Pubblicazione trimestrale del servizio volontario internazionale - Anno XXVII - Marzo 2014 - Sped. in abb. post.art. 20/c. - L. 662/96 - Fil. di Brescia Autorizz. del Tribunale di Brescia n° 64/89 del 12/02/1989 In caso di mancata consegna rinviare all’UFFICIO POSTALE DI BRESCIA CMP detentore del conto per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa. Servizio Volontario Internazionale esserci 01 PACHA MAMA LE MICRO BURUNDI Attivazione di campi modello - € 1000 Tra le associazioni di agricoltori i cui membri si sono dimostrati seriamente interessati alle attività del progetto e soprattutto al corso di formazione, ne saranno scelte alcune cui sarà proposto di creare in un loro appezzamento di terreno un campo modello che sarà coltivato seguendo tutte le tecniche apprese e in cui saranno piantate anche le piantine di agro-forestry provenienti dal vivaio SVI e che favoriranno l’arricchimento dei principi nutritivi del terreno. UGANDA – Iriiri - Distretto di Napak Riabilitazione di 14 granai per lo stoccaggio del surplus di granaglie (€ 50 cadauna) - € 700 Una delle problematiche principali durante la stagione della secca (che va da novembre a marzo) è quella di stoccare il surplus alimentare prodotto durante la stagione delle piogge. Questa micro punta alla riabilitazione di 14 granai/cisterna che durante gli anni hanno subito dei danneggiamenti per mettere in condizione le 7 comunità beneficiarie di stoccare al meglio il proprio surplus. UGANDA – Kapedo Costruzione di un piccolo laboratorio per il filtraggio e il confezionamento di miele selezionato - € 1500 Per contribuire al miglioramento della qualità e della commercializzazione del miele, prodotto dagli apicoltori locali, abbiamo bisogno di un laboratorio in cui filtrare e confezionare il miele selezionato. VENEZUELA- Las Amazonas Costruzione di un barile di compostaggio per un orto famigliare - € 250 Nell’appoggio agli orti famigliari continuiamo a sperimentare sempre nuove tecniche, una tra le tante è un sistema di compostaggio in barile per ottenere il compost più rapidamente e di miglior qualità. Grazie al tuo appoggio potrai aiutare una famiglia a produrre un buon concime per alimentare la terra quindi ottenere verdure più sane per la salute di tutta la famiglia. VENEZUELA – San Félix Realizzazione di una Bottega Solidale – € 600 Con il gruppo di salute integrale Salud y Vida del quartiere La Victoria si vuole realizzare una Bottega Solidale, in cui preparare e vendere a prezzo solidale prodotti di medicina naturale, oltre che a preparati e strumenti per curare in maniera biologica gli orti organici. VENEZUELA – Las Claritas Fornire materiali per il corso di taglio e cucito - € 500 Grazie al vostro contributo 14 donne potranno usufruire dei materiali necessari per apprendere a confezionare i propri vestiti e imparare a produrli per altre persone, fornendo un valido aiuto alla crescita personale e all’ autonomia delle donne che partecipano al corso. Le micro sono un semplice strumento per sostenere insieme il peso di uno sviluppo più giusto. Sostieni lo SVI attraverso le micro! Foto: Fausto Conter 2 ZAMBIA - Distretto di SOLWEZI Costruire quattro bagni di servizio per 500 studenti di una scuola elementare – € 3.000 La casa e l’ufficio SVI a Mutanda sorgono proprio di fronte ad una scuola elementare di 500 bambini tra i 6 ed i 14 anni, i quali ad oggi posso solo usufruire di latrine costruite in paglia e fango. EDITORIALE ATTUALITÀ DI UN MAESTRO Lo SVI è nato dall’impegno di giganti. Vorremmo che questo motivo di orgoglio divenisse stimolo a riflettere sul patrimonio iniziale lasciatoci da figure di ricchezza straordinaria che hanno segnato le nostre origini A fine gennaio ricorreva il ventesimo anniversario della scomparsa di don Franco, indimenticato direttore del corso di formazione. C’è qualcosa che don Franco comprendeva con estrema lucidità, suggerendoci scelte di cui forse non afferravamo tutte le implicazioni. Fare memoria di don Franco Benedini può divenire un’occasione per meditarne il contributo in maniera non superficiale e commemorativa, attualizzandone gli insegnamenti. In questo breve spazio ne anticipo un paio, fra quelli che ancora oggi appaiono controversi, poiché non hanno ancora smesso di generare dibattito. Sottovalutare la lungimiranza di alcuni suggerimenti può comportare problemi non piccoli, la cui natura ed origine ci disorienta. Prendiamo ad esempio il suo consiglio di non far rimanere troppo a lungo un volontario nel medesimo posto. Una motivazione era evitare che tutto ruotasse attorno a lui. Ma in realtà vi sono anche altre ragioni. Sebbene lo SVI in molte situazioni si occupi di aspetti tecnici, lo fa utilizzando l’azione sociale, attraverso le relazioni interpersonali, in piccoli gruppi o comunità. Di conseguenza i volontari svolgono un ruolo strettamente intrecciato con la sfera personale: mettono in gioco loro stessi, i loro valori, il loro modo di esprimersi, gli atteggiamenti, le abitudini, i sentimenti, i vezzi… La questione della “disponibilità personale” altruistica e disinteressata (la così detta “buona volontà”) presupposta in fase di selezione, accudita e coltivata nel periodo di preparazione, infine pretesa in servizio, non riguarda unicamente l’essere flessibili e adattabili. Nel lavoro sociale i bisogni degli operatori, le aspirazioni personali, le tendenze individuali, vengono ripetutamente messe in connessione e confronto con gli obiettivi del progetto e dell’organizzazione. Occuparsi del prossimo significa di per sé immergersi in una dimensione affettiva e relazionale molto simile a quella agita nel privato. Bisogna però saper conservare un confine, evitando che la “professione” del volontario sia una sorta di continuum della vita privata, se non altro per il rischio di confondere le priorità che questa richiede. Un secondo suggerimento di don Franco si sta rivelando di estrema attualità: l’opportunità di accompagnare il volontario non solo sul piano progettuale, amministrativo e organizzativo, ma anche relazionale offrendogli la possibilità di rileggere l’esperienza insieme a qualcuno in grado di fare da specchio alle scelte e alle loro motivazioni, razionali e no. Don Franco cercava (o raccomandava di trovare) qualcuno con cui il volontario avrebbe potuto confrontarsi, in grado di seguire con cadenze precise l’evoluzione dell’itinerario personale. Col tempo abbiamo dato sempre meno peso a questo suggerimento, anche forse per l’obiettiva difficoltà a garantire la prossimità necessaria. Ma ciò ha finito con l’aumentare il rischio che le difficoltà esondassero dall’ambito professionale al privato o viceversa, intaccando la matrice motivazionale, riducendo la capacità di comprendere, ascoltare, intuire… tutte attitudini capisaldi del lavoro sociale. Uno dei mantra di don Franco era porre le condizioni affinché il periodo di volontariato all’estero fosse riletto al ritorno come “una bella e arricchente esperienza”. Sappiamo che con queste parole non gli stava a cuore solo il benessere del volontario, ma anche e soprattutto l’interesse dei beneficiari dell’intervento. Affinché si realizzi uno dei motti dello SVI: sostieni un volontario, adotterai una comunità! Mario Piazza 3 esserci 02 Micro 03 Editoriale Attualità di un Maestro 05 Terre d’Africa Formidabile Combinazione 06 Progetti Venezuela – Il futuro è con la Pacha Mama Uganda – Intervista alle “Tre Effe” 10 Dossier L’Africa in movimento 13 14 16 17 “C’è chi aspetta la pioggia per non piangere da solo” Faber [Ph: Giancarlo Olivini] esserci a cura del Servizio Volontario Internazionale S.V.I. V.le Venezia, 116 25123 Brescia tel. 030 3367915 fax 030 3361763 Seguiteci anche su Facebook nella pagina SVI – Servizio Volontario Internazionale e su Twitter: @SVIBrescia www.svibrescia.it E-mail: [email protected] [email protected] Numero chiuso in redazione il 22 febbraio 2014. Il prossimo numero uscirà a luglio 2014. 4 Storia 6 Aprile 1994 SVI Italia Arte si fa pane Vita dello SVI Ecclesia Papa Francesco e l’economia politica dell’esclusione Ritratti L’immortalità di Gino Il Vangelo dinamico di Don Adriano L’insegnamento di Don Franco Benedini 21 Campagne Abbiamo riso per una cosa seria Progetto Zambia 22 Parola e Pane C’eri, tu, nel deserto… 23 Suggestioni Cd – L’Artista Libro - Sopra ogni cosa Film - Bowling for Columbine Web - www.faustoconter.com Gruppo di redazione Direttore Responsabile Claudio Donneschi; Coordinamento di Redazione: Lia Guerrini; Gruppo di Redazione: Irene Lorandi, Claudia Pisano, Gabriele Smussi Come collaborare: CCP: 10236255 CC bancario n° 000000504030 Banca Etica - filiale di Brescia IBAN: IT02L0501811200000000504030 Realizzazione grafica: Daniela Mena, Elena Viscardi (Progetto grafico); Lia Guerrini (immagini) Stampato su carta riciclata ecologica Revive Pure Natural Offset, usando energia pulita. Tipografia: GAM - Rudiano (Bs) 5 per mille Il codice fiscale di SVI è 80012670172 TERRE D’AFRICA FORMIDABILE COMBINAZIONE È il 18 luglio 1918. La storia divenuta ormai leggenda narra che, sulle sponde del fiume Mbashe una donna partorì. Rolihlahla letteralmente “colui che procura guai” Mandela, venne alla luce. “Una buona testa ed un buon cuore sono sempre una formidabile combinazione.” N.Mandela Lo possiamo immaginare, lui come tanti altri bambini, correre a piedi nudi, saltare ridere e giocare, e la sera attorno al fuoco ascoltare le voci della saggezza popolare: “da piccolo quando vivevo nel Transkei, ascoltavo i racconti degli anziani della mia tribù. Mi raccontavano delle guerre combattute dai loro avi in difesa della madrepatria. Allora speravo che la mia vita mi desse la possibilità di servire la mia gente e di fornire il mio modesto contributo alla sua battaglia per la libertà” dalla dichiarazione di Mandela al processo di Rivonia, 1964. Fu alle elementari che la maestra gli diede il nome di Nelson. Da lì proseguì gli studi nelle scuole sudafricane per studenti neri conseguendo la laurea in giurisprudenza. Nel 1944 entra nella politica attiva diventando membro dell’ANC (African National Congress) guidando per anni campagne pacifiche contro l’apartheid. Viene arrestato nel 1963 e, dopo un lungo procedimento, è condannato all’ergastolo. Un’ ampia testimonianza dell’impegno politico e sociale di Mandela la troviamo nella conclusione del discorso pronunciato di fronte ai giudici prima del verdetto: “Ho combattuto contro il dominio dei bianchi e ho combattuto contro il dominio dei neri, ho amato l’ideale di una società democratica e libera in cui tutti possono vivere in armonia e “Dal profondo della notte che mi avvolge. Nera come un pozzo da un polo all’altro. Ringrazio qualunque dio esista. Per la mia anima invincibile” W.E. Henley con pari opportunità. È un ideale per il quale spero di vivere e che spero di raggiungere. E se necessario è un ideale per cui sono pronto a morire”. Passano più di vent’anni, malgrado Mandela sia costretto alla segregazione carceraria, lontano dagli occhi di tutti e dalle luci del mondo, la sua immagine e la sua statura crescono sempre di più nell’opinione pubblica e per gli osservatori internazionali. Nel 1990 su pressioni internazionali Nelson Mandela viene liberato. Nel 1991 è eletto presidente dell’ANC. Nel 1993 è insignito del premio Nobel per la pace mentre l’anno dopo, durante le prime elezioni libere del suo paese viene eletto Presidente della Repubblica del Sudafrica e capo del governo. Resterà in carica fino al 1998. Mandela l’eroe della lotta contro l’apartheid, ritirato ufficialmente dalla vita pubblica nel 1999, non ha mai interrotto la sua azione umani- taria. Un impegno per la pace e la comprensione umana oltre i confini del Sudafrica. Reso fragile dall’età e dai 27 anni trascorsi nelle galere del regime segregazionista bianco, Madiba come con grande affetto lo chiamavano tutti in Sudafrica, ci ricorda G. Albanese, “è stato il leader africano che ha contribuito maggiormente a segnare l’epoca del riscatto dopo l’onta coloniale e le pessime performance di molti regimi.” Nel giugno 2004, all’età di 85 anni, annuncia il suo ritiro dalla vita pubblica per passare il maggior tempo possibile con la propria famiglia. Il 5 Dicembre 2013, all’età di 95 anni, Mandela “ha attraversato il Fiume”, è entrato definitivamente nella grande comunità dei Viventi Invisibili. Nel ricordo immortale è divenuto un grande Antenato. Irene Lorandi 5 VENEZUELA PROGETTI IL FUTURO È CON LA PACHA MAMA Attraverso l’alleanza tra il Centro de Formacion Guayana e lo SVI, negli ultimi anni in Venezuela, nello specifico in Ciudad Guayana, si stanno facendo sforzi e ottenendo piccole cose che sfociano in grandi soddisfazioni. Pedro Valdovinos, collaboratore SVI, ci racconta come. Mi riferisco al “Corso per moltiplicatori socio-ambientali” e al “Baratto di sementi – Primo incontro di gruppi agroecologici e socioproduttivi in Guayana” (Trueque de semilla – Primer encuentro de productores agroecológico y socioproductivos en Guayana). Credo, però, sia necessario fare una piccola rassegna storica per o capire meglio le due azioni appena nominate. Le crisi centrali che affronta l’umanità oggi (economiche, sociali, cliamatiche, alimentari, energetiche, demografiche) ci fanno prevedere la carestia mondiale, che colpirà principalmente i paesi poveri e che ci si aspetta troverà soluzione grazie ai paesi ricchi, cosa, però, che non succederà. Il Venezuela è in guerra, in una fase della guerra, con la destra internazionale, con le grandi multinazionali e siamo ancora un paese importatore, anche di alimenti, che ha bisogno di recuperare la sovranità alimentare. Ad una lettura, anche superficiale, dell’azione di imprese potenti come Monsanto, Syngenta, Dupont e altre ancora, ci renderemmo conto che “i potenti” non stanno per niente cercando di mettere fine alla fame, bensì di “dominare” atraverso la fame. Oggi si producono alimenti per il doppio della popolazione mondiale e tuttavia piu di 100.000 persone al giorno muoiono per carenza di cibo. 6 Nelle riunioni dell’Equipe di coordinazione generale Svi Venezuela, ci siamo ritrovati a riflettere su questi dati, analizzando, inoltre, le esperienze produttive di aliementi e medicine naturali che già lo SVI e il CFG stanno appoggiando e che devono moltiplicarsi, comprendendo che non basta il contributo delle mie conoscenze come esperto di agroecologia, ma che dovevamo impegnarci a massificare poco a poco i nostri saperi. A Rio Caribe, nell’oriente del paese, nel 2012, in una tre giorni di formazione e pianificazione dell’Equipe SVI, ha avuto origine quest’ idea: istituire un corso di moltiplicatori socio-ambientali e abbiamo iniziato ha lavorare sui contenuti. Il corso dura un anno e mezzo, due sabato al mese, e verte su temi tecnici, metodologici, socio-economici e culturali, dando molto spazio alla pratica. Si sono realizzati già 18 incontri con una media di 25 persone ad incontro. Frequentano questo corso direttori di scuole, maestri, partecipanti dei consigli comunali e, ovviamente, uomini e donne che partecipano ai progetti SVI di San Fèlix e Las Amazonas. Mancano ancora 8 incontri per completare il corso, ma dal prossimo si inizia a ricordare l’impegno di moltiplicare i saperi, cosa che si è voluta ufficializzare anche per scritto. Si spera che al termine di questa tappa, si moltiplichino le esperienze di orti urbani organici, perche è urgente produrre alimenti e che questi siano di qualità, senza agrotossici, per poter promuovere una migliore qualità di vita, partendo dal principio che alimentazione sana è uguale a salute. È una grande sfida, si devono fare cambi culturali (che è un processo molto lento), ma sono convinto che ci riusciremo, anche grazie alla passione ed alla perseveranza che ci abbiamo messo in questi ultimi anni. In questi ultimi 4 anni, come equipe Svi, insieme a gente dei gruppi di San Fèlix e di Las Amazonas, abbiamo partecipato alla “Fiera delle sementi contadine” (Feria de la semilla campesina), nello Stato Lara, che da quest’anno è diventata fiera internazionale, con la rappresentanza di una quindicina di paesi e, come partecipanti ed espositori, siamo diventati “Custodi delle sementi contadine” (Guardianes de la semilla campesina), facendo da risonanza al lavoro dello SVI e venendo a contatto con numerose esperienze e idee in campo ecologico e sociale. Questo evento, se pur semplice, ma che vede la partecipazione di persone di alta qualità, impegnate con la natura, con la VITA, ci ha indotto a pensare, a sognare “e… in Guayana, non possiamo fare qualcosa di simile?” Nooo, Guayana è zona industriale, mineraria, tati che esporranno, una trentina di organizzazioni e persone. È un modo per cambiare i paradigmi a cui siamo abituati, perchè nessun prodotto che si troverà a questo evento, siano sementi, piantine, giocattoli, alimenti, medicine naturali, etc. sarà comprato o venduto, sarà solo valido il baratto: questo giorno, per questo evento, il denaro sarà abolito! Perche crediamo che questo evento sia necessario? Non solo è necessario per i progetti Svi in San Fèlix e Las Amazonas, ma è importante anche perchè un numero sempre crescente di persone si sta interesando alla sua salute libera da farmaci, all’alimentazione sana, al coltivare i propri alimenti senza agrotossici. Pedro Valdovinos, collaboratore SVI e militante del Centro de Formación Guayana Perchè è urgente conoscersi e riconoscersi, allearsi e organizzarsi. Perchè non solo dobbiamo preoccuparci, ma bensì occuparci della salute, dell’alimentazione sana, di organizzarci, di pianificare. Per questo e per molto di più è che abbiamo pensato a questo 31 di Maggio, e che dobbiamo farlo, e farlo bene, perchè deve essere l’inizio di tempi nuovi! Il programma sarà più o meno il seguente: il giorno sabato 31 Maggio, durante la mattina esposizione dei prodotti, sementi, piantine, dolci, artigianato etc. Nelle prime ore del pomeriggio inizierà il baratto, dove si potrà scambiare sementi con artigianato, piantine con dolci, e così via, e per la parte finale del pomeriggio è previsto un atto culturale e folklorico dove immaginiamo che il Calipso, simbolo di questa terra, sarà il ritmo dominante. Per la domenica 1 di Giugno è previsto un dibattito nel Centro de Formación Guayana, per valutare l’evento e muovere i primi passi per la creazione di una rete di produttori agroecologici urbani. PROGETTI senza vocazione agricola. Si, ma tutti mangiamo! E poi abbiamo già dato vita ad una rete di orti famigliari, scolastici, comunitari! E così abbiamo deciso di creare una commissione promotrice per un evento sul baratto (trueque) di sementi organiche o biologiche, autoctone o adattate al nostro clima, e anche uno scambio tra gruppi socio produttivi, qui in Guayana. Abbiamo iniziato a riunirci, insieme ad altre realtà della zona, ogni due settimane per delineare poco a poco l’evento, abbiamo già chiara la data, la prossima settimana si individuerà il luogo, e si sono già conformate alcune subcommissioni, che si stanno riuniendo in diversi luoghi e giorni, e si è già redatta la lista degli invi- È un sogno, però già sappiamo che i sogni in cui si mette cuore e lavoro si convertono in realtà! Sarà dura, suderemo, ma sarà il buon sudore del lavoro collettivo per la collettività; abbiamo la certezza che molti e molte ci appoggeranno e accompagneranno, ci mancherà tempo, però il seme che abbiamo seminato è caduto in terra fertile e altri realizzeranno quello che abbiamo cominciato. Il futuro sarà in comunione con la Madre Terra, con la Pacha Mama, o non sarà… “Quien nos quita lo bailado?”, chi ci può togliere quello che abbiamo fatto? Pedro Valdovinos 7 UGANDA PROGETTI INTERVISTA ALLE TRE EFFE Intervista semiseria per conoscere meglio i nostri volontari in Uganda F1: FAUSTO CONTER F2: FRANCESCA BELOTTI F3: FABIO POLI Nome e cognome, età, luogo di provenienza, in servizio dal... F1: Fausto Conter, 33 anni, Lodetto di Rovato, 2005 con una pausa nel 2011 e 2012. F2: Francesca Belotti, 34 anni, Coccaglio, provincia di Brescia, dicembre 2007. F3: Fabio Poli, 35 anni, Corna Camuna, frazione di Darfo Boario Terme, Valle Camonica, gennaio 2009. Nome/i karimojong e significato/i. F1: Lorot, che vuol dire “strada” e Apalonyakori cioé “il papà del bue pezzato come la giraffa”. F2: Nakoru Itai. Significa “arrivata nel periodo che precede la semina”. F3: Lokut, che significa “vento, ventoso”. Qual è la tua passione. Perché, cosa ti dà? F1: La mia passione, oltre che il lavoro, è la fotografia. Perché mi scarica, mi toglie le tensioni. Mi fa pensare più in grande di quello che di solito riesco a pensare. F2: La scrittura. Perché mi fa star bene con me stessa, mi fa fissare i pensieri che poi mi servono per crescere, per auto analizzarmi. F3: É girare piccoli video. Perché posso far vedere ad altri il mio punto di vista su quello che sto vivendo qua. Quale attività dell’attuale progetto di piace di più? Perché? F1: la parte ambientale. perché credo che l’ambiente sia importante, 8 vada mantenuto e penso che attraverso questa attività si possa cambiare qualcosa. F2: la parte che riguarda la formazione dei ragazzi, degli allievi delle scuole, nello specifico la piantumazione di alberelli, perché penso che sia l’attività più formativa e sensibilizzatrice che abbiamo e soprattutto quella più tangibile, fin da subito. F3: il lavoro che stiamo facendo con le scuole e quindi con gli alunni. In particolar modo il fatto di collaborare con loro per la creazione di plot di agroforestry, perché credo che sia importante partire dalla giovane età per sensibilizzare la comunità rispetto a questo problema ambientale. Consiglieresti a tutti di fare un’esperienza come la tua? Perché? F1: A tutti no. Perché non è questione di essere un supereroe, ma non è da tutti stare qua a lavorare con delle persone che sono differenti, che hanno una cultura completamente diversa dalla tua, e che a volte hanno dei valori di vita che sono completamente differenti, quindi difficili da accettare. F2: No. Perché non credo che tutti possano affrontarla nel migliore dei modi, perché a volte ci si scopre diversi da quello che si pensava e non è semplice accettarsi. F3: Assolutamente non consiglierei a tutti di fare un’esperienza come la mia. Non è presunzione ma servono determinate caratteristiche, serve un livello abbastanza alto di flessibilità. Ti senti una persona diversa rispetto a quella che eri prima di partire? Se sì, in cosa? F1: Sì, abbastanza. Nel fatto che prima sguazzavo nel superfluo, adesso sto cercando di tagliare un po’ tutto. F2: Sì. Mi sento un po’ più matura, un po’ meno attaccata alle stupidate. Più... basica. F3: Assolutamente mi sento una persona diversa. Sono molto più cinico, ma, allo stesso tempo, sembra una contraddizione, sono anche più sensibile. Qual è stato il consiglio migliore che ti hanno dato prima della partenza? F1: É stato quello di Beppe Prati che mi ha detto: “Non te l’ha ordinato il dottore di partire” (è detto in dialetto, nell’intervista, ma non so come si scrive!). F2: Mi è stato dato da Alberto Rocco, che era stato in Zambia, che mi ha detto di non chiedermi mai il perché. F3: Di ascoltare. Quale è, alla luce dei fatti, quello che daresti a un futuro partente? F1: Lo stesso: “Non te l’ha ordinato il dottore di partire”. Non sei obbligato, quindi pensaci. Non due volte, tre, quattro, cinque anche dieci. F2: Sarebbe quello di non aver paura. Di non aver paura di quello che vede, che sente, che vive. F3: Annullarsi completamente, resettarsi e di passare il primo periodo in completo silenzio semplicemente guardando e ascoltando. Alla scadenza del tuo attuale contratto, cosa farai? F1: Chi lo sa... F2: Non lo so, non ne ho proprio idea. F3: Non ne ho la più pallida idea. Cosa vuol dire essere volontario SVI? F1: Significa vivere appieno la comunità in cui lavori. F2: Vuol dire saper vivere in un paese come Iriiri, all’interno di una comunità come questa e saper gestire delle difficoltà, delle situazioni, degli avvenimenti che a volte ti mettono in difficoltà o a cui è difficile dir di no o che sono difficili da gestire ma bisogna saperlo fare. F3: Significa essere un pezzo d’argilla nelle mani della comunità che in un certo modo deve modellarti. Ovviamente bisogna stare attenti a non indurirsi subito. F2: Nella loro cultura mi affascinano la lingua e le tradizioni nomadi e pastorali. In loro mi affascina il fatto che riescano ad adattarsi a convivere con gente come noi, con la natura che sicuramente non è clemente, in questi posti, e che prendano tutto così, con buon spirito di adattamento. F3: Della loro cultura mi affascina il fatto che nonostante i cambiamenti storici che continuano a subire, riescano a mantenere una certa identità e un certa ostinazione nel cercare di mantenere le proprie culture. Che cosa vuol dire, per te, aiutare gli altri? F1: Esserci quando ce n’è bisogno. F2: Far sentire loro che ci siamo ma senza renderli dipendenti da noi e soprattutto senza volersi sentire indispensabili per loro. Quindi saper gestire l’aiuto e differenziarlo dall’assistenza. F3: Io credo che aiutare gli altri significhi ascoltare e il modo migliore per farlo sia non imporre, ascoltandoli. Come aiuti te stesso? F1: Il problema è che non ho ancora iniziato... ho iniziato ma ho ancora tanto lavoro... F2: Faccio le cose che mi piacciono e cerco di limitare quelle che so che non mi fanno bene, quindi mi do delle regole. F3: Chiedendomi continuamente dove sto sbagliando e dove sto facendo bene. PROGETTI Cosa pensi ti manchi per sentirti “arrivato” o “realizzato”, se non lo sei già, naturalmente... F1: Arrivato non lo sono. Mi servirebbe magari realizzare qualcosa di mio. F2: Una famiglia. F3: Non saprei, perché non ho un obiettivo da raggiungere nel senso di dire: “Raggiunto quell’obiettivo sarò realizzato”. Cerco di realizzarmi quotidianamente, diciamo. Di cos’hai paura? F1: Prima cosa: di non riuscire a realizzarmi, di non riuscire a fare quello che ho in testa. Poi di non avere figli, non so perché. F2: Di non essere all’altezza della situazione. F3: Ho tendenzialmente paura di tutto. Da come faccio il caffè a come guido. Il tuo motto. F1: Never give up. F2: Vivi e lascia vivere. F3: Meglio così che sotto ad un treno. (anche qui, è detto in dialetto...) Tre parole per descrivere lo SVI F1: Idealista, estremista, a volte anche rivoluzionario. F2: Idealista, rispettoso e confuso. F3: Lo SVI è un’utopia, è ostinazione e confusione. É una confusa utopia ostinata. Qual è il suo cavallo di battaglia? F1: Sostenibilità. F2: La sostenibilità, o per lo meno il cercare di mettere la sostenibilità davanti a tutto: davanti ai finanziatori, davanti ai soldi, davanti a tante altre cose. F3: Condividere senza imporsi. Che cosa ti affascina dei karimojong e della loro cultura? F1: Di loro mi affascina la capacità di sopravvivere in un ambiente in cui, se guardiamo ai nostri standard, non c’è nulla. E quello che mi affascinava e mi affascina tutt’ora è la presenza di guerrieri all’interno di una società nel 2013, ora. Eccole qui le Tre Effe: Fabio Poli, Francesca Belotti e Fausto Conter 9 DOSSIER L’AFRICA IN MOVIMENTO In questi tempi in cui non se ne può più di questa crisi che sembra diventare eterna, le nostre batterie possono essere ricaricate guardando all’Africa, perché gli africani hanno qualcosa da raccontarci che ci fa bene, ci sveglia e ci fa venir voglia di andare ad incontrare questi uomini e queste donne che ci ricordano che operando collettivamente è possibile costruire un avvenire migliore. Bastano gli esempi di alcuni Paesi: in Burkina Faso, la battaglia dei sindacati contadini per far retrocedere la fame; in Nigeria, un’amministrazione territoriale che trasforma, poco a poco, Lagos in una megalopoli dal volto umano; in Uganda, la mobilitazione popolare contro la corruzione dei dirigenti; nella Repubblica Democratica del Congo, i progressi della lotta per far cessare il saccheggio delle risorse minerarie; in Kenya, il ritorno del dialogo politico dopo le violenze interetniche; in Madagascar, il progresso nel salvataggio della biodiversità. L’Africa si sta muovendo, inventa, avanza. Nel 2003 il giornalista Stephen Smith pubblicava “Negrologia”, un’opera che aveva come sottotitolo “Perché l’Africa muore” e che sulla 10 copertina presentava un’immagine che fece il giro del mondo: un combattente, a torso nudo e con una capigliatura rasta che brandiva un lanciarazzi, lo sguardo folle, che saltava ed esultava dopo aver colpito il suo bersaglio. La nostra immagine dell’Africa si riassumeva allora in questa immagine: un caos su un fondo di miseria. Oggi, ci sono altre immagini che vengono alla ribalta, brillanti storie di successo che fanno dimenticare il resto del quadro. Non si deve cedere a caricature afro-pessimistiche o afro-ingenue. L’Africa che si muove va presentata con le sue difficoltà, le sue contraddizioni, le sue sfide: una crescita che dipende ancora largamente dalle materie prime, una transizione demografica troppo lenta in un con- tinente che non crea abbastanza posti di lavoro, un’agricoltura che resta dimenticata dalle politiche di sviluppo. Abbiamo tutto da guadagnare ad aprirci alla circolazione delle idee e degli uomini, a lasciarci sorprendere! L’Africa che si muove Significativo è il giudizio di Abdou Diouf, ex presidente del Senegal: “un continente del futuro che non sopporta più lo sguardo impietosito degli altri”, affermazione che mette a fuoco la realtà di un’Africa subsahariana che non è più come prima, da qualunque parte la si guardi: crescita economica sostenuta, transizione demografica ed urbanizzazione rapida, democratizzazione della vita politica. La rapida crescita dell’economia subsahariana è l’indicatore fetic- “le nostre batterie possono essere ricaricate guardando all’Africa” Erano risorse dalle quali dipendevano prioritariamente i budget degli Stati, in assenza di capacità d’esportazione di manufatti e di introiti fiscali basati su una crescita economica interna. Quegli anni di vacche magre avevano reso gli Stati incapaci di rimborsare un debito estero sempre più pesante, contratto da governi poco responsabili del denaro pubblico e destinato ad investimenti spesso rischiosi di imprese delle ex potenze coloniali, che ne assicuravano la messa in opera e che spesso risultavano i veri beneficiari. L’inevitabile aggiustamento budgetario che ne seguì fu molto doloroso, perché i soli banchieri che accettarono di rifinanziare a tassi molto bassi questi Stati esangui (Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale) erano allora completamente votati alle tesi del liberalismo più ortodosso: non solo il loro aiuto si monetizzò contro necessarie riforme degli Stati poco efficaci, ma anche con tagli radicali nei bilanci pubblici (in modo particolare sanità ed educazione), il che non fece che aggravare la povertà e contribuire a far sì che Stati in fallimento fallissero davvero. I Paesi emergenti comprano L’impennata dei prezzi delle materie prime nella seconda metà degli anni 2000 ha spezzato questo ciclo infernale. Di colpo, ha fatto risaltare le fragilità e i limiti di una crescita imputabile in gran parte a quella delle risorse naturali. Le crescite maggiori sono state registrate in Paesi ricchi d’idrocarburi (iniziando da Angola e Nigeria), in Paesi minerari (Repubblica Democratica del Congo, Zambia, Burkina Faso) ed anche dai Paesi esportatori di prodotti agricoli, come Costa d’Avorio. Questi fattori esogeni della crescita sono sostituiti oggi da motori interni che prendono sempre più posizione e, per cominciare, il cambiamento nella gestione degli affari pubblici. Non è più tempo, per i Paesi esportatori, di rivolgersi ad un uni- DOSSIER cio di quest’Africa in movimento, instancabilmente ripreso nei giornali: anche se riduttrici, le cifre sono comunque impressionanti. Mentre l’economia della zona euro è atona, quella dell’Africa subsahariana avrebbe dovuto raggiungere il 5,7%, ossia due punti in più della crescita mondiale. L’Africa degli anni 1990 sembra lontana: dal 2001 la crescita ha raggiunto il 5% annuo. Più importante ancora, da dodici anni la crescita economica è più rapida di quella della popolazione. Detto con altre parole, l’Africa si sta arricchendo. Una cosa è parlare di crescita di PIL, un’altra di quella di redditi dei nuclei familiari, in modo particolare negli Stati largamente non egualitari, contraddistinti dalla captazione delle risorse da parte delle élite. Comunque, nel corso degli anni 2000 la percentuale della popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà assoluta è passata dal 66% al 60%. L’Africa subsahariana sta pertanto un po’ meglio, anche se non bisogna perdere di vista che le cifre globali nascondono enormi disparità fra i 49 Stati subsahariani: il Sudafrica (30% del PIL della regione e 6% della popolazione nel 2012) e la Nigeria (rispettivamente 21% e 19%) pesano economicamente tanto quanto tutti gli altri Stati messi insieme. La fine del dogma liberale Numerosi fattori spiegano questa migliore salute economica dell’Africa e si combinano fra loro. Il principale, in un continente ancora molto dipendente dall’esportazioni di materie prime, è rappresentato dal rialzo dei prezzi internazionali dall’inizio degli anni 2000 e il loro mantenimento a livelli relativamente elevati, per la domanda sostenuta della Cina e di altri Paesi emergenti. Dopo il contro-shock petrolifero innescato agli inizi degli anni 1980, le economie africane erano state annientate da quasi due decenni di depressione dei prezzi dell’energia, dei minerali e dei prodotti agricoli. “l’Africa si sta arricchendo” co Paese ed il rapido espandersi dei Paesi emergenti sul continente ne ha offerto loro l’opportunità. Gli Stati africani, oltre a difendere meglio i loro interessi, sono anche meglio gestiti. Il prezzo pagato è stato esorbitante, ma le politiche di aggiustamento strutturale degli anni 1980-1990 hanno almeno avuto come risultato quello di risanare le finanze di numerosi Stati e dar loro i margini di manovra budgetaria dei quali oggi si avvantaggiano. Questi progressi non sarebbero sicuramente stati così netti senza la presenza nelle amministrazioni territoriali e nazionali e nei gabinetti ministeriali di personale ormai di livello molto alto. Le élite africane in servizio sono oggi in gran parte formate all’estero e continuano a costituire soltanto una parte di coloro che rientrano nel loro Paese. Le nuove élite non sono necessariamente meno corrotte delle precedenti, ma si sono forse meglio rese conto, rispetto alle precedenti, del cambiamento sociale e politico. Chi si avvantaggia della crescita? L’aumento delle ricchezze sul continente africano non significa automaticamente una ripartizione equa, anzi le diseguaglianze (fra gli Stati e all’interno delle varie società) non cessano di aumentare. Dal 2010 l’Africa registra dei tassi di crescita fra il 4% e il 5%, una si11 DOSSIER tuazione che contrasta con quella degli anni 1980-1990 (caratterizzata da un tasso fra l’1% e il 3%, con una recessione nel 1992-1993) e quella del periodo 2008-2010 (fra il 3% ed il 4%), legata alla crisi finanziaria dei Paesi dell’OCSE. Questa “breve schiarita” globale non deve nascondere le differenze fra i 54 Paesi del continente. I Paesi esportatori di petrolio, nel periodo 2002-2010, hanno registrato tassi medi di crescita dell’ordine del 7%, contro un 4,5% per i Pesi importatori di petrolio. Questa crescita si è realizzata in economie dal peso molto diverso. È molto importante interrogarsi sulla dinamica stessa della crescita. La crescita africana è largamente trascinata dall’esportazione di prodotti primari provenienti dall’industria estrattiva per molti Paesi. Le derrate agricole, in arretramento nelle esportazioni totali africane, rappresentano oggi attorno al 10%, contro il doppio a metà degli anni 1990. La parte dei prodotti minerari e petroliferi, invece, nello stesso periodo è passata da più del 50% a più del 70%. Questa tendenza contrassegna una traiettoria di crescita fortemente estroversa, specializzata su produzioni primarie che vengono ancora troppo poco trasformate localmente. Una tale debole diversificazione nelle esportazioni espone la crescita alle domande dei Paesi industrializzati ed anche ai cambiamenti delle localizzazioni delle produzioni a scala mondiale. Le economie africane restano pertanto vulnerabili. Nel 2012 e 2013 il consumo interno privato, trascinato in particolare dal rialzo degli introiti delle rimesse degli emigranti, spiega questa crescita. Il contributo dell’investimento interno privato resta debole e legato alle attività petrolifere ed estrattive. Al di là di questo periodo recente, comunque, l’impulso principale della crescita a lungo termine è quello derivante dai prodotti primari esportati. In effetti, l’agricoltura rappresenta ancora 12 in media in Africa più del 20% del PIL e può raggiungere il 30-40% nell’Africa occidentale. La suddivisione delle ricchezze Purtroppo la democrazia non è ancora una realtà in numerosi Paesi africani (Sudan, Guinea Equatoriale, Somalia), è spesso di facciata ed è stato necessario ammettere che in un Mali ritenuto esemplare qualche centinaio di combattenti è stato in grado di far cadere senza difficoltà un regime in realtà marcio per la corruzione. In Sudafrica, minato dalle lotte di potere al vertice di un’ANC alla deriva, la situazione non è per niente brillante. Questo non impedisce, comunque, che le buone notizie possano moltiplicarsi. Nel 2011 in Niger i militari hanno mantenuto la parola e consentito che si tenesse uno scrutinio che ha reso il potere ai civili. Nel 2011 la Liberia e poi nel 2012 la Sierra Leone, hanno avuto delle elezioni libere. Nel 2012 in Senegal il presidente uscente, Abdoulaye Wade, ha riconosciuto la sua sconfitta di fronte al rivale Macky Sall, quando invece si temeva una guerra fra fazioni. Migliore gestione degli affari pubblici e più grande stabilità politica sostengono una crescita che non è più solo l’appannaggio dei Paesi riccamente dotati dalla natura. Numerosi Stati sono sulla buona strada e dappertutto l’aumento della percentuale della popolazione al di sopra della soglia della povertà genera una spirale virtuosa di maggiori consumi. Le sfide restano comunque immense. Quest’Africa, il cui potere d’acquisto sta aumentando, è diventata una nuova terra di conquista per le imprese occidentali e per i Paesi emergenti, che si disputano i mercati pubblici e di grande consumo: dalla costruzione di strade e di dighe fino alle lampadine elettriche, passando per la telefonia mobile. La percentuale nel valore aggiunto di PIL manufatto dei Paesi subsahariani, eccezion fatta per i rari contro esempi come quello di Mauritius, resta in maniera ridicola molto bassa (12,5% nel 2010). D’altra parte, il miglioramento del livello di vita riguarda principalmente i cittadini e la povertà assoluta resta endemica alla periferia delle città e nelle zone rurali. Ridurla necessita contemporaneamente di sviluppare l’attività industriale ed artigianale locale e di crescere gli sbocchi commerciali delle campagne. Un investimento a favore dell’agricoltura è cruciale e l’Africa, dovrà produrre, da qui al 2050, almeno due volte di più, preoccupandosi comunque di garantire un rispetto dell’ambiente che spesso è degradato dalla pressione demografica e minacciato dal cambiamento climatico. Resta da sapere se “l’Africa che si muove” raccoglierà questa sfida dell’impiego urbano e rurale o se la sua crescita, che resta poco inclusiva, lascerà sul bordo della strada la metà della sua popolazione. Gabriele Smussi “Un continente del futuro che non sopporta più lo sguardo impietosito degli altri” “Richiedi presso la segreteria dello SVI i libri sull’Africa “Germogli Africani” a cura di Manuel Bonomo, Luca Bronzini e Mario Piazza e “6 aprile 1994” di Cyprien Bakara”. STORIA 6 APRILE 1994 Sono passati ormai vent’anni dalla tragica data del 6 aprile 1994, quando venne abbattuto l’aereo Falcon 50 che trasportava il presidente rwandese Habyarimana Juvénal, ma ancora oggi non si può scrivere la parola fine su quel tragico fatto e sulle conseguenze che ne scaturirono, non solo per il Rwanda ma per tutta l’area dei Grandi Laghi Chi furono i responsabili dell’attentato? Da dopo partirono i missili che distrussero l’aereo presidenziale? Varie ipotesi sono state formulate nel corso degli anni, chiamando in causa Belgio, Burundi, Stati Uniti, Francia, Uganda, Rwanda (sia gli estremisti hutu, sia i tutsi del FPR) e Zaire. Le due ipotesi ritenute più plausibili furono l’una quella che accusava gli estremisti hutu, l’altra che prendeva di mira il FPR, avversario politico e militare del regime in carica. Varie ipotesi furono esaminate dal parlamento francese e belga e dall’Organizzazione dell’Unità Africana e nel 2006 il giudice francese Bruguière in poche pagine le cancellava tutte, ritenendo valida soltanto quella che accusava il FPR. Davanti al senato belga, Degni-Segui, incaricato dall’ONU di condurre l’inchiesta, dichiarò di non aver potuto ottenere, né dalla Francia né dalle FAR (esercito rwandese del governo ad interim) gli elementi necessari per il suo lavoro. Il capitano francese Paul Barni, da parte sua, dichiarava di possedere la scatola nera dell’aereo e secondo testimoni dei militari francesi si sarebbero recati sul luogo dei rottami dell’aereo subito dopo l’attentato. La complessità giuridica e politica dell’affare avrebbe richiesto la nomina di una commissione d’inchiesta, ma l’ONU si rifiutò adducendo la mancanza di fondi. Un’inchiesta fu aperta in Francia dal giudice Bruguière, quattro anni dopo i fatti, in seguito alla denuncia depositata dalle famiglie del personale francese che pilotava l’aereo abbattuto. Si chiedeva di incriminare al Tribunale Penale Internazionale per il Rwanda il presidente rwandese Paul Kagame per “partecipazione presunta” all’attentato e che fossero emessi nove mandati di arresto internazionali contro persone vicine al presidente. Nel 2007 Bruguière andò in pensione e il suo successore, il giudice Marc Trévidic, riprese l’inchiesta a zero in seguito all’apertura d’indagine nei confronti di Rose Kabuye, una delle accusate da Bruguière. Il tutsi Abdoul Rusibiza, rilanciò la polemica fra la Francia e il Rwanda nell’ottobre del 2005, pubblicando il libro “Rwanda, l’histoire secrète”, nel quale affermava di essere stato testimone dell’attentato, in qualità di ufficiale del FPR come membro del “Network Commando”. La sua testimonianza è una delle fonti principali della tesi che accusa il FPR di essere stato l’autore dell’attentato. Tre giorni dopo l’arresto di Rose Kabuye, nel novembre 2008, ritrattò parecchi punti delle sue dichiarazioni ben precise e circostanziate, affermando di essere stato manipolato e, morì qualche mese dopo essere stato nuovamente sentito dal giudice Trévidic. Fino a gennaio 2010, le due versioni concordavano che i missili che avevano abbattuto l’aereo sarebbero stati lanciati dalla collina di Masaka, situata ad est della capitale Kigali. Gli abitanti di questa collina furono massacrati in gran numero dalla guardia presidenziale rwandese nelle ore che seguirono l’attentato, ma secondo testimoni ci sarebbero stati anche dei missili lanciati con- tro l’aereo nel territorio fra Masaka e il campo militare di Kanombe (in prossimità dell’aeroporto). Un rapporto rwandese del gennaio 2010 misero in discussione la località di Masaka, previlegiando il campo di Kanombe. Dal 12 gennaio 2012 si concorda all’unanimità che i missili utilizzati per l’attentato furono dei SAM 16 di origine sovietica. Senza saperlo, né probabilmente volerlo, i contadini rwandesi della collina Masaka che ritrovarono e subito consegnarono alle FAR i due lanciamissili sovietici, resero un servizio inestimabile alla verità e alla storia. Il tenente delle FAR Munyaneza, che aveva studiato nell’URSS, identificò i numeri di serie dei due lanciamissili e con questi numeri il giudice francese Jean-Louis Bruguière il 19 giugno 2000 si recò in Russia. La Procura militare della Federazione russa, gli confermò che i due lanciamissili, ritrovati a Masaka erano stati fabbricati nell’ex URSS e venduti all’Uganda nel 1987. Secondo il testimone chiave Abdul Joshua Ruzibiza, “i missili che hanno abbattuto il Falcon 50 provenivano da un arsenale ugandese e fu lo stesso esercito ugandese ad addestrare i combattenti del FPR, incaricati di eseguire l’attentato”. Gli investigatori Michael Andrew Hourigan e JeanLouis Bruguière sviscerarono tutti i misteri dell’attentato fin nei minimi particolari: come e dove furono prelevati i missili; in che modo furono spediti al quartier generale del FPR; come furono trasportati a Kigali; come furono nascosti nella camera del maggiore Jacob Tumwine. Dopo l’attentato, gli uomini del 13 STORIA “Network Commando” se la squagliarono rapidamente, abbandonando i due tubi lanciamissili nel cespuglio di un sentiero di campagna, perché non servivano più a niente. Il 10 gennaio 2012 il giudice francese dell’antiterrorismo Marc Trévidic presentava a Parigi un rapporto balistico, dichiarando che i missili lanciati contro l’aereo presidenziale, di fabbricazione sovietica, provenivano dal campo di Kanombe, che nel 1994 era controllato dalla guardia presidenziale rwandese. Il regime di Kigali subito cantò vittoria, individuando i responsabili dell’attentato negli estremisti hutu vicini al presidente rwandese assassinato, ma il rapporto non designava chi aveva tirato i missili e non discolpava il FPR di Paul Kagame, come invece si volle far credere all’opinione pubblica. Le famiglie di alcune delle vittime dell’attentato chiesero ai giudici una contro-perizia, contestando le conclusioni del rapporto balistico, perché il metodo di lavoro di un esperto in acustica, che non si era recato in Rwanda, era contestabile. Il capitolo attentato non si può pertanto considerare chiuso! Purtroppo i vari testimoni chiave stanno via via scomparendo ed anche per gli oppositori a Kagame la vita non è facile: Victoire Ingabire in dicembre 2013 è stata condannata a 15 anni di prigione per “cospirazione contro le autorità e minimizzazione del genocidio del 1994”. Per altri oppositori, la “longa manus” rwandese li ha raggiunti drasticamente all’estero: il tenente colonnello Thèoneste Lizinde è stato assassinato a Nairobi nel 1996; Rusibiza è morto a 40 anni nel settembre 2010 in Norvegia; Patrick Karegya è stato trovato morto in un albergo di Johannesburg all’inizio di quest’anno: un altro dissidente rwandese rifugiato in Sudafrica, Faustin Nyamwasa, nel giugno 2010 ha subito due tentativi di assassinio. Gabriele Smussi SVI ITALIA L’ARTE SI FA PANE Una piccola rassegna d’arte e di artigianato di qualità Da sabato 5 a domenica 13 aprile 2014, torna, ormai giunta alla quindicesima edizione, l’appuntamento con “ l’Arte si fa pane”, la mostra mercato dello SVI, presso la sede in Viale Venezia 116, dalle 16:00 alle 19:30, sabato e domenica compresi. La mostra mercato, a sostegno dei progetti dello SVI in Africa e America Latina, con il patrocinio del Comune di Brescia, vi aspetta con un’esposizione di stampe, carte geografiche, atlanti, quadri, sculture, oggetti d’antiquariato, argenteria, pizzi e biancheria, ceramiche, francobolli, monete e banconote, cartoline, modernariato e con il mercatino del libro usato. La manifestazione, sarà preceduta da “l’ Anteprima Arte si fa pane”, presso la sala della BCC dell’Agrobresciano, in Via Triumplina 237 a Brescia. L’Anteprima si potrà visitare dalle ore 16:00 alle 19:00, il sabato dalle ore 10:00 alle 12:00 e dalle 16:00 alle 19:00, chiusa la domenica. 14 Cogliamo anche l’occasione per ricordare che, fino alla fine di marzo, è aperta la campagna “Donaci un oggetto”, raccolta di articoli da esporre nella mostra mercato. Come alcuni di voi già sanno, cerchiamo oggetti antichi, o almeno vecchi di alcuni decenni, da esporre ed offrire a possibili acquirenti. Giocattoli, libri, bigiotteria, artigianato, antiquariato, quadri e stampe antiche... quello che vi chiediamo è di regalarci un “pezzo”, che contribuirà a formare la nostra rassegna d’arte ed a finanziare i progetti che sosteniamo. Per contatti e informazioni contattare l’incaricato della segreteria SVI, Stefano Savardi, allo 030.3367915, email: [email protected]. Per restare sempre informato sulle nostre attività iscriviti alla newsletter all’indirizzo http://eepurl.com/u14sv 1 VISITE AI PROGETTI Elena Matteucci, già volontaria in Venezuela, ha visitato i progetti venezuelani di San Fèlix, Las Amazonas, Las Claritas nel mese di gennaio, incontrando volontari, collaborati e i vari gruppi attivi nei tre progetti. Dal 5 all’8 marzo si terrà a Kampala, Uganda, l’incontro panafricano di tutti i volontari impegnati sui progetti in Burundi, Zambia e Uganda. Saranno presenti il presidente SVI Paolo Romagnosi e il formatore del corso SVI Sandro De Toni. 2 VOLONTARI IN ARRIVO E IN PARTENZA Andrea Serioli, ha terminato il suo servizio in Zambia a fine 2013. Lo ringraziamo per il lavoro svolto. Giovanna Ferrari, volontaria a Las Amazonas, è ripartita per il Venezuela dopo un breve periodo di vacanza in Italia, per continuare il suo mandato, che terminerà ad agosto di quest’anno. Buon lavoro e a presto ! Anche Claudio Chiappa, responsabile SVI per l’Africa, è tornato in Uganda, dopo un breve periodo di vacanze italiane. Grazie della visita e buon rientro! Il 13 gennaio, dopo le vacanze natalizie, è ripartita per continuare il suo servizio in Uganda Francesca Belotti. A lei va il nostro augurio di buon proseguimento ed il nostro grazie per la testimonianza che ci ha regalato nei giorni che è stata in Italia. È tornato in Mozambico in febbraio, dopo una pausa italiana, Giancarlo Olivini. Buon lavoro e buon viaggio. Valentina Facondini, dopo un anno e mezzo di servizio in Burundi, si sposta a marzo sul progetto in Zambia, per continuare il suo mandato. Buon nuovo inizio! Fausto Conter rientrerà in Italia dall’Uganda il 6 maggio per un periodo di vacanza. In attesa di riabbracciarlo gli auguriamo buon viaggio! Maria Goretti, collaboratrice SVI in Zambia, sarà in Italia a maggio, in date ancora da definirsi, per una testimonianza sul progetto. Le date esatte verranno comunicate quanto prima. 3 SVI ITALIA Il 30 gennaio è stata celebrata da Don Nolli la Santa Messa in ricordo di Don Franco Benedini, fondatore del corso di formazione dello SVI. L’11 febbraio, lo SVI insieme ad altre realtà ed associazioni bresciane, ha collaborato con Teatro Telaio alla realizzazione dello SVI ITALIA VITA DELLO SVI spettacolo teatrale “Più di mille giovedì. La storia delle Madres di Plaza de Mayo”. Ringraziamo tutti coloro, e sono stati tanti, che hanno assistito allo spettacolo. Il 13 febbraio a Roè Volciano è stata celebrata la Santa Messa in ricordo di Don Adriano Salvadori, fidei donum in Venezuela, amico dello SVI, improvvisamente mancato a gennaio a causa di un infarto. Il 16 febbraio il gruppo SVI di Palazzolo sull’Oglio ha organizzato lo Spiedo solidale. Ringraziamo quanti hanno partecipato ed il gruppo di Palazzolo per l’ottima riuscita dell’iniziativa. Dal 28 marzo al 3 aprile si svolgerà l’Anteprima de l’Arte si fa pane, presso la sala della BCC dell’Agrobresciano in Via Triumplina 237 a Brescia. Per maggiori info leggete l’articolo all’interno di questo numero. Sabato 5 aprile, fino a domenica 13, vi aspettiamo per la 15a edizione de l’Arte si fa pane, presso la sede dello SVI. Per gli orari e maggiori info si veda l’articolo all’interno di questo numero. L’11 aprile si terrà presso la sede SVI l’annuale Assemblea dei Soci. Il 17 e 18 maggio troverete in numerose piazze di Brescia e provincia i banchetti dello SVI per la Campagna nazionale Abbiamo riso per una cosa seria. Vi invitiamo a leggere l’approfondimento su questo numero. 15 ECCLESIA PAPA FRANCESCO E L’ECONOMIA POLITICA DELL’ESCLUSIONE Leonardo Boff, teologo e filosofo brasiliano, dal suo blog Chi ascolta i vari interventi del Vescovo di Roma e attuale Papa si sente a casa e in America Latina. Il Papa non è eurocentrico, né romanocentrico, né, ancora meno, vaticano-centrico. È un pastore “venuto dalla fine del mondo”, dalla periferia della vecchia cristianità europea, decadente e agonizzante; proviene da un nuovo cristianesimo che si è sviluppato durante 500 anni in America Latina con una propria faccia e una propria teologia. Papa Francesco non ha conosciuto il capitalismo centrale e trionfante dell’Europa, ma il capitalismo periferico, subalterno, gregario e socio di minoranza del grande capitalismo globale. Il grande pericolo non è mai stato il marxismo, ma la barbarie del capitalismo incivile. Questo tipo di capitalismo ha generato nel nostro continente latinoamericano un’accumulazione scandalosa di ricchezza per pochi a scapito dell’esclusione e della povertà per la grande maggioranza della popolazione. Il suo discorso è diretto, esplicito, senza metafore che nascondono i concetti come è solito essere il discorso ufficiale e equilibrista del Vaticano, che sottolinea più la sicurezza e l’equidistanza che la verità e la chiarezza della propria posizione. La posizione del Papa Francesco a partire dai poveri esclusi è chiarissima: “non ci devono essere dubbi né c’è posto per spiegazioni che indeboliscano” questa opzione perché “c’è un nesso inscindibile tra la nostra fede e i poveri” (Esortazione n. 48). In modo deciso denuncia: “ il sistema sociale ed economico è ingiusto alla radice” (n. 59), “dobbiamo dire no a un’economia di esclusione e di disuguaglianza sociale; questa economia uccide... l’essere umano è considerato, di per sé, come un bene di consumo che si può usare e poi buttare, gli esclusi non sono gli “sfruttati”, ma i rifiuti, i “di troppo” (n. 53). Inoltre non si può negare che questo tipo di formulazioni del Papa Francesco ricordano il magistero dei vescovi latinoamericani di Medellin (1968), Puebla (1979) e Aparecida (2005) e il pensiero comune della teologia della liberazione. Quest’ultima ha come asse centrale l’opzione per i poveri, contro la loro povertà e a favore della vita e della giustizia sociale. […] Riprendendo le parole del Papa “Siamo diventati incapaci di compatire o di udire le grida degli altri, e non piangiamo più alla vista del dramma degli altri né ci interessa averne cura” (n. 54), possiamo ancora considerarci civili, se per civiltà intendiamo l’umanizzazione dell’essere “Questo tipo di cristianesimo non ha niente del proselitismo ma conquista per l'attrazione della sua bellezza e della profonda umanità” 16 umano? In verità, stiamo regredendo a forme primitive di barbarie. La conclusione finale per il Pontefice deriva da questa inversione: “Non possiamo più fare affidamento sulle forze cieche e sulla mano invisibile del mercato” (n. 204). In questo modo attacca il cuore ideologico e falso del sistema imperante. E dove va a cercare alternative? […] Va a cercare la pratica umanitaria del Gesù storico. […] Gesù è colui che ci insegna a vivere e a convivere, a “riconoscere l’altro, a curare le ferite, a costruire i ponti, a rafforzare i legami e ad aiutarci a portare i pesi gli uni degli altri”(n. 67). Personalizzando il suo proposito, dice , “mi interessa far sì che coloro che sono schiavizzati da una mentalità individualista, indifferente ed egoista, possano liberarsi da queste catene indegne e raggiungano uno stile di vita e di pensiero più umano, più nobile, più fecondo, che renda più degno il loro passaggio su questa terra” (n. 208). Questa intenzione è simile a quella della Carta della Terra che mira a valori e principi per una nuova Umanità che abita con cura e amore il pianeta Terra. Il sogno di Papa Francesco rende attuale il sogno del Gesù storico, quello del regno di giustizia, di amore e di pace. Gesù non aveva l’intenzione di creare una nuova religione, ma persone che amano, sono solidali, mostrano misericordia, sentono tutti come fratelli e sorelle, perché tutti sono figli e figlie nel Figlio. Questo tipo di cristianesimo non ha niente del proselitismo, ma conquista per l’attrazione della sua bellezza e della profonda umanità. Tali valori sono quelli che possono dare un’altra direzione all’umanità. Tratto da “O Papa Francisco e a economia política da exclusão” Traduzione: Federica Nassini RITRATTI L’IMMORTALITÀ DI GINO Il ricordo di Gino Filippini, dopo il Memorial Day di Korogocho Sistemando degli appunti tolti da un faldone impolverato, mi è capitata tra le mani una poesia di Eugenio Montale, dedicata alla madre dopo la sua morte, dove il poeta si interroga sull’immortalità. La madre pensava di continuare in un’altra vita la vita terrena, mentre il poeta nega l’esistenza di un mondo ultraterreno, ma è al ricordo di chi resta che si affida la sopravvivenza. Subito un immagine di Gino Filippini e tanti suoi pensieri mi sono affiorati nella mente. L’immortalità di Gino è l’una e l’altra cosa, si attua nella dimensione trascendente come risultato della sua profonda spiritualità e relazione con Dio e immanente, perché il ricordo vivo e fecondo che ha lasciato nella comunità di Korogocho a Nairobi è ovunque e permanentemente palpabile, è il retaggio e l’eredità che si respirano quotidianamente nelle motivazioni alla sopravvivenza che animano i giovani, le donne e persino i bambini nella Korogocho di fine 2013. Gino il “seminatore” non ha visto il raccolto ma, se lo immaginava, perché ha creduto negli esseri umani e nella loro capacità di autodeterminarsi, nonostante la condizione di assoluta miseria morale e materiale nella quale sprofondava ogni giorno la gente dello slum. Gino ha stimolato la speranza che assomigliava più a un miracolo che a un sogno realizzabile. Ora quella speranza è una realtà imprescindibile, è la consapevolezza che la forza di volontà dei membri di una comunità, se chiaramente supportata da una progettualità, anche finanziaria, apre scenari dove il cambiamento è realizzabile. A Korogocho, poche settimane prima del Natale 2013, il ricordo di Gino si è celebrato come si può celebrare il Natale stesso, con il ripetersi perpetuo di un credo indissolubile, che però nel caso di Korogocho mescola, inevitabilmente, spiritualità e corporeità. Erano soprattutto giovanissimi e bambini a “festeggiare” – è stato un incontro di sorrisi spontanei – con semplicità e partecipazione, ringraziando la nipote di Gino che ha voluto vedere e toccare i luoghi dove lo zio ha dedicato parte della sua vita e lo SVI, per dare continuità ad un ideale altissimo, quello che Gino ha saputo far attecchire nei “sotterranei della storia”, come li ha chiamati Padre Zanotelli, e dove la difficile convivenza, in precaria simbiosi con l’inferno dello slum, è invece capace di rendere intenso ogni istante di vita. Nelle testimonianze spontanee e gioiose ma, anche nelle attività svolte in ricordo di quelle che Gino promuoveva a Korogocho, come la pulizia dei canali di scolo e la piantumazione di alberelli, c’era il frutto della passione di Gino, con tante parole dette e sguardi ancora più eloquenti. Gino ci diceva: “chiedetevi quali sono i vostri sogni e le vostre speranze, i vostri progetti di vita. Se volete realizzarli io vi sto vicino ma dietro”. Gino è sempre li dietro e loro lo sanno: “grazie a Gino sappiamo che non dobbiamo permettere di cancellare i sogni di giustizia da cui siamo nati, come individui di una minoranza irriducibile, ma anche come comunità consapevole della forza che possiamo generare per autodeterminarci…Gino è ancora e sempre con noi”. Claudio Chiappa Memorial Day per Gino a Korogocho, 30 novembre 2013 17 IL VANGELO DINAMICO DI DON ADRIANO RITRATTI il ricordo di Don Adriano Salvadori, mancato il 19 gennaio 2014 Scrivere di Adriano è un po’ come scrivere della vita. Della sua complessità. Da trent’anni stava in Venezuela e da più di venti viveva, lottava e respirava con gli Indios Pemon. Nella Selva, nel profondo sud. Quando lo incontrai per la prima volta, più di 12 anni fa, mi colpì la sua completa e totale dedizione alla vita. La vita, come strumento di un Dio che si manifesta, vivo, tramite la carne. Sangue, sudore, parole, tempo, dolore, sorriso, abbracci, e silenzio. Lui non era il centro della comunità, la comunità era il centro del suo esistere. Ogni passo era un muoversi verso l’altro e ogni parola doveva concretizzarsi in una azione. “Il Vangelo è dinamico, è movimento “, diceva, quando spiegava che Dio era ovunque. La “lotta” sempre e ovunque. Ma in prima linea, altrimenti è delega. E le responsabilità nei confronti degli altri non si delegano a nessuno. Mai. In ogni istante era chiamato a essere in posizione di attacco, di attacco per salvaguardare una cultura che stava scomparendo, per difendere gli ultimi che stanno in Era di esempio per tutti noi che in un modo o nell'altro abbiamo avuto la fortuna di impegnarci al suo fianco (Giuliano Pizzoni) foto: Mario De Carolis ogni dove. Non sopportava la parola “moderato”. Un cristiano non può esserlo. Un cristiano deve essere estremo. Estremo nelle scelte e estremo nei pensieri. Nella visione antropologica della povertà trovava il suo essere uomo. Nella natura trovava il suo silenzio. Nell’abbraccio delle sue comunità ha trovato la vita. E per l’abbraccio delle sue comunità l’avrebbe persa. Volentieri. Nel suo operato ho trovato il senso dell’amore universaCiao padre Adriano, ti ho ben presente a Cavalgese mentre prendi il caffè parlando fitto fitto con padre Damiano, che ha appena informato il gruppo Amigos della sua malattia. Ti ho rivisto in Venezuela, fra la tua gente, nella messa celebrata nell’assoluto silenzio di una natura strana e incontaminata, dove il Signore sembrava più vicino. Durante un tuo soggiorno in Italia, dopo aver mangiato, insieme alla tua famiglia, un bel piatto di tortellini, rigorosamente bolognesi, ho avuto la fortuna di poter chiacchierare a lungo con te, ... Hai lasciato nel mio cuore un segno profondo, di cui ti ringrazio e ricordo con affetto il tuo sorriso, la tua ironia e sopratutto il tuo abbraccio accogliente. Linda di Bologna Adriano è stato per noi una speranza e un punto fermo. Con lui abbiamo navigato il rio, pregato, mangiato piccante, passato la frontiera. Con lui ci siamo avvicinati alla spiritualità indigena, alla medicina alternativa e al silenzio della Gran Sabana. Con lui abbiamo imparato che è meglio accettare le contraddizioni. Lo aspettavamo al suo rientro in Italia per battezzare i nostri figli. Paola e Martino 18 le. Nella sua storia ho trovato l’esempio vero del darsi agli altri senza chiedere in cambio nulla. Nella sua voce ho trovato il suono della speranza. Nella sua amicizia ho trovato la direzione da seguire. Paolo Romagnosi Ho conosciuto Adriano in Venezuela quando lo SVI decise di aprire una presenza di volontari nella zona di Rio Claro in Ciudad Guayana. Mi colpì l’assoluto disinteresse per gli aspetti burocratici e formali della questione: mi disse più o meno testualmente: “tu scrivi pure quello che vuoi,quello che ti serve per il ministero italiano io ti firmo il foglio che ci consenta di avere qui dei volontari italiani”. Nel contempo colpiva quanto sapeva entrare nella profondità delle questioni e la chiarezza quasi lapidaria con cui interpretava la parola del Vangelo, di cui aveva una conoscenza teologica altissima. Alcuni anni dopo lo rividi a S. Miguel in occasione di una celebrazione eucaristica all’inizio del suo ministero fra gli indios pemon. Introdusse la celebrazione con il segno di croce e con due parole in lingua spagnola poi lasciò la parola all’interprete che parlò per circa 20 minuti! Lui si limitava a sorridere, con quel suo sorriso contagioso che ti riconciliava con i problemi della vita. Mi colpì la sua capacità di ascoltare, di pazientare, di assumere i tempi per noi infiniti del linguaggio indigeno. Ne stava studiando con passione la lingua, ma anche i costumi, le modalità di relazione, i racconti . Per lui essere missionario significava vivivere con loro, assumere per quanto possibile il loro punto di vista. Una lezione di integrazione che non ho più dimenticato. Claudio Donneschi RITRATTI DON FRANCO BENEDINI Don Franco Benedini era nato a Brescia il 19 ottobre 1932. Nei primi anni ‘70 l’allora segretario dello SVI, Stefano Frerini, decise di coinvolgerlo nell’Organismo, che era nato da pochi anni. Don Franco, sensibile e attento al mondo giovanile, accettò di buon grado l’incarico di formatore dei volontari in partenza, assumendo il ruolo di Direttore del corso di formazione. Le sue linee guida, dettate negli anni del corso di formazione, sono tuttora attuali e di fondamentale importanza per il nostro Organismo. Ecco, in sintesi, quanto Don Franco ci ha insegnato: - Il principio del “volontariato come scelta di vita”, non un volontariato da tempo libero o nel ristretto di un piccolo periodo di vita, ma nell’intera impostazione della propria esistenza - Non bastano le buone intenzioni per fare buone cose. Occorre conoscere chi si va ad incontrare e questo non può che avvenire sul campo. Pertanto la formazione non deve terminare con la partenza, ma al contrario, su certi temi, iniziare con essa - Le motivazioni del volontario: occorre conoscere se stessi, i propri bisogni, le proprie spinte motivazionali che vanno considerate dinamicamente. Non invitava il volontario a definire e fermare gli elementi di un processo in divenire, meglio piuttosto spingerlo ad un’autoanalisi con l’apertura al cambiamento. - la centralità del beneficiario, che non è data in partenza ma va perseguita con attenzione e coraggio. La prima forma di attenzione è lo sforzo di apprendere la lingua del popolo ospite, non solo perché essa è veicolo di cultura, ma perché questo porrà il volontario, “Bisogna realizzare la liberazione dell’uomo da tutto ciò che lo tiene prigioniero e limita o distrugge le sue vere possibilità di vivere da uomo” (Don Franco) potente in quanto possessore dei mezzi di aiuto ma straniero in casa altrui, dipendente da chi conosce la realtà locale e la vive da secoli; - l”incontro fra culture diverse”, per cui il volontario è qualcuno che percorre un tratto di strada accanto ad un altro popolo; - Il volontario se agirà secondo i principi su esposti è destinato a divenire “figlio di due culture”, quella delle proprie origini e quella acquisita nell’incontro con la diversità, mediante un lento processo di inculturazione. Per questo motivo il volontario in partenza va invitato a dedicare i primi sei mesi alla studio della lingua e della realtà locale, senza assumere dirette responsabilità gestionali, con maggior propensione per l’imparare che non per l’insegnare o il “fare”. A distanza di vent’anni crediamo sia il momento di fare memoria del suo insegnamento, dedicandogli un piccolo progetto in uno dei tanti posti del sud del mondo dove i nostri volontari, che si sono formati al corso che Don Franco ha pensato e impostato per il nostro organismo, danno un senso compiuto a ciò che lui ci ha insegnato. In occasione del ventesimo anniversario della sua scomparsa, che è stata ricordata e commemorata con la celebrazione di una Santa Messa lo scorso 30 gennaio, SVI ha infatti deciso di intitolare un progetto alla memoria di Don Franco in Zambia, a Mutanda nel distretto di Solwezi, per la costruzione di aule per la formazione di gruppi femminili. tratto da uno scritto di Mario Piazza 19 CAMPAGNE ABBIAMO RISO PER UNA COSA SERIA Sabato 17 e domenica 18 maggio,lo SVI , ed i soci FOCSIV, distribuiranno nelle piazze italiane, per il dodicesimo anno consecutivo, riso certificato Fairtrade, per sostenere il diritto al cibo Con l’acquisto del riso del commercio equo e solidale, certificato Fairtrade, FOCSIV sostiene e finanzia la produzione biologica della cooperativa thailandese TOFTA, al fine di migliorare le condizioni di vita delle famiglie dei suoi piccoli agricoltori. Con la distribuzione del riso la campagna FOCSIV sostiene oltre 20 progetti di diritto al cibo e sovranità alimentare, intesa come diritto di ognuno di poter scegliere come e cosa produrre, nel rispetto di tutte le risorse naturali e dei modelli produttivi tradizionali. Non basta assicurare il sostentamento delle popolazioni più povere per garantirne lo sviluppo, ma è necessario che la sovranità alimentare diventi un diritto condiviso da tutti, ed è per la sua affermazione che FOCSIV lavora da oltre 40 anni. Il vostro contributo risulta importantissimo perché, oltre a non voltare le spalle a situazioni di disagio troppo spesso dimenticate, punta ad una partecipazione attiva e responsabile. Un aiuto tanto più prezioso,perché finalizzato a distribuire un riso che portato sulle nostre tavole ci ricorda il diritto di tutti ad accedere ad adeguate quantità di cibo sano e nutriente per poter lavorare e costruire un futuro diverso, con dignità. Come affermava Don Puglisi, che sarà beatificato il prossimo 25 maggio, “se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto”, e Voi state facendo moltissimo! Noi vogliamo ringraziarvi fin da ora, ma soprattutto augurarvi un sentito in bocca al lupo per le giornate di sabato e domenica.” Lo SVI aderisce alla Campagna Focsiv da anni, destinando ogni anno ad un progetto diverso il ricavato di Abbiamo Riso per una Cosa Seria! Quest’anno lo SVI ha deciso di “far ridere” il progetto in Zambia, che troverete descritto nella pagina qui a fianco. Cercate i nostri banchetti in giro per le piazze di Brescia e provincia, donate un sorriso allo Zambia!!! (per maggiori informazioni sui banchetti dello SVI potete contattare la nostra sede allo 030 3367915 o visitare il sito www.focsiv.it). FOCSIV insieme agli Organismi federati Vogliamo ringraziare in anticipo tutti coloro che decideranno di sostenere la Campagna ed i volontari e le volontarie che saranno impegnati attivamente e lo vogliamo fare attraverso le parole della Focsiv: “Carissimi Volontari, A chi cammina con noi dall’inizio e a chi si unisce oggi, desideriamo dire che è solo grazie al vostro impegno e alla vostra comune partecipazione che è possibile realizzare l’iniziativa. Noi tutti viviamo un momento di difficoltà personale, professionale, sociale ed economica, tuttavia, non dimentichiamo che oggi nel mondo è in atto una crisi alimentare “ben più grave di quella finanziaria”, come ricordava Papa Emerito Benedetto XVI in occasione della Giornata Mondiale della Pace, il 1°gennaio 2013. Perciò la nostra sfida è cercare di garantire una sicurezza alimentare sostenibile a chi vive in un contesto di scarsità di terra, acqua ed energia. 20 CAMPAGNE PROGETTO ZAMBIA Comunità di Mumena e Matebo Ci incontriamo, ci scontriamo, ridiamo, cerchiamo la gioia sfuggiamo il dolore e tra piogge e sole cresciamo e cambiamo. Impariamo ad ascoltare, poniamo domande e dimentichiamo le risposte. Abbiamo grandi idee e piccoli pensieri, paure ricordi e nostalgia. Raccogliamo parole e coltiviamo sogni, raccogliamo sogni e coltiviamo relazioni. Villaggio di Mutanda: la luce, la terra rossa di fango e polvere, l’ombra degli alberi e il vento. Il rumore dei passi, il suono dei tamburi, le voci, le storie e i progetti. Lavagne, quaderni, matite e gessetti. Sementi, zappe, viaggi e magliette. Carretti e buoi. Tetti in paglia tegole e mattoni. ago e filo. Pesce e sapone. Polli e biciclette. Legna da ardere, cammini che si incrociano, molte mani, canzoni e forza di volontà. Lo SVI opera per attivare progetti di sviluppo formati dal basso, integrati e sostenibili, affinché la comunità si attivi nel definire i propri problemi e attui le migliori soluzioni praticabili. Dallo Zambia, con grande piacere abbiamo appreso che quest’anno i fondi raccolti dallo SVI con la campagna “Abbiamo riso per una cosa seria” verranno destinati al nostro progetto di Mutanda, nel nord ovest del paese. Progetto non sempre fortunato, spesso con poche risorse finanziarie, ma che continua tenacemente ad avanzare nei suoi propositi e a mantenere l’impegno preso con la comunità locale Kaonde. Saremo felici di esser ancora una volta testimoni di tutti i sorrisi che saprete donare grazie alla vostra generosità. Sicuri nella risposta positiva di tutti gli amici e sostenitori, ringraziamo in anticipo per la volontà di esserci anche dall’Italia. I volontari promuovono, attraverso l’animazione rurale, il nascere e il collaborare di gruppi locali di contadini e di donne, attori principali di un reale e sostenibile cambiamento. È proprio il desiderio della comunità locale che ha dato vita al progetto SVI in Zambia. Il progetto nasce, infatti, nel 2006 da una specifica richiesta delle comunità locali di Mumena e Matebo. Lo SVI in quegli anni collaborava con i profughi ruandesi presenti nel campo di Maheba, promuovendo attività agricole di tipo cooperativo e sostenibile. La popolazione zambiana, colpita dalle migliori condizioni abitative ed economiche del vicino campo, chiese aiuto allo SVI. Il progetto negli anni ha interessato vari ambiti della vita delle comunità, promuovendo agricoltura sostenibile, formazione, micro-imprenditorialità femminile. Le attività del progetto attuale coinvolgeranno in 3 anni direttamente circa 600 persone, ma considerando le famiglie e le comunità dei beneficiari diretti, raggiungeremo, alla fine, circa 3.000, e molti molti di più saranno i riflessi benefici che si diffonderanno nell’intera zona. In ambito agricolo, svolgiamo attività di formazione rivolte ai contadini locali per far si che acquisiscano tecniche di coltivazione più redditizie, eco-compatibili e sostenibili; promuoviamo la differenziazione delle colture (distribuendo semi di girasole, fagioli, soia e arachidi in aggiunta al mais) e la tecnica agroforestale (“coltivare con la foresta”, utilizzando piante azoto-fissanti nella coltivazione in campo); il tutto volto a migliorare la fertilità del suolo, incrementare i mezzi di sussistenza, diversificare le fonti alimentari e creare nuove attività generatrici di reddito. Parallelamente abbiamo avviato corsi di formazione per l’impiego e l’allevamento di buoi da traino per facilitare il trasporto di merci, il lavoro nei campi e il miglioramento della resa delle colture. Per favorire l’educazione e la microimprenditorialità delle donne, diversamente non vi avrebbero accesso, abbiamo attivato corsi di alfabetizzazione nonché micro-imprese (in ambito di sartoria, trasformazione e vendita di prodotti alimentari e agricoli) gestite dai gruppi costituitisi spontaneamente nei diversi villaggi della comunità. Promuovendo la produzione di tegole con argilla locale lavorata artigianalmente, è stato possibile sostituire i tetti tradizionali in paglia con tetti in tegole che permettono una migliore salubrità della casa. “I semi di oggi saranno la foresta di domani.” proverbio africano Il nostro volontario Stefano Verzeletti con alcuni beneficiari del progetto Cari saluti da Mutanda, Maria Goretti, Stefano e tutta la comunità 21 PAROLA E PANE C’ERI, TU, NEL DESERTO… Preparazione alla Santa Pasqua C’eri, Tu, nel deserto della mia accidia, quando non avevo voglia di riprendere il cammino, perché mi dissero di rientrare in me stesso, di pensare che sarei tornato polvere, perché già si stava preparando la tua Via Crucis. Eppure io non mi sono accorto di te. C’eri, Tu, nel deserto di Giuda, quando l’antico avversario mi propose di fare a meno di te, perché tanto eri inutile, e che lui mi avrebbe dato tutto ciò che io chiedevo a te, e me l’avrebbe dato in abbondanza, senza soffrire, senza problemi, senza la croce, a cambio solo della mia anima. Eppure io non mi sono accorto di te. C’eri, Tu, nel deserto del Tabor, quando salivo con i miei amici e mi sembrava tutto fantastico, e poi, di colpo, tutto scomparve, e fu solo la nebbia, e fui preso da angoscia terribile, perché di te rimase solo una voce, a dirmi che eri il Figlio prediletto, e che era bene ascoltarti. Eppure io non mi sono accorto di te. C’eri, Tu, nel deserto di Samaria, quando venni come ogni giorno ad attingere acqua al pozzo ma feci ritorno al villaggio ancor più assetato, sconvolto, perché il mio vissuto occulto era stato scoperto, e perché io, convinto di sapere già come e dove pregare, fui invitato a vivere una fede più seria, fatta non di osservanza di leggi e costumi, ma di vita nello spirito e di ricerca della verità. Eppure io non mi sono accorto di te. C’eri, Tu, nel deserto della piscina di Siloe, dove molte volte mi avvicinai per lavare i miei occhi assonnati ma senza riuscire a pulire la mia anima, e un giorno mi sentii riempire di fango, mi sentii sbattere in faccia tutti i miei peccati, e anche quelli commessi dagli altri, solo perché ero cieco, diverso dagli altri, maledetto da Dio fin dalla nascita. Eppure io non mi sono accorto di te. C’eri, Tu, nel deserto di Betania, presso una tomba fuori dalla quale tutti piangevano disperati, e dentro la quale io giacevo sepolto, e per salvarmi dalla quale nessuno aveva fatto niente, e dalla quale nessuno voleva più togliermi, perché mandavo già cattivo odore, perché facevo ribrezzo, perché ero un verme, “E che ci sei. E che ci sarai sempre” 22 non un uomo, ero un ammasso di bende legate, e non un essere vivente. Eppure io non mi sono accorto di te. C’eri, Tu, nel deserto del Getsemani, dove la notte oscura e il vento gelido ebbero su di me il sopravvento, fino a farmi dormire profondamente, dove ebbi modo di osservare un amico baciarti e tradirti al tempo stesso e accorgermi, poi, che avrei fatto lo stesso; dove arrivarono a prenderti come un brigante, come tu avevi predetto, con spade e bastoni, ed io riuscii pure quella volta, anche se smarrito e confuso, a far del male a qualcuno, ferendolo con una spada spuntata chissà da dove e chissà perché. Eppure io non mi sono accorto di te. C’eri, Tu, nel deserto del Golgota, dove riuscii solamente ad ascoltare quel grido divino di morte che copriva tutto il mondo e dopo il quale il tempo si è fermato, dove ho incontrato tua madre, desolata, sorretta solo dalla forza della speranza, e allora mi fermai a guardare e a dare testimonianza. Eppure io non mi sono accorto di te. Sono stolto, e forse anche un po’ tardo di cuore, Signore. Perché solo alla fine, nella tomba lasciata vuota, di fronte alle bende e al sudario piegato in un luogo a parte, presso quel giardino nel quale ancora nessuno era stato sepolto, dentro quella stanza con le porte sprangate per paura dei Giudei, lungo la strada che da Gerusalemme porta a Emmaus e sulle rive del lago di Galilea, ho capito, Dio della Vita, che Tu c’eri. E che ci sei. E che ci sarai sempre: perché eri morto, ma ora, vivo, trionfi. Ma soprattutto ho capito che, nonostante tutto, Tu non mi disprezzi mai, Signore, Amante della Vita. Don Alberto Brignoli SUGGESTIONI ENZO JANNACCI L’Artista Ala Bianca 2013 DON ANDREA GALLO Sopra ogni cosa Il Vangelo laico secondo Fabrizio De André nel testamento di un profeta. Ed. Piemme 2014 MICHAEL MOORE Bowling for Columbine USA – Canada 2002 www.faustoconter.com Tracce non inedite (ma è come se lo fossero), interpretate e riarrangiate ex novo nel corso dell’ultimo anno di vita di Jannacci. Sono canzoni “jannacciane” in buona parte antiche (di 40-50 anni fa in media, solo due risalgono rispettivamente al 1981 e al 1987); alcune all’apparenza esili e bozzettistiche, altre potenti e drammatiche come “Cosa importa”, “La sera che partì mio padre” o “Maria me porten via”. Tutte, pressochè sconosciute ai più. Reinterpretazioni mature così toccanti, che danno profondità del tutto nuove - forse insospettabili - anche a istantanee giovanili dei primi anni ‘60 come “L’artista”, “Il tassì” o “Un amore da 50 lire” e un inedito piuttosto sorprendente, quello con J-Ax, “Desolato”. Infine, anzi oltre e al di sopra di tutto ciò, a dominare la scena in ogni momento, c’è la voce di Enzo - a tratti stanchissima, a tratti ancora piena e tonante - che riporta mirabilmente alla luce queste perle tutte da (ri) scoprire. E lo fa commuovendo. “Il mio tempo, che sta per finire, ha il suono dolce dell’abbraccio celeste”. Così don Gallo ci lascia il suo testamento, un’analisi reale, sentita, commovente, lucida e , sempre, ostinata e contraria di molti temi che il prete di strada aveva più a cuore: la democrazia, l’amore, la Chiesa, i giovani, la diversità…tutti argomenti trattati partendo dall’incipit delle canzoni di Fabrizio De Andrè, ispiratore del “quinto Vangelo” per il Gallo: il Vangelo della strada. Un libro a cui Don Andrea, fondatore della Comunità San Benedetto al Porto, ha lavorato fino all’ultimo giorno, nato sulle ali dell’amicizia “angelicamente anarchica” intrattenuta per anni con Faber. Con illustrazioni di Vauro. Il 20 aprile ‘99 due ragazzi entrano armati nella Columbine High School e uccidono 12 studenti e un insegnante, poi rivolgono le armi contro se stessi e si tolgono la vita. Da questo evento Michael Moore prende spunto per raccontare la diffusione non controllata delle armi da fuoco e il loro abuso negli Stati Uniti. È una riflessione sulla violenza e un tentativo di ricerca delle possibili cause. L’autore non dichiara alcuna conclusione esplicita ma lascia lo spettatore riflettere a partire da ciò che vede e sente durante le interviste. Ciò che emerge è quanto la diffusa ‘cultura del terrorÈ negli Stati Uniti, associata al libero uso delle armi, spinga le persone a sentire l’esigenza di proteggersi e quindi ad avere un’arma da utilizzare se necessario. Tema ancora di grande attualità. È il sito del volontario dello SVI n Uganda, Fausto Conter. Una raccolta di fotografie scattate dall’Africa, che ci mostrano ciò che lui vive, vede e respira quotidianamente. I progetti, le persone, i volontari, i paesaggi, i particolari…un viaggio attraverso gli occhi di Fausto e la sua machina fotografica, alla scoperta, per usare le sue parole di “una continua meraviglia che passa attraverso la quotidianità della gente che vive in questa fantastica regione chiamata Karamoja”. Guardandolo si respira passione e Africa! da DeBaser Liuz Claudia Pisano Liuz 23 Lo SVI vi augura una Buona Pasqua di Resurrezione e di Pace i la solidarietà tra con lo SVI per vivere da protagonist i popoli