Un genere di prevenzione:
il metodo Sara
Dott.ssa Rosaria Marsico
07 Maggio 2014
Università della Calabria
Il metodo Sara (Spousal Assault Risk Assessment)
finalizzato alla valutazione del rischio di recidiva
della violenza e di uxoricidio.
“Data la costante presenza negli anni di omicidi in
famiglia che riguardano solitamente partner uccise
dai loro mariti o conviventi, attuali o ex, nonché il
reiterarsi per anni dei maltrattamenti, è divenuta
sempre più impellente l’esigenza di trovare strategie
per individuare quei casi maggiormente a rischio di
recidiva e attuare misure per proteggere le vittime
e aiutare il reo a modificare comportamento”
Le tipologie della violenza:
Psicologica
Fisica
Economica
Sessuale
Stalking
Uxoricidio
La violenza
alle donne come
problema sociale
Le conseguenze della
violenza sulla salute
psichica della donna
I principali sintomi sono:
• sentimenti di impotenza e di orrore;
• distacco;
• assenza di reattività emozionale;
• sensazione di stordimento;
• amnesia dissociativa;
• incapacità di ricordare aspetti importanti del trauma,
persistente rivissuto dell’evento attraverso immagini,
pensieri, sogni, flash-back;
• aumentato stato di allerta, come ipervigilanza, insonnia,
incapacità di concentrazione, irrequietezza;
• risposte di allarme esagerate;
• pianto;
Le conseguenze
della violenza
sulla salute fisica
della donna
I principali sintomi sono:
• ferite (dalle lacerazioni alle fratture e danni agli organi interni);
• invalidità permanenti o temporanee;
• gravidanza indesiderata;
•
disturbi ginecologici: infezioni vaginali, dolori mestruali,
dolori pelvici, irregolarità del ciclo mestruale;
• malattie sessualmente trasmesse compreso l’HIV;
• emicranie e mal di schiena cronico,
• disturbi gastroenterici cronici, sindrome di irritabilità intestinale;
• problemi cardiovascolari (ipertensione, tachicardia);
• asma;
• comportamenti autolesionisti (tabagismo,).
La risposta
sociosanitaria
Gli ostacoli:
1. Mancanza di tempo
2. Paura di ferire la donna
3. Timore di scoprire un
danno a cui non si sa
rispondere
4. Mancanza di competenze
5. Paura di essere
testimone di una vicenda
scomoda
Esperienze a
confronto:
le testimonianze
di 9 operatrici
sanitarie
e di 1
operatore
Omeopata
Psicologa
Assistente
sociale
Cardiologa
Donna
Farmacista
Dottoressa
Dottoressa
Di Guardia
di famiglia
medica
Infermiera
Pediatra
Il metodo d’indagine prescelto è stata l’intervista in
profondità articolata per aree tematiche:
• tipologia di risposte che il servizio sanitario
fornisce alla donna in difficoltà
• ricostruzione di alcuni casi significativi di
violenza: caratteristiche della donna maltrattata
e del maltrattante
• eventuale partecipazione a percorsi formativi
specifici sul tema della violenza
Gli aspetti
cruciali
il lavoro
di cura
I segni
invisibili della
violenza
La violenza
si consuma
in famiglia
Incidente
domestico
o violenza?
I ruoli
di genere
il disagio
economico
il bisogno
di formazione
La violenza
assistita
Il lavoro di cura:
”La salute dei suoi cari
viene prima della
propria(…)è un meccanismo
strano che si ripete in
tutte le donne e che
credo sia da ricollegarsi a
degli stereotipi culturali
che la rilegano in una
condizione di cura”
(dottoressa di famiglia)
Il lavoro di cura:
“Molte volte se il marito ha un problema di salute,
è la donna che l’accompagna; il contrario avviene
ma meno spesso. Diciamo che le donne sono
portate a preoccuparsi dello stato di salute del
proprio marito mentre si preoccupano
tendenzialmente meno del proprio. Trovi donne
che sono disposte a sopportare meglio il dolore
proprio che quello altrui. Questo lo vedi scritto
tra le righe non sempre le donne lo dicono
esplicitamente ma è così”
(Intervista Cardiologa)
Il lavoro di cura:
“La donna, solitamente, si
prende cura di tutto il
nucleo familiare soprattutto
se casalinga”
(Intervista Dottoressa di Guardia medica).
La violenza di genere si consuma in
famiglia
“Credo che il fenomeno della violenza,
soprattutto di quella domestica sia
diffusissimo e ancora sommerso. Molte
vittime, molte mie pazienti preferiscono
tacere, nascondere, giustificare. È facile
che una di loro abbia uno sfogo
momentaneo ma poi finisce là poiché è
difficile che trovi il coraggio di
interrompere quella relazione malata”
(Intervista Dottoressa di famiglia)
La violenza di genere si consuma in
famiglia
“A sentire la televisione è (un fenomeno)
diffusissimo. Per quella che è la mia esperienza
posso dirti che è frequente ma non penserei che
sia così devastante. Poi è normale, ci sono tante
situazioni nascoste che ignoriamo, che io forse
ignoro però c’è anche da dire che io ho
affrontato tutti casi piuttosto risolvibili perché
se una donna non si trova bene con il marito
basta che lo lasci. Non noto certo la
devastazione che ci vogliono far credere quanto
meno nella nostra regione”.
(Intervista Omeopata)
La violenza e il disagio economico
“Se nella coppia lavora solo uno, la gestione
economica fatta solo da uno è nociva perché è
facile sentirsi dire ‘Io ho il controllo dei soldi
per cui se abbiamo una discussione, non ti do
nulla’. Questa è una sopraffazione vera e
propria che, a volte, ferisce molto di più del
darsi uno schiaffo in un momento di ira in cui
si chiede anche perdono alla moglie perché ci
si è lasciati trascinare.”
(Intervista Pediatra)
La violenza e il disagio economico
“(Tollerano) Forse perché non hanno
indipendenza economica, temono di non riuscire
ad andare avanti. Non saprei, per come sono
fatta io non ci penserei su due minuti ma non
saprei cosa succede a queste donne. Forse
molti uomini fanno giochi psicologici che
riescono a frenare la denuncia o il semplice
abbandono da parte delle loro mogli che,
addirittura non riescono nemmeno a dire
‘subisco’, figurati a ribellarsi”.
(Intervista Farmacista)
I segni (in)visibili della violenza
“Credo si tratti più di ripercussioni a livello
psicologico perché, ad esempio, le donne che
subiscono spesso chiedono alle altre donne
come si comportano gli altri mariti, è alla
continua ricerca di verificare l’altro come si
comporta nella coppia. Si tratta di una donna
che versa in un continuo stati di malessere,
di disagio”
(Intervista Assistente Sociale)
Incidente domestico o violenza?
“In alcuni casi, se la donna ha paura parla di
incidenti domestici e di cadute accidentali
mentre altre volte la donna sa che esiste il
segreto professionale medico e paziente e
si confida(…) Si verificano casi in cui la
donna lamenta di dolori alla testa e, in quei
casi, si vede ad esempio che manca una
ciocca di capelli oppure, spesso, si trovano
fra le dita dell’uomo tracce di capelli “
(Intervista Dottoressa di Guardia Medica)
Incidente domestico o violenza?
“E’ significativo il modo in cui una donna si presenta,
si giustifica. Le donne che mentono trovano scuse
banali del tipo ‘Sai sono caduta’, ‘Non ho visto la
porta’ perché hanno paura di ammettere la
verità(…)Di solito, sono questi i sintomi che ci
permettono di capire che non si tratta di incidente
domestico perché una donna che si procura una
frattura cadendo dalle scale è arrabbiata con se
stessa, se la prende con se stessa e con la sua
distrazione. C’è una diversità di comportamento,
del modo di parlare, della tonalità di voce: si finge
ma non si sa fingere. La donna maltrattata viene
ma ti dice piano piano di essere caduta dalle scale,
ad esempio, quasi come se temesse di essere
scoperta”
(Intervista Infermiera del 118)
Incidente domestico o violenza?
“Dopo tanti anni di esperienza, tu ti rendi
conto se chi hai di fronte sta cercando di
nascondere con un alone ciò che le è
accaduto. Quando la donna mente comincia a
non saper spiegare la dinamica dell’incidente
e a diventare titubante. Poi, non è da
sottovalutare nemmeno il comportamento
della persona che accompagna la
malcapitata: anche le sue parole, i suoi gesti
possono comunicarti se quel racconto è
sincero o meno”
(Intervista Tecnica di Radiologia)
La violenza: una spirale
intergenerazionale
“Un figlio che assiste ad una qualsiasi forma di
violenza, ne rimane impressionato. Anche una
semplice minaccia pronunciata con un tono più duro
può essere percepita dal bambino con più
drammaticità di uno schiaffo(…)mi è capitato di
soggetti un po’ assenti, che assumevano
atteggiamenti simil autistici, di isolamento dal
contesto familiare ma non solo magari anche
scolastico. In alcuni bimbi mi ha colpito lo sguardo
assente. In genere il bimbo ti guarda e sorride. In
casi di violenza, il bambino non è attratto da ciò
che gli sta intorno, è un po’ come se fosse in un
altro mondo”.
(Intervista Pediatra).
La violenza: una spirale
intergenerazionale
“In genere è chiamata violenza assistita perché
prendono, loro malgrado, parte ad una situazione di
conflittualità(…)Il papà che si comporta in un certo
modo con la mamma crea nel maschietto
un’identificazione con l’aggressore(…)Al contrario, le
bambine sono paurose, non vogliono parlare con
l’estraneo, hanno disturbi del sonno, hanno problemi
con il cibo. Le bambine si difendono identificandosi
con la figura femminile di vittima(…). C’è una
reazione a catena che si ripete, si perpetua(…)I
bambini da grandi possono divenire violentatori e le
bambine diventano vittime: entrambi modulano un
comportamento negativo. Chi subisce, in genere,
ripete. È una reazione a catena che si attiva”
(Intervista Psicologa)
La violenza: una spirale
intergenerazionale
“Forse si tratta di uomini che hanno
vissuto in famiglie dove hanno
assistito a scene in cui il padre
picchiava la madre e così ci si
sente autorizzato a fare lo stesso”
(Intervista Infermiera del 118)
La violenza: una spirale
intergenerazionale
“La donna, sin da bambina, viene
picchiata ogni qualvolta sbaglia ed è
per quel tipo di educazione ricevuta
che la donna continua a subire in
silenzio, continua a sentirsi in colpa e a
non ribellarsi”
(Intervista Infermiera del 118)
La violenza: una spirale
intergenerazionale
“Mi riferisco a problemi familiari quali
la violenza del padre sulla madre o
sullo stesso figlio che, da grande,
simulerà quei comportamenti bisogna
dire che violenza genera violenza”
(Intervista Dottoressa di Guardia Medica)
La sfida del mondo sanitario, oggi, si
gioca su due livelli:
1. da un lato riguarda l’assunzione del
giusto atteggiamento da parte dei
medici nei confronti delle donne che
hanno
subito
violenza
e
che
chiedono aiuto,
2.dall’altro
attiene
all’adeguato
riconoscimento della violenza anche
quando la donna non ne parla
esplicitamente.
Chi è
SARA?
È un
canovaccio
di idee
L’aspetto preventivo più importante
consiste nel creare le condizioni
necessarie affinché il fenomeno non si
sviluppi, anzi si arresti. In questo senso
l’intervento sanitario deve essere
finalizzato all’attuazione di una maggiore
informazione rivolta alla donna circa i
rischi della violenza e sulle strategie
per prevenire quelle relazioni
caratterizzate da una totale dipendenza
della figura femminile da quella maschile
Individuando i fattori di rischio, si può
provare a determinare la loro presenza
in un episodio sospetto al fine di
riuscire ad elaborare, tempestivamente,
l’intervento più idoneo a proteggere la
donna da altri maltrattamenti che
potrebbero sfociare nell’omicidio. Per
questa ragione è nato in Canada, dal
lavoro del dottor Randy Kropp e del
professor Steve Hart, il metodo Sara
che in Italia vive ancora una fase di
sperimentazione. “Il principio su cui si
basa la valutazione del rischio è che la
violenza è una scelta”
Ciò significa che il maltrattante
sceglie di usare violenza nei
confronti della sua partner in un
certo momento, influenzato da
una serie di fattori individuali,
sociali, biologici, neurologici. Se
si riesce ad individuare quali di
questi fattori hanno influenzato la
scelta della violenza in un certo
momento e in una certa maniera,
allora si può intervenire con un
piano di gestione del rischio che
miri a ridurli
L’elaborazione del piano di
gestione passa attraverso
quattro momenti:
•il monitoraggio;
•il trattamento;
•la supervisione;
•la programmazione della
sicurezza della vittima.
Il monitoraggio consiste in una continua
valutazione del rischio e in una costante
analisi del caso che permette di verificare i
probabili cambiamenti che avvengono nel
tempo, del rischio della violenza.
Il monitoraggio si esplica attraverso la costante
sorveglianza del caso preso in esame da parte
delle figure sociosanitarie, ma anche delle
operatici dei centri antiviolenza, delle forze
dell’ordine, dei tribunali che, attraverso
continui colloqui con la vittima e il
maltrattante, le visite domiciliari e le
intercettazioni ambientali, iniziano ad
abbozzare strategie idonee per la tutela della
vittima.
Il trattamento proposto all’interno
del metodo Sara è di tipo
riabilitativo. Ciò significa che, per
ridurre il rischio di recidiva,
sarebbe opportuno adottare dei
trattamenti terapeutici di tipo
cognitivo-comportamentale volti ad
aiutare l’aggressore a sviluppare le
competenze
necessarie
per
contenere la propria aggressività,
per regolare le emozioni migliorando
la sua capacità di entrare in
empatia con il vissuto altrui.
In Italia, attualmente, il
trattamento riabilitativo è previsto
solo in fase di esecuzione della
pena quindi dopo il compimento del
delitto che si dovrebbe prevenire; i
rari casi in cui viene applicato il
TSO (trattamento sanitario
obbligatorio) sottintendono la
presenza accertata di elementi
indicativi che attestano la
pericolosità della persona per la
salute e l’incolumità propria ed
altrui.
La supervisione limita la libertà
dell’aggressore che può essere
sottoposto alla custodia cautelare o
all’ordine di allontanamento.
La supervisione implica una serie di
comportamenti volti a tenere
l’aggressore lontano dalla sua vittima.
La supervisione è finalizzata alla
sicurezza della donna
che può trovare ospitalità presso case di
accoglienza o centri antiviolenza ed
inoltre, la sicurezza implica un
aumento delle risorse che occorre
utilizzare per garantirne l’incolumità.
Esse possono consistere, ad
esempio, nella previsione di un
accesso facilitato da parte della
donna alle forze dell’ordine con un
numero telefonico diretto.
Un’altra misura di sicurezza utile
potrebbe essere il coinvolgimento
delle persone che sono più a
contatto con la vittima quali
parenti, vicini di casa, amici,
insegnanti dei figli affinché
possano attuare atteggiamenti di
tutela nei confronti della stessa.
La valutazione del rischio di recidiva, nei casi
di violenza domestica, avviene attraverso
l’analisi:
1.
del rischio di recidiva (con quale
probabilità quell’atto di violenza si
ripeterà?);
2.
della natura della violenza (quale forma
di maltrattamento avviene nella coppia?);
3. dell’imminenza della violenza (la violenza
accadrà nel breve o nel lungo periodo?);
4. dell’intensità (si tratta di un singolo evento
violento o di più azioni?);
5.
della gravità (quali sono i danni e quali le
conseguenze psicofisiche?)
Sulla base di queste 5 variabili,
sono stati elaborati 20 fattori di
rischio oggettivi attraverso cui le
operatrici hanno la possibilità di
fornire un quadro esaustivo della
pericolosità del soggetto che si
sta analizzando grazie all’utilizzo
di un linguaggio condiviso che
facilita la comunicazione tra le
diverse figure professionali.
Tuttavia il Sara non deve essere inteso
come un test psicometrico poiché esso
non fornisce un punteggio assoluto sul
rischio o sulla personalità del soggetto
ma fornisce una valutazione
psicosociale, attraverso una checklist di
linee-guida standard, sulle
caratteristiche dell’aggressore e della
relazione che lo stesso instaura con la
vittima.
I 20 fattori di rischio, denominati item,
sono stati raggruppati in cinque grandi
aree tematiche che si configurano nel
seguente modo:
Sezione 1 “Precedenti penali”:
1. aggressioni nei confronti di componenti
familiari,
2. aggressioni passate nei confronti di estranei
o persone conosciute di vista,
3. violazione pregressa della libertà vigilata o
dell’affidamento in prova ai servizi sociali.
Numerosi studi hanno dimostrato che il
possesso di precedenti penali per reati
indipendenti dalla violenza domestica è
associato, in modo significativo, ad episodi di
abuso e di maltrattamento.
Sezione 2 “Adattamento psicologico”:
4. problemi recenti di relazione,
5. problemi attuali di disoccupazione,
6. essere stato vittima o aver assistito a
violenza domestica da bambino o da
adolescente,
7. recente uso e dipendenza da sostanze
stupefacenti,
8. recente intenzione o ideazione suicida o
omicida,
9.
recente
sintomatologia
psicotica
o
maniacale,
10. disturbi di personalità associati a sintomi
di
rabbia,
impulsività
o
instabilità
comportamentale.
Sezione 3 “Storia di violenza domestica”:
11. pregresse aggressioni fisiche (si basa sull’assioma
della ricerca empirica secondo cui il comportamento
passato predice quello futuro),
12. pregressa aggressione sessuale/gelosia possessiva
(questo item attiene alla volontà dell’aggressore di
punire la vittima sancendo il suo predominio
sessuale),
13. uso pregresso di armi o minaccia credibile di
morte,
14. escalation della frequenza e della gravità della
violenza (si fa riferimento ai casi in cui la violenza,
nel corso del tempo, è aumentata divenendo sempre
più grave)
15. pregressa violazione dell’ordine di allontanamento
o di divieto di dimora,
16. minimizzazione o negazione della violenza
domestica (il partner cerca di deresponsabilizzarsi
rispetto al comportamento violento che assume nei
confronti della partner),
17. atteggiamenti che supportano o giustificano la
violenza contro le donne (si fa riferimento a tutte
quelle credenze religiose, politiche, culturali sia
individuali che collettive attraverso cui si legittima
il modello patriarcale del predominio maschile.
Nella sezione 3, sono raggruppati gli item che si
riferiscono a quegli eventi di violenza più facilmente
contestabili ovvero quelli legati al passato.
Sezione 4 “Indice dei reati”:
18. gravi violenze e aggressioni sessuali,
19. uso di armi o di minacce di morte
credibili,
20. violazione dell’ordine di allontanamento
o di divieto di dimora.
Nella sezione 4, sono raggruppati gli item che si
riferiscono agli eventi di violenza attuali o
recenti.
Sezione 5 “Altre considerazioni”: non vi sono
item particolari ma solo item critici ovvero
il/la valutatore/rice riporta in questa sezione
quei comportamenti che caratterizzano il caso
specifico e che sono, di per sé, sufficienti
per far aumentare il rischio di escalation, di
recidiva o, addirittura, di violenza letale.
Si fa riferimento ad item come:
- uso di violenza contro animali;
- disponibilità permanente di un’arma da fuoco.
Nel caso degli item critici, il valutatore può
assegnare un punteggio pari a
0 = assente
1 = presente
mentre nelle aree precedenti potrà utilizzare il
valore
0 = basso
1 = medio
2 = alto
La valutazione del rischio avviene attraverso la
consultazione, da parte dell’operatrice/ore
valutatrice/ore, dei fascicoli e delle relazioni che
raccolgono informazioni dettagliate sul caso che si
vuole analizzare, ma soprattutto tramite i colloqui
con la vittima, con il maltrattante e con tutti coloro i
quali sono informati sui fatti.
Ad ogni modo, seppur il metodo SARA si
presenta come valido strumento di indagine
nei casi di violenza privata, è importante
attribuirgli il giusto valore. Ciò significa che
esso non vuole essere né uno strumento
sostituivo delle consuete prassi d’indagine né
una scala clinica volta a rivelare la
personalità dell’imputato violandone, in tal
senso, i diritti; piuttosto si presenta come
un canovaccio di linee guida per individuare il
livello di rischio della condotta aggressiva
dell’uomo violento al fine di elaborare
procedure d’intervento o di trattamento che
mirano a ridurre il rischio di recidiva.
La versione screening
del metodo Sara
prende in
considerazione 10
fattori di rischio
che sono
raggruppati in due
sezioni:
1. Violenza da parte
del partner o expartner
2. Adattamento
psico-sociale
La versione screening gode di un vantaggio
importante rispetto a quella integrale che
consiste nell’utilizzo di una lista meno
onerosa di item che permette al
valutatore/rice di raccogliere un maggior
numero di informazioni in un lasso di
tempo relativamente breve.
Il Sara-S non valuta il rischio sulla base
della quantità dei fattori di rischio
presenti ma sulla tipologia dei medesimi,
sulla loro interazione ed evoluzione nel
corso del tempo ed è per questo che
diventa importante ripetere la valutazione
ad intervalli di tempo regolari che, di
solito, coincidono con una scadenza
semestrale.
È bene precisare,
inoltre, che il
metodo Sara
Screening permette
l’individuazione di
un basso, medio o
elevato rischio di
recidiva sia
nell’immediato,
ovvero entro due
mesi, che nel lungo
periodo cioè oltre i
due mesi.
È consigliabile effettuare una nuova valutazione del
rischio quando si verificano le cosiddette
“circostanze critiche” ovvero quelle situazione in
cui la vittima necessità di maggiori misure
protettive quali:
- casi in cui la vittima ha espresso la sua
intenzione di separarsi dal partner maltrattante,
- casi in cui la vittima inizia una nuova relazione
contro la volontà dell’abusante. In questi casi, il
rischio di violenza, soprattutto nella forma dello
stalking, si estende anche al partner della donna;
- casi in cui si verificano controversie rispetto
all’affidamento dei figli o alle modalità di visita o
all’assegnazione della casa;
- casi in cui il maltrattante esce di prigione dopo
un periodo di custodia cautelare o dopo la
condanna per il reato di maltrattamenti.
A) Violenza da parte del partner o expartner:
1. gravi violenze fisiche e sessuali (si fa
riferimento
alla
messa
in
atto
di
comportamenti violenti come i pugni, gli
schiaffi, i calci, i tentativi di strangolamento,
l’uso di oggetti o di armi per colpire la donna,
la minaccia di usare un’arma, la costrizione ad
agire o subire atti sessuali indesiderati. Si
tratta di comportamenti che causano o
potrebbero causare danni fisici oltre che
psicologici. Coloro che hanno adottato, nel
passato,
comportamenti
simili,
sono
maggiormente esposti al rischio di usare
violenza)
2. gravi minacce di violenza, ideazione o intenzione di
agire violenza (si tratta di atteggiamenti che
generano, nella donna sentimenti di paura e di
terrore che l’aggressore può esprimere in forma
implicita “Non posso vederti in questa vita, ma ci
rivedremo nella prossima” o esplicita “La faccio
finita con te appena ti rivedo”. Le espressioni di
minaccia possono avvenire tramite bigliettini
lasciati in casa, nella cassetta delle lettere, sul
parabrezza dell’auto oppure attraverso messaggi
telefonici, e-mail, frasi dette a persone vicine alla
vittima. Un tipo di minaccia assai pericoloso è lo
stalking ovvero il comportamento persecutorio che
il partner adotta spiando, pedinando, inseguendo la
vittima al fine di creare episodi di contatto non
desiderati.
La letteratura internazionale sostiene
che ci sia una stretta correlazione fra
queste forme persecutorie, le minacce e,
in casi frequenti, gli uxoricidi . Questo
item mette in guardia rispetto alla
pericolosità dei “pensieri violenti” ovvero
rispetto alle fantasie elaborate dal
maltrattante con l’intenzione di far del
male alla vittima)
3.
escalation sia della violenza
fisica/sessuale vera e propria sia
delle minacce/ideazioni o intenzioni
di agire tali violenze (solitamente
gli episodi di violenza si alternano
alle
cosiddette
“false
riappacificazioni”. Inoltre, avviene
spesso un’alternarsi della violenza
fisica e di quella psicologica che
nel tempo si modificano divenendo
più gravi e più frequenti. Si può
parlare
di
escalation
se
si
verificano almeno tre o quattro
episodi di violenza la cui gravità è
via via sempre più intensa)
4. violazione delle misure cautelari e
interdittive ( un soggetto che non
rispetta le disposizioni giudiziarie, è a
maggior rischio di agire violenza
rispetto a chi le rispetta. Si fa
riferimento a misure penali e/o civili
quali divieto di espatrio, divieto o
obbligo di dimora, arresti domiciliari,
obbligo di allontanamento dalla casa
familiare, sospensione dell’esercizio
della potestà genitoriale, divieto
temporaneo di esercitare determinate
attività professionali)
5. atteggiamenti negativi nei confronti
delle
violenze
interpersonali
e
intrafamiliari
(si
stima
che
i
maltrattanti più pericolosi sono quelli
che minimizzano o negano le proprie
azioni di violenza, colpevolizzano la
vittima e rifiutano qualsiasi aiuto
terapeutico
sia
psichiatrico
che
psicologico. Un soggetto che giustifica
gli
abusi,
considerandoli
semplici
modalità per “assicurarsi il rispetto
altrui”, è sicuramente esposto ad un
elevato rischio di recidiva).
B) Adattamento psicosociale:
6. precedenti penali (un soggetto
che
è
solito
adottare
comportamenti violenti sia nel
contesto
familiare
che
extrafamiliare o che è coinvolto in
altre azioni criminali, è più
esposto al rischio di recidiva
poiché presenta un carattere
antisociale)
problemi
relazionali
(è
stato
dimostrato che in alcune circostanze,
come la separazione, la disparità
economica fra i coniugi, la crescita o
l’educazione dei figli, la presenza di una
malattia, la presenza di parenti dell’uno
o dell’altro coniuge, la gravidanza, si
verifica un incremento della violenza
poiché questi fenomeni aumentano il
livello di stress e di tensione nella
coppia. Addirittura, le donne incinte
sono maggiormente esposte al rischio di
subire violenza perchè subentra nel
partner un senso di gelosia e il timore di
essere abbandonato)
7.
8. status occupazionale o problemi
finanziari (lo scarso reddito, lo
stress
lavorativo
o
l’inabilità
lavorativa sono, spesso, associati
ad episodi di abusi ripetuti e al
rischio di omicidio anche perché il
problema “disoccupazione”, viene
spesso
usato
come
alibi
dall’aggressore per giustificare le
sue condotte comportamentali)
9. abuso di sostanze (l’uso di sostanze è un
marker di rischi, segnala che ci può essere,
nel soggetto, un disturbo di personalità o di
adattamento psicosociale. Quindi l’abuso di
alcol e/o di sostanze stupefacenti diminuisce
la soglia del controllo e inibisce il sistema
nervoso centrale invalidando la persona che ne
fa uso da un punto di vista sociale e
lavorativo e favorendo la conflittualità
all’interno di una coppia. Ciò non significa che
tutti i maltrattanti, abusino di queste
sostanze né che chi ne abusa, diventi
necessariamente un maltrattante. Inoltre, il
/la valutatore/rice non deve fare una diagnosi
di
dipendenza
o
di
malattia,
deve
semplicemente verificare se questo fattore di
rischio è presente o meno)
10. disturbi mentali (la malattia mentale non
può essere considerata la causa scatenante
della violenza seppure sono molti i maltrattanti
che presentano disturbi legati al pensiero, alla
percezione, al comportamento, all’intelletto e
alle emozioni. Alcuni maltrattanti sono affetti
da psicosi e da schizofrenia, altri da disturbi
di personalità che si manifestano con la
rabbia,
l’impulsività,
l’instabilità
comportamentale, l’atteggiamento narcisistico.
Di solito esiste una stretta correlazione fra il
desiderio che ha il maltrattante di fare del
male a se stesso e il desiderio di fare del
male agli altri ed è per questo che molti
omicidi sono seguiti da atti di suicidio).
Per l’analisi di questo fattore, non è indispensabile
la presenza di uno psichiatra o di un psicologo
perché è lo/a stesso/a operatore/rice che può
valutare la presenza di eventuali disturbi mentali
attraverso semplici domande quali:
il soggetto fuma in maniera compulsiva?
quali sono le sue abitudini del sonno?
quali sono i suoi obiettivi, sogni e desideri?
quali i suoi progetti?
il soggetto ha avuto dei fallimenti?
il soggetto nutre rancore verso qualcuno?
è competitivo?
ha un buon senso dell’umore?
ha una buona parlantina? (È persuasivo,
manipolativo)
è una persona a cui piace rischiare?
mente con facilità?
Si tratta di fattori significativi la
cui presenza costituisce un rischio
elevato di violenza molto grave o
di uxoricidio ed è per questo che
si rende necessario attivare una
serie di strategie di tutela per la
vittima oltre che misure di
restrizione della libertà del
maltrattante e, se possibile, di
riabilitazione terapeutica.
Solo dopo aveva garantito per iscritto il
suo consenso secondo l’articolo 23 del
d.lgs. 196/2003, l’operatore/rice potrà
procedere alla compilazione della
scheda sulle variabili sociodemografiche che dovrà compilare
insieme alla donna al fine di conoscere
le sue caratteristiche personali ed
ambientali, oltre che quelle dell’uomo
maltrattante. Successivamente, si
sottoporrà alla vittima la scheda CTS
(Conflict Tactic Scale) attraverso cui si
cercherà di raccogliere quante più
informazioni possibili sulla tipologia di
violenza subita.
Si tratta di un elenco prestampato di
domande a cui la donna dovrà rispondere
periodicamente. Solitamente dopo la prima
valutazione, trascorreranno due mesi e poi
sei o dodici così da comprendere se il
partner ha reiterato, nel corso di quel
periodo, la violenza. Infine, si passa alla
compilazione del formulario SARA-S che
l’operatore/rice può decidere di compilare
con o senza la vittima. Tuttavia, è
consigliabile che la compilazione avvenga con
la collaborazione della donna abusata alla
quale si chiederà, in due diversi momenti
ovvero quello iniziale e quello finale, di
esprimere la sua percezione rispetto al
rischio di recidiva.
È bene capire se, dopo aver ripercorso la sua storia
di violenza, la vittima prenda maggiore
consapevolezza di ciò che le è accaduto modificando
la percezione iniziale e valutando come più grave il
rischio di violenza in cui si trova. Si tratta di un
questionario contenente una lunga serie di domande
dettagliate relative ai dieci fattori di rischio che,
fungendo da linee guida, saranno utili per stabilire
l’effettivo rischio di recidiva che corre la vittima.
Per ognuno di essi, si dovrà inserire uno dei seguenti
codici:
•
•
•
•
S = sicuramente presente;
P = probabilmente o parzialmente presente;
N = non presente;
- = omesso, informazione insufficiente.
La valutazione di ogni fattore deve essere fatta
in funzione di ciò che è avvenuto alla vittima nel
presente ovvero nelle ultime quattro settimane e
nel passato cioè in un periodo precedente le
quattro settimane. Terminata la compilazione del
formulario, l’operatore/rice individua quattro
diverse tipologie di rischio:
rischio di recidiva nel breve tempo cioè nei
due mesi successivi;
rischio di recidiva nel lungo tempo cioè oltre
i due mesi;
rischio di violenza molto grave;
rischio di escalation della violenza.
Queste quattro tipologie verranno valutate
secondo tre diversi livelli ovvero basso, medio ed
elevato.
Infine occorre prendere in considerazione gli eventuali fattori di
vulnerabilità della vittima che, rendendola meno capace di reagire
e di chiedere aiuto, la esporrebbero ad un maggiore rischio di
violenza:
•
scarso accesso ai servizi;
• scarsa fiducia nei servizi;
• paura di stigmatizzazione;
• scarso accesso alle informazioni;
• preoccupazioni relative ai figli;
• desiderio che i figli crescano con un padre;
• paura di ritorsioni;
• handicap fisici;
• scarsa autostima;
• scarsa rabbia;
• scarsa resilienza;
• alcolismo;
• condizioni economiche e/o abitative inadeguate;
• scarsa rete parentale, amicale e/o sociale;
• Depressione e ansia;
• status di immigrata.
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seminario 7 maggio - Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali