Reggio Calabria, Operazione replica: 4 arresti
Mercoledì 23 Luglio 2014 08:41
REGGIO CALABRIA – 23 lug. - I carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria, in
esecuzione di due diversi provvedimenti restrittivi, hanno tratto in arresto quattro persone
ritenute appartenenti alla 'ndrangheta nella sua articolazione territoriale denominata cosca
Iamonte, operante a Melito di Porto Salvo (RC) e territori limitrofi. Sono accusati di associazione
di tipo mafioso: Carmelo Iamonte, 49 anni; Gianpaolo Chilà, 36 anni; Bartolo Verduci, 28 anni;
Francesco Verduci, 26 anni. I
primi due sono stati arrestati il 16 luglio in esecuzione di un Decreto di fermo di indiziato di
delitto emesso dalla Procura distrettuale di Reggio Calabria, convalidato dal locale Gip il 20
luglio, con la custodia in carcere. Gli ultimi due, invece, sono stati tratti in arresto il 22 luglio in
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esecuzione di un'ordinanza di applicazione di Misura cautelare emessa dallo stesso Gip
sempre su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Le indagini dei
carabinieri, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, hanno
consentito di confermare e documentare che la cosca, nonostante i colpi inferti recentemente
con le operazioni "Crimine", "Ada" e "Sipario", abbia persistito in un'infiltrazione pervasiva
all'interno della comunità, riuscendo a condizionarne le attività economiche e le scelte politiche.
Le investigazioni hanno focalizzato l'attenzione sulle attività della cosca ed hanno consentito di
accertare che la potente organizzazione criminale, con strumenti, condotte e dinamiche tipiche
e consolidate della criminalità organizzata ha condizionato le attività imprenditoriali nel settore
edilizio, sia pubblico che privato, attraverso il controllo di imprese locali e, più in generale, tutte
le attività produttive, subordinando al proprio benestare e consenso l'inizio di qualunque attività
economica, attraverso il pagamento del pizzo e l'imposizione delle forniture e della
manodopera; ed ha, in alcuni casi, indirizzato l'aggiudicazione delle gare d'appalto e lavori in
favore di imprese riconducibili alla cosca.Alla base del provvedimento di fermo della Procura
Distrettuale vi è il pericolo di fuga dei primi due indagati, che erano al corrente del rapporto di
collaborazione instaurato da Giuseppe Ambrogio con la magistratura anche prima
dell'esecuzione dell'operazione "Sipario". Nel corso dell'indagine è emersa, inoltre, la facilità
con cui gli affiliati asseriscono di poter accedere ad informazioni a carattere riservato,
unitamente alla consapevolezza degli stessi, ed in particolare di Gianpaolo Chilà e Carmelo
Iamonte, di divenire oggetto di provvedimenti di carcerazione. Carmelo Iamonte, infatti,
temendo di essere nuovamente colpito dall'ennesimo provvedimento giudiziario di
carcerazione, provvedeva periodicamente alla bonifica della propria abitazione. L'attività di
indagine, avviata nel dicembre del 2013, si inserisce in una più ampia manovra investigativa
condotta negli anni dal Comando provinciale dei carabinieri di Reggio Calabria nel contrasto
della 'ndrangheta nelle articolazioni territoriali storicamente egemoni nel comprensorio di Melito
di Porto Salvo ed ha consentito di documentare che attualmente Carmelo Iamonte è il capo
indiscusso dell'omonima cosca. In relazione alla figura di quest'ultimo, dalle investigazioni è
emerso in sintesi che:
è lo stesso Carmelo Iamonte che si attribuisce il ruolo di capo assoluto del sodalizio, nella
misura in cui afferma che, se lui fosse stato libero, non sarebbero di certo stati commessi i gravi
errori nella gestione del sodalizio che avevano condotto all'operazione "Ada";
Carmelo Iamonte è partecipe dei destini della sua organizzazione, anche quando le vicende
giudiziarie non lo toccano direttamente;
il carisma di Carmelo Iamonte è tale che a lui si sarebbe rivolto perfino un avvocato reclamando
di non avere nessun imputato da difendere per il processo "Ada";
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è lo stessoCarmelo Iamonte ad avallare la credibilità del collaboratore Giuseppe Ambrogio, nel
momento in cui critica i personaggi più autorevoli che avrebbero condiviso notizie riservate
dell'associazione con Ambrogio, soggetti quali il fratello Remingo, Antonino Tripodi "barrista" e
lo zio del collaboratore, Lorenzo Marino.
Per quanto attiene la figura di Gianpaolo Chilà, lo stesso viene indicato da Giuseppe Ambrogio
come affiliato alla cosca Iamonte, appartenente alla "società minore" della "locale" di Melito
Porto Salvo.
L'esecuzione dell'operazione "Sipario", maturata a termine del lavoro investigativo teso a
riscontrare le dichiarazioni rese da Giuseppe Ambrogio, si presenta come un evento già
annunciato, atteso che gli affiliati sono risultati essere già al corrente del rapporto di
collaborazione instaurato da Ambrogio con la magistratura.
Le conversazioni telefoniche nonché quelle ambientali intercettate a bordo dell'autovettura di
Gianpaolo Chilà, nelle ore immediatamente successive all'esecuzione degli arresti, sono
indicative dell'appartenenza di quest'ultimo all'organizzazione criminale facente capo alla
famiglia Iamonte: Chilà appare in palese stato di agitazione ed esterna il disappunto nei
confronti di Demetrio Iachino, colpevole di non averlo notiziato subito dell'accaduto.
Dalle intercettazioni emerge, inoltre, come tra le priorità cui Chilà deve subito far fronte vi sia la
gestione del circolo "La Fontana", che Chilà condivideva con Giuseppe Romeo Iaria, e dietro al
quale, alla luce di quanto rivelato da altri indagati, si celano gli interessi economici degli
appartenenti alla medesima cosca. In relazione alla condotta dei due cugini Verduci, le indagini
hanno consentito di dimostrarne l'intraneità alla cosca Iamonte emersa già dal contenuto di
alcune conversazioni telefoniche captate nell'ambito dell'operazione "Ada", di cui,
successivamente, uno dei due conversanti – Giuseppe Ambrogio , divenuto collaboratore di
giustizia - avrebbe confermato contenuto, significato e rilevanza specifica rispetto a quanto già
dedotto all'epoca dagli investigatori.
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