PARTE I Il presente testo di tecnologia meccanica è destinato agli studenti del IV anno dell’indirizzo Meccanico dell’istituto professionale e fornisce la preparazione di base per affrontare lo studio della tecnica della produzione del V anno 1 INDICE MODULO 1 - Tolleranze 1.1 1.1.1 1.1.2 1.1.3 1.1.4 1.1.5 1.1.6 Tolleranze di lavorazione Gradi di tolleranza Posizione della tolleranza Accoppiamenti Scelta dell’accoppiamento Relazione fra tolleranze e rugosità Tolleranze geometriche e di forma MODULO 2 - Metalli 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 Caratteristiche dei metalli Strutture Proprietà dei metalli Metalli e non metalli più ricorrenti Leghe metalliche MODULO 3 - Acciai 3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 3.6 3.7 Classificazione e designazione degli acciai Acciai comuni al carbonio Acciai non legati Acciai debolmente legati Acciai legati Acciai rapidi Caratteristiche conferite dagli elementi di lega MODULO 4 - Trattamenti termici 4.1 4.2 4.2.1 4.2.2 4.2.3 4.3 4.4 4.4.1 4.4.2 4.4.3 4.4.4 4.5 4.5.1 4.6 4.6.1 4.6.2 4.6.3 Trattamento termico dei metalli Ricottura Ricottura completa Ricottura di lavorabilità Ricottura isotermica Normalizzazione Tempra Tempra diretta Tempra termale Tempra isotermica Mezzi di raffreddamento Rinvenimento e Bonifica Acciai da bonifica Trattamenti termici superficiali Tempra superficiale Carbocementazione Nitrurazione 2 MODULO 5 - Esami distruttivi 5.1 5.1.1 5.1.1.1 5.1.1.2 5.2 5.2.1 5.2.2 5.2.3 5.2.3.1 5.2.3.2 5.3 5.3.1 5.3.2 5.3.3 5.3.4 Prove sui materiali metallici Prove meccaniche Prova di trazione Prova di resilienza Prove di durezza Prova Brinell Prova Vickers Prova Rockwell Prova Rockwell B Prova Rockwell C La Fatica Cicli di carico Curve di Wholer Modalità e cause della rottura Diagramma di Goodman-Smith MODULO 6 - Esami non distruttivi 6.1 6.2 6.2.1 6.2.2 6.3 6.4 6.5 Esami non distruttivi Esame radiologico Raggi X Raggi γ Ultrasuoni Esame con il metodo magnetoscopico Esame con i liquidi penetranti MODULO 7 - Saldatura 7.1 7.2 7.3 7.4 7.5 7.6 7.7 7.8 7.9 Generalità sulle saldature Saldature per fusione ossiacetilenica Saldatura all’arco elettrico con elettrodo fusibile Saldatura MIG Saldatura MAG Saldatura TIG Saldatura autogena per pressione Saldatura eterogenea – Brasatura Saldabilità MODULO 8 – I materiali semilavorati 8.1 8.2 8.3 8.3.1 8.3.2 8.4 Generalità e classificazione La laminazione e prodotti di laminazione Fabbricazione dei tubi Tubi saldati Tubi senza saldatura Fabbricazione fili per trafilatura 3 MODULO 9 – Lavorazioni plastiche a caldo dei semilavorati 9.1 9.1.1 9.1.2 9.2 9.3 9.4 Forgiatura Forgiatura libera in stampo aperto Forgiatura in stampo chiuso – Stampaggio a caldo Stampi Ricalcatura Estrusione MODULO 10 – Complementi di fonderia 10.1 10.2 10.3 10.4 10.5 10.6 Generalità Fusione in terra Fusione in conchiglia Colata centrifuga in conchiglia Colata in conchiglia a pressione Microfusione o fusione a cera persa MODULO 11 - Il taglio dei metalli per asportazione di truciolo 11.1 11.2 11.2.1 11.2.2 11.2.3 Generalità sui moti Utensili per il taglio dei metalli Evoluzione storica degli uensili Gli angoli caratteristici di un utensile Gli inserti e la loro classificazione MODULO 12 - Velocità di taglio 12.1 12.2 12.3 12.4 Calcolo velocità di taglio Orientamento nel calcolo dei parametri di taglio e potenza Forze che agiscono sull’utensile Tempo di lavorazione MODULO 13 - Lavorazioni al tornio 13.1 13.2 Lavorazioni al tornio Dispositivi per il montaggio dei pezzi sul tornio 4 PREMESSA La conoscenza della tecnologia meccanica è fondamentale per chi ha deciso di intraprendere, a qualsiasi livello, una professione che si occupa della realizzazione di un qualsiasi pezzo, partendo dalla materia prima e, attraverso vari processi, giunga ad una forma ben definita, determinata dalla funzionalità cui dovrà far fronte l’oggetto realizzato. Mi rendo perfettamente conto che un corso di tecnologia meccanica non potrà mai raggiungere un livello di completezza, sia per il numero degli argomenti trattati, sia per la modalità con cui tali argomenti sono sviluppati; d’altra parte le nuove tecnologie incombono sempre più velocemente col progredire inarrestabile del progresso tecnico senza peraltro sostituire i principi fondamentali delle lavorazioni. La scelta e il modo di approfondimento degli argomenti scelti sotto forma di Moduli quindi è dettata dalla esperienza di oltre trentacinque anni trascorsi nell’insegnamento ma anche parallelamente in officina che insieme alla scuola è stata la mia soddisfazione professionale. I moduli sviluppati, sono mirati al IV anno, sia degli Istituti Professionali, ma anche ITI e costituiscono la base fondamentale per affrontare con sufficiente competenza lo studio della Tecnica della produzione che rappresenta il terminale di tutto lo studio della Tecnologia. Volutamente in questo testo non è stato particolarmente approfondito lo studio delle macchine a CNC, in quanto si rimanda al testo “ Programmazione delle Macchine a Controllo Numerico con linguaggio ISO-FANUC “ in cui oltre ai principi generali delle macchina a controllo numerico ho raccolto le regole di programmazione secondo il linguaggio Fanuc. In tale testo sono sviluppati numerosi esercizi di programmazione di pezzi che poi sono stati concretamente realizzati alla fresa o al tornio CNC del laboratorio tecnologico dell’ istituto Professionale Sismondi-Pacinotti di Pescia. Due parole occorre spenderle anche sul Disegno Tecnico-Meccanico che fa parte integrante di conoscenze tecniche. Le norme tecniche del disegno occorre apprenderle dai primi anni dei corsi di meccanica, negli anni terminali è necessario approfondire la realizzazione dei disegni attraverso le tecniche CAD bi e tridimensionali. L’ esperienza in Scuola e professionalmente è stata orientata sui programmi CADddy++ e SolidWorks entrambi assai validi senza peraltro disconoscere altri noti programmi. Prof. Ing. Giovanni Bottaini Pescia 2009-07-03 5 MODULO 1 - Tolleranze 1.1 Tolleranze di lavorazione Vediamo i motivi che hanno richiesto l’introduzione delle tolleranze di lavorazione: • Non è possibile materialmente eseguire una quota esatta per cui è necessario in ogni lavorazione assegnare un errore massimo che è possibile accettare. D’altra parte è bene sapere che l’esecuzione di quote con tolleranze sempre più ristrette aumenta i costi per cui se ne fa uso solo in caso di necessità. • Se vogliamo garantire l’intercambiabilità di pezzi eseguiti da persone diverse o dalla stessa in tempi successivi è necessario che questi pezzi abbiano la stessa tolleranza. Esempio se in una macchina mi si rompe un pezzo, posso tranquillamente sostituirlo con un altro preso ad esempio dal magazzino ricambi, senza problemi di montaggio e di funzionalità della macchina. 1.1.1 Gradi di tolleranza I gradi di tolleranza (errori) previsti , secondo le norme UNI ISO 286 , sono 20 e secondo errore crescente vanno da IT 01 – IT 0 – IT 1 – IT 2 …….fino a IT 18. I primi due gradi di precisione IT01 e IT0 sono previsti per dimensioni nominali fino a 500 mm, gli altri arrivano a dimensioni nominali fino a 3150 mm. 6 1.1.2 Posizione delle tolleranze Una volta stabilito l’errore complessivo con l’IT, si tratta di posizionare questo errore rispetto alla quota nominale, e quindi determinare il diametro massimo e minimo entro il quale si deve rimanere in fase di lavorazione affinché il pezzo sia ritenuto accettabile al collaudo. La posizione della tolleranza nel sistema ISO è individuata da lettere singole o gruppi di due lettere ( 28 posizion); le lettere maiuscole si usano per i fori, le minuscole per gli alberi A – B – C – CD – D – E – EF – FG – G – H – Js – J – K – M – N – P – R – S –T – U – V – X – Y – Z – ZA – ZB - ZC a – b – c – cd – d – e – ef – fg – g – h – js – j – k – m – n – p – r – s – t – u – v – x – y – z – za – zb - zc In genere possiamo affermare che nella meccanica ordinaria le lettere più usate sono quelle che vanno da E,e a T,t. 7 8 9 10 11 1.1.3 Accoppiamenti Si definisce accoppiamento una unione di due particolari non necessariamente cilindrici in cui uno ricopre il ruolo di maschio e uno di femmina. Gli accoppiamenti possono essere: • Liberi quando il foro risulta sempre più ampio dell’albero (e la differenza si chiama gioco ). Sono liberi gli accoppiamenti in cui sono presenti le lettere che precedono o si identificano con la lettera h/H nell’ordine alfabetico. Il gioco tende a diminuire avvicinandoci alla lettera h/H. • Forzati quando l’albero risulta sempre più ampio della femmina ( e la differenza si chiama interferenza ). Sono sicuramente forzati gli accoppiamento in cui sono presenti le lettere dalla p/P alla z/Z nell’ordine alfabetico. • Incerti quando possono risultare con gioco o con interferenza e se si verifica uno o l’altro dipende sia dall’accoppiamento scelto sia da chi realizza la lavorazione. Sono incerti gli accoppiamenti in cui sono presenti le lettere js , j , k , m , n con H e le lettere Js , J , K , M , N con h. Man mano che si scende verso le lettere più basse la probabilità che si verifichi l’interferenza aumenta. Teoricamente un accoppiamento può essere realizzato combinando una qualsiasi lettera maiuscola con una minuscola ottenendo 28x28 = 784 x2 = 1568 possibili accoppiamenti. Ciò renderebbe praticamente impossibile operare una scelta; per questo motivo si è stabilito di fissare la lettera H (foro base) o la lettera h (albero base) facendo variare solo l’albero se si è scelto il foro base (H), solo il foro se si è scelto l’albero base (h). In questo caso gli accoppiamenti possibili sono 27 x 2 = 54, non solo ma si riesce immediatamente a individuare la tipologia di accoppiamento. 1.1.4 Scelta dell’accoppiamento La scelta del grado di precisione IT, dipende dal grado di finitura della superficie lavorata (rugosità) e dalla funzionalità dell’oggetto. Nella meccanica usuale non si scende mai sotto IT5, lasciando queste precisioni a meccanica di alta e altissima precisione (anche per strumenti di misura). Nella meccanica usuale si usano precisioni da IT 5 a IT10 , precisioni più elevate possono usarsi in meccanica grossolana (esempio carpenteria) Nota: in un accoppiamento le precisioni dei due elementi o sono eguali (es. 30H7/f7 ), oppure più frequentemente sul foro si assegna una unità più elevata (es. 30h6/J7) riconoscendo in tal modo la maggior difficoltà nella esecuzione di un foro preciso rispetto all’albero. Negli accoppiamenti incerti o forzati si usano precisioni più elevate (5-6-7), negli accoppiamenti liberi sono usate anche precisioni meno elevate quindi fino a 8-9. Se l’accoppiamento prevede la rotazione (es. albero su bronzina) deve risultare libero. Se la rotazione è lenta o parziale si può usare f /H o F/h g/H o G/h; se la rotazione è mediamente veloce e la lubrificazione è a grasso o sbattimento si usano le lettere f/H o F/h o e/H o E/h; con rotazioni veloci si possono usare anche piccoli giochi ma è richiesta la lubrificazione forzata. 12 Gli accoppiamenti incerti vengono utilizzati per accoppiare particolari fissi, che richiedono anche smontaggi più o meno frequenti e precisione di accoppiamento. La forzatura può essere ottenuta anche con l’uso del martello per piccole interferenze e alla pressa per interferenze più elevate. Gli accoppiamenti forzati sono sempre di precisione e in generale non dovrebbero richiedere smontaggio. Le ultime lettere dell’alfabeto offrono sicurezza e stabilità permanente dell’accoppiamento e il loro montaggio richiede la dilatazione del foro mediante opportuno riscaldamento. 1.1.5 Relazione fra tolleranza e rugosità Esiste un legame fra tolleranza e rugosità che risulta ancor più evidente negli accoppiamenti. Infatti in un accoppiamento mobile di rotazione se la rugosità risulta elevata, le creste superficiali dovute alla lavorazione, in un breve tempo si usurano aumentando i giochi e quindi modificando la funzionalità dell’accoppiamento. Tolleranza ISO fino a 3 IT6 IT7 IT8 IT9 IT10 IT11 IT12 0.2 0.32 0.5 0.8 1.25 2 3.2 Superfici cilindriche con diametri in mm Diametri e superf. piane oltre 3 fino a 18 oltre 250 0.32 0.5 0.8 1.25 2 3.2 5 oltre 18 fino a 80 oltre 80 fino a 250 Ra - Rugosità µm 0.5 0.8 1.25 2 3.2 5 8 0.8 1.25 2 3.2 5 8 12.5 1.25 2 3.2 5 8 12.5 20 1.1.6 Tolleranze geometriche o di forma Con esse viene identificata una zona all’interno della quale deve essere compreso l’elemento considerato. Per esempio un piano di riscontro per quanto preciso sia non può risultare perfettamente piano per cui la sua superficie sarà compresa fra due limiti che rappresentano l’errore di planarità. L’errore di parallelismo individua quanto può scostarsi una superficie in parallelismo rispetto ad un'altra presa a riferimento. 13 Avendo stabilito come riferimenti le superfici A e B, la superficie in esame deve avere un errore di parallelismo rispetto a A di 0.05mm e un errore di perpendicolarità rispetto a B di 0.1mm Per ulteriori sviluppi si rimanda al testo di disegno in adozione. MODULO 2 - Metalli Richiami sulle strutture dei materiali metallici Come sappiamo le sostanze presenti in natura si suddividono in metalli e non metalli. Il primo gruppo è quello di cui tratteremo. 2.1 Caratteristiche dei metalli I metalli sono solidi ad eccezione del mercurio che si trova allo stato liquido. In natura si trovano sotto forma di minerali da cui vengono estratti con vari processi. 14 Possiedono proprietà quali: buona conducibilità elettrica e termica, lucentezza, hanno struttura cristallina, presentano un grado di elasticità e resistenza meccanica. La struttura cristallina è costituita da celle elementari occupate da atomi che vibrano intorno alle posizioni di equilibrio in funzione dello stato energetico del corpo misurato dalla temperatura. 2.2 Strutture Le strutture delle celle sono essenzialmente tre: • • • Cubica corpo centrato caratteristica dei metalli più duri tungsteno , cromo, molibdeno, ferro α (da 0 a 910°C) in questo caso l’atomo al centro è di carbonio e gli atomi sugli spigoli sono di ferro. Cubica facce centrate caratteristica dei metalli più duttili e buoni conduttori quali rame, argento, oro, ferro γ (da 910 a 1430°) in questo caso gli atomi sugli spigoli sono di ferro e quelli sulle facce sono di carbonio. Esagonale compatta caratteristica dei metalli fragili quali cadmio, zinco e magnesio in cui gli atomi stanno sugli spigoli, al centro delle basi, e alternativamente al centro delle superfici laterali. Struttura cubica a corpo centrato 1 atomo di Fe 1 atomo di C Struttura cubica facce centrate 1 atomo di Fe 3 atomi di C 15 Se prendiamo in esame il ferro e consideriamo che le celle elementari sono contigue si ha: - nel ferro α in ogni singola cella abbiamo 8 atomi di ferro sugli spigoli ma appartenendo ciascuno per 1/8 alle 8 celle contigue un atomo di ferro e un atomo di carbonio nel centro - nel ferro γ in ogni singola cella abbiamo 1 atomo di Fe dagli spigoli e 6 atomi appartenenti ciascuno per ½ alla cella, quindi complessivamente 3 atomi di carbonio Si deduce che il ferro γ scioglie più carbonio del ferro α. 2.3 Proprietà dei metalli Proprietà chimiche : composizione, legami, strutture, comportamento alla ossidazione e corrosione Proprietà fisiche: massa specifica, calore massico, dilatazione termica, conducibilità elettrica e termica, temperatura di fusione. Proprietà meccaniche: resistenza dei metalli alle sollecitazioni esterne di trazione, compressione, flessione, taglio, torsione, fatica, usura e urto. Proprietà tecnologiche: riguardano l’attitudine dei metalli alle varie lavorazioni e quindi la truciolabilità, la malleabilità, la duttilità, l’imbutibilità, la saldabilità, la temprabilità , la fusibilità etc. 2.4 Metalli e non metalli più ricorrenti Non metalli: Azoto ( N ) Silicio ( Si ) Boro ( B ) Fosforo ( P ) Metalli: Alluminio ( Al ) Cobalto (Co ) Magnesio (Mg ) Manganese ( Mn) Piombo ( Pb) Stagno ( Sn ) Zinco ( Zn ) Carbonio ( C ) Zolfo (Z) Ossigeno ( O ) Cromo (Cr ) Molibdeno ( Mo ) Tungsteno ( W ) Ferro ( Fe ) Nichel ( Ni ) Vanadio ( V ) 2.5 Le leghe metalliche Non esistono metalli in cui le posizioni del reticolo cristallino sono occupate dallo stesso elemento ma, anche se in misura non rilevante, alcune posizioni sono occupate da atomi diversi, queste rappresentano le cosiddette impurità non desiderate. Quando invece si tratta di atomi di sostanze aggiunte si parla di sostanze composte. Una lega è una intima unione fra un metallo con altre sostanze a volte anche non metalli. Nelle leghe sono presenti forme di aggregazione diverse: • Miscele o miscugli quando i costituenti la lega cristallizzano per conto proprio e quindi pur miscelandosi bene sono sempre distinguibili con analisi microscopica. (miscele degli acciai e ghise: perlite, bainite, troostite, sorbite) • Composti chimici quando formano una combinazione chimica in determinata proporzione che determina in genere una sostanza diversa da quelle originarie 16 ( esempio la cementite o carburo di ferro) Soluzioni quando una sostanza presente in quantità minore (soluto) si scioglie nell’altra (solvente). Se gli atomi delle due sostanze sono di analoghe dimensioni si hanno le soluzioni solide di sostituzione (alcun posizioni del reticolo sono occupate dagli atomi • del soluto) ; se le dimensioni del soluto sono più piccole si hanno le soluzioni di intrusione con atomi all’interno del reticolo. (esempio ferro α e ferro γ) Per chiarire meglio il concetto di soluzione pensiamo allo zucchero che si scioglie nell’acqua fino al punto di saturarla, dopodiché aggiungendo altro zucchero questo si deposita sul fondo. MODULO 3 - Acciai 3.1 Classificazione e designazione degli acciai Una lega in cui il ferro è l’elemento predominante e il tenore di carbonio è di regola minore del 2% e che comunque può contenere altri elementi viene definito Acciaio. Se il tenore di carbonio supera il 2% viene usualmente indicata come Ghisa. In realtà gli acciai e le ghise non legati contengono anche altri elementi sotto forma di impurità quali fosforo e zolfo che non è economicamente conveniente eliminare del tutto. Queste impurità è utile contenerle sotto lo 0.05-0.06 % . Vi sono presenti anche altri elementi considerati positivi come manganese e silicio con percentuali in genere sotto 1%. 3.2 Acciai comuni al carbonio In questi acciai le caratteristiche dipendono essenzialmente dalla percentuale di Carbonio e quindi si classificano come: • acciai extradolci C < 0.15% • acciai dolci 0.15 < C < 0.25% • acciai semidolci 0.25 < C < 0.40% • acciai semiduri 0.40 < C < 0.55% • acciai duri 0.55 < C < 0.80% • acciai extraduri C > 0.80% La designazione degli acciai è normata dalle: UNI EN 10027/1 – Designazione alfa-numerica (1993) UNI EN 10027/2 – Designazione numerica (1993) Analizzeremo sinteticamente la classificazione UNI EN 10027/1 che è la più vicina a quella UNI 5372 precedente. Gruppo 1 – acciai designati in base al loro impiego ed alle caratteristiche meccaniche o fisiche 17 Simbolo indicante l’impiego Carico minimo di rottura Carico minimo di snervamento Rs (N/mm2) Rm (N/mm2) • S – impieghi strutturali • P – impieghi sotto pressione • L – tubi di condutture • E – costruzioni meccaniche • B – per cemento armato • Y – per cemento armato precompresso • R – per rotaie • H – prodotti piani laminati a freddo • D – prodotti piani per formatura a freddo D(Laminato a caldo) X(Lamin.non specificata) • TH-banda nera stagnata e cromata (per imballaggio) • M – acciai magnetici 100 x spessore Rs Rs Rs Rs Rs Rm Rm Rs C(Laminato a freddo) durezza media HR perdita specifica x100 Ad esempio con la designazione S 235 individuiamo un acciaio per impieghi strutturali che corrispondeva nella vecchia designazione al ben noto Fe 360. Con E 335 viene individuato un acciaio per costruzioni meccaniche avente un carico di snervamento pari a 335 N/mm2. Gruppo 2 – acciai designati in base alla loro composizione chimica, praticamente coincidente con la vecchia designazione UNI 5372 A questo gruppo appartengono: • • • Gli acciai non legati Gli acciai debolmente legati Gli acciai legati 3.3 Acciai non legati sono quelli che contengono manganese <1% e vengono designati dalla lettera C (carbonio) seguita dalla % di carboniox100. Esempi: C15 (acciaio extradolce da cementazione, usato ad esempio nella costruzione di boccole ) C40 (acciaio semiduro da bonifica, usato frequentemente nelle costruzioni meccaniche) C90 (acciaio extradura da bonifica, usato nella costruzione di molle) 3.4 Acciai debolmente legati • • • Acciai in cui gli elementi di lega sono presenti con percentuali inferiori al 5% Acciai non legati con percentuali di manganese > 1% Acciai non legati per lavorazioni meccaniche ad alta velocità (automatici) 18 Premettiamo per questa categoria di acciai i fattori moltiplicativi delle percentuali degli elementi presenti: fattore 4 per gli elementi: Cr (cromo) – Co (cobalto) – Mn (manganese) – Ni (nichel) – Si (silicio) – W (tungsteno o Wolframio) fattore 10 per gli elementi: Al (alluminio) – Be (berillio) – Cu (rame) – Mo (molibdeno) – Nb (niobio) – Pb (piombo) – Ta (tantalio) – Ti (titanio) – V (vanadio) – Zr (zirconio) fattore 100 per gli elementi: N (azoto) – P (fosforo) – S (zolfo) fattore 1000 per l’elemento: B (boro Esempi: 52 Si Cr 5 – acciaio con 0.52% di Carbonio; silicio 1.25% ; presenza non significativa di cromo. L’acciaio è impiegato per la costruzione di molle (la presenza di Si aumenta il limite di snervamento) 40 Cr Mo 4 – acciaio con 0.40% di carbonio; 1% di cromo; presenza non significativa di molibdeno. L’acciaio è da bonifica ed è impiegato nelle costruzioni di organi meccanici sollecitati meccanicamente. 35 Ni Cr Mo 15 – acciaio con 0.35% di carbonio; 3.75% di nichel; presenze non significative di cromo e molibdeno. E’ un acciaio da bonifica fra i migliori per carico di rottura R=1800-2000 N/mm2 e per carico si snervamento Rs=1250 2 N/mm 18 Ni Cr Mo 5 - acciaio con 0.18% di carbonio; 1.25% di Nichel; presenze non significative di cromo e molibdeno. E’ un tipico acciaio da cementazione. 42 Cr Al Mo 7 – acciaio con 0.42% di carbonio; 1.75% di cromo; presenze non significative di alluminio e molibdeno. La presenza di questi due elementi indica che è un acciaio da nitrurazione. 100 Cr Mn4 costruzione - acciaio con 1% di carbonio e 1% di manganese impiegato nella di cuscinetti 55 Si 8 costruzione di - acciaio con 0.55% di carbonio, e 2% di silicio impiegato nella molle Gli acciai cosiddetti “automatici” indicati per essere lavorati ad alta velocità sulle macchine automatiche devono avere il truciolo che nel distaccarsi si rompe. A ciò 19 provvedono la presenza di piccole percentuali di S (zolfo 0.15%) e di Pb (Piombo 0.15%). Esempio: 35 S Mn Pb 10 – acciaio con 0.35% di carbonio; 0.1% di zolfo; percentuali inferiori di manganese e piombo. 3.5 Acciai legati Gli acciai si dicono legati quando la percentuale di almeno un elemento di lega supera il 5% con l’esclusione degli acciai rapidi. La designazione comprende la lettera X seguita dalla % di carbonio moltiplicata per 100, a ciò seguono le sigle degli elementi di lega, seguite da numeri che rappresentano direttamente le percentuali dedli elementi. Esempi: X12 Cr Ni 1808 – è un acciaio legato con 0.12% di carbonio, poi nell’ordine 18% di cromo e 8% di nichel. Trattasi di un acciaio inossidabile conosciuto come 18-8. X10 Cr Ni Ti 1810 – è un acciaio legato con 0.10% di carbonio, 18% di cromo, 10% di Nichel, presenza non significativa di titanio. Acciaio impiegato alle basse temperature. X10 Cr Al 13 – è un acciaio legato con 0.10% di carbonio, 13% di cromo e tracce di alluminio. Acciaio resistente alla corrosione e al calore; impiegato nella costruzione di valvole per motori endotermici. UX85W18 – è un acciaio da utensili con 0.85% di carbonio e 18% di tungsteno 3.6 Acciai rapidi Nella nuova normativa non si distingue più fra acciai rapidi HS e superrapidi HSS, vengono denominati tutti rapidi e la designazione prevede le lettere HS e i numeri,m indicanti le percentuali, separati da trattini che indicano gli elementi di lega nel seguente ordine: 1. 2. 3. 4. tungsteno W molibdeno Mo vanadio V cobalto Co 20 Esempio: HS 13-08-05-03 3.7 Caratteristiche conferite dagli elementi di lega L’ aumento della percentuale di Carbonio abbiamo visto determina aumento di durezza e resistenza meccanica che possono venir aumentate quando la presenza supera lo 0.3% con il trattamento di bonifica. Si hanno però acciai piuttosto fragili e poco duttili per cui si ricorre all’aggiunta di piccole quantità di elementi (nichel, cromo, molibdeno, manganese, silicio, vanadio, etc.) in modo da ottenere elevate resistenze alla trazione associate a resilienza e duttilità, specialmente dopo adeguato trattamento termico al quale gli acciai speciali sono più sensibili. Acciai al cromo-nichel: sono molto usati nel campo delle costruzioni meccaniche innanzi tutto perché abbassano la velocità critica di tempra e ne potenziano l’effetto. Il cromo in unione al nichel agisce fortemente sulle proprietà meccaniche aumentando il carico di rottura e il limite elastico senza ridurre notevolmente l’allungamento e la resilienza. Con percentuali di cromo sopra il 12% si entra nel campo degli acciai inossidabili fra i più comunemente usati il 1808 e 1810 con % di cromo del 18% e nichel rispettivamente 8% e 10%. Quando la percentuale di carbonio è bassa (<0.2%) si usano dove occorre la cementazione. Acciai al cromo-nichel-molibdeno: la presenza di molibdeno conferisce una migliore penetrazione della tempra permettendo di mantenere le caratteristiche meccaniche anche alle alte temperature. Questi acciai sono fra i migliori per costruzioni meccaniche fortemente sollecitate. Acciai al manganese: va ricordato che il manganese in percentuali <1% è presente in tutti i titpi di acciaio essendo indispensabile come deossidante e desolforante. E’ un elemento austenizzante Quindi favorisce la resistenza all’usura, e migliorando la penetrazione di tempra favorisce la durezza anche se dà una certa fragilità. Il primo materiale per utensili fu l’acciaio Mushet, risultato di una scoperta casuale con l’aggiunta di manganese che permetteva di ottenere l’indurimento all’aria dell’acciaio. Acciai al tunsteno e vanadio: un ulteriore sviluppo dell’acciaio Mushet fu l’aggiunta di tungsteno che aumentava la durezza e la capacità di mantenerla anche ad alta temperatura (600-650°) il che lo rendeva particolarmente adatto negli acciai da utensili. Stesse caratteristiche conferisce il vanadio. Acciai al tungsteno-cobalto: il cobalto presente impedisce la dissociazione dei carburi a caldo, quindi contribuisce a mantenere una durezza stabile a caldo (700°). E’ quindi impiegato nella fabbricazione degli acciai per utensili rapidi. Acciai al silicio: è assieme al manganese un potente disossidante e quindi in piccole percentuali è usato nella fabbricazione degli acciai. Gli acciai con percentuali non superiori al 5% presentano un carico di rottura ma soprattutto un limite elastico molto elevati per cui vengono usati nella fabbricazione delle molle. 21 Acciai al piombo e zolfo: in piccolissime percentuali, specie lo zolfo (0.15%) hanno la duplice funzione di facilitare la rottura del truciolo a causa della fragilità a caldo da essi provocata e di agire da lubrificanti di taglio. Vengono impiegati nelle lavorazioni automatiche ad alta velocità per particolari che non richiedono elevate prestazioni meccaniche. MODULO 4 - Trattamenti termici 4.1 Trattamento termico dei metalli Si può definire trattamento termico un ciclo composto da tre fasi distinte: • Fase di riscaldamento fino ad una temperatura prefissata • Fase di mantenimento a questa temperatura con tempi variabili in funzione delle dimensioni dei pezzi • Fase di raffreddamento in modo continuo o discontinuo e con velocità diverse L’obiettivo dei trattamenti termici è quello di modificare le caratteristiche meccaniche e tecnologiche secondo le finalità che si vogliono ottenere, quindi: • • • • • • Aumento della resistenza meccanica Miglioramento della resistenza all’usura Miglioramento della resistenza alla corrosione Miglioramento della resistenza alla fatica Miglioramento della lavorabilità alle macchine utensili Eliminazione di tensioni interne Questo si può ottenere modificando la struttura cristallina del materiale oppure modificando la composizione chimica superficiale per diffusione, attraverso la superficie, di elementi che conferiscono le proprietà desiderate. Per rappresentare le curve di raffreddamento dovute ai trattamenti termici si possono utilizzare i diagrammi “ CCT ” ( Continuous Cooling Transformation ) e “ TTT ” ( Temperature Time Transformation ) conosciute anche con il nome di curve di Bain. Le prime raffigurate in fig. 1 sono più idonee per raffreddamenti che avvengono con continuità; le seconde raffigurate in fig. 2 sono più idonei per rappresentare raffreddamenti interrotti (isotermici). E’ evidente che per eseguire correttamente una velocità di raffreddamento è necessario conoscere i diagrammi relativi all’acciaio da trattare. Per non creare pericolosi stati tensionali che si verificano durante i raffreddamenti veloci è necessario scegliere la velocità più opportuna per ottenere le caratteristiche richieste senza eccedere nella drasticità del raffreddamento. Va sottolineato che quando gli spessori da raffreddare sono diversi, occorre molta attenzione per non provocare cricche in quanto la parte sottile raffreddando più velocemente si ritira e comincia a tirare verso la parte calda creando stati tensionali che possono portare anche a rotture. 22 DIAGRAMMA CCT DIAGRAMMA TTT 4.2 Forni I forni più usati per i trattamenti termici sono elettrici: • A muffola (cassette particolari) nelle quali vengono disposti i pezzi per evitare il contatto con l’ossigeno dell’aria che provoca pericolose ossidazioni • Ad atmosfera controllata quando il riscaldamento avviene entro atmosfere speciali di gas che non contengono ossigeno • Sotto vuoto oggi molto usati nei quali all’interno è ricavato il vuoto • A bagni di sali fusi nei quali sono immersi i pezzi , ottenendo il duplice scopo di impedire l’ossidazione ma anche di bloccare la temperatura ad un valore prefissato eseguendo quindi i trattamenti isotermici. Si usano nitrati per temperature comprese fra 150 e 550°C e cloruri per temperature più elevate fino a 750°. Si utilizza il principio fisico che afferma che durante i passaggi di stato la temperatura si mantiene costante. 23 DIAGRAMMA CCT 4.2 RICOTTURA Lo scopo della ricottura è ottenere un addolcimento del materiale, per renderlo più lavorabile all'utensile e per consentire l'ulteriore deformazione plastica a freddo; ottenimento di determinate proprietà fisiche o meccaniche; eliminazione più o meno completa degli effetti di tempra. 4.2.1 Ricottura completa 24 Si può illustrare con il seguente diagramma CCT dove: A: austenite B : bainite C : cementite F : ferrite M: martensite Scopi : Rendere l'acciaio più omogeneo e più dolce per le successive lavorazioni. Questa ricottura, come risulta dalla definizione, avviene a temperatura molto alta, nel campo di esistenza dell'austenite. Naturalmente, con questo trattamento , si sopprimono tutti gli effetti dovuti a trattamenti termici precedenti e l'acciaio, passando dal campo austenitico a quello perlitico , si rinnova completamente. Il tempo di ricottura dipende essenzialmente dai seguenti fattori: • • • • La forma e le dimensioni del pezzo; La conducibilità termica del materiale da trattare La presenza di eventuali legati La tendenza all'ingrossamento del grano. 4.2.2 Ricottura di lavorabilità Riscaldamento a temperatura leggermente al di sotto dell'intervallo critico Ac1 (circa 650°), un mantenimento prolungato ed un raffreddamento lento. Scopo: Rendere l'acciaio più facilmente lavorabile a freddo ed eliminare le eventuali tensioni interne. Questo trattamento favorisce una migliore lavorabilità alle macchine utensili, ma piuttosto un addolcimento tale da favorire una migliore deformabilità a freddo. 4.2.3 Ricottura isotermica 25 Riscaldamento ad una temperatura superiore ad Ac3, per gli acciai ipoeutettoidi, permanenza a tale temperatura per un tempo sufficiente ad ottenere , nelle zone interessate, l'equilibrio strutturale. Raffreddamento più o meno rapido, ad una temperatura leggermente inferiore ad A1, permanenza a questa temperatura per il tempo necessario a realizzare la completa trasformazione dell'austenite in una struttura relativamente dolce, di ferrite e carburi, seguita da un ulteriore raffreddamento, a velocità più o meno rapida fino a temperatura ambiente. Schema della ricottura: 4.3 NORMALIZZAZIONE In metallurgia la normalizzazione è un trattamento termico che consiste nel riscaldamento del materiale ad una temperatura poco superiore a quella di austenizzazione (Ac3 + 50-70°C), nella permanenza per 15 minuti circa e nel raffreddamento in aria calma. Tale processo è simile alla ricottura, ma in questo caso il raffreddamento è più rapido. Generalmente si ottengono strutture simili a quelle di un materiale che ha subito ricottura: la perlite che si ottiene con la normalizzazione è però costituita da cristalli più minuti ed è più omogenea (a causa del raffreddamento più veloce). Ne consegue il miglioramento della resistenza. Di solito tale processo è eseguito come ultima operazione; può costituire il rimedio a un surriscaldamento della grana. Dovrebbe sempre essere effettuata su getti d'acciaio al carbonio e basso legati e su quelli già sottoposti a ricottura d'omogeneizzazione, per affinare la struttura grossolana. È utile per annullare qualsiasi trattamento termico o meccanico (ad esempio tempra e incrudimento). L'affinazione della grana che ne consegue è un'utile preparazione a successiva tempra e carbocementazione. In commercio troviamo in genere gli acciai normalizzati o bonificati. 26 4.4 TEMPRA La tempra costituisce il trattamento più importante che può essere fatto sugli acciai in quanto realizza condizioni di durezza e resistenza meccanica elevate ma induce anche notevole fragilità. Queste caratteristiche si ottengono con una velocità di raffreddamento superiore a quella critica (ricavabile dai diagrammi CCT o TTT). In tal caso l’austenite si trasforma in martensite che è una struttura metastabile composta da una soluzione solida interstiziale soprassatura di carbonio nel ferro α con reticolo tetragonale.. Da tener presente che gli acciai assumono la durezza di tempra solo se le percentuali di carbonio sono superiori allo 0.3%. Per eseguire correttamente l’operazione di tempra, tutto il componente deve essere scaldata uniformemente; questo fattore è particolarmente importante con pezzi di forma irregolare, altrimenti si possono verificare deformazioni, tensioni interne e criccature durante o dopo il processo. 4.4.1 Tempra diretta La tempra si dice diretta quando dopo aver riscaldato l’acciaio sopra A3 se ipoeutettoide (C< 0.86%) o sopra A1 se ipereutettoide ( C>0.86%) si raffredda con velocità superiore alla critica non toccando quindi le curve CCT o TTT. 27 4.4.2 Tempra termale La tempra si dice termale quando utilizzando un bagno di sali fusi si interrompe il trattamento ad una temperatura di poco superiore a Ms (220°C) per un tempo sufficiente ad uniformare le temperature esterne ed interne, dopodichè il raffreddamento viene completato fino a temperatura ambiente. Lo scopo è evidentemente quello di evitare cricche e distorsioni. Se la curva di raffreddamento non tocca le curve di Bain (TTT) la struttura che si ottiene è martensitica, se oltrepassa la prima curva e non la seconda la struttura è mista martensitica e bainitica 4.4.3 Tempra isotermica Se la curva di raffreddamento isotermica oltrepassa entrambe le curve di Baini la struttura che otteniamo è interamente bainitica e in questo caso la tempre si dice isotermica. La struttura bainitica è un aggregato di ferrite aghiforme e cementite abbastanza fine; possiede ottime caratteristiche di durezza e tenacità per cui non sono necessari ulteriori trattamenti termici. 4.4.4 Mezzi di raffreddamento I mezzi di raffreddamento più usati sono dal più energico al più blando: • • • • • • • Acqua salata (5% di NaCl) Acqua a 20° Acqua calda Emulsioni acqua-olio Olio Aria soffiata Aria calma L’acqua salata è il mezzo di raffreddamento più energico in quanto quando si immerge il pezzo caldo in acqua si forma immediatamente una pellicola di vapore intorno al pezzo 28 che rallenta lo scambio termico. I cristalli di sale che vengono a contatto col pezzo rovente esplodono rompendo la pellicola e portando nuova acqua a contatto del pezzo. Diagrammi relativi alla tempra scalare martensitica Diagramma CCT Diagramma TTT 4.5 RINVENIMENTO e BONIFICA Il rinvenimento è un trattamento termico che è seguente alla tempra allo scopo di conseguire strutture più stabili della martensite. Il trattamento di tempra + rinvenimento è detto Bonifica. Non esiste una determinata temperatura di rinvenimento, ma temperature variabili (sempre inferiori comunque ad A1) in funzione delle caratteristiche che vogliamo ottenere. Scopo del rinvenimento Le strutture ottenute con la tempra sono instabili e comportano nel materiale tensioni interne e notevole fragilità; per questo motivo i pezzi semplicemente temprati trovano scarso impiego. Un opportuno riscaldamento toglie le tensioni interne, fissa strutture più stabili, migliora la tenacità, tutto ciò a scapito di una calo della durezza e resistenza meccanica. Un riscaldamento a 150°C elimina solo le tensioni interne senza modificare in modo evidente durezza e resistenza meccanica. Se si vuole aumentare la tenacità occorre riscaldare fino a 300°C ottenendo in genere una struttura troostitica (miscela finissima di ferrite e cementite). Chi ha molta esperienza riesce a determinare le temperature di rinvenimento dalla colorazione assunta . 4.5.1 Acciai da bonifica Gli acciai non legati da bonifica più impiegati vanno da C30 a C60 e sono utilizzati per la produzione di parti di macchine. Le caratteristiche meccaniche indicative vanno da: 29 C30: Rp = 350 N/mm2 (snervamento) Rm = 650 N/mm2 (rottura) A% = 18 (allungamento) C40: Rp = 450 N/mm2 (snervamento) Rm = 750 N/mm2 (rottura) A% = 16 (allungamento) C60: Rp = 580 N/mm2 (snervamento) Rm = 900 N/mm2 (rottura) A% = 11 (allungamento) Gli acciai speciali legati da bonifica più comuni sono: 28 Mn 6 acciaio al manganese 38 Cr 2 - 41 Cr4 acciaio al cromo 25 Cr Mo 4 - 34 Cr Mo 4 - 50 Cr Mo 4 acciaio al cromo-molibdeno 36 Cr Ni Mo 4 - 30 Cr Ni Mo 8 acciaio al cromo-nichel-molibdeno 34 Ni Cr Mo 16 acciaio al nichel-cromo-molibdeno , autotemprante in aria, con Rp = 1050 N/mm2 (snervamento) Rm = 1250-1450 N/mm2 (rottura) Gli acciai speciali da bonifica vengono usati nell’industria metalmeccanica per la costruzione di organi fortemente sollecitati staticamente e dinamicamente. 4.6 TRATTAMENTI TERMICI SUPERFICIALI I trattamenti termici superficiali hanno lo scopo di modificare le caratteristiche in superficie degli acciai conferendo essenzialmente una forte durezza superficiale e lasciando il cuore del pezzo con le caratteristiche di tenacità originarie. E’ evidente che con questi trattamenti si realizza una notevole durezza superficiale che determina una notevole resistenza alla usura. I trattamenti più significativi sono la tempra superficiale, la carbocementazione e la nitrurazione. Questi ultimi due vengono anche denominati trattamenti termochimici di diffusione per il modo con cui si realizzano. 4.6.1 Tempra superficiale Se si tratta di temprare pochi pezzi si può usare il cannello ossiacetilenico quindi operare un rapido riscaldamento superficiale seguito da un veloce raffreddamento. Questo metodo un po’ artigianale non consente un controllo efficace delle condizioni per cui è stato sostituito, specie per le tempre di serie dalla tempra superficiale ad induzione. Richiami sugli effetti magnetici della corrente: - se avvolgiamo con una bobina un pezzo cilindrico di acciaio e la facciamo attraversare da una corrente continua, all’interno della stessa si crea un campo magnetico costante e il pezzo in esso immerso si magnetizza formando una calamita artificiale. - se facciamo attraversare la bobina da una corrente alternata con alta frequenza (da 5 a 30 KHz), il campo magnetico non è più costante ma varia continuamente alternando le polarità con la frequenza. Questo campo magnetico variabile causa sulla superficie del pezzo (effetto pelle) correnti indotte di notevole intensità che, per effetto Joule, riscaldano la superficie del pezzo alla temperatura di tempra in pochi secondi. La profondità interessata è legata alla frequenza, più questa è bassa maggiore è lo strato ma si riduce la velocità di riscaldamento che è anche funzione della potenza dell’impianto. 30 Nella tempra ad induzione si adotta il principio sopra illustrato per riscaldare velocemente il pezzo dopodiché si procede ad un immediato raffreddamento che può avvenire anche dentro la bobina. Il vantaggio della tempra ad induzione, rispetto alla carbocementazione ed alla nitrurazione è la velocità di esecuzione che lo rende idoneo nelle lavorazioni di serie. La bobina deve essere modellata quanto più possibile al pezzo da trattare in modo da ridurre le perdite e aumentare la velocità di riscaldamento. Vantaggi della tempra ad induzione: possibilità di temprare parti esterne ed interne di pezzi complicati tempra selettiva perché limitata dall’area coperta dalla bobina alto rendimento: il riscaldamento è localizzato alla parte da temprare controllo automatico e quindi garanzia della costanza dei risultati forte velocità di produzione Gli acciai idonei per la tempra superficiale sono quelli in cui la % di Carbonio è compresa fra 0.3-0.5%. 4.6.2 CARBOCEMENTAZIONE Il trattamento di c. cementazione si effettua per indurire superficialmente gli acciai che devono comunque mantenere un’alta tenacità per resistere a sollecitazioni di urto e fatica. Il trattamento consiste nel riscaldare e mantenere per un tempo sufficiente un acciaio a temperature austenizzanti (>A3) in quanto solo nel ferro γ si raggiunge una sufficiente solubilità del carbonio nel ferro quando questo è posto a contatto con mezzo solido, liquido o gassoso in grado di rilasciare carbonio. Gli acciai da carbocementazione richiedono una composizione chimica in grado di facilitare l’assorbimento di C, quindi acciai con C<0.20% o con presenza di elementi ad es. il manganese che ne facilitano l’assorbimento. Con la carbocementazione riusciamo quindi ad arricchire in modo controllato la superficie dell’acciaio ottenendo durezze superficiali elevate che vengono ancor più esaltate dal successivo trattamento di tempra. La tenacità originaria del nucleo viene conservata perchè l’arricchimento di carbonio è solo superficiale e quindi non risente degli effetti di tempra. La carbocementazione si ottiene mettendo a contatto l’acciaio con sostanze in grado di cedere carbonio. La carbocementazione cosiddetta in cassetta con cementi in polvere è oggi del tutto abbandonata per motivi di costi e di tempi lunghi. La carbocementazione con cementi liquidi è fatta con bagni di sali fusi (cianuri di sodio e potassio assieme a cloruri e carbonati). La presenza di cianuri pone però diversi problemi. La carbocementazione gassosa è oggi la più affermata. Si opera con forni ad atmosfera controllata usando miscele di gas (metano, monossido di carbonio, vapori di idrocarburi etc.) , il processo è controllato con computer e ciò permette costanza di risultati e tempi precisi. Operando con temperature di 900° occorrono circa 5 ore per ottenere uno spessore indurito di 1mm. 31 4.6.3 NITRURAZIONE Il trattamento di nitrurazione consiste nel riscaldare e mantenere per un tempo adeguato un acciaio di opportuna composizione chimica a temperature comprese fra 500-550°C in un mezzo gassoso contenente ammoniaca (NH3) dalla quale possa essere assorbito l’azoto. Questo si lega con gli elementi speciali dell’acciaio formando degli azoturi che conferiscono la durezza superficiale. La temperatura di processo relativamente bassa evita pericoli di distorsioni termiche e quindi non sono necessari ulteriori trattamenti anche perché la durezza che si ottiene è di gran lunga superiore a quella della carbocementazione (fino a 1200 HV contro 700HV). Le caratteristiche ottenute negli acciai sono quindi alta resistenza all’usura, al grippaggio, mantenimento della durezza anche a caldo in quanto non necessitando delle tempra (cementazione) sono insensibili alle temperature di rinvenimento. Un’altra caratteristica delle superfici nitrurate è la resistenza all’azione degli agenti corrosivi, dell’acqua e dell’aria umida. Gli acciai da nitrurazione sono più costosi perché speciali, ma anche molto impiegati ad esempio nei cambi di velocità e nei differenziali delle automobili. Gli acciai da nitrurazione devono contenere alluminio e/o molibdeno e quindi: 31CrMo 12; 34CrAlMo 7; 31crMoV 10; 18NiCrMo5; etc. Il trattamento è assai lungo, infatti indicativamente per ottenere uno strato indurito di 0.4mm occorrono circa 50 ore di permanenza in forno. Non approfondiamo i trattamenti termici delle ghise un po’ perché l’impiego della ghisa ha perso negli ultimi anni importanza, ma anche perché i trattamenti sono analoghi a quelli operati sugli acciai e con gli stessi scopi ovviamente fa eccezione la carbocementazione. MODULO 5 – Prove distruttive 5.1 PROVE SUI MATERIALI METALLICI Le prove sui materiali mirano ad accertare le proprietà meccaniche e tecnologiche. Le proprietà meccaniche costituiscono l’insieme delle risposte che un determinato materiale è in grado di fornire quando è sottoposto alle sollecitazioni. Queste possono essere statiche se i carichi applicati sono fissi o variano con lentezza nel tempo e dinamiche quando i carichi sono variabili con grande rapidità. Le proprietà tecnologiche determinano l’attitudine del materiale a subire determinate lavorazioni. 5.1.1 Prove meccaniche Le prove meccaniche più importanti di cui ci occuperemo sono: prova di trazione, prova di resilienza, prova di fatica, prova di durezza. Molte di queste prove sono già state studiate negli anni precedenti per cui le riassumeremo nelle caratteristiche generali. Oltre a queste prove possono essere effettuate anche prove di compressione (per esempio sui cubetti di calcestruzzo), prove di taglio, prove di flessione e di 32 torsione ma la prova principale rimane la prova di trazione per tutte le informazioni che ci fornisce. La risposta di un materiale quando è sottoposto ad un carico può manifestarsi come deformazione elastica, se questa sparisce al cessare della sollecitazione esterna, oppure come deformazione plastica quando rimane anche al cessare del carico, oppure come rottura quando il carico supera un certa valore. I materiali in base alle proprietà meccaniche possono dividersi in duttili e fragili. I primi prima di rompersi si deformano plasticamente, i secondi giungono a rottura con una deformazione plastica trascurabile. 5.1.1.1 Prova di trazione Si effettua su provette di dimensioni unificate ricavate dal materiale da testare aumentando il carico applicato fino a giungere alla rottura della provetta. Il diagramma carichi-deformazioni che si ottiene può essere di forme diverse. Analizzeremo quello relativo ad un acciaio dolce perché didatticamente importante per l’individuazione dei punti caratteristici, poi vedremo due altri diagrammi relativi ad acciai. . I punti del diagramma rappresentano: A - Fp è il carico limite di proporzionalità in cui è applicabile la legge di Hooke σ = Eε il regime è totalmente elastico B - Fe è il carico limite di elasticità con un allungamento residuo allo scarico convenzionale siamo nella zona elasto-plastica, le deformazioni sono ancora piccole C - Fs è il carico di snervamento in cui iniziano le grandi deformazioni e si entra nella zona delle grandi deformazioni permanenti, regime plastico E - FR è il carico massimo raggiunto nella prova che si assume come carico di rottura 33 Il primo diagramma è tipico di un materiale che non rivela il punto di inizio snervamento per cui questo si assume convenzionalmente come quello che determina una deformazione plastica residua dello 0.2% . Il secondo diagramma è tipico di un materiale frattile. Attraverso la prova di trazione ricaviamo quindi 3 valori fondamentali per comprendere le caratteristiche del materiale : - il carico unitario di snervamento del materiale che determina il limite oltre il quale si hanno deformazioni rapide e permanenti e quindi rappresenta il carico che non dobbiamo mai superare nell’uso del materiale. Si determina facendo il rapporto fra il carico di snervamento e la sezione iniziale della provetta - il carico unitario di rottura o resistenza alla trazione che rappresenta il rapporto fra il carico massimo raggiunto nella prova di trazione e la sezione iniziale della provetta - l’allungamento percentuale dopo rottura determinato da: A(%) = LF − L0 × 100 L0 dove L0 è la lunghezza iniziale della provetta, LF è la lunghezza della provetta dopo rottura valutata fra gli stessi punti della provetta ricongiunta. Questa informazione è molto interessante perchè ci dà informazioni indirette sulla durezza, sulla tenacità, sulla capacità di sopportare deformazioni a freddo. 34 Provetta cilindrica a testa semplice Da un certificato di controllo del materiale S235 di un tubolare rettangolo 100x60x3 rilasciato dalla ditta Marcegaglia Spa si rilevano i seguenti valori: Analisi chimica: C 0.105% Si 0.010% Al=0.032% Carico di rottura: 377 N/mm2 Carico di snervamento: 268 N/mm2 Allungamento L0=5d : 16% Mn 0.328% P =0.012% S=0.015 % 5.1.1.2 Prova di Resilienza La prova di trazione non riesce a dare informazioni sui materiali destinati alla costruzione di organi sottoposti ad azioni dinamiche molti dei quali, pur avendo capacità di sopportare considerevoli sollecitazioni statiche, presentano basse capacità di resistenza ai carichi impulsivi e quindi presentano una certa fragilità. Oltre a questo la prova di resilienza a –20° è diventata importante per gli acciai da costruzione impiegati alle basse temperature. Una serie di disastri che si verificarono fra gli anni 1938-45 tra i quali diversi crolli di ponti in Germania (almeno 5) e cedimenti per fessurazioni sulle navi della serie Liberty e Victory portò alla conclusione che oltre a difetti di esecuzione, le basse temperature alle quali si verificarono i cedimenti , fra –15° e –20° , avevano provocato un aumento di fragilità negli acciai impiegati per la loro costruzione. Da qui si comprese l’importanza di verificare la differenza di resilienza di un acciaio a 20° e –20° per comprendere il suo comportamento alle basse temperature. La prova Charpy di resilienza viene effettuata su una provetta di misure unificate appoggiata fra due sponde di un maglio a pendolo sulla quale viene lasciata cadere da una certa altezza una massa che rompendo la provetta risale dalla parte opposta. La differenza delle energie potenziali della massa determina l’energia assorbita dalla rottura. Ovviamente maggiore sarà questa differenza il materiale risulterà più tenace, di contro se la mazza dopo la rottura risale molto, l’energia assorbita per la rottura è minima e il materiale è fragile. 35 La provetta in disegno è la provetta Charpy, usata è anche la provetta Messnager il cui intaglio è profondo solo 2 mm anziché 5mm. L’intaglio è necessario per indebolire la sezione e quindi facilitare la rottura esattamente al centro. Il valore della resilienza è espresso dal rapporto dell’energia assorbita dalla rottura della provetta relativa alla sezione quindi in J/cm2: K= L mg ( H − h) = S S più elevato risulta questo valore, più il materiale è tenace (più energia assorbita nella rottura); se il materiale si rompe subito (meno energia assorbita) K è basso e il materiale è fragile. 5.2 PROVE DI DUREZZA La durezza si può definire come la resistenza che un corpo oppone alla penetrazione da parte di un altro corpo. Su questo concetto si basava la scala comparativa delle durezze Mosh che comprendeva 10n sostanze elencate nell’ordine dalla più tenera alla più dura: 1. Talco 2. Gesso 3. Calcite 4. Fluorite Topazio 9. Corindone 10. Diamante 5. Apatite 6. Ortose 7. Quarzo 8. Un metallo in esame veniva inserito nella scala fra il campione che scalfiva e quello dal quale veniva scalfito. Metodo piuttosto impreciso e quindi presto abbandonato a favore di prove meccaniche. Le prove di durezza sono assai importanti dal punto di vista meccanico-tecnologico perché non sono prove distruttive che comunque consentono di risalire indirettamente a caratteristiche 36 quali la resistenza a trazione, la tenacità, l’incrudimento, l’effetto di trattamenti termici in particolare quelli superficiali, lavorabilità alle macchine utensili. 5.2.1 Prova di durezza Brinell La prova Brinell viene eseguita su materiali non eccessivamente duri in quanto il penetratore è una sferetta di acciaio temprato di diametro D = 2.5 – 5 – 10 mm passando dagli spessori inferiori a 3mm, da 3 a 6 mm e superiori a 6 mm. Il carico applicato in Newton è funzione del materiale e del diametro del penetratore: F = 9.8 × k × D 2 Materiale Materiali ferrosi Leghe leggere Bronzi e ottoni Alluminio Leghe di stagno Materiali molto teneri Coefficiente k 30 10 5 2.5 1.25 0.5 Perché la prova sia valida è necessario che il diametro dell’impronta sia compreso fra i valori: 0.2D ≤ d ≤ 0.5D HB = 0.102 F S dove S è la superficie della impronta in mm2 L’applicazione del carico è graduale in 15 sec, dopodiché si mantiene per altri 15 sec. Il valore del carico di rottura si valuta approssimativamente Rm = 3.4 HB (N/mm2) 5.2.2 Prova di durezza Vickers 37 La prova Vickers utilizza un penetratore costituito da una piramide di diamante a base quadrata con angolo al vertice di 136°. Il materiale del penetratore è il più duro fra quelli conosciuti e quindi questa prova è indicata per i materiali duri e durissimi. HV = 0.102 × F S dove S è la superficie della impronta. Il carico applicato è di solito pari a 294N (corrispondente a 30Kg) Sia la prova Brinell che la Vickers trovano limitazione nella valutazione della superficie della impronta che deriva da una lettura di d (HB) e di h (HV). Per questo motivo si è andato sempre più affermando la prova Rockwell che non richiede il calcolo delle superfici della impronta. 5.2.3 Prova di durezza Rockwell Questa prova richiede solo il valore della profondità dell’impronta che viene convertito direttamente in valore della durezza sul quadrante del durometro senza operare alcun calcolo. 5.2.3.1 Durezza Rockwell B - HRB Si usa per materiali teneri o non eccessivamente duri. Il penetratore è una sfera di acciaio temprato di diametro 1/16”. La prova è condotta in tre fasi: 1. il penetratore è caricato con una forza F1 = 98 N (10Kgf) detto precarico; la sfera penetra nel pezzo di una profondità a . 2. si aggiunge in 10 secondi il carico di prova F2 = 882 N (90 Kgf) , quindi un cario complessivo F3 = F1 + F2 = 980N (100Kgf) e il penetratore raggiunge la profondità di b. 3. dopo 20-30 secondi si toglie il carico F2, lasciando il precarico F1; la profondità dell’impronta ha un ritorno elastico e si colloca ad una profondità a + e. L’indice di durezza è dato da: HRB = 130 – 500e 5.2.3.2 Durezza Rockwell C – HRC Si usa per acciai duri legati e trattati termicamente . Il penetratore è un diamante di forma conica con angolo al vertice di 120°. La prova è condotta nello stesso modo dell’ HRB con la differenza che il carico applicato F2 = 1372N (140 Kgf). L’indice di durezza vale: 38 HRC = 100 – 500e 5.3 LA FATICA Il problema della fatica si è presentato fin dalle prime realizzazioni delle costruzioni in acciaio. Infatti già da allora era ben noto che elementi strutturali , soggetti a sforzi ciclicamente variabili nel tempo, si rompevano a carichi notevolmente inferiori alla resistenza statica. Attualmente l’importanza dei fenomeni di fatica è enormemente accresciuta, tanto che la quasi totalità delle rotture che si verificano negli organi delle macchine è da ascriversi all’effetto di fatica. 5.3.1 Cicli di carico Una tensione variabile ciclicamente fra limiti determinati è caratterizzata: • dalla tensione massima σ max • dalla tensione minima σ min • dal loro rapporto R = • • dall’ampiezza della oscillazione ∆σ rispetto al valore medio σ max σ min dalla tensione media σ media 39 L’importanza del ciclo di carico sta nel fatto che un elemento strutturale si comporta diversamente a seconda del tipo di ciclo. Infatti si intuisce che a parità di ampiezza ∆σ , un ciclo di carico risulta progressivamente più gravoso se si sovrappone ad una tensione media gradualmente crescente e analogamente a parità di σmax è più gravoso un ciclo con una tensione minima più bassa. 5.3.2 Curve di Wolher Come detto uno sforzo variabile nel tempo può condurre, dopo una certa successione di cicli di carico, alla rottura dell’elemento strutturale a cui è applicato. Sperimentalmente, mantenendo costante il ciclo di carico, si va a rilevare il tempo (o il numero di cicli) che porta alla rottura. Non ci dilunghiamo sulla prove di fatica che sono lunghe e costose e tendono comunque a simulare la condizione di carico reale a cui il campione sarà sottoposto. Si ottengono in tal modo per ciascun tipo di carico delle curve note col nome di curve di Wohler, il cui andamento è rappresentato in figura: 40 Per qualificare un acciaio nei confronti della fatica occorre costruire le curve di Wholer per ogni tipologia di ciclo di carico e quindi prove lunghe e costose. Per gli acciai si ritiene che 107 costituisca il limite di resistenza alla fatica. 5.3.3 Modalità e cause della rottura Il cedimento per fatica presenta un aspetto caratteristico della sezione di rottura: una zona liscia in cui si è manifestata e propagata la lesione per fatica ed una zona di distacco istantaneo netto e più o meno frastagliato a seconda del materiale. La lesione per fatica ha innesco preferibilmente in un punto e si estende poi progressivamente , al crescere dei numero dei cicli di carico fino a che, la riduzione dell’area resistente, produce tensioni che provocano la rottura istantanea. La lesione ha origine sulla superficie dell’organo, in corrispondenza di una brusca variazione di sezione o di un intaglio o di un qualsiasi difetto, dove comunque si realizzano le tensioni più elevate. Solo nei cuscinetti a rotolamento l’innesco avviene all’interno del pezzo, in quanto le pressioni Hertziane determinano una tensione ideale massima in profondità. Le cause principali della rottura per fatica sono: • non omogeneità o anisotropia dei cristalli che compongono il materiale • autotensioni che si sovrappongono allo stato tensionale indotto dai carichi esterni • inclusioni o altri difetti microscopici • scarsa finitura superficiale dovuta alla lavorazione • presenze di intagli • brusche variazioni di diametro La frequenza del carico non ha grande influenza sulla resistenza a fatica, mentre è correlata alle caratteristiche meccaniche del materiale in particolare allo snervamento e alla resistenza a rottura. 5.3.4 Diagramma di Goodman-Smith Il diagramma di Goodman-Smith consente di ottenere in un unico diagramma una rappresentazione delle varie condizioni di carico compatibili con una certa durata. In ascissa si riportano le tensioni medie σm corrispondenti alle tensioni σmax e σmin del ciclo di carico, in ordinata i valori di tensione.Una sollecitazione alternata simmetrica avrà σm = 0 e quindi 41 sarà sulla origine degli assi. Di solito di questa sollecitazione si possono ricavare per gli acciai i valori per un dato numero di cicli e quindi si può costruire il diagramma approssimato di Goodman-Smith. Costruzione: 1. si traccia una retta a 45° dall’origine che rappresenta le tensioni medie 2. si rilevano dai manuali per un dato numero di cicli i valori della tensione max e min a sollecitazione simmetrica alternata dell’acciaio e si riportano sulla origine degli assi dove si ha la tensione media uguale a 0 3. si riportano sul diagramma la tensione di rottura e snervamento fino ad incontrare la retta a 45° uscente dall’origine rispettivamente in C e in E 4. si congiunge il valori della tensione alternata max con il punto C, interrompendola in D sullo snervamento 5. dal punto D con una orizzontale troviamo il punto E sulla retta a 45° 6. si congiunge E col punto F che è allineato sulla verticale con D 7. si congiunge la tensione alternata min con il punto C, arrestandola in F 8. La figura chiusa così individuata rappresenta l’area di sicurezza Tutti i punti rappresentativi di sollecitazioni alternate o pulsanti che si trovano all’interno di detta area corrispondono a condizioni di funzionamento che non provocano rotture entro ilnumero di cicli sulla base del quale il diagramma è stato costruito. 42 MODULO 6 – Prove distruttive 6.1 ESAMI NON DISTRUTTIVI Con gli esami non distruttivi ci poniamo l’obiettivo di verificare l’integrità dei pezzi meccanici, sia al termine del processo produttivo sia nel corso dell’esercizio. Le possibilità offerte dalle prove non distruttive sono molto importanti per l’individuazione di difetti non palesi di pezzi ottenuti per fusione , stampaggio, sinterizzazione, saldature (soffiature, bolle, inclusioni) , difetti superficiali (criccature) non visibili a occhio. La scelta del metodo di prova va attentamente analizzata in relazione a quello che si vuole ottenere e anche al costo partendo a volte da analisi semplici per giustificare poi analisi più complesse e costose. 6.2 Esame radiologico Permette di vedere all’interno della materia mediante raggi x o raggi γ emessi da una sorgente e assorbiti più o meno nell’attraversamento del pezzo in esame. 6.2.1 Raggi x I raggi x sono radiazioni elettromagnetiche, ossia energia che si trasmette nello spazio sotto forma di onde. Anche i raggi infrarossi, la luce del sole, i raggi ultravioletti, le onde radio e tv, i raggi γ, sono radiazioni elettromagnetiche che si propagano alla velocità della luce (c=300.000.000 m/s) e differiscono solo per la frequenza e la lunghezza d’onda. All’aumentare della frequenza (f) diminuisce la lunghezza d’onda λ e la radiazione ha una maggiore energia di penetrazione. c λ= f Le frequenze dei raggi x variano da 3x1012 MHz (λ=0.1nm) a 1014 MHz (λ =0.0001nm) Il nm (manometro) = 10-9m I raggi x si propagano in linea retta e dopo aver attraversato il corpo, venendo più o meno assorbiti da questo, vanno a colpire una lastra sensibile impressionandola. I raggi x sono classificati: • Raggi molli 0.01nm <λ < 0.1nm bassa penetrazione per piccoli spessori e leghe leggere • Raggi duri 0.001nm <λ < 0.01nm buona penetrazione fino a 150mm nell’acciaio • Raggi durissimi 0.0001nm <λ < 0.001nm ottima penetrazione fino a 300 mm nell’acciaio I raggi X detti anche raggi Roetgen dal fisico tedesco che li scopri casualmente nel 1895, sono oggi prodotti mediante un apparecchio che prende il nome di tubo di Coolidge. All’interno del tubo è fatto il vuoto assai spinto e vi sono due poli il catodo (-) e l’anodo (+); fra questi vi è una differenza di potenziale alta ma regolabile a seconda degli spessori da attraversare. Un secondo circuito a bassa tensione termina con un filamento in tungsteno (si riscalda fino a 2000-2500°C) che emette elettroni che, avendo carica negativa sono respinti dal catodo (-) e attratti dall’anodo (+). Essendovi fra catodo e anodo un forte campo elettrico 43 generato dall’alta tensione gli elettroni vengono accelerati fortemente e colpiscono l’anodo in tungsteno facendo emettere ulteriori elettroni dalle orbite di questo materiale che ne ha molti e generando i raggi x quando questi rientrano nelle orbite. L’anodo è inclinato a 45° per deviare e focalizzare i raggi x sul pezzo da esaminare, dopodiché i raggi attraversato il pezzo colpiscono la lastra e la impressionano rilevando il difetto. Solo 1% dell’energia degli elettroni si trasforma in raggi x, il 99% viene dissipato in calore sull’anodo per cui è necessario un raffreddamento ad olio. 6.2.2 Raggi γ Sono analoghi ai raggi x, ma invece di essere prodotti artificialmente sono emessi da sostanze radioattive (radio-isotopi) presenti in natura o attivati artificialmente entro i reattori nucleari. Avendo lunghezza d’onda inferiore ai raggi x sono capaci di penetrare spessori profondi. I radio-isotopi sono facili da trasportare perché poco ingombranti e non necessitano di energia elettrica. Sono contenuti in recipienti di piombo nei quali l’apertura di una piccola fessura a scorrimento ne permette la fuoriuscita. Come i raggi x sono pericolosi, i raggi γ lo sono anche di più, non solo perché più penetranti, ma anche perché mentre i raggi x vengono emessi solo nel momento in cui viene attivata tensione (quindi per brevi istanti), la radioattività dei raggi γ è permanente da qui la necessità del contenitore in piombo. I radio-isotopi più usati sono il cobalto e l’iridio il cui tempo di dimezzamento della attività di emissione dei raggi è rispettivamente di 5 anni e di 75 giorni. 6.3 Ultrasuoni Gli ultrasuoni sono onde elastiche (vibrazioni) con frequenze comprese fra 500 KHz e 20000 KHz ; ricordiamo che il campo dell’udibile arriva a 16-20 KHz. L’esame ultrasonico è impiegato principalmente per rilevare difetti interni, ma anche per il controllo delle saldature e la rilevazione dello spessore dei pezzi. Un difetto è rilevabile 44 quando l’onda ultrasonica che lo investe viene in parte riflessa. Come per i raggi x la lunghezza d’onda è inversamente proporzionale alla frequenza v λ= f v in questo caso rappresenta però la velocità del suono. Più alta è la frequenza, più bassa risulta la lunghezza d’onda e maggiore è la sensibilità di controllo con possibilità di rilevare difetti fino a dimensioni di λ/4. Per generare gli ultrasuoni si sfruttano le proprietà piezoelettriche dei cristalli di quarzo, tormalina, sale di Rochelle, placchette ceramiche di titaniato di bario etc.. Questi cristalli, tagliati in lamelle secondo particolari direzioni cristallografiche, diventano sedi di cariche elettriche di segno contrario qualora si applichino su dette facce azioni alternate di compressione e trazione. Invertendo il fenomeno, cioè applicando sulle facce del cristallo degli impulsi elettrici, la lamella si dilata e si contrae ed entra in risonanza generando vibrazioni meccaniche ultrasonore. Gli spessori delle lamelle ci permettono di avere una gamma di frequenze fra cui scegliere per le varie prove. Le lamelle sono contenute in un trasduttore che ha il compito di trasformare gli impulsi elettrici che riceve dal generatore in vibrazioni meccaniche di frequenza ultrasonora. A seconda della forma, delle dimensioni e della inclinazione del trasduttore si generano: • • • onde longitudinali quando la direzione delle vibrazioni è parallela alla direzione di propagazione A-B (perpendicolare alla sorgente emittente C-D) fig. 1 onde trasversali quando la direzione delle vibrazioni è perpendicolare alla direzione di propagazione A-B; angolo incidenza trasduttore piccolo. Fig.2 onde superficiali quando la direzione è perpendicolare alla superficie del pezzo A-B, in questo caso è scandagliata la superficie del pezzo per una profondità della lunghezza d’onda; angolo incidenza trasduttore grande. Fig.3 45 Per garantire una buona trasmissibilità dell’onda, il contatto fra il trasduttore e la superficie del pezzo è facilitato dalla glicerina. L’esame può avvenire a riflessione o per trasparenza; nel primo caso il trasduttore è unico trasmette vibrazioni, ferma la trasmissione e riceve; nel secondo caso vi sono due trasduttori uno emettente ed uno ricevente. Il risultato della scansione è visualizzato su uno oscilloscopio. Esempi di scansioni: 46 Il metodo di indagine con ultrasuoni è veloce, pratico e non ha costi elevati; è in grado di rilevare difetti anche in punti non raggiungibili con altre tipologie di analisi, richiede però personale esperto per interpretare il tipo di difetto e la sua gravità in quanto non ci fornisce una immagine diretta. Quindi nel caso si voglia meglio analizzare il difetto trovato si ricorre ad una radiografia. 6.4 Esame con il metodo magnetoscopico Questo esame consente di rilevare discontinuità superficiali o subsuperficiali di ogni tipo ma in materiali esclusivamente ferromagnetici. Il principio si basa sulla magnetizzazione della superficie e successivo esame della superficie dopo che questa è stata cosparsa di minute particelle metalliche a secco o in sospensione. Quando nel pezzo si verifica una discontinuità il flusso magnetico si disperde all’esterno e le particelle metalliche si accumulano o si dispongono rivelando la presenza di un difetto. I principali vantaggi di questo metodo sono la sesibilità, la rapidità e il basso costo. Gli svantaggi riguardano la limitazione ai soli materiali ferromagnetici e la rilevazione di difetti superficiali o subsuperficiali (4-5mm di profondità) senza peraltro avere la documentazione diretta della prova. Il metodo si presta quindi a rilevazione di cricche, fessure. A - discontinuità non rilevabile B - discontinuità subsuperficiale rilevabile C – discontinuità superficiale rilevabile D - deviazioni linee di campo magnetico E – linee di flusso del campo magnetico I pezzi possono essere magnetizzati : • con un campo magnetico generato esternamente al pezzo ad esempio con un solenoide • con una corrente elettrica fatta fluire attraverso il pezzo stesso 47 La corrente più usata è la corrente continua o raddrizzata, le polveri sono costituite da pagliuzze ferrose o di ossido di ferro. Il pezzo da analizzare deve essere smagnetizzato sia prima che dopo l’esame. 6.5 Metodo con liquidi penetranti Il metodo è semplice, pratico ed economico e si basa sul principio della capillarità del liquido atto a penetrare eventuali difetti affioranti sulla superficie del pezzo che può essere ferroso e non ferroso, magnetico o non magnetico. La capillarità è il fenomeno per cui le molecole di un liquido che bagna le pareti sono attratte dalle molecole di queste più che fra di loro. Ne consegue che un liquido è capace di penetrare per capillarità un difetto superficiale anche se molto sottile. Le superfici da controllare non devono risultare rugose ma rifinite abbastanza bene. Si adottano due metodi: • con liquidi penetranti a contrasto di colore • con liquidi penetranti fluorescenti Il concetto comunque è analogo: 1. si deve innanzitutto pulire accuratamente la superficie da analizzare con solventi 2. si cosparge la superficie a pennello o con spugna del liquido penetrante rosso 3. si la va poi la superficie del pezzo e si asciuga con stracci 4. si cosparge la superficie con il liquido rivelatore bianco, in pochi minuti questo si asciuga e, se il pezzo aveva difetti, questi compariranno sul fondo bianco con delle rigature rosse in corrispondenza di crepature, oppure con punti rossi in corrispondenza di soffiature 5. dopodiché il pezzo può essere ripulito. Nel secondo caso il liquido penetrante è fluorescente e , dopo il lavaggio e asciugatura, si usano polveri assorbenti che richiamano il liquido sulla superficie e utilizzando raggi ultravioletti il difetto superficiale è evidenziato. 48 MODULO 7 – Complementi di saldatura 7.1 Generalità sulle saldature La saldatura è un processo mediante il quale due pezzi metallici costituenti il metallo base vengono uniti permanentemente (con o senza metallo d’apporto ) mediante fusione graduale del giunto. Se c’è il metallo d’apporto questo va a formare il cordone di saldatura. Le saldature si dicono autogene quando i giunti da unire sono dello stesso materiale e l’eventuale metallo d’apporto è anch’esso conforme ai giunti. Le saldature si dicono eterogene quando il materiale dei pezzi da unire è diverso e così pure il metallod’apporto. 7.2 Saldatura per fusione ossiacetilenica E’ il procedimento più vecchio come concetto ed è anche quello che oggi viene sempre meno usato. Il calore per la fusione della bacchetta costituente il metallo d’apporto è ottenuto dalla combustione del gas acetilene C2H2 (combustibile) con l’ossigeno (comburente). I due gas provengono da due bombole all’interno delle quali sono in pressione; ognuna di queste bombole è dotata di un manometro e di un riduttore di pressione; i due gas, opportunamente ridotti di pressione, vengono miscelati in un cannello anch’esso fornito di pomelli per regolare finemente la pressione di uscita. La combustione avviene appena all’esterno e la temperatura sul dardo, a circa 1-2 mm dall’uscita, raggiunge i 3000°C. E’ bene che la combustione avvenga in leggero difetto di ossigeno ciò fa sì che il completamento della combustione avvenga a spese dell’ossigeno contenuto nell’aria intorno alla fiamma e quindi viene evitato il pericolo dell’ossidazione. 49 7.3 Saldatura all’arco elettrico con elettrodo fusibile La postazione tipo è costituita da una saldatrice che è una macchina che genera la corrente necessaria al processo ( può essere in corrente continua o alternata). Dalla macchina escono due cavi, uno di questi rappresenta la massa e viene collegato con una pinza al pezzo o al tavolo di lavoro, l’altro termina con una pinza che sostiene l’elettrodo. Consideriamo il circuito di figura in cui G è il generatore, E è l’elettrodo e P il pezzo da saldare: Fintanto che l’elettrodo non è a contatto del pezzo non vi è alcun passaggio di corrente a causa dell’elevata resistenza elettrica dell’aria fig.1 e il circuito si presenta aperto. Ponendo a contatto l’elettrodo con il pezzo si ha il passaggio di una corrente molto intensa (corrente di corto circuito); in corrispondenza all’estremità dell’elettrodo si ha un forte riscaldamento per la maggiore resistenza dovuta al contatto imperfetto. Questo forte riscaldamento dà origine ad una emissione di elettroni; le molecole dell’aria urtate dagli elettroni si ionizzano e l’aria circostante alla zona di contatto diviene conduttrice fig.2. Se adesso allontaniamo di qualche mm l’elettrodo dal pezzo si forma un flusso di elettroni che passando dall’elettrodo al pezzo attraverso l’aria conduttrice, sviluppano calore e formano l’arco fig3. Tutto il fenomeno descritto dura pochissimi secondi. La temperatura sviluppata d’arco è circa 3000°C e porta a fusione sia il materiale dell’elettrodo che il giunto da saldare formando il cordone di saldatura. Gli elettrodi sono costituiti da un’anima metallica rivestita nella parte che fuoriesce dalla pinza. L‘anima deve possedere buone proprietà meccaniche di resistenza a trazione, di allungamento %, di resilienza per far sì che il cordone di saldatura possieda proprietà meccaniche non inferiori a quelle del metallo base. Il rivestimento che può essere di varie tipologie, deve comunque assolvere alle funzioni: - favorire il mantenimento dell’arco in direzione del bagno facilitare l’innesco dell’arco favorendo la ionizzazione dell’aria dal luogo alla formazione di gas che proteggano le gocce fuse dalla ossidazione formare una scoria galleggiante sul bagno di fusione con funzione di desolforazione e defosforazione ottenere cordoni di bell’aspetto 50 Ricordiamo brevemente che i lembi da saldare, se lo spessore lo richiede, devono essere preparati secondo forme che si trovano sui manuali quindi a U, V, X, Y etc. al fine di facilitare il deposito e la penetrazione del cordone di saldatura. 7.4 Saldatura all’arco elettrico con elettrodo fusibile continuo in atmosfera protettiva MIG – Metal Inert Gas Questa tecnologia è caratterizzata dalla fusione di un metallo d’apporto, sotto forma di filo continuo, entro una atmosfera protettiva dovuta a un flusso di gas inerte. Materiale d’apporto e gas sono condotti da una torcia, che fornisce direttamente al filo l’energia elettrica, mentre l’arco che scocca tra l’estremità del filo e il pezzo da saldare permette il raggiungimento della temperatura di fusione. Un opportuno dispositivo provvede a far avanzare il filo in relazione al suo consumo con velocità costante e quindi il processo si presta ad essere automatizzato ed utilizzato sui robot di saldatura. Il gas protettivo è l’ Argon un gas inerte che non reagisce con alcun elemento appartiene infatti ai cosiddetti gas “nobili”. Il sistema MIG viene considerato il miglior procedimento attuale di saldatura , in quanto fornisce buona qualità delle saldature con costi non eccessivi e buone velocità di esecuzione. 7.5 Saldatura all’arco elettrico con elettrodo fusibile continuo in atmosfera attiva MAG – Metal Active Gas Questa tecnologia è del tutto analoga alla precedente, differisce solo per la sostituzione del gas Argon, abbastanza costoso con l’anidride carbonica CO2 assai più a buon mercato. Questo gas però non è inerte ma, alle alte temperature, partecipa al processo innescando una serie di reazioni chimiche con formazione di CO, O2. Questi si combinano nella zona dell’arco con gli elementi costituenti il metallo d’apporto producendo ossidi e modificando la % del carbonio del materiale depositato. Per neutralizzare questo effetto ossidante il filo contiene Manganese (1.4%) e Silicio (1%). La tecnica risulta meno costosa ma i giunti ottenuti sono di qualità inferiore, quindi viene usata per saldature poco sollecitate. 7.6 Saldatura all’arco elettrico con elettrodo infusibile in atmosfera protettiva TIG –Tungsten Inert Gas Questa tecnologia utilizza un elettrodo di tungsteno infusibile in atmosfera protettiva di gas inerte. L’arco elettrico scocca fra l’elettrodo di tungsteno e i pezzi da giuntare preventivamente preparati. Il gas inerte Argon fluisce con continuità lungo l’elettrodo e, ricoprendo il bagno di fusione, lo protegge dall’ossidazione dell’aria. Il materiale d’apporto è fornito da una bacchetta di composizione opportuna in base al metallo da saldare. La torcia è raffreddata con un flusso d’acqua fatta circolare con una pompa che fa parte dell’attrezzatura. A prescindere che si può saldare qualsiasi materiale, questo processo è particolarmente indicato per la saldatura delle leghe leggere di alluminio e per la saldatura degli acciai inossidabili. 51 La saldatura in gas inerte risulta priva di ossidazioni, scorie e di porosità; i cordoni sono caratterizzati da una buona estetica e da una perfetta penetrazione. I giunti saldati presentano eccellenti qualità metallurgiche in quanto le caratteristiche fisico-chimiche del giunto saldato subiscono minori alterazioni che negli altri tipi di saldatura e quindi si hanno anche minori distorsioni. 7.7 Saldatura autogena per pressione Questa tecnica di unione è assai impiegata nell’industria per la semplicità e rapidità di esecuzione, per l’eliminazione del materiale d’apporto e dei protettivi (gas o polveri), per la buona estetica della saldatura, per la sua economicità; tutto ciò rende il procedimento interessante per l’unione di pezzi in particolare lamiere ove non siano richieste elevate caratteristiche di resistenza meccanica. Il metodo utilizza la legge di Joule: Q = R I2 t - Q è la quantità di calore sviluppata - R è la resistenza elettrica - I è l’intensità di corrente - t è il tempo di passaggio della corrente dove: Il metodo di testa prevede l’unione sulle superfici frontali accostate ove, per il contatto imperfetto, si ha un’alta resistenza elettrica e quindi sviluppo di calore che porta i lembi allo stato pastoso e quindi esercitando una pressione si realizza il giunto saldato. Più interessante e più utilizzato è il metodo a punti utilizzato per unire lamiere di piccolo spessore. In questo caso le quattro fasi di saldatura che avvengono in pochi secondi sono: - applicazione della pressione sui lembi (forza da 1 a 10 kN) - passaggio di corrente fra i lembi (I=5-20kA per 1 sec) - interruzione della corrente - rilascio della pressione 52 Gli elettrodi sono in rame elettrolitico in genere raffreddati ad acqua per contenere il loro riscaldamento; gli elettrodi hanno la parte terminale tronco-conica per concentrare la pressione e il riscaldamento in una zona limitata. Nella saldatura a rulli il concetto è identico a quello della saldatura a punti con la differenza che i punti di saldatura sono ottenuti dalla rotazione continua di due elettrodi a disco, il superiore di trascinamento, l’inferiore folle, i quali serrano e trascinano le lamiere sovrapposte da saldare. L’intervallo di tempo delle pulsazioni della corrente è ottenuto con dispositivi più o meno sofisticati, ma comunque essendo possibile regolare questo intervallo si possono ottenere punti di saldatura a passo costante a volte talmente vicini da realizzare una saldatura continua. Questa saldatura è particolarmente indicata per le lavorazioni di serie. 7.8 Saldatura eterogena - Brasatura E’ un procedimento di saldatura che permette di unire due particolari metallici mediante un materiale d’apporto allo stato liquido, avente una temperatura di fusione sensibilmente più bassa dei metalli da saldare per cui bagna solamente le parti da unire che quindi non partecipano per fusione alla realizzazione del giunto. La brasatura può classificarsi in: - brasatura dolce: quando il materiale d’apporto ha una temperatura di fusione inferiore a 450°. Si usano leghe piombo (Pb 65%) con stagno (Sn 35%) con temperatura di fusione intorno a 220°C; leghe piombo-stagno- antimonio per saldare metalli contenenti alluminio o zinco; leghe stagno-antimonio per saldature di scatolame alimentare (no piombo). - brasatura forte: quando il materiale d’apporto fonde a temperature superiori a 450°C pur risultando comunque inferiore alle temperature di fusione dei giunti. Si usano leghe rame-argento, leghe rame-zinco. La sorgente di calore può essere il cannello ossiacetilenico, o il forno a induzione o resistenza. Tipica era la saldatura delle placchette di widia sullo stelo d’acciaio. - saldobrasatura: quando i pezzi da unire vengono preparati con gli smussi ; questi vengono scaldati senza raggiungere la temperatura di fusione dopodiché vi si fonde il metallo d’apporto che forma una lega intermedia fra il metallo d’apporto fuso e il metallo base riscaldato. 7.9 Saldabilità 53 Si definisce saldabilità la caratteristica di un materiale di essere unito in modo permanente ad un altro materiale. Gli acciai sono, in misura più o meno buona, saldabili. I migliori sono quelli da costruzione detti anche da carpenteria, nei quali la saldabilità è ottima grazie a due caratteristiche peculiari: la percentuale di carbonio assai bassa, non superiore a 0.15% , la presenza di fosforo e zolfo inferiore a 0.05%. Al crescere della percentuale di carbonio si incontrano difficoltà in particolare sopra lo 0,3% di carbonio in quanto la temprabilità del materiale, aumenta la fragilità delle zone limitrofe al giunto saldato. Negli acciai legati specie con elementi che favoriscono la temprabilità le difficoltà aumentano. D’altra parte non è molto frequente la saldatura di questi acciai con l’eccezione degli acciai inossidabili che oggi vengono sempre più impiegati nella carpenteria di macchinari; si pensi alle strutture portanti delle macchine per fabbricare la carta. In questi casi usando elettrodi opportuni e il procedimento di saldatura TIG si risolve il problema. La ghisa è in genere scarsamente saldabile, salvo alcune ghise particolari, per cui raramente viene usata se non in caso di riparazioni. Il rame viene in genere saldato con brasatura forte. L’alluminio e le sue leghe hanno sempre manifestato problemi nella saldatura per la formazione dell’ossido Al2O3 quindi il metodo migliore è il procedimento TIG in gas inerte che evita la formazione dell’ossido. Modulo 8 - I materiali semilavorati 8.1 Generalità e classificazione Nell’iniziare lo studio di fabbricazione di un elemento uno dei primi quesiti che dobbiamo porci è a quale stato di fornitura commerciale del materiale è più opportuno ricorrere. Questo stato viene comunemente individuato come il semilavorato ed è opportuno avere una panoramica di quanto è reperibile commercialmente. Partiamo da una semplice classificazione in: • semilavorati indefiniti quando la forma iniziale non permette assolutamente di comprendere la forma finale dell’elemento • semilavorati definiti quando la forma grezza individua anche se con approssimazione più o meno marcata la geometria finale del pezzo Nello schema sotto riportato abbiamo riassunto i semilavorati più usuali 54 I semilavorati indefiniti sono ottenuti per deformazione plastica sfruttando le proprietà di malleabilità (capacità di lasciarsi deformare in fogli) e duttilità (capacità di lasciarsi ridurre in fili). Come è noto la deformabilità di un materiale metallico cresce con la temperatura per cui molte lavorazioni plastiche vengono effettuate dopo riscaldamento che non deve in genere superare i 2/3 della temperatura di fusione. Vi sono comunque lavorazioni plastiche eseguite anche a freddo. La deformazione plastica a caldo degli acciai si esegue a temperature intorno a 1000-1100°, con queste temperature è possibile effettuare spostamenti di materiale più elevati, d’altra parte l’alta temperatura permette una continua ricristallizzazione (riassetto della struttura) del materiale deformato per cui non si verificano fenomeni di incrudimento. Tutto ciò contribuisce a mantenere proprietà meccaniche costanti dopo la lavorazione. C’è da tener conto del ritiro del materiale nella fase di raffreddamento per cui le dimensioni finali sono leggermente inferiori. La precisione dimensionale sia la rugosità superficiale non possono essere elevate. Nelle deformazioni a freddo si nota invece,per effetto delle distorsioni permanenti del reticolo cristallino sulla superficie, il fenomeno dell’incrudimento che aumenta la durezza e la resistenza ad ulteriori deformazioni. D’altra parte con la lavorazione a freddo si ottengono precisioni dimensionali più elevate e migliori rugosità. Senza entrare nei dettagli diamo adesso una indicazione dei principali processi tecnologici di lavorazione dei semilavorati: 8.2 La laminazione e prodotti di laminazione E’ il processo più importante dal quale passano quasi tutte le altre lavorazioni. Si svolge in genere a caldo e consiste nel deformare il grezzo di fusione (lingotto) facendolo passare fra due cilindri che ruotano in senso contrario per l’attrito sviluppato col materiale. I moderni laminatoi sono movimentati con motori a corrente continua per poter variare con gradualità il numero dei giri. 55 La riduzione dello spessore R = H – h si traduce in allungamento e se non impedito anche in un allargamento mantenendo comunque costante il volume. Per arrivare alla forma finita occorrono più passaggi e quindi occorrono più coppie di cilindri ciascuna comandata da un motore in corrente continua. Le coppie di cilindri sono montate in una incastellatura che prende il nome di gabbia. Diverse gabbie in sequenza costituiscono l’impianto che prende il nome di treno di laminazione. Ad esempio se vogliamo ottenere un piatto 50x10 partendo da una billetta 120x120 lunga 6 metri, il nastro che otteniamo, essendo il volume costante, avrà lunghezza: 0.050 x 0.012 x L = 0.120 x 0.120 x 6 da cui L = 144 mt Essendo le barre poste in commercio lunghe 6m occorrerà fare 23 tagli. Questi devono essere fatti con taglierine speciali che si muovono con la stessa velocità della barra per il tempo necessario al taglio. Il materiale caldo viene quindi lasciato raffreddare fino a temperatura di poco superiore alla temperatura ambiente. Lavorando con cilindri lisci si ottengono le lamiere e i nastri; se gli spessori sono piccoli a questa lavorazione segue il decapaggio che è una pulitura chimica per eliminare il grasso e gli ossidi superficiali, dopodiché si fa una laminazione a freddo che consente di ottenere tolleranze più ristrette sugli spessori e una migliore finitura superficiale. Il mercato richiede anche prodotti piani rivestiti per immersione a caldo in bagno metallico fuso di zinco, di alluminio, di alluminio-zinco ma anche lamiere cosiddette preverniciate in genere dopo zincatura. Altri prodotti di laminazione sono le vergelle in genere avvolte in matasse il cui diametro non deve essere inferiore a 5 mm, che hanno sezione oltre che tonda, quadrata, esagonale etc. destinate comunque a subire un ulteriore lavorazione. Prodotti in barre laminate diritte, di diametro comunque maggiore di 8mm, di sezione anche quadrata, esagonale ( chiave > 13mm)etc. Profilati commerciali aventi sezione a I (IPE) , H (HEA,HEB,HEM), U ma anche L, T, Z, etc. Profilati in barre formati a freddo partendo da laminati a caldo viene modificato leggermente lo spessore (ad esempio con la trafilatura) 56 Tubi: con questo nome si intendono i prodotti cavi in barre la cui sezione non è necessariamente tonda, vengono denominati anche tubolari quando la sezione è di forma diversa dalla tonda. Possono essere di piccolo o grande spessori, ottenuti dal pieno oppure saldati. 8.3 Fabbricazione dei tubi I tubi si distinguono in due categorie: tubi saldati e tubi non saldati. 8.3.1 Tubi saldati Per la produzione dei tubi saldati si parte da un prodotto piano ottenuto per laminazione a caldo o a freddo, avente lo sviluppo pari alla circonferenza del tubo da ottenere. Il nastro piano viene passato attraverso un treno di laminazione che con vari passaggi lo deforma gradualmente fino ad ottenere la forma chiusa circolare. A questo punto si procede alla saldatura in continuo: a caldo con pressione dei lembi, elettrica per induzione, ad arco sommerso per tubi di grosso diametro . 8.3.2 Tubi senza saldatura Partendo da un prodotto pieno di forma circolare, si procede mediante un laminatoio a creare una zona centrale forata, ottenendo lo sbozzato, successivamente con un processo di laminazione successivo si realizza il tubo delle dimensioni esterne e interne volute. Laminatoio Mannesmann a cilindri obliqui per ottenere lo sbozzato forato. I cilindri del laminatoio Mannesmann hanno una forma particolare in cui si distinguono la parte conica iniziale in cui avviene la presa del pezzo cilindrico da formare, segue la zona di massima strizione del diametro, dopodiché si ha una allargatura conica nella quale agisce la spina che facilita la formazione del foro, già iniziata per l’effetto dello strappo che si è generato nella zona centrale del pezzo a causa delle eguali rotazioni dei due cilindri; segue infine una zona di calibratura. 57 I due cilindri del laminatoio hanno gli assi sghembi con inclinazione di 5-8° e il pezzo li attraversa nella direzione dei loro assi, spinto e trascinato fra di essi dalla uguale rotazione dei due cilindri. L’effetto di rotazione associato alla compressione e allo scorrimento provoca nella zona centrale una lacerazione che viene regolarizzata dall’azione della spina centrale. Laminatoio a passo di pellegrino o semplicemente “pellegrino” E’ costituito da due cilindri paralleli orizzontali controrotanti aventi gole semicircolari a sezione gradualmente variabile che ruotano in modo da opporsi all’avanzamento dello sbozzato; l’opposizione si esplica quando le gole si allargano lasciando avanzare lo sbozzato; quando la luce fra i cilindri tende a restringersi le gole fanno presa sullo sbozzato e spingendolo all’indietro lo sottopongono a laminazione, allungandolo e stirandolo al diametro voluto. Il profilo dei cilindri, come si vede dalla figura, è quindi costituita da una parte attiva ed una passiva. 58 Il forato sbozzato è riscaldato a circa 1300°; viene montato su una spina di calibratura interna e tramite un sistema oleodinamico di avanzamento, sincronizzato con la rotazione dei cilindri, viene spinto in modo che la traslazione termini in corrispondenza della zona “A” del cilindro. A questo punto seguono la compressione sulla spina e la stiratura (zona “B” dei cilindri) e la calibratura dei diametri (zona “C” dei cilindri). Nella prima parte della fase passiva lo sbozzato e la spina vengono risospinti verso destra da un dispositivo idraulico o meccanico di una quantità doppia dell’avanzamento verso sinistra da cui il nome “passo di pellegrino”. 8.4 La fabbricazione dei fili per trafilatura La trafilatura è un processo attraverso il quale si ottiene la riduzione della sezione e l’allungamento a freddo di un filo, obbligato a passare attraverso una matrice a forma troncoconica sotto l’azione di una forza di trazione. I prodotti sono caratterizzati da una bassa rugosità superficiale, una buona precisione dimensionale e un forte incrudimento superficiale. La lavorazione prende inizio da una vergella di sezione tonda (diametro inferiore a 5mm) ricotta e decappata (il decapaggio è una pulitura chimica per togliere gli ossidi superficiali e la “calamina” scaglie di laminazione), la cui sezione viene ridotta con successivi passaggi attraverso la filiera. Il numero delle filiere dipende dal rapporto di trafilatura ( diametro iniziale/ diametro finale). La filiera è caratterizzata dal profilo del foro e dal materiale. Il profilo del foro presenta quattro zone: il cono d’entrata, il cono di lavoro, la zona di calibrazione e il cono d’uscita. Il materiale delle filiere dipende dal materiale da trafilare ma comunque deve possedere durezza, resistenza all’usura, resistenza a caldo e all’abrasione. Tra i materiali più impiegati 59 l’acciaio temprato ( es. X200Cr12), il carburo di tungsteno sinterizzato, i materiali ceramici e il diamante. Oltre ai fili si possono trafilare i tubi. L’operazione consiste nella riduzione (normalmente a freddo) della sezione del tubo laminato. Il sistema tradizionale consiste nella trafilatura in una filiera nel cui foro cilindrico è collocato un mandrino che definisce il diametro interno di un tubo. MODULO 9 - Lavorazioni plastiche a caldo dei semilavorati 9.1 Forgiatura Con questo procedimento che prende anche il nome di forgiatura, si comprendono le lavorazioni plastiche mediante le quali, partendo da un massello di forma indefinita e volume prossimo a quello del prodotto a termine lavorazione, si ottengono semilavorati definiti. I metalli e le loro leghe prima della fusione hanno uno stato pastoso compreso in un intervallo di temperatura piuttosto ampio nel quale possono subire massima deformabilità con notevoli spostamenti di materia senza subire rotture o provocare difetti. La temperatura ideale di stampaggio è circa 2/3 della temperatura di fusione. I pezzi semilavorati ottenuti con la forgiatura presentano alcuni vantaggi come risparmio di materiale rispetto agli indefiniti; risparmio di lavorazioni con asportazione di truciolo; inoltre hanno migliori caratteristiche meccaniche in quanto le fibre del materiale vengono stirate, si spostano, si deformano, ma non vengono mai tagliate e quindi i pezzi così ottenuti sopportano maggiori sollecitazioni meccaniche. 9.1.1 Forgiatura libera o in stampo aperto 60 E’ il tipo più antico di deformazione a caldo, ancora impiegato, in particolare per lotti non molto ampi di pezzi. La forgiatura libera è essenzialmente una lavorazione manuale, quindi è l’abilità dell’operatore che movimentando il pezzo sotto i colpi di una mazza riesce a dare la forma voluta al pezzo; se questo è pesante vi sono attrezzature detti “manipolatori” che permettono, con comando dell’operatore di spostare il pezzo. La forgiatura libera viene effettuata in genere con una macchina denominata “maglio” che è costituita da una incudine fissa su cui si appoggia il pezzo caldo e su cui viene lasciata cadere ripetutamente una mazza. A seconda del modo con cui questa mazza cade sul pezzo si hanno i magli a: • caduta libera quando l’energia di deformazione è solo dovuta alla energia potenziale posseduta dalla mazza che cade liberamente • a doppio effetto quando la velocità del pistone viene maggiorata per effetto di un pistone pneumatico che poi viene utilizzato anche per la risalita della mazza • a contraccolpo quando nella discesa l’incudine e quindi il pezzo va incontro alla mazza cadente 9.1.1 Forgiatura in stampo chiuso con impronta – comunemente stampaggio a caldo Si distingue dalla precedente unicamente per il fatto che la deformazione è guidata e avviene all’interno di uno stampo che deve essere realizzato appositamente per ogni pezzo lavorato. Ne segue che essendo gli stampi molto costosi questo processo è indicato per lavorazioni di serie. Per applicare la forza necessaria alla deformazione viene generalmente usata una pressa , la quale si differenzia dal maglio perché non esercita un urto violento sul materiale, ma la spinta si esercita gradualmente favorendo gli spostamenti del materiale. Le presse possono essere meccaniche o oleodinamiche. L’operazione inizia ponendo all’interno dello stampo un massello di materiale di volume leggermente superiore a quello del pezzo in quanto durante il riscaldamento si possono avere perdite sotto forma di scaglie d’ossidazione, ma soprattutto perché deve essere parzialmente riempito il canale di bava (50-70%). Il canale di bava svolge una funzione importantissima nella realizzazione di uno stampo. Innanzi tutto viene posizionato sulla massima dimensione corrispondente alla chiusura degli stampi e deve: • garantire il riempimento di tutta la forma • funzionare come serbatoio al materiale in eccesso La prima funzione avviene quando il materiale caldo, deformandosi per la via più facile, arriva alla strettoia del canale dove si raffredda per primo perdendo le caratteristiche di plasticità e impedendo che nuovo materiale entri nella strozzatura (effetto tappo). Questa resistenza sul percorso più facile fa sì che il materiale, spinto dalla pressione, vada a riempire tutte le cavità anche le più impervie; quando lo stampo è vicino alla chiusura le pressioni interne salgono tantissimo per cui il materiale in eccesso sfonda il materiale raffreddato nella strozzatura e passa nella cavità più ampia che è l’unica rimasta a disposizione. 61 La bava viene poi asportata mediante uno stampo di tranciatura. 9.2 Stampi Gli stampi sono soggetti a sollecitazioni piuttosto forti, devono sopportare bene le alte temperature e devono avere una notevole resistenza all’usura provocata dallo scorrimento del materiale. I materiali per costruire gli stampi sono acciai da bonifica (C=0.35-055%) legati al Cromo– Molibdeno–Vanadio o al Nichel–Cromo–Molibdeno-Vanadio. Gli stampi più recenti hanno l’impronta rivestita (metodo PVD-phisical vapour deposition) 4µm di TiN (nitruro di titanio) che contribuisce al miglioramento della resistenza all’usura. Le lavorazioni, in special modo l’impronta, sono assai complesse per cui vengono lavorati usando la tecnologia CAM. Gli stampi devono avere adeguati sformi (5-10°) per consentir l’uscita del pezzo appena raffreddato. Eventuali forature nel pezzo da stampare vengono previste cieche, con lo stesso stampo del tranciabave si provvederà ad aprirle. 62 STAMPO CHIUSO 9.3 Ricalcatura E’ un procedimento di stampaggio a caldo applicato a pezzi aventi un forte sviluppo longitudinale ma con un unico diametro di dimensioni maggiore e lunghezza limitata. Si parte da una barra di diametro uguale a quello base, si riscalda in forno, dopodiché viene afferrata da una ganascia e spinta da un punzone in una matrice avente la forma della parte maggiorata. Essendo lo stampo semplicissimo questo metodo si applica anche a piccoli lotti. Altri esempi di applicazione di questo metodo sono: i bulloni a testa esagona o cilindrica esagono incassato, le valvole per motori endotermici, pignoni etc. Se il riscaldamento avviene con un mezzo elettrico e solo sulla parte da deformare il procedimento viene denominato elettroricalcatura. 9.4 Estrusione Il processo di estrusione consiste nel provocare il passaggio forzato di un materiale allo stato pastoso attraverso una matrice che riproduce la forma esterna del pezzo che si vuole ottenere; se la sezione è cava sarà presente un’anima che riprodurrà la cavità interna. All’uscita della matrice il materiale viene raffreddato. 63 I materiali metalli più semplici da estrudere sono l’alluminio e il rame. La finitura superficiale e le tolleranze sono buone. In genere i pezzi estrusi non necessitano di lavorazioni ulteriori. Nella figura sono rappresentate due sezioni di barre di alluminio ottenute per estrusione. MODULO 10 - Complementi di fonderia 10.1 Generalità La fonderia è un processo mediante il quale, versando un materiale metallico allo stato liquido in una forma prestabilita, questo solidificandosi assume la configurazione della cavità della forma e viene denominato “getto”. Il getto ha dimensioni e forma molto vicine al pezzo finito e di solito sono necessarie solo alcune lavorazioni per asportazione di truciolo per arrivare all’esemplare finito. La fonderia che una volta era una tecnologia impiegata su larga scala, oggi, pur essendo sempre di attualità, trova un po’ meno campo a scapito di altre tecnologie produttive. Le caratteristiche di fusibilità sono: a – fluidità del metallo fuso per riempire la forma con facilità b – il ritiro del metallo in fase di solidificazione che obbliga un sovradimensionamento della cavità della forma c – la temperatura di fusione che influenza direttamente il costo della fusione d – dall’intervallo della temperatura di solidificazione: tanto più grande tanto più facile è l’ottenimento di una forma omogenea 64 Le ghise, le leghe di alluminio, gli acciai inossidabili austenitici, possiedono in modo molto soddisfacente tutte le sopradette caratteristiche; gli acciai da bonifica solo in modo accettabile. Analizzeremo adesso alcuni processi fusori fra i più importanti. 10.2 Fusione in terra In questo processo la terra da fonderia viene compattata intorno ad un modello appositamente realizzato e opportunamente dimensionato, posto all’interno di uno o più telai detti “staffe”. Quindi per ogni pezzo da fare occorre ricostruire la forma intorno al modello. Il modello è una copia dell’oggetto da realizzare differendo solo per: • maggiorazione dovuta al ritiro del materiale • sovrametalli sulle superfici da lavorare • angoli di sformo per facilitare l’estrazione del modello dalla forma in terra. Pezzo finito Pezzo grezzo con sovrametalli di lavorazione e sformi – coincide con il modello a meno del ritiro Se il pezzo da realizzare è cavo, occorre produrre delle parti in grado di sopportare la temperatura della colata, la spinta metallostatica del metallo fuso e inoltre permettano di evacuare con facilità i gas che si sviluppano all’interno delle stesse. Queste parti, che vanno ad occupare il volume corrispondente alla cavità da ottenere, vengono denominate anime. Le anime vengono formate in una cassa d’anima che è più lunga rispetto alla foratura da ottenere in modo da ricavare le portate d’anima che consentono l’appoggio all’interno della forma. Quando le anime sono grandi e lunghe si utilizza una armatura metallica centrale di sostegno denominata “lanterna” (tubo metallico forato per consentire lo sfiato dei gas) sulla quale si arrotolata una corda di canapa per generare la superficie d’attrito con la terra dell’anima che viene disposta tutt’intorno sufficientemente pressata a mano dopodiché viene tornita manualmente ed essiccata in forno. 65 Per completare la formatura nelle staffe si dispongono i canali di colata e la materozza. Questa ha la funzione di garantire il riempimento delle forma; inoltre scegliendo per essa la posizione opportuna si riesce a far si che solidifichi per ultima concentrando su di essa il cono di ritiro. A getto ultimato e raffreddato si procede con la distaffatura asportando la materozza e i canali di colata con le mole a disco o altri utensili. I modelli sono in genere di legno. Nella formatura di pezzi da produrre in serie si fa spesso ricorso alla placche modello che permettono l’utilizzo delle macchine formatrici. La placca modello realizzata in genere in lega leggera è una piastra alle superfici della quale sono fissate, in modo permanente, le due metà contrapposte del modello. 66 10.3 Colata in conchiglia metallica Il getto è ottenuto dalla solidificazione del metallo liquido versato in una forma metallica permanente denominata “conchiglia”. Il materiale delle conchiglie deve essere un buon conduttore e deve possedere adeguate caratteristiche meccaniche, quindi acciai come 30CrMoV 1212 KU , X40CrMoV0511 KU etc. La forma può essere utilizzata per varie migliaia di pezzi anche 25000 e la colata può essere realizzata a gravità o a bassa pressione. Le conchiglie presentano notevoli vantaggi rispetto alle colate in terra: prodotto uniforme per tutti i pezzi, migliore finitura, migliore tolleranza dimensionale, migliore caratteristiche strutturali e meccaniche dei getti (le grane che si ottengono sono fini), assenza di difetti dovuti ad inclusioni di sabbia. Le conchiglie sono però molto costose per cui vanno utilizzate solo sulle grandi serie. 10.4 Colata centrifuga in conchiglia E’ usata in particolare per i tubi ottenendo buone tolleranze dimensionali sugli spessori. Durante la colata il metallo liquido aderisce alle pareti della conchiglia, leggermente inclinata e tenuta in rotazione fino a 1200 g/1’, per effetto centrifugo. Lo spessore del tubo dipende dalla quantità del metallo liquido introdotto. 10.5 Colata in conchiglia a pressione “Pressofusione” La pressofusione è un procedimento adottato per la produzione di grandi serie di getti aventi buone caratteristiche meccaniche, privi di difetti, ottima estetica, sovrametalli minimi o addirittura nulli. Il principio di funzionamento consiste nell’introdurre velocemente la giusta quantità di liquido in uno stampo permanente d’acciaio, ermeticamente chiuso, per mezzo di un pistone. La pressione di iniezione varia da 7 a 25 MN/m2 (70-250 bar). Chiudere lo stampo, iniettare la giusta dose di metallo, alimentare il getto durante la solidificazione ed infine espellere il getto solidificato richiede un meccanismo piuttosto complesso, mentre lo stampo stesso, realizzato in acciaio temperato, è assai costoso per la sua complicazione. Anche il macchinario di pressofusione richiede investimenti elevati per cui la colata sotto pressione può risultare economica solo se si raggiungono elevati livelli di produzione. Si stima che il lotto minimo sia di 5000 pezzi, ma con uno stampo ben progettato si possono ottenere anche oltre 100.000 pezzi. Le macchine per pressofusione si distinguono in: macchine a camera di pressione calda macchine a camera di pressione fredda Nelle macchine a camera calda il forno di fusione fa parte della macchina e il dispositivo di iniezione è situato nel crogiolo del forno; queste macchine sono adatte per le leghe di zinco a basso punto di fusione. Nelle macchine a camera fredda il dispositivo di iniezione è separato dal crogiolo. Il metallo è mantenuto fuso nel crogiolo separato, l’operatore preleva con appositi contenitori la quantità necessaria al getto e la versa nell’apposita apertura sul cilindro della macchina. Il pistone idraulico si mette in movimento ed obbliga il metallo a riempire la cavità. Appena il metallo è solidificato la parte mobile dello stampo arretra mentre il pistone compie un 67 leggero movimento in avanti che lascia il getto aderente alla parte mobile e gli espulsori provvedono a far uscire il getto dallo stampo. Una volta espulso il getto dallo stampo (nell’esempio le figure previste sullo stampo sono 4) si provvede a staccare con una semplice pressione i canali di colata dai pezzi (lo spessore è esiguo in genere 1mm) una piccola molatura e il pezzo è ultimato. 10.6 Microfusione o fusione a cera persa Questa tecnologia, che utilizza un modello temporaneo, è interessante perché permette buoni risultati in termini di tolleranza dimensionale, di forma e di rugosità superficiale. La microfusione a cera persa di oggetti d’arte era conosciuta fin dall’antico Egitto; il modello è costruito in cera, viene utilizzato per costruire il guscio e poi viene evacuato facendo sciogliere la cera in modo che nella forma ottenuta si possa colare il metallo. Questo metodo elimina qualsiasi difficoltà connessa alla estrazione del modello per cui i pezzi microfusi possono avere le forme più complesse. Il processo è adatto per fondere qualsiasi materiale. La microfusione viene impiegata per la fabbricazione in serie di oggetti di forma anche complessa (es. palette delle turbine) e di materiali difficili quali gli acciai inossidabili o super leghe. Le fasi in questo caso sono le seguenti: • Preparazione del modello primario di solito in ottone; questo servirà a preparare una conchiglia nella quale verranno iniettati i modellini in cera pari alla serie di pezzi da produrre. • Preparazione della conchiglia metallica in cui verrà iniettata la cera per ottenere i modellini • Preparazione dei modellini in cera per iniezione sotto pressione • Formazione del grappolo: i modelli in cera vengono raggruppati insieme in modo da 68 • • • • • • • • formare un grappolo di un gran numero di pezzi, collegati con i canali di colata e le materozze Immersione del grappolo in una sospensione di una speciale silice colloidale e successiva spruzzatura con quarzo in polvere che origina un sottile guscio ceramico che ricopre il grappolo. Evacuazione della cera in forno a 150°C Cottura del rivestimento refrattario in forno a 900-1000°C per conferire alla forma resistenza meccanica Disposizione del grappolo in una staffa circondato da terra Colata nella forma Raffreddamento lento Distaffatura e scomposizione del grappolo Collaudo dei getti MODULO 11 - Il taglio dei metalli per asportazione di truciolo 11.1 – Generalità sui moti Per ottenere un oggetto, definito mediante un disegno, il processo di asportazione di truciolo è uno dei metodi più utilizzati. La partenza è il semilavorato che può essere una barra, ma anche un pezzo fuso o stampato. La lavorazione consiste nell’asportare a freddo, mediante un utensile, il materiale in eccesso (sovrametallo) sotto forma di trucioli. La sequenza delle lavorazioni, le condizioni di lavoro devono essere definite precedentemente mediante uno studio che si conclude con il cartellino di lavorazione. L’asportazione avviene una macchina utensile che fornisce il moto al pezzo o all’utensile o a entrambi. I movimenti principali forniti dalla macchina utensile sono il moto di taglio e il moto di alimentazione. Il moto di taglio può essere dato al pezzo (tornio, piallatrice) o all’utensile (fresatrice, trapano, alesatrice, rettificatrice, stozzatrice,limatrice). Il moto di avanzamento può essere dato all’utensile (tornio, trapano, alesatrice, piallatrice) o al pezzo (limatrice, fresatrice, stozzatrice, rettificatrice). Da notare che le limatrici e piallatrici sono ormai di fatto scomparse e quindi non ce ne occuperemo. Se il moto e rotatorio la velocità di taglio (m/1’) è espressa da: π × D×n Vt = 1000 con n si esprimono i giri/minuto e D il diametro in mm Se il moto è rettilineo alternativo la velocità di taglio (m/1’) è espressa da: con C si esprime la corsa di lavoro in mm e t il tempo per compierla Vt = C 1000 × t Il moto di avanzamento (o di alimentazione) è quello trasmesso dalla macchina utensile al pezzo o all’utensile e alimenta la formazione del truciolo; la velocità di avanzamento è espressa di solito in mm/1’. 69 11.2 - Utensili per il taglio dei metalli 11.2.1 Evoluzione storica 1800-1900: gli utensili erano costituiti da acciaio ad alto tenore di Carbonio, opportunamente la durata di temprati per conferire la necessaria durezza. Il punto debole di questi utensili era che divenivano rapidamente teneri man mano che si riscaldavano (rinvenimento) per cui venivano impiegati con basse velocità 2-3 m/1’, ma anche in questo caso affilatura era breve. Il primo materiale per utensili realmente migliore fu l’acciaio Mushet scoperto casualmente. L’aggiunta di Manganese permetteva un indurimento all’aria dell’acciaio e inoltre fu scoperta l’efficacia di aggiunta in lega del tungsteno. Con questi utensili si raggiungevano velocità di 10 m/1’. 1900-1930: gli studi di Frederic Taylor permisero di migliorare ulteriormente gli utensili. Nella esposizione mondiale di Parigi, Taylor presentò un nuovo utensile in acciaio cosiddetto rapido HS che raggiungeva la straordinaria velocità di 40 m/1’. Questo acciaio conteneva tungsteno in percentuale inferiore al 18%, poi cromo, molibdeno e vanadio. Questi utensili ebbero uno straordinario successo specie in Germania dove il loro sfruttamento portò in pochi messi alla distruzione delle macchine utensili. La popolazione di macchine divenne improvvisamente obsoleta e quindi emerse la necessità di far progredire l’evoluzione delle macchine di pari passo con gli utensili. L’aggiunta di una piccola percentuale di cobalto e una percentuale di tungsteno più elevata fino a 25% dette luogo ad un ulteriore miglioramento delle prestazioni fino 70 m/1’. Questi utensili furono denominati super-rapidi HSS. Questi utensili prodotti in barrette e facilmente riaffilabili divennero un importante sostegno della produzione tanto che trovano impieghi anche nella nostra epoca. Dopo il primo conflitto mondiale, vennero introdotte le leghe fuse. Queste erano leghe non ferrose a base principalmente di cromo, cobalto, tungsteno ecc. contenenti circa il 50% di carburi. Queste leghe erano molto dure, avevano durezza a caldo e resistenza all’usura relativamente elevate ma erano molto fragili: era quindi difficile ricavarne degli utensili (avevano circa la metà della tenacità degli acciai rapidi) e quindi divennero le precorritrici delle placchette. La più nota di queste leghe fu la Stellite. Dal 1930 : iniziò lo sviluppo dei carburi metallici sinterizzati, prodotti rivoluzionari della metallurgia delle polveri. Questi erano costituiti dal 90% di carburi in una matrice di metallo legante. I primi tipi sviluppati erano a base di carburo di tungsteno WC e Cobalto come legante. Le placchette non ebbero una facile penetrazione sul mercato e il loro avvento si ebbe solo nel periodo bellico. Questi materiali migliorarono considerevolmente la lavorazione delle ghise, dei materiali non ferrosi, ma non abbastanza la lavorazione dell’acciaio a causa di una rapida usura per craterizzazione. Furono esaminati altri tipi di carburi: carburi di Titanio TiC – carburi di Niobio NbC – carburi di Tantalio TaC, che si rilevarono subito vantaggiosi come elementi addizionali al metallo duro per migliorare la resistenza all’usura nella lavorazione degli acciai. L’impiego delle placchette metallo duro brasato era piuttosto costoso rispetto agli utensili HSS. Le placchette dovevano essere realizzate non solo in funzione di esigenze di lavorazione ma anche di brasature sugli steli degli utensili e delle 70 riaffilature. Non c’erano inoltre possibilità di variare la geometria degli utensili. Normalmente un metallo duro conteneva tre fasi: carburo di tungsteno WC per dare la robustezza di base all’utensile metallo legante (es. Cobalto) per dare tenacità carburi addizionali (TiC – TaC- NbC) per dare resistenza all’usura Negli anni ’50: iniziarono gli esperimenti con la ceramica inizialmente solo a base di ossido di alluminio Al2O3 particolarmente adatta per finiture di pezzi in acciaio temprato e ghisa in conchiglia. Successivamente si è introdotta una ceramica mista rinforzata che sopporta il taglio interrotto e condizioni di taglio più gravose. Un ulteriore sviluppo sono le ceramiche al nitruro di silicio che vengono però usate solo sulla ghisa in condizioni di taglio particolarmente difficili. Per completezza, nell’ambito delle ceramiche, è doveroso accennare ai CERMETS che è il nome dato ad alcuni metalli duri sinterizzati, nei quali loe particelle dure sono a base di carburi di titanio TiC, carbonitruri di titanio TiCN, nitruri di titanio TiC che hanno sostituito il carburo di tungsteno WC dei classici inserti, aventi particelle di ceramica come leganti. Questi inserti sono caratterizzati da: • elevata resistenza all’usura sul fianco e per craterizzazione • elevata stabilità chimica e durezza a caldo • bassa tendenza alla formazione di T.di R. (tagliente di riporto) • bassa tendenza alla usura per ossidazione I Cermets sono vantaggiosi nell’impiego ad elevate velocità di taglio in combinazione con bassi avanzamenti e piccole profondità di passata con esigenze di massima precisione e finitura speculare. Negli anni ’60 si cominciò a sviluppare gli inserti, placchette che venivano fissate allo stelo d’acciaio , non più con la brasatura, bensì meccanicamente. Da circa 30 anni gli inserti hanno eliminato la brasatura e si è affermato il concetto che gli inserti, in genere multitaglienti, non dovevano essere riaffilati. Vennero sviluppate numerose geometrie di taglio. I dispositivi per montare e smontare le placchette divennero sempre più rapidi; vennero sviluppate varie tipologie di rompitruciolo. Gli inserti multitaglienti potevano essere unilaterali o bilaterali. Ovviamente le placchette unilaterali erano più stabili grazie alla superficie piana d’appoggio. Negli anni ’70 sono iniziati esperimenti con il nitruro cubico di boro le cui applicazioni si sono concretizzate negli anni ‘90. Il CBN è uno dei materiali più duri esistenti, secondo solo al diamante. Ha elevata durezza anche a caldo (2000°C), ottima resistenza all’usura e stabile chimicamente. E’ un materiale relativamente fragile ma più tenace della ceramica inoltre è molto costoso. Questo materiale, pur con limitate applicazioni, ha reso la tornitura di componenti duri un’alternativa assai competitiva rispetto alla rettifica. Altro materiale durissimo è il diamante sintetico policristallino (PCD); la sua considerevole durezza consente alta resistenza all’usura; viene usato anche per rivestire le mole; I cristalli fini di diamante vengono legati durante il processo di sinterizzazione a temperatura e pressioni elevate; i piccoli riporti di PCD 71 sono brasati sugli inserti di metallo duro per aumentarne la robustezza e la resistenza agli urti. La sua durata può risultare 100 volte superiore a quella del metallo duro. Il lato negativo di questo materiale è la limitazione della temperatura a 600C nella zona di taglio, non è adatto a lavorare materiali ferrosi e tenaci ad alta resistenza, viene impiegato su materiali abrasivi non ferrosi e non metallici che richiedano precisione e finitura superficiali elevate. A partire sempre dagli anni ’70 si è venuta sviluppando la tecnica del ricoprimento che ha segnato l’avvento degli inserti multitaglienti rivestiti. Con la deposizione di un sottile strato di carburo di titanio TiC (4-5 millesimi) a grana molto fine sopra il substrato di metallo duro si realizza un notevole incremento di resistenza all’usura. Il processo CVD (tecnica di deposizione chimica mediante vapore) di TiC comporta un aumento di velocità di taglio del 50% o raddoppio della durata del tagliente. Si arriva a velocità di 200 m/1’ e velocità di avanzamento di 600 mm/min. La Coronite è un nuovo materiale da taglio che combina la tenacità dell’acciaio rapido con la resistenza all’usura del metallo duro; è impiegata nella costruzione delle frese a candela. Piccoli grani di TiC vengono dispersi uniformemente in una matrice di acciaio trattabile termicamente. I grani piccolissimi la rendono autoaffilante, resistente all’usura e idonea a produrre rugosità assai piccole. Le frese a candela sono composte di tre parti: il cuore in acciaio rapido o acciaio per molle, uno strato di Coronite pari al 15% del diametro, un rivestimento esterno di TiCN (carbonitruri di titanio) e TiN (nitruri di titanio). Può essere usata con la maggior parte dei materiali e per una vasta gamma di operazioni. La sua combinazione di resistenza all’usura e tenacità migliora sostanzialmente le operazioni dominate dall’acciaio rapido con eccellenti finiture superficiali e facilità di raffilatura. 11.2.2 Angoli caratteristici di un utensile Gli utensili devono essere affilati si pensi alle barrette di acciaio rapido, alle frese sempre in acciaio rapido, alle punte etc; ma anche gli inserti che, come abbiamo già detto non devono essere riaffilati, in origine presentano angoli per favorire la formazione del truciolo. Gli angoli principali sono tre: - angolo di spoglia inferiore α angolo di spoglia superiore β angolo di taglio γ 72 La somma dei tre angoli α + β + γ = 90° L’angolo di spoglia inferiore α ha la funzione di disimpegnare l’utensile dal materiale dopo il taglio per impedire: l’attrito, le vibrazioni, lo sfregamento della superficie lavorata, sforzi anomali; tale angolo varia da 3° a 7° in funzione del materiale e non può mai annullarsi. L’angolo di spoglia superiore γ ha lo scopo di favorire il taglio e il fluire del truciolo sull’utensile; tale angolo può variare da 0° a 20°, ma può assumere anche valori negativi. Il truciolo scorre sul petto dell’utensile; in determinate condizioni e per alcuni materiali gli strati del truciolo nella zona di scorrimento si saldano al petto dell’utensile, originando il cosiddetto tagliente di riporto ( T.d.R.). Questa sovrastruttura, modifica l’angolo di spoglia superiore, che alla fine diventa instabile. Ad un certo punto il T.d.R. si stacca , ed immediatamente dopo comincia a saldarsi un nuovo strato. Il T.d.R. quando si stacca può asportare parte del tagliente. E’ evidente che maggiore è l’angolo γ più difficilmente può formarsi il tagliente di riporto. L’angolo di taglio β fornisce la robustezza e la resistenza dell’utensile. Se tale angolo risulta piccolo l’utensile taglia meglio ma la sua durata specie con materiali duri è limitata. Per questo motivo per lavorare metalli duri e nella sgrossatura sono indicati alti valori di β (75-80°) , mentre per lavorare metalli dolci e nelle finiture si possono avere angoli β fra 65-75°. Si può osservare che non potendo modificare molto l’angolo α , l’angolo γ risulta di conseguenza. 73 Nella figura è illustrato un utensile con spoglia superiore negativa , usato solo con gli inserti e per lavorazioni particolarmente gravose in tal caso si ha: α + β – γ = 90° La formazione del truciolo e la sua forma è influenzata anche dall’angolo di registrazione ψ. Questo angolo si misura fra il tagliente principale dell’utensile e la direzione di avanzamento. L’angolo di registrazione è molto importante nella scelta di un utensile di tornitura; influenza infatti la forma e la direzione del truciolo, la lunghezza del tagliente impegnato a parità di profondità di passata e quindi la pressione di taglio. L’angolo di registrazione varia normalmente fra 45° e 90° , fra 45° e 60° si hanno le migliori condizioni di formazione del truciolo; gli utensili impiegati per la contornatura hanno molto spesso angoli di registrazione maggiori di 90°. 11.2.3 Gli inserti e la loro classificazione Le tre principali caratteristiche che deve possedere un materiale da taglio si possono riassumere in: • resistenza all’usura • tenacità • durezza a caldo oltre a queste fondamentali caratteristiche possiamo aggiungere: inerzia e stabilità chimica e buona resistenza agli shock termici Il metallo duro di cui sono fatti gli inserti è un prodotto della metallurgia delle polveri sono infatti composte da particelle dure cementate da un legante. I carburi più noti sono: • carburo di tungsteno WC • carburo di titanio TiC • carburo di tantalio TaC • carburo di Niobio NbC presenti in percentuale volumetrica del 60-95% , dimensioni tra 1 e 10 micron e cementati con cobalto Co. Il metallo duro viene prodotto secondo le seguenti fasi : • produzione delle polveri dei carburi e del cobalto 74 • • • • pressatura dei componenti che realizzano il “compatto” assai poroso fino al 30% sinterizzazione ha lo scopo di eliminare la porosità : richiede temperatura (1400-1600°), tempo e ambiente controllato. Il legante fuso scioglie una buona quantità di carburi. trattamento: alcuni inserti vengono rettificati (raggi di arrotondamento del tagliente ER, angolo di spoglia) altri sono già finiti per sinterizzazione diretta rivestimento: la maggior parte degli inserti sono oggi rivestiti con sottili starti di carburo a grana fine Classificazione Vediamo innanzi tutto le sigle che identificano i materiali da taglio: • GC - metallo duro rivestito • C - metallo duro non rivestito • CT - cermet • PCD – diamante policristallino • CBN – nitruro cubico di boro • CC - ceramica • HS - acciaio rapido • N - coronite La classificazione ISO è suddivisa in tre campi . La resistenza all’usura diminuisce man mano che si passa da 01-10-20-30-40-50 ed è l’esatto contrario della tenacità. I numeri bassi sono più idonei per finiture con alte velocità e basse sezioni di truciolo, man mano ci spostiamo sui numeri alti crescono le prestazioni su medio-alte sezioni di truciolo con velocità decrescenti. Attualmente tutte le qualità di metallo duro sono rivestite per aumentare la resistenza all’usura. In anni recenti sono state sviluppate qualità di rivestimento che hanno trovato vasta accettazione anche nelle punte a forare e nelle frese a candela. Oltre ai tradizionali carburo di titanio TiC (grigio) e nitruro di titanio TiN (giallo oro) è impiegato anche l’ossido di allumino-ceramica Al2O3 (trasparente). 75 I rivestimenti non superano in genere i 12 µm. 76 77 78 79 80 81 Modulo 12 - Velocità di taglio 12.1 Calcolo delle velocità di taglio con particolare riferimento alla tornitura Tutte le formule che ci permettono di valutare la velocità di taglio traggono origine dalla intuizione di Taylor che intuì e codificò con una relazione, lo stretto legame fra la velocità di taglio e la durata dell’affilatura del tagliente: V ×T − 1 k =C E’ evidente che per valutare correttamente una velocità di taglio occorrono tabelle e dati sperimentali in quanto dobbiamo valutare tutte le influenze che agiscono sul fattore velocità: • • • • • materiale del pezzo materiale dell’utensile sezione di truciolo = avanzamento x passata durata prevista della affilatura condizioni varie La formula di Kronemberg è un po’ datata ma è applicabile sia a utensili in acciaio rapido che in metallo duro: G ( )g V V = α 1z × 5 × C ur T q ( )y 60 dove: α - è un coefficiente che dipende dall’angolo di registrazione V1 - è la velocità di taglio specifica con angolo di registrazione ψ=45° , con fattore di forma del truciolo G = passata / avanzamento =5 , con il tempo di durata dell’affilatura T = 60 min , con coefficiente di lubrificazione Cur =1 lavorazione a secco. qz - è la funzione dipendente dalla sezione di truciolo T - è il tempo previsto di durata dell’affilatura Cur – è il fattore di correzione della lubrificazione Nelle pagine seguenti sono riportate le tabelle dalle quali è possibile ricavare tutti i parametri necessari alla valutazione della velocità di taglio. 82 83 84 85 Un'altra formula più moderna usata per valutare la velocità di taglio degli inserti rivestiti è : V = V111 × f s × f a × f T × f c dove: V111 = velocità di taglio specifica in m/min con s (avanzamento)=1mm/g, a (passata)=1mm T (tempo di durata affilatura) =1min Questo fattore dipende dal gruppo di lavorabilità a cui appartiene il materiale e dalla qualità del metallo duro impiegata. fs fa fT fc = fattore di avanzamento = fattore di passata = fattore di durata affilatura = fattore che tiene conto di condizioni particolari di lavoro; se più di una si usa il coefficiente per la condizione peggiore Le classi di appartenenza del materiale sono 17 e sono in relazione alla resistenza alla trazione o alla durezza Brinell del materiale in lavorazione secondo la tabella sotto riportata. Riportiamo anche un estratto delle tabelle di valutazione dei parametri relative ai materiali più frequentemente impiegati nelle lavorazioni 86 87 88 12.2 Orientamenti nel calcolo dei parametri di taglio e della potenza I parametri di taglio da scegliere sono: la profondità di passata, l’avanzamento, la velocità di taglio e in conseguenza di ciò la potenza. La profondità di passata è in genere legata al materiale da asportare e al numero di passate scelte. In genere la profondità massima di passata è determinata dalla potenza della macchina a disposizione per cui è sempre bene verificare, almeno nella sgrossatura, la potenza richiesta. L’avanzamento nella sgrossatura viene consigliato in base al raggio di punta dell’inserto Raggio di punta Avanzamento max 0.4 0.25-0.3 0.8 0.4-0.6 1.2 0.5-0.9 1.6 0.7-1-2 2.4 1.0-1.8 inoltre occorre tener conto della rigidezza della combinazione utensile-macchina-pezzo e scegliere il più ampio angolo al vertice dell’utensile compatibilmente con la geometria del pezzo da lavorare. 89 L’avanzamento nella finitura è funzione della rugosità superficiale associata al raggio di punta dell’utensile; a raggi maggiori corrispondono rugosità inferiori anche se un raggio elevato può favorire l’insorgenza di vibrazioni e quindi influenzare la finitura. Ra µm r = 0.4 mm r = 0.8 mm r = 1.2 mm r = 1.6 mm r = 2.4 mm 0.6 1.6 3.2 6.3 8.0 0.07 mm/g 0.11 mm/g 0.17 mm/g 0.22 mm/g 0.27 mm/g 0.10 mm/g 0.15 mm/g 0.24 mm/g 0.30 mm/g 0.38 mm/g 0.12 mm/g 0.19 mm/g 0.29 mm/g 0.37 mm/g 0.47 mm/g 0.14 mm/g 0.22 mm/g 0.34 mm/g 0.43 mm/g 0.54 mm/g 0.17 mm/g 0.26 mm/g 0.42 mm/g 0.53 mm/g 0.66 mm/g La potenza assorbita al mandrino si calcola con: Ps = Fs × Vt ( KW ) 60 × 1000 Vt - velocità di taglio Fs - forza di strappamento del truciolo è data da: Fs = q × Ks Ks – forza specifica di taglio è funzione della resistenza del materiale Rm , dell’angolo di spoglia superiore γ e dello spessore del truciolo h = a x senψ ( dove a è l’avanzamento e ψ l’angolo di registrazione) A titolo di esempio si fornisce il valore di Ks per diversi carichi di rottura e per un angolo di spoglia superiore γ =10° e γ=0° e uno spessore di truciolo h=0.4 Gruppo lavorabilità Durezza Brinell materiale 3 160-190 4 160-220 5 210-250 6 220-270 7 200-295 8 310 Acciao fortemente 325-450 legato e temprato 9-10-11 150-270 12 150-220 Acciaio al Mn (12%) 250 13 140-180 14 170-210 Ghise fuse in 400 conchiglia 600 Ottone 60-110 Bronzo fosforoso 85-110 Leghe al piombo 80-150 Alluminio fuso 100 130 Carico di rottura 2 (N/mm ) 550-650 650-720 700-800 750-900 850-1000 1000-1200 Tensione Ks Tensione Ks 2 2 (N/mm ) γ=10° (N/mm ) γ=0° 2000 2050 2200 2400 2400 2500 2800 3000 3070 3300 3600 3600 3700 4200 2200 2450 3400 1050 1400 2600 3300 700 1650 650 700 850 3300 3670 5100 1580 2100 3900 4950 1050 2470 980 1050 1270 90 Per altri angoli di spoglia inferiore la correzione è 1.5% per ogni grado. La correzione per spessori di truciolo diversi da 0.4 è riportata nella tabella avanzamento mm/g 0.05 0.10 0.15 0.20 0.25 0.30 0.35 0.40 0.45 0.50 0.60 0.70 0.80 1.00 ψ = 90° ψ = 75° 1.83 1.49 1.33 1.22 1.15 1.09 1.04 1.00 0.97 0.94 0.89 0.85 0.82 0.77 1.85 1.51 1.34 1.24 1.16 1.10 1.05 1.01 0.98 0.95 0.90 0.86 0.83 0.78 ψ = 60° 1.91 1.56 1.39 1.27 1.19 1.13 1.08 1.04 1.01 0.98 0.93 0.89 0.85 0.80 ψ= 45° 2.03 1.65 1.45 1.35 1.27 1.20 1.15 1.11 1.07 1.04 0.98 0.94 0.90 0.85 Per la potenza del motore si dovrà tener conto del rendimento della macchina: Ps = Fs × Vt ( KW ) 60 × 1000 × η dove η = 0.75-0.85. Calcolare la velocità di taglio e la potenza impegnata per lavorare un acciaio C50 (Rm=850 N/mm2) bonificato con i seguenti parametri di taglio: - profondità di passata 1.5 mm - avanzamento 0.4 mm/g usando un utensile P25 con angolo di registrazione ψ=105° e angolo di spoglia superiore γ =5° L’acciaio appartiene alla classe di lavorabilità 6 , dalla tabella supponendo una durata della affilatura di 20’ e supponendo non sussistano condizioni di lavoro particolari si ricava: V111 = 180 m/1’ fs = 1.47 fp = 0.94 ft = 0.49 Vt = fs × fp × ft = 120 m/1’ dalle tabelle Ks = 2400 per γ=10 correggendo per γ=5° si ottiene Ks = 2580 N/mm2 correggendo per lo spessore di truciolo ψ=105° (=75°) si ottiene Ks = 2840 N/mm2 Fs = Ks x q = 2840 x 0.4 x 1.5 = 1704 N Ps = Fs × Vt 1704 x120 = = 3.4 Kw 60 × 1000 60 x1000 Ipotizzando un rendimento di 0.8, sarà necessaria una potenza del motore non inferiore a: 91 Pm = 12.3 Ps η = 4.25Kw Forze che agiscono sull’utensile Fr - è la forza cosiddetta di repulsione che spinge l’utensile ad allontanarsi dal pezzo Fa – è la forza di avanzamento che si oppone all’avanzamento dell’utensile Fs - è la forza di taglio (strappamento) che agisce tangenzialmente al diametro del pezzo lavorato R - è la forza risultante In prima approssimazione calcolata la Fs = Ks x q le forze di repulsione e di resistenza all’avanzamento possono ritenersi Fr = Fa = ~ 0.2 Ft e quindi la forza risultante R è: R = Fs2 + Fr2 + Fa2 = 1.04 × Fs e quindi quasi coincidente con la forza di strappamento del truciolo. 12.4 Tempo di lavorazione Il tempo di lavorazione che rappresenta la durata della spostamento in automatico dell’utensile è dato da: t= L+e a×n dove: • L è la lunghezza di lavoro in cui si fa truciolo • e rappresenta l’extracorsa, ossia lo spazio percorso dall’utensile prima di attaccare il pezzo • a rappresenta l’avanzamento in mm/g • n è il numero dei giri al minuto 92 Al tempo di macchina dovranno poi essere aggiunti tutti i tempi di intervento manuale ad esempio: montaggio, smontaggio, cambio del numero di giri, cambio e inserimento avanzamento, misurazioni, dare la passata, i ritorni rapidi, il cambio utensili, etc. Questi tempi sono dedotti dall’esperienza, ma anche da tabelle di tempi “standard”. MODULO 13 - Tornio 13.1 Lavorazioni al tornio Lo studio della macchina appartiene al corso di Tecnologia Meccanica, in questa fase si richiamano alcune nozioni fondamentale della macchina e complementari di lavorazione ben consci che i torni più in uso nelle aziende meccaniche sono a CNC. Per la programmazione delle macchine a CNC si rimanda al testo specifico. Le caratteristiche geometriche di un tornio in base alle quali si opera la scelta sono: • altezza punte sulle guide e sull’incavo; il primo valore esprime il massimo raggio che è tornibile fra le punte, il secondo il massimo raggio tornibile a sbalzo. • distanza fra le punte è la massima lunghezza che è tornibile • passaggio barra definisce il diametro massimo della barra che può passare attraverso l’albero cavo del mandrino • potenza della macchina che fornisce un’idea delle prestazioni ottenibili In un tornio tradizionale si distinguono le seguenti parti fondamentali: • il basamento che è la struttura che collega la macchina alle fondazioni; al suo interno è ospitato il motore elettrico e i dispositivi ausiliari come la centralina della lubrificazione • la testa motrice nella quale è alloggiato il mandrino e il cambio di velocità del mandrino e il cambio di velocità di avanzamento da cui partono la barra e la vite madre che forniscono il moto al carrello • il bancale che si appoggia sul basamento e sostiene le guide di scorrimento longitudinale del carrello • il carrello che scorre in senso longitudinale sulle guide, può essere movimentato a mano con un volantino, e in automatico tramite la barra per le torniture comuni longitudinali e trasversali o con la vite madre per l’esecuzione di filettature. Sulla parte superiore del carrello si trova un’altra slitta, a movimento esclusivamente manuale che può essere inclinata di un qualsiasi angolo per eseguire torniture coniche di lunghezza limitata dalla corsa della slitta stessa. Al di sopra di tutte le slitte vi è la torretta quadrangolare su cui vengono montati rapidamente i portautensili in cui gli utensili sono stati preventivamente alloggiati. • Contropunta o toppo mobile sulle guide. Ha la funzione di sostenere i pezzi lunghi nei quali è stato preventivamente ricavato il foro da centro per appoggiarvi la contropunta. La contropunta si utilizza di solito per eseguire delle torniture cilindriche e perché ciò avvenga deve essere perfettamente in asse con il mandrino. Se creiamo un disassamento s, mediante una vite di regolazione, si possono eseguire torniture coniche in automatico 2α dove tgα = s/L . 93 13.2 Dispositivi per il montaggio dei pezzi sul tornio Il montaggio a sbalzo si effettua per pezzi non lunghi e si utilizza un attrezzo che viene montato sulla estremità del mandrino. Questo attrezzo può essere una piattaforma munita di asole e fori sui quali si può staffare pezzi di qualsiasi forma mediante tiranti, staffe e spessori. Questo montaggio necessita anche di contrappesi per il bilanciamento statico del complesso ruotante. E’ usato per lavorazioni di pezzi di forma particolare non in serie. Il mandrino a quattro morsetti indipendenti è una evoluzione della piattaforma e comunque si impiega nella tornitura di pezzi non cilindrici o cilindrici non coassiali. I quattro morsetti scorrono ciascuno sulla propria slitta comandati dalla vite posizionata sulla fascia esterna. Il metodo di fissaggio più comune è il cosiddetto mandrino autocentrante a tre morsetti a 120° in 94 cui i morsetti si muovono contemporaneamente azionati da una sola vite. I morsetti possono essere montati anche rovesciati per grandi diametri esterni ma anche per utilizzare il serraggio su fori interni preventivamente lavorati. L’autocentrante permette un montaggio rapido dei pezzi garantendo, nei limiti di tolleranza con cui è realizzato, la concentricità della superficie lavorata con l’asse del pezzo. In commercio si trovano mandrini autocentranti anche a 4 morsetti. Gli autocentranti sopra descritti sono a comando manuale e non sono idonei per macchine a elevata produzione e a controllo numerico dove si usano i mandrini idraulici a comando oleodinamico. Nella lavorazione fra le punte , usata per pezzi di determinata lunghezza, viene inoltre garantita la ripetibilità del posizionamento corretto anche se necessitano più smontaggi, in quanto la lavorazione ha come riferimento la linea che congiunge i fori da centro preventivamente eseguiti e nei quali si appoggiano le punte coniche. Nelle lavorazioni di serie di alberi è sempre più frequente l’impiego di macchine denominate attestatrici-centratrici che preparano i pezzi grezzi a misura e con i fori da centro per poter essere montati fra le punte del tornio 95 Nel caso si voglia lavorare un pezzo senza interruzione per rovesciarlo, si può far ricorso al trascinatore frontale, di cui esistono sul mercato varie tipologie e modelli. Questo attrezzo viene montato direttamente sul naso del mandrino ed è costituito da una punta da appoggiare sul foro da centro del pezzo e da una serie di scalpelli molleggiati che si appoggiano sulla attestatura del pezzo ricavandone delle tacche attraverso le quali si ha il trascinamento del pezzo sostenuto sull’altro lato da una contropunta. Lavorazione su spina quando si vuol lavorare un pezzo il cui riferimento è la superficie interna preventivamente lavorata. La spina viene poi montata fra le punte con brida e menabrida o fra autocentrante e contropunta. Le spine possono essere rigide od elastiche. Le prime possono a sua volta essere coniche o cilindriche. Le spine coniche (con. 1:2000) si usano per pezzi il cui diametro interno non è finito; la posizione assiale non è ovviamente definita, dipendendo la posizione dal valore effettivo del diametro, per cui ovviamente non possono essere utilizzate su macchine a CNC per l’impossibilità di definire lo zero pezzo. Le spine cilindriche costruite per un determinato diametro, possono alloggiare anche più pezzi qualora si debba lavorare solo il diametro esterno altrimenti si usano con un solo pezzo. Il serraggio del pezzo avviene in genere con vite e dado. Una valida alternativa alla spina cilindrica è la spina elastica a espansione. La spina ha un alloggio conico su cui si innesta una bussola resa elastica da una serie di tagli alternati sulle sue generatrici. I vantaggi che ne conseguono è innanzi tutto il centraggio che risulta ottimo anche in presenza di lievi difformità del diametro di riferimento del pezzo; inoltre nel caso di sostegno a sbalzo con l’autocentrante è semplice realizzare un rapido montaggio e smontaggio dei pezzi facendo uso di una rondella spaccata senza dover svitare completamente il dado. 96 Nella lavorazione da barra viene passata la barra attraverso l’albero cavo del mandrino e dopo averla fatta sporgere della quantità voluta, si serra l’autocentrante. Alla fine della lavorazione il pezzo viene troncato. Il metodo viene utilizzato per lavorazioni di serie; in tal caso il tornio è munito di dispositivo spingibarra automatico fino ad un fermo predisposto. La barra viene sostenuta esternamente al mandrino, da appositi sostegni. Il diametro della cavità del mandrino determina il massimo diametro che si può montare. Le barre di diametri piuttosto grandi, se piene, sono piuttosto pesanti quindi occorre valutare bene l’opportunità del metodo. Pezzi che hanno dimensioni in lunghezza che superano la distanza fra le punte possono essere lavorati, smontando il toppo mobile e predisponendo al suo posto la lunetta fissa. Il pezzo è quindi serrato sull’autocentrante lasciando alla lunetta il compito del sostegno del pezzo sui pattini. La lunetta viene utilizzata anche per eseguire torniture interne. La lunetta mobile viene usata per tornire pezzi snelli e quindi flessibili sotto l’azione dell’utensile. Ha solo due pattini, viene montata sul carro e quindi si muove con l’utensile contrastando l’azione di flessione esercitata dallo stesso contro il pezzo in lavorazione.. 97 98