MACINAZIONE ECOLOGICA: RIDUZIONE DEI CONSUMI SPECIFICI E DELLE EMISSIONI DI CO 2 MEDIANTE L’USO DI ADDITIVI SPECIALI PER LA PRODUZIONE DI CEMENTO A cura del gruppo Ricerca & Sviluppo – Divisione Additivi di Macinazione Mapei Al giorno d’oggi, il cemento Portland rappresenta ancora il legante idraulico maggiormente utilizzato nel campo dell’edilizia. Poco importa che si tratti di un capannone industriale o di un edificio dalla raffinato design: sarà sempre questo componente a legare insieme i materiali inerti utilizzati per la costruzione, donando alla struttura la desiderata forma, stabilità e durata nel tempo. Il cemento Portland prende il nome dal suo costituente principale, il clinker Portland: un materiale idraulico costituito da silicati di calcio e da minerali contenenti calcio, alluminio e ferro che fu inventato agli inizi del diciannovesimo secolo in Inghilterra e che deve il suo nome alla somiglianza con la roccia di Portland, una piccola isola nella contea di Dorset. Per la produzione del clinker Portland, la cui macinazione permetterà di ottenere la polvere di cemento, si utilizzano calcare e pietre argillose che -previa estrazione dalla cava- vengono frantumati, miscelati nelle giuste proporzioni e macinati, ottenendo la cosiddetta “farina cruda”, precursore del clinker. Questa farina viene poi cotta in speciali forni rotanti dall’elevatissima capacità (si parla di produzioni giornaliere comprese tra le 1.500 e 12.000 tonnellate). Ad alta temperatura infatti, il calcio si può combinare chimicamente con silicio, alluminio e ferro dando luogo ai minerali idraulici. Purtroppo, perché queste reazioni avvengano correttamente è necessario che il calcare perda Figura 1 - Forno rotante per la produzione di clinker Portland l’anidride carbonica (CO2) fissata come carbonato di calcio. Sommando le emissioni dovute alla decomposizione del calcare a quelle connesse con l’utilizzo dei combustibili fossili necessari a raggiungere le alte temperature di processo, risulta che per ogni tonnellata di clinker prodotta vengono immessi in atmosfera circa 900 kg di anidride carbonica; è stato stimato che, a livello globale, l’industria del cemento contribuisca al 5% del totale della CO2 di origine antropica. A causa della sempre più severa regolamentazione delle emissioni di gas serra, la loro sensibile riduzione rappresenta la sfida più grossa che l’industria del cemento mondiale dovrà affrontare nei prossimi anni. A questo aspetto si aggiunge il fatto che la macinazione del clinker, processo che avviene generalmente mediante molini tubolari a sfere o molini verticali a rulli, è un processo estremamente poco efficiente da un punto di vista energetico: solo una piccola percentuale dell’energia introdotta nel sistema (secondo alcune affidabili stime appena il 5-10%) viene effettivamente utilizzata per aumentare la finezza del cemento (finezze maggiori sono sinonimo di resistenze meccaniche –e quindi qualità- migliori). Una delle ragioni di questa scarsa efficienza è la Figura 2 – Molino tubolare per la tendenza all’agglomerazione delle polveri più fini, dovuta alle cariche macinazione di cemento Portland elettrostatiche che si formano sulla superficie delle particelle di cemento. Sia l’emissione di CO2, sia il consumo energetico specifico (misurato in kWh per tonnellata di cemento prodotto) possono essere ridotti –indirettamente e direttamente- mediante l’utilizzo di speciali additivi liquidi, trasformando così un prodotto tendenzialmente “povero” come il cemento in un materiale da costruzione tecnologicamente ben più avanzato e dal ridotto impatto ambientale. Concettualmente, gli additivi per la produzione di cemento possono essere suddivisi in due distinte categorie, all’occorrenza sovrapponibili mediante opportune formulazioni: da un lato troviamo i cosiddetti coadiuvanti di macinazione, il cui effetto principale risiede nel facilitare il processo di comminuzione mediante la forte riduzione delle cariche elettrostatiche formatesi intorno alle particelle di cemento macinato; dall’altro lato troviamo invece gli incrementatori di resistenze meccaniche, i quali permettono di ottenere cementi con performance superiori, agendo direttamente sul processo di idratazione delle fasi mineralogiche del clinker. Nel corso del presente articolo verranno presentate al lettore due distinte soluzioni tecniche, capaci rispettivamente di ridurre sensibilmente i costi di produzione del cemento e di minimizzare l’immissione in atmosfera di anidride carbonica. L’utilizzo di coadiuvanti di macinazione per la produzione di cemento è noto all’industria di settore sin dalla prima metà del secolo scorso. I numerosi vantaggi associati all’utilizzo di questi prodotti, uniti al basso impatto economico sul ciclo produttivo, ne hanno decretato una rapida e capillare diffusione, al punto che oggi è possibile stimare come, su una produzione di cemento globale pari a circa 3,3 miliardi di tonnellate (2010), almeno il 60% sia stato prodotto utilizzando additivi per cemento. Considerando un dosaggio medio pari allo 0,04%, possiamo stimare un consumo di additivo per l’anno 2010 pari a circa 800.000 tonnellate. Nella sola Cina, con differenza il più grande produttore mondiale di cemento a fronte delle 1,8 miliardi di tonnellate prodotte nel 2010 (54% della produzione mondiale), stime affidabili indicano una percentuale di additivazione pari a circa il 40% (720.000 tonnellate di cemento prodotte con additivi). Per poter dare un’idea più precisa dei risparmi connessi all’utilizzo di additivi per cemento, possiamo presentare il seguente esempio, considerando che l’aumento di produzione oraria di un molino per la macinazione di cemento ottenibile successivamente all’introduzione di un coadiuvante è solitamente compreso tra il 10 e il 30%. La reale entità di questo incremento dipende da numerosi fattori, alcuni dei quali sono immediatamente chiari ai tecnici di settore (tipologia di cemento macinato, umidità dei materiali in ingresso, etc.), mentre altri sono meno ovvi e dipendono principalmente dalle caratteristiche dell’impianto di macinazione (come la corretta distribuzione e tipologia dei corpi macinanti all’interno del molino). A titolo d’esempio, l’esperienza maturata in questo campo ci suggerisce, per un cemento di cosiddetto “tipo I” (la variante più semplice, costituita dai soli clinker e gesso, quest’ultimo aggiunto come regolatore del tempo di presa), un aumento di produzione medio pari al 20% nel caso si utilizzi un coadiuvante di macinazione. Per un molino a sfere dalla capacità di 110 tonnellate/ora, questo aumento si tradurrà in un incremento della produzione pari a circa 22 tonnellate/ora, ottenuto senza variare le caratteristiche qualitative del cemento prodotto. Caratteristiche che vengono normalmente valutate in itinere mediante la determinazione della finezza del cemento macinato, espressa come superficie specifica (cm2/g). Se per il molino a sfere appena descritto si considera una potenza assorbita pari a 3400 kW e la si divide per la produzione oraria (senza coadiuvante), si ottiene un consumo specifico pari a circa 31 kWh per ciascuna tonnellata di cemento prodotto. Introducendo il coadiuvante di macinazione (con dosaggi molto bassi, solitamente compresi tra lo 0,02 e 0,05%), si otterrà verosimilmente un aumento della produzione di entità pari a circa il 20%. In questo modo, la produzione oraria del molino salirà a 132 tonnellate/ora, mantenendo sostanzialmente invariato l’assorbimento del motore principale. Questo cambiamento in positivo determinerà quindi una sensibile riduzione del consumo specifico, abbassando questo valore, nell’esempio considerato, da circa 31 a 25 kWh per tonnellata, con un risparmio netto pari a 6 kWh/t. Considerando un costo medio dell’elettricità pari a 0,1 €/kWh (valore riferito all’Italia), otteniamo un risparmio economico pari a ben 0,6 € per ciascuna tonnellata di cemento prodotto. Proiettando questo risparmio sul lungo periodo e presupponendo una produzione annua pari a un milione di tonnellate di cemento (produzione che corrisponde ad una cementeria di medie dimensioni), il risparmio sopracitato si traduce facilmente in un risparmio annuo pari a circa 600.000 €, da cui andrà poi sottratto il costo Figura 3 - Riduzione del consumo specifico grazie al coadiuvante di del coadiuvante, in ogni caso macinazione decisamente inferiore. In aggiunta a questo marcato risparmio economico, è possibile calcolare per lo stesso caso anche il risparmio in termini di tonnellate di CO2 emesse in atmosfera nel corso di un anno. Considerando i soli combustibili fossili come fonte di energia per l’alimentazione della cementeria, è possibile calcolare un’emissione di CO2 pari a 0,57 kg di anidride carbonica per ciascun kWh. Moltiplicando questo valore costante per la riduzione del consumo specifico descritta nel precedente paragrafo, si ottiene una riduzione della CO2 emessa su base annua pari a 3,42 tonnellate. Benchè questa riduzione sia comunque di entità considerevole, nella prossima sezione verrà descritto un secondo approccio tecnico capace di massimizzare ulteriormente la diminuzione di anidride carbonica emessa nell’ambiente. Come descritto in apertura dell’articolo, è stato calcolato e riportato dagli organi ufficiali di settore come per ogni tonnellata di clinker (che è possibile definire come il vero e proprio “principio attivo” del cemento) prodotta vengano immessi in atmosfera circa 900 kg di anidride carbonica. Poiché il miglioramento dell’efficienza della tecnologia di produzione del clinker ha probabilmente raggiunto i massimi livelli, le strategie utili per raggiungere questo obiettivo sono riconducibili alla produzione di cementi a ridotto contenuto di clinker, cioè con un contenuto più elevato dei cosiddetti costituenti secondari. I cementi risultanti vengono comunemente chiamati “cementi d’aggiunta”. Tra i costituenti principali utilizzati per la produzione di cemento possiamo citare la loppa d’altoforno, le ceneri volanti, il calcare e la pozzolana, il cui impiego nel settore è aumentato di molto nel corso degli anni ed è destinato ad aumentare ancora in futuro. D’altra parte, è noto che se la quantità di clinker nella composizione del cemento viene ridotta, le prestazioni vengano penalizzate, soprattutto dal punto di vista delle resistenze meccaniche (che risultano sensibilmente più basse) e della lavorabilità. Diventano quindi necessarie tecnologie che permettano di usare quantitativi superiori di costituenti secondari, minimizzando gli effetti negativi sulla qualità del cemento. I costituenti secondari del cemento Portland possono essere suddivisi concettualmente in due tipologie, in base alla loro differente reattività nei confronti dell’acqua con cui vengono miscelati: da una parte si possono individuare i cosiddetti costituenti “idraulicamente attivi”, ad esempio loppa d’altoforno, ceneri volanti e pozzolana. Si tratta di materiali che, in miscela con il cemento, hanno la capacità di reagire con l’acqua contribuendo allo sviluppo delle resistenze meccaniche. Dall’altra parte si trovano invece i cosiddetti costituenti “inerti”, di cui il calcare (carbonato di calcio) è il rappresentante più diffuso. Questi materiali non reagiscono con l’acqua e non contribuiscono allo sviluppo delle resistenze meccaniche. Durante le reazioni che avvengono tra l’acqua e i silicati che compongono il cemento Portland si sviluppa dell’idrossido di calcio (chiamato portlandite) che reagisce con il silicio e l’alluminio contenuti nei costituenti secondari, formando dei composti molto simili a quelli che si originano durante l’idratazione del cemento. L’utilizzo di additivi specifici permette di accelerare chimicamente la produzione di idrossido di calcio, favorendo la reazione dei costituenti secondari e massimizzando così le resistenze meccaniche. Negli ultimi anni si è verificata una marcata evoluzione degli additivi di macinazione, e il mercato si è orientato verso prodotti che, oltre a permettere la riduzione del consumo energetico, migliorino le prestazioni del cemento in termini di resistenze meccaniche e lavorabilità. L’impiego di additivi tecnicamente sofisticati permette di sopperire alla perdita di resistenze meccaniche e può quindi favorire la riduzione del contenuto di clinker, minimizzando l’impatto ambientale globale dell’industria del cemento. Di seguito è descritta una delle molteplici possibilità di impiego degli additivi di macinazione nell’ottimizzazione dei cementi d’aggiunta. L’impiego di loppa d’altoforno (un residuo della produzione degli acciai) come materiale d’aggiunta nella produzione del cemento è molto comune. Le norme europee permettono l’impiego di cementi contenenti anche il 70% di loppa e in alcuni paesi (dove l’industria siderurgica è più sviluppata) i cementi alla loppa costituiscono anche il 50% della produzione totale. Come già accennato nel precedente paragrafo, la loppa contribuisce alle resistenze meccaniche (nel dettaglio alle cosiddette “lunghe” stagionature, quindi a 7 e 28 giorni) grazie alla sua idraulicità. Alle “brevi” stagionature (secondo norma 1 e 2 giorni) si ha però una perdita netta di prestazioni dovuta alla riduzione del clinker. La situazione è descritta nel grafico sottostante, dove è rappresentata la perdita percentuale di resistenze meccaniche alla compressione all’aumentare della percentuale di loppa nella composizione del cemento (e quindi alla diminuzione della quantità di clinker). Alle lunghe stagionature (28 giorni) si hanno perdite contenute, o addirittura nessuna perdita fino al 20% di loppa. Alle brevi stagionature sono sufficienti pochi punti percentuali di loppa per ridurre sensibilmente le resistenze meccaniche: bastano cinque punti percentuali di clinker in meno per osservare una perdita di resistenze dopo un giorno pari al 10%, un valore decisamente inaccettabile. Figura 4 - Perdita di resistenze meccaniche in seguito alla sostituzione del clinker con loppa Studi preliminari effettuati nei centri di ricerca Mapei, in seguito validati presso numerosi impianti di produzione di cemento, hanno dimostrato come l’introduzione di specifici additivi permetta di ridurre, in una misura compresa tra il 3 e 6%, il contenuto di clinker presente in ricetta, mantenendo assolutamente inalterate le resistenze meccaniche. A titolo di esempio, riportiamo nella tabella seguente una prova di riduzione clinker partendo da un comune cemento alla loppa (cemento tipo II/B-S secondo la norma UNI EN 197-1), con un contenuto di clinker iniziale pari al 78%. Le resistenze meccaniche dei cementi vengono comunemente misurate in MPa (Mega-Pascal). Contenuto di clinker: Resistenze dopo 1 giorno: Resistenze dopo 2 giorni: Resistenze dopo 28 giorni: 78% (senza incrementatore di resistenze Mapei) 11,4 MPa 21,5 MPa 50,1 MPa 74% (con incrementatore di resistenze Mapei) 10,9 MPa 21,7 MPa 50,8 MPa Come si vede chiaramente dai dati riportati in tabella, l’introduzione di un incrementatore di resistenze (prodotti che vengono dosati solitamente tra lo 0,08 e lo 0,2%), ha permesso di ridurre il contenuto di clinker di ben quattro punti percentuali, mantenendo pressochè invariate le caratteristiche qualitative del cemento alla loppa considerato. Questa riduzione, oltre a garantire un sostanziale ed immediato risparmio per la cementeria (ricordiamo che il clinker è di gran lunga l’ingrediente più costoso presente nelle ricette dei cementi), permette di contenere notevolmente le emissioni di anidride carbonica. L’industria cementiera ha recentemente fissato per la produzione di clinker un’emissione di CO 2 pari a circa 0,85 tonnellate di gas serra per ciascuna tonnellata di clinker prodotto. Riprendendo in mano i dati relativi alle emissioni di CO2 derivanti dal processo di macinazione, si può rapidamente notare come queste ultime siano ampiamente inferiori rispetto a quanto emesso in atmosfera durante la produzione del clinker. Prendendo come riferimento il medesimo impianto considerato per l’esempio precedente (produzione annua pari a un milione di tonnellate di cemento), per una riduzione del contenuto di clinker pari al 4% è possibile stimare una riduzione su base annua della quantità di CO 2 emessa pari a ben 34,5 tonnellate. A questo si andrà poi a sommare l’ulteriore risparmio in termini di consumo specifico durante il processo di macinazione (al pari dei coadiuvanti di macinazione, anche gli incrementatori di resistenze esercitano un marcato effetto positivo sul processo di comminuzione). La riduzione delle emissioni di anidride carbonica associata alla decarbonatazione del calcare durante la cottura del clinker e all’uso di combustibili fossili rappresenta probabilmente la più ambiziosa sfida che l’industria del cemento dovrà affrontare negli anni a venire. Nell’ambito di questo processo, la produzione di cementi d’aggiunta a ridotto contenuto di clinker rivestirà certamente un ruolo di fondamentale importanza. L’impiego di additivi per cemento permette di ridurre notevolmente la spesa energetica connessa alla produzione di cemento e di minimizzare l’impiego di clinker, limitando così le emissioni di CO 2 senza perdere le alte prestazioni che i cementi devono poter offrire per adattarsi alla moderna industria delle costruzioni. Dall’altro lato, nel campo degli additivi per cemento la ricerca è oggi più che mai focalizzata sull’utilizzo di materie prime sempre più sofisticate ed efficaci, garantendo così all’utilizzatore finale benefici sempre maggiori in termini di riduzione del consumo specifico e delle emissioni di CO2.