Settimanale Nuova serie - Anno XXXIX - N. 3 - 22 gennaio 2015 Fondato il 15 dicembre 1969 Comunicato dell’Ufficio politico del PMLI L’attentato a Parigi è frutto dell’imperialismo PAG. 3 Durante la sua visita a Bologna Renzi duramente contestato dagli operai Granarolo e dagli universitari Il Jobs Act ristabilisce i rapporti di caporalato. Gli studenti scandiscono “Renzi carogna, scappa da Bologna” PAG. 2 Un chiaro fallimento della politica economica e sociale del governo Attual del Su fuoco banch coinvo Dobbi delle l o da a quarti fronte unire t sinistr corret Mai cosi’ tanta disoccupazione, quella giovanile al 43,9% Renzi è una iattura, va spazzato via Il governo nega il rinnovo della sospensione degli sfratti 50 mila sgomberi in arrivo. I comuni di Milano, Roma e Napoli chiedono il ripristino della proroga PAG. 5 PAG. 2 Fallito (per ora) il blitz di Renzi per salvare Berlusconi dal Ra del 5° Il patto del Nazareno però regge PAG. 2 di Giovanni Scuderi Il decreto “Salva Ilva” va affossato La nazionalizzazione dell’Ilva deve essere permanente e non temporanea Inaccettabili l’impunità del Commissario e dei suoi uomini e le bonifiche ridotte all’80%, senza gli interventi decisivi anti-cancro Il danno ambientale lo devono pagare i Riva Per il trionfo della causa del socialismo in Italia Anche un solo euro al mese Il PMLI ha bisogno dell’aiuto economico di tutti i fautori del socialismo, gli anticapitalisti, gli antirenziani ovunque partiticamente collocati. Con le quote mensili dei soli militanti e dei contributi dei simpatizzanti attivi non ce la fa a sostenere le spese crescenti delle attività, della propaganda e delle sedi. I contributi, anche un euro al mese, possono essere consegnati direttamente ai militanti del Partito oppure versati attraverso il conto corrente postale n. 85842383 intestato a: PMLI – via Antonio del Pollaiolo, 172/a – 50142 Firenze. Grazie di cuore PAG. 4 In provincia di Catania Lottiamo uniti contro la giunta Bonanno “centro-destra” di Caltagirone PAG. 12 PAG. 6 Inserito nella Legge di Stabilità 2015 Il TFR in busta paga E’ una truffa Non sarà a tassazione agevolata bensì ordinaria Ennesima scusa del governo Renzi per tassare i lavoratori PAG. 6 A una settimana dall’inaugurazione Crolla un ponte sulla Palermo-Agrigento E’ costato 13 milioni versate a due “Coop rosse” e alla Tecnis del catanese Domenico Costanzo Le responsabilità di Renzi e Crocetta PAG. 5 2 il bolscevico / interni N. 3 - 22 gennaio 2015 Un chiaro fallimento della politica economica e sociale del governo Mai cosi’ tanta disoccupazione, quella giovanile al 43,9% Renzi è una iattura, va spazzato via Chissà se il pomposo, arrogante, e presuntuoso Matteo Renzi avrà ancora voglia di fare lo spavaldo, sbandierando ai quattro venti miracoli economici che finora gli operai, i lavoratori e le masse popolari italiane non hanno visto neanche col binocolo, anche se a dire il vero qualcosa le masse italiane lo hanno visto eccome. Hanno visto un Paese completamente distrutto economicamente dalla crisi del sistema capitalista che sta annientando il patrimonio industriale italiano, hanno visto la povertà e la fame dilagare con un aumento esponenziale tra le famiglie proletarie a causa della perdita del posto di lavoro, ed è proprio questa perdita che a novembre ha registrato il suo massimo storico nel nostro Paese che dovrebbe tappare la bocca al Berlusconi democristiano. Le cifre parlano chiaro, il tasso di disoccupazione ha toccato quota 13,4%, in aumento di 0,2 punti percentuali rispetto a ottobre. E si tratta, ha comunicato l’Istat, di un record storico, il valore più alto sia dall’inizio delle serie mensili (partite nel gennaio 2004) sia di quelle trimestrali, che vengono pubblicate dal 1977. Non solo: per i 15-24enni a novembre il tasso è balzato al 43,9%, in rialzo di 0,6 punti percentuali su ottobre e di 2,4 rispetto a un anno fa, anche se il valore è un po’ più basso del picco toccato in agosto quando risultava pari al 44,2 per cento. In tutto però, per effetto di un incremento del tasso di partecipazione, i giovani senza lavoro risultano essere 729mila, contro i 710mila dell’estate. In valori assoluti, e allargando lo sguardo a tutte le fasce di età, i disoccupati a novembre hanno toccato la cifra di 3 milioni 457 mila, con una crescita di 40mila unità rispetto a ottobre (+1,2%) e di 264 mila su base annua (+8,3%). Quel che è peggio, però, gli occupati sono scesi dello 0,2% rispetto a ottobre. Si contano così 48mila occupati in meno in un solo mese. Si tratta del secondo ribasso consecutivo. Il loro numero cala anche su base annua, sempre dello 0,2% (-42mila). Vengono ancora smentite dunque le sparate di Renzi quando aveva sostenuto di aver “creato” dall’insediamento del suo governo, 153 mila nuovi posti di lavoro. La realtà è ben diversa: se a marzo 2014 (l’esecutivo si è in- sediato il 22 febbraio) i lavoratori con un posto di lavoro a tempo determinato o indeterminato erano 22.387.000, a novembre erano calati a 22.310.000. Se questa è la situazione attua- le, frutto di anni di leggi che hanno cancellato le tutele dei lavoratori e del lavoro, non osiamo neanche immaginare gli effetti devastanti che porterà nel 2015 l’entrata in vigore del Jobs Act che dà completa libertà ai padroni di licenziare e ricattare i lavoratori! Il governo Renzi amato, lusingato e sostenuto dalla grande borghesia italiana, dall’UE imperialista e dal neoduce Berlusconi, è al tempo stesso odiato e avversato dagli operai e della masse lavoratrici e popolari come si è potuto vedere nelle decine di manifestazione che si sono tenute in tutta Italia contro la presenza di Renzi in qualunque città andasse. Ultima la contestazione di Bologna. Per vincere occorre spazzare via il governo del Berlusconi democristiano Renzi. Come ha indicato il Segretario generale del PMLI, compagno Giovanni Scuderi, bisogna fare fuoco e fiamme per il lavoro. Durante la sua visita a Bologna Renzi duramente contestato dagli operai Granarolo e dagli universitari Il Jobs Act ristabilisce i rapporti di caporalato. Gli studenti scandiscono “Renzi carogna, scappa da Bologna” Se il 2014 si era chiuso per Renzi con i fischi tra Catania, Reggio Calabria e l’Irpinia, il 2015 si apre con una durissima contestazione a Bologna, alla sua prima visita ufficiale il 10 gennaio. E ciò grazie agli operai della Granarolo, dove il premier si era recato per l’inaugurazione del nuovo polo produttivo. La Cgil aveva indetto uno sciopero di due ore per la giornata e gli operai hanno aderito, esponendo lo striscione “#80 euro zero diritti qua nes- suno è fesso, neanche la Lola” (la mucca della pubblicità Granarolo, ndr). Ci ha tentato il premier ad oscurare la protesta, ma, benché gli operai fossero stati tenuti lontani dalla stampa e dai fotografi, il Berlusconi democristiano è stato costretto ad entrare dall’ingresso sul lato opposto rispetto a quello della dura protesta. La contestazione operaia a Renzi è contro il Jobs Act che, come dice senza mezzi termini il segretario della Flai-Cgil di Bologna: “È un atto di sottomissione ai mercati che ripristina la relazione tra caporalato e bracciante”. Hanno continuato la contestazione gli universitari che hanno atteso in città l’arrivo di Renzi, invitato dal rettore Ivano Dionigi, per l’inaugurazione dell’anno accademico. Imponente il cordone di “forze dell’ordine” in assetto antisommossa che teneva i giovani lontano dalla “zona rossa”. Gli studenti hanno tentato di forzare lo schieramento, scandendo: “Renzi carogna, scappa da Bologna” e “fuori i mafiosi dall’università”, per poi dirigersi in Piazza Maggiore dove, entrando a Palazzo D’Accursio, sede del comune, dal primo piano dell’edificio hanno srotolato lo striscione: “Dionigi e Renzi meritate una lezione magistrale. Stop Mafia-PD”. Per tutta la durata del corteo i manifestanti hanno indossato maschere che sbeffeggiavano il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, il sindaco di Bologna Virginio Merola, PD, il Secondo le stime delle associazioni dei consumatori Nel 2014 le tariffe rincarate di 324 euro Rifiuti, acqua, trasporti, pedaggi autostradali, mense e rette scolastiche. La lista dei rincari tariffari che nel corso dell’anno appena concluso si è abbattuta sulle masse popolari è lunga e tale da aver inciso sui bilanci familiari per circa 324 euro in più rispetto al 2013. A fare i conti è il Codacons che denuncia aumenti generalizzati in quasi tutti i settori, nazionali e locali e avverte che nel corso del 2015 la situazione è destinata a peggiorare. Una previsione confermata anche da un’altra associazione di consumatori, la Federconsumatori, che prevede rincari complessivi, tra prezzi e tariffe per ulteriori 677 euro. In cima alla nuova raffica di aumenti ci sono ancora una volta gli aumenti dei pedaggi autostra- dali che le società concessionarie hanno già richiesto al ministero dei Trasporti e che dovrebbero scattare entro i primi mesi del 2015. Si tratta di un vero e proprio salasso specie se si pensa che nel corso del 2014 per le autostrade la spesa è aumentata di 16 euro, con un rincaro cioè del 4,5%. Per quanto riguarda le altre voci le associazioni dei consumatori calcolano che è stato del 2,9% l’ incremento per i trasporti (+89 euro), del 15% per i rifiuti (+44 euro), del 6% per l’acqua (+38 euro), del +5,2% per la sanità (+54 euro). Anche le mense e le rette scolastiche hanno comportato un maggior esborso per le famiglie (+48 euro su base annua). Men- tre nel settore energetico, nonostante il forte calo dei prezzi dei prodotti petroliferi, non si sono registrate adeguate e significative riduzioni delle bollette di luce e gas. Nel settore bancario invece le spese sono aumentate di 28 euro, ma nella Rc auto, comparto tradizionalmente a rischio, sono calate di 8 euro. Per i professionisti si sono avuti aumenti per 99 euro rispetto al 2013, e per l’istruzione +48 euro. Andamenti al rialzo che si ritrovano anche nei calcoli della Cgia di Mestre, secondo la quale tra il 2010 e il 2014 solo in Spagna le tariffe pubbliche sono rincarate più di quelle italiane. Se in Spagna l’aumento medio è stato del 23,7%, in Italia l’incremento è stato del 19,1%. Secondo la Cgia, nel nostro Paese i rincari maggiori hanno interessato le tariffe locali. Se per l’ acqua i prezzi praticati rimangono ancora adesso tra i più contenuti d’Europa, gli aumenti registrati dai rifiuti sono invece “del tutto ingiustificabili”. A causa della crisi economica spiega l’associazione - negli ultimi 7 anni c’è stata una vera e propria caduta verticale dei consumi delle famiglie e delle imprese: conseguentemente è diminuita anche la quantità di rifiuti prodotta. Con meno spazzatura da raccogliere e da smaltire, le tariffe sarebbero dovute scendere e, invece, sono inspiegabilmente aumentate. Nell’ultimo anno, a seguito del passaggio dalla Tares alla Tari, gli italiani hanno pagato addirittura il 12,2% in più, a fronte di un’inflazione che è aumentata solo dello 0,3. leader del M5S Beppe Grillo, il leader della Lega Matteo Salvini, e hanno contestato duramente, oltre al Jobs Act, il piano Renzi sulla scuola che vuole “la privatizzazione del sapere”. La manifestazione si è conclusa in piazza Maggiore con alcuni interventi al megafono. I giovani hanno denunciato la vergognosa militarizzazione della città, che li ha tenuti lontani dall’inaugurazione dell’anno accademico. “Renzi non ha diritto di stare in Università”, urlano dal microfono, contestando “l’uso privatistico dell’Ateneo, che serve ai piani del rettore Dionigi e alla sua candidatura a sindaco”, e poi affermano “È finita per questo governo che ci dissangua. Renzi pagliaccio, viene contestato in ogni città in cui si presenta, si nasconde dietro la polizia e nei palazzi”. È vero! Le masse più combattive non lo sopportano e ovunque vada lo accolgono con fischi e contestazioni durissime e rovinano giustamente le sue pose mussoliniane. Ma, purtroppo, Renzi non è ancora finito. Siamo nella fase però in cui la lotta sta montando e deve ancora crescere una dura opposizione di classe e di massa contro il nuovo Berlusconi nelle fabbriche, in tutti i luoghi di lavoro, nelle scuole e nelle università, nelle piazze, nelle organizzazioni di massa, specie sindacali e studentesche con l’obbiettivo di spazzarlo via. In questo contesto, il fronte unito che propone il PMLI, pronto a unirsi con tutte le forze politiche, sociali, sindacali, culturali e religiose che si professano di sinistra, è necessario per mettere fine sul serio al governo Renzi. Bologna, 10 gennaio 2015. Gli studenti in corteo manifestano contro il rettore Ivano Dionigi e Matteo Renzi, presente all’inaugurazione dell’anno accademico. Renzi è stato contestato anche da un picchetto operaio davanti alla Granarolo il bolscevico 3 N. 3 - 22 gennaio 2015 Comunicato dell’Ufficio politico del PMLI L’attentato a Parigi è frutto dell’imperialismo È in atto da anni una guerra tra gli islamici antimperialisti e l’imperialismo che saccheggia e domina, o cerca di dominare con le armi, i loro Paesi. L’attacco al settimanale satirico islamofobico “Charlie Hebdo” di Parigi rientra in questo quadro. Non è stato quindi un attacco alla libertà di espressione e di stampa, ma un attacco all’imperialismo francese che tutela in armi i suoi interessi in Afghanistan, Iraq, Libia, Yemen, Siria, Mali, Ciad e altrove. Il guerrafondaio e bombardiere Hollande ne è il maggiore responsabile. Ormai, dall’11 settembre di New York, la guerra di resistenza all’imperialismo, sotto forma di azioni terroristiche, è portata fin dentro i Paesi imperialisti, ed è impensabile fermarla se gli imperialisti non si ritirano dai Paesi che occupano o che controllano. Le misure antiterrorismo non servono assolutamente a nulla, anzi aggravano la si- tuazione e si ritorcono contro la popolazione, alla quale sono limitate o negate le libertà democratiche borghesi. I governanti imperialisti invitano all’unità nazionale per difendere la libertà e i “valori” dell’Europa e dell’Occidente. In realtà invitano a difendere il capitalismo, la dittatura della borghesia, le loro istituzioni antipopolari e la loro politica imperialista e interventista. Un invito che va decisa- mente respinto per non essere coinvolti nelle guerre imperialiste e nei crimini che commettono gli imperialisti in nome della falsa democrazia e della falsa umanità. Tutti i popoli hanno diritto all’autodeterminazione e all’indipendenza e a risolvere da sé le loro contraddizioni interne. Bisogna lottare contro l’imperialismo, segnatamente contro l’Unione europea imperialista e contro il governo del Berlusconi de- mocristiano Renzi, che è in prima linea sul fronte dell’interventismo militare imperialista. L’Italia deve uscire dall’Unione europea e dalla Nato, chiudere tutte le basi Usa e Nato che sono nel nostro Paese, ritirare i suoi soldati da tutti i Paesi in cui sono attualmente presenti, coerentemente all’articolo 11 della Costituzione, rinunciare a ogni intervento armato all’estero, anche se col casco dell’Onu e aprire le frontiere ai migranti. Solo così possiamo essere sicuri che gli islamici antimperialisti non tocchino il nostro Paese e il nostro popolo. Teniamo alta la bandiera antimperialista, per la libertà dei popoli, per l’indipendenza e la sovranità dei Paesi, per il socialismo. L’Ufficio politico del PMLI Firenze, 10 gennaio 2015, ore 10 Fallito (per ora) il blitz di Renzi per salvare Berlusconi Il 28 dicembre un articolo de “Il Sole 24 Ore” dal titolo “Reati fiscali, salterà un processo su tre”, metteva in allarme la procura di Milano e l’Agenzia delle entrate, accendendo i riflettori sul decreto attuativo della delega fiscale approvato dal Consiglio dei ministri la vigilia di Natale, e passato fin lì sotto silenzio grazie all’assenza dei giornali dalle edicole per le festività. Il decreto in questione, che Renzi aveva magnificato in conferenza stampa come “una pietra miliare”, conteneva infatti delle norme che non solo introducevano un condono nemmeno troppo mascherato per gli evasori fiscali, ma estinguevano di fatto reati penali gravissimi come la falsa fatturazione e la frode fiscale tramutandoli in semplice sanzione pecuniaria, sia pure aumentata. Il testo sembrava scritto infatti più da fiscalisti esperti in elusione fiscale al servizio di banche e finanzieri privati che da tecnici dell’erario pubblico: come l’articolo 4 che esclude dal reato di evasione le operazioni di finanza strutturata, come i derivati, se queste sono riportate “nelle scritture contabili obbligatorie”. Una norma sostanzialmente salva banche, perché svuota di fatto la frode fiscale purché sia stata “contabilizzata”, e che tornerebbe a vantaggio di imputati in processi per evasioni milionarie come gli ex amministratori delegati di Unicredit, Profumo, e di Banca Intesa, Passera, e dell’industriale Emilio Riva, tanto per fare qualche esempio. Ma a destare allarme nei magistrati, che vedrebbero andare in fumo centinaia di processi in corso, tra cui quelli intentati a Milano a imputati “eccellenti” come Prada e Armani, era in particolare l’articolo 19 bis, che stabilisce una “causa di esclusione della punibilità penale”, sostituita col raddoppio delle sanzioni, se gli importi dell’Iva e delle imposte evase Il patto del Nazareno però regge “non sono superiori al 3% rispettivamente dell’imposta sul valore aggiunto o dell’imponibile dichiarato”; e questo non solo nel caso di dichiarazione infedele, ma anche nelle fattispecie finora considerate reati penali come la falsa fatturazione e la frode fiscale. Ciò significa per esempio che chi dichiara un miliardo di imponibile è autorizzato ad evadere fino a 30 milioni, magari per costituirsi una provvista a nero per elargire tangenti e corrompere politici. E significa inoltre che essendo la franchigia in percentuale e non in cifra fissa come adesso, a beneficiare di questo vero e proprio incentivo ad evadere e frodare il fisco saranno soprattutto i ricchi, rispetto ai piccoli evasori per necessità o per errori formali, ai quali la delega fiscale del governo sarebbe teoricamente rivolta: “Un enorme regalo ai grandi evasori”, lo aveva subito definito l’ex ministro delle Finanze Vincenzo Visco. Regalo di Natale a Berlusconi Nei giorni successivi un’inchiesta de “Il Fatto Quotidiano” faceva emergere altri due aspetti occulti e oltremodo scandalosi della vicenda, costringendo tutta la grande stampa borghese a parlarne e lo stesso premier Renzi ad uscire dal silenzio. Il primo aspetto era che l’articolo 19 bis sembra non fosse contenuto nella bozza originale inviata al Consiglio dei ministri (Cdm) dalla commissione del ministero dell’Economia e delle finanze incaricata di redigerla, e quindi era stato presumibilmente aggiunto o nel Cdm del 24 dicembre stesso o addirittura a sua insaputa, subito dopo la sua conclusione. Circostanza confermata sia dal sottosegretario all’Economia di Scelta civica, Zanetti, sia dallo stesso presidente della commissione (l’ex presidente della Consulta Franco Gallo), che aggiungeva questo irato commento: “La mia è una commissione di gente per bene. Io in quel testo non mi riconosco”. Il secondo aspetto, che spiegherebbe anche il perché del primo, era che nel combinato disposto del fantomatico articolo rientrerebbe guarda caso anche Silvio Berlusconi, la cui condanna per frode fiscale che sta scontando ai servizi sociali riguarda un ammontare di tasse evase che, per effetto di prescrizioni e riduzioni varie, rientra abbondantemente nel 3% dell’imponibile allora dichiarato. Ciò significa che dopo l’entrata in vigore del decreto i suoi avvocati potrebbero chiederne l’immediata applicazione retroattiva al suo caso, ottenendo sia la cancellazione della pena, se non ancora completata, sia la cancellazione dell’interdizione dai pubblici uffici conseguente alla legge Severino: in altre parole l’ex capo del governo riotterrebbe la piena “agibilità politica” che invoca a ogni piè sospinto e tornerebbe ad essere candidabile senza dover aspettare i sei anni prescritti dalla suddetta legge. E ciò è stato confermato sia dal suo avvocato, Franco Coppi, sia dal presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Rodolfo Sabelli. Insomma il sospetto, più che legittimo, era che con questa norma Renzi aveva fatto un bel regalo di Natale al delinquente di Arcore, come si immagina nelle clausole inconfessabili del patto del Nazareno, in cambio dell’approvazione veloce della legge elettorale Italicum ora in discussione in parlamento e dell’elezione di un nuovo capo dello Stato gradi- to ad entrambi. Del resto il 19 bis non ricalca forse perfettamente la tesi difensiva sempre accampata da Berlusconi, secondo la quale la frode fiscale per la quale è stato condannato riguardererebbe solo una cifra “infima” rispetto alle tasse da lui pagate? Le reazioni ipocrite e arroganti del premier Naturalmente, beccato con le mani nella marmellata, Renzi ha finto dapprima di cadere dal pero, smentendo di essere l’autore della norma, facendo lo scaricabarile col ministro Padoan e sostenendo che in Cdm nessuno, nemmeno il ministro della Giutizia Orlando (“che è di sinistra”, ha sottolineato), aveva sollevato il problema che quella norma avrebbe favorito Berlusconi. Dicendosi comunque pronto in questo caso a cambiarla, pur giudicandola un provvedimento “sacrosanto”, fatto “non ad personam né contra personam, ma nell’interesse di tutti i cittadini”. Successivamente, visto che i giornali continuavano a parlarne chiedendosi di chi fosse allora la “manina” che l’aveva scritta, e visto che tutti i sospetti erano ormai puntati, come estensori materiali del 19 bis, sui suoi due più stretti collaboratori, il sottosegretario Luca Lotti e la responsabile del Dipartimento affari giuridici di Palazzo Chigi ed ex capo dei vigili di Firenze, Antonella Manzione, il Berlusconi democristiano ha rivendicato con iattanza che la “manina” era la sua, annunciando anche la sospensione del decreto fino a dopo l’elezione del nuovo capo dello Stato. Come ammettere sfacciatamente che la marcia indietro è solo tattica, e che non ha nessuna intenzione di mollare questa carta che gli serve da mer- ce di scambio per il pregiudicato nella partita del Quirinale e per garantirsi i suoi voti sulla legge elettorale e la controriforma istituzionale e costituzionale piduista. Quello del 3%, ha tagliato infatti corto tra l’ipocrita e l’arrogante Renzi a “Otto e mezzo” su La7, “è principio di buon senso, non ci prendiamo in giro. C’è il raddoppio delle sanzioni. Non mi interessa Sivio Berlusconi ma gli italiani. Ma c’è chi vive nell’ossessione di Berlusconi. Quella proposta l’ho scritta io. Tutti gli articoli nuovi li ho proposti io”. Dunque, che quella norma sia un suo personale salvacondotto per Berlusconi, e che il salvacondotto sia solo rimandato a tempi migliori, non ci piove. Non a caso secondo alcuni retroscena comparsi sulla stampa si parla di una telefonata di Renzi al suo sodale del Nazareno proprio la sera della vigilia di Natale: evidentemente per annunciargli la lieta novella, ma non quella della nascita del “redentore”, bensì della legge salva Silvio. Si dice anzi che ne fossero al corrente anche i suoi avvocati Coppi e Ghedini, e che ne era stato informato anche Napolitano; il che appare più che verosimile, vista l’arroganza con cui il nuovo Berlusconi difende questo vergognoso provvedimento, che Fassina non ha esitato a definire “agghiacciante” (pur attribuendolo come al solito ad “un errore grave” più che ad “un elemento del patto del Nazareno”). Un “segnale” per stringere il patto del Nazareno Secondo il sito Dagospia, Coppi avrebbe addirittura partecipato alla stesura della bozza al ministero dell’Economia, smentito ovvia- mente sia dal ministro Padoan che da Coppi. Che però, intervistato da “Il Fatto Quotidiano”, ha ammesso che “il Tesoro e Palazzo Chigi non potevano non sapere l’esistenza del codice”. E ha convenuto anche che “il provvedimento appare legato alle trattative per il Quirinale, utilizzato come un messaggio mentre ci avviciniamo all’appuntamento per la successione di Giorgio napolitano”. Sta di fatto che il delinquente di Arcore ha capito benissimo e gradito moltissimo il “segnale” inviatogli da Renzi (e che Verdini gli aveva preannunciato già alcuni giorni prima), tant’è vero che non se l’è presa più di tanto per la sospensione tattica del decreto fino a dopo l’elezione del nuovo presidente, che il premier ha dovuto fare giocoforza dopo che il blitz è finito su tutti i giornali. Egli ha capito comunque che Renzi lo ritenterà appena se ne ripresenterà l’occasione favorevole, o che al peggio sarà il successore di Napolitano, da loro stessi scelto, che gli concederà la grazia. Ed è per questo che ci ha tenuto a far sapere al suo compagno di merende che nonostante tutto “il patto del Nazareno tiene”. E a dimostrazione di ciò, al Senato, le questioni pregiudiziali sui requisiti di costituzionalità della legge elettorale sono state respinte con i voti del PD e di Forza Italia. Mentre la fedelissima ministra renziana Boschi ha annunciato in aula che il governo approverà la “clausola di salvaguardia” chiesta da Forza Italia per differire al 2016 l’entrata in vigore dell’Italicum, dopo che sarà stata approvata anche la controriforma costituzionale del Senato ed abolito il bicameralismo. Onde rassicurare Berlusconi che si andrà a votare solo quando lui sarà già tornato candidabile. 4 il bolscevico / ilva N. 3 - 22 gennaio 2015 Il decreto “Salva Ilva” va affossato La nazionalizzazione dell’Ilva deve essere permanente e non temporanea Inaccettabili l’impunità del Commissario e dei suoi uomini e le bonifiche ridotte all’80%, senza gli interventi decisivi anti-cancro Il danno ambientale lo devono pagare i Riva Alla vigilia di Natale il Consiglio dei ministri (cdm) assieme ai decreti attuativi sul Jobs Act e sui nuovi ammortizzatori sociali ha approvato anche il testo che interessa il siderurgico di Taranto, denominato “salva-Ilva che dovrebbe intervenire sul risanamento dell’acciaieria pugliese e scongiurarne la chiusura a causa del forte inquinamento prodotto. Una questione che si trascina da molto tempo che, oltre allo sfruttamento degli operai, ha prodotto tantissimi casi di tumore tra i lavoratori, tra la popolazione dei quartieri limitrofi (spesso abitati dalle famiglie degli stessi dipendenti Ilva) e l’inquinamento di vaste zone della periferia tarantina. Gli attuali proprietari dell’Ilva sono la famiglia Riva, gli industriali lombardi che l’acquistarono nel 1995 quando i governi di allora decisero di privatizzare l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale). Il presidente dell’ente era Romano Prodi che svendette ai privati le aziende a partecipazione statale facendo ingrassare tanti capitalisti e causando migliaia di licenziamenti. Quando quella che ancora si chiamava Italsider, (nata nei primi anni ’60) passò ai Riva era già un’azienda da rinnovare tanto che nel 1990 l’area di Taranto era stata dichiarata sito a rischio ambientale. Decenni d’inquinamento Non dobbiamo dimenticare che la gestione statale ha avuto i suoi aspetti negativi, anch’essa ha provocato notevoli danni e nonostante i grandi finanziamenti a disposizione quasi nessuna risorsa fu utilizzata per la prevenzione del danno ambientale, anzi, queste erano parole del tutto sconosciute. Solo in epoca relativamente recente sono state varate normative in tema di valutazione preventiva degli impatti ambientali (Valutazione di Impatto Ambientale e Valutazione Ambientale Strategica) e di allineamento degli impianti industriali alle migliori tecniche disponibili (Autorizzazione Integrata Ambientale, AIA). Con l’invecchiamento della fabbrica la situazione si è aggravata ma i Riva si son guardati bene dall’intervenire a salvaguardia della salute dei lavoratori e della popolazione ma hanno sfruttato al massimo per il loro profitto i lavoratori, il territorio e gli impianti. Una situazione che si è trascinata fino al commissariamento del 2013. Eravamo oramai di fronte a dati sempre più allarmanti e inconfutabili che dimostravano come a Taranto, e in particolare nel quartiere Tamburi situato vicino allo stabilimento, i casi di tumore e di altre malattie strettamente legate alle emissioni degli altiforni e alle polveri dei parchi minerali (lo stoccaggio all’aperto delle materie prime) erano infinitamente superiori alla media nazionale, nonostante l’ex commissario straordinario Enrico Bondi, con una notevole faccia tosta, affermò che ciò era dovuto a fattori socioeconomici e al maggiore utilizzo di tabacco. Nell’ordinanza del Gip al processo del 2012 si legge: “chi gestiva e gestisce l’Ilva ha continuato nell’attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza”. Riva senior, nel frattempo deceduto, è uno dei 50 imputati nel processo per associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, omissione di cautele sui luoghi di lavoro e avvelenamento di sostanze alimentari cominciato nel 2014. Tra gli indagati anche il governatore della Puglia Nichi Vendola per aver esercitato pressioni sull’Arpat affinché chiudesse un occhio sull’ Ilva. Del resto i Riva, come emerso dalle indagini, hanno sempre elargito denaro ai politici locali, ai sindacati e alle autorità religiose cattoliche, oltre che a ministri e politici nazionali. È insomma provato il coinvolgimento politico e giudiziario del narcisista trotzkista nel sistema Ilva: costui ha concordato con i padroni dell’acciaieria leggi che hanno consentito di avvelenare l’acqua, l’aria e il suolo di Taranto. Ricevendone in cambio sostegno politico e finanziamenti. Proprio questo intreccio tra affari, politica e corruzione ha permesso di tollerare per tanti anni questo disastro ecologico che ha portato all’attuale stallo, dove si stava rischiando la chiusura delle acciaierie, la scomparsa di questo settore strategico dal nostro Paese e sopratutto il licenziamento di migliaia di lavoratori. È stata anzitutto la lotta degli operai a impe- ciaieria a qualche cordata di capitalisti privati. Cordata che sembra già pronta: l’italo-indiana Arcelor Mittal-Marcegaglia già interessata all’acquisto, che non a caso si è proposta di amministrare assieme al commissario Gnudi l’azienda durante la gestione pubblica. Il fatto è che gli acquirenti non mancano e l’azienda non ha i debiti della Parmalat o dell’Alitalia, ma nessuno vuole accollarsi la costosa, imponente e urgente bonifica ambientale. Ma il governo è già pronto: costituirà una bad company su cui far confluire l’attività passiva (che sarà pagata dai contribuenti) e una new.co (nuova azienda) che raccoglierà i guadagni dopodiché sarà pronta per essere sfruttata dai privati. Occorre una vera nazionalizzazione I lavoratori della FIOM dell’ILVA di Taranto alla manifestazione nazionale della CGIL del 25 ottobre 2014 a Roma contro il Jobs Act (foto Il Bolscevico) dire la chiusura della fabbrica ma adesso i lavoratori e la popolazione non sono disposti a sacrificare la salute in cambio del lavoro e ciò ha costretto il governo a intervenire direttamente. Il decreto A metà gennaio l’Ilva entrerà in amministrazione straordinaria secondo la legge Marzano (istituita nel 2004 per il crack Parmalat) appositamente modificata, e quindi sarà nazionalizzata, Renzi ha illustrato il piano che prevede lo stanziamento di 2 miliardi di euro. Una cifra che parte già sottostimata poiché i magistrati avevano indicato in 8 miliardi la cifra necessaria. L’intervento sarà così suddiviso: quasi un miliardo e 200 milioni all’acciaieria per rispettare l’AIA (l’allineamento alle migliori tecniche disponibili), 800 milioni per la riqualificazione e bonifica della Città Vecchia, del porto e delle aree adiacenti l’Ilva, 30 milioni per l’ospedale di Taranto indirizzate alla ricerca e alla cura dei tumori specie infantili, tanto che Renzi in conferenza stampa ha affermato: “salveremo i bambini di Taranto”. Ennesima bufala del nuovo Berlusconi perché nel decreto non c’è traccia di finanziamento, e un po’ per tutto il piano le coperture finanziare sono molto vaghe. Ma questo decreto è pieno di pecche. Sospende la legge e scavalca la magistratura che aveva predisposto l’immediato risanamento dell’impianto che rimane tuttora il più grande d’Europa. Il governo si prende il tempo che vuole, farà gli interventi che più gli convengono e assicurerà l’immunità al Commissario che gestirà l’azienda, molto probabilmen- Niki Vendola insieme a Fabio Riva (a sinistra) e all’allora ministro berlusconiano dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo all’inaugurazione, nel 2009, dell’impianto UREA, destinato a misurare le polveri sottili prodotte dall’ILVA, impianto che come ha rilevato la magistratura non è servito ad abbassare l’inquinamento prodotto dall’acciaieria te l’attuale, Piero Gnudi. Costui non sarà perseguibile durante tutto il suo mandato, cosicché la Magistratura (il controllo del rispetto delle leggi) sarà impotente e subordinata all’Esecutivo. Un’impunità inaccettabile che impedirà ai cittadini di ricorrere alla magistratura per denunciare il reato d’inquinamento. Ma questa impunità sarà estesa anche ai privati che subentreranno in seguito, basta che proseguano con il programma del governo. Perché il decreto non obbliga l’amministratore pubblico a portare a termine la bonifica ambientale, ma sarà considerata attuata se verranno eseguite l’80% delle 94 prescrizioni ambientali indicate dall’AIA, senza specificare come vengono calcolate. Se non si chiariscono le tipologie e le priorità d’intervento il governo potrebbe ottemperare a quelli meno onerosi e tralasciare quelli più importanti e costosi, che tra l’altro dovevano già essere fatti e invece sono stati continuamente prorogati. Ma chi finanzierà tutta l’operazione? Questi due miliardi dovrebbero essere così suddivisi: un miliardo e 200 milioni dai beni confiscati alla famiglia Riva (ma al momento sono in Svizzera e non sarà facile riaverli), 150 milioni da Fintecna provenienti dalle azione vendute al tempo della privatizzazione dell’Italisider e 860 milioni di soldi pubblici. Ma non dobbiamo scordarci che la nazionalizzazione sarà solo temporanea, al massimo 3 anni, dopodiché l’Ilva sarà di nuovo rimessa sul mercato e venduta al miglior offerente. Proprio qui sta la questione principale. Il piano del governo appare funzionale a un risanamento fatto con i soldi pubblici per rendere di nuovo appetibile l’ac- Sono impostazioni inaccettabili e contro le quali è necessario battersi per una vera nazionalizzazione. Questa deve essere permanente e non temporanea, deve dare la possibilità ai lavoratori e alla popolazione di Taranto di poter controllare seriamente tutte le emissioni e tutti i dati relativi a tutto il ciclo produttivo dell’acciaio. Si può e si deve avere libero accesso a tutti i dati che riguardano la salute e l’ambiente, dati che i pescecani della famiglia Riva tenevano segreti o taroccavano attraverso connivenze e corruzione. Solo la nazionalizzazione può permettere l’ammodernamento alle più severe norme antinquinamento e allo stesso tempo garantire la sopravvivenza alla maggiore acciaieria europea che fornisce di materia prima tutta la manifattura italiana e impiega 12 mila dipendenti. Si tira in ballo l’ Unione Europea che ostacola gli interventi statali. Ciò è vero e anche per questo l’UE va soppressa però le leggi, quando si vuole si possono cambiare, come dimostra la modifica della legge Marzano. La famiglia Riva ha tratto immensi profitti dall’Ilva, sfruttando i lavoratori e avvelenando il territorio, ha assoggettato tutta la popolazione di Taranto al ricatto occupazionale e con le sue innumerevoli complicità e protezioni a tutti i livelli (dal governo cittadino a quello centrale passando per quello regionale di Vendola), ha sempre eluso i controlli ed evitato gli interventi ambientali che pure si era impegnata a fare. Per riempirsi le tasche di denaro non ha esitato a far ammalare operai, impiegati, lavoratori delle ditte esterne, i loro familiari, riempendo gli ospedali di Taranto di adulti e bambini ammalati di cancro. È quindi giusto e sacrosanto che siano i Riva a pagare i danni ambientali, espropriando anche tutte le loro proprietà. interni / il bolscevico 5 N. 3 - 22 gennaio 2015 Il governo nega il rinnovo della sospensione degli sfratti 50 mila sgomberi in arrivo. I comuni di Milano, Roma e Napoli chiedono il ripristino della proroga Il governo Renzi si conferma essere il più odioso nemico dei lavoratori e delle masse popolari anche dal lato della politica sociale abitativa: nel testo del decreto “Milleproroghe” varato a fine anno si è rifiutato infatti di inserire il consueto blocco degli sfratti per finita locazione alle famiglie disagiate, ignorando sprezzantemente gli accorati appelli dei sindaci delle grandi città, dei sindacati e delle associazioni degli inquilini. Col risultato che col nuovo anno si annuncia una drammatica valanga di nuovi sfratti che andranno ad aggravare la già insostenibile emergenza abitativa. L’abolizione da quest’anno del rinnovo della proroga degli sfratti è particolarmente odiosa perché riguarda i contratti in scadenza di famiglie povere, con un reddito complessivo lordo inferiore a 27 mila euro o con la presenza di anziani, minori, portatori di handicap gravi e malati terminali. Famiglie che pagano regolarmente l’affitto ma che una volta sfrattate non potranno permettersi un altro alloggio a prezzi di mercato, che come noto sono dovunque alle stelle. Secondo l’Unione inquilini di Roma e del Lazio, nella sola Roma rischiano lo sfratto circa 3 mila famiglie in queste condizioni. In tutta Italia si calcola che siano tra le 30 e le 50 mila le famiglie a rischio di sgombero forzato. In pratica nel nostro Paese si eseguono in media 140 sfratti al giorno con l’uso della forza pubblica. Il governo Renzi ha giustificato la carognata natalizia con la scusa che nel decreto sulla casa del ministro delle Infrastrutture Lupi sarebbe già previsto un incremento dei fondi per gli affitti e per la morosità incolpevole per un totale di 446 milioni di euro. Ma bara spudoratamente, perché in realtà questi soldi valgono fino al 2020, mentre per il biennio 201415 ci sono solo 270 milioni, tra fondo affitti e fondo morosità incolpevole, che sono largamente insufficienti ad affrontare la crisi abitativa attuale. Per avere un’idea del taglio operato basti pensare che negli anni passati il solo fon- do affitti si aggirava sui 350 milioni l’anno. Non a caso il presidente di Confedilizia, Sforza Fogliani, ha esultato alla notizia dichiarando che finalmente il governo “ha rotto la rituale liturgia”. In realtà con questa irresponsabile decisione il governo Renzi ha innescato una vera e propria bomba sociale, tant’è vero che gli assessori alla Casa di Milano, Roma e Napoli - tre tra le quattro città maggiormente colpite dall’emergenza sfratti, l’altra è Torino – hanno sottoscritto un appello in cui chiedono al governo di sospendere gli sgomberi forzati per le famiglie coi contratti scaduti, per scongiurare “una situazione altrimenti ingestibile”. Ma il ministro Lupi ha risposto picche, invitandoli arrogantemente a “non drammatizzare”, perché a suo dire “il governo nel 2014 non è stato a guardare. Anzi ha finalmente imboccato una strada nuova, cosciente che l’emergenza andava affrontata in modo più radicale e non con lo strumento vecchio e logoro della proroga”. Perfetta- Una recente manifestazione contro gli sfratti a Torino mente allineato, cioè, con la posizione delle associazioni padronali espressa sopra da Sforza Fogliani. A riprova della politica classista del governo Renzi, deliberatamente servizievole coi padroni e persecutoria con le masse meno abbienti (basti pensare che contemporaneamente al “Milleproroghe” ha approvato anche un decreto fiscale con un bel condono per chi evade e froda il fisco), c’è anche il decreto sulla dismissione dell’edilizia pubblica, per il momento fermato dalla dura lotta dei movimenti per la casa, che prevede la vendita all’asta delle case popolari a prezzi di mercato senza tutele per gli assegnatari. E c’è l’articolo 5 del decreto Lupi sulla casa che dispone il taglio di acqua, luce e gas a chi occupa gli alloggi vuoti. E chi occupa le case vuote, non importa se in condizioni disperate e per richiamare l’attenzione delle istituzioni pubbliche, sarà cancellato dalle graduatorie per le case popolari. Le associazioni degli inquilini chiedono che il “Milleproroghe” sia cambiato in parlamento reintroducendo la proroga degli sfratti, ed intanto che il governo dia subito disposizioni ai prefetti per sospendere gli sgomberi forzati per le famiglie che hanno i requisiti per usufruire della proroga stessa. Rivendicazioni giustissime e da appoggiare e sostenere, ma nel quadro di una lotta di massa più generale che affronti l’emergenza sfratti rivendicando, come indica il Nuovo Programma d’Azione del PMLI, il divieto degli sfratti fino a che non sia offerta una adeguata abitazione alternativa, specie per le coppie di anziani soli e le famiglie a basso reddito, e l’obbligo per i comuni, sostenuti da adeguati fondi pubblici, di requisire le case sfitte da oltre un anno, i locali pubblici dismessi o inutilizzati e i palazzi nelle medesime condizioni da destinare, dopo i necessari lavori, alle famiglie sfrattate e senza casa. A una settimana dall’inaugurazione Crolla un ponte sulla Palermo-Agrigento E’ costato 13 milioni versate a due “Coop rosse” e alla Tecnis del catanese Domenico Costanzo Le responsabilità di Renzi e Crocetta Dal nostro corrispondente della Sicilia Era stato inaugurato il 23 dicembre, quando il 31 dicembre un buon tratto della carreggiata del viadotto Scorciavacche 2, sulla Palermo-Agrigento, è sprofondato. Subito è scattata l’inchiesta della procura di Termini Imerese (Palermo) per crollo colposo. L’Anas Spa, gestore della rete stradale e autostradale italiana di interesse nazionale, ha annunciato di aver aperto un’inchiesta per accertare le responsabilità, ma intanto minimizza: “A dispetto di certi titoli e di certe fotografie male interpretate o scambiate, nessun viadotto è crollato” (sic!). Considerato che solo per una fortunata coincidenza non vi è stata nessuna vittima e che i lavori sono costati alle masse popolari oltre 13 milioni di euro, il fatto è molto più che scandaloso. Il fatto è che in Sicilia in 2 anni sono crollati 4 viadotti. A questo punto i refrattari ad ammettere che esiste un problema generalizzato di tenuta delle opere pubbliche in Sicilia, giocano chiaramente un gioco alla copertura. Gli stessi Crocetta e Renzi che pretendono di fare gli ingenui e gli scandalizzati e vogliono il colpevole sembrano giocare a questo gioco. Ma loro sono tra i principali responsabili. Crocetta lo è, non fosse altro che per l’assenza di un monitoraggio di tutte le opere pubbliche siciliane che stanno cadendo a pezzi, da ospedali a viadotti, quando sa benissimo che l’uso di materiali scadenti per la costruzione di opere pubbliche è un metodo consolidato nella regione. Anche Renzi, che si indigna su Twitter per il viadotto crollato, e chiede i nomi dei responsabili è colpevole. Sono tutti suoi clientes gli imprenditori coinvolti e foraggiati dal PD, in taluni casi grazie a sua intercessione diretta. Si tratta dei presidenti del consorzio che comprende CCC (Consorzio Cooperative Costruzioni) di Bologna, e CMC (Cooperativa Muratori e Cementisti) di Ravenna, l’imprenditore Massimo Matteucci, e della catanese Tecnis, l’imprenditore Domenico Costanzo. Di quest’ultimo è presto detto, presidente di uno degli operatori più importanti a livello nazionale nel settore dei General Contractor delle Grandi Infrastrutture ha fatto il salto di qualità grazie alla carica nel 1993 di assessore allo Sviluppo Economico di Catania, all’interno della giunta di Enzo Bianco, PD. Forse Renzi si è dimenticato di come, a conclusione della costruzione della darsena commerciale di Catania, molto criticata perché richiede una costosa e continua manutenzione, abbia accolto con scambi di complimenti ed estrema rapidità l’appello di Costanzo al repentino pagamento dei lavori. E Massimo Matteucci? Forse Renzi si è dimenticato di come Massimo Matteucci sia uno degli imprenditori più foraggiati dal PD e dai governi che negli ultimi anni si sono susseguiti, per il Tav, per ponte sullo stretto di Messina (per cui Matteucci richiede il pa- gamento di una penale). Renzi si è dimenticato di come l’imprenditore ravennate sia chiacchierato per gli scandali Expo2015 e di come la procura di Trani stia indagando la Cmc per il porto di Molfetta. Ha un vuoto di memoria perché non ricorda di come gli abbia fatto omaggio di un appalto da 250 milioni di euro per la costruzione di parte del raccordo autostradale che in Angola, collegherà la capitale Luanda alla città di Soyo. Ecco, forse, perché al primissimo falso moto di indignazione propagandista del Berlusconi democristiano è seguito il silen- Un’immagine del viadotto Scorciavacche 2, inaugurato il 23 dicembre 2014 e crollato il 31 dicembre zio più assoluto. Non dev’essere alzato neanche un velo per scoprire la verità che sta dietro i progetti delle “grandi opere” e non lo farà certo Renzi, che basa parte del suo potere proprio sul siste- ma clientelare delle cooperative e delle imprese cementificatrici legate al PD. Ecco perché Anas Spa ha potuto dichiarare: “Crollo? Quale crollo? Qualcuno ha visto un crollo?”. 18 arrestati tra cui due primari pediatri Prescrizioni di latte in polvere in cambio di regali Tre grandi aziende farmaceutiche corrompevano i medici per indurli a convincere le lattanti a preferire il latte artificiale all’allattamento al seno È un vero e proprio scandalo quello che ha investito la sanità italiana, in modo particolare il mondo della medicina dell’infanzia: sono stati arrestati infatti lo scorso 21 novembre con l’accusa di corruzione 12 medici specialisti in pediatria tra cui due primari, 5 informatori scientifici di aziende farmaceutiche e un dirigente di azienda che produce alimenti per neonati. Dei medici coinvolti otto lavoravano a Pisa, uno in provincia di Livorno, uno a Piombino mentre i due primari erano di ruolo agli ospedali de La Spezia e di Empoli. Sono stati anche eseguite 26 perquisizioni tra Toscana, Liguria, Lombardia e Marche. I medici arrestati sono Maurizio Petri, Fabio Moretti, Marco Granchi, Claudio Ghionzoli, Renato Domenico Cicchiello, Gian Piero Cassano, Marco Marsili, Roberto Rossi, Eros Panizzi e Luca Burchi, tutti titolari di ambulatori convenzionati rispettivamente a Cascina, Pontedera, Ponsacco, Cascina, Livorno, Viareggio, Piombino, Capannoli, Peccioli e Volterra, mentre i due primari sono Stefano Parmigiani, che dirige il presidio ospedaliero pediatrico del Levante ligure alla Spezia, e Roberto Bernardini, che dirige il reparto di pediatria presso l’ospedale San Giuseppe di Empoli. Oltre a loro sono stati arrestati il dirigente di azienda Michele Masini e gli informatori farmaceutici Dario Boldrini e Valter Gandini di Pisa, Gianni Panessa di Livorno, Giuliano Biagi di Massa e Vincenzo Ruotolo di Grottammare, in provincia di Ascoli Piceno. I medici, secondo l’accusa dei magistrati della Procura della Repubblica di Pisa, beneficiavano di regali da parte delle aziende Dietetic Metabolic food (Dmf), Mellin e Humana Italia, tutte società che producono latte in polvere e prodotti per la prima infanzia, in cambio dell’impegno, assunto nei confronti degli informatori farmaceutici, di prescrivere nei propri ambulatori o, laddove si tratta di primari ospedalieri, mediante inserimento esclusivo del latte in polvere nei reparti sotto la loro direzione. Tutti i medici, insomma, avevano il compito di convincere le donne sin dall’inizio della fase di gravidanza a scoraggiare con vari pretesti l’allattamento al seno e di consigliare invece l’uso del latte in polvere prodotto da tali case farmaceutiche, latte del quale, naturalmente, i medici esaltavano la qualità rispetto allo stesso latte prodotto da altre aziende. I vantaggi per i sanitari coinvolti erano costosi viaggi all’estero in località esclusive offerti dalle tre ditte a loro e ai loro familiari con il pretesto di inesistenti simposi o conferenze di carattere medico, elettrodomestici, smartphone, computer, condizionatori, televisori, il tutto per complessive svariate centinaia di migliaia di euro. L’inchiesta è nata da una segnalazione anonima arrivata ai carabinieri del Nas di Livorno nel giugno dell’anno scorso che hanno poi investito dell’indagine la Procura di Pisa, pm Giovanni Porpora, la quale ha anche individuato un’agenzia di viaggi compiacente che si occupava di turismo congressuale, che in seguito gli stessi magistrati hanno scoperto inesistenti e inscenati soltanto come pretesto per le trasferte di piacere dei medici e delle loro famiglie. Nel frattempo, mentre quasi tutti i sanitari coinvolti hanno ottenuto gli arresti domiciliari, i rispettivi Ordini professionali hanno sospeso dalla professione tutti e 12 i pediatri coinvolti, compresi i due primari. 6 il bolscevico / interni N. 3 - 22 gennaio 2015 Inserito nella Legge di Stabilità 2015 Il TFR in busta paga E’ una truffa Non sarà a tassazione agevolata bensì ordinaria Ennesima scusa del governo Renzi per tassare i lavoratori Tra le tante iniziative del governo Renzi spacciate come aiuti economici ai lavoratori ma che in realtà nascondono nuove truffe e tasse bisogna annoverare anche il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) versato in busta paga. Questa norma è contenuta nella Legge di Stabilità 2015 approvata a dicembre dal parlamento. Questo non è certo il primo tentativo di manomettere il TFR; da almeno una decina di anni si sta tentando in ogni modo di mettere le mani su questa parte di salario che spetta per legge ai lavoratori. A sentire il Berlusconi democristiano Renzi sembra che il suo governo intervenga per alzare le buste paga dei dipendenti prendendo i soldi chissà dove. Niente di più falso! Questo è bene chiarirlo subito. ll TFR è salario differito, ovvero salario a tutti gli effetti solo che viene erogato quando il lavoratore viene licenziato, chiude l’azienda, oppure quando va in pensione o si dimette. Il TFR ha assunto l’attuale forma nel 1982. Viene fatto un accantonamento dall’azienda seguendo questo calcolo: lo stipendio annuale del lavoratore, comprese tredicesima ed eventuale quattordicesima diviso 13,5, praticamente l’ammontare di una mensilità per ogni anno lavorativo. Si può chiedere l’anticipo di una parte di esso solo per alcuni casi particolari, come malattia o l’acquisto della prima casa, salvo diversi accordi, contrattuali o personali. Esisteva comunque anche prima e da molti anni, in una certa misura addirittura dal 1927, in piena dittatura fascista. La “liquidazione” o “indennità di licenziamento” dell’epoca va però inserita nella visione corporativa fascista dove alla classe operaia era assolutamente vietata ogni autonomia e qualsiasi rivendicazione economica e normativa, tanto meno sociale e politica, ma doveva essere asservita al nazionalismo e all’imperialismo mussoliniano, fermo restando ovviamente la supremazia della borghesia e il sistema economico capitalistico. La liquidazione era solamente prevista in caso di chiusura dell’azienda e licenziamento dei lavoratori. Dal dopoguerra ad oggi il TFR ha sempre assunto al ruolo di “gruzzolo” a cui il lavoratore poteva accedere se cambiava lavoro o andava in pensione, con il quale fare un acquisto oneroso, tutelare economicamente la propria vecchiaia oppure, in caso di forzata perdita del lavoro, come “ammortizzatore sociale”. Questa parte di salario accantonata ha da sempre fatto gola ai capitalisti, specie alle compagnie assicurative che volevano gestire questa montagna di soldi (dei lavoratori, ndr), una cifra che supera i venti miliardi di euro l’anno. L’occasione ghiotta si è presentata quando le numerose controriforme pensionistiche, in special modo con la sostituzione del vecchio modello retributivo (quello basato sulle ultime mensilità) con quello contributivo (basato sui versamenti) hanno causato il drastico ridimensionamento dei vitalizi che di colpo da dignitosi, sono diventati da fame. Cosa hanno pensato lo Stato, i fondi pensionistici privati e le banche? Di andare a saccheggiare il TFR dei lavoratori per rialzare l’assegno pensionistico che altrimenti, con la nuova legislazione, si andrebbe ad attestare intorno al 40% dello stipendio (contro l’80% del vecchio sistema), andando oltretutto a lucrare sulla gestione di questi capitali. Ovviamente ci hanno rimesso i dipendenti che hanno dovuto pagare con il loro TFR per reintegrare la quota di pensione persa con le nuove regole. La cosiddetta pensione integrativa ottenuta versando il TFR nei fondi chiusi di categoria (ad esempio CoMeTa per i metalmeccanici) o in quelli aperti e totalmente privati è stata scelta da circa 6 milioni di lavoratori, mentre la maggioranza ha preferito tenere il TFR in azienda per riscuoterlo in seguito. La crisi però ha fatto registrare quasi un milione di lavoratori che hanno ritirato i versamenti dai fondi perché non se lo possono più permettere. A costo di mettere in crisi anche la pensione integrativa il governo adesso vuole mettere in busta paga il TFR. Lo scopo principale è fare cassa tassando subito la quota di salario differito, e al tempo stesso alzare di qualche decimale il Pil facendo spendere subito, specie a chi è in difficoltà, qualche decina di euro in più al mese. Nella Legge di Stabilità 2015 approvata in parlamento a dicembre è prevista la possibilità per il lavoratore di chiedere il pagamento mensile dell’importo maturando di TFR. Una volta fatta questa scelta non potrà essere modificata per i successivi tre anni. Le nuove norme non sono definitive perché sono in contrasto con quelle sulla previdenza integrativa che una volta scelta non poteva più essere revocata. Allora si pone il quesito su quale delle due leggi è prevalente. Una definitiva e brutta sorpresa è invece quella sulla tassazione che non sarà quella attuale, ma quella ordinaria applicata sul resto dello sti- pendio, la principale norma contestata dai sindacati che sottopone il TFR a un forte dimagrimento. La legge di stabilità non entra nello specifico ma leggendo la bozza del governo sul TFR presentata alcuni mesi fa risulta che per le aziende non dovrebbe cambiare sostanzialmente nulla. Difatti l’opposizione della Confindustria è durata poco. L’operazione verrebbe finanziata da un apposito “Fondo anticipo TFR” costituito dalle banche e dalla Cassa depositi e prestiti a sua volta garantiti dal Fondo di garanzia del TFR presso l’Inps. Tutti questi soggetti, potrebbero “approvvigionarsi sul mercato finanziario e attingere direttamente alle risorse della Banca centrale europea (Bce)”. Dunque le aziende, è scritto nella bozza del governo “continuano ad operare come oggi senza alcuna modifica né nei loro costi né nell’esborso finanziario, versando (come prevede l’attuale normativa) il TFR all’Inps (le imprese con più di 50 addetti), o seguitandolo ad accantonare in bilancio (imprese con meno di 50 addetti)”. Il lavoratore che lascia il TFR in azienda ha sicuramente dei vantaggi. La sua gestione è a costo zero (non è così per i fondi pensione) e viene rivalutato annualmente dell’1,5% + lo 0,75% dell’inflazione e gli interessi da esso maturati vengono tassati dell’11,5% (la metà rispetto alle altre rendite), interessi che verrebbero a mancare se messo direttamente in busta paga. Oltretutto finendo in busta, ad esempio 100 euro al mese, molti lavoratori supererebbero uno scaglione Irpef annuale e pagherebbero più tasse. Persino una ricerca dell’associazione dei commercialisti dimostra che tranne i redditi sotto i 15mila euro, che andrebbero a pareggio, tutti gli altri ci rimetterebbero centinaia di euro l’anno che sarebbero rapinati dallo Stato. Nei progetti del governo c’è quello d’incassare 4 miliardi di euro in più l’anno, altro che abbassare le tasse. Tanti lavoratori passerebbero anche la quota di 26 mila euro lordi annui che li farebbe perdere la mancia degli 80 euro. Renzi dice che il TFR in busta paga è a discrezione e non deve decidere lo Stato ma mente sapendo di mentire perché specie chi ha i redditi più bassi sarà costretto a prenderlo per arrivare alla fine del mese o riuscire a pagare la rata della casa o dell’auto. Insomma è una truffa a tutti gli effetti. Alla Ferrari Marchionne licenzia Montezemolo regalandogli una buonuscita di 27 milioni Mentre il Berlusconi democristiano Renzi continua la macelleria sociale e chiede a “tutti di fare dei sacrifici per salvare il Paese”, i grandi manager delle aziende pubbliche e private continuano a intascare stipendi, buonuscite, stok options e benefit milionari. Un atto vergognoso affronto ai milioni di poveri, disoccupati, precari, lavoratori e pensionati che stentano a sopravvivere coi salari da fame che si ritrovano lo ha fatto l’ormai ex presidente della Ferrari Luca Cordero di Montezemolo che ha lasciato Maranello con una liquidazione di quasi 27 milioni di euro più una serie di sconti sull’acquisto di prodotti Fiat e alcuni servizi di sicurezza. Una montagna di soldi che vanno ad aggiungersi agli oltre 110 milioni di euro che Montezemolo ha guadagnato negli ultimi 12 anni come presidente del cavallino rampante. In una nota la Fiat ha precisato che “in linea con quanto previsto dalla Politica sulle Remunerazioni adottata dalla Società, sarà riconosciuto all’Avv. Montezemolo, l’indennità di fine mandato attribuitagli sin dal 2003 e già descritta nella Relazione sulla Remunerazione pubblicata dalla Società”. Cioè cinque volte la componente fissa della remunerazione annua di 2.742.000 euro, per un totale di 13.710.000 euro da pagare nell’arco di vent’anni. Inoltre, “a fronte anche dell’impegno dell’Avv. Montezemolo di non svolgere attività in concorrenza con il Gruppo Fiat sino al marzo 2017, sarà corrisposta la componente fissa e variabile della remunerazione dovuta sino a tale momento, che corrisponde alla originaria scadenza del mandato in Ferrari, complessivamente pari a 13.253.000 euro, da erogare entro il 31 gennaio 2015″. Infine Montezemolo “conserverà in via temporanea il diritto di acquistare prodotti del Gruppo Fiat con alcune facilitazioni nonché di usufruire di taluni servizi attinenti la sicurezza”. Gli scandalosi guadagni di Montezemolo sono solo gli ultimi di una lunga serie di renumerazioni d’oro di cui hanno beneficiato nel corso degli anni manager come: Gianluigi Gabetti che, dopo il passaggio di testimone con Elkann alla guida della cassaforte Exor, in quanto presidente onorario della holding che controlla Fiat ha potuto contare per anni su un compenso di 1 milione di euro, oltre al rimborso di “tutte le spese di soggiorno al di fuori del comune di residenza” e alla “coper- tura assicurativa in caso di morte e di invalidità permanente derivanti da infortuni professionali ed extraprofessionali e l’utilizzo di un servizio segretariale e di una vettura con autista anche successivamente alla scadenza del mandato”. Per non parlare dei 40.59 miliioni di euro intascati nel 2010 dall’ex numero uno di Unicredit Alessandro Profumo, poi presidente di Mps; o dei 37,42 milioni intascati dall’ex ad di Capitalia Matteo Arpe, oppure dei 45 milioni intascati dall’ex ad di Luxottica Andrea Guerra che il 1° settembre ha salutato e ringraziato il gruppo della famiglia Del Vecchio per poi diventare consigliere personale di Renzi; fino al record assoluto raggiunto da Cesare Romiti che nel 1998 lasciò la presidenza Fiat con un maxi assegno da 200 miliardi di lire pari circa 101 milioni di euro di oggi. Attualmente il problema principale che tormenta le masse, specie del Sud, è il lavoro. Su questo tema le istanze locali dovrebbero fare fuoco e fiamme attraverso denunce circostanziate, volantinaggi, banchini, comunicati stampa, articoli su “Il Bolscevico”, cercando di coinvolgere i disoccupati. Dobbiamo sforzarci di unire, mobilitare e guidare le masse sulla base delle loro rivendicazioni attraverso le organizzazioni di massa da noi o da altri promossi, dentro e fuori i luoghi di lavoro e di studio, nei quartieri e nelle città. Praticando una larga politica delle alleanze e di fronte unito per isolare il nemico principale o l’avversario principale, unire tutte le forze che vi si oppongono, a cominciare da quelle della sinistra dei movimenti, neutralizzare le forze intermedie e stabilire un corretto programma di lavoro unitario. dal Rapporto di Giovanni Scuderi alla 4ª Sessione plenaria allargata del 5° Comitato centrale del PMLI - Firenze, 5 Aprile 2014 interni / il bolscevico 7 N. 3 - 22 gennaio 2015 Non gli è bastata “Mafia Capitale” Renzi candida Roma per le olimpiadi 2024 Pronti 10 miliardi per le “grandi opere”. Andranno alla mafia e ai palazzinari. Le periferie romane possono aspettare La sfrontatezza di Renzi è smisurata almeno quanto la sua ambizione. Non si era ancora spenta l’eco del clamoroso blitz della procura romana contro “Mafia Capitale”, che con un altro dei suoi sapienti spot mediatici il nuovo Berlusconi ha annunciato la candidatura di Roma per le olimpiadi del 2024: sì, proprio la città oggi all’attenzione di tutto il mondo per essere diventata il simbolo della corruzione politica che devasta il nostro Paese più di ogni altro in Europa! “Il governo italiano è pronto a fare la propria parte”, e “non lo faremo per partecipare, ma per vincere” ha detto Renzi ai campioni dello sport riuniti il 15 dicembre nel salone d’onore del Coni per la cerimonia dei “Collari d’oro al merito sportivo”, annunciando l’intenzione di essere “al fianco del Coni” per porre la candidatura olimpica di Roma. E anche dell’Italia, perché ha ventilato che sarebbero coinvolte nel progetto anche altre città, come (manco a dirlo) Firenze, e poi Napoli e Cagliari; e forse anche Milano e Torino, visto che alla notizia si sono subito messi a scalpitare anche Maroni e Fassino. Prima di lui ci avevano provato invano gli ex neopodestà capitolini Veltroni, per le olimpiadi 2016, e l’inquisito di “Mafia Capitale”, Alemanno, sostenuto dal neoduce Berlusconi allora al governo, per quelle del 2020. La questione, dato poi l’arrivo della crisi, sembrava definitivamente stata cassata da Monti per “mancanza di risorse”. Ma ora con Renzi viene ripescata e lanciata di nuovo in grande stile: “per noi, per i nostri figli, per l’Italia”, ha detto mussolinianamente il premier, esaltato evidentemente dall’affresco celebrativo del duce e dell’“apoteosi del fascismo”, sotto al quale parlava. Renzi era affiancato dal presidente del Coni, Giovanni Malagò, già indagato e poi assolto per lo scandalo dei mondiali di nuoto di Roma, conclusosi con un buco di 8 miliardi. Dopo l’assoluzio- ne, per una faccenda di autorizzazioni e di lavori al suo circolo Aurelia, crocevia dei contatti della cosiddetta “cricca” dei vari Anemone, Balducci e Bertolaso, Malagò iniziò la scalata al Coni nazionale propiziata dal presidente del Coni fiorentino Eugenio Giani, che lo ha introdotto negli ambienti di Renzi, del quale Malagò è diventato grande amico. Il presidente del Coni ha detto che “è realistica” una spesa di 6 miliardi, per la gestione dei quali promette una “trasparenza religiosa”, ed è già in pole position per presiedere il comitato promotore il solito Luca Cordero di Montezemolo, appena nominato presidente di Alitalia. Ma l’economista Federico Fubini ha rivelato su la Repubblica del 16 dicembre che il ministro Padoan dovrebbe sottoscrivere una garanzia di copertura che va dai 6 ai 20 miliardi, e non nel 2024 ma fra dieci mesi, quando le candidature andranno depositate. Dove andrebbe a prenderli Renzi, visto che la situazione economica è addirittura peggiorata rispetto a quando c’era il governo Monti e la crisi internazionale non accenna a finire? Non per nulla altri paesi papabili, non certo messi peggio del nostro, come Germania, Francia e Stati Uniti, per adesso non hanno ancora deciso se candidarsi. Ma l’occasione è ghiotta per mettere in moto un altro colossale carrozzone miliardario per l’abbuffata di imprenditori amici, ladri di Stato, mafiosi collettori di voti e chi più ne ha più ne metta. E per Renzi, come già per Berlusconi fu il ponte sullo stretto di Messina, si tratta di un formidabile strumento propagandistico per dare lustro alla sua immagine, sull’esempio delle grandi opere pubbliche, come appunto il palazzo del Coni al Foro italico dove è stato fatto l’annuncio, che Mussolini faceva edificare per esaltare se stesso e il regime fascista. “C’è una reazione sorprendente” alla candidatura alle Olimpiadi, ha detto stizzito il premier rispondendo alle critiche: “tutti a dire che è impossibile fare le Olimpiadi in Italia perché c’è chi ruba”. Come se questo fosse un problema di secondaria importanza! Anche Ignazio Marino, sulle orme del megalomane Veltroni, che ha buttato ben 700 milioni dei contribuenti nella faraonica “vela” incompiuta dell’archistar Calatrava a Tor Vergata, e come l’inquisito Alemanno che con il compare arrestato Mancini voleva portare la Formula1 all’Eur, plaude entusiasticamente all’idea di Renzi, e si è detto “orgoglioso” della candidatura. Il neopodestà piddino, che era presente alla cerimonia e dopo l’annuncio ha esultato insieme a Renzi, Delrio e Malagò, ha detto che “Roma è la Capitale del mondo ed è un grandissimo giorno per la nostra città”. Per lui, come per il PD romano, l’annuncio di Renzi rappresenta un’occasione insperata per spostare l’attenzione dallo scandalo di “Mafia Capitale” che ancora minaccia di travolgerli. Per le organizzazioni criminali, le cricche del cemento e le lobby politico-mafiose della capitale le olimpiadi rappresentano la speranza di fare altri affari miliardari con le mega speculazioni edilizie che i giochi metterebbero in moto, mentre le periferie romane continueranno a languire nel degrado e nell’abbandono come sempre. Renzi, insieme a Delrio e Malagò nella sala d’onore del palazzo del Coni dove ha annunciato la candidatura di Roma alle olimpiadi 2024, sotto l’affresco celebrante l’“apoteosi del fascismo” e il trionfo di Mussolini Tangenti, assunzioni clientelari, appalti sporchi, ritorsioni e minacce Arrestato il sindaco fittiano di Trani Capeggiava un comitato politico-affaristico composto da esponenti di “centro-destra” che aveva in pugno “la gestione degli appalti e della cosa pubblica nel comune di Trani” L’arresto il 20 dicembre del sindaco di Trani, Luigi Riserbato, eletto con “La Puglia prima di tutti”, movimento dell’ex-ministro per la coesione territoriale del governo Berlusconi ed exgovernatore della regione, Raffaele Fitto e di altre 5 persone, è “una prima e urgente risposta ad un diffuso e insidioso sistema di condizionamenti e interferenze illeciti nella gestione di appalti e, più in generale, della cosa pubblica nel Comune di Trani”, come ha detto il procuratore della Repubblica di Trani, Carlo Maria Capristo. Le indagini avevano preso il via da un incendio doloso ai danni di un capannone industriale di una ditta di infissi della famiglia Damascelli e, proseguendo, hanno messo a nudo un comitato politico affaristico che aveva in pugno “la gestione degli appalti e della cosa pubblica nel comune”. I reati contestati a vario titolo agli arrestati, sono quelli di associa- zione per delinquere finalizzata a commettere reati contro la pubblica amministrazione, di concussione, corruzione e turbata libertà del procedimento di scelta del contraente. I politicanti sollecitavano il pagamento di tangenti in cambio di aggiudicazioni, attraverso intimidazioni e ritorsioni, minacce di licenziamenti, per un giro illecito milionario. Oltre al sindaco fittiano, sospeso dalla carica e dimessosi il 30 dicembre e ai domiciliari, sono stati raggiunti da provvedimenti restrittivi l’exvicesindaco Giuseppe Di Marzio (FI), il consigliere comunale Nicola Damascelli (movimento Schittulli), l’ex consigliere Maurizio Musci (FI), l’ex amministratore dell’Amiu Antonello Ruggiero, il funzionario comunale Edoardo Savoiardo. Tra i reati contestati anche la concussione per le richieste di assunzioni clientelari presso società operanti per il Comune in base a logiche clientelari di scambio o asservimento ad una specifica parte politica ed effettuate sotto minaccia di ritorsioni. Oltre ai sei arrestati risultano indagate a piede libero altre sette persone, la maggior parte in servizio presso il Comune, per quattro delle quali la procura di Trani ha chiesto l’interdizione dai pubblici uffici. Un’inchiesta che mette a nudo il marcio delle istituzioni borghesi pugliesi e che, collegata ad altre recenti indagini, rivela il disastro in cui versa il sistema politico borghese in Puglia, principalmente finalizzato ad inghiottire fondi pubblici a favore di pochi privilegiati, con la protezione e l’appoggio di tutti i livelli istituzionali, dal comune al governo nazionale. Lo stesso plurinquisito fondatore del gruppo politico, l’ex-ministro Fitto, era stato condannato nel 2013 in primo grado a quattro anni di carcere per peculato e a cinque di interdizione dai pubblici uffici, corruzione e abuso d’ufficio, ille- cito finanziamento ai partiti, a seguito di una mazzetta di 500.000 euro da parte di Tosinvest, società di Antonio Angelucci, alla stessa lista alla quale appartiene lo stesso ex-sindaco inquisito di Trani. In questo quadro rientra anche anche lo scandalo del porto di Molfetta, per il quale lo stesso presidente del consiglio Renzi si è speso per fare arrivare nuovi fondi e proprio nel bel mezzo di una inchiesta sull’utilizzo illecito dei soldi delle masse popolari. E questo è il sistema Puglia che ci consegna Nichi Vendola, Sel, anche lui imputato di concussione aggravata nell’ambito dell’inchiesta sul disastro ambientale causato dall’Ilva, alla scadenza del suo mandato e alla vigilia delle elezioni regionali della primavera 2015. Hanno ben da riflettere gli elettori che saranno chiamati alle urne e da confrontare la proposta elettorale dei partiti borghesi con quella del PMLI. Vergognosa sentenza della corte d’assise di Chieti Tutti assolti i vertici Montedison, gestori della “più grande discarica d’Europa” L’avvelenamento del fiume Tirino non c’è e non ci sarebbe stato. Sostanze tossiche nei rubinetti di 700 mila abitanti La Corte d’Assise di Chieti, con una sentenza vergognosa, ha assolto lo scorso 19 dicembre tutti gli imputati, 19 dirigenti, tecnici e funzionari della Montedison, accusati dei reati di avvelenamento delle acque e di disastro ambientale per la discarica abruzzese di Bussi, sul fiume Tirino: nonostante i PM avessero chiesto condanne tra i 4 anni e i 12 anni e 8 mesi, tutti gli imputati sono stati prosciolti perché, secondo la Corte, il fatto non sussiste in relazione all’avvelenamento delle acque mentre per l’altro capo di imputazione, ossia il disastro am- bientale, i giudici hanno ritenuto di derubricarlo in un reato meno grave, il disastro colposo, che nel frattempo è caduto in prescrizione. Insomma, secondo i giudici di Chieti l’inquinamento del fiume Tirino non ci sarebbe mai stato, eppure è un altro Tribunale, il Tar di Pescara, a sostenere esattamente il contrario: è un dato di fatto inconfutabile che vi sia stato un gigantesco disastro ambientale dovuto all’avvelenamento del fiume Tirino da parte di quella che la sentenza depositata il 30 aprile 2014 dal Tar di Pescara ha definito “la più grande discarica d’Europa”, ossia quella di Bussi gestita dalla Montedison. Il Tribunale amministrativo regionale in quella occasione aveva respinto il ricorso che la Montedison, riconosciuta dallo stesso Tar proprietaria dei rifiuti chimici nonostante la cessione alla Solvay dell’impianto produttivo successivamente alla realizzazione della discarica, aveva proposto contro l’ingiunzione con cui il Ministero dell’Ambiente aveva obbligato nel settembre 2013 l’azienda a rimuovere entro 30 giorni tutti i veleni tossici seppelliti nelle discariche di Bussi sul Tirino e ripristinare la qualità del luogo. La sentenza del Tar di Pescara stabilisce che la Montedison è ancora di fatto la proprietaria dei rifiuti chimici nonostante la cessione alla Solvay dell’impianto produttivo successivamente alla realizzazione delle discariche. I giudici amministrativi di Pescara scrivevano nella sentenza che “nei siti in esame sono state rinvenute sostanze altamente inquinanti e che esse costituiscono scarti e prodotti industriali tipici dell’attività ivi esercitata da Edison spa”. Lo stesso Tar poi, sconfessando anticipatamente le conclusioni dell’assurda sentenza della Corte d’Assise di Chieti, individua pre- cise responsabilità per il disastro sostenendo che “i responsabili di detto inquinamento non possono che essere individuati in coloro che hanno gestito tali impianti nel periodo antecedente a quello in cui gli inquinamenti hanno iniziato ad essere rilevati”. La Montedison ha proposto appello al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar di Pescara. Al processo di Chieti le parti civili hanno ragionevolmente previsto che per la totale bonifica delle discariche di Bussi potrebbero servire molte centinaia di milioni di euro, forse addirittura un miliardo per cercare di ripara- re ai danni che nei decenni hanno fatto affluire sostanze tossiche nei rubinetti dei 700.000 abitanti della Val Pescara, come ha accertato anche l’Istituto Superiore di Sanità. Ora i comitati di cittadini e i Comuni interessati temono che l’assurda sentenza della Corte d’Assise di Chieti possa influenzare la decisione del Consiglio di Stato in merito all’obbligo di bonifica da parte di Montedison, il che significherebbe oltre al danno anche la beffa per le masse popolari abruzzesi coinvolte dal problema dell’inquinamento. 8 il bolscevico / neofascismo N. 3 - 22 gennaio 2015 Non gli basta l’attuale regime neofascista I fascisti di Avanguardia Ordinovista volevano restaurare il fascismo di Mussolini 14 arrestati, 31 inquisiti. L’ideologo Sermonti ha fatto parte della “Repubblica sociale italiana” Il 22 dicembre su ordine della procura di L’Aquila sono finiti in manette 14 militanti neofascisti di Avanguardia Ordinovista e altri 31 risultano indagati a piede libero nell’ambito dell’operazione denominata “Aquila nera” effettuata dal Raggruppamento operativo speciale (Ros) dei carabinieri e diretta contro il gruppo neofascista ispirato dall’ex repubblichino Rutilio Sermonti, ideologo del “Nuovo fronte politico italiano” che istigava i suoi seguaci in camicia nera a mettere in atto una serie di attentati contro “obiettivi istituzionali, magistrati e rappresentanti delle forze dell’ordine” con l’intento di destabilizzare il Paese, preparare il terreno per un colpo di Stato e restaurare il fascismo di Mussolini. L’inchiesta nasce da un’attività investigativa avviata nel 2013 e seguita personalmente dal procuratore Fausto Cardella e dal pubblico ministero Antonietta Picardi. Nel mirino l’associazione clandestina denominata ‘Avanguardia ordinovista’ che, “richiamandosi agli ideali del disciolto movimento neofascista ‘Ordine Nuovo’, progettava azioni di terrorismo contro Prefetture, Questure e uffici di Equitalia, per poi ipotizzare un salto di qualità legale con la partecipazione di una propria lista alle elezioni”. In particolare il gruppo progettava attentati anche contro “uomini politici non dotati di scorta, ritenuti quindi obiettivi facili da colpire”. E a tal proposito: “Il gruppo si era attivato nella ricerca di armi su più canali: c’erano contatti per acquistarne in Slovenia, mentre una rapina ai danni di un collezionista è stata sventata tempestivamente da un intervento dei carabinieri. Un’altra dotazione di armi veniva da un deposito sotterrato dalla prima guerra mondiale” Gli arresti e le perquisizioni sono state eseguite in varie città, fra cui L’Aquila, Montesilvano, Chieti, Ascoli Piceno, Milano, Torino, Gorizia, Padova, Udine, La Spezia, Venezia, Napoli, Roma, Varese, Como, Modena, Palermo e Pavia dove sono state condotte anche decine di perquisizioni. Secondo gli investigatori l’organizzazione era guidata dal nuovo gerarca Stefano Manni, 48 anni, originario di Ascoli Piceno, che si occupava del reclutamento e del reperimento dei fondi. Imparentato con Gianni Nardi, il terrorista neofascista che negli anni ’70 insieme a Stefano Delle Chiaie, Giancarlo Esposti e Salvatore Vivirito, era uno dei maggiori esponenti di Ordine Nuovo. Manni fino a 10 anni fa era un sottufficiale dell’Arma dei carabinieri. Il ruolo di ideologo invece era rivestito – secondo gli inquirenti – da Rutilio Sermonti, 93 anni, ex appartenente a Ordine Nuovo, nonché autore del cosiddetto “Statuto della Repubblica dell’Italia Unita” una sorta di nuova carta costituzionale di chiaro stampo fascista sequestrato dai carabinieri nella sua casa. Secondo l’accusa Sermonti ha fornito “sostegno ideologico” al gruppo neofascista ed è accusato anche di aver “incitato i sodali del gruppo all’’offensiva’ sostenendo che non sia più indispensabile ‘l’assalto delle masse’, ma sufficiente l’azione di ‘pochi uomini, decisi, poco visibili e coraggiosi’”. I reati contestati a vario titolo agli arrestati e agli indagati sono di associazione con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine Elenco completo di arrestati e indagati Stefano Manni, nato ad Ascoli Piceno nel 1966, residente a Montesilvano (Pescara). residente a Villamagna Marina Pellati, moglie di Manni, nata a Varese nel 1965, residente a Montesilvano. Mario Mercuri, nato a Petritoli (Ascoli Piceno) nel 1939 e residente a Colli del Tronto (AP) Piero Mastrantonio,nato a L’Aquila nel 1973, residente al Progetto Case di Collebrincioni (L’Aquila) Monica Malandra, nata a L’Aquila nel 1972, residente al Progetto case di Collebrincioni (L’Aquila) Emanuele Lo Grande Pandolfina Del Vasto, nato a Palermo nel 1951, residente a Pescara Franco Montanaro, nato a Roccamorice nel 1968 e lì residente Franco La Valle, nato a Chieti nel 1963 e lì residente Luca Infantino, nato a Legnano (Milano) nel 1981 e lì residente Maria Grazia Callegari nata a Venezia nel 1957, residente a Pino Torinese Franco Grespi, nato a Milano nel 1962 e residente a Gorizia Ornella Carolina Regina, nata a Milano nel 1961 e residente a Gorizia Marco Pavan, nato a Mirano nel 1984 e residente a Piombino Dese (Padova) Katia De Ritis, nata a Lanciano nel 1957 e lì residente Luigi Di Menno Di Bucchianico, nato a Lanciano nel 1967 e Rutilio Sermonti, nato a Roma nel 1921 e residente a Colli del Tronto Valerio Ronchi, nato a Mariano Comense (Como) nel 1966 e residente ad Arosio Giuseppa Caltagirone, nata a Casteldaccia (Padova) nel 1961 e residente ad Arosio (Como) Cristian Masullo, nato a Palmanova (Udine) nel 1973 e residente a Udine Fabrizio D’Aloisio, nato a Roma nel 1964 e residente a Fara in Sabina (Rieti) Anna Maria Scarpetti, nata a Roma nel 1953 e lì residente Annamaria Santoro, nata a Torino nel 1967 e residente a Moncalieri Serena Vecchiatini, nata a Codigoro (Venezia) nel 1979 e residente in Germania Barbara Bottinelli, nata a La Spezia nel 1964 e lì residente Gianni Lisetto, nato a Pasiano di Pordenone (Udine) nel 1964 e residente a La Spezia Nicola Trisciuoglio, nato a Napoli nel 1961 e lì residente Daniela Bugatti, nata a Milano nel 1960 e lì residente Loredana Bianconi, nata a Roma nel 1964 e lì residente Francesco Gallerani, nato a Castelmassa (Padova) nel 1954 e lì residente Marcello De Dominicis, nato a Penne nel 1976 e residente a Pianella Monica Copes, nata a Varese nel 1978 e lì residente Luigi Nanni, nato a Caracas nel 1966 e residente a Canosa Sannita (Chieti) Giovanni Mario Pilo, nato a Olbia (Sassari) nel 1958 e residente a Oschiri Antonio Esposito, nato a Castellamare di Stabia (Napoli) nel 1963 e lì residente Marco Cirronis, nato a Cagliari nel 1978 e residente a Oristano Alberto Bernasconi, nato a Como nel 1990 e residente a Solbiate (Como) Tiziana Agnese Mori, nata a Pavia nel 1968 e residente a Giussago (Pavia) Giovanni Trigona, nato a Palermo nel 1965 e residente a Lodi Marianna Muzzarelli, nata a Modena nel 1971 e residente a Maranello Maria Grazia Rapagnetta, nata a Civitavecchia nel 1965 e lì residente con il nome di Maria Grazia Santi Zuccari Miroslawa Legerska, nata a Cadca (Slovacchia) nel 1986 Giovanni Amorelli, nato a Gorizia nel 1976 e residente a Venezia Maurizio Gentile, nato a Roma nel 1961 e residente a Gorizia. I primi articoli della costituzione neofascista stilata dall’ex repubblichino Rutilio Sermonti democratico, associazione finalizzata all’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi nonché tentata rapina. Il programma dei neofascisti, hanno precisato il comandante nazionale del Ros, il generale Mario Parente, e il procuratore de L’Aquila Fausto Cardella, era “basato su un doppio binario... Da un lato atti destabilizzanti da compiersi su tutto il territorio nazionale e dall’altro un’opera di capillare intromissione nei posti di potere, tramite regolari elezioni popolari con la presentazione di un loro nuovo partito”. Accanto all’attività clandestina, infatti, al gruppo neofascista veniva impunemente permesso di fare anche propaganda alla luce del sole e di allargare il consenso utilizzando i social network. Il procuratore Cardella durante la conferenza stampa ha sottolineato: “Li abbiamo fermati in tempo. Stavano per usare le armi ma i carabinieri di Pescara sono riusciti a sequestrare in tempo un vero e proprio arsenale”. Tra le attività pubbliche era in cantiere la costituzione di un Movimento Politico per partecipare direttamente alle elezioni e una scuola politica, denominata Triskele, legata al fascistissimo “Centro Studi Progetto Olimpo”, che si sarebbe dovuta occupare dell’organizzazione di incontri in tutta Italia e di curare gli stretti contatti con altre organizzazioni neofasciste tra le quali i “Nazionalisti Friulani”, il “Movimento Uomo Nuovo” e la “Confederatio”. Luca Infantino (arrestato) è il camerata incaricato di darsi da fare su questo piano col preciso compito di partecipare “attivamente e pubblicamente – è scritto nelle 192 pagine dell’ordinanza – alla formazione di una lista civica denominata ‘Ilaria Casale’ da presentare alle elezioni amministrative tenutesi nel maggio 2014 nel comune di San Vittore Olona“, in provincia di Milano. Tra gli arrestati c’è anche Katia De Ritis, vicesegretario di Fascismo e Libertà, eletta lo scorso maggio nel consiglio comunale di Poggiofiorito (Chieti). Di lei i magistrati scrivono che “nell’ultimo periodo d’indagine si è spesa per individuare obiettivi fisici da colpire e canali per il reperimento di armi da fuoco e per i contatti con altri gruppi operativi”. Ma era prevista anche l’organizzazione di “Campi Hobbit”, richiamando il nome delle manifestazioni idea- te dal Fronte della gioventù tra il 1977 e il 1981 per propagandare l’ideologia fascista. C’era anche un luogo di “venerazione” lungo la costa abruzzese, dove gli appartenenti al gruppo di Manni e Sermonti si riunivano, ma sul quale gli investigatori mantengono il più stretto riserbo. L’organizzazione – secondo gli inquirenti – progettava anche azioni violente nei confronti di obiettivi istituzionali, tentando di reperire armi attraverso rapine o all’estero. I kalashnikov, ad esempio, dovevano essere comprati in Slovenia. “Quanto costano le caramelle? Mille l’una. Ne hanno cinque”, dicono Manni e Franco Grespi (anche lui arrestato) durante una telefonata intercettata. Ma si parla anche di “botti“: “Hanno solo quelli usa e getta, una botta sola, a 400 l’uno”, dice Grespi. “Non vanno bene, servono quelli da appoggiare e poi andare”, risponde Manni. Non a caso il Gip (Giudice per le indagini preliminari) Giuseppe Romano Gargarella, che ha firmato l’ordinanza, scrive che i neofascisti erano pronti a uccidere anche magistrati, rappresentanti delle forze dell’ordine, politici e ministri. Gli obiettivi finiti nel mirino, secondo la Procura de L’Aquila, erano Prefetture, Questure e uffici di Equitalia. Lo conferma ripetutamente lo stesso Manni, che al telefono, mentre viene intercettato dal Ros, dichiara: “È giunto il momento di colpire, ma non alla cieca. Non come alla stazione di Bologna, tra l’altro non attribuibile a noi, vanno colpite banche, prefetture, questure, uffici di Equitalia, con i dipendenti dentro”, spiega il gerarca neofascista , che precisa: “Perché Equitalia non ha un corpo e un’anima, opera (ed uccide) per mezzo dei suoi dipendenti... È arrivato il momento di farlo, ma farlo contestualmente. Non a Pescara e poi fra otto mesi a Milano“. In- somma, conclude Manni: “Credo che la via dell’Italicus sia l’unica percorribile”, alludendo alla strage neofascista compiuta nella notte del 4 agosto 1974 a San Benedetto Val di Sambro, in provincia di Bologna sul treno espresso Roma-Monaco di Baviera, in cui morirono 12 persone ed altre 48 rimasero ferite. Sul coordinamento dell’“azione” concorda anche Luca Infantino che precisa: “Deve essere simultanea e potrebbe colpire le città di Roma, Milano e Firenze per creare una punta di terrore, in quanto solo due bombe ad Equitalia non verrebbero commentate sui media”. Sarebbe più “utile colpire metropolitane tipo Bologna, Milano, Roma per incutere terrore nella popolazione”. In modo che “il popolo bue”, impaurito, “si rivolga a noi”. Le indagini hanno confermato anche una serie di minacce indirizzate contro il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Manni in vari messaggi postati su Facebook scrive fra l’altro che: “Questo è il momento storicamente perfetto per carbonizzare Napolitano e la sua scorta. Da qui deve partire la liberazione d’Italia”. Altre minacce vengono rivolte alla presidente della Camera Laura Boldrini, all’ex ministro per l’integrazione Cecile Kyenge, Pierferdinando Casini e al presidente della regione Abruzzo Gianni Chiodi. Nel mirino anche l’ordinovista Marco Affatigato, oggi latitante, che il gruppo neofascista voleva “eliminare” per vendetta perché “legato ai servizi segreti” e perciò considerato un “infame” colpevole degli arresti del 90% dei camerati”. Ferma condanna contro i rigurgiti fascisti è stata espressa dal presidente della comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, secondo cui: “Per chi si ispira al fascismo non ci devono essere mezze misure. Vogliamo credere che questo immenso lavoro si possa al più presto concretizzare con sentenze esemplari“. Insomma, ai camerati di Avanguardia Ordinovista non basta l’attuale regime neofascista, piduista, presidenzialista, liberista e interventista che, con la piena e fattiva collaborazione del PD, ha stracciato la Costituzione antifascista del 1948 e di fatto ha già restaurato il fascismo in Italia sia pure sotto nuove forme, metodi e vessilli; Non gli basta che a Palazzo Chigi sia salito il Berlusconi democristiano Renzi che rappresenta la reincarnazione moderna e tecnologica di Mussolini; essi continuano a tramare per ottenere la piena restaurazione della dittatura di stampo mussoliniano. Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHI e-mail [email protected] sito Internet http://www.pmli.it Redazione centrale: via A. del Pollaiolo, 172/a - 50142 Firenze - Tel. e fax 055.5123164 Iscritto al n. 2142 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze. Iscritto come giornale murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze Editore: PMLI chiuso il 14/1/2015 ISSN: 0392-3886 ore 16,00 corruzione / il bolscevico 9 N. 3 - 22 gennaio 2015 La norma più importante non si applica a “Mafia Capitale” L’Associazione dei magistrati: “debole” e “controproducente” la legge anticorruzione di Renzi il nuovo berlusconi cerca di zittire il presidente dell’anm che lo paragona al ministro della giustizia di mussolini Il 12 dicembre scorso con un disegno di legge preparato dal governo del Berlusconi democristiano Renzi, sono cominciati i lavori relativamente alla riforma del reato di corruzione e l’istituto della prescrizione nel diritto penale. Il testo è composto da una trentina di articoli incentrati soprattutto sul delitto contro la Pubblica Amministrazione che subirà un aumento nella parte della pena: la corruzione passerà ad una pena edittale (attualmente compresa tra un minimo di uno e un massimo di cinque anni) il cui taglio sarà da 6 a 10 anni. A ciò si aggiunge una modellazione del patteggiamento per questo tipo di reato soltanto per coloro che avranno restituito il maltolto. In ultimo il progetto legislativo dovrebbe prevedere anche l’allungamento dei tempi di prescrizione (il doppio per la corruzione) giustificato dall’esecutivo renziano con il fatto che i precedenti corrotti e corruttori la facevano franca con un tempo prescrittivo oggi fissato, per questo tipo di delitti, a sei anni; trascorsi i quali il giudice emetteva sentenza secondo la formulazione di rito “non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato”. L’Associazione Nazionale Magistrati, che già aveva bocciato la prima riformulazione del delitto di corruzione attuata dal governo Monti, parla di riforma “debole e controproducente” e lo spiega attraverso le parole di Rodolfo Maria Sabelli, presidente del sindacato delle toghe. Secondo Sabelli non ci sarebbe uno sconto per i collaboratori, e ciò non incoraggerebbe coloro che decidano di desistere dal compimento di questi reati. Inoltre, per i magistrati risulterebbe inadeguata la parte sulla prescrizione che va bloccata in primo grado e non soltanto sospesa, per poi “correre” ancora. Alle prime critiche subito hanno risposto con il piglio ducesco il nuovo Berlusconi e i suoi gerarchi: “I magistrati parlino con le sentenze, devono scrivere le senten- Chi è l’ideologo nero Rutilio Sermonti “La lotta politica attuale è sterile, non serve a nulla, nel 1930 l’Italia era la nazione più invidiata del mondo, oggi è l’ultima ruota del carro”. Così parlò Rutilio Sermonti, 94 anni, ex repubblichino e poi tra i fondatori dell’Msi, in una recente intervista al “Resto del Carlino” di Ascoli. Secondo i magistrati dell’inchiesta ‘Aquila Nera’ che l’hanno arrestato assieme ad altre 13 persone il 22 dicembre scorso, Sermonti è l’ideologo dell’associazione clandestina “Avanguardia Ordinovista”. Il suo compito era quello di stilare “una nuova costituzione repubblicana basata su un ordine costituzionale di ispirazione marcatamente fascista”. È accusato inoltre di aver “incitato i sodali del gruppo all’ ‘offensiva’ sostenendo che non sia più indispensabile ‘l’assalto delle masse, ma sufficiente l’azione di ‘pochi uomini, decisi, poco visibili e coraggiosi’”. Secondo la biografia stilata da Wikipedia, Sermonti nel 1942 partecipa da volontario alla seconda guerra mondiale come sottufficiale del Regio Esercito e, dopo l’ 8 settembre del 1943, aderisce alla Repubblica Sociale Italiana come ufficiale del Battaglione San Marco. Nella succitata intervista l’ “ideologo nero” nel tessere le lodi del duce ricorda ancora: “con grande emozione quando ho giurato davanti al Duce, nello stadio dei Marmi a Roma”. Nel dopoguerra, laureatosi in legge, Sermonti esercita la professione forense e contestualmente si dedica all’attività politica. Dirigente del Far (“Fasci di Azione Rivoluzionaria”) nel dicembre 1946, è tra i fondatori del Movimento Sociale Italiano, dal quale fuoriuscirà nel 1954 in segno di protesta in seguito all’insediamento di Arturo Michelini quale segretario del partito poiché ritenuto dal Sermonti troppo dialogante con la Democrazia Cristiana. Nel 1956 prese parte al Centro Studi Ordine Nuovo dove diviene membro del comitato direttivo. Rientrerà nel 1968 in seno al Movimento Sociale insieme a Pino Rauti e nel 1971 viene nominato segretario del Fronte Verde, il movimento ambientalista dell’Msi. Il “Movimento politico ordine CALENDARIO DELLE MANIFESTAZIONI E DEGLI SCIOPERI nuovo”, a cui si ispirava il gruppo, è stata un’organizzazione neofascista fondata nel 1969 da Clemente Graziani. Venne sciolta dal ministro dell’interno Paolo Emilio Taviani, dopo l’inchiesta condotta dal giudice romano Vittorio Occorsio, poi rimasto vittima di un agguato mortale, grazie alla quale diversi dirigenti vennero condannati per “ricostituzione di partito fascista”. Il Movimento Politico si ispirava alla rivista Ordine Nuovo, fondata nel 1956 da Pino Rauti e altri giovani fuoriusciti dall’Msi. Non pochi componenti di Ordine Nuovo – a partire proprio da Rauti e Graziani – sono entrati nelle inchieste sulle stragi: da Piazza Fontana a Piazza della Loggia, da Peteano alla bomba della stazione di Bologna. Negli anni ’80 Sermonti è presidente dei Gruppi Ricerca Ecologica. Dopo lo scioglimento del partito nel 1995, non aderisce ad An e confluisce nel Movimento Sociale-Fiamma Tricolore di Pino Rauti per poi, due anni dopo, partecipare alla fondazione del movimento politico Fronte Nazionale. ze e non devono fare comunicati stampa”, è stata l’arrogante replica di Renzi che ha invitato al silenzio i giudici. Replica secca di Sabelli che ha affermato che Renzi sta sullo stesso piano del Ministro di Giustizia del fascismo Vittorio Emanuele Orlando che, già prima dell’avvento di Mussolini, aveva espresso il suo disprezzo per le toghe diramando, nel 1907, una circolare diretta ai responsabili delle Corti territoriali nella quale rilevava con rammarico la diffusione tra i magistrati del “costume di pubblicamente interloquire intorno a questioni attinenti l’esercizio dell’ufficio loro, sia sotto forma di interviste, sia con lettere o con articoli” e concludeva minacciando sanzioni in caso di abusi. Prima di mettere il bavaglio definitivamente ai magistrati, lo stesso Orlando esprimeva “dubbi gravissimi” persino sull’associazionismo delle toghe ribadendo, in un intervento sul Corriere della Sera del 23 agosto 1909, il fatto che l’allora Agmi (oggi Anm) svolgesse un ruolo utile. Il suo omonimo, attuale Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, architetto del disegno di legge, ha commentato in maniera provocatoria: “Sembra che i giudizi siano stati molto condizionati dal clima che si è venuto a creare in seguito alla rottura su alcuni punti specifici. Per esempio, sul civile l’Anm aveva collaborato ampiamente alla redazione del decreto, ma l’introduzione della norma sulle ferie l’ha portata a dare un giudizio molto negativo sull’intera riforma”. E conclude il suo intervento minimizzando sull’inchiesta “Mafia Capitale”: “è qualcosa di diverso e non necessariamente di meno grave: mentre ai tempi di Tangentopoli era la politica che vessava l’economia, in questa caso abbiamo a che fare con una politica così debole che è preda di interessi economici e criminali di ogni sorta”. L’intervento-fotocopia della Ministro per le Riforme Costituzionali e per i Rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, rappresenta un ennesimo esempio dell’arroganza espressa in questi giorni dall’esecutivo Renzi in funzione antigiudici: “i magistrati applichino le leggi anziché commentarle: le leggi le scrive il Parlamento”. I giudici annunciano nuove iniziative e agitazioni, ritenendo la manovra contro la corruzione dilagante del tutto irrisoria, frutto di “una politica che sembra accorgersi improvvisamente dei guasti che i magistrati segnalano da anni: uno scandalo la riforma sulla prescrizione che disperde lavoro e risorse che andrebbe bloccata se non dopo l’esercizio dell’azione penale, come pure sarebbe ragionevole, quanto meno dopo la sentenza di primo grado”. L’art. 5 del disegno di legge parla di prescrizione sospesa dopo il primo grado, finché non riprende l’appello che dura più di due anni e la Cassazione più di uno. Con il pugno nello stomaco dell’impunità per i gravissimi delitti di “Mafia Capitale” contenuti nella norma transitoria: “le disposizioni si applicano ai fatti commessi successivamente all’entrata in vigore della presente legge”. In ultimo la stretta sulle intercettazioni ambientali e telefoniche, contenuta nell’articolo 25 del ddl Orlando che il viceministro Enrico Costa lo ritiene fondamentale esprimendo in poche parole il diktat “se non passa questo articolo, non passa tutto il resto”. Si tratta di una delega al governo per “garantire la riservatezza delle telefonate intercettate con sistemi che incidano sulle modalità di utilizzazione cautelare dei risultati e che diano una precisa scansione procedimentale all’udienza di selezione del materiale intercettativo”. In sostanza il pubblico ministero o il giudice procedente avranno delle restrizioni maggio- ri nelle ordinanze contenenti intercettazioni di persone né arrestate né indagate con una udienza filtro che dovrà vigilare a riguardo. Nonostante la sconcertante presa di posizione positiva del presidente della Authority Antitrust, Raffaele Cantone, sul pacchetto anticorruzione con un “il testo va bene” (mentre invece vi sono riserve sulla questione dell’allungamento della prescrizione), il ddl Orlando va rigettato in toto. Innanzitutto le intercettazioni ambientali e telefoniche devono essere svolte senza restrizioni e nella forma più ampia possibile per snidare i covi delle corruttele insite nel regime neofascista. Va respinta soprattutto la riforma sull’allungamento della prescrizione che, estesa a tutti i reati anche diversi da quelli contro la pubblica amministrazione, coprirà i gravi disagi degli uffici amministrativi e soprattutto gli errori che le diverse legislazioni degli ultimi anni hanno creato nell’ambito del sistema penale ai danni delle masse popolari e in favore dei corrotti e corruttori della peggiore risma, né più né meno come Tangentopoli. Sulla corruzione sia Renzi che Orlando, dopo gli ipocriti proclami estivi, si sono mossi quando ormai i buoi sono scappati: nulla contro altri reati come la corruzione giudiziaria o l’induzione illecita, niente sull’estensione delle norme antimafia sulle intercettazioni e sugli sconti di pena ai pentiti per denunciare i corrotti chieste dai magistrati, e niente manco a dirlo sull’urgente problema della mancanza di personale e di mezzi per far funzionare la giustizia e snellire i processi, che però Renzi pretende “rapidissimi” dai magistrati. Occorre ormai comprendere che corruzione e mafie hanno le loro radici nel capitalismo stesso in quanto parte integrante del sistema economico e politico della classe dominante borghese e vanno estirpate con esso. “Spese pazze” alla Regione Lazio per 2,6 milioni di euro Scialacquavano il denaro pubblico tra cene con ostriche e champagne, viaggi, feste, ecc. 44 indagati, tra cui Foschi, ex capo della segreteria di Marino Coinvolti sei ex consiglieri regionali del PD GENNAIO 8-16 16 27 30 Sciopero del trasporto pubblico in varie città LICTA - Sciopero del personale del trasporto aereo ENAV e TECHNO UILT-UIL, ANPAV - Sciopero del personale navigante del gruppo Alitalia Fabi - Sciopero nazionale dei bancari FEBBRAIO 17 LICTA, ANPCAT - Sciopero del personale del trasporto aereo ENAV Il PM di Rieti Giuseppe Saieva si appresta - dopo un anno e mezzo di indagini, 200 controlli incrociati, 300 testimoni ascoltati e ben 44 indagati - a chiedere il rinvio a giudizio per 13 ex consiglieri regionali del gruppo PD alla Regione Lazio per i reati di truffa aggravata, peculato, false fatturazioni e illecito finanziamento ai partiti commessi tra il 2010 e il 2012. Gli ex consiglieri del PD, secondo la Procura, sono accusati di avere sperperato 2 milioni e 600 mila euro in pranzi e cene di lusso con ostriche e champagne, viaggi, feste, battute di caccia e sagre del tartufo. Nell’inchiesta sono coinvolti nomi importanti del PD come quelli degli ex consiglieri e attualmente senatori Bruno Astorre, Carlo Lucherini, Claudio Moscardelli, Francesco Scalia e Daniela Valentini, e soprattutto dell’ex consigliere e ora deputato renziano Marco Di Stefano, coordinatore della Leopolda, già indagato a Roma dove la Procura lo sospetta di avere aperto un conto in Svizzera per farvi affluire tangenti e di avere ricevuto una mazzetta da 1 mi- lione e 800 mila euro che avrebbe ricevuto dal costruttore Pulcini in cambio di una sede per Lazio Service. La Procura di Rieti lo accusa di essersi intascato 36.000 euro per pubblicare 25.000 copie della sua autobiografia. Altri nomi importanti del PD emersi nell’inchiesta reatina sono quelli di Enzo Foschi, ex capo della segreteria del sindaco di Roma Marino, ed Esterino Montino, uno dei più importanti esponenti del Partito Democratico laziale e attuale sindaco di Fiumicino. Da quanto emerge dall’inchiesta del capoluogo sabino gli ex consiglieri offrivano con i soldi pubblici ad amici e simpatizzanti numerosi pranzi e feste spendendo dagli 8.000 ai 20.000 euro, si facevano rimborsare tutte le spese occorse per una battuta di caccia al fagiano a Fiumicino, pagavano le sanzioni amministrative per le infrazioni al codice della strada, i biglietti aerei, gli addobbi per l’albero di Natale, persino bottiglie di acqua minerale, il tutto per 2,6 milioni di euro complessivi. 4 il bolscevico / studenti N. 45 - 19 dicembre 2014 Conto corrente postale 85842383 intestato a: PMLI - Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 Firenze PMLI / il bolscevico 11 N. 3 - 22 gennaio 2015 Nel 91° Anniversario della sua scomparsa COMMEMORIAMO LENIN A CAVRIAGO Domenica 18 GENNAIO, ore 11 Piazza Lenin, Cavriago (Reggio Emilia), 19 gennaio 2014. Militanti e simpatizzanti dell’Emilia-Romagna, della Lombardia, del Piemonte e delle Marche del PMLI commemorano il grande Maestro del proletariato internazionale Lenin, in occasione del 90° Anniversario della scomparsa. Al centro da destra, i compagni Denis Branzanti, membro dell’Ufficio politico del PMLI e Responsabile del PMLI per l’EmiliaRomagna, Federico Picerni, Responsabile della Commissione giovani del CC del PMLI e Angelo Urgo, Segretario del Comitato lombardo del PMLI (foto Il Bolscevico) Domenica 18 gennaio 2015, in Piazza Lenin a Cavriago (Reggio Emilia), Commemorazione pubblica in occasione del 91° Anniversario della scomparsa di Lenin. Ritrovo ore 11,00. Discorso ufficiale ore 11,30. Partecipiamo numerosi per rendere omaggio al grande Maestro del proletariato internazionale Lenin! Applichiamo gli insegnamen- ti di Lenin riguardo la conquista del potere politico da parte del proletariato! Spazziamo via il governo del Berlusconi democristiano Renzi! Tutto per il PMLI, per il proletariato e il socialismo! Con Lenin per sempre, contro il capitalismo per il socialismo! Coi Maestri e il PMLI vinceremo! Curare la vita interna del Partito per fare bene il lavoro tra le masse Cari compagni, avete certamente ragione quando scrivete che è prioritaria la vita interna del Partito e che in alcuni casi è opportuno saltare una manifestazione di piazza per dedicare tempo all’elaborazione di una risoluzione su un documento del Centro. Militanti e simpatizzanti del PMLI hanno accolto con estremo favore la decisione del PMLI di creare una pagina apposita sul canale internet YouTube dove è anche stata recentemente postata la versione integrale della puntata del programma televisivo “Ottoemezzo” su Stalin con la presenza del compagno Mino Pasca. È certamente un canale molto seguito che ci permetterà ulteriormente di farci conoscere da un largo numero di navigatori. È stata fatta una lettura col- lettiva della Premessa e dei primi cinque articoli del Capitolo I dello Statuto del PMLI. Dopo, militanti e simpatizzanti del PMLI li hanno commentati rilevando l’estrema attualità di tali indicazioni nella creazione e salvaguardia del Partito del proletariato italiano. Usando una metafora possiamo immaginare il PMLI come una splendida “Rosa di Gerico” una pianta molto particolare che vive nel deserto e che in condizioni sfavorevoli si richiude in sé a palla diventando piccola e forte per non morire mentre in condizioni favorevoli, con acqua abbondante, apre i suoi rami e si estende dappertutto con forza e vigore raggiungendo parti molto lontane dal suo centro. Da un rapporto mensile dell’Organizzazione di Biella del PMLI “LA NUOVA SARDEGNA” DA’ NOTIZIA DELL’APPELLO DELLA NEONATA ORGANIZZAZIONE DI URAS DEL PMLI L’edizione cartacea e on-line del quotidiano “La Nuova Sardegna” dell’8 gennaio con l’articolo che riporta il comunicato dell’Organizzazione di Uras (Oristano) del PMLI appena fondata Coi Maestri Lenin e Stalin contro il revisionismo Importante, quando si avvicina (ricorre il prossimo 21 gennaio) l’anniversario della morte del grande Maestro Lenin, quanto ne scrive (cfr. ne “Il Bolscevico” n. 2/2015) l’altro grande Maestro Stalin, a ulteriore conferma, contro vecchie ma sempre ricorrenti calunnie, di una reale continuità tra i due Maestri, che poi si completerà con il quinto Maestro, Mao. A parte la modestia di Stalin nel trattare il tema, iniziando l’articolo con l’osservazione: “Mi sembra che non occorrerebbe scrivere sul ‘compagno Lenin in riposo’ (era a Gorky per i gravi postumi dell’attentato subito nel 1918, ad opera di un socialrivoluzionario, come ricordato nella nota redazionale iniziale) adesso che il suo periodo di riposo sta terminando ed egli tornerà presto al lavoro”. Poi la critica (condivisa assolutamente dai due Maestri) al revisionismo distruttivo dei socialrivoluzionari e menscevichi: “Il loro scopo è di screditare la Russia sovietica. Favoriscono gli imperialisti nella loro lotta contro la Russia sovietica. Sono caduti nella melma del capitalismo e stanno rotolando verso il precipizio. Si dibattono pure. Sono morti da tempo per la classe operaia”. Sottolineature importanti, sempre, anche per l’oggi, dove il revisionismo vecchio e nuovo è tanto in quello di destra, sempre pronto a distinguere e a discettare senza costrutto, sia in quello di sinistra (gli “ultrasinistri”, come saggiamente ammonisce sempre il compagno Segretario generale Scuderi, per me un nuovo Maestro) impegnato (si fa per dire) in un ribellismo “spettacolare” quanto inutilmente dannoso (l’ossimoro è voluto). Benissimo il comunicato del PMLI: “L’attentato a Parigi è frutto dell’imperialismo”. Eugen Galasso Concordo sull’analisi dei fatti di Parigi proposta dal PMLI Care compagne e cari compagni, sono completamente d’accordo con l’analisi politica sui fatti di Parigi espressa dal Partito nel comunicato stampa. È la stessa che ho sostenuto in questi giorni commentando con amici e compagni di lavoro quanto accaduto. E con fatica ed impegno, certo, poiché i mass-media asserviti al regime capitalistico hanno fatto passare (come sempre) tutto un altro tipo di messaggio. Ma è anche questo uno dei nostri doveri di marxisti-leninisti ossia quello di rendere cosciente, con la dialettica, il popolo che a questo non ci sarà mai fine se non lottiamo per l’abbattimento del capitalismo e per l’instaurazione del socialismo! Ottimo l’articolo sul rinnegato Giorgio Napolitano. Egli è colui che da anni copre, insieme ai suoi complici revisionisti, le peggiori nefandezze di questo Stato borghese. Bene avete fatto a dire che con le sue dimissioni non si esaurisce certo il suo compito che continuerà ad essere quello di garante del regime neofascista. Di questo ne sono certo anch’io, giusto averlo ribadito! Coi Maestri e il PMLI, vinceremo! Un caro saluto rosso a voi tutti. Andrea, operaio del Mugello (Firenze) Non solo guerre di religione Non so quanti di noi resterebbero indifferenti se il proprio Paese venisse invaso da eserciti stranieri, di culture religiose diverse dalla nostra che, con la scusa di portare pace e democrazia non richiesta, bombardano, distruggono, uccidono, imprigionano, violentano, umiliano! Quanti di noi resterebbero indifferenti nel vedere i propri figli, le proprie mogli, i proprio genitori morti, dilaniati dalle bombe? Quanti di noi non penserebbero alla vendetta? Ci sono generazioni che sono nate e cresciute in queste condizioni, specialmente nel Nord Africa e nel Medio Oriente, paesi islamici colonizzati da paesi cristiani e eserciti sionisti che, come sappiamo, bene non si sono comportati. La convivenza religiosa non è mai stata facile, è sempre stato il punto debole degli esseri umani e le lotte di religione lo dimostrano. I fanatici religiosi sono tutti figli della stessa madre, appartengono a tutte le religioni, disprezzano la vita umana e sono pronti a tutto, ad uccidere e a farsi uccidere. La violenza porta altra violenza, l’odio altro odio. L’odio reli- gioso per chi non la pensa come noi non è una novità, c’è sempre stato. Non bisogna cercare altrove versetti che incitano all’odio e allo sterminio di chi non la pensa come loro: “ma delle città di questi popoli che il Signore tuo Dio ti dà in eredità, non lascerai in vita ogni essere che respiri, ma li voterai allo sterminio: cioè gli Hittiti, gli Amorrei, i Perizziti, gli Evei e i Gebusei come il Signore Dio tuo ti ha comandato di fare” (tratto dalla Bibbia!). Alla luce di tutto questo, al di là del fatto che sono indignato nei confronti di questo crimine, provocare questi fanatici, con vignette satiriche, irridendo la loro religione e sapendo che non l’avrebbero presa bene non mi è sembrata una scelta molto intelligente. Roberto - Castelvetro di Modena Sono d’accordo con voi su Napolitano Cari compagni, riguardo all’articolo su Napolitano non so darvi torto, se non sul punto che Napolitano non è mai stato comunista e come lui molti altri operanti ad ogni livello nel PCI. Mi riferisco alla storia meno antica di tale partito, penso a Togliatti, Amendola, Ingrao, Berlinguer, Natta, Occhetto, D’Alema e Veltroni. Il titolo di revisionista per costoro e per tanti altri meno in vista, io credo, è onorifico: non se lo meritano. L’analisi dei fatti di Parigi da voi fatta è perfetta, grazie. Saluti. Nicola Spinosi - Firenze Per conoscere direttamente dai lavoratori e dagli studenti quali sono i loro problemi, le loro rivendicazioni, il loro parere sulla situazione politica, il loro stato d’animo, non c’è modo migliore di intervistarli durante le manifestazioni e le occupazioni. Naturalmente bisogna prepararsi bene prima dell’intervista avendo in mente le domande da porre in linea di massima e avendo con sé un registratore (o almeno un taccuino) e una macchina fotografica. Abbiamo già due modelli cui ispirarsi. Le interviste fatte dalla compagna Giovanna Vitrano e dal compagno Federico Picerni pubblicate rispettivamente su “Il Bolscevico n. 38/13 e n. 21/13. Si possono fare delle interviste anche durante i banchini. Le interviste sono utili pure per attirare l’attenzione sul PMLI e il suo organo . Coraggio, intervistate i lavoratori e gli studenti in lotta! Chi saranno i prossimi compagni a farle? 12 il bolscevico / cronache locali N. 3 - 22 gennaio 2015 Primarie per il sindaco Accordo tra PD e Forza Italia ad Agrigento Dal nostro corrispondente della Sicilia Si voterà nuovamente ad Agrigento nella primavera del 2015, poiché il neopodestà Marco Zambuto, PD, il campione italiano di salto della quaglia (ex-DC, ex-CDU, exUDC, ex-PdL, PD) ed eletto nel 2012, si è dimesso nel giugno del 2014, prima di essere sospeso per una condanna in primo grado per abuso d’ufficio. Lascia e adesso, assolto in appello, probabilmente si ricandida. Intanto, da presidente dell’assemblea regionale del PD, il democristiano Zambuto, con la benedizione di Renzi e Raciti, lavora per garantire l’elezione di un sindaco, se non lui come lui, in grado di continuare a foraggiare, nel regime di larghissime intese che vige in città, il comitato di politicanti e imprenditori collusi e prestanomi della mafia che da anni si spartisce i fondi pubblici. Il sindaco delle larghissime intese con buona probabilità sarà un esponente del PD di Renzi, considerato che nella scelta del vincitore alle primarie, invitata dai renziani di Agrigento, parteciperà anche Forza Italia, con in testa il suo capo locale e vice coordinatore regionale del partito del neoduce, Riccardo Gallo, eletto alla camera dei deputati con il Popolo della Libertà in quota DC ed adesso in FI. Il gioco, che neutralizzerà l’infuriata sinistra del PD agrigentino, è possibile perché FI parteciperà alle consultazioni “interne” al PD con la lista civica “Patto per il Territorio”. Una manovra che non poteva sfuggire al vero boss attua- Con “Noi Insieme”, il capitalismo può dormire sonni tranquilli La lista De Magistris-Vendolafalsi comunisti è una ruota di scorta del PD renziano Redazione di Napoli Grazie ad un accordo tra Vendola e De Magistris, sabato 3 gennaio è stata ufficializzata la nuova lista elettorale regionale “alternativa” a quella di “centro-destra” organizzata attorno all’attuale presidente forzista Caldoro che si ricandiderà per le regionali primaverili prossime. È entrata nel vivo la campagna elettorale del neopodestà De Magistris che, narciso come non mai, ha lanciato questa lista comprendente, oltre a SeL, anche i trotzkisti e falsi comunisti annidati in PCdI e PRC. “Tutto ciò rappresenta un incontro tra le liste civiche di sinistra dove è stata esaminata la situazione politica in vista delle prossime Regionali”, è scritto in una nota che conferma il manifesto-lista denominato “Noi Insieme”. Il lancio del programma minimo non è altro che una sintesi della solita solfa trita e ritrita tipica dei riformisti e dei falsi comunisti: “per il lavoro, per il diritto al reddito e per i giovani. Per battere la rassegnazione, per rinnovare la politica, per dare risposte concrete ai cittadini” (sic!). Nulla contro il capitalismo. La lista, secondo gli intenti dei promotori, sarebbe un’alternativa non solo a Caldoro (FI), ma anche al PD invitato a “voltare pagina”; nel contempo non si chiude al partito renziano con apertura di “momenti di ascolto in primo luogo con il movimento sindacale e con tutte le forze interessate, tenendo un’assemblea pubblica a fine gennaio per tirare un primo bilancio di questo lavoro”. Nelle prossime settimane “Noi Insieme” deciderà il candidato presidente da presentare alle elezioni regionali, nella speranza di entrare, semmai, nella competizione delle primarie PD che sta vedendo una prima sfida tra il neopodestà di Salerno, Vincenzo De Luca, e il capobastone di Bassolino, Andrea Cozzolino. Sta di fatto che la lista voluta dalla coppia narcisista Vendola-De Magistris non è altro che la nuova ruota di scorta del PD renziano, atteso che è evidente il tentativo di flirtare con i neoliberali anziché essere una valida opposizione al nuovo Berlusconi Renzi. Questo nuovo imbroglio elettorale va punito non votando i partiti borghesi e del regime capitalista, abbandonando ogni illusione elettorale, parlamentare, governativa, riformista, costituzionale e pacifista. Occorre astenersi disertando le urne, annullando la scheda o lasciandola in bianco. Accade nulla attorno a te? RACCONTALO A ‘IL BOLSCEVICO’ Chissà quante cose accadono attorno a te, che riguardano la lotta di classe e le condizioni di vita e di lavoro delle masse. Nella fabbrica dove lavori, nella scuola o università dove studi, nel quartiere e nella città dove vivi. Chissà quante ingiustizie, soprusi, malefatte, problemi politici e sociali ti fanno ribollire il sangue e vorresti fossero conosciuti da tutti. Raccontalo a “Il Bolscevico’’. Come sai, ci sono a tua disposizione le seguenti rubriche: Lettere, Dialogo con i lettori, Contributi, Corrispondenza delle masse e Sbatti i signori del palazzo in 1ª pagina. Invia i tuoi ``pezzi’’ a: Via A. del Pollaiolo 172/a - 50142 Firenze Fax: 055 5123164 - e-mail: [email protected] le di Girgenti, il ministro dell’Interno del governo Renzi, Angelino Alfano, che, in questi giorni, rispondendo ad un invito di Berlusconi, si è detto aperto a sostenere il candidato di Renzi. In conclusione nell’alleanza che sosterrà il prossimo candidato del PD uscito dalle urne delle primarie, ci saranno proprio quasi tutti i partiti borghesi, dalla destra, ai democristiani, al PD, dai filomafiosi inquisiti, agli “antimafiosi”, poiché, per la cronaca, neanche il governatore siciliano Rosario Crocetta, PD, con il suo “Il Megafono”, ha rifiutato di sostenere l’operazione. I politicanti borghesi che hanno provocato e accentuato con la loro rapacità i problemi delle masse popolari agrigentine, continuano ad inventarne di nuove per rimanere attaccati alle poltrone e depredare i fondi pubblici. E poi parlano di “libertà di scelta”, di “cambiamento”, di “rivoluzione”, quegli stessi che impongono nei fatti il candidato unico e lavorano per mantenere lo status quo mafioso ad Agrigento, infischiandosene altamente di quanto succede nella città, che ha uno dei tassi di disoccupazione più alti d’Italia, dove il lavoro è quasi esclusivamente precario, il dramma dell’emigrazione attanaglia i giovani e decine sono le vertenze aperte, e dove interi quartieri annunciano il loro astensionismo di protesta, com’è successo per le europee 2014. Che la base del PD agrigentino faccia fallire le primarie fasciste e filomafiose di Renzi, così come le masse agrigentine boccino tutti i candidati di regime, astenendosi alle elezioni comunali di maggio 2015. In provincia di Catania Lottiamo uniti contro la giunta Bonanno “centro-destra” di Caltagirone Dal corrispondente dell’Organizzazione di Caltagirone del PMLI Dopo poco meno di un decennio di amministrazione della città da parte della “sinistra” borghese con Francesco Pignataro - indagato per abuso di ufficio - attualmente il comune di Caltagirone (Catania) vede a presiedere la sua giunta il sindaco Nicola Bonanno, “centrodestra”. Egli è stato eletto dalle liste civiche “L’altra città autonomisti e moderati per il cambiamento”, “Progetto Caltagirone” e “Sintesi autonomista” nel maggio 2012 e già un anno dopo la sua amministrazione venne messa a dura prova dai continui scioperi da parte dei lavoratori del servizio di raccolta rifiuti e i conseguenti disagi in città: i netturbini, infatti, non percepivano lo stipendio in maniera regolare anche per via del debito di 9 milioni di euro che il comune aveva con la ditta Aimeri. Sempre nella primavera 2013 il Consiglio comunale di Caltagirone ha ufficialmente dichiarato il dissesto finanziario del comune per poi nominare tre commissari per la gestione di tale dissesto. Secondo il sindaco tale situazione era già di fatto presente dal 2011. In questi anni Bonanno è stato spesso contestato dalle masse popolari che hanno in più occasioni chiesto le sue dimissioni: sono esse, infatti, a pagare le conseguenze delle malefatte delle amministrazioni locali borghesi come di quelle regionali e nazionali. Nel frattempo, il numero di disoccupati cresce ed in particolare cresce il numero di giovani disoccupati: conseguenza di tutto ciò è l’aumento del tasso di emigrazione giovanile. Il malcontento della popolazione è stato palesemente espresso in occasione delle elezioni europee dello scorso anno: su 32.527 aventi diritto, hanno votato per liste e candidati soltanto 13.282 elettori, è dunque altissimo e in crescita il numero di astenuti. Ciò che è certo è che solo il socialismo potrà risolvere definitivamente i reali problemi di Caltagirone come degli altri comuni in Sicilia e in tutta Italia. Perciò invitiamo le masse calatine a lottare unite contro la giunta Bonanno. Sicuri che l’astensionismo elettorale contribuisca a superare questa “democrazia”? Ciao a tutti. Mi è capitato di imbattermi nel vostro sito, attraverso consigli di amici o link collegati ad altri siti, e ho deciso di spendere un po’ di tempo a cercare informazioni. Ho letto alcune cose davvero interessanti sul vostro sito ma altre che non condivido. Personalmente credo nella possibilità di un socialismo anche al giorno d’oggi (non ovviamente con i cosiddetti partiti di adesso) ma in altre forme. Ci sono alcune cose che vorrei chiedervi, se mi permettete. Prima di tutto, siete sicuri che l’astensionismo sia il metodo giusto per avere la meglio su questo tipo di “democrazia”? Riguardo al socialismo che intendete, ci sono personalità, legate alle cinque che ci sono nel vostro simbolo, a cui si può fare riferimento (esempio Fidel Castro, Ho Chi Min, ecc.)?. Che cosa pensate riguardo a Gramsci? Io lo considero un vero maestro. Magari però sbaglio. An- che qui se potete vorrei saperne di più, se avete qualcosa da consigliarmi da leggere. Un’ultima cosa: mi è capitato di leggere un vostro comunicato legato alla scomparsa di Pol Pot. Io ho studiato la storia della Cambogia in mille modi, sia prima che dopo l’impero Khmer, e devo dirvi che non riesco a trovarci veramente nulla di buono. Magari sono io che non riesco a capirlo. Se potete darmi chiarimenti anche su questo vi sarei grato. Grazie. Marcello - Ferrara Ciao Marcello, grazie per averci scritto e per averci posto i tuoi quesiti. Ovviamente siamo sicuri che sul piano elettorale, l’astensionismo tattico sia l’unica arma che possono disporre il proletariato, i fautori del socialismo e, in genere, l’elettorato di sinistra. Ci sembra che i fatti lo dimostrino ampiamente. Fidel Castro, secondo noi non è un comunista, Ho Chi Min lo è, ma non si può considerare all’altezza di Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao. Per noi Gramsci è all’origine del revisionismo in Italia. Non a caso non costituisce un problema per la borghesia, a parte la sua ala destra, ma non tutta, vedi Fini. Piace anche ai trotzkisti e ai partiti falsi comunisti, compreso il PC di Rizzo. Se vuoi approfondire la questione vedi sul sito del PMLI http://www.pmli.it/gramscimarxismoleninismodoccc.htm. Su Pol Pot sempre sul sito del PMLI puoi trovare alcuni nostri articoli tra cui http://www. pmli.it/onoreapolpot.htm. I libri di storia sono scritti da borghesi, a volte anticomunisti, quindi vanno presi con le molle. Siamo contenti che credi nel socialismo, ma cosa intendi “in altre forme”? Comunque, cosa stai facendo di concreto per l’avvento del socialismo in Italia? Potresti unirti al PMLI, visto che hai letto alcune cose “davvero interessanti” sul nostro sito. interni / il bolscevico 13 N. 3 - 22 gennaio 2015 Accusato di un danno erariale di oltre 800 mila euro quand’era presidente della provincia di Firenze Renzi sarA’ processato dalla Corte dei Conti Redazione di Firenze La Corte di Conti il 26 dicembre scorso ha deciso di confermare la chiamata in giudizio per Matteo Renzi il prossimo luglio per contestargli 816.124,15 euro di danno erariale per aver nominato, quand’era presidente della Provincia di Firenze, dal 2005 al 2009, quattro direttori generali invece di uno, come previsto dallo statuto. Secondo la Corte dei Conti, la Provincia “avrebbe potuto (e dovuto) nominare un solo Direttore Generale mentre ha provveduto alla nomina e alla remunerazione di quattro Direttori, e come se non bastasse con retribuzioni ben superiori a quelle massime previste dal C.C.N.L. (contratto collettivo nazionale). A maggior ragione se si considera che i soggetti nominati Direttori Generali non provenivano dall’esterno, ma erano dirigenti di ruolo con contratto a tempo indeterminato, in seguito collocati in aspettativa, per essere riassunti dallo stesso Ente con un contratto di diritto privato”. La responsabilità di Renzi è centrale perché come sottolinea sempre la Corte di Conti, “la vicenda traeva origine dal decreto del Presidente della Provincia n. 32 dell’11 settembre 2006”. Una lunga vicenda quella delle contestazioni della Corte dei Conti sulla gestione Renzi alla provincia di Firenze a cui il Berlusconi democristiano cerca di sottrarsi tramite l’avvocato Alberto Bianchi, già tesoriere della fondazione “Big Bang” (oggi “Open”) e nominato COLLABORATE CON Invito agli operai, lavoratori, precari, disoccupati, pensionati, donne, giovani, studenti il bolscevico mette a disposizione di tutti i suoi lettori non membri del PMLI, senza alcuna discriminazione ideologica, religiosa, politica e organizzativa, fatta salva la pregiudiziale antifascista, alcune rubriche affinché possiate esprimere liberamente il vostro pensiero e dare il vostro contributo personale alla lotta contro il governo, le giunte locali, le ingiustizie sociali, la disoccupazione, il neofascismo e i mali vecchi e nuovi del capitalismo, per l’Italia unita, rossa e socialista. Alla rubrica “LETTERE” vanno indirizzate le opinioni di sostegno al Bolscevico, al PMLI e ad ogni sua istanza anche di base, nonché le proposte e i consigli tendenti a migliorare il nostro lavoro politico e giornalistico. Alla rubrica “DIALOGO CON I LETTORI” vanno indirizzate le questioni ideologiche e politiche che si intendono dibattere con “Il Bolscevico”, anche se sono in contraddizione con la linea del PMLI. Le lettere non devono superare le 3.600 battute spazi inclusi. Alla rubrica “CONTRIBUTI” vanno indirizzate le opinioni riguardanti l’attualità politica, sindacale, sociale e culturale in Italia e nel mondo. Tali opinioni non necessariamente debbono coincidere in tutto con quelle del PMLI, ma non devono nemmeno essere contrapposte alla linea del nostro Partito. In tal caso non si tratterebbe di un contributo alla discussione e all’approfondimento dei temi sollevati dal PMLI e da “Il Bolscevico”, ma di un intervento contraddittorio adatto tutt’al più alla rubrica “Dialogo con i lettori”. Alla rubrica “CORRISPONDENZA DELLE MASSE” vanno indirizzate le denunce e le cronache di avvenimenti sociali, politici, sindacali che interessano la propria fabbrica, scuola e università e ambiente di vita, quartiere di abitazione, città o regione. Sbatti i signori del palazzo in 1ª pagina Libere denunce dei lettori Alla rubrica “SBATTI I SIGNORI DEL PALAZZO IN 1ª PAGINA” vanno indirizzate le denunce delle ingiustizie, angherie, soprusi, malefatte e mascalzonate che commettono ministri, governatori, sindaci, assessori, funzionari pubblici, insomma chiunque detenga del potere nelle istituzioni borghesi. Utilizzate a fondo queste rubriche per le vostre denunce, vi raccomandiamo solo di essere brevi, concisi, chiari... e coraggiosi. Usate la tastiera o la penna come spade per trafiggere i nemici del popolo, come un maglio per abbattere il palazzo, come scope per far pulizia delle idee errate e non proletarie che i revisionisti e i riformisti comunque mascherati inculcano alle masse lavoratrici, giovanili, femminili e popolari, come un energetico per incoraggiare le compagne, i compagni e le masse ad andare fino in fondo nella lotta di classe contro il capitalismo, per il socialismo. La Redazione centrale de “Il Bolscevico” LE CORRISPONDENZE VANNO INVIATE A: [email protected] IL BOLSCEVICO - Via del Pollaiolo 172a - 50142 FIRENZE Fax 055 5123164 da Renzi la scorsa primavera nel cda di Enel. La prima udienza risale al dicembre 2013 quando “la Procura contabile riteneva esistente la dannosità della spesa e la grave colpevolezza degli interessati” e fissava un’udienza per il 24 settembre 2014 in cui doveva comparire il capo del governo che, calcando perfettamente le orme del suo modello di Arcore, il 24 settembre scorso ha evitato di presentarsi invocando il “legittimo impedimento” perché impegnato in un viaggio negli USA. Insieme a lui sono indagati l’ex assessore provinciale Tiziano Lepri e il dirigente dei servizi finanziari della provincia Rocco Conte, nonché i quattro ex direttori Lucia Bartoli, Luigi Ulivieri, Liuba Guidotti, Giacomo Parenti e l’ex segretario generale Felice Strocchia. La nomina dei quattro direttori è solo uno degli aspetti delle spese fatte sostenere da Renzi alla provincia di Firenze, da lui ge- stita come un feudo piazzando i fedelissimi come Marco Carrai e Giovanni Palumbo in posti chiave e utilizzata come trampolino per costruire la sua carriera politica e il suo lancio mediatico su scala nazionale. Un’altra indagine della Corte dei Conti riguarda l’aver sostituito di fatto l’ufficio stampa interno della provincia con un incarico a Florence Multimedia, di cui era amministratore il sodale Marco Carrai, con un contratto di oltre 900 mila euro, tre volte più di quanto previsto dal regolamento. La funzione fondamentale di Florence Multimedia è stata quella di organizzare per Renzi, sotto il titolo “Il genio fiorentino”, una serie di iniziative che hanno distribuito contributi a pioggia e lo hanno visto scorrazzare in tutta la provincia a tagliare nastri e stringere mani. E ancora sotto inchiesta sono le spese di rappresentanza negli Stati Uniti, pranzi e cene a base di aragosta e vini pregiati, biglietti aerei e simili. Renzi a sciare a spese del popolo A Courmayeur con un volo di Stato Le vacanze di capodanno della famiglia Renzi sono costate care al popolo italiano, a cominciare dallo spostamento da Firenze ad Aosta con un volo di Stato, un aereo Falcon 900 il cui costo operativo complessivo è di 9.000 euro l’ora che il pomeriggio dello scorso 30 dicembre riporta in Italia dall’Albania Matteo Renzi dove era stato in visita ufficiale e, contrariamente ai piani previsti secondo i quali avrebbe dovuto atterrare a Roma, atterra nel capoluogo toscano e rimane sulla pista solo per il tempo necessario all’imbarco della moglie e dei figli e riparte subito per Courmeyeur, in Valle d’Aosta, dove atterra alle 21,25 e riparte subito per Roma. Anziché 90 minuti, come avrebbe dovuto fare se fosse atterrato a Roma, l’aereo quel giorno è rimasto in volo per ben 5 ore, tre ore e mezza in più del dovuto se si considera la tratta più lunga che porta da Tirana a Firenze an- ziché a Roma, poi il volo dal capoluogo toscano a Courmayeur, dove Renzi si è trattenuto alcuni giorni a sciare con la famiglia, e infine il ritorno a Roma dalla città valdostana, con una maggiorazione di spesa di oltre 30.000 euro pagate dal popolo lavoratore. L’uso dei voli di Stato è disciplinato rigidamente dal decreto legge n. 98/2011 convertito nella legge n. 111/2011, che in effetti attribuisce al presidente del Consiglio la possibilità di utilizzare per finalità istituzionali i voli di Stato, ma questo ovviamente non vale per estranei come appunto sono i suoi familiari. Quindi un volo pubblico è stato utilizzato per scopi che nulla hanno a che vedere con la carica ricoperta da Renzi, per cui il fatto è grave sia sul piano strettamente giuridico sia su quello dell’opportunità e dell’immagine che le istituzioni borghesi danno alle masse popolari. Tra Casalesi e la famiglia Cosentino “rapporto di mutua utilità” La DDA di Napoli sequestra le imprese collegate con l’ex viceministro e fedelissimo di Berlusconi Sigilli alla “Aversana Petroli” e a 142 distributori per un giro di affari di 120 milioni di euro Redazione di Napoli Lunedì 22 dicembre la DDA di Napoli, in un’operazione che ha coinvolto tutto il territorio nazionale, ha operato un maxisequestro della “Aversana Petroli” e dei 142 distributori collegati alla famiglia Cosentino, in particolare ai fratelli Antonio, Giovanni e Nicola. Si tratta di un durissimo colpo inferto alla mafia Casalese e al contempo si smaschera completamente il giro di affari loschi condotto dalla famiglia con esponente il fedelissimo del neoduce Berlusconi, nonché ex viceministro all’Economia, in carcere dal 3 aprile scorso. L’inchiesta condotta dai pubblici ministeri Antonello Ardituro, Alessandro D’Alessio e Fabrizio Vanorio e coordinata dal pm Francesco Curcio rileva “una sorta di rapporto di mutua utilità” tra il clan dei Casalesi e la famiglia Cosentino: un giro d’affari di ben 120 milioni di euro che andava ben oltre i confini della Campania. “Nicola Cosentino, pur non figurando come socio, esercitava pressioni su amministratori locali per ottenere autorizzazioni a favore delle aziende”, secondo il procuratore napoletano Giovanni Colangelo. Il blocco imposto dai Cosentino avrebbe portato società come Q8 e Kuwait petroleum ad essere né più né meno asservite ai voleri della famiglia dell’ex sottosegretario e dei clan. Già la Corte di Cassazione aveva confermato, lo scorso 31 ottobre, la giustezza dell’impianto cautelare che aveva portato in carcere non solo Nicola, ma anche Giovanni Cosentino che in una intercettazione telefonica affermava senza alcun pudore: “Chi ha più forza quello spara. Dove ci vuole la politica, c’è mio fratello Nicola. Dove ci vogliono i soldi, ci sto io. E dove ci vuole la forza, c’è pure la forza”. Oltre a Nicola e Giovanni, è indagato, ma non in carcere, Antonio Cosentino; la Procura ha poi inserito nella lista anche l’ex prefetto di Caserta ed ex parlamentare Pdl Maria Elena Stasi, indagata per il reato di corruzione per aver adottato alcune scelte ritenute favorevoli alle società dei Cosentino in materia di certificazione antimafia in cambio della candidatura alla Camera. Per la famiglia Cosentino la nuova forte accusa della Direzione Distrettuale Antimafia di aver fatto pressioni sulle amministrazioni locali, soprattutto quelle della provincia di Caserta, per favorire le aziende di famiglia. Sta di fatto che sull’ex coordinatore del Pdl campano ed ex sottosegretario pendono gravissime accuse che vanno dal concorso esterno in associazione mafiosa e riguardante le vicende del consorzio dei rifiuti Caserta 4 risultato infiltrato dal clan dei Casalesi. A ciò si aggiunge l’imputazione per Cosentino per reimpiego di capitali illeciti in relazione alla costruzione di un centro commerciale mai realizzato a Casal di Principe. Con il sequestro di 120 milioni di euro e i sigilli all’azienda di famiglia “Aversana Petroli”, si apre un terzo pesante procedimento penale che grava sulla testa sia di Nicola Cosentino che della sua famiglia. D’altronde Cosentino, conosciuto con il soprannome di “Nick o’mericano” (Nicola l’americano), è parente acquisito di diversi camorristi: suo fratello Mario è infatti sposato con Mirella Russo, sorella del boss dei casalesi Giuseppe Russo (detto “Peppe O’ Padrino”), che sta scontando un ergastolo per omicidio e associazione mafiosa. Un quadro ben chiaro, ormai, che la dice lunga sul codazzo di inquisiti, condannati e delinquenti che si accompagnavano (e si accompagnano) al neoduce Berlusconi e ai suoi compari mafiosi e camorristi. Il decreto legge per scongiurare le sanzioni di Strasburgo è una truffa ai danni dei detenuti Dedico questo breve contributo ai miei compagni di sventura rimasti nei gironi dell’inferno di Poggioreale, i più interessati a quanto esporremo perché costretti a vivere in gabbie disumane. La cella è di 12-13 mq, oltre ad un vano cucina di un metro ed un cesso (non lo si può chiamare altrimenti) con una parvenza di doccia, che due volte alla settimana, per pochi minuti, vomita un liquido caldo dal colore sospetto e dall’odore indefinibile. Per lavarsi ogni giorno si usa una brocca con la quale ci si getta addosso un po’ di acqua prelevata dal lavandino allagando tutto il vano che poi andrà svuotato a colpi di ramazza. La Corte di Strasburgo minac- ciava gravi sanzioni pecuniarie verso l’Italia, se non avesse reso i penitenziari più vivibili, per cui in tutta fretta è stato approvato un decreto legge, che prevede un abbuono di 1 giorno per ogni 10 trascorsi in celle sovraffollate o un risarcimento di 8 euro al giorno per chi ha già scontato la pena. Ma la normativa è stata resa inoperante per l’interpretazione data alla stessa dalla magistratura di sorveglianza, che sta dichiarando inammissibili la quasi totalità dei ricorsi con le più svariate motivazioni, costringendo a defatiganti ricorsi in Cassazione. La Corte di Strasburgo nel frattempo certa che giustizia è stata fatta ha bocciato le migliaia di istanze presentate in questi anni a partire dalla sentenza Torreggiani del gennaio 2013, in cui era stata condannata l’Italia ad un risarcimento cospicuo per aver tenuto alcuni detenuti (situazione normale) in celle dove disponevano di tre mq a testa (tenendo conto che in Europa negli allevamenti ad un maiale ne sono obbligatoriamente concessi 10). I penitenziari si rendono vivibili garantendo ai detenuti quanto previsto dalla legge: semi libertà a metà pena, affidamento in prova quando mancano 4 anni dal fine pena, gli ultimi 18 mesi di reclusione ai domiciliari; provvedimenti che gradualmente svuoterebbero i penitenziari, tenendo conto che oltre 20.000 detenuti potrebbero beneficiarne, portando il numero dei reclusi in linea con quanto perentoriamente ri- chiestoci dall’Europa Un discorso a parte meritano i numerosi tossicodipendenti, che dovrebbero essere, prima che puniti, curati in apposite strutture. Per convincere l’opinione pubblica che indulto ed amnistia sono ineludibili (parole del presidente della Repubblica) basterebbe che si montasse nelle piazze principali del nostro Paese un cubo avente il volume di una cella, nella quale secondo le normative della UE non potrebbero vivere 4 maiali e viceversa vivono, nei gironi infernali di Poggioreale e dell’Ucciardone, 16 esseri umani 23 ore su 24 ed invitare altrettanti cittadini ad entrarvi e a rimanerci non 1 anno, non 10 anni, non fine pena mai, ma soltanto un’ora. Achille della Ragione 4 Contro il Jobs Act e la legge di stabilità e per la difesa dell'art.18 il bolscevico / studenti P Stampato in proprio V R E E R E N. 45 - 19 dicembre 2014 C NI o o n n r r e e v v o o gg nii n l o l o i c i c s s u a ivvia Beerrllu ano B o i l o t l e s e i m d r m d c a a i o i z m z e z i z d a z a p n p SS e R Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO www.pmli.it fatti di parigi / il bolscevico 15 N. 3 - 22 gennaio 2015 L’azione di guerra al settimanale satirico islamofobico “Charlie Hebdo” Un attacco all’imperialismo francese I governanti dell’Unione imperialista europea e il nazisionista Netanyahu marciano uniti contro gli islamici antimperialisti. Renzi pronto ad andare in armi in Libia e nello Stato islamico Uniamoci contro l’imperialismo, per la libertà dei popoli, per l’indipendenza e la sovranità dei Paesi, per il socialismo Nel rivendicare l’attacco al settimanale satirico islamofobo “Charlie Hebdo” a Parigi uno dei responsabili di Al Qaeda nella penisola arabica (Aqap) ha affermato: “la Francia smetta di attaccare l’Islam, i suoi simboli e i musulmani o ci saranno nuove operazioni. Alcuni dei figli di Francia sono stati irrispettosi con i profeti di Allah. Non sarete in sicurezza fino a che combatterete Allah, il suo messaggero e i credenti”. “Sono un componente dello Stato islamico”, affermava il combattente islamico antimperialista che aveva fatto irruzione all’interno del supermercato kosher della Porte de Vincennes a Parigi in una conversazione con l’emittente BfmTv, “voi attaccate il Califfato, voi attaccate lo Stato Islamico, e noi attacchiamo voi”. Affermazioni che chiariscono il significato politico degli attacchi nella capitale francese, un attacco all’imperialismo francese che tutela in armi i suoi interessi in Afghanistan, Iraq, Libia, Yemen, Siria, Mali, Ciad e altrove. Una politica che si è sviluppata recentemente senza soluzione di continuità dalla presidenza del destro Sarkozy, protagonista tra l’altro dei bombardamenti sulla Libia, a quella della presidenza del socialista Hollande che è intervenuto in Costa d’Avorio e Mali e ha sviluppato la cooperazione di intelligence in Nigeria con gli Stati Uniti e voleva, ancora più di Obama, bombardare la Siria per distruggere anche il regime di Assad. La valanga di notizie e commenti generata dagli organi di informazione che ha accompagnato e seguito gli attacchi di Parigi, imbastita dalla destra come dalla “sinistra” borghese salvo rarissime voci contrarie, ha teso a dimostrare che i paesi imperialisti occidentali sono i “buoni”, quelli dalla parte della ragione, colpiti dalla “immotivata furia terrorista” di matrice islamica. Mentre fascisti e razzisti di ogni paese europeo hanno fatto a gara per accreditare l’equazione Islam uguale terrorismo e dare sostanza a una campagna islamofoba che continua con i ricattatori inviti a tutti gli islamici perché si dissocino dal terrorismo. Ma nessuno ha chiesto ai cristiani di dissociarsi dopo la strage di Utoya in Svezia compiuta dal fanatico integralista cristiano Anders Breivik né agli ebrei dopo che il sionista Baruch Goldstein uccise a raffiche di mitra 29 musulmani che andavano a pregare alla Grotta dei Patriarchi a Gerusalemme, per non citare Gaza. Il coro reazionario islamofobo ha l’obiettivo di generare paura nelle masse popolari europee, giustificare nuove misure repressive all’interno dell’Unione europea e preparare il terreno per dare un consenso di massa a possibili nuove aggressioni militari. Come ha evidenziato il comunicato del 10 gennaio dell’Ufficio politico del PMLI, “È in atto da anni una guerra tra gli islamici antimperialisti e l’imperialismo che saccheggia e domina, o cerca di dominare con le armi, i loro Paesi. (…) Ormai, dall’11 settembre di New York, la guerra di resistenza all’imperialismo, sotto forma di azioni terroristiche, è portata fin dentro i Paesi imperialisti, ed è impensabile fermarla se gli imperialisti non si ritirano dai Paesi che occupano o che controllano”. Quelli di Parigi sono atti di una guerra che usa il terrorismo come strumento. Iniziati la mattina del 7 gennaio quando il commando di due franco-algerini ha colpito il settimanale satirico islamofobico “Charlie Hebdo” uccidendo il Direttore eundici redattori; i due in fuga sono stati intercettati e uccisi il 9 gennaio dopo che si erano rifugiati nella sede di una tipografia nella cittadina di Dammartinen-Goele, nella regione Seineet-Marne a Nord Est di Parigi. In contemporanea la polizia aveva fatto irruzione nel negozio ebraico della Porte de Vincennes a Parigi dove si era barricato il terzo componente del commando uccidendolo. All’interno del negozio gli agenti trovavano altre quattro persone morte. La sua azione era iniziata il giorno precedente, l’8 gennaio, con l’uccisione di una vigilessa nel quartiere Montrouge nel sud di Parigi. Contattati per telefono dall’emittente BfmTv gli assalitori del settimanale dichiaravano di far parte di Aqap, ossia di Al Qaeda e affermavano: “non siamo killer. Siamo difensori del profeta. Noi non ammazziamo donne, non ammazziamo nessuno. Noi difendiamo il profeta. Se qualcuno offende il profeta allora non c’è problema, possiamo ucciderlo. Ma noi non uccidiamo donne. Non come voi. Siete voi che uccidete i bambini dei musulmani in Iraq, Siria e Afghanistan. Siete voi. Non noi”. Aqap accusa da tempo la Francia di perseguire con il suo interventismo in politica estera una rinnovata volontà coloniale, di voler occupare terre islamiche imponendo i propri valori e le accuse si erano intensificate a partire dall’inizio del 2013, contestualmente all’intervento militare dell’imperialismo francese in Mali. Dal negozio circondato dalla polizia il terzo assalitore dichiarava di appartenere allo Stato islamico e tra l’altro dichiarava “l’ho fatto per tutte le oppressioni. L’ho fatto per difendere tutti i Paesi dove sono oppressi i musulmani. Come la Palestina”. In un video postumo pubblicato l’11 gennaio sulla rete spiegava: “tutto quello che facciamo è legittimo. Non potete attaccarci e pretendere che non rispondiamo. Voi e le vostre coalizioni sganciate bombe sui civili e sui combattenti ogni giorno. Siete voi che decidete quello che succede sulla Terra? No. Non possiamo lasciarvelo fare. Vi combatteremo”. Nell’annunciare i riusciti blitz dei corpi speciali e l’uccisione degli assalitori il presidente francese Hollande lanciava il 9 gennaio la manifestazione di due giorni dopo a Parigi con un “appello a tutti i francesi per dimostrare con la marcia di domenica i valori della democrazia e del pluralismo, e tutti i principi che l’Europa rappresenta”. La marcia alla quale partecipavano una cinquantina di capi di Stato e di governo era aperta da uno schieramento che conferma quali siano i “valori” cui aveva fatto riferimento Hollande. Accanto agli interventisti Cameron e Renzi erano presenti tra gli altri il nazisionista Benjamin Netanyahu accompagnato dal suo ministro dell’Economia Naftali Bennett che, come ricordava Le Monde, si era detto orgoglioso di aver ucciso “molti arabi”; il presidente reazionario ucraino Petro Poroshenko, il premier turco Ahmet Davutoglu che ha appena incarcerato giornalisti dell’opposizione, il ministro degli Esteri egiziano Sameh Choukryou in rappresentanza dei militari golpisti egiziani. Quando i governanti imperialisti invitano all’unità nazionale per difendere la libertà e i “valori” dell’Europa e dell’Occidente invitano in realtà a difendere il capitalismo, la dittatura della borghesia, le loro istituzioni antipopolari e la loro politica imperialista e interventista. Se ce ne fosse bisogno lo confermano varie dichiarazioni di Renzi fra le quali quella relativa al possibile intervento in Libia: “L’inviato delle Nazioni Unite sta tentando quello che credo sia l’ultima carta, e cioè recuperare il Parlamento di Tripoli e quello di Tobruk – affermava - ma se quella missione non porterà frutti, l’Italia è pronta a un protagonismo innanzitutto diplomatico e poi anche di peacekeeping” in territorio libico, come già anticipato dal mi- nistro degli Esteri Paolo Gentiloni in un’intervista a Repubblica. Per l’imperialista Renzi la Libia è “una priorità” e per il suo ruolo strategico “non può essere lasciata nelle condizioni in cui è”. Lo aveva preceduto con un discorso interventista il ministro Gentiloni che nell’intervista affermava che “nell’area del Medio Oriente per la prima volta si è insediato un gruppo terroristico che non ha precedenti in quanto a capacità militare, economica, organizzativa e direi soprattutto propagandistica, perché penso agli effetti moltiplicatori che si riverberano in Europa. Quello che è accaduto in Francia è la spia di questa minaccia nuova; illudersi che questa minaccia possa essere fronteggiata senza intervenire, astenendosi, credendo di poterci chiudere nelle nostre frontiere è un’idea pericolosa”. Calzando l’elmetto il bellicista ministro affermava che “noi dobbiamo colpire, sradicare, estirpare la minaccia nel luogo in cui è più radicata, quello del Daesh (il nome arabo dello Stato islamico, ndr): in luglio/agosto la minaccia era incomparabilmente maggiore di quanto non sia adesso sul terreno in Iraq. Ma le onde di ritorno, i movimenti di vari combattenti colpiscono in Europa e proseguiranno a colpire, a prescindere dal fatto che a Kobane o altrove ci possano essere delle vittorie militari per la coalizione a cui partecipiamo. Quella minaccia va estirpata, fronteggiando anche le altre che provengono da Al Qaeda, da Boko Haram e dagli altri focolai di terrorismo”. Per questo, concludeva Gentiloni, “il Governo chiede unità al Parlamento non solo per rafforzare e riorganizzare il dispositivo che contrasta il terrorismo all’interno del Paese, ma per combatterlo fuori. (…) Qui siamo di fronte a uno scontro frontale, anche militare. Non conta la parola, contano i fatti. Chiaramente senza metterci a fare delle crociate idiote”. Invece di iniziare dal cessare gli interventi militari e rispettare la sovranità degli altri paesi, Gentiloni lancia la crociata “intelligente” che è comunque imperialismo allo stato puro e indica quanto sia tanto più necessaria la lotta contro l’imperialismo, primo fra tutti quello italiano guidato dal governo del Berlusconi democristiano Renzi, che è in prima linea sul fronte contro gli islamici antimperialisti, e contro l’Unione europea imperialista così come si è confermata nelle vicende di Parigi. LAVORO 2 il bolscevico / documento dell’UP del PMLI SCIOPERO GENERALE DI 8 N. 23 - 12 giugno 2014 ORE Giù le mani dall'articolo 18 e dallo Statuto dei lavoratori Abolizione del precariato e assunzione di tutti i precari Rinnovo dei contratti di lavoro del Pubblico impiego Spazziamo via il gove rno del Berlusconi democris tiano Renzi PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] www.pmli.it Stampato in proprio IL PROLETARIATO AL POTERE ITALIA UNITA, ROSSA E SOCIALISTA