Notiziario settimanale n. 535 del 22/05/2015 versione stampa Questa versione stampabile del notiziario settimanale contiene, in forma integrale, gli articoli più significativi pubblicati nella versione on-line, che è consultabile sul sito dell'Accademia Apuana della Pace La pagina dell'AAdP.......................................4 Riunione del Senato dell'Accademia Apuana della Pace del 12 maggio 2015 (di AAdP).......................................................................................... 4 Approfondimenti.............................................4 12 mosse per rimettere in moto l'Italia (di Sbilanciamoci)......................... 4 Che cos’è stata la Resistenza? (di Pietro Polito)......................................... 6 Riflessione sulla "festa d'aprile" (di Massimo Michelucci)........................ 7 Agorà pedagogica (di Alain Goussot)....................................................... 8 Morire in mare, uno studio sulle vittime (di Paolo Cuttitta)....................... 9 I black bloc e la Sinistra incapace di difendersi (di Umberto Mazzantini) ................................................................................................................. 10 La politica estera del governo Renzi: solo vuote parole (di Piergiorgio Cattani )................................................................................................... 10 Se il linguaggio cambia l'ordine del mondo (di Margherita Sabrina PerraElisabetta Ruspini)........................................................................... 11 Notizie dal mondo......................................... 12 Primo accordo tra Vaticano e Stato di Palestina. È un riconoscimento ufficiale (di Redazione Nena Newsletter)................................................. 12 Associazioni................................................... 13 Il sole filtra... anche dalle sbarre: il volontariato visto da chi è stato accolto (di AVAA)................................................................................................ 13 Editoriale 23/05/2015: Anniversario della strage di Capaci del 23 maggio 1992. 25/05/2015: Giornata europea "Bambini scomparsi" «Sono uomini e donne come noi, fratelli nostri che cercano una vita migliore. Affamati, perseguitati, feriti, sfruttati, vittime di guerre. Cercano una vita migliore. Cercavano la felicità. Invito a pregare in silenzio prima e poi tutti insieme per questi fratelli e sorelle» Papa Francesco Indice generale Editoriale......................................................... 1 Documento per la manifestazione di sabato 23 a Massa (di CGIL Massa Carrara - Arci Massa Carrara - Anpi Massa Carrara - M5S Massa e Montignoso - Rifondazione Comunista Massa Carrara - SEL Massa Carrara - Accademia Apuana della Pace)................................................... 1 Un’onda di Sindaci italiani per la Difesa Nonviolenta! (di Rete Italiana per il disarmo).................................................................................................. 2 Democrazia e dissenso (di Marco Rovelli)................................................. 2 Appello UE-Libia: "Dell'elmo di Scipio si è cinta la testa" (di Alex Zanotelli)................................................................................................... 2 Evidenza...........................................................3 ARCI Massa Carrara aderisce al corteo "Contro le violenze della polizia, contro il razzismo! " (di ARCI Massa Carrara).......................................... 3 Fermiamo le stragi..................................................................................... 3 1 Documento per la manifestazione di sabato 23 a Massa (di CGIL Massa Carrara - Arci Massa Carrara - Anpi Massa Carrara - M5S Massa e Montignoso - Rifondazione Comunista Massa Carrara - SEL Massa Carrara - Accademia Apuana della Pace) I fatti che sono accaduti a Massa sabato scorso rappresentano un atto grave, sembra quasi che ormai in questo paese non ci sia più il diritto a dissentire. Giovani ragazzi, lavoratori, antifascisti che pacificamente stavano manifestando un proprio dissenso hanno subito violenze causate da una gestione dell'ordine pubblico che si è dimostrata non all'altezza e molto approssimativa. Sabato saremo in piazza, con le nostre modalità pacifiche e non violente, affinché si crei una rete che colleghi e dia energia all'indignazione e ai sentimenti di solidarietà presenti nel nostro territorio. Leggendo i quotidiani sembra quasi che tutto si riconduca ad una questione che attiene alla libertà di vivere la città il sabato pomeriggio, diritto sacrosanto anche se pensiamo sia ancor più sacrosanto il diritto all'agibilità democratica di manifestare nelle piazze nel nostro Paese. In Italia milioni di nuovi cittadini stanno diventando le vittime dell'insicurezza economica e del disagio sociale. Abbiamo assistito negli ultimi mesi a vere e proprie campagne di criminalizzazione contro immigrati e rom. Lo straniero, il diverso, l'escluso è diventato troppo spesso vittima di violenza. La paura non può che creare violenza. E le parole che anche sabato scorso abbiamo sentito pronunciare da Piazza Garibaldi durante il comizio di Matteo Salvini si inseriscono in questo alveo. Chi alimenta il razzismo e la xenofobia attraverso la diffusione di informazioni fuorvianti e campagne di criminalizzazione fa prima di tutto un danno al Paese. Molte associazioni hanno deciso di reagire in maniera democratica e non violenta. Tante associazioni, di ogni estrazione, con storie diverse ma con un solo obiettivo: uno sforzo collettivo e concreto per dare voce e credibilità a un messaggio di "lungo respiro" che sappia creare e supportare una reazione coordinata al razzismo e alla paura. Una società che si chiude sempre di più in se stessa, che cede alla paura degli stranieri e delle differenze, è una società meno libera, meno democratica e senza futuro. Non si possono difendere i nostri diritti senza affermare i diritti di ogni individuo, a cominciare da chi è debole e spesso straniero. Il benessere e la dignità di ognuno di noi sono strettamente legati a quelli di chi ci vive accanto, chiunque esso sia. CGIL Massa Carrara - Arci Massa Carrara - Anpi Massa Carrara - M5S Massa e Montignoso - Rifondazione Comunista Massa Carrara - SEL Massa Carrara - Accademia Apuana della Pace Un’onda di Sindaci italiani per la Difesa Nonviolenta! (di Rete Italiana per il disarmo) A poche ore dalla consegna ufficiale delle firme raccolte è già comunque chiaro uno dei primi risultati politici raggiunti dalla mobilitazione per “Un’altra difesa possibile”: la grande adesione di numerosi sindaci ed amministratori locali alla Legge di Iniziativa popolare avanzata delle sei principali Reti italiane della pace, del disarmo, del servizio civile. Un segno forte del sostegno forte dei territori locali verso questa proposta. Fin dal suo inizio la Campagna che (va ricordato) propone l’istituzione di un Dipartimento per la difesa civile non armata e nonviolenta ha ritenuto che gli Enti Locali fossero preziosi alleati in questo percorso di allargamento del concetto stesso di difesa. Perché sono spesso e volentieri proprio i Comuni e le realtà amministrative territoriali a difendere i cittadini garantendo un aiuto concreto nelle problematiche quotidiane. Ancora una volta è dunque importante ripetere come la vita e i diritti degli abitanti di questo Paese siano oggi difesi maggiormente da welfare, da lavoro, da sanità, da istruzione piuttosto che da armi o cacciabombardieri! Con grande soddisfazione, in tale prospettiva, la Campagna registra quindi l’adesione e la firma di moltissimi Sindaci da nord a sud dell’Italia, di cui trovate le immagini in coda a questo pezzo e nei canali “social” della Campagna. A partire da quelli delle due principali città italiane: Ignazio Marino a Roma e Giuliano Pisapia a a Milano. Per passare poi a Luigi De Magistris a Napoli e Marco Doria a Genova. Senza dimenticare le significative adesioni di Renato Accorinti a Messina e di Filippo Nogarin a Livorno. Anche l’Emilia-Romagna è stata protagonista della mobilitazione sia con la firma dei sindaci di capoluogo Paolo Dosi (Piacenza), Luca Vecchi (Reggio Emilia) e Gian Carlo Muzzarelli (Modena) sia con l’approvazione in Consiglio Regionale di un documento di sostegno alla Campagna “Un’altra difesa possibile” (iniziativa replicata in molti consigli comunali). In Lombardia oltre a Milano hanno firmato i sindaci di due capoluoghi: Mario Lucini a Como e Massimo Depaolia Pavia, oltre che la presidente della Provincia di Como Maria Rita Livio. In Veneto ha sottoscritto la Campagna il sindaco di Vicenza Achille Variati e in Sardegna (anche se non immortalato da una foto!) il Sindaco di Cagliari Massimo Zedda. Moltissimi poi i Sindaci di centri più piccoli che hanno voluto far sentire la propria voce: tra questi ricordiamo Claudio Bizzozero di Cantù (CO), Maurizio Mangialardi di Senigallia (AN), Antonio Trebeschi di Collebeato (BS), Mauro Alessandridi Monterotondo (nonché Vice Sindaco della Città Metropolitana di Roma Capitale), Elena Carletti di Novellara (RE), Carlo Della Pepa di Ivrea (TO). La speranza ora è che questa grande azione di sostegno da parte di Amministratori locali tutta Italia, che si accompagna allo sforzo per la Campagna messo in atto su tutti i territori da numerosissime associazioni appartenenti alle Reti promotrici, venga preso in considerazione positivamente dal Parlamento italiano. Al quale “passerà la palla” di questo percorso e di questa proposta, una volta presentate formalmente alla Camera dei Deputati le firme per la Legge di iniziativa popolare. I promotori della Campagna e tutti coloro che sognano un’altra difesa possibile sperano ci sia una risposta positiva, sapendo però con certezza di avere numerosi alleati nelle città e nei paesi d’Italia. 2 ____________________________ per contatti ed ulteriori informazioni: info@difesacivilenonviolenta 328/3399267 link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2283 Democrazia e dissenso (di Marco Rovelli) Leggo che nei resoconti della manifestazione di sabato si parla di guerriglia. Ora, la parola guerriglia significa conflitto armato fatto di assalti a sorpresa o imboscate. Cosa di cui non c’è stata traccia, sabato. Nessuna arma, nessuna imboscata. Solo uova e pomodori lanciati, che non hanno peraltro colpito nessuno. Perché dare dunque l’impressione di qualcosa che non c’è stato? A chi serve? A cosa serve? Unicamente a dire che il dissenso non può e non deve essere tollerato – come la polizia del resto ha mostrato con i fatti, con una carica a freddo totalmente ingiustificata, visto che non c’è stato, come invece è stato detto, alcuno sfondamento del cordone da parte dei manifestanti (diciamolo chiaro: l’unico soggetto a esercitare violenza, sabato pomeriggio, è stata la polizia). Qualcuno dice che i contestatori non sono democratici perché volevano negare la libertà di parola a Salvini. Paradossale: Salvini è ad ogni ora del giorno e della notte in televisione, dove dice quello che vuole, dando libero sfogo alla sua orribile propaganda razzista e autoritaria. Non mi pare che chi dissente da lui abbia la stessa libertà di parola. Forse è su questo, allora, su cui bisognerebbe riflettere: che cos’è, oggi, in senso sostanziale, la libertà di parola, e, in ultima analisi, che cosa è la democrazia. Ma poi: uno dei padri nobili della patria, Sandro Pertini, rivendicava il libero fischio in libero Stato. Lo rivendicava perché credeva fermamente che la manifestazione del dissenso fosse sintomo privilegiato di una democrazia reale. Oggi, invece, l’esercizio del dissenso non viene tollerato, viene immediatamente tacciato di eversione. E questo è del resto normale in un paese dove il governo deve essere saldamente nelle mani di un grande partito della Nazione dalle magnifiche sorti e progressive. Marco Rovelli Pubblicato su www.altracitta.org (fonte: L'AltraCittà - giornale della periferia) link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2280 Appello UE-Libia: "Dell'elmo di Scipio si è cinta la testa" (di Alex Zanotelli) L’Alto Rappresentante della politica estera della UE, Federica Mogherini, sostenuta a spada tratta dal governo Renzi, da settimane sta premendo per ottenere dall’ONU il mandato per un’azione militare con lo scopo di distruggere i barconi degli scafisti nelle acque libiche e bloccare così l’esodo dei profughi. L’Italia sta brigando per essere capofila di questa coalizione militare che, con un’operazione navale e anche terrestre (così sostiene il Guardian) andrà a colpire gli scafisti. Eppure se c’è una nazione che dovrebbe defilarsi è proprio l’Italia, particolarmente odiata dai libici come ex-potenza coloniale. Quando la Libia è stata una nostra colonia, noi italiani abbiamo impiccato e fucilato oltre centomila libici. Non contenti abbiamo partecipato attivamente a quella assurda guerra, iniziata dalla Francia e dall’Inghilterra nel 2011 per abbattere il regime di Gheddafi, che ha portato all’attuale situazione caotica della Libia. Ed ora l’Italia si prepara a guidare un’altra azione militare che, con il pretesto di salvare i profughi da morte nel Mediterraneo, creerà un altro disastro umano. Infatti anche se riuscissimo a distruggere i barconi degli scafisti(non sarà così facile!), non faremo altro che aggravare la situazione di milioni di profughi sub-sahariani, mediorientali e asiatici intrappolati ora in un paese in piena guerra civile. Amnesty International, in un suo recente rapporto parla di massacri, abusi, violenze sessuali, torture e persecuzioni (49 cristiani provenienti dall’ Egitto e dall’Etiopia sono stati decapitati) , perpetrate contro i profughi. Non è più possibile chiudere gli occhi- afferma Philip Luther di Amnestye limitarsi a distruggere le imbarcazioni dei trafficanti senza predisporre rotte alternative e sicure. Altrimenti condanneremo a morte migliaia e migliaia di rifugiati, ma questo avverrà lontano dai ‘ casti ‘occhi degli europei e dai media. Il governo di Tobruk del generale Khalifa Haftar (sostenuto dall’Egitto) ha risposto :”Bombarderemo le navi non autorizzate.” E anche l’ambasciatore libico all’ONU ha parlato di intenzioni “poco chiare e molto preoccupanti.”Purtroppo le intenzioni sono ben chiare: è guerra! E' necessario ribadire con la più ampia partecipazione popolare, che la violenza inaccettabile è quella di esponenti politici razzisti come Salvini che fomentano l'odio sociale quotidianamente nei confronti di coloro che ritengono diversi. E' inoltre necessario stigmatizzare il fatto che per garantire il diritto a proclamare questo odio sociale vengano impiegate ingenti forze di polizia che arrivano a caricare i manifestanti che esercitano il loro legittimo diritto al dissenso alla luce del sole. link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2282 Noi invece diciamo un NO ad un altro intervento militare della UE , capitanata dall’Italia. E’ mai possibile che questa nuova avventura militare italiana avvenga senza una discussione in Parlamento? E’ mai possibile il silenzio quasi totale dei partiti politici su questo argomento? Dobbiamo chiedere invece alla UE e all’Italia di imporre un embargo sulla vendita di armi ai ‘signori della guerra’ in Libia. Chiediamo altresì alla UE perché faccia pressione sulla Tunisia e sull’Egitto perché questi due paesi confinanti aprano le loro frontiere per accogliere i rifugiati intrappolati in Libia. Ma la UE dovrà poi concordare con l’Egitto e la Tunisia l’apertura dei corridoi umanitari per permettere ai rifugiati di arrivare in Europa. Questa sì sarebbe una vera soluzione per i profughi e segnerebbe la sconfitta degli scafisti e delle organizzazioni criminali. Ma la via che noi stiamo seguendo è un’altra. E’ quella del Processo di Khartoum:trattare con i governi dei paesi da cui provengono i profughi e costruirvi campi di raccolta nei paesi di origine, come il Sudan o l’Eritrea. Perseguendo questa politica, l’Unione Europea ,tramite il Fondo Europeo per lo Sviluppo, elargirà entro il 2020, 312 milioni di euro al governo eritreo, senza richiedere il rispetto dei diritti umani. Questi fondi sono stati sbloccati grazie alla visita in Eritrea di una delegazione italiana (24-26 marzo 2015) . Come italiani dobbiamo solo vergognarci! Purtroppo i nostri parlamentari ,che dovrebbero controllare la nostra politica estera ,dormono sonni tranquilli. Chi pagherà questo protagonismo bellico italiano? Saranno proprio i profughi che il governo di Tripoli, vicino ai Fratelli Musulmani, incomincia già ad arrestare e a mettere in nuovi campi di concentramento. Saranno proprio i rifugiati a pagare più pesantemente per questa azione militare, inventata per salvare vite umane! Infatti il documento presentato all’ONU parla di “danni collaterali”. Quanta ipocrisia! “Si pensa di punire chi si occupa dell’ultimo tratto del viaggio- ha scritto il generale Fabio Mini- e non i governi degli stati che alimentano la violenza, la corruzione e la guerra creando le condizioni dalle quali i migranti vogliono fuggire.” Per questo mi appello a tutto il movimento della Pace , perché abbia il coraggio di dire NO a questo rigurgito di spirito guerrafondaio nel nostro paese. E’ ora di urlare che “la guerra è una follia” (come dice Papa Francesco). Alex Zanotelli Napoli, 15 maggio 2015 (fonte: Rete della Pace) link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2277 Evidenza ARCI Massa Carrara aderisce al corteo "Contro le violenze della polizia, contro il razzismo! " (di ARCI Massa Carrara) Il comitato provinciale Arci Massa-Carrara aderisce ed invita tutti soci ad aderire al corteo cittadino del 23 Maggio convocato a Massa alle ore 17,00. Tale corteo, in risposta ai fatti di violenza subiti dai manifestanti che stavano contestando il comizio di Salvini e che sono stati caricati dalla polizia, può costituire la migliore reazione alla tesi che una cattiva informazione ed una complice equidistanza vorrebbero alimentare quella di due opposti estremismi che si scontrano in piazza. 3 Fermiamo le stragi Noi associazioni e reti di volontariato internazionale, attive nella promozione della pace, il rispetto reciproco e i diritti umani, lanciamo un appello alle Istituzioni nazionali ed internazionali per cambiare la rotta delle politiche attuali sull’immigrazione, che stanno causando la morte e la sofferenza di migliaia di persone. Il 19 aprile scorso oltre 800 migranti sono morti nel canale di Sicilia nel tentativo di raggiungere le coste dell’Europa. E' solo la più grave delle numerose stragi che attraversano il Mediterraneo e che testimoniano il fallimento delle politiche nazionali e comunitarie di governo delle migrazioni: anni di chiusura delle frontiere, di controllo dei mari, di respingimenti illegittimi, di detenzioni arbitrarie, di violazioni dei diritti umani non hanno affatto fermato gli arrivi dei migranti in Europa, pur essendo stati al centro dell’impegno pubblico a livello politico, normativo e anche finanziario. Nei fatti il più efficace strumento di lotta all’immigrazione “irregolare” è la facilitazione dell’ingresso legale sul territorio sia dei migranti economici che delle persone bisognose di protezione internazionale. Nessuna legge può fermare chi rischia la propria vita nel proprio paese e fugge da guerre e persecuzioni. Il diritto di arrivare e di chiedere asilo La “Fortezza” Europa mette a rischio ogni anno la vita di migliai di persone. E’ indispensabile: • • • • • • facilitare l’ingresso “legale” nell’Unione Europea per motivi di lavoro e di ricerca di lavoro; aprire immediatamente corridoi umanitari che consentano ai profughi di giungere in Europa senza dover mettere a rischio la propria vita; varare un’operazione europea che abbia come unico obiettivo la salvezza delle vite umane grazie alle attività di ricerca e soccorso in mare; sospendere il Regolamento Dublino III e abolire l’obbligo di presentare richiesta di asilo nel primo paese di arrivo; sospendere gli accordi esistenti con i paesi che non offrono adeguate ed effettive garanzie del rispetto dei diritti umani; predisporre un programma di accoglienza dei profughi coordinato a livello europeo destinandovi risorse adeguate. La stipulazione di nuovi accordi con paesi terzi dovrebbe essere subordinata alla garanzia del diritto di asilo, al divieto di espulsioni collettive e all’impegno al rispetto del principio di non-refoulement. Noi associazioni attive nel movimento del volontariato internazionale, riconoscendo i diritti umani per tutti e ripudiando qualsiasi forma di intolleranza e discriminazione, non accettiamo che le politiche nazionali ed europee causino la morte di migliaia di persone in cerca di un futuro migliore. Per questo lanciamo un appello alla comunità internazionale ed alle istituzioni europee affinchè si agisca al più presto per cambiare rotta. Legambiente (IT), Lunaria (IT), YAP (IT), Veraldarvinir/Worldwide Friends (IS), Volunteer Action for Peace (UK), Estyes (EE), Volunteers for Peace (US), Chantiers Sociaux Marocains (MA), Vive Mexico (MX), Subir al Sur (AR), Genctur (TK), Compagnons Bâtisseurs Belgium (BE), Internationale Begegnung in Gemeinschaftsdiensten (DE), Inex Slovakia (SK), Ass. Informagiovani (IT), Xchange Scotland (UK), Workcamp Switzerland (CH), Vereinigung Junger Freiwilliger (DE), Compagnons Bâtisseurs France (FR), Voluntarios Internacionales México (MX), Kenya Voluntary Development Association (KEN), Unarec Etudes et chantiers (FR), Stowarzyszenie Promocji Wolontariatu – FIYE (PL), De Amicitia (ES), JAVVA (BE), Never-ending International Workcamps Exchange (JP), YOUNG RESEARCHES OF SERBIA – YRS, Inex SDA (CZ), Citizens in Action (GR), Pro-International e.V. (DE), Concordia (FR), Coordinating Committee for International Voluntary Service – CCIVS, Solidaritès Jeunesses (FR), Concordia (UK), Jeunesse et Reconstruction (FR), ICJA Freiwilligenaustausch (DE), SCI International, Fundacion Proyecto Ecologico Chiriboga (Ecuador), Center for International Voluntary Service (KEN), Vrijwillige Internationale Aktie (BE), UNA Exchange (UK), COCAT (ES), Grenzenlos (AT), IBO (IT), ICYE Ghana (GH), See Beyond Borders – SEEDS (IS), DaLaa (TH), Cambodian Youth Action (KH), AJOV (MZ), Association Tunisienne d’ Action Volontaire (TUN), Alliance Burundaise Du Service Burundaise (BURUNDI) Info: www.lunaria.org (fonte: Sbilanciamoci Info) link: http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/alter/Fermiamo-le-stragi-29642 La pagina dell'AAdP Riunione del Senato dell'Accademia Apuana della Pace del 12 maggio 2015 (di AAdP) La riunione si svolge presso l'Arci-Focus a Massa alle ore 21.15. Presenti: Marina Amadei, M. Stella Buratti, Luca Marzario, Enrica Medici, Adriana Riccardi. O.d.G.: 1. Organizzazione del senato (gruppi tematici e distribuzione delle competenze) 2. Intervento prof. Dal Lago (giugno) sugli odierni venti di guerra 3. Profughi e immigrazione (quale seguito alla riunione fatta a Carrara?) 4. Aggiornamento sulla situazione e prosecuzione del sostegno ai Sinti di Mirteto 5. Estate a Castagnara (incluso parco e bilancio partecipato) 1. Il primo punto viene rinviato, in considerazione del fatto che la metà dei senatori è assente e si tratta proprio dei membri di nuova nomina (Paolo e Angela hanno comunicato la loro impossibilità per impedimenti sopraggiunti. Barbara è a Firenze. Nino probabilmente non è stato avvisato per tempo. L'Azione Cattolica non ha ancora individuato il suo rappresentante. Severino, come da accordi, il più delle volte ci seguirà a distanza.). 2. Viene proposta come sede dell'incontro la Villa della Rinchiostra (dentro o fuori, a seconda delle condizioni atmosferiche); il mese di giugno coincide opportunamente anche con l'anniversario della fondazione dell'AAdP. I presenti sono favorevoli a far intervenire, insieme al prof. Dal lago, uno o due relatori, per dar vita ad una vera e propria tavola rotonda che possa offrire un ampio ventaglio di punti di vista. Adriana, sentito anche Gino, potrebbe individuare forse un paio di nominativi (tramite Emergency ed un'Associazione di Pisa). Stella si accorderà con Gino per sollecitare il prof. Dal lago a fissare una data e a pronunciarsi sull'opportunità che intervengano con lui anche altri relatori. 3. Ilaria, dell'Arci, nei giorni scorsi ci ha fatto sapere che finalmente anche nel Comune di Massa è partito il progetto Sprar. Il problema è che in tempi molto stretti bisogna trovare un appartamento per 6 persone a Massa da utilizzare per l'accoglienza dei richiedenti asilo. Ci ha invitato però a non trattare di questo argomento per mail. Gino fa sapere di aver inviato una bozza di testo, come concordato a Carrara, a Matteo e Roberto, ma non ci sono stati poi altri sviluppi. Marina chiederà a Roberto. 4 4. La questione dei Sinti di Mirteto vive una situazione di forte stallo (a dire di Nadia l'aggiunta di un nucleo familiare avrebbe reso insufficienti gli spazi individuati), mentre si aggravano le situazioni di altri nuclei familiari al di fuori del parcheggio (lo sfratto di Maria, i problemi di Jacqueline, la difficoltà di Caterina a Ronchi, la situazione irregolare di Mirka a Remola) e Benedetti anche nel consiglio comunale straordinario di oggi pomeriggio torna a proporre interpellanze sul problema. Ci si risolve a chiedere un nuovo incontro con l'Amministrazione (possibilmente con le stesse persone – Volpi, Fiori, Tognocchi, Bellé – che più di tre mesi fa hanno convocato le famiglie Sinti in Comune e promesso loro formalmente una soluzione entro ... 15 giorni), per chiedere chiarimenti ed esprimere il rammarico e la delusione per la gestione della questione. Stella prenderà un appuntamento e lo comunicherà quanto prima. 5. Luca riferisce della prima riunione per il Bilancio partecipato che si è tenuta a Poggi; il 22 maggio l'assemblea sarà a Castagnara e il 25 a Ortola. Pur esprimendo riserve sull'impianto stesso del progetto comunale, nell'impossibilità di essere presenti nelle tre periferie, si decide di provare a concentrare le energie su Castagnara. Per competenza, la persona più idonea è Paolo Panni o qualcuno da lui individuato all'interno di Legambiente; poiché stasera non ha potuto venire, Stella provvederà a chiedergli quale disponibilità possa dare. L'AAdP ha presentato la richiesta di un contributo per un progetto a Castagnara alla Fondazione della Cassa di Risparmio di Carrara: Luca riferisce che, probabilmente, fino a settembre non conosceremo l'esito della richiesta; l'eventuale contributo non ha però valore retroattivo e copre gli interventi fatti a partire dalla data della elargizione per la durata di un anno. Ci si orienta comunque a fare qualche iniziativa autogestita, compatibilmente con le poche disponibilità economiche, a partire da quelle che l'anno scorso hanno avuto un maggior consenso tra la popolazione: karaoke e Pedrasamba. Stella comunica che nel frattempo presso la sede di Via Formentini è stato aperto (una volta la settimana, il martedì dalle 16 alle 18) lo Spazio Donna, mentre il Comune non ha ancora autorizzato con delibera di Giunta l'uso della stanza. La portavoce M. Stella Buratti link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2278 Approfondimenti Economia 12 mosse per rimettere in moto l'Italia (di Sbilanciamoci) Buon lavoro/Dall'occupazione per tutti al reddito minimo. Come fare ripartire il paese in poche mosse e rimettere in moto l'economia. Attraverso lo Stato 250 mila nuovi posti di lavoro pubblici È necessario un intervento pubblico sul terreno della creazione di occupazione che affronti la contraddizione tra disoccupazione record e bisogni insoddisfatti. Il governo può lanciare un Piano per il lavoro con nuove assunzioni nel settore pubblico in alcuni settori chiave: istruzione e salute pubbliche di qualità, servizi per le persone, mobilità pubblica sostenibile, interventi contro il dissesto idro-geologico, manutenzione del patrimonio artistico e culturale, sviluppo delle infrastrutture culturali e sostegno alla ricerca pubblica. Con un investimento annuo di 5 miliardi, si potrebbero creare circa 250mila posti lavoro aggiuntivi l’anno. Una politica per nuove attività economiche e lavori di qualità Un piano d’investimenti pubblici e privati per uno sviluppo di qualità potrebbe essere avviato utilizzando fondi europei, la liquidità creata dalla BCE con il Quantitative Easing, il ruolo della Cassa Depositi e Prestiti, fondi pensione e d’investimento, con incentivi pubblici e sgravi fiscali per le imprese. Gli interventi dovrebbero delineare una nuova politica industriale del paese, con lo sviluppo di attività economiche in tre ambiti prioritari: a) la sostenibilità ambientale, le energie rinnovabili, il risparmio energetico, la bio-edilizia; b) la diffusione di applicazioni delle tecnologie dell’informazione e comunicazione; c) il settore della salute, del welfare e delle attività di cura, in cui va rilanciato il ruolo dei servizi pubblici. Investimenti, infrastrutture e percorsi di formazione e professionalizzazione potrebbero inoltre sostenere utilmente le molteplici forme di altraeconomia – dal commercio equo alla finanza etica, all’agricoltura biologica, alle produzioni culturali indipendenti – che in questi anni hanno mostrato grandi potenzialità di sviluppo. Ridurre gli orari, redistribuire il lavoro Anche se le misure sopra indicate venissero adottate, non sarebbero sufficienti ad annullare l’eccesso strutturale della domanda di lavoro rispetto all’offerta. È dunque ragionevole avviare una riduzione generalizzata dell’orario di lavoro, ma come si possono affrontare le conseguenze sui salari e sui costi delle imprese? Si potrebbe calibrare il carico fiscale e contributivo sul salario a seconda della durata dell’orario, alleggerendolo per gli orari ridotti e aggravandolo per quelli di più lunga durata. Si potrebbe prevedere una prima fascia oraria (e il reddito monetario corrispondente) esente da ogni onere fiscale e contributivo tanto per il lavoratore che per l’impresa; per gli orari di lavoro più lunghi, l’incidenza fiscale e contributiva aumenterebbe fino a corrispondere, per orari normali di 40 ore settimanali, all’ammontare attualmente vigente. la tutela piena del lavoratore e il suo reintegro sul posto di lavoro nei casi di licenziamento illegittimo. Tuteliamo il contratto nazionale Occorre rafforzare la contrattazione nazionale abolendo la norma del D.L.138/2011 che ha introdotto la possibilità di introdurre contratti aziendali o territoriali di prossimità, con condizioni peggiori rispetto al Contratto nazionale di lavoro e alla legislazione sul lavoro, concepiti come un grimaldello con cui demolire l’ordinamento del lavoro. La riduzione delle tipologie contrattuali Una riforma del sistema delle tipologie contrattuali dovrebbe prevedere la drastica riduzione delle forme contrattuali. Il Jobs Act si limita ad eliminare il job sharing, l’alternanza di due lavoratori su una stessa postazione lavorativa, e l’associato in partecipazione. Andrebbero invece cancellati anche il job on call, che porta alle estreme conseguenze la mercificazione del lavoro, e lo staff leasing, la somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, che secondo quanto prevede il Jobs Act in futuro sarà utilizzabile per qualsiasi attività e in tutti i settori produttivi. I contratti di lavoro dovrebbero essere ridotti ai seguenti: a) Il contratto a tempo indeterminato, con il ripristino dell’articolo 18 e la sua estensione alle imprese sotto i 15 dipendenti; b) il contratto a termine, suscettibile di un solo rinnovo, con la reintroduzione della giustificazione causale; c) il contratto di apprendistato, condizionato all’assunzione di almeno il 50% degli apprendisti già impiegati; Stabilizzare i lavoratori precari nelle pubbliche amministrazioni. Con i blocchi delle assunzioni generalizzati, le amministrazioni pubbliche per assolvere le funzioni previste dalla legge devono ricorrere sempre più spesso al lavoro precario. Un piano di stabilizzazione dei lavoratori precari presenti nella pubblica amministrazione nell’arco di tre anni, accompagnato da una programmazione delle assunzioni in linea con gli obblighi di funzionamento previsti per legge, migliorerebbe la quantità e la qualità del lavoro, l’efficienza della pubblica amministrazione darebbe uno stimolo per i consumi. 150mila ragazzi e ragazze nel Servizio Civile Nazionale Il Servizio Civile Nazionale, su base volontaria per cittadini italiani di entrambi i sessi fra i 18 e i 28 anni, nato come sviluppo di quello degli obiettori di coscienza al servizio militare, è la principale azione pubblica rivolta ai giovani. Favorisce l’inserimento nel mercato del lavoro in particolare nei lavori di cura, negli interventi di inclusione sociale, di valorizzazione del patrimonio ambientale, artistico e culturale. La bozza di disegno di legge delega di riforma del Terzo settore, attualmente in discussione in Parlamento, prevede la trasformazione del Servizio Civile Nazionale in Servizio Civile Universale. Il governo intende partire dal 2017 con 100.000 giovani coinvolti. Nel periodo 2007-2011 i posti messi a bando sono stati quasi 156.000, ma le domande presentate sono state 432.000. Al momento la dotazione prevista è di 113 milioni per il 2016 e per il 2017, ma per garantire anche solo 50mila posti nel 2016 servirebbero almeno 300 milioni di euro. Sbilanciamoci! propone che un finanziamento annuale di 840 milioni di euro sia destinato ad attivare circa 150mila giovani l’anno in attività utili alla collettività. No alla possibilità di licenziare Il diritto di lavorare in condizioni eque, umane e dignitose non può essere sacrificato al diritto arbitrario di licenziare. È quest’ultimo che il Jobs Act ha sancito consegnando il contratto di lavoro nelle mani del datore di lavoro. Le modifiche all’art.18 dovrebbero essere cancellate ripristinando 5 d) il contratto part-time, ampiamente riformato in modo tale da impedirne l’utilizzo discrezionale da parte del datore di lavoro e facilitare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro delle lavoratrici e dei lavoratori; e) una gamma ridotta di tipologie di lavoro di autonomo cui dovrebbero essere estese alcune tutele di base (gravidanza, malattia, infortunio); f) il ricorso al lavoro accessorio retribuito con i voucher andrebbe ricondotto all’originaria funzione, consistente nel fornire ai datori di lavoro non imprenditori, in particolare alle persone fisiche, uno strumento per retribuire in modo regolare le attività di piccola manutenzione domestica, il giardinaggio, le lezioni private sporadiche, o i servizi alla persona occasionali. Lavoro autonomo e partite Iva Nell’ambito del lavoro autonomo “puro” andrebbero introdotte due tipi di tutele: una che sottragga il lavoro autonomo a partita Iva al ricatto della committenza, l’altra per assicurare un insieme di protezioni di base per freelance e professionisti. La prima dovrebbe tutelare i lavoratori da committenti che abusino della propria posizione dominante, imponendo clausole vessatorie e ritardando i dovuti pagamenti. La seconda dovrebbe assicurare ai lavoratori autonomi le protezioni sociali previste per i lavoratori dipendenti in caso di gravidanza, malattia, infortunio, disoccupazione, ma anche per il bisogno di formazione e di aggiornamento professionale. Sarebbe inoltre auspicabile una riforma del trattamento fiscale riservato ai lavoratori a partita Iva che preveda l’esonero dal pagamento dell’Irap, l’applicazione degli stessi parametri utilizzati per i dipendenti in materia di detrazioni sui redditi più bassi, l’eliminazione della maggiorazione Iva dell’1% sui versamenti trimestrali. La pensione per tutti Le riforme pensionistiche varate negli ultimi anni, con il passaggio al sistema contributivo, riescono a garantire una pensione dignitosa solo ai lavoratori titolari di aliquote contributive elevate e di un rapporto di lavoro stabile e continuativo. Le spinte ad abbassare il costo del lavoro e l’intermittenza dei periodi di occupazione condannano gran parte delle generazioni presenti e future a prestazioni pensionistiche molto basse. Un modello pensionistico meno ingiusto dovrebbe muoversi in due direzioni. La prima è adeguare il sistema di ammortizzatori sociali, istituendo un reddito minimo che offra idonea copertura a tutti coloro che, temporaneamente o per lunghi periodi, non trovano un lavoro; offrendo adeguati servizi per l’impiego e per la formazione; garantendo contributi pensionistici figurativi, per compensare tutti i periodi di non lavoro e garantire la continuità nel tempo della contribuzione. La seconda è l’introduzione di una pensione universalistica, non sottoposta alla prova dei mezzi, sostanzialmente un assegno sociale (attualmente fra 460 e 640 euro mensili) pagato a tutti gli anziani, a prescindere dall’aver o meno contribuito al sistema pensionistico. Su questa pensione si innesterebbe poi la pensione contributiva, il che permetterebbe anche di abbassare, a parità di prestazione erogata, le aliquote pensionistiche, perché la pensione di base verrebbe finanziata attraverso la fiscalità generale. Un reddito minimo per tutti Le trasformazioni che hanno interessato il mercato del lavoro rendono necessario assicurare un reddito minimo universale e incondizionato a tutti. L’introduzione di tale misura deve tener conto, con modalità sperimentali e risorse crescenti nel tempo, di una realtà in cui una larga parte dei lavoratori sono costretti nell’arco della loro vita a passare da un posto di lavoro all’altro; deve quindi strutturarsi in maniera tale da rendere economicamente sostenibili anche modalità di lavoro intermittenti. Il sussidio deve essere tendenzialmente universale - rivolto all’ampia platea degli “occupabili” (lavoratori sia effettivi che potenziali, sia dipendenti che indipendenti - ma deve essere anche incondizionato, in quanto giustificato dalla condizione del lavoratore. Il “reddito minimo” così inteso diventerebbe un elemento unificante del sistema di protezione sociale, offrirebbe il riconoscimento di un diritto di cittadinanza e avrebbe l’effetto di ridurre le disuguaglianze. Diverse proposte di legge sono state avanzate e rappresentano una base di partenza per la discussione su come realizzarlo. Sarebbe richiesto un impegno redistributivo particolarmente ampio e quindi un sistema fiscale più progressivo e più efficiente. Fare memoria Che cos’è stata la Resistenza? (di Pietro Polito) “Come fenomeno europeo, la Resistenza è stata un moto di liberazione nazionale contro il nazismo: in quanto tale la nostra Resistenza non differisce da quella di altri paesi. Come fenomeno italiano, la guerra contro il nazismo è stata insieme una lotta di liberazione dalla dittatura fascista in nome dei diritti inviolabili – così li chiama la nostra Costituzione – dell’uomo. Ma la Resistenza ha avuto anche un significato universale: in quanto guerra popolare, spontanea, non comandata dall’alto, essa è stata un grande moto di emancipazione umana, che mirava molto più lontano e i cui effetti, proprio per questo, non sono ancora finiti: a una società internazionale più giusta, ispirata agli ideali di pace e di fraternità tra i popoli”. Norberto Bobbio Questa definizione della Resistenza si trova in un rapido appunto scritto da Bobbio per una dichiarazione alla radio trasmessa l’8 settembre 1963. Essa fa parte delle riflessioni che Bobbio è venuto svolgendo tra il 1955 e il 1999 sul significato della Resistenza (in larga parte inedite, ma ora si possono leggere nel recente volume Eravamo ridiventati uomini, Einaudi, Torino 2015. La citazione è a p. 56). Le pagine di Bobbio consentono di abbozzare una risposta sufficientemente chiara e definita alla domanda: “Che cosa è stata la Resistenza?”. Bobbio si pone esplicitamente la domanda in un discorso per il 25 aprile 1961, chiarendo che è insufficiente interpretare la nostra Resistenza “soltanto” come “un movimento italiano” contro il fascismo e insistendo sul nesso tra la “nostra Resistenza” (la formula è di Bobbio) e il “grande movimento europeo di liberazione contro l’oppressione nazista”. Riprendendo la definizione posta all’inizio, secondo Bobbio, la Resistenza è stata un movimento europeo, nazionale, universale. Così intesa essa può essere definita e valutata sotto tre aspetti: 1. le anime; 2. gli attori e gli scopi; 3. i risultati. Le anime della Resistenza Tempi di vita e di lavoro Il Jobs Act rinvia l’estensione del congedo di maternità alle donne lavoratrici non dipendenti successivamente alla realizzazione di "una ricognizione delle categorie di lavoratrici beneficiarie". In sostanza le misure di conciliazione restano ancora privilegio delle lavoratrici e dei lavoratori dipendenti e pensate prevalentemente per le donne. Sbilanciamoci! propone di assicurare un assegno di maternità universale per cinque mesi, pari al 150% della pensione sociale, a tutte le madri, indipendentemente dal fatto che siano dipendenti o autonome, che siano stabili o precarie, che lavorino o che siano disoccupate. L’assegno di maternità dovrebbe comprendere il riconoscimento di cinque mesi di contributi figurativi da distribuire su entrambi i genitori. L’assegno dovrebbe essere posto a carico della fiscalità generale. E’ necessario inoltre offrire pari opportunità introducendo il congedo per i padri, indipendentemente dal contratto e dalla tipologia di azienda. Le misure di conciliazione dovrebbero essere affiancate da un sistema pubblico per l’infanzia in grado di garantire a tutte le bambini e i bambini un percorso scolastico sin dai primi anni di età. La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: www.sbilanciamoci.info. (fonte: Sbilanciamoci Info) link: http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/alter/12-mosse-per-rimettere-in-moto-lItalia-29582 Come movimento europeo, la Resistenza italiana è stata “un episodio, l’ultimo episodio della tragica e nobile storia della libertà europea rivendicata”; come movimento italiano, “la nostra Resistenza” si distingue dalle altre: mentre negli altri paesi è stata prevalentemente un movimento di liberazione dallo straniero, in Italia la Resistenza è stata al tempo stesso “un movimento patriottico e antifascista, contro il nemico esterno e contro il nemico interno”; come movimento universale di emancipazione sociale, la Resistenza è stata una “guerra popolare”, “un moto popolare, l’unico grande moto popolare nella storia dell’Italia moderna”. Naturalmente l’espressione “guerra popolare” non viene usata nel senso di guerra di popolo, combattuta da un popolo, ma nel senso della lotta di una minoranza, “la lotta impari e disperata” di una minoranza che “non sarebbe stata possibile senza il consenso e la collaborazione degli operai nelle città, dei contadini nelle campagne, di intellettuali, di amministratori, di professionisti che costituirono una fitta rete protettiva delle bande armate e dei gruppi d’azione partigiana”. Nell’animo di una parte importante e attiva dei partigiani la Resistenza è stata una guerra rivoluzionaria”: in questo terzo significato, può essere considerata “un movimento universale, che trascende l’occasione che l’ha generata e i risultati raggiunti”. Gli attori e gli scopi. Le finalità della Resistenza furono molteplici. 6 La guerra patriottica, fu combattuta da quella parte dell’esercito rimasta fedele alla Monarchia con lo scopo della restaurazione dell’indipendenza nazionale; la guerra antifascista dai partiti antifascisti riuniti nei Comitati di liberazione nazionale con l’obiettivo della riconquista della libertà politica; la guerra rivoluzionaria da un partito che preesisteva se pure di poco al fascismo, il Partito comunista, e da un partito nuovo, nato con la Resistenza, il Partito d’azione, con il fine dell’instaurazione dello stato nuovo. Il Partito d’Azione e il Partito comunista furono i partiti militarmente più organizzati, i più decisi e i più audaci, i principali organizzatori della guerra per bande. I risultati della Resistenza. I risultati vanno valutati in base agli scopi. Il principale scopo della guerra patriottica, la liberazione dell’Italia dal dominio straniero, è stato raggiunto. L’Italia deve alla guerra patriottica il suo essere ridiventata una nazione libera, democratica, inserita a pieno diritto nella comunità internazionale. Pure la guerra antifascista ha raggiunto i suoi scopi. Certo la sconfitta del fascismo non può essere ascritta a merito esclusivo dei partigiani, ma “la Resistenza italiana ebbe il merito di inserirsi nella direzione giusta della lotta al momento giusto”. Naturalmente il giudizio è più controverso per quel che riguarda la Resistenza come rivoluzione sociale tendente alla trasformazione radicale della società italiana. Scriveva Bobbio nel lontano 25 aprile 1961: “Orbene, la democrazia che è stata attuata in Italia è soltanto quella apparente, non quella sostanziale. La democrazia sostanziale c’è, sì, negli articoli della Costituzione, ma non c’è nella realtà. L’Italia continua ad essere la nazione delle grandi sperequazioni, tra classe e classe, tra regione e regione”. E oggi? (fonte: Centro Studi Sereno Regis) link: http://serenoregis.org/2015/05/08/3-che-cose-stata-la-resistenza-pietro-polito/ Riflessione sulla "festa d'aprile" (di Massimo Michelucci) Anche questo aprile la destra ha ripetuto la sua vulgata, il giudizio negativo sui partigiani, la resistenza e l'antifascismo. Le uscite polemiche e strumentali di alcuni politici, come quella di abolire il 25 aprile, non preoccupano per i contenuti perché rivelano scopertamente un fine demagogico ed elettorale, ma preoccupa di più la tendenza fascistoide che penetra tra i giovani, anche tra i non militanti di associazioni o partiti di destra. Tale tendenza si fonda su argomentazioni che sono trite parole d'ordine che l'antifascismo affronta e subisce da decine di anni, e che purtroppo sembrano quasi impossibili da superare, perché si ripetono e ripresentano indefessamente, senza possibilità di confronto. Di fronte ad esse comunque mi ostino a offrire una ennesima riflessione pubblica, che vuol essere la più oggettiva possibile e che non vuol certo essere supponente, ma aperta. Prima di tutto credo sia molto utile ricordare questa frase di Italo Calvino, un autore nazionale, apprezzato anche a destra tanto è universale, un po' come Pasolini. "Dietro il milite delle Brigate nere più onesto, più in buonafede, più idealista, c'erano i rastrellamenti, le operazioni di sterminio, le camere di tortura, le deportazioni e l'Olocausto; dietro il partigiano più ignaro, più ladro, più spietato, c'era la lotta per una società pacifica e democratica, ragionevolmente giusta, se non proprio giusta in senso assoluto, ché di queste non ce ne sono." La frase è significativa perché dimostra che c'è sempre stata coscienza di errori anche da parte partigiana, e che bisogna saper distinguere tra livello individuale e livello politico. Una persona rappresenta un qualcosa a 7 entrambi i livelli ed il valore dei due aspetti può anche essere in contraddizione, niente lo vieta. Ma il giudizio storico ha il compito precipuo di inquadrare la valutazione in uno spettro più ampio di ragioni. In questo senso la condanna del giovane militare fascista, i famosi ragazzi di Salò, è oggettivamente inconfutabile, si trattò infatti di un esercito mercenario, al soldo di un esercito straniero occupante il paese, e utilizzato soprattutto in azioni contro la popolazione ai fini della lotta partigiana, la qual cosa provocò anche la cosiddetta guerra civile. Preciso che la qualifica "mercenario" non è metaforica, ma è usata in senso letterale a significare che il soldato repubblichino che consegnava ai tedeschi un disertore rastrellato riceveva un compenso in denaro. Poi che a livello individuale ci sia stato un giovane fascista più buono di un giovane partigiano di nuovo nessuno lo vieta di pensare. La letteratura è più incisiva del saggio storico nello spiegare, o meglio nel far capire, le cose, perché permette di far emergere direttamente quello che si vuole dire, non di dimostrarlo. In tal senso è utile un piccolo rinvio letterario, l'invito alla lettura di "Una questione privata", di Beppe Fenoglio, uno dei migliori libri sulla nostra Resistenza. Comunque c'è sempre anche il fare storia ad aiutarci, ne cito un buon esempio. In primavera è ritornata fuori, come ogni anno, l'accusa della destra sulla negatività dell'attentato di via Rasella a Roma da parte dei partigiani, dimenticando e trascurando il dato che la guerriglia era necessariamente l'unico tipo di guerra consentito alle forze resistenti, e che era espressamente indicato e sostenuto dagli stessi alleati, che chiedevano di fare agguati, attentati e di attaccare il nemico alle spalle. L'accusa ai partigiani di non essersi presentati fa capire che non è purtroppo conosciuto un libro basilare sulla vicenda: Alessandro Portelli, "L'ordine è già stato eseguito", che ha dimostrato, attraverso una memoria corale della gente di Roma, come i tedeschi risposero immediatamente con la rappresaglia e con la strage delle Fosse Ardeatine, prima di cercare responsabili. L'ordine di presentarsi agli attentatori non è mai esistito! Esiste poi una riflessione storica che comporta un giudizio politico. Per esempio Enzo Collotti, la cui autorità è indiscussa e si esplica in ragionamenti molto semplici, ha parlato del "fascismo quotidiano dei nostri giorni", ritenendolo anche forse più pericoloso di quello del ventennio istituzionalizzato nello stato. Proprio in ragione di ciò ha detto che "il 25 aprile deve essere una riflessione permanente", che comporta indubbiamente atteggiamenti conseguenti, capaci di affrontare i fatti e gli argomenti nel loro sviluppo. Per tale metodo il richiamo al 25 aprile non potrà mai essere espressione di un legame ideologico. Su questa questione di sostanza mi piace citare anche Franco Cordero, un giurista riconosciuto, che ha spiegato come: "Fascismo e Resistenza non rappresentano solo due momenti storici, ma costituiscono due 'antropologie' radicalmente agli antipodi, divise da un'alterità incolmabile. Purtroppo, però, mentre l'antropologia fascista sembra parte integrante del corredo 'genetico' degli italiani, lo 'spirito della Resistenza' - che impone capacità critica, libertà di pensiero, autonomia - è stato un'anomalia per il nostro paese. Che non a caso, infatti, l'ha sostanzialmente lasciato cadere nell'oblio. Pensare, nel fascismo, era un vizio, come pericoloso era l'abito morale che implica dubbi, dissensi, scelte divergenti. La legge 19 gennaio 1939, n. 129 abolì la Camera dei Deputati e la sostituì con la Camera dei Fasci e delle Corporazioni nella quale i voti erano sempre palesi e i componenti erano scelti per le cariche ricoperte nel PNF o nelle Corporazioni". Ma per questo aspetto non posso non ricordare il partigiano di Carrara Lino Rovetti (Linè), assieme a lui anni fa tenni una conferenza ai giovani delle superiori in Palazzo Ducale a Massa. Lino fu affascinante, ad un certo punto tirò fuori il portafoglio, e da questo un pezzetto sgualcito e ingiallito di un foglio di un vecchio quaderno a quadretti, e spiegò: "Nell'estate del 1944 formammo una squadra e dopo un po' emerse la necessità di nominare tra noi un responsabile. Eravamo sui monti nei boschi, un amico strappò dei fogli da un quaderno e ne diede un rettangolino a tutti proponendo di scriverci il nome di chi dovesse essere il responsabile, e di farlo ognuno per conto proprio, dietro un castagno. Io scrissi il Memo, che divenne il nostro capo. Quel fogliettino da quel giorno l'ho sempre tenuto con me, rappresenta il senso della mia libertà, era la prima volta nella mia vita che sceglievo qualcosa, che contavo come gli altri, che votavo!" Una lezione indimenticabile! Oltre alla violenza della guerra che è oggettiva perché non esiste una guerra giusta, se non appunto e forse, come affermava Don Milani, quella partigiana, quella cioè di chi si ribella, chi si rivolta contro una violenza maggiore e insopportabile che rende l'uomo schiavo, rimane anche la questione della violenza nei dopoguerra, che è tema che non voglio sfuggire, in modo che la riflessione non abbia lacune e sia la più completa possibile secondo le mie capacità. Ebbene io sono molto legato ad una frase del musicologo Massimo Mila che fu partigiano di Giustizia e Libertà nel Canavese e che nella relazione finale sull'attività, che fu una specie di commiato da parte del comando ai partigiani della terza zona, scrisse, in data 13 maggio 1945: >La grande avventura volge al termine, la poesia della nostra giovinezza è finita. Ora comincia l'opera del lavoro virile, nei campi, nelle officine, negli uffici, dove necessariamente ci troveremo a fianco di uomini i quali non hanno nel loro passato questa forma di gloria che è la guerra partigiana. Non importa: noi non saremo superbi, non accamperemo pretese e rivendicazioni, in una parola non saremo "squadristi" e "marcia su Roma"< . Lo si trova citato in: Bruno Rolando, La Resistenza di Giustizia e Libertà nel Canavese, a cura di Gino Viano, Enrico Editore, Ivrea/Aosta, 1981. Ma anche su questo argomento ho un ricordo più particolare di altrettanta valenza che viene dai miei studi e del quale sono innamorato. Nello stesso periodo, maggio 1945, il CLN Apuano affrontava la questione di un giovane partigiano in una frazione della montagna carrarina che esprimeva pubblicamente, armi in mano, la volontà di farsi giustizia da sé. Il CLN scrisse quindi al capo della formazione: "Conosciamo bene il tuo giovane, capiamo anche il suo desiderio di vendetta, sappiamo che la sua intera famiglia in quanto antifascista ha subito per vent'anni dal regime vessazioni e violenze di ogni genere. Ma non può far da sé, devi fermarlo! Devi fargli capire che noi non dobbiamo, non possiamo e non vogliamo essere come loro!". Non so se il capo ci riuscì, sicuramente sì, se era un capo che anche quel giovane aveva scelto e che quindi rispettava. Come esperienza personale (non certo riferita alla Resistenza) posso solo aggiungere che qualsiasi tipo di violenza che si commette nella vita, anche leggera e non certo motivata come quelle di un tale periodo, alla fine ti ritorna fuori nella coscienza non facendoti mai stare bene del tutto. Meglio, quindi, se si può, evitare. particolare dal mondo degli insegnanti che sono a contatto quotidiano con gli alunni è un atteggiamento miope e che denota una concezione profondamente antidemocratica del governo. Infine per concludere, è certo veramente importante intenderci bene su cosa sia l'antifascismo, perché molti lo interpretano come una posizione di parte politica, mentre è un principio che sta alla base della politica, e quindi dovrebbe abitare nelle coscienze di tutti. Nella sostanza, infatti, l'antifascismo è né più né meno che la "possibilità di scelta", che è garantita dalla Costituzione che parla di "legittimità delle differenze". Ma anche la Costituzione purtroppo oggi è dileggiata, senza essere mai stata compiutamente applicata. Se solo si accettasse questa semplice verità si capirebbe tutti davvero come sia sbagliato contrapporre antifascismo e democrazia. Non può esserlo, l'uno sostanzia l'altra, ne è la base. Speriamo che in Italia si arrivi a capirlo tutti, ma i segnali non sono buoni. Credo che gli insegnanti debbano trasformare le loro scuole in bastioni della difese della democrazia e del diritto per tutti di accedere all’istruzione, devono fare delle loro scuole un Agorà pedagogica che sappia diventare spazio di discussione e dialogo educativo progettuale tra insegnanti, insegnanti alunni e genitori. Massimo Michelucci - Vice Presidente dell'Istituto Storico della Resistenza Apuana link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2281 Formazione, pedagogia, scuola Agorà pedagogica (di Alain Goussot) In questo momento sta crescendo il movimento di protesta degli insegnanti contro il progetto del governo Renzi-Giannini, un progetto che, nei fatti trasforma la scuola in una azienda e legittima le diseguaglianze sociali contraddicendo in questo modo la carta costituzionale È molto probabile che il governo e il ministero rimangano completamente sordi alla protesta e che facciano passare il disegno di legge, tenuto conto delle tredici deleghe in bianco che ha a disposizione si capisce che farà quello che vuole. Ma non ascoltare quello che sale dalla società e in 8 Tuttavia, dal movimento di protesta nelle scuole contro il disegno di legge la Buona scuola potrebbe nascere un nuovo progetto democratico per la scuola italiana, un progetto pedagogico serio che affronti le questioni dell’eguaglianza delle opportunità nell’accesso ai sapere e alle conoscenze, all’istruzione per tutti, della formazione culturale generale e solida di un cittadino consapevole e in grado di pensare con la propria testa, di una integrazione tra un recupero dell’identità umanistica della cultura italiana e una serie formazione scientifica, di una scuola accogliente e davvero inclusiva, di una scuola ormai multiculturale e meticcia. Un grande progetto di rinnovamento della scuola che sappia mettere al centro la pedagogia e una didattica ricca e viva, che sappia preparare gli insegnanti sia per entrare nella professione docente che per continuare ad aggiornarsi durante la carriera, una scuola che sappia dialogare con la comunità e le famiglie in una prospettiva co-educativa costruendo una grande alleanza pedagogica per un futuro di democrazia e di sviluppo umano basato sulla solidarietà, la giustizia, l’eguaglianza , il riconoscimento delle differenze e la libertà responsabile. Per aiutarsi la scuola, gli insegnanti possono ispirare dal grande e ricco patrimonio d’idee prodotte dalla storia dell’educazione attiva, basta pensare a Maria Montessori, Mario Lodi, Gianni Rodari, Bruno Ciari, Dina Bertone Jovine, Aldo Visalberghi, Lamberto Borghi, Don Lorenzo Milani, Antonio Banfi, Piero Bertolini, Giovanni Maria Bertin ma anche John Dewey, Ovide Decroly, Adolphe Ferrière, Edouard Claparède, Roger Cousinet, Célestin Freinet, Lev Vygotskij, Anton Makarenko, Paulo Freire ecc. Insomma l’esperienza ricca e diretta di migliaia di insegnanti nelle loro scuole e nell’attività quotidiana combinata con le fonti storiche delle pedagogie attive e critiche (per arrivare fino ad oggi) può favorire un Rinascimento pedagogico che sappia rilanciare e ridare vitalità alla scuola democratica, meticcia e pluralista della Repubblica! La protesta radicale diventerà in questo modo progetto collettivo che interpella tutta la società e farà della scuola l’epicentro del rinnovamento culturale e sociale autentico del paese. Anton Makarenko, il grande pedagogista ed educatore sovietico dopo la rivoluzione del 1917, parlava di collettivi pedagogici cioè di spazi organizzati dove educatori, insegnanti, genitori e anche ragazzi si confrontavano sulle grandi questioni della formazione dei futuri cittadini e dell’accesso di tutti ai sapere e alle conoscenze necessarie per essere delle donne e degli uomini effettivamente autonomie liberi. Paulo Freire, il grande pedagogista brasiliano, parlava di circoli culturali e pedagogici aperti a tutti come spazi di partecipazione democratica alla riflessione sui grandi temi dell’istruzione, dell’educazione, della giustizia, dell’ambiente, della democrazia partendo dalla formazione scolastica. I collettivi pedagogici nelle scuole possono essere dei luoghi di elaborazione progettuale e anche di presa di coscienza collettiva e di sensibilizzazione di tutta la comunità sull’importanza della scuola come bene comune. I collettivi pedagogici possono essere composti da insegnanti, educatori, cittadini interessati e anche alunni. Luoghi aperti in cui si riflette e si costruisce assieme il futuro della scuola e questo in ogni territorio. Credo che sia la migliore risposta da dare, accompagnando le proteste, le manifestazioni e il movimento in atto nella direzione della costruzione partecipata dal basso di quel intellettuale collettivo di cui parlava Antonio Gramsci. Collettivi pedagogici di diverse scuole possono collegarsi tra di loro e condividere argomenti di discussione e proposte questo sia nella medesima comunità che tra comunità territoriali diverse. In questo modo la protesta diventa un attore riflessivo e davvero rivoluzionario. *Alain Goussot è docente di pedagogia speciale presso l’Università di Bologna. Pedagogista, educatore, filosofo e storico, collaboratore di diverse riviste, attento alle problematiche dell’educazione e del suo rapporto con la dimensione etico-politica, privilegia un approccio interdisciplinare (pedagogia, sociologia, antropologia, psicologia e storia). Ha pubblicato: La scuola nella vita. Il pensiero pedagogico di Ovide Decroly (Erickson); Epistemologia, tappe costitutive e metodi della pedagogia speciale (Aracneeditrice); L’approccio transculturale di Georges Devereux (Aracneeditrice); Bambini «stranieri» con bisogni speciali (Aracneeditrice); Pedagogie dell’uguaglianza (Edizioni del Rosone). Il suo ultimo libro è L’Educazione Nuova per una scuola inclusiva (Edizioni del Rosone) (fonte: Comune-info) link: http://comune-info.net/2015/04/agora-pedagogica-scuola/ Immigrazione Morire in mare, uno studio sulle vittime (di Paolo Cuttitta) Nei giorni in cui gli ennesimi, immani disastri hanno riportato il tema della morte alle frontiere all’attenzione dell’opinione pubblica, la Vrije Universiteit di Amsterdam ha portato a termine un censimento delle persone morte durante il tentativo di raggiungere l’Europa e registrate presso gli uffici dello stato civile o presso i registri cimiteriali in Italia, Spagna, Grecia, Malta e Gibilterra. Tra maggio 2014 e gennaio 2015 undici ricercatori – coordinati da Tamara Last sotto la supervisione di Thomas Spijkerboer – hanno esaminato oltre due milioni di certificati di morte nei registri di 559 diverse località dei suddetti Paesi (mentre gli uffici di altre 35 località, pari al 6% del totale, hanno negato loro l’accesso agli archivi). I risultati saranno presentati a metà maggio. Da quel giorno la banca dati con tutte le informazioni raccolte sarà liberamente accessibile online, accompagnata da una visualizzazione grafica che renderà più facilmente leggibili i principali risultati della ricerca. Il significato più importante del lavoro non risiede tanto nel dato statistico relativo al numero totale di morti di frontiera registrati nei diversi Paesi. Tale dato, infatti, è evidentemente parziale rispetto al numero totale dei morti nel Mediterraneo, perché non comprende né i decessi avvenuti e/o registrati sull’altra sponda (nei paesi dai quali le persone si sono messe in viaggio per raggiungere l’Europa), né i dispersi (il cui numero – è il caso di ricordarlo – si stima essere di parecchio superiore a quello dei corpi rinvenuti). Tra gli elementi più significativi della ricerca va menzionato in primo luogo il fatto che essa si è basata su una metodologia chiara e omogenea, che fa riferimento non a fonti giornalistiche ma a dati istituzionali. Le pur importantissime informazioni raccolte sinora dalle banche dati di United Against Racism e di Fortress Europe sono, invece, inevitabilmente incomplete, approssimative e disomogenee perché tratte da fonti giornalistiche o da canali più o meno informali. Inoltre, i dati raccolti comprendono (almeno nei casi in cui le autorità hanno potuto e voluto raccoglierle e registrarle) informazioni preziose per restituire un’identità e una storia alle persone defunte, che in moltissimi casi risultano essere non identificate. Tutte le informazioni che i ricercatori hanno potuto raccogliere negli atti ufficiali esaminati (le variabili più importanti sono: nome, età, genere e origine del defunto; luogo di morte, luogo di ritrovamento, luogo di registrazione, luogo di sepoltura; causa della morte e altri dettagli sull’incidente) permettono di tracciare non solo una geografia della morte alle frontiere ma anche un ritratto collettivo (e innumerevoli ritratti individuali) dei caduti di questa guerra che continua a essere combattuta sottotraccia e sotto silenzio, salvo tornare a fare notizia e provocare commozione nei casi più eclatanti. Inoltre i ricercatori hanno raccolto informazioni sui differenti approcci 9 burocratici alla morte adottati dalle diverse autorità dei paesi in esame. Il loro lavoro fornisce quindi anche un quadro del modo con il quale le diverse autorità trattano la morte in generale e le morti di frontiera in particolare. Peraltro la ricerca sul campo ha anche evidenziato che tali procedure – quelle normalmente previste in caso di morte nei diversi paesi – vengono a volte disattese quando si tratta di morti di frontiera, e che perciò i migranti devono in certi casi subire forme particolari di discriminazione anche da morti. Immergendosi per quasi un anno in quella parte della burocrazia dell’Europa mediterranea che interagisce con la morte di frontiera, i ricercatori hanno anche interagito, essi stessi, con realtà di diverso tipo: dalle imprese di pompe funebri (con i loro non trascurabili interessi specifici) ai privati cittadini che curano di loro iniziativa le tombe di chi è costretto a riposare lontano dai propri cari. Benché vi siano alcuni aspetti di privacy ancora da chiarire (nella versione del database che andrà online tutti i profili individuali saranno anonimizzati), è auspicabile che il lavoro fatto possa servire per facilitare le identificazioni di alcuni dei tanti morti ancora senza nome e per consentire ai familiari di alcune delle vittime di avere finalmente certezza sul destino dei propri cari. Ciò potrebbe avvenire anche attraverso una collaborazione con il programma “Family Links Network” della Croce Rossa. Gli autori del censimento, inoltre, auspicano di reperire fondi per svolgere un’analoga ricerca nei paesi di partenza, dall’altra parte del Mediterraneo. Essi, infine, chiedono l’istituzione di un osservatorio europeo sui morti di frontiera, sotto l’egida del Consiglio d’Europa, che si occupi di raccogliere i dati in tutti i paesi coinvolti. Su tale punto è facile prevedere resistenze. Il governo tedesco, rispondendo a un’interrogazione parlamentare, ha affermato un anno fa che “non c’è alcun bisogno di una sistematica rilevazione” dei dati riguardanti i morti alle frontiere. Solo apparentemente più possibilista il Ministro dell’Interno italiano Alfano, che nel settembre scorso, anch’egli in risposta a un’interrogazione alla Camera, non escludeva l’istituzione di una banca dati ufficiale, ma riteneva “difficile ipotizzarne la condivisione con organismi di volontariato sociale”, e poi lasciava cadere la proposta nell’oblio. Di certo bisognerà evitare che anche il censimento realizzato dalla Vrije Universiteit finisca per essere strumentalizzato dal confine “umanitario”, dalla retorica sviluppata negli ultimi quindici anni dalle istituzioni statali e comunitarie. Tale retorica si è appropriata del tema della morte e l’ha utilizzato, alla rovescia, per legittimare il sistema di controllo delle frontiere da essi creato e perfezionato. Chi ha costruito l’attuale regime migratorio internazionale rifiuta infatti ogni responsabilità per gli effetti nefasti che esso produce, rovesciandola su altri: i fornitori di servizi di viaggio non autorizzati (accomunati tutti, indistintamente, nella figura criminale del trafficante), colpevoli di mandare al massacro i propri clienti pur di gonfiare i propri portafogli. La lotta contro gli spietati trafficanti diventa così la parola d’ordine per giustificare il regime di frontiera, mentre quest’ultimo viene riconfezionato come sistema per salvare vite umane (anche grazie a operazioni come Mare Nostrum). Le parole pronunciate da Renzi il 19 aprile in occasione dell’ultima strage sono eloquenti: “Il punto chiave è bloccare il traffico degli esseri umani”, e “tutti i nostri sforzi sono diretti a individuare lo scafista che ha condotto la nave”. Il punto chiave, invece, è permettere alle persone di viaggiare senza dovere ricorrere ai servizi dei trafficanti e senza dovere salire in novecento su una barca di venti metri. Mentre bisognerà evitarne ogni strumentalizzazione, la ricerca dell’università olandese andrà valorizzata, al contrario, in opposizione alla logica che, da un lato, esalta il ruolo salvifico delle istituzioni (nascondendone quello più inumano e violento), e, dall’altro, mostra i migranti come persone solo quando e nella misura in cui le loro vite sono in pericolo, e per il resto li oscura, anonimizzandoli o presentandoli come vittime passive del crimine organizzato. Restituire nomi ai corpi, contenuto e senso alle storie individuali e collettive, e ricordare che tutto ciò accade non solo e non tanto per la malvagità dei trafficanti e per l’imperdonabile imprudenza di chi si mette in viaggio, ma soprattutto per l’assurdità di politiche migratorie che impongono di rischiare la vita a chi voglia raggiungere un determinato territorio pur non possedendo, per pura sfortuna, il passaporto giusto: riuscire in questo sarebbe già un risultato apprezzabile. Paolo Cuttitta (fonte: Corriere delle migrazioni) link: http://www.corrieredellemigrazioni.it/2015/04/24/elenco-delle-vittime-nelmare/ Politica e democrazia I black bloc e la Sinistra incapace di difendersi (di Umberto Mazzantini) La Milano pulita è scesa in strada per rimediare alla devastazione di un pezzo di città fatta con metodica follia dai soliti black bloc. Tra i volontari di questa Milano solidale c’erano anche molti di quelli che hanno partecipato al corteo no-Expo del primo maggio, quasi ad espiare la colpa di un’insensata organizzazione che ha consentito che il solito gruppo di nichilisti militarmente organizzati si impadronisse dell’agenda politica della sinistra nonviolenta alternativa, e ne strappasse sfrontatamente le pagine in diretta televisiva, buttandole nelle fiamme delle utilitarie bruciate per le strade meneghine. La verità che bisogna dirsi è che lo slogan di ieri, “Nessuno tocchi Milano”, doveva essere la parola d’ordine del primo maggio; quello che amaramente bisogna dirsi è che il corteo è stato lasciato da organizzatori “ingenui” in balia di teppisti ormai noti, dei nemici dichiarati della sinistra che vedono come troppo moderata, complice del sistema, rispetto al loro disegno di disintegrazione di ogni convivenza civile. Si è detto e scritto che è la follia dei figli di papà col rolex, con le felpe, le scarpe firmate e i costosi caschi lasciati per terra per liberarsi del loro camuffamento da talebani neri della rabbia satolla… ma sono cose note, almeno da Genova, ed è imperdonabile che parte del movimento sia contiguo e tolleri la presenza di questi provocatori in un corteo che parlava – avrebbe dovuto parlare – di giustizia, sovranità alimentare, lotta allo strapotere delle multinazionali del cibo e dell’agricoltura. Per una mamma africana quello spreco finale, quelle fiamme insensate, non sono meno scandalose del luccicante spreco dell’Expo che dovrebbe parlare di cibo per tutti; per un contadino nepalese, se potesse distogliere lo sguardo dalla macerie del terremoto, sarebbero solo l’altra faccia dell’inspiegabile spreco occidentale. Alla fine di un’ordinaria giornata di follia, insieme alle macchine di qualche povero cristo e alle vetrine di qualche negoziante in crisi, sono andate in fiamme e frantumi le ragioni di un intero movimento di giustizia. I popoli che si voleva difendere, quelli con i quali si erano strette faticose alleanze, sono tornati ad essere le folkloristiche comparse in vestiti tradizionali di un grande spettacolo mediatico finanziato da Nestlè, Coca Cola e McDonald, e che è stato santificato dal puzzo delle molotov. L’immagine tranquilla delle migliaia di cittadini in fila per andare alla mega fiera dell’Expo mentre in televisione scorrevano le immagini di una guerriglia apparentemente priva di qualsiasi ragione (ma le ragioni ci sono) è la più grande sconfitta degli organizzatori del corteo no-Expo e della sinistra alternativa milanese e italiana. E’ esattamente quello che volevano i black bloc, è quello che avevano ordinato i loro capi che hanno in testa una strategia militaresca che viene attuata con una coordinazione di azioni che non può essere frutto del caso. Come invece è frutto del caso, dell’assoluta mancanza di organizzazione politica, di una mancanza di leadership condivisa e riconosciuta, la scellerata scelta di lasciare che una grande manifestazione pacifica, con ragioni forti e nobili, sia stata lasciata massacrare, fatta a pezzi, irrisa, masticata e rivomitata in una piazza da poche centinaia di teppisti spaccatutto che in altri tempi i servizi d’ordine della sinistra vera avrebbero 10 messo a posto con ben assestati calci in culo. Se i black bloc si tengono ben lontani dai cortei della FIOM un motivo ci sarà; eppure questa sinistra si è velletariamente buttata in bocca alla trappola preparata dai black bloc – una trappola annunciata e ormai stranota nei suoi meccanismi di scatto – senza uno straccio di servizio d’ordine, senza dimostrare di sapersi difendere dai suoi eterni nemici nichilisti. Ed è inutile ora lamentarsi se i media hanno parlato solo delle volenze del blocco nero, e ignorato le ragioni del movimento: funziona così e far finta di non saperlo è un’altra cosa imperdonabile. Così si permette di fare l’equazione black bloc = sinistra. Però ci sono due verità che bisogna dirsi: la prima è che nel “movimento” c’è una parte – minoritaria e forse contigua – che pensa che la rabbia distruttrice dei black bloc non sia aliena alle ragioni di chi vuole un mondo più giusto; la seconda è che la disorganizzazione e frammentazione della cosiddetta sinistra radicale ha portato ad una situazione che, nella scomparsa della sinistra “istituzionale”, rischia di essere semplicemente un blob di sigle inconcludenti, gelose di un’autonomia che è quasi onanismo e non in grado di esprimere un progetto condiviso a livello locale e nazionale. Un comitatismo permanente che si scinde per convinzioni contigue ma non condivise, quasi per sfumature, ed in grado di mettersi insieme solo su obiettivi molto generali e al limite del generico. E’ così che a questa mal rattoppata bandiera arcobaleno si è aggiunto un colore non presente in natura: il nero. Manca ora più che mai la politica vera, quella che organizza, che dà obiettivi comuni e diffonde e difende un’idea condivisa. Manca chi non solo dà voce ai lavoratori e ai meno fortunati, ma li organizza per cambiare le cose, per conquistare il futuro, per cambiare il mondo che era ingiusto prima dell’Expo e lo sarà anche dopo. Manca il partito del lavoro nuovo e della nuova società, che la smetta con i feticci e dica come si esce da una disuguaglianza crescente e da una crisi del capitalismo che genera ingiustizia e giovani mostri con le maschere anti-gas che spaccano a mazzate ogni possibilità di progresso, trasformando tutto in un’impossibile lotta disperata contro il moloch liberista. Manca una forza organizzata in grado di difendere la sua gente e le sue ragioni, e di trasformarle in sentire comune. Speriamo che gli inutili partitucoli della sinistra e gli improvvidi organizzatori di cortei con ottime ragioni e pessima gestione se ne rendano conto, facciano un passo indietro e liberino la sinistra del futuro di tutto questo ciarpame, nel quale si rotolano con allegra ferocia da videogioco i neri teppisti che giocano a distruggere la sinistra della speranza Umberto Mazzantini da Greenreport.it (fonte: Unimondo newsletter) link: http://www.unimondo.org/Notizie/I-black-bloc-e-la-Sinistra-incapace-didifendersi-150715 Politica internazionale La politica estera del governo Renzi: solo vuote parole (di Piergiorgio Cattani ) Mentre Matteo Renzi riesce a far approvare a colpi di fiducia la nuova legge elettorale, raggiungendo un traguardo insperato, il governo nel suo insieme non sembra in grado di affrontare le emergenze del momento. La propaganda e la retorica vogliono evidenziare come con Renzi l’Italia riaccende i motori: il giovane premier inaugura baldanzoso Expo (circostanza fortunata), ma poi deve subire lo sciopero della scuola, la scissione del PD, il record della disoccupazione, un’economia che non riesce a ripartire. Renzi cerca di fare riforme, discutibili certamente, ma comunque segno di una volontà di rinnovamento. È in politica estera però che il governo delude maggiormente. Alcuni episodi recenti lo dimostrano in maniera incontrovertibile. In un aula “sorda e grigia”, il 24 aprile scorso, deserta dai deputati già partiti per il consueto weekend lungo, il ministro degli esteri Gentiloni ha informato i pochi onorevoli superstiti dal troppo lavoro sull’uccisione del cooperante Lo Porto, colpevole di essere stato rapito da “terroristi” colpiti da un drone americano. Lo Porto è vittima di “fuoco amico”, un effetto collaterale della politica degli assassini “mirati” (una pratica fuori da ogni regola e legge internazionale, ma ormai consueta, che si sta pericolosamente diffondendo). Pochi giorni prima le pacche sulle spalle, i sorrisi, i convenevoli, i saluti giovanilisti non si sprecavano tra Obama e Renzi. Il nostro premier – come prima Letta, Monti, Berlusconi, Prodi, Berlusconi – in visita alla Casa Bianca trovava grande riconoscimento per l’azione dell’Italia e la solita retorica riservata a qualsiasi ospite. Tutti i Presidenti USA fanno così, ma qualcuno da noi crede ancora nella “enorme stima” americana verso una politica – la nostra – che faticano pure a decifrare. Renzi però è sempre così. Lo stile assomiglia davvero a quello di Berlusconi. O del primo Craxi. Grandi proclami, poca concretezza; grandi gesti, nessuna sostanza. E poi, spiace dirlo, il travisamento della realtà, insuccessi spacciati per riconoscimenti del “ruolo internazionale” ritrovato dall’Italia. L’episodio – imbarazzante e doloroso – dell’ostaggio ucciso è soltanto l’ultimo, forse il meno grave data la prassi americana di non guardare in faccia nessuno. Pensiamo alla questione terrorismo e alla questione immigrazione. Davvero il quadro è scoraggiante. A metà febbraio l’Italia stava per affrontare un’invasione. L’ISIS era alle porte. La Libia a un passo dal diventare la nuova provincia del califfato di Al Baghdadi. Arriveranno. Molto prima di quello che si credeva. Addirittura prima delle previsione di Feltri e Sallusti. Sirte era conquistata. Le minacce quotidiane. Il ministro Gentiloni, fresco di nomina, non si spaventa. “L’Italia è pronta a combattere in un quadro di legalità internazionale” – queste le prime dichiarazioni del ministro. L’Italia la guiderà, parola di ministra della difesa, pardon della guerra, Pinotti. Un’intervista del 15 febbraio della ministra (o ministro come si dica) dimostra il livello generale dei nostri governanti. Un delirio farneticante, affermazioni da dilettanti. Sembrava questione di ore per un intervento militare: bisognava decidere se entrare o meno con le nostre truppe di terra in Libia. Cinquemila uomini erano pronti. E poi? Il nulla. Anzi la raffica – questa sì uscita da mitragliatrici ben oliate – delle smentite, del non è vero, dell’azione militare come “opzione sul tavolo” (altra espressione da pappagalli, tipica dei Presidenti USA commander in chief quando stanno per bombardare qualcuno). Poi altre dichiarazioni sulla priorità della diplomazia, sul grande ruolo dell’Italia nel Mediterraneo… Infine l’attenzione scema, la Libia è ancora uno Stato “fallito” con due governi, con varie presenze di gruppi “terroristici”, con l’ISIS che mette qualche bandiera nera e lancia qualche proclama contro il povero ministro “piacione” Gentiloni che diventa un improbabile crociato. Passiamo alla cosiddetta emergenza sbarchi. Va dato atto che questo governo non tratta i migranti come pericolosi assalitori e cerca di salvare quante più vite umane possibili. Probabilmente però a spingere in questa direzione sono le continue denunce di papa Francesco piuttosto che una precisa volontà politica. Perché, concretamente, vere soluzioni non si mettono in campo. Meglio la retorica. Le parole vuote. Il nemico assoluto c’è: sono gli “scafisti”. I nuovi spregevoli mercanti di essere umani. Quando pronunciava queste parole il viso teatrale di Renzi cercava la massima espressione di indignazione, salvo poi ridere salutando Angela, Francoise o David – come orrendamente chiama i primi ministri ai vertici europei. Occorre colpire le navi degli scafisti. Come? Magari con il drone che ha ucciso Lo Porto? Pensiamo a un blocco navale. Per fare cosa? Per salvare meglio i naufraghi piazziamo corvette pronte a sparare agli scafisti. Renzi è riuscito a convocare apposta un vertice europeo sulla questione: bravo, ma gli esiti sono stati totalmente deludenti. Questa è la nostra politica estera. È così da anni. Rimpiangiamo davvero Prodi. Adesso la situazione è molto peggiorata. Qualcuno ricorda che cosa ha fatto Renzi durante la sbandierata presidenza italiana dell’Unione Europea? Qualcuno sa che cosa sta facendo “l’alto commissario” della 11 politica estera UE Mogherini? Ma il problema sono le parole al vento del nostro governo a suscitare apprensione. Piergiorgio Cattani Nato a Trento il 24 maggio 1976, dove risiede tuttora. Laureato in Lettere Moderne (1999) e poi in Filosofia e linguaggi della modernità (2005) presso l’Università degli studi di Trento, lavora come giornalista e libero professionista. Scrive su quotidiani e riviste locali e nazionali. Fa parte della Fondazione Fontana Onlus dal 2010. Dal 2013 è direttore del portale Unimondo. È attivo nel mondo del volontariato e della cultura come presidente dell’ “Associazione Oscar Romero”. Ha scritto numerosi saggi su tematiche filosofiche, religiose, etiche e politiche ed è autore di libri inerenti ai suoi campi di interesse. (fonte: Unimondo newsletter) link: http://www.unimondo.org/Notizie/La-politica-estera-del-governo-Renzi-solovuote-parole-150737 Questione di genere Se il linguaggio cambia l'ordine del mondo (di Margherita Sabrina PerraElisabetta Ruspini) Il linguaggio costituisce un elemento centrale nella definizione delle identità individuali e collettive. Una consapevolezza che emerge dall’esperienza biografica, ma anche dalla cultura popolare, dalla letteratura, dalla musica. Come dimenticare la narrazione fatta da Elias Canetti[1] sul modo un cui la lingua materna ha intrecciato le biografie dell’autore e di sua madre, non solo nella vita quotidianamente condivisa, ma anche nei ricordi e nelle esperienze dell’intera vita dello scrittore? Il linguaggio, formato da complessi codici di comunicazione (segni verbali, diretti e indiretti, e non verbali – ad esempio gesti, espressioni del volto, posture, movimenti del corpo, abbigliamento – come Erving Goffman[2] insegna, tutti di importanza strategica) consente di comunicare con noi stessi/e con gli/le altri/e, al contempo, di definire la realtà, nominandola, raccontandola, descrivendola e interpretandola. In ogni tempo, in ogni luogo, si impiegano e si intrecciano linguaggi diversi che, in forma scritta, orale, grafica, per immagini e suoni, non solo simboleggiano e rappresentano la realtà sociale, ma costruiscono gli elementi materiali e immateriali della cultura, oltre che i sentieri delle realtà possibili e di quelle futuribili. Il linguaggio è poi, come Peter e Brigitte Berger sostengono[3], l’istituzione sociale per eccellenza, costituendo un modello regolatore che la società impone alle condotte individuali, un codice di comportamento sul quale si radicano le altre istituzioni. Queste considerazioni sono condivise anche nella cultura popolare. Un vecchio adagio sentenziava “dimmi come parli e ti dirò chi sei” lasciando intendere che il linguaggio segnala le appartenenze di ciascuno: il genere, la classe sociale, il gruppo etnico, ma anche l’esperienza biografica sono segnalate dai nostri usi linguistici. Nella vita quotidiana, i linguaggi segnano i confini e le similitudini, ma ancora di più le distinzioni sociali; inoltre, i linguaggi rafforzano le disuguaglianze e le reificano descrivendo le realtà sociali come naturali, immanenti e immutabili. Gli esempi di questi processi sono tanti: nelle relazioni familiari i linguaggi esprimono l’intimità, l’amore, ma anche i conflitti e le disparità; nei gruppi dei pari, i linguaggi sono convenzioni che definiscono l’appartenenza, ma troppo spesso anche i processi di esclusione dei non-membri; nelle organizzazioni sociali i linguaggi possono ridisegnare le mappe dei rapporti di dominio, ma anche edificare barriere insormontabili; i linguaggi del potere politico definiscono la cittadinanza, e con essa chi non ha o non può chiedere diritti, e più di tutto le modalità che conducono tanti e tante ad essere stranieri/e ogni giorno. Come nel passato, e forse mai prima d’ora, gli usi linguistici non solo definiscono le comunità dei/delle parlanti, ma sono considerati gli strumenti attraverso i quali queste possono essere estese e ridefinite. L’incessante capacità creatrice riconosciuta al linguaggio ha fatto e continua a fare di quest’ultimo un medium del potere (individuale, di gruppo, istituzionale) e per questo non esente dal conflitto e dalla lotta per il dominio. Nella contemporaneità, le capacità comunicative sono considerate distintive delle leadership politiche, culturali e religiose. Se in passato era la retorica a rappresentare la modalità espressiva privilegiata di questi processi, negli ultimi anni, si apprezza l’uso dei linguaggi finalizzati al rafforzamento delle gerarchie negli ordinamenti sociali, prime fra tutte quelle che originano dalle differenze tra corpi sessualmente definiti. Le profonde – benché parziali – trasformazioni delle rappresentazioni sociali del genere e dell’orientamento sessuale avvenute negli ultimi decenni si accompagnano a modesti cambiamenti degli usi linguistici del tutto inadeguati e non ancora stabilizzati sia sul piano pubblico-istituzionale, sia su quello individuale. Non solo. La maggiore visibilità di soggettività considerate non conformi alle norme sociali prevalenti è ritenuta, in tante società, un pericoloso attacco ai sistemi di genere socialmente preferiti ed incoraggiati. Per queste ragioni, la presenza nello spazio pubblico delle donne e dei soggetti che esprimono identità di genere non egemoni deve essere rallentata, ostacolata e, in primo luogo, occultata. Questo processo di negazione si manifesta anche nella scelta di linguaggi declinati persistentemente al maschile e che simboleggiano gerarchie sociali fortemente patriarcali. A tale proposito, negli ultimi tempi, anche in Italia, sembra in corso qualche mutamento. È caso della lettera inviata, in occasione dello scorso 8 marzo, a tutti i Deputati e le Deputate, dalla Presidente della Camera, che esorta all’uso dei femminili nell’indicazione dei ruoli politici, degli incarichi amministrativi e istituzionali. Si tratta evidentemente di un gesto di grande valenza simbolica, soprattutto perché interviene a spezzare il legame tra linguaggio e sistemi simbolici condivisi dai/delle parlanti rispetto ai ruoli attribuiti al maschile e al femminile. Il riconoscimento della presenza delle donne nelle istituzioni è il primo passo verso la de-costruzione delle rappresentazioni culturali che ancora riguardano il binomio genere-potere. Seppure la deriva culturalista e il linguistic turn, in particolare, abbiano rischiato di fare credere che le disuguaglianze fossero oramai soltanto un problema linguistico, vi è oggi una maggiore consapevolezza del fatto che queste persistono in ragione dell'iniqua distribuzione delle risorse materiali e immateriali e del potere che ad esse viene attribuito. La dimensione simbolica delle disuguaglianze non deve essere trascurata. Anche se vi è una maggiore sensibilità rispetto all’uso sessista del linguaggio, la sua portata è ancora sottovalutata perché non si mettono in discussione le visioni del mondo che queste nascondono rispetto alla mascolinità e alla femminilità, oltre che a identità di genere e orientamenti sessuali. Alcuni tra questi sono definiti sovvertitori degli ordinamenti sociali considerati legittimi perché costruiti su differenze 'naturali' o, più precisamente, incorporate. Per questo tutti i tentativi di costruire e diffondere nuove culture di genere, anche mediante i linguaggi, sono osteggiate mediante la mistificazione del potere del linguaggio nella costruzione di rappresentazioni sociali, dei sistemi simbolici e degli universali culturali. Si parla così del linguaggio come di un fattore eversivo se usato per cambiare 'l’ordine naturale del mondo' e finalizzato alla costruzione di società 'non umane'. A tale proposito si può ricordare che già dalla fine degli anni ’90, il Vaticano ha intrapreso una campagna di discredito nei confronti degli studi di genere. A detta delle gerarchie cattoliche che, coadiuvate da alcune decine di "esperti", hanno pubblicato nel 2003 il Lexicon dei termini ambigui e discussi su famiglia, vita e questioni etiche, tali ricerche opererebbero attraverso una "manipolazione linguistica" per sovvertire "l’alfabeto dell’umano" e produrre la "colonizzazione della natura umana"[4]. Di recente, come già segnalato su questa rivista da un articolo di Barbara Poggio, queste posizioni si stanno ampliando in vere e proprie forme di controllo e censura rispetto ad una fantomatica “ideologia del genere” la cui unica colpa sembra essere quella di volere de-costruire i tanti pregiudizi sui generi da cui originano fenomeni di violenza, bullismo 12 tra i/le più giovani, linguaggi e comportamenti omofobici/transfobici. Al di là delle motivazioni religiose che hanno innescato l’allarme di una parte del mondo cattolico e dell’associazionismo ad esso legato – soggetti, ai quali, come tutti, deve essere riconosciuta la piena libertà di espressione – questi comportamenti assumono i contorni sempre più nitidi di una vera e propria crociata. Essa ci appare ingiustificata e scarsamente comprensibile soprattutto perché, quali che siano i nobili valori che la ispirano, produce e produrrà il rafforzamento di disuguaglianze sociali basate sulle appartenenze di genere e di orientamento sessuale che impediranno a uomini e donne di esprimere pienamente le proprie soggettività. NOTE [1] E.Canetti, La lingua salvata. Storia di una giovinezza, Adelphi, 1991, 15 edizione. [2] E Goffman, Relations in Public: Microstudies of the Public Order, New York: Harper and Row, 1971. Trad it. Relazioni in pubblico. Bompiani 1981. [3] P.L. Berger, B. Berger, Sociology: A Biographical Approach, New York, Basic Books, 1975. [4] Consiglio Pontificio per la Famiglia, 2003 (fonte: InGenere: donne e uomini per la società che cambia) link: http://www.ingenere.it/articoli/se-il-linguaggio-cambia-ordine-del-mondo Notizie dal mondo Palestina e Israele Primo accordo tra Vaticano e Stato di Palestina. È un riconoscimento ufficiale (di Redazione Nena Newsletter) Il trattato deve essere ancora siglato dalle parti, ma l’intesa sul testo è stata raggiunta. Delusione di Israele. Nel week end Abbas incontrerà Papa Francesco. Dal Vaticano arriva il via libera al primo accordo con lo Stato di Palestina. Un riconoscimento che ha fatto infuriare Israele. Il trattato, infatti, apre una nuova pagina nei rapporti tra la Santa Sede e i palestinesi, ma soprattutto riconosce la Palestina. L’intesa sul testo è stata raggiunta e sarà siglata a breve, dopo l’approvazione delle rispettive autorità. Il ministero israeliano degli Esteri si è detto “deluso”, aggiungendo che “una tale decisione non riporterà i palestinesi al tavolo del negoziato” Intanto, sabato il presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas (Abu Mazen), sarà ricevuto dal Papa e domenica assisterà alla canonizzazione, in San Pietro, delle prime due sante palestinesi. I due eventi sono “indipendenti”, ha sottolineato il Vaticano. Nel 2012, la Santa Sede accolse con favore la decisione dell’Assemblea generale dell’Onu di riconoscere lo Stato di Palestina, ma il trattato ha il valore legale di documento negoziato tra le parti, e quindi costituisce un riconoscimento ufficiale. Nena News (fonte: Nena News - agenzia stampa vicino oriente) link: http://nena-news.it/primo-accordo-tra-vaticano-e-stato-di-palestina-e-unriconoscimento-ufficiale/ Associazioni Iniziative Il sole filtra... anche dalle sbarre: il volontariato visto da chi è stato accolto (di AVAA) Venerdì 22 maggio prossimo, alle ore 21.15, a Massa, presso la Villa della Rinchiostra, in Via Mura della Rinchiostra Nord, si terrà l'ultimo degli appuntamenti del ciclo "L'incontro con l'altro... oltre il pregiudizio e i timori", organizzati dall'Associazione Volontari Ascolto e Accoglienza. Il tema che verrà approfondito venerdì sarà "Il sole filtra... anche dalle sbarre: il volontariato visto da chi è stato accolto"; ci accompagnerà in questa riflessione Pompeo Giannini, scrittore che abita a Firenze, a partire proprio da alcune esperienze di accoglienza che esistono in questa città. La storia personale di Pompeo ci offre l'occasione unica di riflettere sul tema dell'accoglienza partendo dalla prospettiva e dal punto di vista di chi in prima persona si è trovato a chiedere aiuto e a fruire di servizi offerti dal volontariato. Troppo spesso infatti, sia nel terzo settore che nelle strutture pubbliche, tendiamo a modellare i servizi proposti in base ai nostri parametri, a rileggerli poi sempre a partire dal nostro punto di vista, a valutarli infine in rapporto alle nostre chiavi di lettura. Troppo spesso riduciamo il nostro obiettivo all'erogazione di un un servizio, rischiando di non avere cura della persona che abbiamo di fronte, più disponibili a cercare di risolvere la richiesta immediata di aiuto che ad ascoltare la complessità di bisogni di cui è portatrice quella persona. Troppo spesso costruiamo e organizziamo servizi a nostra immagine e somiglianza, senza tenere conto delle persone che vi si rivolgono, della loro vita, dei loro bisogni, e della necessità di rendere quei luoghi accoglienti e inclusivi. L'iniziativa di venerdì vuole invece dare voce a chi quei servizi li ha utilizzati e può leggerli, quindi, dall'altro punto di vista, aiutando anche noi a cogliere prospettive e angolazioni nuove con cui vivere il nostro approccio all'altro, costruendo relazioni più significative e renderendo più caldi e umani gli spazi in cui operiamo. In tale ottica l'appuntamento del 22 non è rivolto solo a volontari od operatori, ma è un'occasione preziosa per riflettere e confrontarci sulle nostre capacità di accoglienza, sia a livello personale che di strutture. link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2276 13