Pubblicazione trimestrale del servizio volontario internazionale - Anno XXVII - Marzo 2014 - Sped. in abb. post.art. 20/c. - L. 662/96 - Fil. di Brescia Autorizz. del Tribunale di Brescia n° 64/89 del 12/02/1989
In caso di mancata consegna rinviare all’UFFICIO POSTALE DI BRESCIA CMP detentore del conto per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa.
Servizio Volontario Internazionale
esserci
01
PACHA MAMA
LE MICRO
BURUNDI
Attivazione di campi modello - € 1000
Tra le associazioni di agricoltori i cui membri si sono dimostrati seriamente interessati alle attività del progetto e soprattutto al corso di formazione, ne saranno scelte alcune cui sarà proposto di
creare in un loro appezzamento di terreno un campo modello che sarà
coltivato seguendo tutte le tecniche apprese e in cui saranno piantate
anche le piantine di agro-forestry provenienti dal vivaio SVI e che favoriranno l’arricchimento dei principi nutritivi del terreno.
UGANDA – Iriiri - Distretto di Napak
Riabilitazione di 14 granai per lo stoccaggio
del surplus di granaglie (€ 50 cadauna) - € 700
Una delle problematiche principali durante la stagione della secca (che
va da novembre a marzo) è quella di stoccare il surplus alimentare prodotto durante la stagione delle piogge.
Questa micro punta alla riabilitazione di 14 granai/cisterna che durante
gli anni hanno subito dei danneggiamenti per mettere in condizione le 7
comunità beneficiarie di stoccare al meglio il proprio surplus.
UGANDA – Kapedo
Costruzione di un piccolo laboratorio per il filtraggio
e il confezionamento di miele selezionato - € 1500
Per contribuire al miglioramento della qualità e della commercializzazione del miele, prodotto dagli apicoltori locali, abbiamo bisogno di un laboratorio in cui filtrare e confezionare il miele selezionato.
VENEZUELA- Las Amazonas
Costruzione di un barile di compostaggio
per un orto famigliare - € 250
Nell’appoggio agli orti famigliari continuiamo a sperimentare sempre
nuove tecniche, una tra le tante è un sistema di compostaggio in barile per ottenere il compost più rapidamente e di miglior qualità. Grazie
al tuo appoggio potrai aiutare una famiglia a produrre un buon concime per alimentare la terra quindi ottenere verdure più sane per la salute di tutta la famiglia.
VENEZUELA – San Félix
Realizzazione di una Bottega Solidale – € 600
Con il gruppo di salute integrale Salud y Vida del quartiere La Victoria si
vuole realizzare una Bottega Solidale, in cui preparare e vendere a prezzo solidale prodotti di medicina naturale, oltre che a preparati e strumenti per curare in maniera biologica gli orti organici.
VENEZUELA – Las Claritas
Fornire materiali per il corso di taglio e cucito - € 500
Grazie al vostro contributo 14 donne potranno usufruire dei materiali necessari per apprendere a confezionare i propri vestiti e imparare a produrli per altre persone, fornendo un valido aiuto alla crescita personale e
all’ autonomia delle donne che partecipano al corso.
Le micro sono un semplice strumento per
sostenere insieme il peso di uno sviluppo più giusto.
Sostieni lo SVI attraverso le micro!
Foto: Fausto Conter
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ZAMBIA - Distretto di SOLWEZI
Costruire quattro bagni di servizio
per 500 studenti di una scuola elementare – € 3.000
La casa e l’ufficio SVI a Mutanda sorgono proprio di fronte ad una scuola
elementare di 500 bambini tra i 6 ed i 14 anni, i quali ad oggi posso solo
usufruire di latrine costruite in paglia e fango.
EDITORIALE
ATTUALITÀ
DI UN MAESTRO
Lo SVI è nato dall’impegno di giganti. Vorremmo che questo motivo di orgoglio
divenisse stimolo a riflettere sul patrimonio iniziale lasciatoci da figure di ricchezza straordinaria
che hanno segnato le nostre origini
A fine gennaio ricorreva il ventesimo anniversario della scomparsa di
don Franco, indimenticato direttore del corso di formazione.
C’è qualcosa che don Franco comprendeva con estrema lucidità, suggerendoci scelte di cui forse non
afferravamo tutte le implicazioni.
Fare memoria di don Franco Benedini può divenire un’occasione per
meditarne il contributo in maniera
non superficiale e commemorativa,
attualizzandone gli insegnamenti.
In questo breve spazio ne anticipo
un paio, fra quelli che ancora oggi
appaiono controversi, poiché non
hanno ancora smesso di generare
dibattito. Sottovalutare la lungimiranza di alcuni suggerimenti può
comportare problemi non piccoli,
la cui natura ed origine ci disorienta.
Prendiamo ad esempio il suo consiglio di non far rimanere troppo a
lungo un volontario nel medesimo
posto. Una motivazione era evitare
che tutto ruotasse attorno a lui. Ma
in realtà vi sono anche altre ragioni.
Sebbene lo SVI in molte situazioni
si occupi di aspetti tecnici, lo fa utilizzando l’azione sociale, attraverso
le relazioni interpersonali, in piccoli
gruppi o comunità. Di conseguenza i volontari svolgono un ruolo
strettamente intrecciato con la sfera personale: mettono in gioco loro
stessi, i loro valori, il loro modo di
esprimersi, gli atteggiamenti, le
abitudini, i sentimenti, i vezzi…
La questione della “disponibilità
personale” altruistica e disinteressata (la così detta “buona volontà”)
presupposta in fase di selezione,
accudita e coltivata nel periodo di
preparazione, infine pretesa in servizio, non riguarda unicamente l’essere flessibili e adattabili. Nel lavoro
sociale i bisogni degli operatori, le
aspirazioni personali, le tendenze
individuali, vengono ripetutamente messe in connessione e confronto con gli obiettivi del progetto e
dell’organizzazione.
Occuparsi del prossimo significa di
per sé immergersi in una dimensione affettiva e relazionale molto
simile a quella agita nel privato.
Bisogna però saper conservare un
confine, evitando che la “professione” del volontario sia una sorta
di continuum della vita privata, se
non altro per il rischio di confondere le priorità che questa richiede.
Un secondo suggerimento di don
Franco si sta rivelando di estrema
attualità: l’opportunità di accompagnare il volontario non solo sul
piano progettuale, amministrativo
e organizzativo, ma anche relazionale offrendogli la possibilità di rileggere l’esperienza insieme a qualcuno in grado di fare da specchio
alle scelte e alle loro motivazioni,
razionali e no.
Don Franco cercava (o raccomandava di trovare) qualcuno con cui
il volontario avrebbe potuto confrontarsi, in grado di seguire con
cadenze precise l’evoluzione dell’itinerario personale.
Col tempo abbiamo dato sempre
meno peso a questo suggerimento,
anche forse per l’obiettiva difficoltà
a garantire la prossimità necessaria.
Ma ciò ha finito con l’aumentare il
rischio che le difficoltà esondassero
dall’ambito professionale al privato
o viceversa, intaccando la matrice
motivazionale, riducendo la capacità di comprendere, ascoltare, intuire… tutte attitudini capisaldi del
lavoro sociale.
Uno dei mantra di don Franco era
porre le condizioni affinché il periodo di volontariato all’estero fosse
riletto al ritorno come “una bella e
arricchente esperienza”. Sappiamo
che con queste parole non gli stava
a cuore solo il benessere del volontario, ma anche e soprattutto l’interesse dei beneficiari dell’intervento.
Affinché si realizzi uno dei motti
dello SVI: sostieni un volontario,
adotterai una comunità!
Mario Piazza
3
esserci
02
Micro
03
Editoriale
Attualità di un Maestro
05
Terre d’Africa
Formidabile Combinazione
06
Progetti
Venezuela – Il futuro è con la Pacha Mama
Uganda – Intervista alle “Tre Effe”
10
Dossier
L’Africa in movimento
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14
16
17
“C’è chi aspetta la pioggia
per non piangere da solo”
Faber
[Ph: Giancarlo Olivini]
esserci a cura del
Servizio Volontario Internazionale
S.V.I.
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Numero chiuso in redazione il 22 febbraio 2014.
Il prossimo numero uscirà a luglio 2014.
4
Storia
6 Aprile 1994
SVI Italia
Arte si fa pane
Vita dello SVI
Ecclesia
Papa Francesco e
l’economia politica dell’esclusione
Ritratti
L’immortalità di Gino
Il Vangelo dinamico di Don Adriano
L’insegnamento di Don Franco Benedini
21
Campagne
Abbiamo riso per una cosa seria
Progetto Zambia
22
Parola e Pane
C’eri, tu, nel deserto…
23
Suggestioni
Cd – L’Artista
Libro - Sopra ogni cosa
Film - Bowling for Columbine
Web - www.faustoconter.com
Gruppo di redazione
Direttore Responsabile Claudio Donneschi;
Coordinamento di Redazione: Lia Guerrini;
Gruppo di Redazione: Irene Lorandi, Claudia
Pisano, Gabriele Smussi
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usando energia pulita.
Tipografia:
GAM - Rudiano (Bs)
5 per mille
Il codice fiscale di SVI è 80012670172
TERRE D’AFRICA
FORMIDABILE
COMBINAZIONE
È il 18 luglio 1918.
La storia divenuta ormai leggenda narra che, sulle sponde del fiume Mbashe una donna partorì.
Rolihlahla letteralmente “colui che procura guai” Mandela, venne alla luce.
“Una buona testa ed un buon cuore
sono sempre una formidabile combinazione.”
N.Mandela
Lo possiamo immaginare, lui come
tanti altri bambini, correre a piedi
nudi, saltare ridere e giocare, e la
sera attorno al fuoco ascoltare le
voci della saggezza popolare: “da
piccolo quando vivevo nel Transkei,
ascoltavo i racconti degli anziani
della mia tribù. Mi raccontavano
delle guerre combattute dai loro avi
in difesa della madrepatria. Allora
speravo che la mia vita mi desse la
possibilità di servire la mia gente e
di fornire il mio modesto contributo
alla sua battaglia per la libertà” dalla
dichiarazione di Mandela al processo di Rivonia, 1964.
Fu alle elementari che la maestra gli
diede il nome di Nelson. Da lì proseguì gli studi nelle scuole sudafricane per studenti neri conseguendo la laurea in giurisprudenza.
Nel 1944 entra nella politica attiva diventando membro dell’ANC
(African National Congress) guidando per anni campagne pacifiche
contro l’apartheid. Viene arrestato
nel 1963 e, dopo un lungo procedimento, è condannato all’ergastolo.
Un’ ampia testimonianza dell’impegno politico e sociale di Mandela
la troviamo nella conclusione del
discorso pronunciato di fronte ai
giudici prima del verdetto:
“Ho combattuto contro il dominio
dei bianchi e ho combattuto contro
il dominio dei neri, ho amato l’ideale
di una società democratica e libera in
cui tutti possono vivere in armonia e
“Dal profondo della notte che mi avvolge.
Nera come un pozzo da un polo all’altro.
Ringrazio qualunque dio esista.
Per la mia anima invincibile”
W.E. Henley
con pari opportunità. È un ideale per
il quale spero di vivere e che spero di
raggiungere. E se necessario è un ideale per cui sono pronto a morire”.
Passano più di vent’anni, malgrado
Mandela sia costretto alla segregazione carceraria, lontano dagli occhi di tutti e dalle luci del mondo, la
sua immagine e la sua statura crescono sempre di più nell’opinione
pubblica e per gli osservatori internazionali.
Nel 1990 su pressioni internazionali
Nelson Mandela viene liberato.
Nel 1991 è eletto presidente
dell’ANC. Nel 1993 è insignito del
premio Nobel per la pace mentre
l’anno dopo, durante le prime elezioni libere del suo paese viene
eletto Presidente della Repubblica
del Sudafrica e capo del governo.
Resterà in carica fino al 1998.
Mandela l’eroe della lotta contro
l’apartheid, ritirato ufficialmente
dalla vita pubblica nel 1999, non ha
mai interrotto la sua azione umani-
taria. Un impegno per la pace e la
comprensione umana oltre i confini del Sudafrica.
Reso fragile dall’età e dai 27 anni
trascorsi nelle galere del regime
segregazionista bianco, Madiba
come con grande affetto lo chiamavano tutti in Sudafrica, ci ricorda G.
Albanese, “è stato il leader africano
che ha contribuito maggiormente
a segnare l’epoca del riscatto dopo
l’onta coloniale e le pessime performance di molti regimi.”
Nel giugno 2004, all’età di 85 anni,
annuncia il suo ritiro dalla vita pubblica per passare il maggior tempo
possibile con la propria famiglia.
Il 5 Dicembre 2013, all’età di 95
anni, Mandela “ha attraversato il
Fiume”, è entrato definitivamente
nella grande comunità dei Viventi
Invisibili. Nel ricordo immortale è
divenuto un grande Antenato.
Irene Lorandi
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VENEZUELA
PROGETTI
IL FUTURO È CON
LA PACHA MAMA
Attraverso l’alleanza tra il Centro de Formacion Guayana e lo SVI,
negli ultimi anni in Venezuela, nello specifico in Ciudad Guayana,
si stanno facendo sforzi e ottenendo piccole cose che sfociano in grandi soddisfazioni.
Pedro Valdovinos, collaboratore SVI, ci racconta come.
Mi riferisco al “Corso per moltiplicatori socio-ambientali” e al “Baratto di sementi – Primo incontro
di gruppi agroecologici e socioproduttivi in Guayana” (Trueque
de semilla – Primer encuentro de
productores agroecológico y socioproductivos en Guayana). Credo, però, sia necessario fare una
piccola rassegna storica per o capire meglio le due azioni appena
nominate.
Le crisi centrali che affronta l’umanità oggi (economiche, sociali,
cliamatiche, alimentari, energetiche, demografiche) ci fanno prevedere la carestia mondiale, che
colpirà principalmente i paesi
poveri e che ci si aspetta troverà
soluzione grazie ai paesi ricchi,
cosa, però, che non succederà.
Il Venezuela è in guerra, in una
fase della guerra, con la destra internazionale, con le grandi multinazionali e siamo ancora un paese importatore, anche di alimenti,
che ha bisogno di recuperare la
sovranità alimentare.
Ad una lettura, anche superficiale, dell’azione di imprese potenti come Monsanto, Syngenta,
Dupont e altre ancora, ci renderemmo conto che “i potenti” non
stanno per niente cercando di
mettere fine alla fame, bensì di
“dominare” atraverso la fame.
Oggi si producono alimenti per il
doppio della popolazione mondiale e tuttavia piu di 100.000
persone al giorno muoiono per
carenza di cibo.
6
Nelle riunioni dell’Equipe di coordinazione generale Svi Venezuela, ci siamo ritrovati a riflettere su
questi dati, analizzando, inoltre,
le esperienze produttive di aliementi e medicine naturali che già
lo SVI e il CFG stanno appoggiando e che devono moltiplicarsi,
comprendendo che non basta il
contributo delle mie conoscenze
come esperto di agroecologia,
ma che dovevamo impegnarci a
massificare poco a poco i nostri
saperi.
A Rio Caribe, nell’oriente del paese, nel 2012, in una tre giorni
di formazione e pianificazione
dell’Equipe SVI, ha avuto origine
quest’ idea: istituire un corso di
moltiplicatori socio-ambientali
e abbiamo iniziato ha lavorare sui
contenuti. Il corso dura un anno e
mezzo, due sabato al mese, e verte su temi tecnici, metodologici,
socio-economici e culturali, dando molto spazio alla pratica.
Si sono realizzati già 18 incontri
con una media di 25 persone ad
incontro. Frequentano questo
corso direttori di scuole, maestri,
partecipanti dei consigli comunali e, ovviamente, uomini e donne
che partecipano ai progetti SVI di
San Fèlix e Las Amazonas.
Mancano ancora 8 incontri per
completare il corso, ma dal prossimo si inizia a ricordare l’impegno di moltiplicare i saperi, cosa
che si è voluta ufficializzare anche
per scritto.
Si spera che al termine di questa
tappa, si moltiplichino le esperienze di orti urbani organici, perche è urgente produrre alimenti e
che questi siano di qualità, senza
agrotossici, per poter promuovere una migliore qualità di vita,
partendo dal principio che alimentazione sana è uguale a salute.
È una grande sfida, si devono fare
cambi culturali (che è un processo molto lento), ma sono convinto che ci riusciremo, anche grazie
alla passione ed alla perseveranza che ci abbiamo messo in questi ultimi anni.
In questi ultimi 4 anni, come equipe Svi, insieme a gente dei gruppi di San Fèlix e di Las Amazonas,
abbiamo partecipato alla “Fiera
delle sementi contadine” (Feria de
la semilla campesina), nello Stato
Lara, che da quest’anno è diventata fiera internazionale, con la
rappresentanza di una quindicina
di paesi e, come partecipanti ed
espositori, siamo diventati “Custodi delle sementi contadine”
(Guardianes de la semilla campesina), facendo da risonanza al lavoro dello SVI e venendo a contatto
con numerose esperienze e idee
in campo ecologico e sociale.
Questo evento, se pur semplice,
ma che vede la partecipazione di
persone di alta qualità, impegnate con la natura, con la VITA, ci ha
indotto a pensare, a sognare “e…
in Guayana, non possiamo fare
qualcosa di simile?” Nooo, Guayana è zona industriale, mineraria,
tati che esporranno, una trentina
di organizzazioni e persone.
È un modo per cambiare i paradigmi a cui siamo abituati, perchè
nessun prodotto che si troverà a
questo evento, siano sementi,
piantine, giocattoli, alimenti, medicine naturali, etc. sarà comprato o venduto, sarà solo valido il
baratto: questo giorno, per questo evento, il denaro sarà abolito!
Perche crediamo che questo
evento sia necessario?
Non solo è necessario per i progetti Svi in San Fèlix e Las Amazonas, ma è importante anche perchè un numero sempre crescente
di persone si sta interesando alla
sua salute libera da farmaci,
all’alimentazione sana, al coltivare i propri alimenti senza
agrotossici.
Pedro Valdovinos, collaboratore SVI e
militante del Centro de Formación Guayana
Perchè è urgente conoscersi e
riconoscersi, allearsi e organizzarsi. Perchè non solo dobbiamo preoccuparci, ma bensì
occuparci della salute, dell’alimentazione sana, di organizzarci, di pianificare.
Per questo e per molto di più è
che abbiamo pensato a questo 31
di Maggio, e che dobbiamo farlo,
e farlo bene, perchè deve essere
l’inizio di tempi nuovi!
Il programma sarà più o meno
il seguente: il giorno sabato 31
Maggio, durante la mattina esposizione dei prodotti, sementi,
piantine, dolci, artigianato etc.
Nelle prime ore del pomeriggio
inizierà il baratto, dove si potrà
scambiare sementi con artigianato, piantine con dolci, e così via,
e per la parte finale del pomeriggio è previsto un atto culturale e
folklorico dove immaginiamo che
il Calipso, simbolo di questa terra,
sarà il ritmo dominante.
Per la domenica 1 di Giugno è
previsto un dibattito nel Centro
de Formación Guayana, per valutare l’evento e muovere i primi passi per la creazione di una
rete di produttori agroecologici
urbani.
PROGETTI
senza vocazione agricola. Si, ma
tutti mangiamo! E poi abbiamo
già dato vita ad una rete di orti
famigliari, scolastici, comunitari!
E così abbiamo deciso di creare
una commissione promotrice per
un evento sul baratto (trueque)
di sementi organiche o biologiche, autoctone o adattate al nostro clima, e anche uno scambio
tra gruppi socio produttivi, qui in
Guayana.
Abbiamo iniziato a riunirci, insieme ad altre realtà della zona,
ogni due settimane per delineare poco a poco l’evento, abbiamo già chiara la data, la prossima
settimana si individuerà il luogo,
e si sono già conformate alcune
subcommissioni, che si stanno riuniendo in diversi luoghi e giorni,
e si è già redatta la lista degli invi-
È un sogno, però già sappiamo
che i sogni in cui si mette cuore
e lavoro si convertono in realtà!
Sarà dura, suderemo, ma sarà il
buon sudore del lavoro collettivo
per la collettività; abbiamo la certezza che molti e molte ci appoggeranno e accompagneranno, ci
mancherà tempo, però il seme
che abbiamo seminato è caduto
in terra fertile e altri realizzeranno
quello che abbiamo cominciato.
Il futuro sarà in comunione con
la Madre Terra, con la Pacha
Mama, o non sarà…
“Quien nos quita lo bailado?”, chi
ci può togliere quello che abbiamo fatto?
Pedro Valdovinos
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UGANDA
PROGETTI
INTERVISTA
ALLE TRE EFFE
Intervista semiseria per conoscere meglio i nostri volontari in Uganda
F1: FAUSTO CONTER
F2: FRANCESCA BELOTTI
F3: FABIO POLI
Nome e cognome, età, luogo di
provenienza, in servizio dal...
F1: Fausto Conter, 33 anni, Lodetto
di Rovato, 2005 con una pausa nel
2011 e 2012.
F2: Francesca Belotti, 34 anni, Coccaglio, provincia di Brescia, dicembre 2007.
F3: Fabio Poli, 35 anni, Corna Camuna, frazione di Darfo Boario Terme, Valle Camonica, gennaio 2009.
Nome/i karimojong
e significato/i.
F1: Lorot, che vuol dire “strada” e
Apalonyakori cioé “il papà del bue
pezzato come la giraffa”.
F2: Nakoru Itai. Significa “arrivata
nel periodo che precede la semina”.
F3: Lokut, che significa “vento, ventoso”.
Qual è la tua passione.
Perché, cosa ti dà?
F1: La mia passione, oltre che il
lavoro, è la fotografia. Perché mi
scarica, mi toglie le tensioni. Mi fa
pensare più in grande di quello che
di solito riesco a pensare.
F2: La scrittura. Perché mi fa star
bene con me stessa, mi fa fissare
i pensieri che poi mi servono per
crescere, per auto analizzarmi.
F3: É girare piccoli video. Perché posso far vedere ad altri il mio punto di
vista su quello che sto vivendo qua.
Quale attività dell’attuale progetto di piace di più? Perché?
F1: la parte ambientale. perché credo che l’ambiente sia importante,
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vada mantenuto e penso che attraverso questa attività si possa cambiare qualcosa.
F2: la parte che riguarda la formazione dei ragazzi, degli allievi delle
scuole, nello specifico la piantumazione di alberelli, perché penso che
sia l’attività più formativa e sensibilizzatrice che abbiamo e soprattutto quella più tangibile, fin da subito.
F3: il lavoro che stiamo facendo con
le scuole e quindi con gli alunni. In
particolar modo il fatto di collaborare con loro per la creazione di plot di
agroforestry, perché credo che sia
importante partire dalla giovane età
per sensibilizzare la comunità rispetto a questo problema ambientale.
Consiglieresti a tutti di fare un’esperienza come la tua? Perché?
F1: A tutti no. Perché non è questione di essere un supereroe, ma
non è da tutti stare qua a lavorare
con delle persone che sono differenti, che hanno una cultura completamente diversa dalla tua, e che
a volte hanno dei valori di vita che
sono completamente differenti,
quindi difficili da accettare.
F2: No. Perché non credo che tutti
possano affrontarla nel migliore dei
modi, perché a volte ci si scopre diversi da quello che si pensava e non
è semplice accettarsi.
F3: Assolutamente non consiglierei
a tutti di fare un’esperienza come
la mia. Non è presunzione ma servono determinate caratteristiche,
serve un livello abbastanza alto di
flessibilità.
Ti senti una persona diversa rispetto a quella che eri prima di
partire? Se sì, in cosa?
F1: Sì, abbastanza. Nel fatto che prima sguazzavo nel superfluo, adesso
sto cercando di tagliare un po’ tutto.
F2: Sì. Mi sento un po’ più matura,
un po’ meno attaccata alle stupidate. Più... basica.
F3: Assolutamente mi sento una
persona diversa. Sono molto più cinico, ma, allo stesso tempo, sembra
una contraddizione, sono anche
più sensibile.
Qual è stato il consiglio migliore
che ti hanno dato prima della partenza?
F1: É stato quello di Beppe Prati
che mi ha detto: “Non te l’ha ordinato il dottore di partire” (è detto in
dialetto, nell’intervista, ma non so
come si scrive!).
F2: Mi è stato dato da Alberto Rocco, che era stato in Zambia, che mi
ha detto di non chiedermi mai il
perché.
F3: Di ascoltare.
Quale è, alla luce dei fatti, quello
che daresti a un futuro partente?
F1: Lo stesso: “Non te l’ha ordinato
il dottore di partire”. Non sei obbligato, quindi pensaci. Non due volte, tre, quattro, cinque anche dieci.
F2: Sarebbe quello di non aver paura. Di non aver paura di quello che
vede, che sente, che vive.
F3: Annullarsi completamente, resettarsi e di passare il primo periodo in completo silenzio semplicemente guardando e ascoltando.
Alla scadenza del tuo attuale
contratto, cosa farai?
F1: Chi lo sa...
F2: Non lo so, non ne ho proprio idea.
F3: Non ne ho la più pallida idea.
Cosa vuol dire essere volontario
SVI?
F1: Significa vivere appieno la comunità in cui lavori.
F2: Vuol dire saper vivere in un paese come Iriiri, all’interno di una comunità come questa e saper gestire
delle difficoltà, delle situazioni, degli avvenimenti che a volte ti mettono in difficoltà o a cui è difficile
dir di no o che sono difficili da gestire ma bisogna saperlo fare.
F3: Significa essere un pezzo d’argilla nelle mani della comunità che
in un certo modo deve modellarti.
Ovviamente bisogna stare attenti a
non indurirsi subito.
F2: Nella loro cultura mi affascinano la lingua e le tradizioni nomadi e
pastorali. In loro mi affascina il fatto
che riescano ad adattarsi a convivere con gente come noi, con la natura che sicuramente non è clemente,
in questi posti, e che prendano tutto così, con buon spirito di adattamento.
F3: Della loro cultura mi affascina il
fatto che nonostante i cambiamenti storici che continuano a subire,
riescano a mantenere una certa
identità e un certa ostinazione nel
cercare di mantenere le proprie culture.
Che cosa vuol dire, per te, aiutare
gli altri?
F1: Esserci quando ce n’è bisogno.
F2: Far sentire loro che ci siamo ma
senza renderli dipendenti da noi
e soprattutto senza volersi sentire
indispensabili per loro. Quindi saper gestire l’aiuto e differenziarlo
dall’assistenza.
F3: Io credo che aiutare gli altri significhi ascoltare e il modo migliore per
farlo sia non imporre, ascoltandoli.
Come aiuti te stesso?
F1: Il problema è che non ho ancora iniziato... ho iniziato ma ho ancora tanto lavoro...
F2: Faccio le cose che mi piacciono
e cerco di limitare quelle che so che
non mi fanno bene, quindi mi do
delle regole.
F3: Chiedendomi continuamente
dove sto sbagliando e dove sto facendo bene.
PROGETTI
Cosa pensi ti manchi per sentirti
“arrivato” o “realizzato”, se non lo
sei già, naturalmente...
F1: Arrivato non lo sono. Mi servirebbe magari realizzare qualcosa di
mio.
F2: Una famiglia.
F3: Non saprei, perché non ho un
obiettivo da raggiungere nel senso
di dire: “Raggiunto quell’obiettivo
sarò realizzato”. Cerco di realizzarmi
quotidianamente, diciamo.
Di cos’hai paura?
F1: Prima cosa: di non riuscire a realizzarmi, di non riuscire a fare quello che ho in testa. Poi di non avere
figli, non so perché.
F2: Di non essere all’altezza della
situazione.
F3: Ho tendenzialmente paura
di tutto. Da come faccio il caffè a
come guido.
Il tuo motto.
F1: Never give up.
F2: Vivi e lascia vivere.
F3: Meglio così che sotto ad un treno. (anche qui, è detto in dialetto...)
Tre parole per descrivere lo SVI
F1: Idealista, estremista, a volte anche rivoluzionario.
F2: Idealista, rispettoso e confuso.
F3: Lo SVI è un’utopia, è ostinazione e confusione. É una confusa utopia ostinata.
Qual è il suo cavallo di battaglia?
F1: Sostenibilità.
F2: La sostenibilità, o per lo meno
il cercare di mettere la sostenibilità
davanti a tutto: davanti ai finanziatori, davanti ai soldi, davanti a tante
altre cose.
F3: Condividere senza imporsi.
Che cosa ti affascina dei karimojong e della loro cultura?
F1: Di loro mi affascina la capacità
di sopravvivere in un ambiente in
cui, se guardiamo ai nostri standard, non c’è nulla. E quello che mi
affascinava e mi affascina tutt’ora è
la presenza di guerrieri all’interno
di una società nel 2013, ora.
Eccole qui le Tre Effe: Fabio Poli, Francesca Belotti e Fausto Conter
9
DOSSIER
L’AFRICA IN MOVIMENTO
In questi tempi in cui non se ne può più di questa crisi che sembra diventare eterna,
le nostre batterie possono essere ricaricate guardando all’Africa, perché gli africani hanno qualcosa
da raccontarci che ci fa bene, ci sveglia e ci fa venir voglia di andare ad incontrare questi uomini
e queste donne che ci ricordano che operando collettivamente è possibile costruire un avvenire migliore.
Bastano gli esempi di alcuni Paesi: in Burkina Faso, la battaglia
dei sindacati contadini per far
retrocedere la fame; in Nigeria,
un’amministrazione
territoriale
che trasforma, poco a poco, Lagos
in una megalopoli dal volto umano; in Uganda, la mobilitazione
popolare contro la corruzione dei
dirigenti; nella Repubblica Democratica del Congo, i progressi della
lotta per far cessare il saccheggio
delle risorse minerarie; in Kenya, il
ritorno del dialogo politico dopo
le violenze interetniche; in Madagascar, il progresso nel salvataggio
della biodiversità. L’Africa si sta
muovendo, inventa, avanza. Nel
2003 il giornalista Stephen Smith
pubblicava “Negrologia”, un’opera che aveva come sottotitolo
“Perché l’Africa muore” e che sulla
10
copertina presentava un’immagine che fece il giro del mondo: un
combattente, a torso nudo e con
una capigliatura rasta che brandiva un lanciarazzi, lo sguardo folle,
che saltava ed esultava dopo aver
colpito il suo bersaglio. La nostra
immagine dell’Africa si riassumeva allora in questa immagine: un
caos su un fondo di miseria. Oggi,
ci sono altre immagini che vengono alla ribalta, brillanti storie di
successo che fanno dimenticare
il resto del quadro. Non si deve
cedere a caricature afro-pessimistiche o afro-ingenue. L’Africa
che si muove va presentata con
le sue difficoltà, le sue contraddizioni, le sue sfide: una crescita che
dipende ancora largamente dalle
materie prime, una transizione demografica troppo lenta in un con-
tinente che non crea abbastanza
posti di lavoro, un’agricoltura che
resta dimenticata dalle politiche di
sviluppo. Abbiamo tutto da guadagnare ad aprirci alla circolazione delle idee e degli uomini,
a lasciarci sorprendere!
L’Africa che si muove
Significativo è il giudizio di Abdou
Diouf, ex presidente del Senegal:
“un continente del futuro che non
sopporta più lo sguardo impietosito degli altri”, affermazione che
mette a fuoco la realtà di un’Africa subsahariana che non è più
come prima, da qualunque parte
la si guardi: crescita economica sostenuta, transizione demografica
ed urbanizzazione rapida, democratizzazione della vita politica.
La rapida crescita dell’economia
subsahariana è l’indicatore fetic-
“le nostre batterie possono essere
ricaricate guardando all’Africa”
Erano risorse dalle quali dipendevano prioritariamente i budget
degli Stati, in assenza di capacità
d’esportazione di manufatti e di
introiti fiscali basati su una crescita economica interna. Quegli anni
di vacche magre avevano reso gli
Stati incapaci di rimborsare un
debito estero sempre più pesante, contratto da governi poco responsabili del denaro pubblico e
destinato ad investimenti spesso
rischiosi di imprese delle ex potenze coloniali, che ne assicuravano la
messa in opera e che spesso risultavano i veri beneficiari. L’inevitabile aggiustamento budgetario
che ne seguì fu molto doloroso,
perché i soli banchieri che accettarono di rifinanziare a tassi molto
bassi questi Stati esangui (Fondo
Monetario Internazionale e Banca
Mondiale) erano allora completamente votati alle tesi del liberalismo più ortodosso: non solo il loro
aiuto si monetizzò contro necessarie riforme degli Stati poco efficaci,
ma anche con tagli radicali nei bilanci pubblici (in modo particolare
sanità ed educazione), il che non
fece che aggravare la povertà e
contribuire a far sì che Stati in fallimento fallissero davvero.
I Paesi emergenti comprano
L’impennata dei prezzi delle materie prime nella seconda metà degli anni 2000 ha spezzato questo
ciclo infernale. Di colpo, ha fatto
risaltare le fragilità e i limiti di una
crescita imputabile in gran parte
a quella delle risorse naturali. Le
crescite maggiori sono state registrate in Paesi ricchi d’idrocarburi
(iniziando da Angola e Nigeria),
in Paesi minerari (Repubblica Democratica del Congo, Zambia,
Burkina Faso) ed anche dai Paesi
esportatori di prodotti agricoli,
come Costa d’Avorio. Questi fattori esogeni della crescita sono sostituiti oggi da motori interni che
prendono sempre più posizione e,
per cominciare, il cambiamento
nella gestione degli affari pubblici. Non è più tempo, per i Paesi
esportatori, di rivolgersi ad un uni-
DOSSIER
cio di quest’Africa in movimento, instancabilmente ripreso nei
giornali: anche se riduttrici, le cifre
sono comunque impressionanti.
Mentre l’economia della zona euro
è atona, quella dell’Africa subsahariana avrebbe dovuto raggiungere
il 5,7%, ossia due punti in più della crescita mondiale. L’Africa degli
anni 1990 sembra lontana: dal
2001 la crescita ha raggiunto il 5%
annuo. Più importante ancora, da
dodici anni la crescita economica
è più rapida di quella della popolazione. Detto con altre parole, l’Africa si sta arricchendo. Una cosa
è parlare di crescita di PIL, un’altra
di quella di redditi dei nuclei familiari, in modo particolare negli
Stati largamente non egualitari,
contraddistinti dalla captazione
delle risorse da parte delle élite.
Comunque, nel corso degli anni
2000 la percentuale della popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà assoluta è passata
dal 66% al 60%. L’Africa subsahariana sta pertanto un po’ meglio,
anche se non bisogna perdere di
vista che le cifre globali nascondono enormi disparità fra i 49 Stati
subsahariani: il Sudafrica (30% del
PIL della regione e 6% della popolazione nel 2012) e la Nigeria (rispettivamente 21% e 19%) pesano economicamente tanto quanto
tutti gli altri Stati messi insieme.
La fine del dogma liberale
Numerosi fattori spiegano questa migliore salute economica
dell’Africa e si combinano fra
loro. Il principale, in un continente
ancora molto dipendente dall’esportazioni di materie prime, è
rappresentato dal rialzo dei prezzi
internazionali dall’inizio degli anni
2000 e il loro mantenimento a livelli relativamente elevati, per la
domanda sostenuta della Cina e di
altri Paesi emergenti. Dopo il contro-shock petrolifero innescato
agli inizi degli anni 1980, le economie africane erano state annientate da quasi due decenni di depressione dei prezzi dell’energia,
dei minerali e dei prodotti agricoli.
“l’Africa si sta arricchendo”
co Paese ed il rapido espandersi
dei Paesi emergenti sul continente
ne ha offerto loro l’opportunità.
Gli Stati africani, oltre a difendere
meglio i loro interessi, sono anche
meglio gestiti. Il prezzo pagato è
stato esorbitante, ma le politiche
di aggiustamento strutturale degli anni 1980-1990 hanno almeno avuto come risultato quello
di risanare le finanze di numerosi
Stati e dar loro i margini di manovra budgetaria dei quali oggi si
avvantaggiano. Questi progressi
non sarebbero sicuramente stati
così netti senza la presenza nelle
amministrazioni territoriali e nazionali e nei gabinetti ministeriali
di personale ormai di livello molto alto. Le élite africane in servizio
sono oggi in gran parte formate
all’estero e continuano a costituire
soltanto una parte di coloro che rientrano nel loro Paese. Le nuove
élite non sono necessariamente
meno corrotte delle precedenti,
ma si sono forse meglio rese conto, rispetto alle precedenti, del
cambiamento sociale e politico.
Chi si avvantaggia della crescita?
L’aumento delle ricchezze sul continente africano non significa automaticamente una ripartizione
equa, anzi le diseguaglianze (fra
gli Stati e all’interno delle varie società) non cessano di aumentare.
Dal 2010 l’Africa registra dei tassi
di crescita fra il 4% e il 5%, una si11
DOSSIER
tuazione che contrasta con quella
degli anni 1980-1990 (caratterizzata da un tasso fra l’1% e il 3%,
con una recessione nel 1992-1993)
e quella del periodo 2008-2010
(fra il 3% ed il 4%), legata alla crisi finanziaria dei Paesi dell’OCSE.
Questa “breve schiarita” globale
non deve nascondere le differenze
fra i 54 Paesi del continente. I Paesi
esportatori di petrolio, nel periodo
2002-2010, hanno registrato tassi
medi di crescita dell’ordine del 7%,
contro un 4,5% per i Pesi importatori di petrolio. Questa crescita si
è realizzata in economie dal peso
molto diverso. È molto importante
interrogarsi sulla dinamica stessa
della crescita. La crescita africana
è largamente trascinata dall’esportazione di prodotti primari provenienti dall’industria estrattiva per
molti Paesi. Le derrate agricole, in
arretramento nelle esportazioni
totali africane, rappresentano oggi
attorno al 10%, contro il doppio a
metà degli anni 1990. La parte dei
prodotti minerari e petroliferi, invece, nello stesso periodo è passata da più del 50% a più del 70%.
Questa tendenza contrassegna
una traiettoria di crescita fortemente estroversa, specializzata su
produzioni primarie che vengono
ancora troppo poco trasformate
localmente. Una tale debole diversificazione nelle esportazioni
espone la crescita alle domande
dei Paesi industrializzati ed anche
ai cambiamenti delle localizzazioni delle produzioni a scala mondiale. Le economie africane restano pertanto vulnerabili. Nel
2012 e 2013 il consumo interno
privato, trascinato in particolare
dal rialzo degli introiti delle rimesse degli emigranti, spiega questa
crescita. Il contributo dell’investimento interno privato resta debole e legato alle attività petrolifere
ed estrattive. Al di là di questo periodo recente, comunque, l’impulso principale della crescita a lungo termine è quello derivante dai
prodotti primari esportati. In effetti, l’agricoltura rappresenta ancora
12
in media in Africa più del 20% del
PIL e può raggiungere il 30-40%
nell’Africa occidentale.
La suddivisione delle ricchezze
Purtroppo la democrazia non
è ancora una realtà in numerosi Paesi africani (Sudan, Guinea
Equatoriale, Somalia), è spesso
di facciata ed è stato necessario
ammettere che in un Mali ritenuto esemplare qualche centinaio di
combattenti è stato in grado di far
cadere senza difficoltà un regime
in realtà marcio per la corruzione.
In Sudafrica, minato dalle lotte di
potere al vertice di un’ANC alla deriva, la situazione non è per niente
brillante. Questo non impedisce,
comunque, che le buone notizie
possano moltiplicarsi. Nel 2011
in Niger i militari hanno mantenuto la parola e consentito che si
tenesse uno scrutinio che ha reso
il potere ai civili. Nel 2011 la Liberia e poi nel 2012 la Sierra Leone,
hanno avuto delle elezioni libere.
Nel 2012 in Senegal il presidente
uscente, Abdoulaye Wade, ha riconosciuto la sua sconfitta di fronte
al rivale Macky Sall, quando invece
si temeva una guerra fra fazioni.
Migliore gestione degli affari pubblici e più grande stabilità politica
sostengono una crescita che non
è più solo l’appannaggio dei Paesi riccamente dotati dalla natura.
Numerosi Stati sono sulla buona
strada e dappertutto l’aumento
della percentuale della popolazione al di sopra della soglia della
povertà genera una spirale virtuosa di maggiori consumi. Le sfide
restano comunque immense.
Quest’Africa, il cui potere d’acquisto sta aumentando, è diventata
una nuova terra di conquista
per le imprese occidentali e per i
Paesi emergenti, che si disputano
i mercati pubblici e di grande consumo: dalla costruzione di strade e
di dighe fino alle lampadine elettriche, passando per la telefonia
mobile. La percentuale nel valore
aggiunto di PIL manufatto dei Paesi subsahariani, eccezion fatta per i
rari contro esempi come quello di
Mauritius, resta in maniera ridicola
molto bassa (12,5% nel 2010). D’altra parte, il miglioramento del livello di vita riguarda principalmente i
cittadini e la povertà assoluta resta endemica alla periferia delle
città e nelle zone rurali. Ridurla
necessita contemporaneamente
di sviluppare l’attività industriale
ed artigianale locale e di crescere gli sbocchi commerciali delle
campagne. Un investimento a
favore dell’agricoltura è cruciale
e l’Africa, dovrà produrre, da qui
al 2050, almeno due volte di più,
preoccupandosi comunque di garantire un rispetto dell’ambiente
che spesso è degradato dalla pressione demografica e minacciato
dal cambiamento climatico. Resta
da sapere se “l’Africa che si muove”
raccoglierà questa sfida dell’impiego urbano e rurale o se la sua
crescita, che resta poco inclusiva,
lascerà sul bordo della strada la
metà della sua popolazione.
Gabriele Smussi
“Un continente del futuro
che non sopporta più lo sguardo
impietosito degli altri”
“Richiedi presso la segreteria
dello SVI i libri sull’Africa
“Germogli Africani”
a cura di Manuel Bonomo,
Luca Bronzini e Mario Piazza e
“6 aprile 1994” di Cyprien Bakara”.
STORIA
6 APRILE 1994
Sono passati ormai vent’anni dalla tragica data del 6 aprile 1994,
quando venne abbattuto l’aereo Falcon 50 che trasportava il presidente rwandese Habyarimana Juvénal,
ma ancora oggi non si può scrivere la parola fine su quel tragico fatto
e sulle conseguenze che ne scaturirono, non solo per il Rwanda ma per tutta l’area dei Grandi Laghi
Chi furono i responsabili dell’attentato? Da dopo partirono i missili che distrussero l’aereo presidenziale? Varie ipotesi sono state
formulate nel corso degli anni,
chiamando in causa Belgio, Burundi, Stati Uniti, Francia, Uganda,
Rwanda (sia gli estremisti hutu, sia
i tutsi del FPR) e Zaire. Le due ipotesi ritenute più plausibili furono l’una quella che accusava gli
estremisti hutu, l’altra che prendeva di mira il FPR, avversario politico e militare del regime in carica.
Varie ipotesi furono esaminate
dal parlamento francese e belga
e dall’Organizzazione dell’Unità
Africana e nel 2006 il giudice francese Bruguière in poche pagine le
cancellava tutte, ritenendo valida
soltanto quella che accusava il FPR.
Davanti al senato belga, Degni-Segui, incaricato dall’ONU di condurre l’inchiesta, dichiarò di non aver
potuto ottenere, né dalla Francia
né dalle FAR (esercito rwandese
del governo ad interim) gli elementi necessari per il suo lavoro.
Il capitano francese Paul Barni, da
parte sua, dichiarava di possedere
la scatola nera dell’aereo e secondo
testimoni dei militari francesi si sarebbero recati sul luogo dei rottami
dell’aereo subito dopo l’attentato.
La complessità giuridica e politica dell’affare avrebbe richiesto
la nomina di una commissione
d’inchiesta, ma l’ONU si rifiutò
adducendo la mancanza di fondi.
Un’inchiesta fu aperta in Francia
dal giudice Bruguière, quattro anni
dopo i fatti, in seguito alla denuncia depositata dalle famiglie del
personale francese che pilotava
l’aereo abbattuto. Si chiedeva di
incriminare al Tribunale Penale Internazionale per il Rwanda il presidente rwandese Paul Kagame per
“partecipazione presunta” all’attentato e che fossero emessi nove
mandati di arresto internazionali
contro persone vicine al presidente. Nel 2007 Bruguière andò in pensione e il suo successore, il giudice
Marc Trévidic, riprese l’inchiesta a
zero in seguito all’apertura d’indagine nei confronti di Rose Kabuye,
una delle accusate da Bruguière.
Il tutsi Abdoul Rusibiza, rilanciò la
polemica fra la Francia e il Rwanda
nell’ottobre del 2005, pubblicando
il libro “Rwanda, l’histoire secrète”,
nel quale affermava di essere stato
testimone dell’attentato, in qualità
di ufficiale del FPR come membro
del “Network Commando”. La sua testimonianza è una delle fonti principali della tesi che accusa il FPR di
essere stato l’autore dell’attentato.
Tre giorni dopo l’arresto di Rose Kabuye, nel novembre 2008, ritrattò
parecchi punti delle sue dichiarazioni ben precise e circostanziate,
affermando di essere stato manipolato e, morì qualche mese dopo
essere stato nuovamente sentito
dal giudice Trévidic.
Fino a gennaio 2010, le due versioni
concordavano che i missili che avevano abbattuto l’aereo sarebbero
stati lanciati dalla collina di Masaka,
situata ad est della capitale Kigali.
Gli abitanti di questa collina furono
massacrati in gran numero dalla
guardia presidenziale rwandese
nelle ore che seguirono l’attentato,
ma secondo testimoni ci sarebbero
stati anche dei missili lanciati con-
tro l’aereo nel territorio fra Masaka
e il campo militare di Kanombe (in
prossimità dell’aeroporto). Un rapporto rwandese del gennaio 2010
misero in discussione la località di
Masaka, previlegiando il campo di
Kanombe. Dal 12 gennaio 2012 si
concorda all’unanimità che i missili
utilizzati per l’attentato furono dei
SAM 16 di origine sovietica. Senza
saperlo, né probabilmente volerlo,
i contadini rwandesi della collina
Masaka che ritrovarono e subito
consegnarono alle FAR i due lanciamissili sovietici, resero un servizio
inestimabile alla verità e alla storia. Il tenente delle FAR Munyaneza,
che aveva studiato nell’URSS, identificò i numeri di serie dei due lanciamissili e con questi numeri il giudice francese Jean-Louis Bruguière
il 19 giugno 2000 si recò in Russia.
La Procura militare della Federazione russa, gli confermò che i due
lanciamissili, ritrovati a Masaka erano stati fabbricati nell’ex URSS e
venduti all’Uganda nel 1987.
Secondo il testimone chiave Abdul
Joshua Ruzibiza, “i missili che hanno
abbattuto il Falcon 50 provenivano
da un arsenale ugandese e fu lo stesso esercito ugandese ad addestrare
i combattenti del FPR, incaricati di
eseguire l’attentato”. Gli investigatori Michael Andrew Hourigan e JeanLouis Bruguière sviscerarono tutti i
misteri dell’attentato fin nei minimi
particolari: come e dove furono
prelevati i missili; in che modo furono spediti al quartier generale del
FPR; come furono trasportati a Kigali; come furono nascosti nella camera del maggiore Jacob Tumwine.
Dopo l’attentato, gli uomini del
13
STORIA
“Network Commando” se la squagliarono rapidamente, abbandonando i due tubi lanciamissili nel
cespuglio di un sentiero di campagna, perché non servivano più a
niente.
Il 10 gennaio 2012 il giudice francese dell’antiterrorismo Marc Trévidic
presentava a Parigi un rapporto balistico, dichiarando che i missili lanciati contro l’aereo presidenziale, di
fabbricazione sovietica, provenivano dal campo di Kanombe, che nel
1994 era controllato dalla guardia
presidenziale rwandese. Il regime
di Kigali subito cantò vittoria, individuando i responsabili dell’attentato negli estremisti hutu vicini al
presidente rwandese assassinato,
ma il rapporto non designava chi
aveva tirato i missili e non discolpava il FPR di Paul Kagame, come
invece si volle far credere all’opinione pubblica. Le famiglie di alcune
delle vittime dell’attentato chiesero
ai giudici una contro-perizia, contestando le conclusioni del rapporto
balistico, perché il metodo di lavoro
di un esperto in acustica, che non si
era recato in Rwanda, era contestabile. Il capitolo attentato non si
può pertanto considerare chiuso!
Purtroppo i vari testimoni chiave
stanno via via scomparendo ed
anche per gli oppositori a Kagame la vita non è facile: Victoire Ingabire in dicembre 2013 è stata
condannata a 15 anni di prigione
per “cospirazione contro le autorità
e minimizzazione del genocidio del
1994”. Per altri oppositori, la “longa
manus” rwandese li ha raggiunti
drasticamente all’estero: il tenente
colonnello Thèoneste Lizinde è stato assassinato a Nairobi nel 1996;
Rusibiza è morto a 40 anni nel settembre 2010 in Norvegia; Patrick
Karegya è stato trovato morto in un
albergo di Johannesburg all’inizio
di quest’anno: un altro dissidente rwandese rifugiato in Sudafrica, Faustin Nyamwasa, nel giugno
2010 ha subito due tentativi di assassinio.
Gabriele Smussi
SVI ITALIA
L’ARTE SI FA PANE
Una piccola rassegna d’arte e di artigianato di qualità
Da sabato 5 a domenica 13 aprile
2014, torna, ormai giunta alla quindicesima edizione, l’appuntamento con “ l’Arte si fa pane”, la mostra
mercato dello SVI, presso la sede in
Viale Venezia 116, dalle 16:00 alle
19:30, sabato e domenica compresi.
La mostra mercato, a sostegno
dei progetti dello SVI in Africa e
America Latina, con il patrocinio del
Comune di Brescia, vi aspetta con
un’esposizione di stampe, carte geografiche, atlanti, quadri, sculture,
oggetti d’antiquariato, argenteria,
pizzi e biancheria, ceramiche, francobolli, monete e banconote, cartoline, modernariato e con il mercatino del libro usato.
La manifestazione, sarà preceduta
da “l’ Anteprima Arte si fa pane”,
presso la sala della BCC dell’Agrobresciano, in Via Triumplina 237 a
Brescia.
L’Anteprima si potrà visitare dalle
ore 16:00 alle 19:00, il sabato dalle
ore 10:00 alle 12:00 e dalle 16:00 alle
19:00, chiusa la domenica.
14
Cogliamo anche l’occasione per ricordare che, fino alla fine di marzo, è aperta la campagna “Donaci
un oggetto”, raccolta di articoli da
esporre nella mostra mercato.
Come alcuni di voi già sanno, cerchiamo oggetti antichi, o almeno vecchi di alcuni decenni, da
esporre ed offrire a possibili acquirenti. Giocattoli, libri, bigiotteria,
artigianato, antiquariato, quadri e stampe antiche... quello che
vi chiediamo è di regalarci un “pezzo”, che contribuirà a formare la
nostra rassegna d’arte ed a finanziare i progetti che sosteniamo.
Per contatti e informazioni contattare l’incaricato della segreteria SVI,
Stefano Savardi, allo 030.3367915,
email: [email protected].
Per restare sempre informato sulle
nostre attività iscriviti alla newsletter
all’indirizzo http://eepurl.com/u14sv
1
VISITE AI PROGETTI
Elena Matteucci, già volontaria
in Venezuela, ha visitato i progetti
venezuelani di San Fèlix, Las Amazonas, Las Claritas nel mese di
gennaio, incontrando volontari,
collaborati e i vari gruppi attivi nei
tre progetti.
Dal 5 all’8 marzo si terrà a Kampala, Uganda, l’incontro panafricano di tutti i volontari impegnati
sui progetti in Burundi, Zambia e
Uganda. Saranno presenti il presidente SVI Paolo Romagnosi e
il formatore del corso SVI Sandro
De Toni.
2
VOLONTARI IN ARRIVO
E IN PARTENZA
Andrea Serioli, ha terminato il
suo servizio in Zambia a fine 2013.
Lo ringraziamo per il lavoro svolto.
Giovanna Ferrari, volontaria a
Las Amazonas, è ripartita per il
Venezuela dopo un breve periodo
di vacanza in Italia, per continuare
il suo mandato, che terminerà ad
agosto di quest’anno. Buon lavoro e a presto !
Anche Claudio Chiappa, responsabile SVI per l’Africa, è tornato in
Uganda, dopo un breve periodo
di vacanze italiane. Grazie della
visita e buon rientro!
Il 13 gennaio, dopo le vacanze natalizie, è ripartita per continuare il
suo servizio in Uganda Francesca
Belotti. A lei va il nostro augurio
di buon proseguimento ed il nostro grazie per la testimonianza
che ci ha regalato nei giorni che è
stata in Italia.
È tornato in Mozambico in febbraio, dopo una pausa italiana, Giancarlo Olivini. Buon lavoro e buon
viaggio.
Valentina Facondini, dopo un
anno e mezzo di servizio in Burundi, si sposta a marzo sul progetto in Zambia, per continuare il
suo mandato. Buon nuovo inizio!
Fausto Conter rientrerà in Italia
dall’Uganda il 6 maggio per un
periodo di vacanza. In attesa di riabbracciarlo gli auguriamo buon
viaggio!
Maria Goretti, collaboratrice SVI
in Zambia, sarà in Italia a maggio,
in date ancora da definirsi, per
una testimonianza sul progetto.
Le date esatte verranno comunicate quanto prima.
3
SVI ITALIA
Il 30 gennaio è stata celebrata da
Don Nolli la Santa Messa in ricordo di Don Franco Benedini, fondatore del corso di formazione
dello SVI.
L’11 febbraio, lo SVI insieme ad
altre realtà ed associazioni bresciane, ha collaborato con Teatro Telaio alla realizzazione dello
SVI ITALIA
VITA DELLO SVI
spettacolo teatrale “Più di mille
giovedì. La storia delle Madres
di Plaza de Mayo”. Ringraziamo
tutti coloro, e sono stati tanti, che
hanno assistito allo spettacolo.
Il 13 febbraio a Roè Volciano è
stata celebrata la Santa Messa in
ricordo di Don Adriano Salvadori, fidei donum in Venezuela,
amico dello SVI, improvvisamente
mancato a gennaio a causa di un
infarto.
Il 16 febbraio il gruppo SVI di Palazzolo sull’Oglio ha organizzato
lo Spiedo solidale. Ringraziamo
quanti hanno partecipato ed il
gruppo di Palazzolo per l’ottima
riuscita dell’iniziativa.
Dal 28 marzo al 3 aprile si svolgerà
l’Anteprima de l’Arte si fa pane,
presso la sala della BCC dell’Agrobresciano in Via Triumplina 237 a
Brescia. Per maggiori info leggete
l’articolo all’interno di questo numero.
Sabato 5 aprile, fino a domenica
13, vi aspettiamo per la 15a edizione de l’Arte si fa pane, presso la sede dello SVI. Per gli orari
e maggiori info si veda l’articolo
all’interno di questo numero.
L’11 aprile si terrà presso la sede
SVI l’annuale Assemblea dei Soci.
Il 17 e 18 maggio troverete in numerose piazze di Brescia e provincia i banchetti dello SVI per la
Campagna nazionale Abbiamo
riso per una cosa seria. Vi invitiamo a leggere l’approfondimento
su questo numero.
15
ECCLESIA
PAPA FRANCESCO E L’ECONOMIA
POLITICA DELL’ESCLUSIONE
Leonardo Boff, teologo e filosofo brasiliano, dal suo blog
Chi ascolta i vari interventi del Vescovo di Roma e attuale Papa si sente a casa e in America Latina. Il Papa
non è eurocentrico, né romanocentrico, né, ancora meno, vaticano-centrico. È un pastore “venuto dalla fine del
mondo”, dalla periferia della vecchia
cristianità europea, decadente e agonizzante; proviene da un nuovo cristianesimo che si è sviluppato durante 500 anni in America Latina con una
propria faccia e una propria teologia.
Papa Francesco non ha conosciuto
il capitalismo centrale e trionfante
dell’Europa, ma il capitalismo periferico, subalterno, gregario e socio di
minoranza del grande capitalismo
globale. Il grande pericolo non è mai
stato il marxismo, ma la barbarie del
capitalismo incivile. Questo tipo di
capitalismo ha generato nel nostro
continente latinoamericano un’accumulazione scandalosa di ricchezza
per pochi a scapito dell’esclusione
e della povertà per la grande maggioranza della popolazione. Il suo
discorso è diretto, esplicito, senza
metafore che nascondono i concetti
come è solito essere il discorso ufficiale e equilibrista del Vaticano, che
sottolinea più la sicurezza e l’equidistanza che la verità e la chiarezza della propria posizione.
La posizione del Papa Francesco a
partire dai poveri esclusi è chiarissima: “non ci devono essere dubbi né
c’è posto per spiegazioni che indeboliscano” questa opzione perché “c’è
un nesso inscindibile tra la nostra
fede e i poveri” (Esortazione n. 48).
In modo deciso denuncia: “ il sistema
sociale ed economico è ingiusto alla
radice” (n. 59), “dobbiamo dire no a
un’economia di esclusione e di disuguaglianza sociale; questa economia
uccide... l’essere umano è considerato, di per sé, come un bene di consumo che si può usare e poi buttare,
gli esclusi non sono gli “sfruttati”, ma
i rifiuti, i “di troppo” (n. 53). Inoltre
non si può negare che questo tipo
di formulazioni del Papa Francesco
ricordano il magistero dei vescovi
latinoamericani di Medellin (1968),
Puebla (1979) e Aparecida (2005) e il
pensiero comune della teologia della liberazione. Quest’ultima ha come
asse centrale l’opzione per i poveri,
contro la loro povertà e a favore della
vita e della giustizia sociale.
[…] Riprendendo le parole del Papa
“Siamo diventati incapaci di compatire o di udire le grida degli altri, e non piangiamo più alla vista
del dramma degli altri né ci interessa
averne cura” (n. 54), possiamo ancora
considerarci civili, se per civiltà intendiamo l’umanizzazione dell’essere
“Questo tipo di cristianesimo
non ha niente del proselitismo
ma conquista per l'attrazione
della sua bellezza e della profonda umanità”
16
umano? In verità, stiamo regredendo a forme primitive di barbarie. La
conclusione finale per il Pontefice
deriva da questa inversione: “Non
possiamo più fare affidamento
sulle forze cieche e sulla mano
invisibile del mercato” (n. 204). In
questo modo attacca il cuore ideologico e falso del sistema imperante. E
dove va a cercare alternative? […]
Va a cercare la pratica umanitaria del
Gesù storico. […] Gesù è colui che ci
insegna a vivere e a convivere, a “riconoscere l’altro, a curare le ferite, a
costruire i ponti, a rafforzare i legami
e ad aiutarci a portare i pesi gli uni degli altri”(n. 67). Personalizzando il suo
proposito, dice , “mi interessa far sì
che coloro che sono schiavizzati
da una mentalità individualista,
indifferente ed egoista, possano
liberarsi da queste catene indegne
e raggiungano uno stile di vita e
di pensiero più umano, più nobile,
più fecondo, che renda più degno
il loro passaggio su questa terra”
(n. 208). Questa intenzione è simile
a quella della Carta della Terra che
mira a valori e principi per una nuova
Umanità che abita con cura e amore il pianeta Terra. Il sogno di Papa
Francesco rende attuale il sogno
del Gesù storico, quello del regno
di giustizia, di amore e di pace. Gesù
non aveva l’intenzione di creare una
nuova religione, ma persone che
amano, sono solidali, mostrano misericordia, sentono tutti come fratelli e
sorelle, perché tutti sono figli e figlie
nel Figlio. Questo tipo di cristianesimo non ha niente del proselitismo, ma conquista per l’attrazione
della sua bellezza e della profonda
umanità. Tali valori sono quelli che
possono dare un’altra direzione all’umanità.
Tratto da “O Papa Francisco e a economia política da exclusão”
Traduzione: Federica Nassini
RITRATTI
L’IMMORTALITÀ DI GINO
Il ricordo di Gino Filippini, dopo il Memorial Day di Korogocho
Sistemando degli appunti tolti da
un faldone impolverato, mi è capitata tra le mani una poesia di Eugenio Montale, dedicata alla madre
dopo la sua morte, dove il poeta si
interroga sull’immortalità. La madre
pensava di continuare in un’altra
vita la vita terrena, mentre il poeta
nega l’esistenza di un mondo ultraterreno, ma è al ricordo di chi resta
che si affida la sopravvivenza. Subito un immagine di Gino Filippini e
tanti suoi pensieri mi sono affiorati
nella mente. L’immortalità di Gino è
l’una e l’altra cosa, si attua nella dimensione trascendente come risultato della sua profonda spiritualità
e relazione con Dio e immanente,
perché il ricordo vivo e fecondo
che ha lasciato nella comunità di
Korogocho a Nairobi è ovunque e
permanentemente palpabile, è il
retaggio e l’eredità che si respirano
quotidianamente nelle motivazioni
alla sopravvivenza che animano i
giovani, le donne e persino i bambini nella Korogocho di fine 2013.
Gino il “seminatore” non ha visto il
raccolto ma, se lo immaginava, perché ha creduto negli esseri umani
e nella loro capacità di autodeterminarsi, nonostante la condizione
di assoluta miseria morale e materiale nella quale sprofondava ogni
giorno la gente dello slum. Gino ha
stimolato la speranza che assomigliava più a un miracolo che a un
sogno realizzabile. Ora quella speranza è una realtà imprescindibile,
è la consapevolezza che la forza di
volontà dei membri di una comunità, se chiaramente supportata
da una progettualità, anche finanziaria, apre scenari dove il cambiamento è realizzabile. A Korogocho,
poche settimane prima del Natale
2013, il ricordo di Gino si è celebrato come si può celebrare il Natale
stesso, con il ripetersi perpetuo di
un credo indissolubile, che però nel
caso di Korogocho mescola, inevitabilmente, spiritualità e corporeità. Erano soprattutto giovanissimi
e bambini a “festeggiare” – è stato
un incontro di sorrisi spontanei –
con semplicità e partecipazione,
ringraziando la nipote di Gino che
ha voluto vedere e toccare i luoghi
dove lo zio ha dedicato parte della
sua vita e lo SVI, per dare continuità ad un ideale altissimo, quello
che Gino ha saputo far attecchire
nei “sotterranei della storia”, come li
ha chiamati Padre Zanotelli, e dove
la difficile convivenza, in precaria
simbiosi con l’inferno dello slum,
è invece capace di rendere intenso
ogni istante di vita. Nelle testimonianze spontanee e gioiose ma, anche nelle attività svolte in ricordo
di quelle che Gino promuoveva a
Korogocho, come la pulizia dei canali di scolo e la piantumazione di
alberelli, c’era il frutto della passione di Gino, con tante parole dette e
sguardi ancora più eloquenti. Gino
ci diceva: “chiedetevi quali sono i
vostri sogni e le vostre speranze,
i vostri progetti di vita. Se volete
realizzarli io vi sto vicino ma dietro”. Gino è sempre li dietro e loro
lo sanno: “grazie a Gino sappiamo
che non dobbiamo permettere di
cancellare i sogni di giustizia da cui
siamo nati, come individui di una
minoranza irriducibile, ma anche
come comunità consapevole della
forza che possiamo generare per
autodeterminarci…Gino è ancora e
sempre con noi”.
Claudio Chiappa
Memorial Day per Gino a Korogocho,
30 novembre 2013
17
IL VANGELO DINAMICO DI DON ADRIANO
RITRATTI
il ricordo di Don Adriano Salvadori, mancato il 19 gennaio 2014
Scrivere di Adriano è un po’ come
scrivere della vita. Della sua complessità. Da trent’anni stava in Venezuela e da più di venti viveva, lottava e
respirava con gli Indios Pemon. Nella
Selva, nel profondo sud.
Quando lo incontrai per la prima
volta, più di 12 anni fa, mi colpì la
sua completa e totale dedizione alla
vita. La vita, come strumento di un
Dio che si manifesta, vivo, tramite la carne. Sangue, sudore, parole,
tempo, dolore, sorriso, abbracci, e
silenzio. Lui non era il centro della
comunità, la comunità era il centro
del suo esistere. Ogni passo era un
muoversi verso l’altro e ogni parola
doveva concretizzarsi in una azione.
“Il Vangelo è dinamico, è movimento “, diceva, quando spiegava che
Dio era ovunque. La “lotta” sempre
e ovunque. Ma in prima linea, altrimenti è delega. E le responsabilità
nei confronti degli altri non si delegano a nessuno. Mai. In ogni istante
era chiamato a essere in posizione di
attacco, di attacco per salvaguardare
una cultura che stava scomparendo,
per difendere gli ultimi che stanno in
Era di esempio per tutti noi che
in un modo o nell'altro
abbiamo avuto la fortuna
di impegnarci al suo fianco
(Giuliano Pizzoni)
foto: Mario De Carolis
ogni dove. Non sopportava la parola
“moderato”. Un cristiano non può esserlo. Un cristiano deve essere estremo. Estremo nelle scelte e estremo
nei pensieri. Nella visione antropologica della povertà trovava il suo essere uomo. Nella natura trovava il suo
silenzio. Nell’abbraccio delle sue comunità ha trovato la vita. E per l’abbraccio delle sue comunità l’avrebbe
persa. Volentieri. Nel suo operato ho
trovato il senso dell’amore universaCiao padre Adriano, ti ho ben presente a Cavalgese mentre prendi
il caffè parlando fitto fitto con
padre Damiano, che ha appena
informato il gruppo Amigos della
sua malattia.
Ti ho rivisto in Venezuela, fra la
tua gente, nella messa celebrata
nell’assoluto silenzio di una natura strana e incontaminata, dove il
Signore sembrava più vicino.
Durante un tuo soggiorno in Italia, dopo aver mangiato, insieme
alla tua famiglia, un bel piatto di
tortellini, rigorosamente bolognesi, ho avuto la fortuna di poter
chiacchierare a lungo con te, ...
Hai lasciato nel mio cuore un
segno profondo, di cui ti ringrazio
e ricordo con affetto il tuo sorriso,
la tua ironia e sopratutto il tuo
abbraccio accogliente.
Linda di Bologna
Adriano è stato per noi una speranza e un punto fermo.
Con lui abbiamo navigato il rio,
pregato, mangiato piccante, passato la frontiera. Con lui ci siamo
avvicinati alla spiritualità indigena, alla medicina alternativa e al
silenzio della Gran Sabana. Con
lui abbiamo imparato che è meglio accettare le contraddizioni.
Lo aspettavamo al suo rientro in
Italia per battezzare i nostri figli.
Paola e Martino
18
le. Nella sua storia ho trovato l’esempio vero del darsi agli altri senza chiedere in cambio nulla. Nella sua voce
ho trovato il suono della speranza.
Nella sua amicizia ho trovato la direzione da seguire.
Paolo Romagnosi
Ho conosciuto Adriano in Venezuela quando lo SVI decise di
aprire una presenza di volontari
nella zona di Rio Claro in Ciudad
Guayana. Mi colpì l’assoluto disinteresse per gli aspetti burocratici
e formali della questione: mi disse
più o meno testualmente: “tu scrivi pure quello che vuoi,quello che
ti serve per il ministero italiano io
ti firmo il foglio che ci consenta
di avere qui dei volontari italiani”.
Nel contempo colpiva quanto
sapeva entrare nella profondità
delle questioni e la chiarezza quasi lapidaria con cui interpretava la
parola del Vangelo, di cui aveva
una conoscenza teologica altissima. Alcuni anni dopo lo rividi
a S. Miguel in occasione di una
celebrazione eucaristica all’inizio
del suo ministero fra gli indios
pemon. Introdusse la celebrazione con il segno di croce e con
due parole in lingua spagnola poi
lasciò la parola all’interprete che
parlò per circa 20 minuti! Lui si
limitava a sorridere, con quel suo
sorriso contagioso che ti riconciliava con i problemi della vita. Mi
colpì la sua capacità di ascoltare,
di pazientare, di assumere i tempi
per noi infiniti del linguaggio
indigeno. Ne stava studiando con
passione la lingua, ma anche i
costumi, le modalità di relazione,
i racconti . Per lui essere missionario significava vivivere con loro,
assumere per quanto possibile il
loro punto di vista. Una lezione
di integrazione che non ho più
dimenticato.
Claudio Donneschi
RITRATTI
DON FRANCO BENEDINI
Don Franco Benedini era nato a
Brescia il 19 ottobre 1932.
Nei primi anni ‘70 l’allora segretario
dello SVI, Stefano Frerini, decise di
coinvolgerlo nell’Organismo, che
era nato da pochi anni. Don Franco,
sensibile e attento al mondo giovanile, accettò di buon grado l’incarico di formatore dei volontari in
partenza, assumendo il ruolo di Direttore del corso di formazione.
Le sue linee guida, dettate negli
anni del corso di formazione, sono
tuttora attuali e di fondamentale
importanza per il nostro Organismo. Ecco, in sintesi, quanto Don
Franco ci ha insegnato:
- Il principio del “volontariato come
scelta di vita”, non un volontariato da tempo libero o nel ristretto
di un piccolo periodo di vita, ma
nell’intera impostazione della propria esistenza
- Non bastano le buone intenzioni
per fare buone cose. Occorre conoscere chi si va ad incontrare e
questo non può che avvenire sul
campo. Pertanto la formazione
non deve terminare con la partenza, ma al contrario, su certi temi,
iniziare con essa
- Le motivazioni del volontario: occorre conoscere se stessi, i propri
bisogni, le proprie spinte motivazionali che vanno considerate
dinamicamente. Non invitava il
volontario a definire e fermare gli
elementi di un processo in divenire, meglio piuttosto spingerlo
ad un’autoanalisi con l’apertura al
cambiamento.
- la centralità del beneficiario, che
non è data in partenza ma va perseguita con attenzione e coraggio. La prima forma di attenzione
è lo sforzo di apprendere la lingua
del popolo ospite, non solo perché essa è veicolo di cultura, ma
perché questo porrà il volontario,
“Bisogna realizzare la liberazione dell’uomo da tutto ciò
che lo tiene prigioniero e limita o distrugge
le sue vere possibilità di vivere da uomo”
(Don Franco)
potente in quanto possessore dei
mezzi di aiuto ma straniero in casa
altrui, dipendente da chi conosce
la realtà locale e la vive da secoli;
- l”incontro fra culture diverse”, per
cui il volontario è qualcuno che
percorre un tratto di strada accanto ad un altro popolo;
- Il volontario se agirà secondo i
principi su esposti è destinato a
divenire “figlio di due culture”, quella delle proprie origini e quella acquisita nell’incontro con la diversità, mediante un lento processo di
inculturazione. Per questo motivo
il volontario in partenza va invitato a dedicare i primi sei mesi alla
studio della lingua e della realtà
locale, senza assumere dirette responsabilità gestionali, con maggior propensione per l’imparare
che non per l’insegnare o il “fare”.
A distanza di vent’anni crediamo
sia il momento di fare memoria del
suo insegnamento, dedicandogli
un piccolo progetto in uno dei tanti
posti del sud del mondo dove i nostri volontari, che si sono formati al
corso che Don Franco ha pensato e
impostato per il nostro organismo,
danno un senso compiuto a ciò che
lui ci ha insegnato.
In occasione del ventesimo anniversario della sua scomparsa, che è
stata ricordata e commemorata con
la celebrazione di una Santa Messa
lo scorso 30 gennaio, SVI ha infatti
deciso di intitolare un progetto alla
memoria di Don Franco in Zambia,
a Mutanda nel distretto di Solwezi,
per la costruzione di aule per la formazione di gruppi femminili.
tratto da uno scritto di Mario Piazza
19
CAMPAGNE
ABBIAMO RISO
PER UNA COSA SERIA
Sabato 17 e domenica 18 maggio,lo SVI , ed i soci FOCSIV, distribuiranno nelle piazze italiane,
per il dodicesimo anno consecutivo, riso certificato Fairtrade, per sostenere il diritto al cibo
Con l’acquisto del riso del commercio equo e solidale, certificato Fairtrade, FOCSIV sostiene e
finanzia la produzione biologica della cooperativa thailandese TOFTA, al fine di migliorare le condizioni di vita delle famiglie dei suoi piccoli agricoltori.
Con la distribuzione del riso la campagna FOCSIV sostiene oltre 20 progetti di diritto al cibo e sovranità alimentare, intesa come diritto di ognuno di poter
scegliere come e cosa produrre, nel rispetto di tutte
le risorse naturali e dei modelli produttivi tradizionali.
Non basta assicurare il sostentamento delle popolazioni più povere per garantirne lo sviluppo, ma è necessario che la sovranità alimentare diventi un diritto
condiviso da tutti, ed è per la sua affermazione che
FOCSIV lavora da oltre 40 anni.
Il vostro contributo risulta importantissimo perché,
oltre a non voltare le spalle a situazioni di disagio
troppo spesso dimenticate, punta ad una partecipazione attiva e responsabile.
Un aiuto tanto più prezioso,perché finalizzato a distribuire un riso che portato sulle nostre tavole ci
ricorda il diritto di tutti ad accedere ad adeguate
quantità di cibo sano e nutriente per poter lavorare e
costruire un futuro diverso, con dignità.
Come affermava Don Puglisi, che sarà beatificato il
prossimo 25 maggio, “se ognuno fa qualcosa, allora
si può fare molto”, e Voi state facendo moltissimo!
Noi vogliamo ringraziarvi fin da ora, ma soprattutto augurarvi un sentito in bocca al lupo per le giornate di
sabato e domenica.”
Lo SVI aderisce alla Campagna Focsiv da anni, destinando ogni anno ad un progetto diverso il ricavato di
Abbiamo Riso per una Cosa Seria!
Quest’anno lo SVI ha deciso di “far ridere” il progetto in Zambia, che troverete descritto nella pagina
qui a fianco. Cercate i nostri banchetti in giro per
le piazze di Brescia e provincia, donate un sorriso
allo Zambia!!! (per maggiori informazioni sui banchetti dello SVI potete contattare la nostra sede allo 030
3367915 o visitare il sito www.focsiv.it).
FOCSIV
insieme agli Organismi federati
Vogliamo ringraziare in anticipo tutti coloro che decideranno di sostenere la Campagna ed i volontari
e le volontarie che saranno impegnati attivamente
e lo vogliamo fare attraverso le parole della Focsiv:
“Carissimi Volontari,
A chi cammina con noi dall’inizio e a chi si unisce oggi,
desideriamo dire che è solo grazie al vostro impegno e
alla vostra comune partecipazione che è possibile realizzare l’iniziativa.
Noi tutti viviamo un momento di difficoltà personale,
professionale, sociale ed economica, tuttavia, non dimentichiamo che oggi nel mondo è in atto una crisi
alimentare “ben più grave di quella finanziaria”, come
ricordava Papa Emerito Benedetto XVI in occasione
della Giornata Mondiale della Pace, il 1°gennaio 2013.
Perciò la nostra sfida è cercare di garantire una sicurezza alimentare sostenibile a chi vive in un contesto di scarsità di terra, acqua ed energia.
20
CAMPAGNE
PROGETTO ZAMBIA
Comunità di Mumena e Matebo
Ci incontriamo, ci scontriamo, ridiamo, cerchiamo la gioia sfuggiamo il
dolore e tra piogge e sole cresciamo e
cambiamo. Impariamo ad ascoltare,
poniamo domande e dimentichiamo
le risposte. Abbiamo grandi idee e piccoli pensieri, paure ricordi e nostalgia.
Raccogliamo parole e coltiviamo sogni, raccogliamo sogni e coltiviamo
relazioni. Villaggio di Mutanda: la luce,
la terra rossa di fango e polvere, l’ombra degli alberi e il vento. Il rumore dei
passi, il suono dei tamburi, le voci, le
storie e i progetti. Lavagne, quaderni, matite e gessetti. Sementi, zappe,
viaggi e magliette. Carretti e buoi. Tetti
in paglia tegole e mattoni. ago e filo.
Pesce e sapone. Polli e biciclette. Legna
da ardere, cammini che si incrociano,
molte mani, canzoni e forza di volontà.
Lo SVI opera per attivare progetti di
sviluppo formati dal basso, integrati
e sostenibili, affinché la comunità si
attivi nel definire i propri problemi e
attui le migliori soluzioni praticabili.
Dallo Zambia, con grande piacere
abbiamo appreso che quest’anno
i fondi raccolti dallo SVI con la
campagna “Abbiamo riso per una
cosa seria” verranno destinati al
nostro progetto di Mutanda, nel
nord ovest del paese. Progetto
non sempre fortunato, spesso con
poche risorse finanziarie, ma che
continua tenacemente ad avanzare nei suoi propositi e a mantenere l’impegno preso con la comunità locale Kaonde. Saremo felici di
esser ancora una volta testimoni
di tutti i sorrisi che saprete donare
grazie alla vostra generosità. Sicuri nella risposta positiva di tutti gli
amici e sostenitori, ringraziamo in
anticipo per la volontà di esserci
anche dall’Italia.
I volontari promuovono, attraverso
l’animazione rurale, il nascere e il collaborare di gruppi locali di contadini
e di donne, attori principali di un reale e sostenibile cambiamento.
È proprio il desiderio della comunità locale che ha dato vita al progetto
SVI in Zambia.
Il progetto nasce, infatti, nel 2006 da
una specifica richiesta delle comunità locali di Mumena e Matebo. Lo SVI
in quegli anni collaborava con i profughi ruandesi presenti nel campo di
Maheba, promuovendo attività agricole di tipo cooperativo e sostenibile. La popolazione zambiana, colpita
dalle migliori condizioni abitative ed
economiche del vicino campo, chiese aiuto allo SVI.
Il progetto negli anni ha interessato
vari ambiti della vita delle comunità,
promuovendo agricoltura sostenibile, formazione, micro-imprenditorialità femminile.
Le attività del progetto attuale coinvolgeranno in 3 anni direttamente
circa 600 persone, ma considerando
le famiglie e le comunità dei beneficiari diretti, raggiungeremo, alla fine,
circa 3.000, e molti molti di più saranno i riflessi benefici che si diffonderanno nell’intera zona.
In ambito agricolo, svolgiamo attività di formazione rivolte ai contadini locali per far si che acquisiscano
tecniche di coltivazione più redditizie, eco-compatibili e sostenibili;
promuoviamo la differenziazione
delle colture (distribuendo semi
di girasole, fagioli, soia e arachidi in
aggiunta al mais) e la tecnica agroforestale (“coltivare con la foresta”,
utilizzando piante azoto-fissanti nella coltivazione in campo); il tutto volto a migliorare la fertilità del suolo,
incrementare i mezzi di sussistenza, diversificare le fonti alimentari
e creare nuove attività generatrici
di reddito.
Parallelamente abbiamo avviato corsi di formazione per l’impiego e
l’allevamento di buoi da traino per
facilitare il trasporto di merci, il lavoro nei campi e il miglioramento della
resa delle colture.
Per favorire l’educazione e la microimprenditorialità delle donne, diversamente non vi avrebbero accesso,
abbiamo attivato corsi di alfabetizzazione nonché micro-imprese (in
ambito di sartoria, trasformazione e
vendita di prodotti alimentari e agricoli) gestite dai gruppi costituitisi
spontaneamente nei diversi villaggi della comunità. Promuovendo la
produzione di tegole con argilla locale lavorata artigianalmente, è stato
possibile sostituire i tetti tradizionali
in paglia con tetti in tegole che permettono una migliore salubrità della
casa.
“I semi di oggi saranno
la foresta di domani.”
proverbio africano
Il nostro volontario
Stefano Verzeletti
con alcuni beneficiari
del progetto
Cari saluti da Mutanda,
Maria Goretti, Stefano
e tutta la comunità
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PAROLA E PANE
C’ERI, TU, NEL DESERTO…
Preparazione alla Santa Pasqua
C’eri, Tu, nel deserto della mia accidia, quando non avevo voglia di
riprendere il cammino, perché mi
dissero di rientrare in me stesso, di
pensare che sarei tornato polvere,
perché già si stava preparando la
tua Via Crucis.
Eppure io non mi sono accorto di te.
C’eri, Tu, nel deserto di Giuda, quando l’antico avversario mi propose di
fare a meno di te, perché tanto eri
inutile, e che lui mi avrebbe dato
tutto ciò che io chiedevo a te, e me
l’avrebbe dato in abbondanza, senza soffrire, senza problemi, senza la
croce, a cambio solo della mia anima.
Eppure io non mi sono accorto di te.
C’eri, Tu, nel deserto del Tabor,
quando salivo con i miei amici e mi
sembrava tutto fantastico, e poi, di
colpo, tutto scomparve, e fu solo la
nebbia, e fui preso da angoscia terribile, perché di te rimase solo una
voce, a dirmi che eri il Figlio prediletto, e che era bene ascoltarti.
Eppure io non mi sono accorto di te.
C’eri, Tu, nel deserto di Samaria,
quando venni come ogni giorno
ad attingere acqua al pozzo ma
feci ritorno al villaggio ancor più
assetato, sconvolto, perché il mio
vissuto occulto era stato scoperto,
e perché io, convinto di sapere già
come e dove pregare, fui invitato a
vivere una fede più seria, fatta non
di osservanza di leggi e costumi,
ma di vita nello spirito e di ricerca
della verità.
Eppure io non mi sono accorto di te.
C’eri, Tu, nel deserto della piscina di
Siloe, dove molte volte mi avvicinai
per lavare i miei occhi assonnati ma
senza riuscire a pulire la mia anima,
e un giorno mi sentii riempire di
fango, mi sentii sbattere in faccia
tutti i miei peccati, e anche quelli
commessi dagli altri, solo perché
ero cieco, diverso dagli altri, maledetto da Dio fin dalla nascita.
Eppure io non mi sono accorto di te.
C’eri, Tu, nel deserto di Betania,
presso una tomba fuori dalla quale
tutti piangevano disperati, e dentro
la quale io giacevo sepolto, e per
salvarmi dalla quale nessuno aveva
fatto niente, e dalla quale nessuno
voleva più togliermi, perché mandavo già cattivo odore, perché facevo ribrezzo, perché ero un verme,
“E che ci sei. E che ci sarai sempre”
22
non un uomo, ero un ammasso di
bende legate, e non un essere vivente.
Eppure io non mi sono accorto di te.
C’eri, Tu, nel deserto del Getsemani,
dove la notte oscura e il vento gelido ebbero su di me il sopravvento,
fino a farmi dormire profondamente, dove ebbi modo di osservare un
amico baciarti e tradirti al tempo
stesso e accorgermi, poi, che avrei
fatto lo stesso; dove arrivarono a
prenderti come un brigante, come
tu avevi predetto, con spade e bastoni, ed io riuscii pure quella volta,
anche se smarrito e confuso, a far
del male a qualcuno, ferendolo con
una spada spuntata chissà da dove
e chissà perché.
Eppure io non mi sono accorto di te.
C’eri, Tu, nel deserto del Golgota,
dove riuscii solamente ad ascoltare quel grido divino di morte che
copriva tutto il mondo e dopo il
quale il tempo si è fermato, dove
ho incontrato tua madre, desolata,
sorretta solo dalla forza della speranza, e allora mi fermai a guardare
e a dare testimonianza.
Eppure io non mi sono accorto di te.
Sono stolto, e forse anche un po’
tardo di cuore, Signore. Perché solo
alla fine, nella tomba lasciata vuota, di fronte alle bende e al sudario
piegato in un luogo a parte, presso quel giardino nel quale ancora
nessuno era stato sepolto, dentro
quella stanza con le porte sprangate per paura dei Giudei, lungo la
strada che da Gerusalemme porta a
Emmaus e sulle rive del lago di Galilea, ho capito, Dio della Vita, che Tu
c’eri.
E che ci sei. E che ci sarai sempre:
perché eri morto, ma ora, vivo,
trionfi.
Ma soprattutto ho capito che, nonostante tutto, Tu non mi disprezzi
mai, Signore, Amante della Vita.
Don Alberto Brignoli
SUGGESTIONI
ENZO JANNACCI
L’Artista
Ala Bianca
2013
DON ANDREA
GALLO
Sopra ogni cosa
Il Vangelo laico secondo
Fabrizio De André nel
testamento di un profeta.
Ed. Piemme
2014
MICHAEL MOORE
Bowling for
Columbine
USA – Canada
2002
www.faustoconter.com
Tracce non inedite (ma è come se lo fossero), interpretate e riarrangiate ex novo nel
corso dell’ultimo anno di vita di Jannacci.
Sono canzoni “jannacciane” in buona parte
antiche (di 40-50 anni fa in media, solo due
risalgono rispettivamente al 1981 e al 1987);
alcune all’apparenza esili e bozzettistiche,
altre potenti e drammatiche come “Cosa
importa”, “La sera che partì mio padre” o
“Maria me porten via”. Tutte, pressochè
sconosciute ai più.
Reinterpretazioni mature così toccanti, che
danno profondità del tutto nuove - forse
insospettabili - anche a istantanee giovanili
dei primi anni ‘60 come “L’artista”, “Il tassì” o
“Un amore da 50 lire” e un inedito piuttosto
sorprendente, quello con J-Ax, “Desolato”.
Infine, anzi oltre e al di sopra di tutto
ciò, a dominare la scena in ogni momento, c’è la voce di Enzo - a tratti
stanchissima, a tratti ancora piena e
tonante - che riporta mirabilmente
alla luce queste perle tutte da (ri)
scoprire. E lo fa commuovendo.
“Il mio tempo, che sta per finire, ha il suono
dolce dell’abbraccio celeste”. Così don
Gallo ci lascia il suo testamento, un’analisi
reale, sentita, commovente, lucida e ,
sempre, ostinata e contraria di molti temi
che il prete di strada aveva più a cuore: la
democrazia, l’amore, la Chiesa, i giovani, la
diversità…tutti argomenti trattati partendo dall’incipit delle canzoni di Fabrizio De
Andrè, ispiratore del “quinto Vangelo” per il
Gallo: il Vangelo della strada. Un libro a cui
Don Andrea, fondatore della Comunità
San Benedetto al Porto, ha lavorato
fino all’ultimo giorno, nato sulle ali
dell’amicizia “angelicamente anarchica” intrattenuta per anni con Faber.
Con illustrazioni di Vauro.
Il 20 aprile ‘99 due ragazzi entrano armati
nella Columbine High School e uccidono 12
studenti e un insegnante, poi rivolgono le
armi contro se stessi e si tolgono la vita. Da
questo evento Michael Moore prende spunto per raccontare la diffusione non controllata delle armi da fuoco e il loro abuso negli
Stati Uniti. È una riflessione sulla violenza e
un tentativo di ricerca delle possibili cause.
L’autore non dichiara alcuna conclusione
esplicita ma lascia lo spettatore riflettere
a partire da ciò che vede e sente durante
le interviste. Ciò che emerge è quanto la
diffusa ‘cultura del terrorÈ negli Stati Uniti,
associata al libero uso delle armi, spinga le
persone a sentire l’esigenza di proteggersi e quindi
ad avere un’arma da
utilizzare se necessario.
Tema ancora di grande
attualità.
È il sito del volontario dello SVI n Uganda,
Fausto Conter. Una raccolta di fotografie
scattate dall’Africa, che ci mostrano ciò che
lui vive, vede e respira quotidianamente. I
progetti, le persone, i volontari, i paesaggi, i
particolari…un viaggio attraverso gli occhi
di Fausto e la sua machina fotografica, alla
scoperta, per usare le sue parole di “una
continua meraviglia che passa attraverso la quotidianità della gente che
vive in questa fantastica regione chiamata Karamoja”. Guardandolo si respira
passione e Africa!
da DeBaser
Liuz
Claudia Pisano
Liuz
23
Lo SVI vi augura una Buona Pasqua
di Resurrezione e di Pace
i la solidarietà tra
con lo SVI per vivere da protagonist
i popoli
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numero di Gennaio 2014