie per prevenire quelle relazioni caratterizzate da una totale dipendenza della figura femminile da quella maschile Individuando i fattori di rischio, si può provare a determinare la loro presenza in un episodio sospetto al fine di riuscire ad elaborare, tempestivamente, l’intervento più idoneo a proteggere la donna da altri maltrattamenti che potrebbero sfociare nell’omicidio. Per questa ragione è nato in Canada, dal lavoro del dottor Randy Kropp e del professor Steve Hart, il metodo Sara che in Italia vive ancora una fase di sperimentazione. “Il principio su cui si basa la valutazione del rischio è che la violenza è una scelta” Ciò significa che il maltrattante sceglie di usare violenza nei confronti della sua partner in un certo momento, influenzato da una serie di fattori individuali, sociali, biologici, neurologici. Se si riesce ad individuare quali di questi fattori hanno influenzato la scelta della violenza in un certo momento e in una certa maniera, allora si può intervenire con un piano di gestione del rischio che miri a ridurli L’elaborazione del piano di gestione passa attraverso quattro momenti: •il monitoraggio; •il trattamento; •la supervisione; •la programmazione della sicurezza della vittima. Il monitoraggio consiste in una continua valutazione del rischio e in una costante analisi del caso che permette di verificare i probabili cambiamenti che avvengono nel tempo, del rischio della violenza. Il monitoraggio si esplica attraverso la costante sorveglianza del caso preso in esame da parte delle figure sociosanitarie, ma anche delle operatici dei centri antiviolenza, delle forze dell’ordine, dei tribunali che, attraverso continui colloqui con la vittima e il maltrattante, le visite domiciliari e le intercettazioni ambientali, iniziano ad abbozzare strategie idonee per la tutela della vittima. Il trattamento proposto all’interno del metodo Sara è di tipo riabilitativo. Ciò significa che, per ridurre il rischio di recidiva, sarebbe opportuno adottare dei trattamenti terapeutici di tipo cognitivo-comportamentale volti ad aiutare l’aggressore a sviluppare le competenze necessarie per contenere la propria aggressività, per regolare le emozioni migliorando la sua capacità di entrare in empatia con il vissuto altrui. In Italia, attualmente, il trattamento riabilitativo è previsto solo in fase di esecuzione della pena quindi dopo il compimento del delitto che si dovrebbe prevenire; i rari casi in cui viene applicato il TSO (trattamento sanitario obbligatorio) sottintendono la presenza accertata di elementi indicativi che attestano la pericolosità della persona per la salute e l’incolumità propria ed altrui. La supervisione limita la libertà dell’aggressore che può essere sottoposto alla custodia cautelare o all’ordine di allontanamento. La supervisione implica una serie di comportamenti volti a tenere l’aggressore lontano dalla sua vittima. La supervisione è finalizzata alla sicurezza della donna che può trovare ospitalità presso case di accoglienza o centri antiviolenza ed inoltre, la sicurezza implica un aumento delle risorse che occorre utilizzare per garantirne l’incolumità. Esse possono consistere, ad esempio, nella previsione di un accesso facilitato da parte della donna alle forze dell’ordine con un numero telefonico diretto. Un’altra misura di sicurezza utile potrebbe essere il coinvolgimento delle persone che sono più a contatto con la vittima quali parenti, vicini di casa, amici, insegnanti dei figli affinché possano attuare atteggiamenti di tutela nei confronti della stessa. La valutazione del rischio di recidiva, nei casi di violenza domestica, avviene attraverso l’analisi: 1. del rischio di recidiva (con quale probabilità quell’atto di violenza si ripeterà?); 2. della natura della violenza (quale forma di maltrattamento avviene nella coppia?); 3. dell’imminenza della violenza (la violenza accadrà nel breve o nel lungo periodo?); 4. dell’intensità (si tratta di un singolo evento violento o di più azioni?); 5. della gravità (quali sono i danni e quali le conseguenze psicofisiche?) Sulla base di queste 5 variabili, sono stati elaborati 20 fattori di rischio oggettivi attraverso cui le operatrici hanno la possibilità di fornire un quadro esaustivo della pericolosità del soggetto che si sta analizzando grazie all’utilizzo di un linguaggio condiviso che facilita la comunicazione tra le diverse figure professionali. Tuttavia il Sara non deve essere inteso come un test psicometrico poiché esso non fornisce un punteggio assoluto sul rischio o sulla personalità del soggetto ma fornisce una valutazione psicosociale, attraverso una checklist di linee-guida standard, sulle caratteristiche dell’aggressore e della relazione che lo stesso instaura con la vittima. I 20 fattori di rischio, denominati item, sono stati raggruppati in cinque grandi aree tematiche che si configurano nel seguente modo: Sezione 1 “Precedenti penali”: 1. aggressioni nei confronti di componenti familiari, 2. aggressioni passate nei confronti di estranei o persone conosciute di vista, 3. violazione pregressa della libertà vigilata o dell’affidamento in prova ai servizi sociali. Numerosi studi hanno dimostrato che il possesso di precedenti penali per reati indipendenti dalla violenza domestica è associato, in modo significativo, ad episodi di abuso e di maltrattamento. Sezione 2 “Adattamento psicologico”: 4. problemi recenti di relazione, 5. problemi attuali di disoccupazione, 6. essere stato vittima o aver assistito a violenza domestica da bambino o da adolescente, 7. recente uso e dipendenza da sostanze stupefacenti, 8. recente intenzione o ideazione suicida o omicida, 9. recente sintomatologia psicotica o maniacale, 10. disturbi di personalità associati a sintomi di rabbia, impulsività o instabilità comportamentale. Sezione 3 “Storia di violenza domestica”: 11. pregresse aggressioni fisiche (si basa sull’assioma della ricerca empirica secondo cui il comportamento passato predice quello futuro), 12. pregressa aggressione sessuale/gelosia possessiva (questo item attiene alla volontà dell’aggressore di punire la vittima sancendo il suo predominio sessuale), 13. uso pregresso di armi o minaccia credibile di morte, 14. escalation della frequenza e della gravità della violenza (si fa riferimento ai casi in cui la violenza, nel corso del tempo, è aumentata divenendo sempre più grave) 15. pregressa violazione dell’ordine di allontanamento o di divieto di dimora, 16. minimizzazione o negazione della violenza domestica (il partner cerca di deresponsabilizzarsi rispetto al comportamento violento che assume nei confronti della partner), 17. atteggiamenti che supportano o giustificano la violenza contro le donne (si fa riferimento a tutte quelle credenze religiose, politiche, culturali sia individuali che collettive attraverso cui si legittima il modello patriarcale del predominio maschile. Nella sezione 3, sono raggruppati gli item che si riferiscono a quegli eventi di violenza più facilmente contestabili ovvero quelli legati al passato. Sezione 4 “Indice dei reati”: 18. gravi violenze e aggressioni sessuali, 19. uso di armi o di minacce di morte credibili, 20. violazione dell’ordine di allontanamento o di divieto di dimora. Nella sezione 4, sono raggruppati gli item che si riferiscono agli eventi di violenza attuali o recenti. Sezione 5 “Altre considerazioni”: non vi sono item particolari ma solo item critici ovvero il/la valutatore/rice riporta in questa sezione quei comportamenti che caratterizzano il caso specifico e che sono, di per sé, sufficienti per far aumentare il rischio di escalation, di recidiva o, addirittura, di violenza letale. Si fa riferimento ad item come: - uso di violenza contro animali; - disponibilità permanente di un’arma da fuoco. Nel caso degli item critici, il valutatore può assegnare un punteggio pari a 0 = assente 1 = presente mentre nelle aree precedenti potrà utilizzare il valore 0 = basso 1 = medio 2 = alto La valutazione del rischio avviene attraverso la consultazione, da parte dell’operatrice/ore valutatrice/ore, dei fascicoli e delle relazioni che raccolgono informazioni dettagliate sul caso che si vuole analizzare, ma soprattutto tramite i colloqui con la vittima, con il maltrattante e con tutti coloro i quali sono informati sui fatti. Ad ogni modo, seppur il metodo SARA si presenta come valido strumento di indagine nei casi di violenza privata, è importante attribuirgli il giusto valore. Ciò significa che esso non vuole essere né uno strumento sostituivo delle consuete prassi d’indagine né una scala clinica volta a rivelare la personalità dell’imputato violandone, in tal senso, i diritti; piuttosto si presenta come un canovaccio di linee guida per individuare il livello di rischio della condotta aggressiva dell’uomo violento al fine di elaborare procedure d’intervento o di trattamento che mirano a ridurre il rischio di recidiva. La versione screening del metodo Sara prende in considerazione 10 fattori di rischio che sono raggruppati in due sezioni: 1. Violenza da parte del partner o expartner 2. Adattamento psico-sociale La versione screening gode di un vantaggio importante rispetto a quella integrale che consiste nell’utilizzo di una lista meno onerosa di item che permette al valutatore/rice di raccogliere un maggior numero di informazioni in un lasso di tempo relativamente breve. Il Sara-S non valuta il rischio sulla base della quantità dei fattori di rischio presenti ma sulla tipologia dei medesimi, sulla loro interazione ed evoluzione nel corso del tempo ed è per questo che diventa importante ripetere la valutazione ad intervalli di tempo regolari che, di solito, coincidono con una scadenza semestrale. È bene precisare, inoltre, che il metodo Sara Screening permette l’individuazione di un basso, medio o elevato rischio di recidiva sia nell’immediato, ovvero entro due mesi, che nel lungo periodo cioè oltre i due mesi. È consigliabile effettuare una nuova valutazione del rischio quando si verificano le cosiddette “circostanze critiche” ovvero quelle situazione in cui la vittima necessità di maggiori misure protettive quali: - casi in cui la vittima ha espresso la sua intenzione di separarsi dal partner maltrattante, - casi in cui la vittima inizia una nuova relazione contro la volontà dell’abusante. In questi casi, il rischio di violenza, soprattutto nella forma dello stalking, si estende anche al partner della donna; - casi in cui si verificano controversie rispetto all’affidamento dei figli o alle modalità di visita o all’assegnazione della casa; - casi in cui il maltrattante esce di prigione dopo un periodo di custodia cautelare o dopo la condanna per il reato di maltrattamenti. A) Violenza da parte del partner o expartner: 1. gravi violenze fisiche e sessuali (si fa riferimento alla messa in atto di comportamenti violenti come i pugni, gli schiaffi, i calci, i tentativi di strangolamento, l’uso di oggetti o di armi per colpire la donna, la minaccia di usare un’arma, la costrizione ad agire o subire atti sessuali indesiderati. Si tratta di comportamenti che causano o potrebbero causare danni fisici oltre che psicologici. Coloro che hanno adottato, nel passato, comportamenti simili, sono maggiormente esposti al rischio di usare violenza) 2. gravi minacce di violenza, ideazione o intenzione di agire violenza (si tratta di atteggiamenti che generano, nella donna sentimenti di paura e di terrore che l’aggressore può esprimere in forma implicita “Non posso vederti in questa vita, ma ci rivedremo nella prossima” o esplicita “La faccio finita con te appena ti rivedo”. Le espressioni di minaccia possono avvenire tramite bigliettini lasciati in casa, nella cassetta delle lettere, sul parabrezza dell’auto oppure attraverso messaggi telefonici, e-mail, frasi dette a persone vicine alla vittima. Un tipo di minaccia assai pericoloso è lo stalking ovvero il comportamento persecutorio che il partner adotta spiando, pedinando, inseguendo la vittima al fine di creare episodi di contatto non desiderati. La letteratura internazionale sostiene che ci sia una stretta correlazione fra queste forme persecutorie, le minacce e, in casi frequenti, gli uxoricidi . Questo item mette in guardia rispetto alla pericolosità dei “pensieri violenti” ovvero rispetto alle fantasie elaborate dal maltrattante con l’intenzione di far del male alla vittima) 3. escalation sia della violenza fisica/sessuale vera e propria sia delle minacce/ideazioni o intenzioni di agire tali violenze (solitamente gli episodi di violenza si alternano alle cosiddette “false riappacificazioni”. Inoltre, avviene spesso un’alternarsi della violenza fisica e di quella psicologica che nel tempo si modificano divenendo più gravi e più frequenti. Si può parlare di escalation se si verificano almeno tre o quattro episodi di violenza la cui gravità è via via sempre più intensa) 4. violazione delle misure cautelari e interdittive ( un soggetto che non rispetta le disposizioni giudiziarie, è a maggior rischio di agire violenza rispetto a chi le rispetta. Si fa riferimento a misure penali e/o civili quali divieto di espatrio, divieto o obbligo di dimora, arresti domiciliari, obbligo di allontanamento dalla casa familiare, sospensione dell’esercizio della potestà genitoriale, divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali) 5. atteggiamenti negativi nei confronti delle violenze interpersonali e intrafamiliari (si stima che i maltrattanti più pericolosi sono quelli che minimizzano o negano le proprie azioni di violenza, colpevolizzano la vittima e rifiutano qualsiasi aiuto terapeutico sia psichiatrico che psicologico. Un soggetto che giustifica gli abusi, considerandoli semplici modalità per “assicurarsi il rispetto altrui”, è sicuramente esposto ad un elevato rischio di recidiva). B) Adattamento psicosociale: 6. precedenti penali (un soggetto che è solito adottare comportamenti violenti sia nel contesto familiare che extrafamiliare o che è coinvolto in altre azioni criminali, è più esposto al rischio di recidiva poiché presenta un carattere antisociale) problemi relazionali (è stato dimostrato che in alcune circostanze, come la separazione, la disparità economica fra i coniugi, la crescita o l’educazione dei figli, la presenza di una malattia, la presenza di parenti dell’uno o dell’altro coniuge, la gravidanza, si verifica un incremento della violenza poiché questi fenomeni aumentano il livello di stress e di tensione nella coppia. Addirittura, le donne incinte sono maggiormente esposte al rischio di subire violenza perchè subentra nel partner un senso di gelosia e il timore di essere abbandonato) 7. 8. status occupazionale o problemi finanziari (lo scarso reddito, lo stress lavorativo o l’inabilità lavorativa sono, spesso, associati ad episodi di abusi ripetuti e al rischio di omicidio anche perché il problema “disoccupazione”, viene spesso usato come alibi dall’aggressore per giustificare le sue condotte comportamentali) 9. abuso di sostanze (l’uso di sostanze è un marker di rischi, segnala che ci può essere, nel soggetto, un disturbo di personalità o di adattamento psicosociale. Quindi l’abuso di alcol e/o di sostanze stupefacenti diminuisce la soglia del controllo e inibisce il sistema nervoso centrale invalidando la persona che ne fa uso da un punto di vista sociale e lavorativo e favorendo la conflittualità all’interno di una coppia. Ciò non significa che tutti i maltrattanti, abusino di queste sostanze né che chi ne abusa, diventi necessariamente un maltrattante. Inoltre, il /la valutatore/rice non deve fare una diagnosi di dipendenza o di malattia, deve semplicemente verificare se questo fattore di rischio è presente o meno) 10. disturbi mentali (la malattia mentale non può essere considerata la causa scatenante della violenza seppure sono molti i maltrattanti che presentano disturbi legati al pensiero, alla percezione, al comportamento, all’intelletto e alle emozioni. Alcuni maltrattanti sono affetti da psicosi e da schizofrenia, altri da disturbi di personalità che si manifestano con la rabbia, l’impulsività, l’instabilità comportamentale, l’atteggiamento narcisistico. Di solito esiste una stretta correlazione fra il desiderio che ha il maltrattante di fare del male a se stesso e il desiderio di fare del male agli altri ed è per questo che molti omicidi sono seguiti da atti di suicidio). Per l’analisi di questo fattore, non è indispensabile la presenza di uno psichiatra o di un psicologo perché è lo/a stesso/a operatore/rice che può valutare la presenza di eventuali disturbi mentali attraverso semplici domande quali: il soggetto fuma in maniera compulsiva? quali sono le sue abitudini del sonno? quali sono i suoi obiettivi, sogni e desideri? quali i suoi progetti? il soggetto ha avuto dei fallimenti? il soggetto nutre rancore verso qualcuno? è competitivo? ha un buon senso dell’umore? ha una buona parlantina? (È persuasivo, manipolativo) è una persona a cui piace rischiare? mente con facilità? Si tratta di fattori significativi la cui presenza costituisce un rischio elevato di violenza molto grave o di uxoricidio ed è per questo che si rende necessario attivare una serie di strategie di tutela per la vittima oltre che misure di restrizione della libertà del maltrattante e, se possibile, di riabilitazione terapeutica. Solo dopo aveva garantito per iscritto il suo consenso secondo l’articolo 23 del d.lgs. 196/2003, l’operatore/rice potrà procedere alla compilazione della scheda sulle variabili sociodemografiche che dovrà compilare insieme alla donna al fine di conoscere le sue caratteristiche personali ed ambientali, oltre che quelle dell’uomo maltrattante. Successivamente, si sottoporrà alla vittima la scheda CTS (Conflict Tactic Scale) attraverso cui si cercherà di raccogliere quante più informazioni possibili sulla tipologia di violenza subita. Si tratta di un elenco prestampato di domande a cui la donna dovrà rispondere periodicamente. Solitamente dopo la prima valutazione, trascorreranno due mesi e poi sei o dodici così da comprendere se il partner ha reiterato, nel corso di quel periodo, la violenza. Infine, si passa alla compilazione del formulario SARA-S che l’operatore/rice può decidere di compilare con o senza la vittima. Tuttavia, è consigliabile che la compilazione avvenga con la collaborazione della donna abusata alla quale si chiederà, in due diversi momenti ovvero quello iniziale e quello finale, di esprimere la sua percezione rispetto al rischio di recidiva. È bene capire se, dopo aver ripercorso la sua storia di violenza, la vittima prenda maggiore consapevolezza di ciò che le è accaduto modificando la percezione iniziale e valutando come più grave il rischio di violenza in cui si trova. Si tratta di un questionario contenente una lunga serie di domande dettagliate relative ai dieci fattori di rischio che, fungendo da linee guida, saranno utili per stabilire l’effettivo rischio di recidiva che corre la vittima. Per ognuno di essi, si dovrà inserire uno dei seguenti codici: • • • • S = sicuramente presente; P = probabilmente o parzialmente presente; N = non presente; - = omesso, informazione insufficiente. La valutazione di ogni fattore deve essere fatta in funzione di ciò che è avvenuto alla vittima nel presente ovvero nelle ultime quattro settimane e nel passato cioè in un periodo precedente le quattro settimane. Terminata la compilazione del formulario, l’operatore/rice individua quattro diverse tipologie di rischio: rischio di recidiva nel breve tempo cioè nei due mesi successivi; rischio di recidiva nel lungo tempo cioè oltre i due mesi; rischio di violenza molto grave; rischio di escalation della violenza. Queste quattro tipologie verranno valutate secondo tre diversi livelli ovvero basso, medio ed elevato. Infine occorre prendere in considerazione gli eventuali fattori di vulnerabilità della vittima che, rendendola meno capace di reagire e di chiedere aiuto, la esporrebbero ad un maggiore rischio di violenza: • scarso accesso ai servizi; • scarsa fiducia nei servizi; • paura di stigmatizzazione; • scarso accesso alle informazioni; • preoccupazioni relative ai figli; • desiderio che i figli crescano con un padre; • paura di ritorsioni; • handicap fisici; • scarsa autostima; • scarsa rabbia; • scarsa resilienza; • alcolismo; • condizioni economiche e/o abitative inadeguate; • scarsa rete parentale, amicale e/o sociale; • Depressione e ansia; • status di immigrata.