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Istituto Superiore
di Formazione Insegnanti Yoga
ISFIY di Milano
corso 2004/2008
Titolo della tesi
LO YOGA COME RICERCA DEL BARICENTRO NATURALE
NEI CASI DI DEVIAZIONE LATERALE DELLA COLONNA
VERTEBRALE.
Candidato
Relatore
Luisa Mauro
Doralice Lucchina
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LO YOGA COME RICERCA DEL BARICENTRO
NATURALE
NEI CASI DI DEVIAZIONE LATERALE DELLA
COLONNA VERTEBRALE.
Introduzione.
Ho scelto questo argomento perché la scoliosi è stata per me la spinta iniziale
alla pratica dello Hatha Yoga.
Pur non avendo mai sofferto di dolori alla schiena, nonostante tre gravidanze,
provavo già venti anni fa una sensazione di rigidità alla schiena e di chiusura
del torace che mi rendevano insicura e poco felice. La visione radiografica della
mia colonna e la sentenza inappellabile del medico ortopedico: “…non c’è
niente da fare, lei è condannata ad avere dolori” mi convinsero definitivamente
che dovevo fare qualcosa.
Lessi un po’ qua e là, ma soprattutto ricordai, o meglio, il mio corpo ricordò
la sensazione di apertura e leggerezza provata tanti anni prima in occasione di
non più di una o due sedute di Hatha Yoga e di cinque o sei lezioni di Tai-ChiChuan.
Alla fine degli anni Novanta, quando il mio terzo figlio era già grandicello,
decisi di iscrivermi ad un corso di Hatha Yoga presso un Centro del mio
Comune, istituito e condotto da una maestra diplomata della F.I.Y.
Non ho mai seguito sequenze speciali per il mio problema, ma da un po’ di
tempo ho iniziato a sentire chiaramente che alcune asana sono per me più
benefiche e che altre devo assumerle con maggiore cautela o per tempi più
brevi.
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Ripensando ai primi anni di pratica delle asana, ricordo quanto mi fosse
difficile far scorrere il respiro e di conseguenza l’energia su e giù lungo la spina
dorsale: era come se ci fosse un blocco, un ostacolo. Inconsapevolmente, però,
io visualizzavo la mia colonna come un canale diritto, senza curvature. Con la
ripetizione continua di questa pratica credo che, almeno energeticamente, la mia
colonna si sia raddrizzata; forse ho attuato una sorta di Sankalpa, seppure senza
consapevolezza!
Questa ricerca è per me un’occasione per approfondire il tema delle
deviazioni laterali del rachide e capire quale ruolo lo Yoga può svolgere per
aiutare le persone affette da tali patologie.
Che cos’è la scoliosi?
Ma che cos’è la scoliosi?
Il termine deriva dal greco “skolios” che significa “curvo, storto” e già
nell’antica Grecia Ippocrate (300 a.C.) per ridurre questa stortura ideò una serie
di strumenti tra cui il telaio di riduzione, la trazione longitudinale, le pressioni
sulle gibbosità. Un millennio più tardi Paolo d’Egina tentò la correzione
graduale della scoliosi mediante bendaggi steccati. Nel 1582 Ambroise Parè
insegnò come fabbricare corazze metalliche da applicare al tronco degli
scoliotici. Nell’ambito della medicina occidentale non sono stati poi compiuti
sostanziali progressi terapeutici fino al sec.XX quando Hibbs (1931) eseguì la
prima artrodesi spinale e quando Blount e Schmidt misero a punto il corsetto
Milwaukee.
Normalmente, sul piano frontale, la colonna vertebrale è verticale e
rettilinea.
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Questa verticalità si mantiene con la tensione dei muscoli spinali e coi fasci
laterali dei muscoli obliqui dell’addome: gli spinali agiscono direttamente sulla
colonna vertebrale, gli obliqui con le costole come intermediarie. E’ logico
quindi che la tensione di questi muscoli deve essere uguale nei due lati per
mantenere la verticalità. Ma accade con una certa frequenza che la colonna
presenti una o più curve. Convenzionalmente, una curva laterale è destra o
sinistra a seconda che la sua convessità sia a destra o a sinistra. Se essa è unica,
sarà o totale ed interesserà tutta l’altezza della colonna vertebrale, o parziale ed
interesserà solo una parte della spina, lombare dorsale o cervicale. Le prime
quattro vertebre cervicali, però, non partecipano mai alle deviazioni.
Possono esistere anche due o tre curve che si alternano. Più spesso una scoliosi
comincia con una sola curva. Essa potrà restare unica se la tonicità muscolare è
sufficiente per mantenere il capo al di sopra del centro di gravità. Ma se il
tronco si inclina dal lato della concavità, dando ai muscoli un lavoro minore, i
sistemi di equilibrio diretti dal Sistema Nervoso Centrale porteranno alla
formazione di curve così che il capo sia centrato sul bacino e sul perimetro di
appoggio: si formerà così una seconda curva, detta di compenso, al di sopra o al
di sotto della prima ed in senso inverso ad essa; con un processo analogo se ne
può formare una terza.
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1. Figura tratta da “Manuale di ginnastica medica” di Jacques Lesur, ed. Società Stampa Sportiva Roma
La scoliosi è molto diffusa ed affligge l’umanità fin dall’assunzione della
stazione eretta, come dimostra un’immagine dell’Età della pietra raffigurante
una scoliosi congenita dovuta ad un’emivertebra.
Essa
si
manifesta
generalmente
nell’età
evolutiva,
in
particolare
nell’adolescenza, raggiungendo il suo massimo grado di deformità al termine
della crescita. Nelle donne che hanno più gravidanze può continuare ad
aggravarsi e peggiorare anche in età adulta. E’ un mistero il fatto che insorga e
progredisca di più nelle femmine che non nei maschi.
Se non vi è rotazione dei corpi vertebrali non si può parlare di scoliosi e
l’anomalia prende il nome di paramorfismo o atteggiamento scoliotico, che sta
a dimostrare un semplice atteggiamento posturale scorretto.
Vi sono moltissime varietà di scoliosi, ma fondamentalmente se ne
riconoscono due tipi: strutturale e funzionale (detta anche non strutturale). Nella
prima le vertebre formano una curva laterale, nella seconda invece, la colonna
appare curva a causa di un problema che interessa un’altra parte del corpo, per
esempio una differente lunghezza delle gambe.
1. Figura tratta da Internet: www.gss.it/scoliosi.htm
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Generalmente una curva funzionale (detta anche atteggiamento scoliotico) è
meno visibile di una curva strutturale, perché la curvatura e la rotazione sono
meno gravi, ed in molti casi è reversibile. Spesso si corregge da sola, al termine
della crescita. Ma se una curva funzionale non si raddrizza, può degenerare in
strutturale.
Esiste un semplice test diagnostico per appurare il tipo di scoliosi: consiste
nell’osservare la colonna vertebrale mentre si flette in avanti in posizione eretta.
Se la curva è ben visibile quando si è in piedi e poi scompare quando ci si flette
in avanti, significa che la scoliosi è funzionale. Se la curva non scompare ed
anzi la deformazione diventa più evidente, si tratta di scoliosi strutturale.
Eziologia della scoliosi.
Le scoliosi strutturali sono, nella maggior parte dei casi, evolutive durante
l’accrescimento, in particolare nel corso della pubertà, fino alla maturazione
ossea ed inoltre si possono aggravare più lentamente nel corso dell’età adulta.
Tra le scoliosi strutturali, le IDIOPATICHE sono di gran lunga le più
numerose: la loro causa è ignota. Dal “Manuale di kinesiterapia dei vizi
posturali e dei dismorfismi” di Sergio Pivetta: ”…come hanno origine le
scoliosi? Non lo sappiamo. A tutt’oggi, non vi è teoria sulla sua eziopatogenesi
che non presenti delle paurose lacune… solo ipotesi, tante e diverse ipotesi. E
qualsiasi ipotesi non manca di essere regolarmente contraddetta da troppe,
numerose eccezioni. Del resto, anche nelle scoliosi la cui causa è nota, si sa
solo che esse sono secondarie ad altre affezioni, si sa che queste ne sono la
causa, ma resta ignoto il perché… sono noti soltanto alcuni aspetti della
malformazione, ed in modo incompleto. Le forme ad eziologia conosciuta
rappresentano, secondo Cobb, solo il 10%. Il rimanente comprende tutte le altre
(definite variamente giovanili, essenziali, idiopatiche) termini che non
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significano niente e che servono solo a mascherare la nostra impotenza.”* Così
Sergio Pivetta dichiara molto onestamente l’impossibilità per la medicina
occidentale di risalire alle cause della stragrande maggioranza delle scoliosi.
Nel corso del tempo sono state elaborate molte teorie riguardo alle cause fisiche
delle scoliosi idiopatiche. Molte ricerche prendono in considerazione lo
sviluppo del cervello e/o di specifici geni. Diversi studi si sono focalizzati sulle
deformità nella ghiandola pineale, con qualche interessante risultato. E’
possibile che la melatonina, un ormone secreto dalla ghiandola pineale, giochi
un ruolo nello sviluppo e nella progressione della scoliosi. Questo è
interessante, perché la ghiandola pineale è il punto fisico corrispondente al
“Terzo Occhio”, molto importante per la meditazione Yoga.
I trattamenti medici per la scoliosi comprendono terapie fisiche, corsetti e/o
operazioni chirurgiche con innesti di canne di acciaio o di fusioni di metalli.
L’uso del corsetto è molto controverso e vi sono studi che dichiarano la sua
totale inefficacia. Dal punto di vista scientifico è una questione difficile da
studiare, in quanto non si può mai sapere cosa sarebbe avvenuto alla colonna
vertebrale senza l’uso di un corsetto. Ma una cosa è stata dimostrata: la
flessibilità di una persona aumenta l’efficacia del corsetto che può in effetti
fermare la progressione della curva. Questo è importante per una persona che
voglia praticare yoga con il corsetto come terapia supplementare, sperando di
prevenire un’operazione chirurgica.
Le operazioni chirurgiche sono state notevolmente migliorate negli ultimi
trent’anni. Anche riguardo ad esse vi sono molte controversie, ma sembra, in
base a dati statistici, che molte persone stiano meglio dopo questo tipo di
operazioni.*
Ma niente ci dice dove risiede la causa della scoliosi. Se la causa si trova da
* S. Pivetta “La tecnica della ginnastica correttiva”, vol. II, pag. 319, ed. Sperling & Kupfer
* Sintesi di un documento trovato su Internet: www.scoliyogi.com
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qualche parte nel cervello e la malattia è decisa a progredire, continuerà il suo
sviluppo anche dopo l’operazione di innesto di canne metalliche.
L’operazione è comunque raccomandata se il grado di curvatura ed il ritmo di
progressione della scoliosi sono elevati.
Stupita da questa raccolta di informazioni così poco esaurienti, in occasione
di una visita da me avuta dal dottor Dash, medico ayurvedico di fama, ho
rivolto a lui la questione, pregandolo di fornirmi anche dei dati bibliografici di
riferimento. Riguardo questo punto, non c’è, a sentire il dottor Dash, una
letteratura ayurvedica sull’argomento. Ma, secondo il suo parere, la scoliosi può
avere tre cause:
1) causa congenita dovuta ad una posizione sbagliata del feto nell’utero
materno;
2) uno stress al momento del parto;
3) dopo la nascita, un modo errato di tenere in braccio il bambino (per es.
sempre a destra o sempre a sinistra)
I rimedi per gli adulti per non aggravare la scoliosi risiedono in
un’alimentazione equilibrata, qualche tipo di massaggio e la pratica dello yoga,
evitando o comunque non forzando alcune posture. Ma di questo tratterò
ampiamente in seguito.
Yoga ed Ayurveda sono due scienze antiche che originano dalla stessa
filosofia, cultura e nazione. Esse si pongono di fronte all’essere umano con il
medesimo punto di vista olistico.
L’Ayurveda è la scienza della vita e della longevità. Lo Yoga è la scienza
dell’unione del sé individuale con il sé universale. Entrambe le scienze mirano
ad armonizzare i livelli fisico, mentale, emotivo e spirituale dell’essere umano:
L’Ayurveda considera la vita un fenomeno psico-spirituale e fisico.
Fondamentalmente essa mira a porre fine alle sofferenze e conservare lo stato di
salute, in modo che ciascun individuo possa raggiungere i quattro scopi della
vita: Dharma, Artha, Kama e Moksha (rettitudine, prosperità, piacere e
liberazione).
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Lo Yoga ha lo scopo fondamentale di raggiungere la meta psicospirituale della
vita, ossia la liberazione, ma non trascura affatto l’importanza di mantenersi in
buona salute nel corso del proprio cammino: la purezza del corpo, della mente e
della parola costituisce un principio essenziale al fine di conseguire lo scopo
ultimo.
Non credo di divagare citando un brano del testo “Malattia e destino: il
valore ed il messaggio della malattia” di Thorwald Dethlefsen, psicoterapeuta
di impostazione esoterica, che ha scritto questo libro in collaborazione col
medico Rudiger Dahlke:
“Il portamento ovvero L’esteriorità come riflesso dell’interiorità”
“…se parliamo del portamento di una persona, non si capisce bene se
intendiamo il portamento corporeo o quello interiore. Ciò nonostante questa
ambiguità verbale non porta a malintesi, perché l’atteggiamento esteriore
corrisponde a quello interiore.
Nell’esteriorità si rispecchia l’interiorità. Così, per esempio, parliamo di una
persona retta, che significa onesta, ma anche diritta nel portamento. Un animale
non può mai essere “retto”, perché non si è mai messo a camminare su due
gambe soltanto. L’uomo però in tempi antichissimi ha fatto questo passo
fondamentale e si è messo diritto, avendo così la possibilità di rivolgere lo
sguardo verso l’alto, verso il cielo e l’occasione di diventare dio. Al tempo
stesso si esponeva al pericolo dell’orgoglio di credersi dio.
Le possibilità ed i pericoli della posizione diritta si mostrano chiaramente anche
sul piano corporeo. Le parti deboli del corpo, che nell’animale a quattro zampe
sono ben protette dal suo portamento, risultano nell’uomo che cammina
totalmente prive di protezione. Questa mancanza di protezione e questa
conseguente grande vulnerabilità porta con sé una grande apertura e ricettività.
E’ soprattutto la colonna che rende possibile il nostro portamento eretto. E’ lei
che rende l’uomo sicuro ed agile, che gli dà forza e flessibilità. Abbiamo detto
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che il portamento interiore e quello esteriore si corrispondono, e questa
analogia risulta anche da certe espressioni: ci sono uomini retti e uomini che si
piegano con facilità; conosciamo gente rigida e dura e gente che preferisce
strisciare; a certuni manca il portamento, non sanno comportarsi.
Noi individuiamo subito come innaturale quel portamento che non
corrisponde all’essere interiore umano, perché è proprio dal portamento
naturale che riconosciamo l’uomo. Se una malattia costringe la persona ad un
determinato portamento che volontariamente non assumerebbe mai, questo
atteggiamento ci mostra qualcosa che non è vissuto interiormente.
Considerando una persona dobbiamo imparare a distinguere se essa si identifica
col suo portamento esteriore oppure se deve assumere un atteggiamento contro
la propria volontà. Nel primo caso, nel portamento modificato dalla malattia si
nota una zona d’ombra che la persona, se potesse scegliere, non vorrebbe avere.
Per es. un individuo che cammina diritto e sicuro, sempre a testa alta, mostra
una certa inavvicinabilità, orgoglio, elevatezza e sincerità. Una persona del
genere mostrerà però al tempo stesso tutte le sue altre qualità. Non le
smentirebbe certamente…”*
Dethlefsen non accampa pretese di scientificità nel senso abituale ed
acquisito del termine, tuttavia sottolinea l’orizzonte a cui la medicina dovrà
tendere in futuro se non vorrà correre il rischio di arenarsi: il corpo in sé non è
ammalato o sano, in esso si esprimono semplicemente informazioni della
coscienza, della psiche. Se queste sono ammalate o mancano di qualcosa, sono
indotte a richiamare l’attenzione producendo quelle che noi definiamo malattie.
Le malattie sono quindi un’informazione della coscienza che vuol far notare
* Brano tratto da “Malattia e destino” di T. Detthlefsen e R. Dahlke, ed. Mediterranee
una sua necessità, un suo bisogno, e lo rivela sul corpo, che diviene così il suo
modo, il suo livello di espressione. Per guarire bisogna quindi trasformare la
coscienza, integrare ciò che manca, capire le carenze ed integrarle. La medicina
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psicosomatica lavora già da tempo ed in larga misura su queste basi, pur
senza arrivare ad esprimersi con molta chiarezza, secondo Dethlefsen. La
malattia diventa quindi una “guida” capace di rivelare i veri problemi a livello
esistenziale, un’alleata quindi e non una nemica, non un disturbo cieco e
casuale ma un mezzo per capire più profondamente se stessi e favorire il
proprio cammino evolutivo.
Varietà di scoliosi.
Dopo questa ampia digressione, vorrei tornare alla questione delle scoliosi
strutturali, quelle cioè in cui il rachide risulta deformato in modo permanente e
la deformazione non è volontariamente riducibile. Esse vengono suddivise dalla
medicina occidentale, come già accennato, in scoliosi ad eziologia nota (non
più del 10%) ed idiopatiche o ad eziologia sconosciuta (il 90%).*
Tra le scoliosi ad eziologia nota vi sono quelle dovute a forme di malformazioni
ossee congenite della colonna vertebrale, a sindromi neuromuscolari come la
paralisi cerebrale, la distrofia muscolare, la poliomielite, l’ipotonia congenita ed
altre patologie, e spesso possono essere associate a patologie molto gravi come
la sindrome di Down o il nanismo.
Quando non si trova alcuna causa la scoliosi è definita, come già detto,
idiopatica, ed è circa otto volte più frequente nelle femmine che nei maschi.*
* Dato tratto da “La tecnica della ginnastica correttiva”, vol. II, di S. Pivetta, ed. Sperling & Kupfer
* Dato tratto da nternet:www.my-personaltrainer.it/scoliosi.htm
Le scoliosi idiopatiche, secondo la stessa fonte si distinguono in:
• scoliosi con curva primaria (curva meno riducibile, di entità angolare più
ampia e con maggiore rotazione dei corpi vertebrali) circa il 70% dei casi
che comprendono:
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1) scoliosi toraciche (circa il 25%), presentano generalmente una
convessità destra, oltre ad una curva di compenso lombare che diventa
rapidamente strutturata (vedi fig.a);
2) scoliosi toraco-lombari (circa il 19%), presentano generalmente una
convessità destra e due emicurve di compenso (vedi fig.b);
3) scoliosi lombari (circa il 25%). Abitualmente sono sinistro-convesse e la
curva di compenso toracica si struttura nel corso dell’aggravamento (vedi
fig.c);
4) scoliosi cervico-toraciche (circa 1%), di solito la convessità è a sinistra le
curve di compenso toracica o toraco- lombare tendono a strutturarsi;
• scoliosi con doppia curva primaria (circa il 30% dei casi), comprendono
sia le scoliosi con curva toracica e lombare (circa il 23%, sono le più
frequenti e determinano generalmente una convessità toracica destra e
lombare sinistra come illustrato nella fig.d), sia le scoliosi con doppia
curva toracica (le vertebre limitanti sono, di solito T1 e T6 per la curva
superiore, e T6 e T12 per quella inferiore), sia infine, le scoliosi con
curva toracica e toraco-lombare.
La figura sopra presentata è stata tratta da un documento Internet sul sito
www.gss.it/scoliosi/scoliosi.
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In definitiva le quattro curve più comuni nella vastissima tipologia della
scoliosi sono quelle qua sotto più semplicemente rappresentate:
* Figura tratta da Yoga Journal, giugno 2007
1) scoliosi toracica destra: la scoliosi principale è concentrata nell’area
toracica (parte alta o centrale della schiena) e curva a destra. Ci può
anche essere una curva di compensazione meno grave sul lato sinistro
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dell’area lombare (parte bassa della schiena);
2) scoliosi lombare sinistra: la curva principale si trova a sinistra dell’area
lombare. Ci può essere una curva meno grave sul lato destro dell’area
toracica;
3) scoliosi toraco-lombare destra. La curva principale interessa la parte
destra dell’area toracica inferiore e dell’area lombare. Questa deviazione
viene comunemente definita a forma di “C”;
4) scoliosi toracica destra e lombare sinistra. La curva principale si trova
nella regione toracica, con una controcurva uguale nella parte sinistra
dell’area lombare. Questa deviazione è comunemente definita a forma di
“S”.
La scoliosi viene in genere misurata in gradi Cobb (angolo di Cobb).
Questo angolo si ottiene tracciando due linee tangenti una alla prima ed una
all’ultima vertebra colpita da scoliosi: le due perpendicolari si intersecano
formando un angolo che indica l’entità in gradi della deviazione scoliotica.*
* Figura tratta da Internet: www.my-personaltrainer.it/scoliosi
Le scoliosi considerate gravi sono quelle che superano i 30°-40° di Cobb.
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Nel grafico sottostante è riportata l’incidenza della scoliosi nella
popolazione misurata in gradi Cobb:
Dal grafico si può notare la prevalenza delle scoliosi lievi (7,7%) rispetto alle
severe (0,2-0,3%).*
Ma in tutti i casi gli effetti dell’asimmetria dovuti alla torsione della
colonna vertebrale su se stessa sono così descrivibili: le costole di un lato del
corpo vengono spinte in avanti (lato della concavità) quelle dell’altro indietro
(lato della convessità). Ad esempio, se la colonna vertebrale si curva a destra, le
costole destre sporgeranno indietro creando una convessità e spesso un gibbo
più o meno evidente, mentre le costole sinistre spingeranno in avanti creando
una concavità; le costole destre si allargheranno provocando un allungamento
eccessivo dei muscoli intercostali e la compressione delle costole sinistre.
Queste torsioni e rotazioni possono creare un effetto domino che mette fuori
uso anche il resto del corpo. Si può spesso osservare un’asimmetria a livello
delle spalle, e, a causa di ciò, è possibile che una scapola sia più sporgente
dell’altra. L’asimmetria delle anche, poi, può sbilanciare l’intero bacino.
Inoltre, la testa pende spesso da un lato o cade in avanti, anziché essere ben
posizionata al centro. Tutti questi squilibri possono provocare un lungo elenco
di disturbi fino a sfociare in vere e proprie infermità. Poiché la testa e le spalle
* Figura tratta da Internet: www.my-personaaltrainer.it/scoliosi
non sono mai allineate anche l’emicrania può manifestarsi con frequenza.
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L’asimmetria delle anche può causare dolori alla parte bassa della schiena ed
anche la sciatica.
La costante compressione delle vertebre dal lato concavo della curva può
logorare le sottili articolazioni intervertebrali e provocare danni ai dischi che, a
causa della pressione, possono sporgere o addirittura rompersi. Il dolore che
colpisce in genere il lato concavo della curva spesso non dà tregua e può portare
all’insonnia.
In
casi
estremi
si
possono
verificare
complicazioni
cardiopolmonari del cuore e dei polmoni. Molto diffusa tra gli scoliotici è una
più o meno accentuata difficoltà respiratoria.
Non sorprende che lo stress causato da queste complicazioni fisiologiche sia
all’origine di depressioni e riduca l’autostima.
Dal libro “La rieducazione fisica” vol. II di Andrè Lapierre “…ma lo scoliotico,
indipendentemente da questi ostacoli meccanici (rigidità rachidea, gibbosità,
depressioni, orizzontalità o verticalità delle coste) NON SA RESPIRARE e per
tale ragione non utilizza neppure le possibilità che gli sono concesse: gli
scoliotici presentano spesso un asincronismo addomino-costo-diaframmatico e
la loro capacità vitale non oltrepassa il 70%-80% della normale…”. Lo stesso
autore continua: ”… per ogni scoliotico è quindi necessaria, prima di ogni
trattamento con intenti ortopedici, una ginnastica generale e respiratoria che
educhi sistematicamente:
•
lo schema corporeo
•
l’indipendenza segmentaria
•
i meccanismi posturali essenziali
•
i meccanismi respiratori “*
* A. Lapierre “La rieducazione fisica” vol. II, pag. 469, ed Sperling & Kupfer
Uno sguardo ai testi sacri…
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“Malattia, apatia, dubbio, negligenza, indolenza, incontinenza, prospettiva
erronea, incapacità di realizzare un obiettivo prefissato, incapacità di mantenere
l’obiettivo raggiunto: queste dispersioni della coscienza sono gli ostacoli”, così
Patanjali nel sutra 30 del capitolo I degli Yoga Sutra.
Non mi soffermerò nell’analisi e nel commento dell’intero sutra, ma solo di
ciò che è utile ai fini della mia ricerca: la malattia (vyādhi). Non è un caso che
Patanjali la collochi al primo posto dei nove ostacoli alla pratica dello Yoga,
ostacoli che sono alimentati dai guna rajas e tamas, che disperdono la coscienza
producendo modificazioni incompatibili allo stato di Yoga (vedi cap. I, 5-11).
Secondo l’Ayurveda la malattia sorge da uno squilibrio nell’interazione dei
tre umori del corpo: aria (vāyu), bile (pitta), flemma (kapha). Gli umori devono
rimanere in una proporzione equilibrata per mantenere la persona in buona
salute, mentre un loro squilibrio va a ripercuotersi sul rasa, la linfa vitale
dell’organismo che si diffonde negli organi di senso e di azione (indriya) i quali
manifestano di conseguenza sintomi patologici. La malattia impedisce quindi al
praticante di avanzare sulla strada dello Yoga, producendo modificazioni
mentali. Patanjali già nel sutra 12 del capitolo I indica i rimedi che possono
sopprimere tali modificazioni: “ La soppressione di queste vritti si ottiene per
mezzo della pratica (abhyāsa) ed attraverso il distacco (vairāgya)”.
La pratica che qui intende Patanjali è quella di viveka, la discriminazione, cioè
la capacità di distinguere il vero dal falso, il bene dal male. Il distacco è invece
un atteggiamento di non attaccamento agli oggetti, alle situazioni, alle
emozioni, alle persone. Abhyāsa e vairāgya devono essere praticati insieme per
poter sopprimere le vritti.
Ed ancora nel sutra 32, capitolo I “Per eliminare questi ostacoli (si pratichi) la
concentrazione della coscienza sull’unica realtà.”
Il praticante deve quindi abituarsi a rivolgere la propria coscienza verso un
unico principio, un’unica realtà.
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Come noto, Patanjali non si sofferma a descrivere gli asana ed il suo
commentatore più noto, Vyāsa, ne elenca un certo numero tra cui padmasana,
vĩrāsana, bhadrāsana, tutte posizioni sedute, adatte alla meditazione. Patanjali
dà comunque le indicazioni indispensabili per ogni posizione: l’asana deve
essere “stabile e confortevole”(cap.II, 46), “quando si allenta lo sforzo e quando
la mente riflette la condizione dell’infinito” (cap.II, 47), “in seguito cessa il
disagio provocato dalle coppie degli estremi” (cap.II, 48).*
Gli studiosi collocano la stesura degli Yoga Sutra nel periodo che va dal I
secolo a.C. al II secolo d.C. Secoli più tardi, intorno al 1500 d.C., un testo di
tradizione tantrica, caratterizzato dall’importanza data alla pratica corporea, lo
Hatha Yoga Pradipika, così recita: “Le asana apportano stabilità, salute e
leggerezza fisica” (capitolo I, 17).
Il primo risultato enunciato è la fermezza posturale, cioè la stabilità del
corpo e della mente. Non possiamo pensare di avere un corpo stabile con una
mente agitata, perché la sua agitazione condiziona inevitabilmente il corpo.
Secondo la filosofia Yoga, ogni cosa che esiste è retta dai tre guna: sattva, rajas
e tamas. La stabilità del corpo è raggiunta tramite la distruzione del rajas guna,
la cui natura è instabilità ed agitazione.
Il secondo risultato è la salute, la scomparsa di ogni malattia. Risultato di
fondamentale importanza perché la malattia è uno dei nove ostacoli alla pratica
dello Yoga che già Patanjali enumera (Yoga Sutra, cap. I, 47).
Il terzo risultato è la leggerezza fisica, derivante dalla distruzione del tamas
guna, la cui natura è pesantezza, torpore, pigrizia. L’asana deve tendere a sattva
guna, la cui natura è di osservazione, distacco, equilibrio.
* I sutra enunciati sono tratti da “Yoga Sutra – il più antico testo di yoga con i commenti della tradizione” a
cura
di P. Scartabelli e M. Vinti, ed. Mimesis
E qui il cerchio si chiude, ritornando agli insegnamenti di Patanjali: “La
posizione deve essere stabila e comoda” (cap.II, 46, Yoga Sutra). “Attraverso il
rilassamento dello sforzo e l’immersione nell’infinito” (cap.II, 47, Yoga Sutra).
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“L’abbandono delle tensioni muscolari trasportato su un piano psicologico e
mentale è l’abbandono dell’Io, il quale conosce la sua prima affermazione con
una contrazione muscolare…meditazione sull’infinito vuol dire annullare tutte
le possibili forme mentali che si presentano in noi, perché ogni pensiero, idea o
concetto limita sia la coscienza che l’energia ed impedisce il raggiungimento
dello scopo che Patanjali enuncia nel cap.II, 48: “ Da ciò non si è più ostacolati
dalle coppie di opposti.”*
…ed uno sguardo ai Maestri.
Tra i Maestri più noti in Occidente dei nostri tempi, Satyananda e B.K.
Iyengar si sono occupati dei problemi derivanti da una colonna vertebrale in
cattivo stato di salute.
Satyananda, nel suo libro
“Asana Pranayama Mudra Bandha”propone una
sequenza per il mal di schiena, che è un sintomo tipico della scoliosi, anche se
può derivare da altre patologie della colonna. Qui di seguito riporto le
illustrazioni della sequenza:
* da una lezione di Eros Selvanizza del 18.11.2006 presso l’ISFIY di Milano
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Satyananda indica poi tutte le asana di estensione all’indietro e come ultime
asana:
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Infine, Satyananda consiglia
di praticare Ujjayi
e Bhramari, ambedue i
pranayama che hanno un profondo effetto calmante sul sistema nervoso e sulla
mente, e la ripetizione dell’Ajapa Japa (il mantra Om).
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“ La yogaterapia ha una lunga tradizione e grandi potenzialità. Ha inoltre
eccellenti probabilità di essere accettata anche da un punto di vista scientifico
per ragioni molto semplici. Ecco il modo in cui funziona: prima di tutto c’è un
problema di salute; in secondo luogo intuisco che ci può essere una soluzione
che prevede l’utilizzo di tecniche yoga; terzo punto, mettiamo il tutto alla prova
attraverso la pratica, e quindi analizziamo statisticamente i risultati. Se la mia
soluzione funziona , la proposta ha guadagnato credibilità, in caso contrario è
chiaro a tutti che avevo torto, o almeno che l’idea o la sua esecuzione erano
sbagliate…”*
Non so se i discepoli di Satyananda abbiano risultati statistici sulla sequenza,
ma posso assicurarne l’effetto benefico sulla mia colonna vertebrale le varie
volte che l’ho praticata.
B.K.S. Iyengar propone invece una sequenza più specifica per la scoliosi,
che però prevede posizioni molto forti e di notevole difficoltà come Urdhva
Dhanurasana, Pincha Mayurasana, Adho Mukha Vrkasana e Dwi pada Viparita
Dandasana :
* da un’intervista di Susi Stefanini a David Coulter, autore del libro “Anatomy of Yoga”
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Tra gli allievi di Iyengar, ho avuto la fortuna di scoprire Elise Browning
Miller, insegnante di yoga e specializzata nella terapia della scoliosi, fondatrice
del Californian Yoga Center, dove attualmente insegna e membro dello Iyengar
Yoga Institute di San Francisco.
La Miller, affetta lei stessa dall’età di 15 anni da una grave scoliosi strutturale
toracica di 49 gradi con una curva di compensazione lombare, ha sviluppato un
metodo per persone di ogni età affette da tale patologia. I punti fondamentali di
tale metodo consistono nell’allungamento della spina dorsale e dei muscoli tesi,
nel rafforzamento di quelli deboli, nella derotazione della spina e delle costole,
nell’educazione ad una respirazione consapevole e nel rilassamento. Questo
metodo, sostiene la Miller, permette al corpo di creare senza sforzo un
allineamento più normale, usando la struttura ossea piuttosto che sovraffaticare
i muscoli. Attraverso lo yoga si può trovare il punto di equilibrio che permette
alla curva scoliotica di coesistere con la gravità, attivare la naturale linea a
piombo del corpo ed ottenere quindi una postura migliore ed un alleviamento
dei dolori.
“ Scegliere lo yoga per la scoliosi richiede impegno e consapevolezza interiore.
Con la scoliosi non bisogna attendersi la perfezione ma invece accettarsi e
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trovare il proprio allineamento e centro ottimali. Come c’è bellezza
nell’allineamento perfetto di una palma, c’è anche bellezza in una quercia con
tutte le sue curve e torsioni. Psicologicamente, la pratica dello yoga è molto
rafforzante, in quanto dà la speranza di poter fare qualcosa per migliorare la
propria condizione e qualità di vita.”*
La mia pratica personale.
Traendo spunto dalla mia esperienza personale, dagli insegnamenti ricevuti
nei tre anni alla scuola ISFIY e dall’opuscolo di Elise Browning Miller, ho
elaborato una sequenza mirata alla situazione della mia colonna vertebrale, ma
che può essere adattata con le indicazioni specifiche, anche a persone affette da
scoliosi lombare sinistra, toracolombare destra o toracica destra-lombare
sinistra.
In seguito ad una recente radiografia seguita da visita specialistica, il mio
rachide presenta una deviazione toracica destra tra i 28° ed i 30° di Cobb, con
rotazione leggera della parte anteriore delle vertebre verso la convessità e della
parte posteriore (il processo spinoso) verso la concavità sinistra, ed inoltre un
leggero sbilanciamento a destra del rachide lombare. Sul dorso a destra è
presente un piccolo gibbo toracico di 15 millimetri. Il mio bacino risulta
sostanzialmente in linea, anche se la gamba destra è di 2-3 millimetri più lunga
* tratto dall’opuscolo “Yoga for scoliosis. Therapeutic back care. Reduce pain and improve posture” di Elise
Browning Miller
della sinistra. Gli spazi intersomatici (tra le vertebre) sono conservati.
29
Rispetto ad un precedente controllo di 14 anni fa la situazione è rimasta
sostanzialmente invariata, ed io non nutro alcun dubbio che ciò sia dovuto alla
pratica regolare dello yoga. Il fatto che le mie vertebre siano sempre ben
distanziate e la curvatura non sia aumentata è un frutto prezioso di cui sono
estremamente riconoscente a questa disciplina.
La sequenza che presento si può suddividere in quattro parti:
1. posizioni di respirazione ed allungamento,
2. posizioni di centratura e di rafforzamento,
3. posizioni di rafforzamento del dorso e dell’addome,
4. posizioni di rilassamento.
Inframezzate tra queste vi sono anche posizioni che hanno l’ulteriore
funzione di derotare la spina e le costole (come Trikonasana e la torsione seduti
sulla sedia).
POSIZIONI DI RESPIRAZIONE ED ALLUNGAMENTO
Iniziamo prendendo consapevolezza del respiro, perché è il respiro che dà quiete
alla mente e porta nel presente, è il legame tra corpo e mente. Teniamo la bocca
chiusa e respiriamo dal naso. Respiriamo nel lato concavo con maggior
compressione e quando espiriamo sentiamo le costole alzate rispetto al bacino:
questo crea spazio tra le vertebre ed aiuta ad allineare il corpo. Impariamo a
respirare nella zona dolente o nel lato dei polmoni e delle costole dove il respiro
non fluisce facilmente. Possiamo respirare in Ujjayi, per concentrarci meglio e
calmare il sistema nervoso.
Movimenti delle braccia. Inspiriamo e solleviamo le braccia di lato e poi fin
sopra la testa.Espiriamo ed abbassiamo lentamente le braccia, lasciandole cadere
dalle orecchie. Sentiamoci sollevati durante l’esecuzione e spingiamo bene le
mani verso l’alto. Ripetiamo per tre volte.
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Allungamenti laterali. A destra. Retrovertiamo leggermente il bacino.
Inspiriamo e portiamo le braccia sopra la testa. Espiriamo e prendiamo il polso
sinistro con la mano destra. Curviamoci dalle costole destre e respiriamo dentro
le costole sinistre compresse, allungandosi bene, sentendo la derotazione della
spina e spingendo la scapola destra in avanti per allineare le spalle ed il dorso
superiore. Manteniamo per qualche respiro.
A sinistra. Espiriamo e prendiamo il polso destro con la mano sinistra e
spostiamo i fianchi a destra. Manteniamo per qualche respiro. E poi ritorniamo
con le braccia lungo i fianchi , nella posizione di Tadasana.
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In Tadasana indirizziamo il respiro in tutte le parti del corpo, cercando di
capire dove arriva facilmente e dove, invece, incontra degli impedimenti,
permettendo all’inspirazione ed all’espirazione di sciogliere le tensioni.
Ascoltiamo le due parti del corpo.
Ardha Uttanasana. Ci portiamo vicini ad una parete, ad un passo distanti da
essa, con i piedi distanziati tra di loro non più della larghezza del bacino.
Retrovertiamo leggermente il bacino ed allunghiamo il dorso superiore e la
colonna , e sentiamo anche l’allungamento dalle costole inferiori ai piedi.
Formiamo un’alta diagonale dall’osso sacro alle mani. Respiriamo con un
respiro spontaneo, fluido, senza interruzioni.
Portiamo i piedi indietro ed abbassiamo le mani così da formare col corpo un
angolo retto. Manteniamo la retroversione del bacino. I talloni sono sotto le
anche, e mani, spalle ed anche sono parallele al suolo. Premiamo i palmi contro
la parete ed allunghiamo la spina e le anche lontano dalla parete.
Se siamo sufficientemente flessibili, abbassiamo ancora un po’ le mani e le
braccia. E respiriamo, spontaneamente, ma con un respiro fluido, senza
interruzioni.
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Chakravakasana. Inspiriamo. Osso sacro e dorso inferiore verso l’alto.
Alziamoci attraverso la sommità del capo. Mentre ci inarchiamo premiamo di
più con la mano sinistra a terra per alzare maggiormente le costole del lato
concavo a sinistra. Espiriamo. Coccige ed osso sacro verso il basso, ombelico
verso il dorso inferiore. Il dorso centrale si alza come quello di un gatto.
Alziamo maggiormente il lato concavo. La testa è giù. Ripetiamo qualche volta i
movimenti del gatto, armonizzandoli al respiro. I movimenti sono lenti quanto
lento è il respiro. Cerchiamo un respiro fluido, senza interruzioni, ed un
movimento armonioso.
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Posizione della Bambola. Pieghiamo le dita dei piedi ed allunghiamo le mani
davanti. Muoviamo le anche a metà strada verso i talloni e premiamo con le
mani come se si fosse trattenuti dalle anche e dai talloni. Muoviamo le mani
verso la convessità, a destra, e trasciniamo le costole destre verso il centro.
Teniamo la posizione respirando nella parte compressa concava, a sinistra.
Ritorniamo nella posizione della Bambola e sentiamo l’uguaglianza del respiro
nella zona lombare, dorsale, cervicale. Rilassiamo le spalle.
Adho Mukha Virasana (posizione del Bambino). Portiamo il dorso dei piedi
sul pavimento, facciamo scivolare i glutei sui talloni e riposiamo la fronte a
terra. Portiamo le braccia ai lati del corpo e rilassiamoci nella posizione del
Bambino. Se abbiamo tensione nelle anche, usiamo una coperta per riposare la
testa.
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Adho Mukha Svanasana. Si comincia in ginocchio come nel Gatto,
sentendo le curve naturali della colonna e premendo bene le mani a terra con le
dita distanziate. Pieghiamo le dita dei piedi ed alziamo espirando il bacino
verso l’alto. Le braccia sono ben stese con le mani alla distanza delle spalle,
sentiamo l’allungamento dalle mani all’osso sacro. Manteniamo l’allungamento
della spina e del dorso inferiore nelle sue curve naturali. Raddrizziamo le
gambe il più possibile, ma teniamo l’estensione della spina e l’apertura del
petto. L’osso sacro è verso l’alto. Per continuare ad allungare la spina
pieghiamo un poco le ginocchia e poi distendiamo di nuovo le gambe, con il
bacino verso l’alto, cercando di sentire le anche, le spalle ed il dorso centrale
uguali. Se le spalle sono tese ed il dorso centrale ingobbito, si possono usare dei
blocchi o il sedile di una sedia. I talloni sono a terra o tendono verso terra.
Ruotiamo la mano destra di 45° esternamente, facendo ruotare anche il braccio
superiore: questo porta la scapola destra e le costole destre in avanti, uguaglia le
spalle e derota la spina. Manteniamo la posizione per qualche respiro e poi
riportiamo braccio e mano destra in linea. Pieghiamo le ginocchia e gentilmente
ritroviamo la posizione del Bambino.
Posizioni di affondo. Piede destro in avanti con il ginocchio sopra la caviglia. Il
ginocchio sinistro a terra. Muoviamoci in avanti per stirare la coscia destra
anteriore. I flessori dell’anca (ileopsoas e quadricipite) vengono allungati.
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Sentiamo l’allungamento della coscia sinistra e dell’inguine. Se tenendo le
mani a terra la schiena si incurva, usiamo il sedile di una sedia o dei blocchi.
Pieghiamo le dita del piede dietro e lentamente alziamo il ginocchio dal
pavimento. Ruotiamo la coscia sinistra all’interno ed alziamoci dall’interno della
coscia sinistra mentre allunghiamo indietro la gamba fino ai talloni. Respiriamo.
Riportiamo il ginocchio a terra e quindi portiamo le mani sul ginocchio destro.
Portiamo l’ombelico in basso facendo scendere bene l’osso sacro. Se ci sentiamo
stabili, portiamo le braccia verso l’alto, con i palmi paralleli e distanti quanto le
braccia ed allunghiamo il dorso. Ritorniamo nella posizione di Adho Mukha
Svanasana o del Gatto e ripetiamo dall’altra parte. Se una parte è più difficile,
ripetiamo ancora su quel lato. Ritorniamo nella posizione di Uttanasana,
inspiriamo portando le braccia verso l’alto in Tadasana , poi uniamo le palme,
espiriamo e portiamo le mani giunte davanti al cuore.
POSIZIONI DI CENTRATURA E DI RAFFORZAMENTO
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Lo Yoga sviluppa le nostre radici interiori ed aiuta a sentirci centrati, basati e
forti.
Samasthiti. Portiamo i piedi paralleli alla larghezza del bacino, che si trova in
retroversione. Le spalle sono basse, il mento leggermente rientrato, la sommità
del capo verso il cielo. Immaginiamo di avere un filo d’oro che dalla sommità
del capo ci tira verso l’alto. Osserviamo come cade il peso del corpo, né troppo
avanti né troppo indietro, cerchiamo il nostro baricentro facendo qualche
piccolo movimento…cerchiamo una posizione di equilibrio in modo che i nostri
tre spazi interni, quello addominale degli istinti, quello del cuore delle emozioni
e quello del capo delle intuizioni, siano come impilati uno sopra l’altro.
Sentiamo il peso che si scarica a terra in modo equilibrato sotto le piante dei
piedi e contemporaneamente ascoltiamo una sensazione di elevazione dalla base
del cranio verso l’alto attraverso la sommità del capo.
Trikonasana. In posizione eretta, distanziamo bene i piedi. Giriamo il piede
sinistro leggermente all’interno e quello destro di 90° appoggiando le dita del
piede su un blocchetto: questo aiuta ad eseguire il movimento dalle anche e non
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dalla vita, in modo da concentrarsi sull’allungamento dei fianchi. Allineiamo
il tallone destro con il collo del piede sinistro. Stendiamo le braccia all’altezza
delle spalle. Inspiriamo. Espirando pieghiamoci a destra e portiamo la mano a
terra o alla caviglia o su un blocco, portiamo la mano sinistra al fianco e poi
dietro il bacino: all’inspirazione premiamo sul bacino con la mano ed apriamo
bene il petto. Espiriamo e portiamo le costole destre in avanti, mantenendo al
tempo stesso la scapola destra dietro. Questo movimento consente la
derotazione della gabbia toracica e favorisce la riduzione del gibbo. Alziamo il
braccio sinistro e sentiamo l’allineamento di spalle, anche e gambe. Inspiriamo
e sciogliamo la posizione ritornando con i piedi paralleli.
Ripetiamo dall’altra parte, questa volta con il supporto di una sedia messa a
distanza di alcuni centimetri dal piede sinistro. Allunghiamoci sul lato sinistro
ed appoggiamo la mano sinistra sullo schienale. Distendiamo il busto
allontanandolo dalle anche ed allungando il fianco sinistro. Portiamo la mano
destra sulle costole destre e spingiamole verso il basso. Poi appoggiamo la
mano destra sul fianco e respiriamo. Se possiamo mantenere l’allineamento,
portiamo la mano sinistra a terra o alla tibia o su un blocchetto ed alziamo il
braccio destro verso l’alto. Quando espiriamo ruotiamo il fianco sinistro e la
zona inferiore della schiena in avanti. Premiamo il piede destro a terra per
stendere la parte bassa della schiena ed il bacino a destra. Inspiriamo e
ritorniamo dalla posizione.
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Virabhadrasana II. La posizione serve per trovare il proprio centro e la propria
forza interiore. Distanziamo bene i piedi. Il piede sinistro ruotato a 90°, il piede
destro leggermente verso l’interno. Mettiamo le mani sui fianchi ed
uguagliamoli. Stendiamo le braccia fuori all’altezza delle spalle. Pieghiamo la
gamba sinistra in modo che il ginocchio stia sopra il tallone e la coscia parallela
al suolo, a formare un angolo di 90°. Teniamo la parte superiore del corpo
centrata tra le gambe. Teniamo la gamba dietro diritta, ben stesa, e premiamo il
tallone sul pavimento come un’ancora. Rilassiamo le spalle e sentiamo le costole
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che si alzano in modo uguale sopra il bacino. Respiriamo. Inspiriamo e
torniamo su usando la forza della gamba dietro.
Ripetiamo dal lato opposto e poi torniamo nella posizione di Tadasana.
Portiamo le mani sui fianchi, inspiriamo sentendo l’allungamento della spina ed
espiriamo piegando il busto in avanti, abbracciamo i gomiti con le mani ed
appoggiamoci alla spalliera della sedia con la fronte sugli avambracci.
Rilassiamo la spina, respiriamo e lasciamo andare. Per tornare su premiamo i
piedi a terra ed usiamo la forza delle gambe. Riprendiamo Tadasana.
Virabhadrasana I. Il piede sinistro a 90°, quello destro ruotato un po’ verso il
sinistro. Allunghiamo la parte bassa del dorso verso l’osso sacro e portiamo il
pube verso l’ombelico. Espiriamo alzando le braccia all’altezza delle spalle e
poi sopra la testa con i palmi delle mani che si guardano, ruotiamo il busto
verso sinistra e pieghiamo il ginocchio sinistro sopra il tallone. Teniamo alzate
le costole dal bacino ed allineati i fianchi, le braccia, le orecchie, rilassiamo il
viso. Per ritornare dalla posizione premere i piedi a terra. Ripetiamo dall’altra
parte.
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Prasarita Padottasana. Gambe ben distanziate, tendiamo le cosce e ruotiamo
il lato esterno dei piedi un po’ all’interno portando il peso sui talloni in modo da
sentirsi centrati su tutt’e due i piedi. Portiamo le mani dove le gambe incontrano
il torso, con gli indici in avanti ed i pollici dietro le cosce. Inspiriamo ed
alziamoci attraverso la spina, espiriamo e pieghiamoci dalle anche e portiamo le
mani in avanti, allungando la spina. Se non arriviamo a terra usiamo il sedile di
una sedia o dei blocchi, in modo da aiutare la spina ad allungarsi. Ci possiamo
muovere con le mani verso la convessità. Se abbiamo un gibbo sul dorso,
mettiamo le mani su dei blocchi. Portiamo la mani sotto le spalle ed inspiriamo
stendendo la spina fino alla sommità del capo, espiriamo piegando i gomiti e
tenendoli paralleli tra di loro. Portiamo le mani un po’ indietro verso i piedi,
abbandoniamo il capo rilassando il collo. Sentiamo l’allungamento
della
muscolatura interna delle gambe e delle cosce in modo uguale e respiriamo.
Stacchiamo le mani da terra, portandole all’attaccatura delle cosce, premiamo
sui talloni estendendo la spina mentre torniamo su e portiamo le braccia verso
l’alto. Espiriamo ed abbassiamo le braccia. Ritorniamo nella posizione di
Tadasana, in ascolto delle sensazioni.
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Le posizioni di torsione permettono, se prese correttamente, di derotare la
rotazione della scoliosi e guadagnare così maggior allineamento ed equilibrio.
Bharadvajasana seduta. Sediamoci con il lato destro del corpo verso lo
schienale della sedia ed appoggiamo le mani all’estremità di esso. Piedi ben
piantati a terra, mettiamo un blocchetto tra le cosce. Inspiriamo ed allunghiamo
la spina dorsale, espiriamo e spingiamo con la mano destra contro lo schienale
mentre eseguiamo la torsione a destra del busto. Lasciamo che la testa segua il
movimento. Spingiamo con la mano destra ed allontaniamo la spalla destra
dallo schienale. Premiamo la scapola sulla schiena e sentiamo l’espansione del
lato destro del petto. Spingiamo le costole destre verso la linea centrale del
corpo. Manteniamo la posizione per qualche respiro, e poi con un’espirazione,
sciogliamola lentamente.
Ripetiamo dall’altra parte. Premiamo con il palmo sinistro lo schienale, mentre
le costole destre e quindi la gabbia toracica, derotano verso la parte anteriore
del corpo. Allineiamo le spalle e seguiamo con il collo e la testa la torsione
della spina. Manteniamo la posizione per qualche respiro e poi sciogliamola
lentamente espirando.
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Savasana. Nella posizione di Savasana ascoltiamo le sensazioni che il nostro
corpo ha registrato in seguito ai movimenti ed alle posizioni precedenti. Se
sentiamo dei punti di tensione, mandiamo l’attenzione, e con l’attenzione il
respiro a sciogliere i punti tesi. Osserviamo il respiro spontaneo.
POSIZIONI DI RAFFORZAMENTO DEL DORSO E DELL’ADDOME
Oltre all’allungamento della spina per riportarla alla posizione centrale ed al
rafforzamento delle gambe, è importante rafforzare i muscoli addominali e tutti
quei muscoli che corrono lungo la colonna vertebrale per cercare di contrastare
l’aumento della curva laterale.
Urdhva Prasarita Padasana. Gambe sul pavimento, portiamo il punto vita ad
aderire a terra retrovertendo il bacino. Portiamo le braccia oltre il capo,
pieghiamo il ginocchio destro e portiamolo al petto. Alziamo la gamba destra a
90°, 60°, 30° e poi a poca distanza dal suolo. Non alziamo la parte lombare, che
deve rimanere aderente al suolo. Ripetiamo dal lato opposto.
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Urdhva Prasarita Padasana. Braccia lungo il corpo con i palmi delle mani
verso terra. Bacino retroverso per mantenere la zona lombare aderente a terra.
Portiamo le ginocchia al petto e poi stendiamo le gambe a 90°. Lentamente
scendiamo a 60°, 30° e poi a poca distanza dal suolo. Ripetiamo qualche volta.
Savasana. Di nuovo in Savasana in ascolto del corpo e del respiro. Se il respiro
si è modificato, ascoltiamo come pian piano torna lento e regolare. E quando il
respiro è tornato lento e regolare, portiamo un braccio oltre il capo e, rotolando
sul fianco, ci portiamo sulla pancia.
Ardha Shalabasana. Questa posizione rinforza i romboidi, i piccoli muscoli
posturali accanto alla spina al centro della schiena, ed i muscoli trapezi
inferiori, che spesso si indeboliscono a causa della scoliosi.
Allunghiamo le braccia in avanti, aprendole quanto le spalle, inspiriamo
sollevando il braccio sinistro e la gamba destra da terra e portando su la testa,
ed allunghiamoci il più possibile dalla sommità del capo.Teniamo l’osso iliaco
a terra e cerchiamo di tenere il braccio e la gamba alzata sulla stessa linea.
Espiriamo e torniamo con fronte, braccio e gamba a terra. Rilassiamoci con la
fronte a terra. Inspiriamo e premendo con il palmo sinistro a terra, alziamo il
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braccio destro e la gamba sinistra: distendiamo il braccio dalle costole
inferiori e la gamba dal bacino. Espiriamo e ritorniamo a terra, totalmente
rilassati. Ripetiamo almeno 3 volte.
Shalabasana (varianti). Incrociamo le mani dietro la schiena, contraiamo i
glutei e retrovertiamo il bacino in modo da portare il pube a terra. Inspiriamo ed
all’espiro solleviamo da terra le gambe, la testa ed il torace. Un’altra variante
consiste nell’allargare le braccia all’altezza delle spalle portando le scapole
lontane dalla spina, oppure le braccia lungo i fianchi con i palmi della mani
verso il corpo. Manteniamo la posizione per qualche respiro, sentendo
l’estensione e l’allungamento del corpo, mentre i muscoli del dorso si
rafforzano. Inspiriamo lentamente e poi espirando torniamo a terra con gambe
mani torace e fronte.
Ritorniamo poi nella posizione della Bambola e quindi in quella del Bambino,
per compensare le posizioni precedenti, ascoltare il corpo ed il respiro e
rilassare.
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POSIZIONI DI RILASSAMENTO
Flessione all’indietro coricata. Le flessioni all’indietro passive aiutano a
contrastare la cifosi. Sdraiamoci supine su un cuscino rotondo o su coperte
arrotolate in modo che le scapole siano appoggiate su questo sostegno, le
ascelle al margine di esso e la testa sul pavimento. Mettiamo un asciugamano
sotto il lato concavo in modo che la schiena poggi più uniformemente possibile.
Allunghiamoci spingendo i talloni lontano in modo da contrastare la
compressione della parte bassa. Stendiamo le mani oltre il capo e poggiamo le
mani a terra o verso un blocchetto. Manteniamo la posizione per qualche
minuto, rilassando i muscoli della schiena.
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Jathara Parivartanasana. Portiamoci con movimenti lenti e consapevoli
nella posizione supina. Allarghiamo le braccia, inspiriamo e pieghiamo le
ginocchia tenendole vicine e portando le piante dei piedi a terra. Alziamo il
bacino e lo spostiamo a sinistra, portiamo le ginocchia al petto e quindi
scendiamo espirando con le cosce a terra e rilassiamo la coscia destra sul
pavimento. La testa ruota a sinistra. Cerchiamo di tenere la spalla sinistra a terra
eventualmente premendo il palmo della mano. Teniamo la posizione per
qualche respiro e poi ripetiamo dall’altra parte.
Savasana. Possiamo usare un cuscino rotondo sotto le ginocchia ed un
asciugamano sotto il lato concavo.
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