PARTE I
Il presente testo di tecnologia meccanica è destinato agli studenti
del IV anno dell’indirizzo Meccanico dell’istituto professionale e
fornisce la preparazione di base per affrontare lo studio della
tecnica della produzione del V anno
1
INDICE
MODULO 1 - Tolleranze
1.1
1.1.1
1.1.2
1.1.3
1.1.4
1.1.5
1.1.6
Tolleranze di lavorazione
Gradi di tolleranza
Posizione della tolleranza
Accoppiamenti
Scelta dell’accoppiamento
Relazione fra tolleranze e rugosità
Tolleranze geometriche e di forma
MODULO 2 - Metalli
2.1
2.2
2.3
2.4
2.5
Caratteristiche dei metalli
Strutture
Proprietà dei metalli
Metalli e non metalli più ricorrenti
Leghe metalliche
MODULO 3 - Acciai
3.1
3.2
3.3
3.4
3.5
3.6
3.7
Classificazione e designazione degli acciai
Acciai comuni al carbonio
Acciai non legati
Acciai debolmente legati
Acciai legati
Acciai rapidi
Caratteristiche conferite dagli elementi di lega
MODULO 4 - Trattamenti termici
4.1
4.2
4.2.1
4.2.2
4.2.3
4.3
4.4
4.4.1
4.4.2
4.4.3
4.4.4
4.5
4.5.1
4.6
4.6.1
4.6.2
4.6.3
Trattamento termico dei metalli
Ricottura
Ricottura completa
Ricottura di lavorabilità
Ricottura isotermica
Normalizzazione
Tempra
Tempra diretta
Tempra termale
Tempra isotermica
Mezzi di raffreddamento
Rinvenimento e Bonifica
Acciai da bonifica
Trattamenti termici superficiali
Tempra superficiale
Carbocementazione
Nitrurazione
2
MODULO 5 - Esami distruttivi
5.1
5.1.1
5.1.1.1
5.1.1.2
5.2
5.2.1
5.2.2
5.2.3
5.2.3.1
5.2.3.2
5.3
5.3.1
5.3.2
5.3.3
5.3.4
Prove sui materiali metallici
Prove meccaniche
Prova di trazione
Prova di resilienza
Prove di durezza
Prova Brinell
Prova Vickers
Prova Rockwell
Prova Rockwell B
Prova Rockwell C
La Fatica
Cicli di carico
Curve di Wholer
Modalità e cause della rottura
Diagramma di Goodman-Smith
MODULO 6 - Esami non distruttivi
6.1
6.2
6.2.1
6.2.2
6.3
6.4
6.5
Esami non distruttivi
Esame radiologico
Raggi X
Raggi γ
Ultrasuoni
Esame con il metodo magnetoscopico
Esame con i liquidi penetranti
MODULO 7 - Saldatura
7.1
7.2
7.3
7.4
7.5
7.6
7.7
7.8
7.9
Generalità sulle saldature
Saldature per fusione ossiacetilenica
Saldatura all’arco elettrico con elettrodo fusibile
Saldatura MIG
Saldatura MAG
Saldatura TIG
Saldatura autogena per pressione
Saldatura eterogenea – Brasatura
Saldabilità
MODULO 8 – I materiali semilavorati
8.1
8.2
8.3
8.3.1
8.3.2
8.4
Generalità e classificazione
La laminazione e prodotti di laminazione
Fabbricazione dei tubi
Tubi saldati
Tubi senza saldatura
Fabbricazione fili per trafilatura
3
MODULO 9 – Lavorazioni plastiche a caldo dei semilavorati
9.1
9.1.1
9.1.2
9.2
9.3
9.4
Forgiatura
Forgiatura libera in stampo aperto
Forgiatura in stampo chiuso – Stampaggio a caldo
Stampi
Ricalcatura
Estrusione
MODULO 10 – Complementi di fonderia
10.1
10.2
10.3
10.4
10.5
10.6
Generalità
Fusione in terra
Fusione in conchiglia
Colata centrifuga in conchiglia
Colata in conchiglia a pressione
Microfusione o fusione a cera persa
MODULO 11 - Il taglio dei metalli per asportazione di truciolo
11.1
11.2
11.2.1
11.2.2
11.2.3
Generalità sui moti
Utensili per il taglio dei metalli
Evoluzione storica degli uensili
Gli angoli caratteristici di un utensile
Gli inserti e la loro classificazione
MODULO 12 - Velocità di taglio
12.1
12.2
12.3
12.4
Calcolo velocità di taglio
Orientamento nel calcolo dei parametri di taglio e potenza
Forze che agiscono sull’utensile
Tempo di lavorazione
MODULO 13 - Lavorazioni al tornio
13.1
13.2
Lavorazioni al tornio
Dispositivi per il montaggio dei pezzi sul tornio
4
PREMESSA
La conoscenza della tecnologia meccanica è fondamentale per chi ha deciso di
intraprendere, a qualsiasi livello, una professione che si occupa della realizzazione di un
qualsiasi pezzo, partendo dalla materia prima e, attraverso vari processi, giunga ad una
forma ben definita, determinata dalla funzionalità cui dovrà far fronte l’oggetto
realizzato.
Mi rendo perfettamente conto che un corso di tecnologia meccanica non potrà mai
raggiungere un livello di completezza, sia per il numero degli argomenti trattati, sia per la
modalità con cui tali argomenti sono sviluppati; d’altra parte le nuove tecnologie
incombono sempre più velocemente col progredire inarrestabile del progresso tecnico
senza peraltro sostituire i principi fondamentali delle lavorazioni.
La scelta e il modo di approfondimento degli argomenti scelti sotto forma di Moduli
quindi
è dettata
dalla
esperienza
di
oltre trentacinque
anni trascorsi
nell’insegnamento ma anche parallelamente in officina che insieme alla scuola è stata la
mia soddisfazione professionale.
I moduli sviluppati, sono mirati al IV anno, sia degli Istituti Professionali, ma anche ITI e
costituiscono la base fondamentale per affrontare con sufficiente competenza lo studio
della Tecnica della produzione che rappresenta il terminale di tutto lo studio della
Tecnologia.
Volutamente in questo testo non è stato particolarmente approfondito lo studio delle
macchine a CNC, in quanto si rimanda al testo “ Programmazione delle Macchine a
Controllo Numerico con linguaggio ISO-FANUC “ in cui oltre ai principi generali delle
macchina a controllo numerico ho raccolto le regole di programmazione secondo il
linguaggio Fanuc. In tale testo sono sviluppati numerosi esercizi di programmazione di
pezzi che poi sono stati concretamente realizzati alla fresa o al tornio CNC del
laboratorio tecnologico dell’ istituto Professionale Sismondi-Pacinotti di Pescia.
Due parole occorre spenderle anche sul Disegno Tecnico-Meccanico che fa parte
integrante di conoscenze tecniche. Le norme tecniche del disegno occorre apprenderle dai
primi anni dei corsi di meccanica, negli anni terminali è necessario approfondire la
realizzazione dei disegni attraverso le tecniche CAD bi e tridimensionali. L’ esperienza in
Scuola e professionalmente è stata orientata sui programmi CADddy++ e SolidWorks
entrambi assai validi senza peraltro disconoscere altri noti programmi.
Prof. Ing. Giovanni Bottaini
Pescia 2009-07-03
5
MODULO 1 - Tolleranze
1.1 Tolleranze di lavorazione
Vediamo i motivi che hanno richiesto l’introduzione delle tolleranze di lavorazione:
•
Non è possibile materialmente eseguire una quota esatta per cui è necessario in ogni
lavorazione assegnare un errore massimo che è possibile accettare.
D’altra parte è bene sapere che l’esecuzione di quote con tolleranze sempre più ristrette
aumenta i costi per cui se ne fa uso solo in caso di necessità.
•
Se vogliamo garantire l’intercambiabilità di pezzi eseguiti da persone diverse o dalla
stessa in tempi successivi è necessario che questi pezzi abbiano la stessa tolleranza. Esempio
se in una macchina mi si rompe un pezzo, posso tranquillamente sostituirlo con un altro preso
ad esempio dal magazzino ricambi, senza problemi di montaggio e di funzionalità della
macchina.
1.1.1 Gradi di tolleranza
I gradi di tolleranza (errori) previsti , secondo le norme UNI ISO 286 , sono 20 e secondo
errore crescente vanno da IT 01 – IT 0 – IT 1 – IT 2 …….fino a IT 18.
I primi due gradi di precisione IT01 e IT0 sono previsti per dimensioni nominali fino a 500
mm,
gli altri arrivano a dimensioni nominali fino a 3150 mm.
6
1.1.2 Posizione delle tolleranze
Una volta stabilito l’errore complessivo con l’IT, si tratta di posizionare questo errore rispetto
alla quota nominale, e quindi determinare il diametro massimo e minimo entro il quale si deve
rimanere in fase di lavorazione affinché il pezzo sia ritenuto accettabile al collaudo.
La posizione della tolleranza nel sistema ISO è individuata da lettere singole o gruppi di due
lettere ( 28 posizion); le lettere maiuscole si usano per i fori, le minuscole per gli alberi
A – B – C – CD – D – E – EF – FG – G – H – Js – J – K – M – N – P – R – S –T –
U – V – X – Y – Z – ZA – ZB - ZC
a – b – c – cd – d – e – ef – fg – g – h – js – j – k – m – n – p – r – s – t
–
u – v – x – y – z – za – zb - zc
In genere possiamo affermare che nella meccanica ordinaria le lettere più usate sono quelle
che
vanno da E,e a T,t.
7
8
9
10
11
1.1.3 Accoppiamenti
Si definisce accoppiamento una unione di due particolari non necessariamente cilindrici in
cui
uno ricopre il ruolo di maschio e uno di femmina.
Gli accoppiamenti possono essere:
• Liberi quando il foro risulta sempre più ampio dell’albero (e la differenza si
chiama gioco ). Sono liberi gli accoppiamenti in cui sono presenti le lettere che
precedono
o si identificano con la lettera h/H nell’ordine alfabetico. Il gioco tende a
diminuire avvicinandoci alla lettera h/H.
• Forzati quando l’albero risulta sempre più ampio della femmina ( e la differenza
si chiama interferenza ). Sono sicuramente forzati gli accoppiamento in cui sono
presenti le lettere dalla p/P alla z/Z nell’ordine alfabetico.
• Incerti quando possono risultare con gioco o con interferenza e se si verifica uno
o l’altro dipende sia dall’accoppiamento scelto sia da chi realizza la lavorazione.
Sono incerti gli accoppiamenti in cui sono presenti le lettere js , j , k , m , n con H
e
le lettere Js , J , K , M , N con h. Man mano che si scende verso le lettere più
basse la probabilità che si verifichi l’interferenza aumenta.
Teoricamente un accoppiamento può essere realizzato combinando una qualsiasi lettera
maiuscola con una minuscola ottenendo 28x28 = 784 x2 = 1568 possibili accoppiamenti.
Ciò renderebbe praticamente impossibile operare una scelta; per questo motivo si è stabilito
di fissare la lettera H (foro base) o la lettera h (albero base) facendo variare solo l’albero se si
è scelto il foro base (H), solo il foro se si è scelto l’albero base (h).
In questo caso gli accoppiamenti possibili sono 27 x 2 = 54, non solo ma si riesce
immediatamente a individuare la tipologia di accoppiamento.
1.1.4 Scelta dell’accoppiamento
La scelta del grado di precisione IT, dipende dal grado di finitura della superficie lavorata
(rugosità) e dalla funzionalità dell’oggetto. Nella meccanica usuale non si scende mai sotto
IT5, lasciando queste precisioni a meccanica di alta e altissima precisione (anche per
strumenti di misura). Nella meccanica usuale si usano precisioni da IT 5 a IT10 , precisioni
più elevate possono usarsi in meccanica grossolana (esempio carpenteria)
Nota: in un accoppiamento le precisioni dei due elementi o sono eguali (es. 30H7/f7 ),
oppure più frequentemente sul foro si assegna una unità più elevata (es. 30h6/J7)
riconoscendo in tal modo la maggior difficoltà nella esecuzione di un foro preciso rispetto
all’albero.
Negli accoppiamenti incerti o forzati si usano precisioni più elevate (5-6-7), negli
accoppiamenti liberi sono usate anche precisioni meno elevate quindi fino a 8-9.
Se l’accoppiamento prevede la rotazione (es. albero su bronzina) deve risultare libero. Se la
rotazione è lenta o parziale si può usare f /H o F/h g/H o G/h; se la rotazione è mediamente
veloce e la lubrificazione è a grasso o sbattimento si usano le lettere f/H o F/h o e/H o E/h;
con rotazioni veloci si possono usare anche piccoli giochi ma è richiesta la lubrificazione
forzata.
12
Gli accoppiamenti incerti vengono utilizzati per accoppiare particolari fissi, che richiedono
anche smontaggi più o meno frequenti e precisione di accoppiamento. La forzatura può essere
ottenuta anche con l’uso del martello per piccole interferenze e alla pressa per interferenze
più
elevate.
Gli accoppiamenti forzati sono sempre di precisione e in generale non dovrebbero richiedere
smontaggio. Le ultime lettere dell’alfabeto offrono sicurezza e stabilità permanente
dell’accoppiamento e il loro montaggio richiede la dilatazione del foro mediante opportuno
riscaldamento.
1.1.5 Relazione fra tolleranza e rugosità
Esiste un legame fra tolleranza e rugosità che risulta ancor più evidente negli accoppiamenti.
Infatti in un accoppiamento mobile di rotazione se la rugosità risulta elevata, le creste
superficiali dovute alla lavorazione, in un breve tempo si usurano aumentando i giochi e
quindi
modificando la funzionalità dell’accoppiamento.
Tolleranza
ISO
fino a 3
IT6
IT7
IT8
IT9
IT10
IT11
IT12
0.2
0.32
0.5
0.8
1.25
2
3.2
Superfici cilindriche con diametri in mm
Diametri e
superf. piane
oltre 3 fino a 18
oltre 250
0.32
0.5
0.8
1.25
2
3.2
5
oltre 18 fino a 80 oltre 80 fino a
250
Ra - Rugosità µm
0.5
0.8
1.25
2
3.2
5
8
0.8
1.25
2
3.2
5
8
12.5
1.25
2
3.2
5
8
12.5
20
1.1.6 Tolleranze geometriche o di forma
Con esse viene identificata una zona all’interno della quale deve essere compreso l’elemento
considerato. Per esempio un piano di riscontro per quanto preciso sia non può risultare
perfettamente piano per cui la sua superficie sarà compresa fra due limiti che rappresentano
l’errore di planarità.
L’errore di parallelismo individua quanto può scostarsi una superficie in parallelismo rispetto
ad
un'altra presa a riferimento.
13
Avendo stabilito come riferimenti
le superfici A e B, la superficie in
esame deve avere un errore di
parallelismo rispetto a A di 0.05mm
e un errore di perpendicolarità
rispetto a B di 0.1mm
Per ulteriori sviluppi si rimanda al testo di disegno in adozione.
MODULO 2 - Metalli
Richiami sulle strutture dei materiali metallici
Come sappiamo le sostanze presenti in natura si suddividono in metalli e non metalli. Il primo
gruppo è quello di cui tratteremo.
2.1 Caratteristiche dei metalli
I metalli sono solidi ad eccezione del mercurio che si trova allo stato liquido. In natura si
trovano
sotto forma di minerali da cui vengono estratti con vari processi.
14
Possiedono proprietà quali: buona conducibilità elettrica e termica, lucentezza, hanno struttura
cristallina, presentano un grado di elasticità e resistenza meccanica.
La struttura cristallina è costituita da celle elementari occupate da atomi che vibrano intorno
alle
posizioni di equilibrio in funzione dello stato energetico del corpo misurato dalla temperatura.
2.2 Strutture
Le strutture delle celle sono essenzialmente tre:
•
•
•
Cubica corpo centrato caratteristica dei metalli più duri tungsteno , cromo,
molibdeno, ferro α (da 0 a 910°C) in questo caso l’atomo al centro è di carbonio e
gli atomi sugli spigoli sono di ferro.
Cubica facce centrate caratteristica dei metalli più duttili e buoni conduttori quali
rame, argento, oro, ferro γ (da 910 a 1430°) in questo caso gli atomi sugli spigoli
sono di ferro e quelli sulle facce sono di carbonio.
Esagonale compatta caratteristica dei metalli fragili quali cadmio, zinco e
magnesio in cui gli atomi stanno sugli spigoli, al centro delle basi, e
alternativamente al centro delle superfici laterali.
Struttura cubica a
corpo centrato
1 atomo di Fe
1 atomo di C
Struttura cubica facce
centrate
1 atomo di Fe
3 atomi di C
15
Se prendiamo in esame il ferro e consideriamo che le celle elementari sono contigue si ha:
- nel ferro α in ogni singola cella abbiamo 8 atomi di ferro sugli spigoli ma appartenendo
ciascuno per 1/8 alle 8 celle contigue un atomo di ferro e un atomo di carbonio nel centro
- nel ferro γ in ogni singola cella abbiamo 1 atomo di Fe dagli spigoli e 6 atomi
appartenenti
ciascuno per ½ alla cella, quindi complessivamente 3 atomi di carbonio
Si deduce che il ferro γ scioglie più carbonio del ferro α.
2.3 Proprietà dei metalli
Proprietà chimiche :
composizione, legami, strutture, comportamento alla ossidazione e
corrosione
Proprietà fisiche:
massa specifica, calore massico, dilatazione termica, conducibilità
elettrica e termica, temperatura di fusione.
Proprietà meccaniche: resistenza dei metalli alle sollecitazioni esterne di trazione,
compressione, flessione, taglio, torsione, fatica, usura e urto.
Proprietà tecnologiche: riguardano l’attitudine dei metalli alle varie lavorazioni e quindi la
truciolabilità, la malleabilità, la duttilità, l’imbutibilità, la saldabilità,
la
temprabilità , la fusibilità etc.
2.4 Metalli e non metalli più ricorrenti
Non metalli:
Azoto ( N )
Silicio ( Si )
Boro ( B )
Fosforo ( P )
Metalli:
Alluminio ( Al ) Cobalto (Co )
Magnesio (Mg ) Manganese ( Mn)
Piombo ( Pb)
Stagno ( Sn )
Zinco ( Zn )
Carbonio ( C )
Zolfo
(Z)
Ossigeno ( O )
Cromo (Cr )
Molibdeno ( Mo )
Tungsteno ( W )
Ferro ( Fe )
Nichel ( Ni )
Vanadio ( V )
2.5 Le leghe metalliche
Non esistono metalli in cui le posizioni del reticolo cristallino sono occupate dallo stesso
elemento ma, anche se in misura non rilevante, alcune posizioni sono occupate da atomi
diversi, queste rappresentano le cosiddette impurità non desiderate.
Quando invece si tratta di atomi di sostanze aggiunte si parla di sostanze composte.
Una lega è una intima unione fra un metallo con altre sostanze a volte anche non metalli.
Nelle leghe sono presenti forme di aggregazione diverse:
• Miscele o miscugli quando i costituenti la lega cristallizzano per conto proprio e quindi
pur
miscelandosi bene sono sempre distinguibili con analisi microscopica.
(miscele degli acciai e ghise: perlite, bainite, troostite, sorbite)
• Composti chimici quando formano una combinazione chimica in determinata
proporzione
che determina in genere una sostanza diversa da quelle originarie
16
( esempio la cementite o carburo di ferro)
Soluzioni quando una sostanza presente in quantità minore (soluto) si scioglie nell’altra
(solvente). Se gli atomi delle due sostanze sono di analoghe dimensioni si hanno le
soluzioni solide di sostituzione (alcun posizioni del reticolo sono occupate dagli atomi
•
del
soluto) ; se le dimensioni del soluto sono più piccole si hanno le soluzioni di intrusione
con
atomi all’interno del reticolo. (esempio ferro α e ferro γ)
Per chiarire meglio il concetto di soluzione pensiamo allo zucchero che si scioglie
nell’acqua fino al punto di saturarla, dopodiché aggiungendo altro zucchero questo si
deposita sul fondo.
MODULO 3 - Acciai
3.1 Classificazione e designazione degli acciai
Una lega in cui il ferro è l’elemento predominante e il tenore di carbonio è di regola
minore del 2% e che comunque può contenere altri elementi viene definito Acciaio.
Se il tenore di carbonio supera il 2% viene usualmente indicata come Ghisa.
In realtà gli acciai e le ghise non legati contengono anche altri elementi sotto forma di
impurità quali fosforo e zolfo che non è economicamente conveniente eliminare del tutto.
Queste impurità è utile contenerle sotto lo 0.05-0.06 % . Vi sono presenti anche altri
elementi considerati positivi come manganese e silicio con percentuali in genere sotto 1%.
3.2 Acciai comuni al carbonio
In questi acciai le caratteristiche dipendono essenzialmente dalla percentuale di Carbonio
e quindi si classificano come:
•
acciai extradolci
C < 0.15%
•
acciai dolci
0.15 < C < 0.25%
•
acciai semidolci
0.25 < C < 0.40%
•
acciai semiduri
0.40 < C < 0.55%
•
acciai duri
0.55 < C < 0.80%
•
acciai extraduri
C > 0.80%
La designazione degli acciai è normata dalle:
UNI EN 10027/1 – Designazione alfa-numerica (1993)
UNI EN 10027/2 – Designazione numerica
(1993)
Analizzeremo sinteticamente la classificazione UNI EN 10027/1 che è la più vicina a
quella UNI 5372 precedente.
Gruppo 1 – acciai designati in base al loro impiego ed alle caratteristiche meccaniche o
fisiche
17
Simbolo indicante l’impiego
Carico minimo di rottura
Carico minimo di snervamento Rs (N/mm2)
Rm (N/mm2)
•
S – impieghi strutturali
•
P – impieghi sotto pressione
•
L – tubi di condutture
•
E – costruzioni meccaniche
•
B – per cemento armato
•
Y – per cemento armato precompresso
•
R – per rotaie
•
H – prodotti piani laminati a freddo
•
D – prodotti piani per formatura a freddo
D(Laminato a caldo)
X(Lamin.non specificata)
•
TH-banda nera stagnata e cromata (per imballaggio)
•
M – acciai magnetici
100 x spessore
Rs
Rs
Rs
Rs
Rs
Rm
Rm
Rs
C(Laminato a freddo)
durezza media HR
perdita specifica x100
Ad esempio con la designazione S 235 individuiamo un acciaio per impieghi strutturali
che corrispondeva nella vecchia designazione al ben noto Fe 360.
Con E 335 viene individuato un acciaio per costruzioni meccaniche avente un carico di
snervamento pari a 335 N/mm2.
Gruppo 2 – acciai designati in base alla loro composizione chimica, praticamente
coincidente con la vecchia designazione UNI 5372
A questo gruppo appartengono:
•
•
•
Gli acciai non legati
Gli acciai debolmente legati
Gli acciai legati
3.3 Acciai non legati sono quelli che contengono manganese <1% e vengono designati
dalla lettera C (carbonio) seguita dalla % di carboniox100.
Esempi:
C15 (acciaio extradolce da cementazione, usato ad esempio nella costruzione di boccole )
C40 (acciaio semiduro da bonifica, usato frequentemente nelle costruzioni meccaniche)
C90 (acciaio extradura da bonifica, usato nella costruzione di molle)
3.4 Acciai debolmente legati
•
•
•
Acciai in cui gli elementi di lega sono presenti con percentuali inferiori al 5%
Acciai non legati con percentuali di manganese > 1%
Acciai non legati per lavorazioni meccaniche ad alta velocità (automatici)
18
Premettiamo per questa categoria di acciai i fattori moltiplicativi delle percentuali degli
elementi presenti:
fattore 4 per gli elementi:
Cr (cromo) – Co (cobalto) – Mn (manganese) – Ni
(nichel) –
Si (silicio) – W (tungsteno o Wolframio)
fattore 10 per gli elementi: Al (alluminio) – Be (berillio) – Cu (rame) – Mo (molibdeno)
–
Nb (niobio) – Pb (piombo) – Ta (tantalio) – Ti (titanio) –
V (vanadio) – Zr (zirconio)
fattore 100 per gli elementi: N (azoto) – P (fosforo) – S (zolfo)
fattore 1000 per l’elemento: B (boro
Esempi:
52 Si Cr 5 – acciaio con 0.52% di Carbonio; silicio 1.25% ; presenza non significativa di
cromo. L’acciaio è impiegato per la costruzione di molle (la presenza di Si aumenta il
limite di snervamento)
40 Cr Mo 4 – acciaio con 0.40% di carbonio; 1% di cromo; presenza non
significativa
di molibdeno. L’acciaio è da bonifica ed è impiegato nelle costruzioni di
organi meccanici sollecitati meccanicamente.
35 Ni Cr Mo 15 – acciaio con 0.35% di carbonio; 3.75% di nichel; presenze non
significative
di cromo e molibdeno. E’ un acciaio da bonifica fra i migliori per
carico di
rottura R=1800-2000 N/mm2 e per carico si snervamento Rs=1250
2
N/mm
18 Ni Cr Mo 5 - acciaio con 0.18% di carbonio; 1.25% di Nichel; presenze non
significative
di cromo e molibdeno. E’ un tipico acciaio da cementazione.
42 Cr Al Mo 7 – acciaio con 0.42% di carbonio; 1.75% di cromo; presenze non
significative
di alluminio e molibdeno. La presenza di questi due elementi indica
che è
un acciaio da nitrurazione.
100 Cr Mn4
costruzione
- acciaio con 1% di carbonio e 1% di manganese impiegato nella
di cuscinetti
55 Si 8
costruzione di
- acciaio con 0.55% di carbonio, e 2% di silicio impiegato nella
molle
Gli acciai cosiddetti “automatici” indicati per essere lavorati ad alta velocità sulle
macchine automatiche devono avere il truciolo che nel distaccarsi si rompe. A ciò
19
provvedono la presenza di piccole percentuali di S (zolfo 0.15%) e di Pb (Piombo 0.15%).
Esempio:
35 S Mn Pb 10 – acciaio con 0.35% di carbonio; 0.1% di zolfo; percentuali inferiori di
manganese e piombo.
3.5 Acciai legati
Gli acciai si dicono legati quando la percentuale di almeno un elemento di lega supera il
5% con l’esclusione degli acciai rapidi.
La designazione comprende la lettera X seguita dalla % di carbonio moltiplicata per 100,
a ciò seguono le sigle degli elementi di lega, seguite da numeri che rappresentano
direttamente le percentuali dedli elementi.
Esempi:
X12 Cr Ni 1808 – è un acciaio legato con 0.12% di carbonio, poi nell’ordine 18% di
cromo
e 8% di nichel. Trattasi di un acciaio inossidabile conosciuto come
18-8.
X10 Cr Ni Ti 1810 – è un acciaio legato con 0.10% di carbonio, 18% di cromo, 10% di
Nichel, presenza non significativa di titanio. Acciaio impiegato alle
basse
temperature.
X10 Cr Al 13 – è un acciaio legato con 0.10% di carbonio, 13% di cromo e tracce di
alluminio. Acciaio resistente alla corrosione e al calore; impiegato nella
costruzione di valvole per motori endotermici.
UX85W18 – è un acciaio da utensili con 0.85% di carbonio e 18% di tungsteno
3.6 Acciai rapidi
Nella nuova normativa non si distingue più fra acciai rapidi HS e superrapidi HSS,
vengono denominati tutti rapidi e la designazione prevede le lettere HS e i numeri,m
indicanti le percentuali, separati da trattini che indicano gli elementi di lega nel seguente
ordine:
1.
2.
3.
4.
tungsteno W
molibdeno Mo
vanadio
V
cobalto
Co
20
Esempio: HS 13-08-05-03
3.7 Caratteristiche conferite dagli elementi di lega
L’ aumento della percentuale di Carbonio abbiamo visto determina aumento di durezza e
resistenza meccanica che possono venir aumentate quando la presenza supera lo 0.3% con
il trattamento di bonifica. Si hanno però acciai piuttosto fragili e poco duttili per cui si
ricorre all’aggiunta di piccole quantità di elementi (nichel, cromo, molibdeno, manganese,
silicio, vanadio, etc.) in modo da ottenere elevate resistenze alla trazione associate a
resilienza e duttilità, specialmente dopo adeguato trattamento termico al quale gli acciai
speciali sono più sensibili.
Acciai al cromo-nichel: sono molto usati nel campo delle costruzioni meccaniche
innanzi tutto perché abbassano la velocità critica di tempra e ne potenziano l’effetto. Il
cromo in unione al nichel agisce fortemente sulle proprietà meccaniche aumentando il
carico di rottura e il limite elastico senza ridurre notevolmente l’allungamento e la
resilienza.
Con percentuali di cromo sopra il 12% si entra nel campo degli acciai inossidabili fra i più
comunemente usati il 1808 e 1810 con % di cromo del 18% e nichel rispettivamente 8% e
10%.
Quando la percentuale di carbonio è bassa (<0.2%) si usano dove occorre la
cementazione.
Acciai al cromo-nichel-molibdeno: la presenza di molibdeno conferisce una migliore
penetrazione della tempra permettendo di mantenere le caratteristiche meccaniche anche
alle alte temperature. Questi acciai sono fra i migliori per costruzioni meccaniche
fortemente sollecitate.
Acciai al manganese: va ricordato che il manganese in percentuali <1% è presente in tutti
i titpi di acciaio essendo indispensabile come deossidante e desolforante. E’ un elemento
austenizzante
Quindi favorisce la resistenza all’usura, e migliorando la penetrazione di tempra favorisce
la durezza anche se dà una certa fragilità. Il primo materiale per utensili fu l’acciaio
Mushet, risultato di una scoperta casuale con l’aggiunta di manganese che permetteva di
ottenere l’indurimento all’aria dell’acciaio.
Acciai al tunsteno e vanadio: un ulteriore sviluppo dell’acciaio Mushet fu l’aggiunta di
tungsteno che aumentava la durezza e la capacità di mantenerla anche ad alta temperatura
(600-650°) il che lo rendeva particolarmente adatto negli acciai da utensili. Stesse
caratteristiche conferisce il vanadio.
Acciai al tungsteno-cobalto: il cobalto presente impedisce la dissociazione dei carburi a
caldo, quindi contribuisce a mantenere una durezza stabile a caldo (700°). E’ quindi
impiegato nella fabbricazione degli acciai per utensili rapidi.
Acciai al silicio: è assieme al manganese un potente disossidante e quindi in piccole
percentuali è usato nella fabbricazione degli acciai. Gli acciai con percentuali non
superiori al 5% presentano un carico di rottura ma soprattutto un limite elastico molto
elevati per cui vengono usati nella fabbricazione delle molle.
21
Acciai al piombo e zolfo: in piccolissime percentuali, specie lo zolfo (0.15%) hanno la
duplice funzione di facilitare la rottura del truciolo a causa della fragilità a caldo da essi
provocata e di agire da lubrificanti di taglio. Vengono impiegati nelle lavorazioni
automatiche ad alta velocità per particolari che non richiedono elevate prestazioni
meccaniche.
MODULO 4 - Trattamenti termici
4.1 Trattamento termico dei metalli
Si può definire trattamento termico un ciclo composto da tre fasi distinte:
•
Fase di riscaldamento fino ad una temperatura prefissata
•
Fase di mantenimento a questa temperatura con tempi variabili in funzione delle
dimensioni dei pezzi
•
Fase di raffreddamento in modo continuo o discontinuo e con velocità diverse
L’obiettivo dei trattamenti termici è quello di modificare le caratteristiche meccaniche e
tecnologiche secondo le finalità che si vogliono ottenere, quindi:
•
•
•
•
•
•
Aumento della resistenza meccanica
Miglioramento della resistenza all’usura
Miglioramento della resistenza alla corrosione
Miglioramento della resistenza alla fatica
Miglioramento della lavorabilità alle macchine utensili
Eliminazione di tensioni interne
Questo si può ottenere modificando la struttura cristallina del materiale oppure modificando
la composizione chimica superficiale per diffusione, attraverso la superficie, di elementi che
conferiscono le proprietà desiderate.
Per rappresentare le curve di raffreddamento dovute ai trattamenti termici si possono
utilizzare i diagrammi “ CCT ” ( Continuous Cooling Transformation ) e “ TTT ”
( Temperature Time Transformation ) conosciute anche con il nome di curve di Bain.
Le prime raffigurate in fig. 1 sono più idonee per raffreddamenti che avvengono con
continuità; le seconde raffigurate in fig. 2 sono più idonei per rappresentare
raffreddamenti interrotti (isotermici).
E’ evidente che per eseguire correttamente una velocità di raffreddamento è necessario
conoscere i diagrammi relativi all’acciaio da trattare.
Per non creare pericolosi stati tensionali che si verificano durante i raffreddamenti veloci è
necessario scegliere la velocità più opportuna per ottenere le caratteristiche richieste senza
eccedere nella drasticità del raffreddamento.
Va sottolineato che quando gli spessori da raffreddare sono diversi, occorre molta attenzione
per non provocare cricche in quanto la parte sottile raffreddando più velocemente si ritira e
comincia a tirare verso la parte calda creando stati tensionali che possono portare anche a
rotture.
22
DIAGRAMMA CCT
DIAGRAMMA TTT
4.2 Forni
I forni più usati per i trattamenti termici sono elettrici:
• A muffola (cassette particolari) nelle quali vengono disposti i pezzi per evitare il
contatto
con l’ossigeno dell’aria che provoca pericolose ossidazioni
• Ad atmosfera controllata quando il riscaldamento avviene entro atmosfere speciali di
gas che non contengono ossigeno
• Sotto vuoto oggi molto usati nei quali all’interno è ricavato il vuoto
• A bagni di sali fusi nei quali sono immersi i pezzi , ottenendo il duplice scopo di
impedire l’ossidazione ma anche di bloccare la temperatura ad un valore prefissato
eseguendo quindi i trattamenti isotermici. Si usano nitrati per temperature comprese fra
150 e 550°C e cloruri per temperature più elevate fino a 750°. Si utilizza il principio fisico
che afferma che durante i passaggi di stato la temperatura si mantiene costante.
23
DIAGRAMMA CCT
4.2 RICOTTURA
Lo scopo della ricottura è ottenere un addolcimento del materiale, per renderlo più lavorabile
all'utensile e per consentire l'ulteriore deformazione plastica a freddo; ottenimento di
determinate proprietà fisiche o meccaniche; eliminazione più o meno completa degli effetti
di tempra.
4.2.1 Ricottura completa
24
Si può illustrare con il seguente diagramma CCT dove:
A: austenite
B : bainite
C : cementite
F : ferrite
M: martensite
Scopi :
Rendere l'acciaio più omogeneo e più dolce per le successive lavorazioni.
Questa ricottura, come risulta dalla definizione, avviene a temperatura molto alta, nel campo
di esistenza dell'austenite.
Naturalmente, con questo trattamento , si sopprimono tutti gli effetti dovuti a trattamenti
termici precedenti e l'acciaio, passando dal campo austenitico a quello perlitico , si rinnova
completamente.
Il tempo di ricottura dipende essenzialmente dai seguenti fattori:
•
•
•
•
La forma e le dimensioni del pezzo;
La conducibilità termica del materiale da trattare
La presenza di eventuali legati
La tendenza all'ingrossamento del grano.
4.2.2 Ricottura di lavorabilità
Riscaldamento a temperatura leggermente al di sotto dell'intervallo critico Ac1 (circa 650°),
un mantenimento prolungato ed un raffreddamento lento.
Scopo:
Rendere l'acciaio più facilmente lavorabile a freddo ed eliminare le eventuali tensioni
interne.
Questo trattamento favorisce una migliore lavorabilità alle macchine utensili, ma piuttosto un
addolcimento tale da favorire una migliore deformabilità a freddo.
4.2.3 Ricottura isotermica
25
Riscaldamento ad una temperatura superiore ad Ac3, per gli acciai ipoeutettoidi,
permanenza a tale temperatura per un tempo sufficiente ad ottenere , nelle zone interessate,
l'equilibrio strutturale. Raffreddamento più o meno rapido, ad una temperatura leggermente
inferiore ad A1, permanenza a questa temperatura per il tempo necessario a realizzare la
completa trasformazione dell'austenite in una struttura relativamente dolce, di ferrite e
carburi, seguita da un ulteriore raffreddamento, a velocità più o meno rapida fino a
temperatura ambiente.
Schema della ricottura:
4.3 NORMALIZZAZIONE
In metallurgia la normalizzazione è un trattamento termico che consiste nel riscaldamento del
materiale ad una temperatura poco superiore a quella di austenizzazione (Ac3 + 50-70°C), nella
permanenza per 15 minuti circa e nel raffreddamento in aria calma.
Tale processo è simile alla ricottura, ma in questo caso il raffreddamento è più rapido.
Generalmente si ottengono strutture simili a quelle di un materiale che ha subito ricottura: la
perlite che si ottiene con la normalizzazione è però costituita da cristalli più minuti ed è più
omogenea (a causa del raffreddamento più veloce). Ne consegue il miglioramento della
resistenza.
Di solito tale processo è eseguito come ultima operazione; può costituire il rimedio a un
surriscaldamento della grana.
Dovrebbe sempre essere effettuata su getti d'acciaio al carbonio e basso legati e su quelli già
sottoposti a ricottura d'omogeneizzazione, per affinare la struttura grossolana.
È utile per annullare qualsiasi trattamento termico o meccanico (ad esempio tempra e
incrudimento).
L'affinazione della grana che ne consegue è un'utile preparazione a successiva tempra e
carbocementazione.
In commercio troviamo in genere gli acciai normalizzati o bonificati.
26
4.4
TEMPRA
La tempra costituisce il trattamento più importante che può essere fatto sugli acciai in
quanto realizza condizioni di durezza e resistenza meccanica elevate ma induce anche
notevole fragilità.
Queste caratteristiche si ottengono con una velocità di raffreddamento superiore a quella
critica (ricavabile dai diagrammi CCT o TTT). In tal caso l’austenite si trasforma in
martensite che è una struttura metastabile composta da una soluzione solida interstiziale
soprassatura di carbonio nel ferro α con reticolo tetragonale..
Da tener presente che gli acciai assumono la durezza di tempra solo se le percentuali di
carbonio sono superiori allo 0.3%. Per eseguire correttamente l’operazione di tempra,
tutto il componente deve essere scaldata uniformemente; questo fattore è particolarmente
importante con pezzi di forma irregolare, altrimenti si possono verificare deformazioni,
tensioni interne e criccature durante o dopo il processo.
4.4.1 Tempra diretta
La tempra si dice diretta quando dopo aver riscaldato l’acciaio sopra A3 se ipoeutettoide
(C< 0.86%) o sopra A1 se ipereutettoide ( C>0.86%) si raffredda con velocità superiore
alla critica non toccando quindi le curve CCT o TTT.
27
4.4.2 Tempra termale
La tempra si dice termale quando utilizzando un
bagno di sali fusi si interrompe il
trattamento ad una temperatura di poco superiore a Ms (220°C) per un tempo sufficiente ad
uniformare le temperature esterne ed interne, dopodichè il raffreddamento viene completato
fino a temperatura ambiente. Lo scopo è evidentemente quello di evitare cricche e distorsioni.
Se la curva di raffreddamento non tocca le curve di Bain (TTT) la struttura che si ottiene è
martensitica, se oltrepassa la prima curva e non la seconda la struttura è mista martensitica e
bainitica
4.4.3 Tempra isotermica
Se la curva di raffreddamento isotermica oltrepassa entrambe le curve di Baini la struttura
che otteniamo è interamente bainitica e in questo caso la tempre si dice isotermica.
La struttura bainitica è un aggregato di ferrite aghiforme e cementite abbastanza fine;
possiede ottime caratteristiche di durezza e tenacità per cui non sono necessari ulteriori
trattamenti termici.
4.4.4 Mezzi di raffreddamento
I mezzi di raffreddamento più usati sono dal più energico al più blando:
•
•
•
•
•
•
•
Acqua salata (5% di NaCl)
Acqua a 20°
Acqua calda
Emulsioni acqua-olio
Olio
Aria soffiata
Aria calma
L’acqua salata è il mezzo di raffreddamento più energico in quanto quando si immerge il
pezzo
caldo in acqua si forma immediatamente una pellicola di vapore intorno al pezzo
28
che rallenta lo scambio termico. I cristalli di sale che vengono a contatto col pezzo rovente
esplodono rompendo la pellicola e portando nuova acqua a contatto del pezzo.
Diagrammi relativi alla tempra scalare martensitica
Diagramma CCT
Diagramma TTT
4.5 RINVENIMENTO e BONIFICA
Il rinvenimento è un trattamento termico che è seguente alla tempra allo scopo di conseguire
strutture più stabili della martensite. Il trattamento di tempra + rinvenimento è detto Bonifica.
Non esiste una determinata temperatura di rinvenimento, ma temperature variabili (sempre
inferiori comunque ad A1) in funzione delle caratteristiche che vogliamo ottenere.
Scopo del rinvenimento
Le strutture ottenute con la tempra sono instabili e comportano nel materiale tensioni interne e
notevole fragilità; per questo motivo i pezzi semplicemente temprati trovano scarso impiego.
Un opportuno riscaldamento toglie le tensioni interne, fissa strutture più stabili, migliora la
tenacità, tutto ciò a scapito di una calo della durezza e resistenza meccanica.
Un riscaldamento a 150°C elimina solo le tensioni interne senza modificare in modo evidente
durezza e resistenza meccanica. Se si vuole aumentare la tenacità occorre riscaldare fino a
300°C ottenendo in genere una struttura troostitica (miscela finissima di ferrite e cementite).
Chi ha molta esperienza riesce a determinare le temperature di rinvenimento dalla colorazione
assunta .
4.5.1 Acciai da bonifica
Gli acciai non legati da bonifica più impiegati vanno da C30 a C60 e sono utilizzati per la
produzione di parti di macchine. Le caratteristiche meccaniche indicative vanno da:
29
C30: Rp = 350 N/mm2 (snervamento) Rm = 650 N/mm2 (rottura) A% = 18 (allungamento)
C40: Rp = 450 N/mm2 (snervamento) Rm = 750 N/mm2 (rottura) A% = 16 (allungamento)
C60: Rp = 580 N/mm2 (snervamento) Rm = 900 N/mm2 (rottura) A% = 11 (allungamento)
Gli acciai speciali legati da bonifica più comuni sono:
28 Mn 6 acciaio al manganese
38 Cr 2 - 41 Cr4 acciaio al cromo
25 Cr Mo 4 - 34 Cr Mo 4 - 50 Cr Mo 4 acciaio al cromo-molibdeno
36 Cr Ni Mo 4 - 30 Cr Ni Mo 8 acciaio al cromo-nichel-molibdeno
34 Ni Cr Mo 16 acciaio al nichel-cromo-molibdeno , autotemprante in aria, con
Rp = 1050 N/mm2 (snervamento) Rm = 1250-1450 N/mm2 (rottura)
Gli acciai speciali da bonifica vengono usati nell’industria metalmeccanica per la costruzione di
organi fortemente sollecitati staticamente e dinamicamente.
4.6 TRATTAMENTI TERMICI SUPERFICIALI
I trattamenti termici superficiali hanno lo scopo di modificare le caratteristiche in superficie
degli acciai conferendo essenzialmente una forte durezza superficiale e lasciando il cuore del
pezzo con le caratteristiche di tenacità originarie.
E’ evidente che con questi trattamenti si realizza una notevole durezza superficiale che
determina una notevole resistenza alla usura.
I trattamenti più significativi sono la tempra superficiale, la carbocementazione e la
nitrurazione. Questi ultimi due vengono anche denominati trattamenti termochimici di diffusione
per il modo con cui si realizzano.
4.6.1 Tempra superficiale
Se si tratta di temprare pochi pezzi si può usare il cannello ossiacetilenico quindi operare un
rapido riscaldamento superficiale seguito da un veloce raffreddamento. Questo metodo un po’
artigianale non consente un controllo efficace delle condizioni per cui è stato sostituito, specie
per le tempre di serie dalla tempra superficiale ad induzione.
Richiami sugli effetti magnetici della corrente:
- se avvolgiamo con una bobina un pezzo cilindrico di acciaio e la facciamo attraversare
da una corrente continua, all’interno della stessa si crea un campo magnetico costante e
il pezzo in esso immerso si magnetizza formando una calamita artificiale.
- se facciamo attraversare la bobina da una corrente alternata con alta frequenza (da 5 a 30
KHz), il campo magnetico non è più costante ma varia continuamente alternando le
polarità con la frequenza. Questo campo magnetico variabile causa sulla superficie del
pezzo (effetto pelle) correnti indotte di notevole intensità che, per effetto Joule, riscaldano
la superficie del pezzo alla temperatura di tempra in pochi secondi. La profondità
interessata è legata alla frequenza, più questa è bassa maggiore è lo strato ma si riduce la
velocità di riscaldamento che è anche funzione della potenza dell’impianto.
30
Nella tempra ad induzione si adotta il principio sopra illustrato per riscaldare velocemente il
pezzo dopodiché si procede ad un immediato raffreddamento che può avvenire anche dentro la
bobina.
Il vantaggio della tempra ad induzione, rispetto alla carbocementazione ed alla nitrurazione è
la velocità di esecuzione che lo rende idoneo nelle lavorazioni di serie.
La bobina deve essere modellata quanto più possibile al pezzo da trattare in modo da ridurre le
perdite e aumentare la velocità di riscaldamento.
Vantaggi della tempra ad induzione:
possibilità di temprare parti esterne ed interne di pezzi complicati
tempra selettiva perché limitata dall’area coperta dalla bobina
alto rendimento: il riscaldamento è localizzato alla parte da temprare
controllo automatico e quindi garanzia della costanza dei risultati
forte velocità di produzione
Gli acciai idonei per la tempra superficiale sono quelli in cui la % di Carbonio è compresa fra
0.3-0.5%.
4.6.2 CARBOCEMENTAZIONE
Il trattamento di c. cementazione si effettua per indurire superficialmente gli acciai che devono
comunque mantenere un’alta tenacità per resistere a sollecitazioni di urto e fatica.
Il trattamento consiste nel riscaldare e mantenere per un tempo sufficiente un acciaio a
temperature
austenizzanti (>A3) in quanto solo nel ferro γ si raggiunge una sufficiente solubilità del
carbonio nel ferro quando questo è posto a contatto con mezzo solido, liquido o gassoso in
grado di rilasciare carbonio.
Gli acciai da carbocementazione richiedono una composizione chimica in grado di facilitare
l’assorbimento di C, quindi acciai con C<0.20% o con presenza di elementi ad es. il
manganese che ne facilitano l’assorbimento.
Con la carbocementazione riusciamo quindi ad arricchire in modo controllato la superficie
dell’acciaio ottenendo durezze superficiali elevate che vengono ancor più esaltate dal
successivo trattamento di tempra. La tenacità originaria del nucleo viene conservata perchè
l’arricchimento di carbonio è solo superficiale e quindi non risente degli effetti di tempra.
La carbocementazione si ottiene mettendo a contatto l’acciaio con sostanze in grado di cedere
carbonio.
La carbocementazione cosiddetta in cassetta con cementi in polvere è oggi del tutto
abbandonata per motivi di costi e di tempi lunghi.
La carbocementazione con cementi liquidi è fatta con bagni di sali fusi (cianuri di sodio e
potassio assieme a cloruri e carbonati). La presenza di cianuri pone però diversi problemi.
La carbocementazione gassosa è oggi la più affermata. Si opera con forni ad atmosfera
controllata usando miscele di gas (metano, monossido di carbonio, vapori di idrocarburi etc.) ,
il processo è controllato con computer e ciò permette costanza di risultati e tempi precisi.
Operando con temperature di 900° occorrono circa 5 ore per ottenere uno spessore indurito di
1mm.
31
4.6.3 NITRURAZIONE
Il trattamento di nitrurazione consiste nel riscaldare e mantenere per un tempo adeguato un
acciaio di opportuna composizione chimica a temperature comprese fra 500-550°C in un
mezzo gassoso contenente ammoniaca (NH3) dalla quale possa essere assorbito l’azoto.
Questo si lega con gli elementi speciali dell’acciaio formando degli azoturi che conferiscono la
durezza superficiale.
La temperatura di processo relativamente bassa evita pericoli di distorsioni termiche e quindi
non sono necessari ulteriori trattamenti anche perché la durezza che si ottiene è di gran lunga
superiore a quella della carbocementazione (fino a 1200 HV contro 700HV).
Le caratteristiche ottenute negli acciai sono quindi alta resistenza all’usura, al grippaggio,
mantenimento della durezza anche a caldo in quanto non necessitando delle tempra
(cementazione) sono insensibili alle temperature di rinvenimento. Un’altra caratteristica delle
superfici nitrurate è la resistenza all’azione degli agenti corrosivi, dell’acqua e dell’aria umida.
Gli acciai da nitrurazione sono più costosi perché speciali, ma anche molto impiegati ad
esempio nei cambi di velocità e nei differenziali delle automobili.
Gli acciai da nitrurazione devono contenere alluminio e/o molibdeno e quindi: 31CrMo 12;
34CrAlMo 7; 31crMoV 10; 18NiCrMo5; etc.
Il trattamento è assai lungo, infatti indicativamente per ottenere uno strato indurito di 0.4mm
occorrono circa 50 ore di permanenza in forno.
Non approfondiamo i trattamenti termici delle ghise un po’ perché l’impiego della ghisa ha
perso negli ultimi anni importanza, ma anche perché i trattamenti sono analoghi a quelli
operati sugli acciai e con gli stessi scopi ovviamente fa eccezione la carbocementazione.
MODULO 5 – Prove distruttive
5.1
PROVE SUI MATERIALI METALLICI
Le prove sui materiali mirano ad accertare le proprietà meccaniche e tecnologiche.
Le proprietà meccaniche costituiscono l’insieme delle risposte che un determinato materiale è
in grado di fornire quando è sottoposto alle sollecitazioni. Queste possono essere statiche se i
carichi applicati sono fissi o variano con lentezza nel tempo e dinamiche quando i carichi sono
variabili con grande rapidità.
Le proprietà tecnologiche determinano l’attitudine del materiale a subire determinate
lavorazioni.
5.1.1 Prove meccaniche
Le prove meccaniche più importanti di cui ci occuperemo sono:
prova di trazione, prova di resilienza, prova di fatica, prova di durezza.
Molte di queste prove sono già state studiate negli anni precedenti per cui le riassumeremo
nelle caratteristiche generali. Oltre a queste prove possono essere effettuate anche prove di
compressione (per esempio sui cubetti di calcestruzzo), prove di taglio, prove di flessione e di
32
torsione ma la prova principale rimane la prova di trazione per tutte le informazioni che ci
fornisce.
La risposta di un materiale quando è sottoposto ad un carico può manifestarsi come
deformazione elastica, se questa sparisce al cessare della sollecitazione esterna, oppure come
deformazione plastica quando rimane anche al cessare del carico, oppure come rottura quando
il carico supera un certa valore.
I materiali in base alle proprietà meccaniche possono dividersi in duttili e fragili. I primi prima
di rompersi si deformano plasticamente, i secondi giungono a rottura con una deformazione
plastica trascurabile.
5.1.1.1 Prova di trazione
Si effettua su provette di dimensioni unificate ricavate dal materiale da testare aumentando il
carico applicato fino a giungere alla rottura della provetta. Il diagramma carichi-deformazioni
che si ottiene può essere di forme diverse. Analizzeremo quello relativo ad un acciaio dolce
perché didatticamente importante per l’individuazione dei punti caratteristici, poi vedremo due
altri diagrammi relativi ad acciai.
.
I punti del diagramma rappresentano:
A - Fp è il carico limite di proporzionalità in cui è applicabile la legge di Hooke σ = Eε
il regime è totalmente elastico
B - Fe è il carico limite di elasticità con un allungamento residuo allo scarico convenzionale
siamo nella zona elasto-plastica, le deformazioni sono ancora piccole
C - Fs è il carico di snervamento in cui iniziano le grandi deformazioni e si entra nella zona
delle
grandi deformazioni permanenti, regime plastico
E - FR è il carico massimo raggiunto nella prova che si assume come carico di rottura
33
Il primo diagramma è tipico di un materiale
che non rivela il punto di inizio snervamento
per cui questo si assume convenzionalmente
come quello che determina una deformazione
plastica residua dello 0.2% .
Il secondo diagramma è tipico di un materiale
frattile.
Attraverso la prova di trazione ricaviamo quindi 3 valori fondamentali per comprendere le
caratteristiche del materiale :
- il carico unitario di snervamento del materiale che determina il limite oltre il quale si hanno
deformazioni rapide e permanenti e quindi rappresenta il carico che non dobbiamo mai
superare
nell’uso del materiale. Si determina facendo il rapporto fra il carico di snervamento e la
sezione
iniziale della provetta
- il carico unitario di rottura o resistenza alla trazione che rappresenta il rapporto fra il carico
massimo raggiunto nella prova di trazione e la sezione iniziale della provetta
- l’allungamento percentuale dopo rottura determinato da:
A(%) =
LF − L0
× 100
L0
dove L0 è la lunghezza iniziale della provetta, LF è la lunghezza della provetta dopo rottura
valutata fra gli stessi punti della provetta ricongiunta.
Questa informazione è molto interessante perchè ci dà informazioni indirette sulla durezza,
sulla tenacità, sulla capacità di sopportare deformazioni a freddo.
34
Provetta cilindrica
a testa semplice
Da un certificato di controllo del materiale S235 di un tubolare rettangolo 100x60x3 rilasciato
dalla ditta Marcegaglia Spa si rilevano i seguenti valori:
Analisi chimica: C 0.105% Si 0.010%
Al=0.032%
Carico di rottura:
377 N/mm2
Carico di snervamento: 268 N/mm2
Allungamento L0=5d : 16%
Mn 0.328%
P =0.012%
S=0.015 %
5.1.1.2 Prova di Resilienza
La prova di trazione non riesce a dare informazioni sui materiali destinati alla costruzione di
organi sottoposti ad azioni dinamiche molti dei quali, pur avendo capacità di sopportare
considerevoli sollecitazioni statiche, presentano basse capacità di resistenza ai carichi
impulsivi e quindi presentano una certa fragilità.
Oltre a questo la prova di resilienza a –20° è diventata importante per gli acciai da
costruzione impiegati alle basse temperature. Una serie di disastri che si verificarono fra gli
anni 1938-45 tra i quali diversi crolli di ponti in Germania (almeno 5) e cedimenti per
fessurazioni sulle navi della serie Liberty e Victory portò alla conclusione che oltre a difetti di
esecuzione, le basse temperature alle quali si verificarono i cedimenti , fra –15° e –20° ,
avevano provocato un aumento di fragilità negli acciai impiegati per la loro costruzione. Da
qui si comprese l’importanza di verificare la differenza di resilienza di un acciaio a 20° e –20°
per comprendere il suo comportamento alle basse temperature.
La prova Charpy di resilienza viene effettuata su una provetta di misure unificate appoggiata
fra due sponde di un maglio a pendolo sulla quale viene lasciata cadere da una certa altezza
una massa che rompendo la provetta risale dalla parte opposta. La differenza delle energie
potenziali della massa determina l’energia assorbita dalla rottura. Ovviamente maggiore sarà
questa differenza il materiale risulterà più tenace, di contro se la mazza dopo la rottura risale
molto, l’energia assorbita per la rottura è minima e il materiale è fragile.
35
La provetta in disegno è la provetta Charpy, usata è anche la provetta Messnager il cui intaglio
è profondo solo 2 mm anziché 5mm. L’intaglio è necessario per indebolire la sezione e quindi
facilitare la rottura esattamente al centro.
Il valore della resilienza è espresso dal rapporto dell’energia assorbita dalla rottura della
provetta relativa alla sezione quindi in J/cm2:
K=
L mg ( H − h)
=
S
S
più elevato risulta questo valore, più il materiale è tenace (più energia assorbita nella rottura);
se il materiale si rompe subito (meno energia assorbita) K è basso e il materiale è fragile.
5.2
PROVE DI DUREZZA
La durezza si può definire come la resistenza che un corpo oppone alla penetrazione da parte
di un altro corpo. Su questo concetto si basava la scala comparativa delle durezze Mosh che
comprendeva 10n sostanze elencate nell’ordine dalla più tenera alla più dura:
1. Talco 2. Gesso 3. Calcite 4. Fluorite
Topazio 9. Corindone 10. Diamante
5. Apatite
6. Ortose
7. Quarzo
8.
Un metallo in esame veniva inserito nella scala fra il campione che scalfiva e quello dal quale
veniva scalfito. Metodo piuttosto impreciso e quindi presto abbandonato a favore di prove
meccaniche.
Le prove di durezza sono assai importanti dal punto di vista meccanico-tecnologico perché non
sono prove distruttive che comunque consentono di risalire indirettamente a caratteristiche
36
quali la resistenza a trazione, la tenacità, l’incrudimento, l’effetto di trattamenti termici in
particolare quelli superficiali, lavorabilità alle macchine utensili.
5.2.1 Prova di durezza Brinell
La prova Brinell viene eseguita su materiali non eccessivamente duri in quanto il penetratore è
una sferetta di acciaio temprato di diametro D = 2.5 – 5 – 10 mm passando dagli spessori
inferiori a 3mm, da 3 a 6 mm e superiori a 6 mm.
Il carico applicato in Newton è funzione del materiale e del diametro del penetratore:
F = 9.8 × k × D 2
Materiale
Materiali ferrosi
Leghe leggere
Bronzi e ottoni
Alluminio
Leghe di stagno
Materiali molto teneri
Coefficiente k
30
10
5
2.5
1.25
0.5
Perché la prova sia valida è necessario che il diametro dell’impronta sia compreso fra i valori:
0.2D ≤ d ≤ 0.5D
HB =
0.102 F
S
dove S è la superficie della impronta in mm2
L’applicazione del carico è graduale in 15 sec, dopodiché si mantiene per altri 15 sec.
Il valore del carico di rottura si valuta approssimativamente Rm = 3.4 HB (N/mm2)
5.2.2 Prova di durezza Vickers
37
La prova Vickers utilizza un penetratore costituito da una piramide di diamante a base
quadrata con angolo al vertice di 136°. Il materiale del penetratore è il più duro fra quelli
conosciuti e quindi questa prova è indicata per i materiali duri e durissimi.
HV =
0.102 × F
S
dove S è la superficie della
impronta.
Il carico applicato è di solito
pari a 294N (corrispondente a
30Kg)
Sia la prova Brinell che la Vickers trovano limitazione nella valutazione della superficie della
impronta che deriva da una lettura di d (HB) e di h (HV).
Per questo motivo si è andato sempre più affermando la prova Rockwell che non richiede il
calcolo delle superfici della impronta.
5.2.3 Prova di durezza Rockwell
Questa prova richiede solo il valore della profondità dell’impronta che viene convertito
direttamente in valore della durezza sul quadrante del durometro senza operare alcun calcolo.
5.2.3.1
Durezza Rockwell B - HRB
Si usa per materiali teneri o non eccessivamente duri. Il penetratore è una sfera di acciaio
temprato di diametro 1/16”.
La prova è condotta in tre fasi:
1. il penetratore è caricato con una forza F1 = 98 N (10Kgf) detto precarico; la sfera
penetra nel pezzo di una profondità a .
2. si aggiunge in 10 secondi il carico di prova F2 = 882 N (90 Kgf) , quindi un cario
complessivo F3 = F1 + F2 = 980N (100Kgf) e il penetratore raggiunge la profondità di b.
3. dopo 20-30 secondi si toglie il carico F2, lasciando il precarico F1; la profondità
dell’impronta ha un ritorno elastico e si colloca ad una profondità a + e. L’indice di
durezza è dato da:
HRB = 130 – 500e
5.2.3.2
Durezza Rockwell C – HRC
Si usa per acciai duri legati e trattati termicamente . Il penetratore è un diamante di forma
conica con angolo al vertice di 120°.
La prova è condotta nello stesso modo dell’ HRB con la differenza che il carico applicato F2 =
1372N (140 Kgf). L’indice di durezza vale:
38
HRC = 100 – 500e
5.3
LA FATICA
Il problema della fatica si è presentato fin dalle prime realizzazioni delle costruzioni in acciaio.
Infatti già da allora era ben noto che elementi strutturali , soggetti a sforzi ciclicamente
variabili nel tempo, si rompevano a carichi notevolmente inferiori alla resistenza statica.
Attualmente l’importanza dei fenomeni di fatica è enormemente accresciuta, tanto che la quasi
totalità delle rotture che si verificano negli organi delle macchine è da ascriversi all’effetto di
fatica.
5.3.1
Cicli di carico
Una tensione variabile ciclicamente fra limiti determinati è caratterizzata:
•
dalla tensione massima σ max
•
dalla tensione minima σ min
•
dal loro rapporto R =
•
•
dall’ampiezza della oscillazione ∆σ rispetto al valore medio
σ max
σ min
dalla tensione media σ media
39
L’importanza del ciclo di carico sta nel fatto che un elemento strutturale si comporta
diversamente a seconda del tipo di ciclo. Infatti si intuisce che a parità di ampiezza ∆σ , un
ciclo di carico risulta progressivamente più gravoso se si sovrappone ad una tensione media
gradualmente crescente e analogamente a parità di σmax è più gravoso un ciclo con una
tensione minima più bassa.
5.3.2 Curve di Wolher
Come detto uno sforzo variabile nel tempo può condurre, dopo una certa successione di cicli
di carico, alla rottura dell’elemento strutturale a cui è applicato.
Sperimentalmente, mantenendo costante il ciclo di carico, si va a rilevare il tempo (o il
numero di cicli) che porta alla rottura. Non ci dilunghiamo sulla prove di fatica che sono
lunghe e costose e tendono comunque a simulare la condizione di carico reale a cui il
campione sarà sottoposto.
Si ottengono in tal modo per ciascun tipo di carico delle curve note col nome di curve di
Wohler, il cui andamento è rappresentato in figura:
40
Per qualificare un acciaio nei confronti della fatica occorre costruire le curve di Wholer per
ogni tipologia di ciclo di carico e quindi prove lunghe e costose.
Per gli acciai si ritiene che 107 costituisca il limite di resistenza alla fatica.
5.3.3 Modalità e cause della rottura
Il cedimento per fatica presenta un aspetto caratteristico della sezione di rottura:
una zona liscia in cui si è manifestata e propagata la lesione per fatica ed una zona di
distacco istantaneo netto e più o meno frastagliato a seconda del materiale.
La lesione per fatica ha innesco preferibilmente in un punto e si estende poi
progressivamente , al crescere dei numero dei cicli di carico fino a che, la riduzione
dell’area resistente, produce tensioni che provocano la rottura istantanea.
La lesione ha origine sulla superficie dell’organo, in corrispondenza di una brusca
variazione di sezione o di un intaglio o di un qualsiasi difetto, dove comunque si realizzano
le tensioni più elevate. Solo nei cuscinetti a rotolamento l’innesco avviene all’interno del
pezzo, in quanto le pressioni Hertziane determinano una tensione ideale massima in
profondità.
Le cause principali della rottura per fatica sono:
• non omogeneità o anisotropia dei cristalli che compongono il materiale
• autotensioni che si sovrappongono allo stato tensionale indotto dai carichi esterni
• inclusioni o altri difetti microscopici
• scarsa finitura superficiale dovuta alla lavorazione
• presenze di intagli
• brusche variazioni di diametro
La frequenza del carico non ha grande influenza sulla resistenza a fatica, mentre è correlata
alle caratteristiche meccaniche del materiale in particolare allo snervamento e alla resistenza
a rottura.
5.3.4
Diagramma di Goodman-Smith
Il diagramma di Goodman-Smith consente di ottenere in un unico diagramma una
rappresentazione delle varie condizioni di carico compatibili con una certa durata. In ascissa
si riportano le tensioni medie σm corrispondenti alle tensioni σmax e σmin del ciclo di carico,
in ordinata i valori di tensione.Una sollecitazione alternata simmetrica avrà σm = 0 e quindi
41
sarà sulla origine degli assi. Di solito di questa sollecitazione si possono ricavare per gli
acciai i valori per un dato numero di cicli e quindi si può costruire il diagramma
approssimato di Goodman-Smith.
Costruzione:
1. si traccia una retta a 45° dall’origine che rappresenta le tensioni medie
2. si rilevano dai manuali per un dato numero di cicli i valori della tensione max e min a
sollecitazione simmetrica alternata dell’acciaio e si riportano sulla origine degli assi dove
si ha la tensione media uguale a 0
3. si riportano sul diagramma la tensione di rottura e snervamento fino ad incontrare la retta
a 45° uscente dall’origine rispettivamente in C e in E
4. si congiunge il valori della tensione alternata max con il punto C, interrompendola in D
sullo snervamento
5. dal punto D con una orizzontale troviamo il punto E sulla retta a 45°
6. si congiunge E col punto F che è allineato sulla verticale con D
7. si congiunge la tensione alternata min con il punto C, arrestandola in F
8. La figura chiusa così individuata rappresenta l’area di sicurezza
Tutti i punti rappresentativi di sollecitazioni alternate o pulsanti che si trovano
all’interno di detta area corrispondono a condizioni di funzionamento che non
provocano rotture entro ilnumero di cicli sulla base del quale il diagramma è stato
costruito.
42
MODULO 6 – Prove distruttive
6.1
ESAMI NON DISTRUTTIVI
Con gli esami non distruttivi ci poniamo l’obiettivo di verificare l’integrità dei pezzi
meccanici, sia al termine del processo produttivo sia nel corso dell’esercizio.
Le possibilità offerte dalle prove non distruttive sono molto importanti per l’individuazione
di difetti non palesi di pezzi ottenuti per fusione , stampaggio, sinterizzazione, saldature
(soffiature, bolle, inclusioni) , difetti superficiali (criccature) non visibili a occhio.
La scelta del metodo di prova va attentamente analizzata in relazione a quello che si vuole
ottenere e anche al costo partendo a volte da analisi semplici per giustificare poi analisi più
complesse e costose.
6.2 Esame radiologico
Permette di vedere all’interno della materia mediante raggi x o raggi γ emessi da una
sorgente
e assorbiti più o meno nell’attraversamento del pezzo in esame.
6.2.1
Raggi x
I raggi x sono radiazioni elettromagnetiche, ossia energia che si trasmette nello spazio sotto
forma di onde. Anche i raggi infrarossi, la luce del sole, i raggi ultravioletti, le onde radio e
tv, i raggi γ, sono radiazioni elettromagnetiche che si propagano alla velocità della luce
(c=300.000.000 m/s) e differiscono solo per la frequenza e la lunghezza d’onda.
All’aumentare della frequenza (f) diminuisce la lunghezza d’onda λ e la radiazione ha una
maggiore energia di penetrazione.
c
λ=
f
Le frequenze dei raggi x variano da 3x1012 MHz (λ=0.1nm) a 1014 MHz (λ =0.0001nm)
Il nm (manometro) = 10-9m
I raggi x si propagano in linea retta e dopo aver attraversato il corpo, venendo più o meno
assorbiti da questo, vanno a colpire una lastra sensibile impressionandola. I raggi x sono
classificati:
• Raggi molli 0.01nm <λ < 0.1nm bassa penetrazione per piccoli spessori e leghe
leggere
• Raggi duri 0.001nm <λ < 0.01nm buona penetrazione fino a 150mm nell’acciaio
• Raggi durissimi 0.0001nm <λ < 0.001nm ottima penetrazione fino a 300 mm
nell’acciaio
I raggi X detti anche raggi Roetgen dal fisico tedesco che li scopri casualmente nel 1895,
sono oggi prodotti mediante un apparecchio che prende il nome di tubo di Coolidge.
All’interno del tubo è fatto il vuoto assai spinto e vi sono due poli il catodo (-) e l’anodo (+);
fra questi vi è una differenza di potenziale alta ma regolabile a seconda degli spessori da
attraversare. Un secondo circuito a bassa tensione termina con un filamento in tungsteno (si
riscalda fino a 2000-2500°C) che emette elettroni che, avendo carica negativa sono respinti
dal catodo (-) e attratti dall’anodo (+). Essendovi fra catodo e anodo un forte campo elettrico
43
generato dall’alta tensione gli elettroni vengono accelerati fortemente e colpiscono l’anodo
in tungsteno facendo emettere ulteriori elettroni dalle orbite di questo materiale che ne ha
molti e generando i raggi x quando questi rientrano nelle orbite.
L’anodo è inclinato a 45° per deviare e focalizzare i raggi x sul pezzo da esaminare,
dopodiché i raggi attraversato il pezzo colpiscono la lastra e la impressionano rilevando il
difetto.
Solo 1% dell’energia degli elettroni si trasforma in raggi x, il 99% viene dissipato in calore
sull’anodo per cui è necessario un raffreddamento ad olio.
6.2.2 Raggi γ
Sono analoghi ai raggi x, ma invece di essere prodotti artificialmente sono emessi da
sostanze radioattive (radio-isotopi) presenti in natura o attivati artificialmente entro i reattori
nucleari.
Avendo lunghezza d’onda inferiore ai raggi x sono capaci di penetrare spessori profondi. I
radio-isotopi sono facili da trasportare perché poco ingombranti e non necessitano di energia
elettrica. Sono contenuti in recipienti di piombo nei quali l’apertura di una piccola fessura a
scorrimento ne permette la fuoriuscita.
Come i raggi x sono pericolosi, i raggi γ lo sono anche di più, non solo perché più
penetranti, ma anche perché mentre i raggi x vengono emessi solo nel momento in cui viene
attivata tensione (quindi per brevi istanti), la radioattività dei raggi γ è permanente da qui la
necessità del contenitore in piombo.
I radio-isotopi più usati sono il cobalto e l’iridio il cui tempo di dimezzamento della attività
di emissione dei raggi è rispettivamente di 5 anni e di 75 giorni.
6.3 Ultrasuoni
Gli ultrasuoni sono onde elastiche (vibrazioni) con frequenze comprese fra 500 KHz e
20000 KHz ; ricordiamo che il campo dell’udibile arriva a 16-20 KHz.
L’esame ultrasonico è impiegato principalmente per rilevare difetti interni, ma anche per il
controllo delle saldature e la rilevazione dello spessore dei pezzi. Un difetto è rilevabile
44
quando l’onda ultrasonica che lo investe viene in parte riflessa. Come per i raggi x la
lunghezza d’onda è inversamente proporzionale alla frequenza
v
λ=
f
v in questo caso rappresenta però la velocità del suono. Più alta è la frequenza, più bassa
risulta la lunghezza d’onda e maggiore è la sensibilità di controllo con possibilità di rilevare
difetti fino a dimensioni di λ/4.
Per generare gli ultrasuoni si sfruttano le proprietà piezoelettriche dei cristalli di quarzo,
tormalina, sale di Rochelle, placchette ceramiche di titaniato di bario etc.. Questi cristalli,
tagliati in lamelle secondo particolari direzioni cristallografiche, diventano sedi di cariche
elettriche di segno contrario qualora si applichino su dette facce azioni alternate di
compressione e trazione.
Invertendo il fenomeno, cioè applicando sulle facce del cristallo degli impulsi elettrici, la
lamella si dilata e si contrae ed entra in risonanza generando vibrazioni meccaniche
ultrasonore.
Gli spessori delle lamelle ci permettono di avere una gamma di frequenze fra cui scegliere
per le varie prove.
Le lamelle sono contenute in un trasduttore che ha il compito di trasformare gli impulsi
elettrici che riceve dal generatore in vibrazioni meccaniche di frequenza ultrasonora.
A seconda della forma, delle dimensioni e della inclinazione del trasduttore si generano:
•
•
•
onde longitudinali quando la direzione delle vibrazioni è parallela alla direzione di
propagazione A-B (perpendicolare alla sorgente emittente C-D) fig. 1
onde trasversali quando la direzione delle vibrazioni è perpendicolare alla direzione
di propagazione A-B; angolo incidenza trasduttore piccolo. Fig.2
onde superficiali quando la direzione è perpendicolare alla superficie del pezzo A-B,
in questo caso è scandagliata la superficie del pezzo per una profondità della
lunghezza d’onda; angolo incidenza trasduttore grande. Fig.3
45
Per garantire una buona trasmissibilità dell’onda, il contatto fra il trasduttore e la
superficie del pezzo è facilitato dalla glicerina.
L’esame può avvenire a riflessione o per trasparenza; nel primo caso il trasduttore è
unico trasmette vibrazioni, ferma la trasmissione e riceve; nel secondo caso vi sono due
trasduttori uno emettente ed uno ricevente. Il risultato della scansione è visualizzato su
uno oscilloscopio.
Esempi di scansioni:
46
Il metodo di indagine con ultrasuoni è veloce, pratico e non ha costi elevati; è in grado di
rilevare difetti anche in punti non raggiungibili con altre tipologie di analisi, richiede
però personale esperto per interpretare il tipo di difetto e la sua gravità in quanto non ci
fornisce una immagine diretta. Quindi nel caso si voglia meglio analizzare il difetto
trovato si ricorre ad una radiografia.
6.4
Esame con il metodo magnetoscopico
Questo esame consente di rilevare discontinuità superficiali o subsuperficiali di ogni tipo
ma in materiali esclusivamente ferromagnetici.
Il principio si basa sulla magnetizzazione della superficie e successivo esame della
superficie dopo che questa è stata cosparsa di minute particelle metalliche a secco o in
sospensione. Quando nel pezzo si verifica una discontinuità il flusso magnetico si
disperde all’esterno e le particelle metalliche si accumulano o si dispongono rivelando la
presenza di un difetto.
I principali vantaggi di questo metodo sono la sesibilità, la rapidità e il basso costo. Gli
svantaggi riguardano la limitazione ai soli materiali ferromagnetici e la rilevazione di
difetti superficiali o subsuperficiali (4-5mm di profondità) senza peraltro avere la
documentazione diretta della prova. Il metodo si presta quindi a rilevazione di cricche,
fessure.
A - discontinuità non rilevabile
B - discontinuità subsuperficiale rilevabile
C – discontinuità superficiale rilevabile
D - deviazioni linee di campo magnetico
E – linee di flusso del campo magnetico
I pezzi possono essere magnetizzati :
• con un campo magnetico generato esternamente al pezzo ad esempio con un
solenoide
• con una corrente elettrica fatta fluire attraverso il pezzo stesso
47
La corrente più usata è la corrente continua o raddrizzata, le polveri sono costituite da
pagliuzze ferrose o di ossido di ferro. Il pezzo da analizzare deve essere smagnetizzato
sia prima che dopo l’esame.
6.5 Metodo con liquidi penetranti
Il metodo è semplice, pratico ed economico e si basa sul principio della capillarità del
liquido atto a penetrare eventuali difetti affioranti sulla superficie del pezzo che può
essere ferroso e non ferroso, magnetico o non magnetico.
La capillarità è il fenomeno per cui le molecole di un liquido che bagna le pareti sono
attratte dalle molecole di queste più che fra di loro. Ne consegue che un liquido è capace
di penetrare per capillarità un difetto superficiale anche se molto sottile.
Le superfici da controllare non devono risultare rugose ma rifinite abbastanza bene.
Si adottano due metodi:
• con liquidi penetranti a contrasto di colore
• con liquidi penetranti fluorescenti
Il concetto comunque è analogo:
1. si deve innanzitutto pulire accuratamente la superficie da analizzare con
solventi
2. si cosparge la superficie a pennello o con spugna del liquido penetrante rosso
3. si la va poi la superficie del pezzo e si asciuga con stracci
4. si cosparge la superficie con il liquido rivelatore bianco, in pochi minuti questo
si
asciuga e, se il pezzo aveva difetti, questi compariranno sul fondo bianco con
delle
rigature rosse in corrispondenza di crepature, oppure con punti rossi in
corrispondenza di soffiature
5. dopodiché il pezzo può essere ripulito.
Nel secondo caso il liquido penetrante è fluorescente e , dopo il lavaggio e asciugatura,
si usano polveri assorbenti che richiamano il liquido sulla superficie e utilizzando raggi
ultravioletti il difetto superficiale è evidenziato.
48
MODULO 7 – Complementi di saldatura
7.1 Generalità sulle saldature
La saldatura è un processo mediante il quale due pezzi metallici costituenti il metallo
base vengono uniti permanentemente (con o senza metallo d’apporto ) mediante fusione
graduale del giunto. Se c’è il metallo d’apporto questo va a formare il cordone di
saldatura.
Le saldature si dicono autogene quando i giunti da unire sono dello stesso materiale e
l’eventuale metallo d’apporto è anch’esso conforme ai giunti.
Le saldature si dicono eterogene quando il materiale dei pezzi da unire è diverso e così
pure il metallod’apporto.
7.2 Saldatura per fusione ossiacetilenica
E’ il procedimento più vecchio come concetto ed è anche quello che oggi viene sempre
meno usato. Il calore per la fusione della bacchetta costituente il metallo d’apporto è
ottenuto dalla combustione del gas acetilene C2H2 (combustibile) con l’ossigeno
(comburente). I due gas provengono da due bombole all’interno delle quali sono in
pressione; ognuna di queste bombole è dotata di un manometro e di un riduttore di
pressione; i due gas, opportunamente ridotti di pressione, vengono miscelati in un
cannello anch’esso fornito di pomelli per regolare finemente la pressione di uscita. La
combustione avviene appena all’esterno e la temperatura sul dardo, a circa 1-2 mm
dall’uscita, raggiunge i 3000°C.
E’ bene che la combustione avvenga in leggero difetto di ossigeno ciò fa sì che il
completamento della combustione avvenga a spese dell’ossigeno contenuto nell’aria
intorno alla fiamma e quindi viene evitato il pericolo dell’ossidazione.
49
7.3 Saldatura all’arco elettrico con elettrodo fusibile
La postazione tipo è costituita da una saldatrice che è una macchina che genera la
corrente necessaria al processo ( può essere in corrente continua o alternata). Dalla
macchina escono due cavi, uno di questi rappresenta la massa e viene collegato con una
pinza al pezzo o al tavolo di lavoro, l’altro termina con una pinza che sostiene l’elettrodo.
Consideriamo il circuito di figura in cui G è il generatore, E è l’elettrodo e P il pezzo da
saldare:
Fintanto che l’elettrodo non è a contatto del pezzo non vi è alcun passaggio di corrente a
causa dell’elevata resistenza elettrica dell’aria fig.1 e il circuito si presenta aperto.
Ponendo a contatto l’elettrodo con il pezzo si ha il passaggio di una corrente molto
intensa
(corrente di corto circuito); in corrispondenza all’estremità dell’elettrodo si ha un forte
riscaldamento per la maggiore resistenza dovuta al contatto imperfetto. Questo forte
riscaldamento dà origine ad una emissione di elettroni; le molecole dell’aria urtate dagli
elettroni si ionizzano e l’aria circostante alla zona di contatto diviene conduttrice fig.2.
Se adesso allontaniamo di qualche mm l’elettrodo dal pezzo si forma un flusso di
elettroni che passando dall’elettrodo al pezzo attraverso l’aria conduttrice, sviluppano
calore e formano l’arco fig3. Tutto il fenomeno descritto dura pochissimi secondi.
La temperatura sviluppata d’arco è circa 3000°C e porta a fusione sia il materiale
dell’elettrodo che il giunto da saldare formando il cordone di saldatura.
Gli elettrodi sono costituiti da un’anima metallica rivestita nella parte che fuoriesce dalla
pinza. L‘anima deve possedere buone proprietà meccaniche di resistenza a trazione, di
allungamento %, di resilienza per far sì che il cordone di saldatura possieda proprietà
meccaniche non inferiori a quelle del metallo base.
Il rivestimento che può essere di varie tipologie, deve comunque assolvere alle funzioni:
-
favorire il mantenimento dell’arco in direzione del bagno
facilitare l’innesco dell’arco favorendo la ionizzazione dell’aria
dal luogo alla formazione di gas che proteggano le gocce fuse dalla ossidazione
formare una scoria galleggiante sul bagno di fusione con funzione di
desolforazione e defosforazione
ottenere cordoni di bell’aspetto
50
Ricordiamo brevemente che i lembi da saldare, se lo spessore lo richiede, devono essere
preparati secondo forme che si trovano sui manuali quindi a U, V, X, Y etc. al fine di
facilitare il deposito e la penetrazione del cordone di saldatura.
7.4 Saldatura all’arco elettrico con elettrodo fusibile continuo in atmosfera
protettiva MIG – Metal Inert Gas
Questa tecnologia è caratterizzata dalla fusione di un metallo d’apporto, sotto forma di
filo continuo, entro una atmosfera protettiva dovuta a un flusso di gas inerte. Materiale
d’apporto e gas sono condotti da una torcia, che fornisce direttamente al filo l’energia
elettrica, mentre l’arco che scocca tra l’estremità del filo e il pezzo da saldare permette
il raggiungimento della temperatura di fusione.
Un opportuno dispositivo provvede a far avanzare il filo in relazione al suo consumo con
velocità costante e quindi il processo si presta ad essere automatizzato ed utilizzato sui
robot di saldatura.
Il gas protettivo è l’ Argon un gas inerte che non reagisce con alcun elemento appartiene
infatti ai cosiddetti gas “nobili”.
Il sistema MIG viene considerato il miglior procedimento attuale di saldatura , in quanto
fornisce buona qualità delle saldature con costi non eccessivi e buone velocità di
esecuzione.
7.5 Saldatura all’arco elettrico con elettrodo fusibile continuo in atmosfera attiva
MAG – Metal Active Gas
Questa tecnologia è del tutto analoga alla precedente, differisce solo per la sostituzione
del gas Argon, abbastanza costoso con l’anidride carbonica CO2 assai più a buon
mercato. Questo gas però non è inerte ma, alle alte temperature, partecipa al processo
innescando una serie di reazioni chimiche con formazione di CO, O2. Questi si
combinano nella zona dell’arco con gli elementi costituenti il metallo d’apporto
producendo ossidi e modificando la % del carbonio del materiale depositato. Per
neutralizzare questo effetto ossidante il filo contiene Manganese (1.4%) e Silicio (1%).
La tecnica risulta meno costosa ma i giunti ottenuti sono di qualità inferiore, quindi viene
usata per saldature poco sollecitate.
7.6 Saldatura all’arco elettrico con elettrodo infusibile in atmosfera protettiva
TIG –Tungsten Inert Gas
Questa tecnologia utilizza un elettrodo di tungsteno infusibile in atmosfera protettiva di
gas inerte. L’arco elettrico scocca fra l’elettrodo di tungsteno e i pezzi da giuntare
preventivamente preparati. Il gas inerte Argon fluisce con continuità lungo l’elettrodo e,
ricoprendo il bagno di fusione, lo protegge dall’ossidazione dell’aria. Il materiale
d’apporto è fornito da una bacchetta di composizione opportuna in base al metallo da
saldare. La torcia è raffreddata con un flusso d’acqua fatta circolare con una pompa che
fa parte dell’attrezzatura. A prescindere che si può saldare qualsiasi materiale, questo
processo è particolarmente indicato per la saldatura delle leghe leggere di alluminio e per
la saldatura degli acciai inossidabili.
51
La saldatura in gas inerte risulta priva di ossidazioni, scorie e di porosità; i cordoni sono
caratterizzati da una buona estetica e da una perfetta penetrazione. I giunti saldati
presentano eccellenti qualità metallurgiche in quanto le caratteristiche fisico-chimiche del
giunto saldato subiscono minori alterazioni che negli altri tipi di saldatura e quindi si
hanno anche minori distorsioni.
7.7 Saldatura autogena per pressione
Questa tecnica di unione è assai impiegata nell’industria per la semplicità e rapidità di
esecuzione, per l’eliminazione del materiale d’apporto e dei protettivi (gas o polveri), per
la buona estetica della saldatura, per la sua economicità; tutto ciò rende il procedimento
interessante per l’unione di pezzi in particolare lamiere ove non siano richieste elevate
caratteristiche di resistenza meccanica.
Il metodo utilizza la legge di Joule:
Q = R I2 t
- Q è la quantità di calore sviluppata
- R è la resistenza elettrica
- I è l’intensità di corrente
- t è il tempo di passaggio della corrente
dove:
Il metodo di testa prevede l’unione sulle superfici frontali accostate ove, per il contatto
imperfetto, si ha un’alta resistenza elettrica e quindi sviluppo di calore che porta i lembi
allo stato pastoso e quindi esercitando una pressione si realizza il giunto saldato.
Più interessante e più utilizzato è il metodo a punti utilizzato per unire lamiere di
piccolo spessore. In questo caso le quattro fasi di saldatura che avvengono in pochi
secondi sono:
- applicazione della pressione sui lembi (forza da 1 a 10 kN)
- passaggio di corrente fra i lembi (I=5-20kA per 1 sec)
- interruzione della corrente
- rilascio della pressione
52
Gli elettrodi sono in rame elettrolitico in genere raffreddati ad acqua per contenere il loro
riscaldamento; gli elettrodi hanno la parte terminale tronco-conica per concentrare la
pressione e il riscaldamento in una zona limitata.
Nella saldatura a rulli il concetto è identico a quello della saldatura a punti con la differenza
che i punti di saldatura sono ottenuti dalla rotazione continua di due elettrodi a disco, il
superiore di trascinamento, l’inferiore folle, i quali serrano e trascinano le lamiere
sovrapposte da saldare. L’intervallo di tempo delle pulsazioni della corrente è ottenuto con
dispositivi più o meno sofisticati, ma comunque essendo possibile regolare questo intervallo
si possono ottenere punti di saldatura a passo costante a volte talmente vicini da realizzare
una saldatura continua. Questa saldatura è particolarmente indicata per le lavorazioni di
serie.
7.8 Saldatura eterogena - Brasatura
E’ un procedimento di saldatura che permette di unire due particolari metallici mediante un
materiale d’apporto allo stato liquido, avente una temperatura di fusione sensibilmente più
bassa dei metalli da saldare per cui bagna solamente le parti da unire che quindi non
partecipano per fusione alla realizzazione del giunto.
La brasatura può classificarsi in:
- brasatura dolce: quando il materiale d’apporto ha una temperatura di fusione inferiore
a 450°. Si usano leghe piombo (Pb 65%) con stagno (Sn 35%) con temperatura di
fusione intorno a 220°C; leghe piombo-stagno- antimonio per saldare metalli contenenti
alluminio o zinco; leghe stagno-antimonio per saldature di scatolame alimentare (no
piombo).
- brasatura forte: quando il materiale d’apporto fonde a temperature superiori a 450°C
pur risultando comunque inferiore alle temperature di fusione dei giunti. Si usano leghe
rame-argento, leghe rame-zinco. La sorgente di calore può essere il cannello
ossiacetilenico, o il forno a induzione o resistenza. Tipica era la saldatura delle
placchette di widia sullo stelo d’acciaio.
- saldobrasatura: quando i pezzi da unire vengono preparati con gli smussi ; questi
vengono scaldati senza raggiungere la temperatura di fusione dopodiché vi si fonde il
metallo d’apporto che forma una lega intermedia fra il metallo d’apporto fuso
e il metallo base riscaldato.
7.9 Saldabilità
53
Si definisce saldabilità la caratteristica di un materiale di essere unito in modo permanente ad
un altro materiale.
Gli acciai sono, in misura più o meno buona, saldabili. I migliori sono quelli da costruzione
detti anche da carpenteria, nei quali la saldabilità è ottima grazie a due caratteristiche
peculiari: la percentuale di carbonio assai bassa, non superiore a 0.15% , la presenza di
fosforo e zolfo inferiore a 0.05%. Al crescere della percentuale di carbonio si incontrano
difficoltà in particolare sopra lo 0,3% di carbonio in quanto la temprabilità del materiale,
aumenta la fragilità delle zone limitrofe al giunto saldato. Negli acciai legati specie con
elementi che favoriscono la temprabilità le difficoltà aumentano. D’altra parte non è molto
frequente la saldatura di questi acciai con l’eccezione degli acciai inossidabili che oggi
vengono sempre più impiegati nella carpenteria di macchinari; si pensi alle strutture portanti
delle macchine per fabbricare la carta. In questi casi usando elettrodi opportuni e il
procedimento di saldatura TIG si risolve il problema.
La ghisa è in genere scarsamente saldabile, salvo alcune ghise particolari, per cui raramente
viene usata se non in caso di riparazioni.
Il rame viene in genere saldato con brasatura forte.
L’alluminio e le sue leghe hanno sempre manifestato problemi nella saldatura per la
formazione dell’ossido Al2O3 quindi il metodo migliore è il procedimento TIG in gas inerte
che evita la formazione dell’ossido.
Modulo 8 - I materiali semilavorati
8.1 Generalità e classificazione
Nell’iniziare lo studio di fabbricazione di un elemento uno dei primi quesiti che dobbiamo
porci è a quale stato di fornitura commerciale del materiale è più opportuno ricorrere.
Questo stato viene comunemente individuato come il semilavorato ed è opportuno avere
una panoramica di quanto è reperibile commercialmente.
Partiamo da una semplice classificazione in:
• semilavorati indefiniti quando la forma iniziale non permette assolutamente di
comprendere la forma finale dell’elemento
• semilavorati definiti quando la forma grezza individua anche se con approssimazione più
o meno marcata la geometria finale del pezzo
Nello schema sotto riportato abbiamo riassunto i semilavorati più usuali
54
I semilavorati indefiniti sono ottenuti per deformazione plastica sfruttando le proprietà di
malleabilità (capacità di lasciarsi deformare in fogli) e duttilità (capacità di lasciarsi ridurre
in fili).
Come è noto la deformabilità di un materiale metallico cresce con la temperatura per cui
molte lavorazioni plastiche vengono effettuate dopo riscaldamento che non deve in genere
superare i 2/3 della temperatura di fusione. Vi sono comunque lavorazioni plastiche eseguite
anche a freddo.
La deformazione plastica a caldo degli acciai si esegue a temperature intorno a 1000-1100°,
con queste temperature è possibile effettuare spostamenti di materiale più elevati, d’altra
parte l’alta temperatura permette una continua ricristallizzazione (riassetto della struttura)
del materiale deformato per cui non si verificano fenomeni di incrudimento. Tutto ciò
contribuisce a mantenere proprietà meccaniche costanti dopo la lavorazione. C’è da tener
conto del ritiro del materiale nella fase di raffreddamento per cui le dimensioni finali sono
leggermente inferiori. La precisione dimensionale sia la rugosità superficiale non possono
essere elevate.
Nelle deformazioni a freddo si nota invece,per effetto delle distorsioni permanenti del
reticolo cristallino sulla superficie, il fenomeno dell’incrudimento che aumenta la durezza e
la resistenza ad ulteriori deformazioni. D’altra parte con la lavorazione a freddo si ottengono
precisioni dimensionali più elevate e migliori rugosità.
Senza entrare nei dettagli diamo adesso una indicazione dei principali processi tecnologici di
lavorazione dei semilavorati:
8.2 La laminazione e prodotti di laminazione
E’ il processo più importante dal quale passano quasi tutte le altre lavorazioni. Si svolge in
genere a caldo e consiste nel deformare il grezzo di fusione (lingotto) facendolo passare fra
due cilindri che ruotano in senso contrario per l’attrito sviluppato col materiale.
I moderni laminatoi sono movimentati con motori a corrente continua per poter variare con
gradualità il numero dei giri.
55
La riduzione dello spessore R = H – h si traduce in allungamento e se non impedito anche in
un allargamento mantenendo comunque costante il volume.
Per arrivare alla forma finita occorrono più passaggi e quindi occorrono più coppie di cilindri
ciascuna comandata da un motore in corrente continua. Le coppie di cilindri sono montate in
una incastellatura che prende il nome di gabbia. Diverse gabbie in sequenza costituiscono
l’impianto che prende il nome di treno di laminazione.
Ad esempio se vogliamo ottenere un piatto 50x10 partendo da una billetta 120x120 lunga 6
metri, il nastro che otteniamo, essendo il volume costante, avrà lunghezza:
0.050 x 0.012 x L = 0.120 x 0.120 x 6
da cui
L = 144 mt
Essendo le barre poste in commercio lunghe 6m occorrerà fare 23 tagli. Questi devono essere
fatti con taglierine speciali che si muovono con la stessa velocità della barra per il tempo
necessario al taglio. Il materiale caldo viene quindi lasciato raffreddare fino a temperatura di
poco superiore alla temperatura ambiente.
Lavorando con cilindri lisci si ottengono le lamiere e i nastri; se gli spessori sono piccoli a
questa lavorazione segue il decapaggio che è una pulitura chimica per eliminare il grasso e
gli ossidi superficiali, dopodiché si fa una laminazione a freddo che consente di ottenere
tolleranze più ristrette sugli spessori e una migliore finitura superficiale. Il mercato richiede
anche prodotti piani rivestiti per immersione a caldo in bagno metallico fuso di zinco, di
alluminio, di alluminio-zinco ma anche lamiere cosiddette preverniciate in genere dopo
zincatura.
Altri prodotti di laminazione sono le vergelle in genere avvolte in matasse il cui diametro
non deve essere inferiore a 5 mm, che hanno sezione oltre che tonda, quadrata, esagonale
etc. destinate comunque a subire un ulteriore lavorazione.
Prodotti in barre laminate diritte, di diametro comunque maggiore di 8mm, di sezione anche
quadrata, esagonale ( chiave > 13mm)etc.
Profilati commerciali aventi sezione a I (IPE) , H (HEA,HEB,HEM), U ma anche L, T, Z,
etc.
Profilati in barre formati a freddo partendo da laminati a caldo viene modificato
leggermente lo spessore (ad esempio con la trafilatura)
56
Tubi: con questo nome si intendono i prodotti cavi in barre la cui sezione non è
necessariamente tonda, vengono denominati anche tubolari quando la sezione è di forma
diversa dalla tonda. Possono essere di piccolo o grande spessori, ottenuti dal pieno oppure
saldati.
8.3 Fabbricazione dei tubi
I tubi si distinguono in due categorie: tubi saldati e tubi non saldati.
8.3.1 Tubi saldati
Per la produzione dei tubi saldati si parte da un prodotto piano ottenuto per laminazione a
caldo o a freddo, avente lo sviluppo pari alla circonferenza del tubo da ottenere.
Il nastro piano viene passato attraverso un treno di laminazione che con vari passaggi lo
deforma gradualmente fino ad ottenere la forma chiusa circolare. A questo punto si procede
alla saldatura in continuo: a caldo con pressione dei lembi, elettrica per induzione, ad arco
sommerso per tubi di grosso diametro .
8.3.2 Tubi senza saldatura
Partendo da un prodotto pieno di forma circolare, si procede mediante un laminatoio a
creare una zona centrale forata, ottenendo lo sbozzato, successivamente con un processo di
laminazione successivo si realizza il tubo delle dimensioni esterne e interne volute.
Laminatoio Mannesmann a cilindri obliqui per ottenere lo sbozzato forato.
I cilindri del laminatoio Mannesmann hanno una forma particolare in cui si distinguono la
parte conica iniziale in cui avviene la presa del pezzo cilindrico da formare, segue la zona di
massima strizione del diametro, dopodiché si ha una allargatura conica nella quale agisce la
spina che facilita la formazione del foro, già iniziata per l’effetto dello strappo che si è
generato nella zona centrale del pezzo a causa delle eguali rotazioni dei due cilindri; segue
infine una zona di calibratura.
57
I due cilindri del laminatoio hanno gli assi sghembi con inclinazione di 5-8° e il pezzo li
attraversa nella direzione dei loro assi, spinto e trascinato fra di essi dalla uguale rotazione
dei due cilindri. L’effetto di rotazione associato alla compressione e allo scorrimento
provoca nella zona centrale una lacerazione che viene regolarizzata dall’azione della spina
centrale.
Laminatoio a passo di pellegrino o semplicemente “pellegrino”
E’ costituito da due cilindri paralleli orizzontali controrotanti aventi gole semicircolari a
sezione gradualmente variabile che ruotano in modo da opporsi all’avanzamento dello
sbozzato; l’opposizione si esplica quando le gole si allargano lasciando avanzare lo sbozzato;
quando la luce fra i cilindri tende a restringersi le gole fanno presa sullo sbozzato e
spingendolo all’indietro lo sottopongono a laminazione, allungandolo e stirandolo al
diametro voluto.
Il profilo dei cilindri, come si vede dalla figura, è quindi costituita da una parte attiva ed una
passiva.
58
Il forato sbozzato è riscaldato a circa 1300°; viene montato su una spina di calibratura
interna e tramite un sistema oleodinamico di avanzamento, sincronizzato con la rotazione dei
cilindri, viene spinto in modo che la traslazione termini in corrispondenza della zona “A”
del cilindro.
A questo punto seguono la compressione sulla spina e la stiratura (zona “B” dei cilindri) e la
calibratura dei diametri (zona “C” dei cilindri). Nella prima parte della fase passiva lo
sbozzato e la spina vengono risospinti verso destra da un dispositivo idraulico o meccanico
di una quantità doppia dell’avanzamento verso sinistra da cui il nome “passo di pellegrino”.
8.4 La fabbricazione dei fili per trafilatura
La trafilatura è un processo attraverso il quale si ottiene la riduzione della sezione e
l’allungamento a freddo di un filo, obbligato a passare attraverso una matrice a forma troncoconica sotto l’azione di una forza di trazione. I prodotti sono caratterizzati da una bassa
rugosità superficiale, una buona precisione dimensionale e un forte incrudimento
superficiale.
La lavorazione prende inizio da una vergella di sezione tonda (diametro inferiore a 5mm)
ricotta e decappata (il decapaggio è una pulitura chimica per togliere gli ossidi superficiali e
la “calamina” scaglie di laminazione), la cui sezione viene ridotta con successivi passaggi
attraverso la filiera. Il numero delle filiere dipende dal rapporto di trafilatura ( diametro
iniziale/ diametro finale). La filiera è caratterizzata dal profilo del foro e dal materiale.
Il profilo del foro presenta quattro zone: il cono d’entrata, il cono di lavoro, la zona di
calibrazione e il cono d’uscita.
Il materiale delle filiere dipende dal materiale da trafilare ma comunque deve possedere
durezza, resistenza all’usura, resistenza a caldo e all’abrasione. Tra i materiali più impiegati
59
l’acciaio temprato ( es. X200Cr12), il carburo di tungsteno sinterizzato, i materiali ceramici
e il diamante.
Oltre ai fili si possono trafilare i tubi. L’operazione consiste nella riduzione (normalmente a
freddo) della sezione del tubo laminato. Il sistema tradizionale consiste nella trafilatura in
una filiera nel cui foro cilindrico è collocato un mandrino che definisce il diametro interno di
un tubo.
MODULO 9 - Lavorazioni plastiche a caldo dei semilavorati
9.1 Forgiatura
Con questo procedimento che prende anche il nome di forgiatura, si comprendono le
lavorazioni plastiche mediante le quali, partendo da un massello di forma indefinita e volume
prossimo a quello del prodotto a termine lavorazione, si ottengono semilavorati definiti.
I metalli e le loro leghe prima della fusione hanno uno stato pastoso compreso in un
intervallo di temperatura piuttosto ampio nel quale possono subire massima deformabilità
con notevoli spostamenti di materia senza subire rotture o provocare difetti.
La temperatura ideale di stampaggio è circa 2/3 della temperatura di fusione.
I pezzi semilavorati ottenuti con la forgiatura presentano alcuni vantaggi come risparmio di
materiale rispetto agli indefiniti; risparmio di lavorazioni con asportazione di truciolo; inoltre
hanno migliori caratteristiche meccaniche in quanto le fibre del materiale vengono stirate, si
spostano, si deformano, ma non vengono mai tagliate e quindi i pezzi così ottenuti
sopportano maggiori sollecitazioni meccaniche.
9.1.1 Forgiatura libera o in stampo aperto
60
E’ il tipo più antico di deformazione a caldo, ancora impiegato, in particolare per lotti non
molto ampi di pezzi. La forgiatura libera è essenzialmente una lavorazione manuale, quindi è
l’abilità dell’operatore che movimentando il pezzo sotto i colpi di una mazza riesce a dare la
forma voluta al pezzo; se questo è pesante vi sono attrezzature detti “manipolatori” che
permettono, con comando dell’operatore di spostare il pezzo.
La forgiatura libera viene effettuata in genere con una macchina denominata “maglio” che è
costituita da una incudine fissa su cui si appoggia il pezzo caldo e su cui viene lasciata
cadere ripetutamente una mazza. A seconda del modo con cui questa mazza cade sul pezzo si
hanno i magli a:
• caduta libera quando l’energia di deformazione è solo dovuta alla energia potenziale
posseduta dalla mazza che cade liberamente
• a doppio effetto quando la velocità del pistone viene maggiorata per effetto di un
pistone pneumatico che poi viene utilizzato anche per la risalita della mazza
• a contraccolpo quando nella discesa l’incudine e quindi il pezzo va incontro alla
mazza cadente
9.1.1 Forgiatura in stampo chiuso con impronta – comunemente stampaggio a caldo
Si distingue dalla precedente unicamente per il fatto che la deformazione è guidata e avviene
all’interno di uno stampo che deve essere realizzato appositamente per ogni pezzo lavorato.
Ne segue che essendo gli stampi molto costosi questo processo è indicato per lavorazioni di
serie.
Per applicare la forza necessaria alla deformazione viene generalmente usata una pressa , la
quale si differenzia dal maglio perché non esercita un urto violento sul materiale, ma la
spinta si esercita gradualmente favorendo gli spostamenti del materiale. Le presse possono
essere meccaniche o oleodinamiche.
L’operazione inizia ponendo all’interno dello stampo un massello di materiale di volume
leggermente superiore a quello del pezzo in quanto durante il riscaldamento si possono avere
perdite sotto forma di scaglie d’ossidazione, ma soprattutto perché deve essere parzialmente
riempito il canale di bava (50-70%).
Il canale di bava svolge una funzione importantissima nella realizzazione di uno stampo.
Innanzi tutto viene posizionato sulla massima dimensione corrispondente alla chiusura degli
stampi e deve:
• garantire il riempimento di tutta la forma
• funzionare come serbatoio al materiale in eccesso
La prima funzione avviene quando il materiale caldo, deformandosi per la via più facile,
arriva alla strettoia del canale dove si raffredda per primo perdendo le caratteristiche di
plasticità e impedendo che nuovo materiale entri nella strozzatura (effetto tappo). Questa
resistenza sul percorso più facile fa sì che il materiale, spinto dalla pressione, vada a riempire
tutte le cavità anche le più impervie; quando lo stampo è vicino alla chiusura le pressioni
interne salgono tantissimo per cui il materiale in eccesso sfonda il materiale raffreddato nella
strozzatura e passa nella cavità più ampia che è l’unica rimasta a disposizione.
61
La bava viene poi asportata mediante uno stampo di tranciatura.
9.2 Stampi
Gli stampi sono soggetti a sollecitazioni piuttosto forti, devono sopportare bene le alte
temperature e devono avere una notevole resistenza all’usura provocata dallo scorrimento del
materiale.
I materiali per costruire gli stampi sono acciai da bonifica (C=0.35-055%) legati al Cromo–
Molibdeno–Vanadio o al Nichel–Cromo–Molibdeno-Vanadio. Gli stampi più recenti hanno
l’impronta rivestita (metodo PVD-phisical vapour deposition) 4µm di TiN (nitruro di titanio)
che contribuisce al miglioramento della resistenza all’usura.
Le lavorazioni, in special modo l’impronta, sono assai complesse per cui vengono lavorati
usando la tecnologia CAM.
Gli stampi devono avere adeguati sformi (5-10°) per consentir l’uscita del pezzo appena
raffreddato.
Eventuali forature nel pezzo da stampare vengono previste cieche, con lo stesso stampo del
tranciabave si provvederà ad aprirle.
62
STAMPO
CHIUSO
9.3 Ricalcatura
E’ un procedimento di stampaggio a caldo applicato a pezzi aventi un forte sviluppo
longitudinale ma con un unico diametro di dimensioni maggiore e lunghezza limitata.
Si parte da una barra di diametro uguale a quello base, si riscalda in forno, dopodiché
viene afferrata da una ganascia e spinta da un punzone in una matrice avente la forma della
parte maggiorata. Essendo lo stampo semplicissimo questo metodo si applica anche a
piccoli lotti. Altri esempi di applicazione di questo metodo sono: i bulloni a testa esagona o
cilindrica esagono incassato, le valvole per motori endotermici, pignoni etc.
Se il riscaldamento avviene con un mezzo elettrico e solo sulla parte da deformare il
procedimento viene denominato elettroricalcatura.
9.4 Estrusione
Il processo di estrusione consiste nel provocare il passaggio forzato di un materiale allo
stato pastoso attraverso una matrice che riproduce la forma esterna del pezzo che si vuole
ottenere; se la sezione è cava sarà presente un’anima che riprodurrà la cavità interna.
All’uscita della matrice il materiale viene raffreddato.
63
I materiali metalli più semplici da estrudere sono l’alluminio e il rame. La finitura
superficiale e le tolleranze sono buone. In genere i pezzi estrusi non necessitano di
lavorazioni ulteriori.
Nella figura sono rappresentate due sezioni di barre di alluminio ottenute per estrusione.
MODULO 10 - Complementi di fonderia
10.1 Generalità
La fonderia è un processo mediante il quale, versando un materiale metallico allo stato
liquido in una forma prestabilita, questo solidificandosi assume la configurazione della
cavità della forma e viene denominato “getto”. Il getto ha dimensioni e forma molto vicine
al pezzo finito e di solito sono necessarie solo alcune lavorazioni per asportazione di
truciolo per arrivare all’esemplare finito.
La fonderia che una volta era una tecnologia impiegata su larga scala, oggi, pur essendo
sempre di attualità, trova un po’ meno campo a scapito di altre tecnologie produttive.
Le caratteristiche di fusibilità sono:
a – fluidità del metallo fuso per riempire la forma con facilità
b – il ritiro del metallo in fase di solidificazione che obbliga un sovradimensionamento
della cavità della forma
c – la temperatura di fusione che influenza direttamente il costo della fusione
d – dall’intervallo della temperatura di solidificazione: tanto più grande tanto più facile è
l’ottenimento di una forma omogenea
64
Le ghise, le leghe di alluminio, gli acciai inossidabili austenitici, possiedono in modo
molto soddisfacente tutte le sopradette caratteristiche; gli acciai da bonifica solo in modo
accettabile.
Analizzeremo adesso alcuni processi fusori fra i più importanti.
10.2 Fusione in terra
In questo processo la terra da fonderia viene compattata intorno ad un modello
appositamente realizzato e opportunamente dimensionato, posto all’interno di uno o più
telai detti “staffe”.
Quindi per ogni pezzo da fare occorre ricostruire la forma intorno al modello.
Il modello è una copia dell’oggetto da realizzare differendo solo per:
• maggiorazione dovuta al ritiro del materiale
• sovrametalli sulle superfici da lavorare
• angoli di sformo per facilitare l’estrazione del modello dalla forma in terra.
Pezzo finito
Pezzo grezzo con sovrametalli di
lavorazione e sformi – coincide con il
modello a meno del ritiro
Se il pezzo da realizzare è cavo, occorre produrre delle parti in grado di sopportare la
temperatura della colata, la spinta metallostatica del metallo fuso e inoltre permettano di
evacuare con facilità i gas che si sviluppano all’interno delle stesse. Queste parti, che vanno
ad occupare il volume corrispondente alla cavità da ottenere, vengono denominate anime.
Le anime vengono formate in una cassa d’anima che è più lunga rispetto alla foratura da
ottenere in modo da ricavare le portate d’anima che consentono l’appoggio all’interno della
forma. Quando le anime sono grandi e lunghe si utilizza una armatura metallica centrale di
sostegno denominata “lanterna” (tubo metallico forato per consentire lo sfiato dei gas) sulla
quale si arrotolata una corda di canapa per generare la superficie d’attrito con la terra
dell’anima che viene disposta tutt’intorno sufficientemente pressata a mano dopodiché viene
tornita manualmente ed essiccata in forno.
65
Per completare la formatura nelle staffe si dispongono i canali di colata e la materozza.
Questa ha la funzione di garantire il riempimento delle forma; inoltre scegliendo per essa la
posizione opportuna si riesce a far si che solidifichi per ultima concentrando su di essa il
cono di ritiro.
A getto ultimato e raffreddato si procede con la distaffatura asportando la materozza e i
canali di colata con le mole a disco o altri utensili.
I modelli sono in genere di legno.
Nella formatura di pezzi da produrre in serie si fa spesso ricorso alla placche modello che
permettono l’utilizzo delle macchine formatrici. La placca modello realizzata in genere in
lega leggera è una piastra alle superfici della quale sono fissate, in modo permanente, le due
metà contrapposte del modello.
66
10.3 Colata in conchiglia metallica
Il getto è ottenuto dalla solidificazione del metallo liquido versato in una forma metallica
permanente denominata “conchiglia”. Il materiale delle conchiglie deve essere un buon
conduttore e deve possedere adeguate caratteristiche meccaniche, quindi acciai come
30CrMoV 1212 KU , X40CrMoV0511 KU etc. La forma può essere utilizzata per varie
migliaia di pezzi anche 25000 e la colata può essere realizzata a gravità o a bassa pressione.
Le conchiglie presentano notevoli vantaggi rispetto alle colate in terra: prodotto uniforme per
tutti i pezzi, migliore finitura, migliore tolleranza dimensionale, migliore caratteristiche
strutturali e meccaniche dei getti (le grane che si ottengono sono fini), assenza di difetti
dovuti ad inclusioni di sabbia. Le conchiglie sono però molto costose per cui vanno
utilizzate solo sulle grandi serie.
10.4 Colata centrifuga in conchiglia
E’ usata in particolare per i tubi ottenendo buone tolleranze dimensionali sugli spessori.
Durante la colata il metallo liquido aderisce alle pareti della conchiglia, leggermente
inclinata e tenuta in rotazione fino a 1200 g/1’, per effetto centrifugo. Lo spessore del tubo
dipende dalla quantità del metallo liquido introdotto.
10.5 Colata in conchiglia a pressione “Pressofusione”
La pressofusione è un procedimento adottato per la produzione di grandi serie di getti
aventi buone caratteristiche meccaniche, privi di difetti, ottima estetica, sovrametalli minimi
o addirittura nulli.
Il principio di funzionamento consiste nell’introdurre velocemente la giusta quantità di
liquido in uno stampo permanente d’acciaio, ermeticamente chiuso, per mezzo di un pistone.
La pressione di iniezione varia da 7 a 25 MN/m2 (70-250 bar).
Chiudere lo stampo, iniettare la giusta dose di metallo, alimentare il getto durante la
solidificazione ed infine espellere il getto solidificato richiede un meccanismo piuttosto
complesso, mentre lo stampo stesso, realizzato in acciaio temperato, è assai costoso per la
sua complicazione. Anche il macchinario di pressofusione richiede investimenti elevati per
cui la colata sotto pressione può risultare economica solo se si raggiungono elevati livelli di
produzione. Si stima che il lotto minimo sia di 5000 pezzi, ma con uno stampo ben
progettato si possono ottenere anche oltre 100.000 pezzi.
Le macchine per pressofusione si distinguono in:
macchine a camera di pressione calda
macchine a camera di pressione fredda
Nelle macchine a camera calda il forno di fusione fa parte della macchina e il dispositivo
di iniezione è situato nel crogiolo del forno; queste macchine sono adatte per le leghe di
zinco a basso punto di fusione.
Nelle macchine a camera fredda il dispositivo di iniezione è separato dal crogiolo. Il
metallo è mantenuto fuso nel crogiolo separato, l’operatore preleva con appositi contenitori
la quantità necessaria al getto e la versa nell’apposita apertura sul cilindro della macchina. Il
pistone idraulico si mette in movimento ed obbliga il metallo a riempire la cavità. Appena il
metallo è solidificato la parte mobile dello stampo arretra mentre il pistone compie un
67
leggero movimento in avanti che lascia il getto aderente alla parte mobile e gli espulsori
provvedono a far uscire il getto dallo stampo.
Una volta espulso il getto dallo stampo (nell’esempio le figure previste sullo stampo sono 4)
si provvede a staccare con una semplice pressione i canali di colata dai pezzi (lo spessore è
esiguo in genere 1mm) una piccola molatura e il pezzo è ultimato.
10.6
Microfusione o fusione a cera persa
Questa tecnologia, che utilizza un modello temporaneo, è interessante perché permette buoni
risultati in termini di tolleranza dimensionale, di forma e di rugosità superficiale. La
microfusione a cera persa di oggetti d’arte era conosciuta fin dall’antico Egitto; il modello è
costruito in cera, viene utilizzato per costruire il guscio e poi viene evacuato facendo
sciogliere la cera in modo che nella forma ottenuta si possa colare il metallo. Questo metodo
elimina qualsiasi difficoltà connessa alla estrazione del modello per cui i pezzi microfusi
possono avere le forme più complesse. Il processo è adatto per fondere qualsiasi materiale.
La microfusione viene impiegata per la fabbricazione in serie di oggetti di forma anche
complessa (es. palette delle turbine) e di materiali difficili quali gli acciai inossidabili o super
leghe. Le fasi in questo caso sono le seguenti:
• Preparazione del modello primario di solito in ottone; questo servirà a preparare una
conchiglia nella quale verranno iniettati i modellini in cera pari alla serie di pezzi da
produrre.
• Preparazione della conchiglia metallica in cui verrà iniettata la cera per ottenere i
modellini
• Preparazione dei modellini in cera per iniezione sotto pressione
• Formazione del grappolo: i modelli in cera vengono raggruppati insieme in modo da
68
•
•
•
•
•
•
•
•
formare un grappolo di un gran numero di pezzi, collegati con i canali di colata e le
materozze
Immersione del grappolo in una sospensione di una speciale silice colloidale e
successiva spruzzatura con quarzo in polvere che origina un sottile guscio ceramico che
ricopre il grappolo.
Evacuazione della cera in forno a 150°C
Cottura del rivestimento refrattario in forno a 900-1000°C per conferire alla forma
resistenza meccanica
Disposizione del grappolo in una staffa circondato da terra
Colata nella forma
Raffreddamento lento
Distaffatura e scomposizione del grappolo
Collaudo dei getti
MODULO 11 - Il taglio dei metalli per asportazione di truciolo
11.1 – Generalità sui moti
Per ottenere un oggetto, definito mediante un disegno, il processo di asportazione di truciolo è
uno dei metodi più utilizzati. La partenza è il semilavorato che può essere una barra, ma
anche un pezzo fuso o stampato.
La lavorazione consiste nell’asportare a freddo, mediante un utensile, il materiale in eccesso
(sovrametallo) sotto forma di trucioli.
La sequenza delle lavorazioni, le condizioni di lavoro devono essere definite precedentemente
mediante uno studio che si conclude con il cartellino di lavorazione.
L’asportazione avviene una macchina utensile che fornisce il moto al pezzo o all’utensile o a
entrambi. I movimenti principali forniti dalla macchina utensile sono il moto di taglio e il moto
di alimentazione.
Il moto di taglio può essere dato al pezzo (tornio, piallatrice) o all’utensile (fresatrice, trapano,
alesatrice, rettificatrice, stozzatrice,limatrice). Il moto di avanzamento può essere dato
all’utensile (tornio, trapano, alesatrice, piallatrice) o al pezzo (limatrice, fresatrice, stozzatrice,
rettificatrice).
Da notare che le limatrici e piallatrici sono ormai di fatto scomparse e quindi non ce ne
occuperemo.
Se il moto e rotatorio la velocità di taglio (m/1’) è espressa da:
π × D×n
Vt =
1000
con n si esprimono i giri/minuto e D il diametro in mm
Se il moto è rettilineo alternativo la velocità di taglio (m/1’) è espressa da:
con C si esprime la corsa di lavoro in mm e t il tempo per compierla
Vt =
C
1000 × t
Il moto di avanzamento (o di alimentazione) è quello trasmesso dalla macchina utensile al
pezzo o all’utensile e alimenta la formazione del truciolo; la velocità di avanzamento è
espressa di solito in mm/1’.
69
11.2 - Utensili per il taglio dei metalli
11.2.1 Evoluzione storica
1800-1900: gli utensili erano costituiti da acciaio ad alto tenore di Carbonio, opportunamente
la durata di temprati per conferire la necessaria durezza. Il punto debole di questi
utensili era che divenivano rapidamente teneri man mano che si riscaldavano
(rinvenimento) per cui venivano impiegati con basse velocità 2-3 m/1’, ma anche
in questo caso affilatura era breve.
Il primo materiale per utensili realmente migliore fu l’acciaio Mushet scoperto
casualmente. L’aggiunta di Manganese permetteva un indurimento all’aria
dell’acciaio e inoltre fu scoperta l’efficacia di aggiunta in lega del tungsteno. Con
questi utensili si raggiungevano velocità di 10 m/1’.
1900-1930: gli studi di Frederic Taylor permisero di migliorare ulteriormente gli utensili. Nella
esposizione mondiale di Parigi, Taylor presentò un nuovo utensile in acciaio
cosiddetto rapido HS che raggiungeva la straordinaria velocità di 40 m/1’. Questo
acciaio conteneva tungsteno in percentuale inferiore al 18%, poi cromo,
molibdeno e vanadio.
Questi utensili ebbero uno straordinario successo specie in Germania dove il loro
sfruttamento portò in pochi messi alla distruzione delle macchine utensili. La
popolazione di macchine divenne improvvisamente obsoleta e quindi emerse la
necessità di far progredire l’evoluzione delle macchine di pari passo con gli
utensili.
L’aggiunta di una piccola percentuale di cobalto e una percentuale di tungsteno
più elevata fino a 25% dette luogo ad un ulteriore miglioramento delle prestazioni
fino 70 m/1’. Questi utensili furono denominati super-rapidi HSS.
Questi utensili prodotti in barrette e facilmente riaffilabili divennero un importante
sostegno della produzione tanto che trovano impieghi anche nella nostra epoca.
Dopo il primo conflitto mondiale, vennero introdotte le leghe fuse. Queste erano
leghe non ferrose a base principalmente di cromo, cobalto, tungsteno ecc.
contenenti circa il 50% di carburi. Queste leghe erano molto dure, avevano
durezza a caldo e resistenza all’usura relativamente elevate ma erano molto fragili:
era quindi difficile ricavarne degli utensili (avevano circa la metà della tenacità
degli acciai rapidi) e quindi divennero le precorritrici delle placchette. La più nota
di queste leghe fu la Stellite.
Dal 1930 : iniziò lo sviluppo dei carburi metallici sinterizzati, prodotti rivoluzionari della
metallurgia delle polveri. Questi erano costituiti dal 90% di carburi in una matrice
di metallo legante. I primi tipi sviluppati erano a base di carburo di tungsteno WC
e Cobalto come legante. Le placchette non ebbero una facile penetrazione sul
mercato e il loro avvento si ebbe solo nel periodo bellico.
Questi materiali migliorarono considerevolmente la lavorazione delle ghise, dei
materiali non ferrosi, ma non abbastanza la lavorazione dell’acciaio a causa di
una rapida usura per craterizzazione. Furono esaminati altri tipi di carburi:
carburi di Titanio TiC – carburi di Niobio NbC – carburi di Tantalio TaC, che si
rilevarono subito vantaggiosi come elementi addizionali al metallo duro per
migliorare la resistenza all’usura nella lavorazione degli acciai.
L’impiego delle placchette metallo duro brasato era piuttosto costoso rispetto
agli utensili HSS. Le placchette dovevano essere realizzate non solo in funzione
di esigenze di lavorazione ma anche di brasature sugli steli degli utensili e delle
70
riaffilature. Non c’erano inoltre possibilità di variare la geometria degli utensili.
Normalmente un metallo duro conteneva tre fasi:
carburo di tungsteno WC per dare la robustezza di base all’utensile
metallo legante (es. Cobalto) per dare tenacità
carburi addizionali (TiC – TaC- NbC) per dare resistenza all’usura
Negli anni ’50: iniziarono gli esperimenti con la ceramica inizialmente solo a base di ossido di
alluminio Al2O3 particolarmente adatta per finiture di pezzi in acciaio temprato
e ghisa in conchiglia. Successivamente si è introdotta una ceramica mista
rinforzata che sopporta il taglio interrotto e condizioni di taglio più gravose.
Un ulteriore sviluppo sono le ceramiche al nitruro di silicio che vengono però
usate solo sulla ghisa in condizioni di taglio particolarmente difficili.
Per completezza, nell’ambito delle ceramiche, è doveroso accennare ai
CERMETS che è il nome dato ad alcuni metalli duri sinterizzati, nei quali loe
particelle dure sono a base di carburi di titanio TiC, carbonitruri di titanio
TiCN, nitruri di titanio TiC che hanno sostituito il carburo di tungsteno WC
dei classici inserti, aventi particelle di ceramica come leganti. Questi inserti
sono caratterizzati da:
• elevata resistenza all’usura sul fianco e per craterizzazione
• elevata stabilità chimica e durezza a caldo
• bassa tendenza alla formazione di T.di R. (tagliente di riporto)
• bassa tendenza alla usura per ossidazione
I Cermets sono vantaggiosi nell’impiego ad elevate velocità di taglio in
combinazione con bassi avanzamenti e piccole profondità di passata con
esigenze di massima precisione e finitura speculare.
Negli anni ’60 si cominciò a sviluppare gli inserti, placchette che venivano fissate allo stelo
d’acciaio , non più con la brasatura, bensì meccanicamente. Da circa 30 anni
gli inserti hanno eliminato la brasatura e si è affermato il concetto che gli
inserti, in genere multitaglienti, non dovevano essere riaffilati. Vennero
sviluppate numerose geometrie di taglio. I dispositivi per montare e smontare le
placchette divennero sempre più rapidi; vennero sviluppate varie tipologie di
rompitruciolo. Gli inserti multitaglienti potevano essere unilaterali o bilaterali.
Ovviamente le placchette unilaterali erano più stabili grazie alla superficie
piana d’appoggio.
Negli anni ’70 sono iniziati esperimenti con il nitruro cubico di boro le cui applicazioni si sono
concretizzate negli anni ‘90. Il CBN è uno dei materiali più duri esistenti,
secondo solo al diamante. Ha elevata durezza anche a caldo (2000°C), ottima
resistenza all’usura e stabile chimicamente. E’ un materiale relativamente
fragile ma più tenace della ceramica inoltre è molto costoso.
Questo materiale, pur con limitate applicazioni, ha reso la tornitura di
componenti duri un’alternativa assai competitiva rispetto alla rettifica.
Altro materiale durissimo è il diamante sintetico policristallino (PCD); la sua
considerevole durezza consente alta resistenza all’usura; viene usato anche per
rivestire le mole; I cristalli fini di diamante vengono legati durante il processo
di sinterizzazione a temperatura e pressioni elevate; i piccoli riporti di PCD
71
sono brasati sugli inserti di metallo duro per aumentarne la robustezza e la
resistenza agli urti. La sua durata può risultare 100 volte superiore a quella
del metallo duro. Il lato negativo di questo materiale è la limitazione della
temperatura a 600C nella zona di taglio, non è adatto a lavorare materiali
ferrosi e tenaci ad alta resistenza, viene impiegato su materiali abrasivi non
ferrosi e non metallici che richiedano precisione e finitura superficiali elevate.
A partire sempre dagli anni ’70 si è venuta sviluppando la tecnica del
ricoprimento che ha segnato l’avvento degli inserti multitaglienti rivestiti.
Con la deposizione di un sottile strato di carburo di titanio TiC (4-5
millesimi) a grana molto fine sopra il substrato di metallo duro si realizza un
notevole incremento di resistenza all’usura.
Il processo CVD (tecnica di deposizione chimica mediante vapore) di TiC
comporta un aumento di velocità di taglio del 50% o raddoppio della durata del
tagliente. Si arriva a velocità di 200 m/1’ e velocità di avanzamento di 600
mm/min.
La Coronite è un nuovo materiale da taglio che combina la tenacità dell’acciaio rapido con
la resistenza all’usura del metallo duro; è impiegata nella costruzione delle frese a candela.
Piccoli grani di TiC vengono dispersi uniformemente in una matrice di acciaio trattabile
termicamente. I grani piccolissimi la rendono autoaffilante, resistente all’usura e idonea a
produrre rugosità assai piccole. Le frese a candela sono composte di tre parti: il cuore in
acciaio rapido o acciaio per molle, uno strato di Coronite pari al 15% del diametro, un
rivestimento esterno di TiCN (carbonitruri di titanio) e TiN (nitruri di titanio).
Può essere usata con la maggior parte dei materiali e per una vasta gamma di operazioni. La
sua combinazione di resistenza all’usura e tenacità migliora sostanzialmente le operazioni
dominate dall’acciaio rapido con eccellenti finiture superficiali e facilità di raffilatura.
11.2.2 Angoli caratteristici di un utensile
Gli utensili devono essere affilati si pensi alle barrette di acciaio rapido, alle frese sempre in
acciaio rapido, alle punte etc; ma anche gli inserti che, come abbiamo già detto non devono
essere riaffilati, in origine presentano angoli per favorire la formazione del truciolo. Gli
angoli principali sono tre:
-
angolo di spoglia inferiore α
angolo di spoglia superiore β
angolo di taglio
γ
72
La somma dei tre angoli
α + β + γ = 90°
L’angolo di spoglia inferiore α ha la funzione di disimpegnare l’utensile dal materiale dopo il
taglio per impedire: l’attrito, le vibrazioni, lo sfregamento della superficie lavorata, sforzi
anomali; tale angolo varia da 3° a 7° in funzione del materiale e non può mai annullarsi.
L’angolo di spoglia superiore γ ha lo scopo di favorire il taglio e il fluire del truciolo
sull’utensile; tale angolo può variare da 0° a 20°, ma può assumere anche valori negativi. Il
truciolo scorre sul petto dell’utensile; in determinate condizioni e per alcuni materiali gli strati
del truciolo nella zona di scorrimento si saldano al petto dell’utensile, originando il cosiddetto
tagliente di riporto ( T.d.R.). Questa sovrastruttura, modifica l’angolo di spoglia superiore, che
alla fine diventa instabile. Ad un certo punto il T.d.R. si stacca , ed immediatamente dopo
comincia a saldarsi un nuovo strato. Il T.d.R. quando si stacca può asportare parte del tagliente.
E’ evidente che maggiore è l’angolo γ più difficilmente può formarsi il tagliente di riporto.
L’angolo di taglio β fornisce la robustezza e la resistenza dell’utensile. Se tale angolo risulta
piccolo l’utensile taglia meglio ma la sua durata specie con materiali duri è limitata. Per questo
motivo per lavorare metalli duri e nella sgrossatura sono indicati alti valori di β (75-80°) ,
mentre per lavorare metalli dolci e nelle finiture si possono avere angoli β fra 65-75°. Si può
osservare che non potendo modificare molto l’angolo α , l’angolo γ risulta di conseguenza.
73
Nella figura è illustrato un utensile con spoglia superiore negativa , usato solo con gli inserti e
per lavorazioni particolarmente gravose in tal caso si ha:
α + β – γ = 90°
La formazione del truciolo e la sua forma è influenzata anche dall’angolo di registrazione ψ.
Questo angolo si misura fra il tagliente principale dell’utensile e la direzione di avanzamento.
L’angolo di registrazione è molto importante nella scelta di un utensile di tornitura; influenza
infatti la forma e la direzione del truciolo, la lunghezza del tagliente impegnato a parità di
profondità di passata e quindi la pressione di taglio. L’angolo di registrazione varia normalmente
fra 45° e 90° , fra 45° e 60° si hanno le migliori condizioni di formazione del truciolo; gli
utensili impiegati per la contornatura hanno molto spesso angoli di registrazione maggiori di
90°.
11.2.3 Gli inserti e la loro classificazione
Le tre principali caratteristiche che deve possedere un materiale da taglio si possono riassumere
in:
• resistenza all’usura
• tenacità
• durezza a caldo
oltre a queste fondamentali caratteristiche possiamo aggiungere: inerzia e stabilità chimica e
buona resistenza agli shock termici
Il metallo duro di cui sono fatti gli inserti è un prodotto della metallurgia delle polveri sono
infatti composte da particelle dure cementate da un legante. I carburi più noti sono:
• carburo di tungsteno WC
• carburo di titanio TiC
• carburo di tantalio TaC
• carburo di Niobio NbC
presenti in percentuale volumetrica del 60-95% , dimensioni tra 1 e 10 micron e cementati con
cobalto Co.
Il metallo duro viene prodotto secondo le seguenti fasi :
• produzione delle polveri dei carburi e del cobalto
74
•
•
•
•
pressatura dei componenti che realizzano il “compatto” assai poroso fino al 30%
sinterizzazione ha lo scopo di eliminare la porosità : richiede temperatura (1400-1600°),
tempo e ambiente controllato. Il legante fuso scioglie una buona quantità di carburi.
trattamento: alcuni inserti vengono rettificati (raggi di arrotondamento del tagliente ER,
angolo di spoglia) altri sono già finiti per sinterizzazione diretta
rivestimento: la maggior parte degli inserti sono oggi rivestiti con sottili starti di carburo
a grana fine
Classificazione
Vediamo innanzi tutto le sigle che identificano i materiali da taglio:
• GC - metallo duro rivestito
• C
- metallo duro non rivestito
• CT - cermet
• PCD – diamante policristallino
• CBN – nitruro cubico di boro
• CC - ceramica
• HS - acciaio rapido
• N
- coronite
La classificazione ISO è suddivisa in tre campi
.
La resistenza all’usura diminuisce man mano che si passa da 01-10-20-30-40-50 ed è l’esatto
contrario della tenacità.
I numeri bassi sono più idonei per finiture con alte velocità e basse sezioni di truciolo, man mano
ci spostiamo sui numeri alti crescono le prestazioni su medio-alte sezioni di truciolo con velocità
decrescenti.
Attualmente tutte le qualità di metallo duro sono rivestite per aumentare la resistenza all’usura.
In anni recenti sono state sviluppate qualità di rivestimento che hanno trovato vasta accettazione
anche nelle punte a forare e nelle frese a candela. Oltre ai tradizionali carburo di titanio TiC
(grigio) e nitruro di titanio TiN (giallo oro) è impiegato anche l’ossido di allumino-ceramica
Al2O3 (trasparente).
75
I rivestimenti non superano in genere i 12 µm.
76
77
78
79
80
81
Modulo 12 - Velocità di taglio
12.1 Calcolo delle velocità di taglio con particolare riferimento alla tornitura
Tutte le formule che ci permettono di valutare la velocità di taglio traggono origine dalla
intuizione di Taylor che intuì e codificò con una relazione, lo stretto legame fra la velocità di
taglio e la durata dell’affilatura del tagliente:
V ×T
−
1
k
=C
E’ evidente che per valutare correttamente una velocità di taglio occorrono tabelle e dati
sperimentali in quanto dobbiamo valutare tutte le influenze che agiscono sul fattore velocità:
•
•
•
•
•
materiale del pezzo
materiale dell’utensile
sezione di truciolo = avanzamento x passata
durata prevista della affilatura
condizioni varie
La formula di Kronemberg è un po’ datata ma è applicabile sia a utensili in acciaio rapido che
in metallo duro:
G
( )g
V
V = α 1z × 5 × C ur
T
q
( )y
60
dove:
α - è un coefficiente che dipende dall’angolo di registrazione
V1 - è la velocità di taglio specifica con angolo di registrazione ψ=45° , con fattore di forma del
truciolo G = passata / avanzamento =5 , con il tempo di durata dell’affilatura T = 60 min ,
con coefficiente di lubrificazione Cur =1 lavorazione a secco.
qz - è la funzione dipendente dalla sezione di truciolo
T - è il tempo previsto di durata dell’affilatura
Cur – è il fattore di correzione della lubrificazione
Nelle pagine seguenti sono riportate le tabelle dalle quali è possibile ricavare tutti i parametri
necessari alla valutazione della velocità di taglio.
82
83
84
85
Un'altra formula più moderna usata per valutare la velocità di taglio degli inserti rivestiti è :
V = V111 × f s × f a × f T × f c
dove:
V111 = velocità di taglio specifica in m/min con s (avanzamento)=1mm/g,
a (passata)=1mm
T (tempo di durata affilatura) =1min
Questo fattore dipende dal gruppo di lavorabilità a cui appartiene il materiale e dalla
qualità del metallo duro impiegata.
fs
fa
fT
fc
= fattore di avanzamento
= fattore di passata
= fattore di durata affilatura
= fattore che tiene conto di condizioni particolari di lavoro; se più di una si usa il
coefficiente per la condizione peggiore
Le classi di appartenenza del materiale sono 17 e sono in relazione alla resistenza alla
trazione o alla durezza Brinell del materiale in lavorazione secondo la tabella sotto riportata.
Riportiamo anche un estratto delle tabelle di valutazione dei parametri relative ai materiali
più frequentemente impiegati nelle lavorazioni
86
87
88
12.2 Orientamenti nel calcolo dei parametri di taglio e della potenza
I parametri di taglio da scegliere sono: la profondità di passata, l’avanzamento, la velocità di
taglio e in conseguenza di ciò la potenza.
La profondità di passata è in genere legata al materiale da asportare e al numero di passate
scelte. In genere la profondità massima di passata è determinata dalla potenza della macchina a
disposizione per cui è sempre bene verificare, almeno nella sgrossatura, la potenza richiesta.
L’avanzamento nella sgrossatura viene consigliato in base al raggio di punta dell’inserto
Raggio di punta
Avanzamento max
0.4
0.25-0.3
0.8
0.4-0.6
1.2
0.5-0.9
1.6
0.7-1-2
2.4
1.0-1.8
inoltre occorre tener conto della rigidezza della combinazione utensile-macchina-pezzo e
scegliere il più ampio angolo al vertice dell’utensile compatibilmente con la geometria del pezzo
da lavorare.
89
L’avanzamento nella finitura è funzione della rugosità superficiale associata al raggio di punta
dell’utensile; a raggi maggiori corrispondono rugosità inferiori anche se un raggio elevato può
favorire l’insorgenza di vibrazioni e quindi influenzare la finitura.
Ra µm
r = 0.4 mm
r = 0.8 mm
r = 1.2 mm
r = 1.6 mm
r = 2.4 mm
0.6
1.6
3.2
6.3
8.0
0.07 mm/g
0.11 mm/g
0.17 mm/g
0.22 mm/g
0.27 mm/g
0.10 mm/g
0.15 mm/g
0.24 mm/g
0.30 mm/g
0.38 mm/g
0.12 mm/g
0.19 mm/g
0.29 mm/g
0.37 mm/g
0.47 mm/g
0.14 mm/g
0.22 mm/g
0.34 mm/g
0.43 mm/g
0.54 mm/g
0.17 mm/g
0.26 mm/g
0.42 mm/g
0.53 mm/g
0.66 mm/g
La potenza assorbita al mandrino si calcola con:
Ps =
Fs × Vt
( KW )
60 × 1000
Vt - velocità di taglio
Fs - forza di strappamento del truciolo è data da:
Fs = q × Ks
Ks – forza specifica di taglio è funzione della resistenza del materiale Rm , dell’angolo di
spoglia
superiore γ e dello spessore del truciolo h = a x senψ ( dove a è l’avanzamento e ψ
l’angolo di
registrazione)
A titolo di esempio si fornisce il valore di Ks per diversi carichi di rottura e per un angolo di
spoglia superiore γ =10° e γ=0° e uno spessore di truciolo h=0.4
Gruppo lavorabilità Durezza Brinell
materiale
3
160-190
4
160-220
5
210-250
6
220-270
7
200-295
8
310
Acciao fortemente
325-450
legato e temprato
9-10-11
150-270
12
150-220
Acciaio al Mn (12%)
250
13
140-180
14
170-210
Ghise
fuse in
400
conchiglia
600
Ottone
60-110
Bronzo fosforoso
85-110
Leghe al piombo
80-150
Alluminio fuso
100
130
Carico di rottura
2
(N/mm )
550-650
650-720
700-800
750-900
850-1000
1000-1200
Tensione Ks
Tensione Ks
2
2
(N/mm ) γ=10° (N/mm ) γ=0°
2000
2050
2200
2400
2400
2500
2800
3000
3070
3300
3600
3600
3700
4200
2200
2450
3400
1050
1400
2600
3300
700
1650
650
700
850
3300
3670
5100
1580
2100
3900
4950
1050
2470
980
1050
1270
90
Per altri angoli di spoglia inferiore la correzione è 1.5% per ogni grado.
La correzione per spessori di truciolo diversi da 0.4 è riportata nella tabella
avanzamento
mm/g
0.05
0.10
0.15
0.20
0.25
0.30
0.35
0.40
0.45
0.50
0.60
0.70
0.80
1.00
ψ = 90°
ψ = 75°
1.83
1.49
1.33
1.22
1.15
1.09
1.04
1.00
0.97
0.94
0.89
0.85
0.82
0.77
1.85
1.51
1.34
1.24
1.16
1.10
1.05
1.01
0.98
0.95
0.90
0.86
0.83
0.78
ψ = 60°
1.91
1.56
1.39
1.27
1.19
1.13
1.08
1.04
1.01
0.98
0.93
0.89
0.85
0.80
ψ= 45°
2.03
1.65
1.45
1.35
1.27
1.20
1.15
1.11
1.07
1.04
0.98
0.94
0.90
0.85
Per la potenza del motore si dovrà tener conto del rendimento della macchina:
Ps =
Fs × Vt
( KW )
60 × 1000 × η
dove η = 0.75-0.85.
Calcolare la velocità di taglio e la potenza impegnata per lavorare un acciaio C50 (Rm=850
N/mm2) bonificato con i seguenti parametri di taglio:
- profondità di passata 1.5 mm
- avanzamento 0.4 mm/g
usando un utensile P25 con angolo di registrazione ψ=105° e angolo di spoglia superiore γ =5°
L’acciaio appartiene alla classe di lavorabilità 6 , dalla tabella supponendo una durata della
affilatura di 20’ e supponendo non sussistano condizioni di lavoro particolari si ricava:
V111 = 180 m/1’
fs = 1.47
fp = 0.94
ft = 0.49
Vt = fs × fp × ft = 120 m/1’
dalle tabelle Ks = 2400 per γ=10 correggendo per γ=5° si ottiene Ks = 2580 N/mm2
correggendo per lo spessore di truciolo ψ=105° (=75°) si ottiene Ks = 2840 N/mm2
Fs = Ks x q = 2840 x 0.4 x 1.5 = 1704 N
Ps =
Fs × Vt
1704 x120
=
= 3.4 Kw
60 × 1000 60 x1000
Ipotizzando un rendimento di 0.8, sarà necessaria una potenza del motore non inferiore a:
91
Pm =
12.3
Ps
η
= 4.25Kw
Forze che agiscono sull’utensile
Fr - è la forza cosiddetta di repulsione che spinge l’utensile ad allontanarsi dal pezzo
Fa – è la forza di avanzamento che si oppone all’avanzamento dell’utensile
Fs - è la forza di taglio (strappamento) che agisce tangenzialmente al diametro del pezzo
lavorato
R - è la forza risultante
In prima approssimazione calcolata la
Fs = Ks x q
le forze di repulsione e di resistenza
all’avanzamento possono ritenersi
Fr = Fa = ~ 0.2 Ft e quindi la forza risultante R è:
R = Fs2 + Fr2 + Fa2 = 1.04 × Fs
e quindi quasi coincidente con la forza di strappamento del truciolo.
12.4 Tempo di lavorazione
Il tempo di lavorazione che rappresenta la durata della spostamento in automatico dell’utensile è
dato da:
t=
L+e
a×n
dove:
• L è la lunghezza di lavoro in cui si fa truciolo
• e rappresenta l’extracorsa, ossia lo spazio percorso dall’utensile prima di attaccare il
pezzo
• a rappresenta l’avanzamento in mm/g
• n è il numero dei giri al minuto
92
Al tempo di macchina dovranno poi essere aggiunti tutti i tempi di intervento manuale ad
esempio: montaggio, smontaggio, cambio del numero di giri, cambio e inserimento
avanzamento, misurazioni, dare la passata, i ritorni rapidi, il cambio utensili, etc.
Questi tempi sono dedotti dall’esperienza, ma anche da tabelle di tempi “standard”.
MODULO 13 - Tornio
13.1
Lavorazioni al tornio
Lo studio della macchina appartiene al corso di Tecnologia Meccanica, in questa fase si
richiamano alcune nozioni fondamentale della macchina e complementari di lavorazione ben
consci che i torni più in uso nelle aziende meccaniche sono a CNC.
Per la programmazione delle macchine a CNC si rimanda al testo specifico.
Le caratteristiche geometriche di un tornio in base alle quali si opera la scelta sono:
• altezza punte sulle guide e sull’incavo; il primo valore esprime il massimo raggio che è
tornibile fra le punte, il secondo il massimo raggio tornibile a sbalzo.
• distanza fra le punte è la massima lunghezza che è tornibile
• passaggio barra definisce il diametro massimo della barra che può passare attraverso
l’albero cavo del mandrino
• potenza della macchina che fornisce un’idea delle prestazioni ottenibili
In un tornio tradizionale si distinguono le seguenti parti fondamentali:
• il basamento che è la struttura che collega la macchina alle fondazioni; al suo interno è
ospitato il motore elettrico e i dispositivi ausiliari come la centralina della lubrificazione
• la testa motrice nella quale è alloggiato il mandrino e il cambio di velocità del mandrino
e il cambio di velocità di avanzamento da cui partono la barra e la vite madre che
forniscono il moto al carrello
• il bancale che si appoggia sul basamento e sostiene le guide di scorrimento longitudinale
del carrello
• il carrello che scorre in senso longitudinale sulle guide, può essere movimentato a mano
con un volantino, e in automatico tramite la barra per le torniture comuni longitudinali e
trasversali o con la vite madre per l’esecuzione di filettature. Sulla parte superiore del
carrello si trova un’altra slitta, a movimento esclusivamente manuale che può essere
inclinata di un qualsiasi angolo per eseguire torniture coniche di lunghezza limitata dalla
corsa della slitta stessa. Al di sopra di tutte le slitte vi è la torretta quadrangolare su cui
vengono montati rapidamente i portautensili in cui gli utensili sono stati preventivamente
alloggiati.
• Contropunta o toppo mobile sulle guide. Ha la funzione di sostenere i pezzi lunghi nei
quali è stato preventivamente ricavato il foro da centro per appoggiarvi la contropunta.
La contropunta si utilizza di solito per eseguire delle torniture cilindriche e perché ciò
avvenga deve essere perfettamente in asse con il mandrino. Se creiamo un disassamento
s, mediante una vite di regolazione, si possono eseguire torniture coniche in automatico
2α
dove tgα = s/L .
93
13.2 Dispositivi per il montaggio dei pezzi sul tornio
Il montaggio a sbalzo si effettua per pezzi non lunghi e si utilizza un attrezzo che viene montato
sulla estremità del mandrino. Questo attrezzo può essere una piattaforma munita di asole e fori
sui quali si può staffare pezzi di qualsiasi forma mediante tiranti, staffe e spessori. Questo
montaggio necessita anche di contrappesi per il bilanciamento statico del complesso ruotante. E’
usato per lavorazioni di pezzi di forma particolare non in serie.
Il mandrino a quattro morsetti indipendenti è una evoluzione della piattaforma e comunque si
impiega nella tornitura di pezzi non cilindrici o cilindrici non coassiali. I quattro morsetti
scorrono ciascuno sulla propria slitta comandati dalla vite posizionata sulla fascia esterna.
Il metodo di fissaggio più comune è il cosiddetto mandrino autocentrante a tre morsetti a 120°
in
94
cui i morsetti si muovono contemporaneamente azionati da una sola vite. I morsetti possono
essere montati anche rovesciati per grandi diametri esterni ma anche per utilizzare il serraggio
su fori interni preventivamente lavorati. L’autocentrante permette un montaggio rapido dei
pezzi garantendo, nei limiti di tolleranza con cui è realizzato, la concentricità della superficie
lavorata con l’asse del pezzo. In commercio si trovano mandrini autocentranti anche a 4
morsetti.
Gli autocentranti sopra descritti sono a comando manuale e non sono idonei per macchine a
elevata produzione e a controllo numerico dove si usano i mandrini idraulici a comando
oleodinamico.
Nella lavorazione fra le punte , usata per pezzi di determinata lunghezza, viene inoltre garantita
la ripetibilità del posizionamento corretto anche se necessitano più smontaggi, in quanto la
lavorazione ha come riferimento la linea che congiunge i fori da centro preventivamente eseguiti
e nei quali si appoggiano le punte coniche.
Nelle lavorazioni di serie di alberi è sempre più frequente l’impiego di macchine denominate
attestatrici-centratrici che preparano i pezzi grezzi a misura e con i fori da centro per poter
essere montati fra le punte del tornio
95
Nel caso si voglia lavorare un pezzo senza interruzione per rovesciarlo, si può far ricorso al
trascinatore frontale, di cui esistono sul mercato varie tipologie e modelli. Questo attrezzo
viene montato direttamente sul naso del mandrino ed è costituito da una punta da appoggiare sul
foro da centro del pezzo e da una serie di scalpelli molleggiati che si appoggiano sulla attestatura
del pezzo ricavandone delle tacche attraverso le quali si ha il trascinamento del pezzo sostenuto
sull’altro lato da una contropunta.
Lavorazione su spina quando si vuol lavorare un pezzo il cui riferimento è la superficie interna
preventivamente lavorata. La spina viene poi montata fra le punte con brida e menabrida o fra
autocentrante e contropunta. Le spine possono essere rigide od elastiche. Le prime possono a sua
volta essere coniche o cilindriche. Le spine coniche (con. 1:2000) si usano per pezzi il cui
diametro interno non è finito; la posizione assiale non è ovviamente definita, dipendendo la
posizione dal valore effettivo del diametro, per cui ovviamente non possono essere utilizzate su
macchine a CNC per l’impossibilità di definire lo zero pezzo. Le spine cilindriche costruite per
un determinato diametro, possono alloggiare anche più pezzi qualora si debba lavorare solo il
diametro esterno altrimenti si usano con un solo pezzo. Il serraggio del pezzo avviene in genere
con vite e dado.
Una valida alternativa alla spina cilindrica è la spina elastica a espansione. La spina ha un
alloggio conico su cui si innesta una bussola resa elastica da una serie di tagli alternati sulle sue
generatrici. I vantaggi che ne conseguono è innanzi tutto il centraggio che risulta ottimo anche in
presenza di lievi difformità del diametro di riferimento del pezzo; inoltre nel caso di sostegno a
sbalzo con l’autocentrante è semplice realizzare un rapido montaggio e smontaggio dei pezzi
facendo uso di una rondella spaccata senza dover svitare completamente il dado.
96
Nella lavorazione da barra viene passata la barra attraverso l’albero cavo del mandrino e dopo
averla fatta sporgere della quantità voluta, si serra l’autocentrante. Alla fine della lavorazione il
pezzo viene troncato. Il metodo viene utilizzato per lavorazioni di serie; in tal caso il tornio è
munito di dispositivo spingibarra automatico fino ad un fermo predisposto. La barra viene
sostenuta esternamente al mandrino, da appositi sostegni. Il diametro della cavità del mandrino
determina il massimo diametro che si può montare. Le barre di diametri piuttosto grandi, se
piene, sono piuttosto pesanti quindi occorre valutare bene l’opportunità del metodo.
Pezzi che hanno dimensioni in lunghezza che superano la distanza fra le punte possono essere
lavorati, smontando il toppo mobile e predisponendo al suo posto la lunetta fissa. Il pezzo è
quindi serrato sull’autocentrante lasciando alla lunetta il compito del sostegno del pezzo sui
pattini.
La lunetta viene utilizzata anche per eseguire torniture interne.
La lunetta mobile viene usata per tornire pezzi snelli e quindi flessibili sotto l’azione
dell’utensile. Ha solo due pattini, viene montata sul carro e quindi si muove con l’utensile
contrastando l’azione di flessione esercitata dallo stesso contro il pezzo in lavorazione..
97
98
Scarica

Tecnologia meccanica - parte 1