pathologica 2007;99:301-305 Caso clinico Carcinoma dei dotti collettori di Bellini in età pediatrica: descrizione di un caso e revisione della letteratura Collecting duct carcinoma iin paediatric patients: a case report and review of the literature A. Gurrera, P. Amico, A. Di Cataldo*, E. Vasquez, G. Magro Dip. “G.F. Ingrassia”, Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico “Gaspare Rodolico”, Catania; * Centro di Riferimento Ematologia e Oncologia Pediatrica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico “Gaspare Rodolico”, Catania Parole chiave Carcinoma dotti collettori • Rene • Età pediatrica Riassunto Key words Collecting duct carcinoma • Kidney • Children Summary Il carcinoma dei dotti collettori è una variante rara di carcinoma renale che insorge in pazienti più giovani rispetto al carcinoma renale convenzionale. È caratterizzato da un decorso clinico aggressivo, spesso fatale. I carcinomi renali dell’età pediatrica sono rari e si associano spesso a specifiche alterazioni genetiche. Gli istotipi più frequenti sono il carcinoma a cellule chiare e quello a cellule cromofobe, mentre eccezionale è il riscontro del carcinoma dei dotti collettori, con circa 8 casi riportati in letteratura. Descriviamo gli aspetti clinico-patologici di un carcinoma dei dotti collettori insorto in un bambino di 11 anni caratterizzato da un decorso clinico fatale. Collecting duct carcinoma is an uncommon variant of renal cell carcinoma that usually occurs at an earlier age compared to conventional renal cell carcinoma. It is characterised by an aggressive, often fatal, course. Renal cell carcinoma rarely occurs in paediatric patients, and is almost always in association with specific genetic alterations; the most common histotypes are the clear cell and chromophobe cell variants. Collecting duct carcinoma is rare, and only 8 cases have been reported in the literature. The authors describe the clinico-pathological features of a fatal collecting duct carcinoma in an 11-year old boy. Introduzione Caso clinico Il carcinoma dei dotti collettori di Bellini è una rara neoplasia renale, rappresentando meno dell’1% dei tumori epiteliali maligni dell’adulto. Questo tumore mostra un picco d’incidenza attorno ai 50 anni di età, e generalmente si riscontra in pazienti di età più giovane rispetto al carcinoma renale convenzionale 1 2. La distinzione di questa neoplasia dagli altri istotipi di carcinoma renale è di cruciale importanza, in quanto presenta un decorso clinico aggressivo ed una prognosi sfavorevole. Infatti, nella maggior parte dei casi, al momento della diagnosi, la neoplasia si presenta già in fase metastatica 1 2. Sono eccezionali i casi di carcinoma dei dotti collettori di Bellini insorti in età pediatrica o adolescenziale; in letteratura finora sono stati descritti circa otto casi. Un bambino di 11 anni presentava improvvisamente, in pieno benessere, un episodio di ematuria macroscopica. L’esame obiettivo e gli esami ematochimici risultavano nella norma. L’ecografia dell’addome evidenziava la presenza di una neoformazione solida nel rene destro. La TC toraco-addominale confermava la presenza di una neoformazione renale, infiltrante il grasso perirenale con aree ipodense riferibili ad aree di necrosi intralesionale. Inoltre, si evidenziavano trombosi della vena cava inferiore ed alcuni linfonodi aumentati di volume (diametro massimo 14 mm) in sede inter-aorto-cavale. Era presente una lesione nel VII segmento epatico, di verosimile origine metastatica. Il bambino veniva sottoposto a nefrectomia radicale destra con linfoadenectomia. Macroscopicamente la neoplasia, delle dimensioni Corrispondenza Dott.ssa Alessandra Gurrera, Dip. “G.F. Ingrassia”, Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico “Gaspare Rodolico”, via S. Sofia 87, 95123 Catania, Italy - Tel. +39 095 3782030 - Fax +39 095 3782023 - E-mail: [email protected] 302 A. Gurrera et al. di 6,3 cm di diametro maggiore, era localizzata nel polo superiore del rene destro e occupava sia la corticale che la midollare. Alla superficie di taglio, la neoformazione presentava un colorito bianco-grigiastro, ampie aree di necrosi e margini infiltrativi (Fig. 1). La capsula renale, a tratti, appariva infiltrata. I linfonodi reperiti nel tessuto adiposo ilare e quelli addominali para-aortici asportati, apparivano aumentati di volume e conglobati. Istologicamente la neoplasia presentava un pattern prevalentemente tubulare (Fig. 2A), con tubuli di varie dimensioni, talora dilatati microcisticamente, immersi in uno stroma con marcata reazione desmoplastica (Fig. 2B). Erano presenti focali accumuli di mucina intraluminale. I tubuli erano rivestiti da cellule cubico/colonnari con abbondante citoplasma eosinofilo che, occasionalmente, protrudevano all’interno del lume, configurando un aspetto tipo “hobnail”. Si riscontravano, inoltre, aree con pattern di crescita di tipo solido-trabecolare (Fig. 2C), con focale aspetto fusato-sarcomatoide ed ampie aree di necrosi tumorale. Le cellule mostravano marcato pleomorfismo nucleare con nuclei vescicolosi e Fig. 1. Aspetto macroscopico. Neoformazione solida in corrispondenza del polo superiore del rene destro, con margini irregolari ed aree di necrosi intratumorale. Fig. 2. Aspetti microscopici. (A) Pattern di crescita tubulare: tubuli neoplastici di varie dimensioni, immersi in stroma desmoplastico. (B) Tubuli neoplastici dilatati microcisticamente con reazione desmoplastica dello stroma. (C) Pattern di crescita prevalentemente solidotrabecolare. (D) Tubuli circostanti la neoplasia con displasia di grado variabile, da lieve a moderato-severo con associata neoplasia invasiva (in basso a destra). A B C D 303 Carcinoma dei dotti collettori di Bellini in etÀ pediatrica nucleoli prominenti; si evidenziavano numerose mitosi, alcune atipiche. Alcuni tubuli circostanti alla neoplasia presentavano un grado variabile di displasia, da lieve a moderato-severo (Fig. 2D). Sulla base degli aspetti morfologici veniva posta la diagnosi di “carcinoma dei dotti collettori di Bellini, di tipo classico”. La neoplasia infiltrava la pelvi e si estendeva al tessuto adiposo del seno renale e perirenale. Tutti i linfonodi esaminati risultavano metastatici. Stadiazione pTNM: T3 N2 Mx. Le indagini immunoistochimiche evidenziarono una positività per l’antigene epiteliale di membrana (EMA), per le citocheratine 7, 8, 18 e per le citocheratine ad alto peso (34βE12). Negative risultarono le colorazioni per vimentina e racemasi (Tab. I). Tab. I. Carcinoma dei dotti collettori in età pediatrica: dati immunoistochimici ottenuti. Citocheratina 7 + Citocheratina 8 + Citocheratina 18 + Citocheratina 34βE12 + Antigene epiteliale di membrana + Racemasi - Vimentina - Per il carcinoma dei dotti collettori di Bellini, patologia estremamente rara in età pediatrica, non è disponibile un protocollo terapeutico standard. Le Linee Guida del Gruppo TREP (Tumori Rari Età Pediatrica) dell’AIEOP (Associazione Italiana di Ematologia ed Oncologia Pediatrica) prevedono, in caso di nefrectomia e presenza di linfonodi metastatici, un trattamento con Interleuchina 2 alla dose di 3.000.000 di Unità/mq/die per via sottocutanea per 5 giorni, seguiti da 9 giorni di pausa, per un periodo di 6 mesi, quindi un totale di 12 cicli. In assenza di effetti collaterali significativi è previsto di aumentare il dosaggio fino a 6.000.000 di Unità. La terapia è stata somministrata per i primi 7 cicli senza problemi di rilievo, all’infuori di una lieve sindrome influenzale trattata efficacemente con FANS. All’inizio dell’8° ciclo, una ecografia dell’addome mostrava la presenza di numerosi linfonodi aumentati di volume in prossimità del tripode celiaco. La TC confermava il dato ecografico e mostrava altresì: i) linfonodi aumentati di volume nel mediastino anteriore, medio e posteriore ed agli ili polmonari; ii) diffuse metastasi polmonari bilaterali; iii) metastasi ossee al rachide toraco-lombare, e alle due scapole; iv) numerose metastasi epatiche; v) trombosi della vena cava inferiore allo sbocco della vena renale ed a livello intraepatico; vi) metastasi al surrene sinistro; vi) metastasi alla milza. Non fu eseguita nessuna altra terapia. Il ragazzo è deceduto a casa, 40 giorni dopo l’esecuzione della TC. Discussione Il carcinoma renale è una neoplasia dell’età adulta con un picco di incidenza intorno alla sesta decade di vita. Nei bambini e negli adolescenti è raro, rappresentando meno del 7% dei tumori maligni primitivi del rene 3 (e meno del 4% dei tumori renali primitivi); in questa fascia d’età gli istotipi più frequenti sono la variante a cellule chiare 4 e il carcinoma a cellule cromofobe 5. I carcinomi renali dell’età pediatrica differiscono da quelli che insorgono in età adulta in quanto spesso si associano a specifiche anomalie cromosomiche. Tra queste, le più comuni sono le traslocazioni che interessano il cromosoma Xp11.2 e comportano una fusione del gene TFE3; infatti nella classificazione WHO 2004 6 è stata inserita una variante di carcinoma renale, definita appunto “carcinoma renale con traslocazione Xp11.2/fusione del gene TFE3”, caratterizzata da un diverso comportamento clinico e da una predilezione per l’età pediatrica e giovane adulta. Un’altra anomalia ben nota è quella che interessa la regione genica VHL localizzata nel cromosoma 3p25-26 che si riscontra nei carcinomi renali a cellule chiare associati alla sindrome von Hippel-Lindau, che insorgono in pazienti più giovani rispetto ai carcinomi usuali. In una serie di carcinomi renali dell’età pediatrica riportata 7 sono state descritte infatti una perdita della eterozigosi della regione genica VHL e un’instabilità dei microsatelliti. I carcinomi renali dell’età pediatrica differiscono, inoltre, da quelli dell’età adulta anche per alcuni aspetti morfologici, essendo più frequenti i sottotipi ad architettura papillare 8 e le varianti inusuali, quali il carcinoma a cellule chiare associato a tumore di Wilms 7 e casi di carcinoma renale associati a neuroblastoma, insorto dopo trattamento chemioterapico 9. Il carcinoma dei dotti collettori di Bellini è una rara variante di carcinoma renale con distinti aspetti clinici e istopatologici 10 che insorge in età più giovane rispetto al carcinoma renale convenzionale 11, presenta una predominanza maschile e si riscontra in pazienti con familiarità per patologia neoplastica 12. È una neoplasia inusuale e ancora più raro è il suo riscontro nei bambini e negli adolescenti; in letteratura ne sono riportati circa otto casi (Tab. II) 3 7 8 12-14. Insorge tipicamente nella midollare del rene, dai dotti collettori distali, anche se sono descritti casi insorti nella corticale 15. Macroscopicamente ha margini mal definiti, spesso infiltrativi con frequente estensione al tessuto adiposo del seno renale e perirenale. Microscopicamente presenta vari pattern di crescita, più frequentemente tubulare o tubulo-papillare, talora microcistico, che conferisce alla neoplasia un aspetto spugnoso, e/o solido con possibile componente a cellule fusate di aspetto sarcomatoide 16 17. È tipico il riscontro di una marcata reazione desmoplastica dello stroma circostante. Occasionale è la presenza di mucina intraluminale, interstiziale o intracitoplasmatica, talora con aspetto a cellule ad anello con castone, che può simulare un adenocarcinoma mucinoso. Inusuale è il riscontro di inclusioni filamentose che simulano un tumore rabdoide 13. 304 A. Gurrera et al. Tab. II. Carcinoma dei dotti collettori in età pediatrica: dati clinico-patologici. Autore N. casi Sesso Età Dimensione tumore Trattamento Stadiazione Follow-up Lack 1 F 16 anni 3 cm nefrectomia, radioterapia, actinomicina D e vincristina IV (AJCC) Mts* linf** mediastinici e para-aortici deceduto dopo 2 anni; mts* polmonari, epatiche, linfonodali Weeks 1 M 3 anni > 5 < 19 cm (range) nefrectomia ? ? Dimopoulos ? ? 16-62 anni (range) > 2,7 < 14 cm (range) nefrectomia ? 4-65 mesi Craver 1 M 8 anni 7 cm nefrectomia interferon-α mts* pleurica, polmonare, linf** retroperitoneali e diaframmatci deceduto dopo 5 gg Renshaw 2 ? 11 anni 2,9 cm nefrectomia T1-2, N1 (AJCC) 1 paziente deceduto dopo 2 anni; 16 anni 5 cm 17 anni 6 cm 19 anni 5,5 cm 11 anni 6,3 cm Bruder 2 Gurrera * mts: metastasi; 1 ** ? M 1 paziente no evidenza di malattia dopo 18 anni nefrectomia ? ? nefrectomia e interleuchina pT3 N2 (TNM) deceduto dopo 40 gg; mts* linf**, epatiche, polmonari e addominali linf: linfonodi Sebbene la maggior parte dei carcinomi dei dotti collettori riportati in letteratura insorga come neoplasia renale isolata, occasionalmente sono stati descritti casi in associazione con carcinomi renali papillari 18 ed oncocitomi 19. Nel caso da noi descritto la neoplasia presentava la tipica localizzazione midollare e l’origine della neoplasia dai dotti collettori era supportata dal riscontro di aspetti displastici nei dotti viciniori 14 20 e dalla positività immunoistochimica per citocheratine 7, 8, 18, per citocheratine ad alto peso (34βE12) e per l’antigene epiteliale di membrana (EMA), a conferma dell’origine dalle cellule del tubulo distale che normalmente esprimono questi antigeni 12; la vimentina e la racemasi – antigeni espressi insieme alle citocheratine a basso peso dai carcinomi renali convenzionali che originano dalle cellule dei tubuli prossimali – risultavano invece negative. La diagnosi differenziale veniva posta con il carcinoma renale di tipo midollare. Questa neoplasia, pur insorgendo dai dotti collettori distali, è considerata un’entità distinta di carcinoma renale. Essa tipicamente insorge in soggetti giovani (range 10-40 anni) e si associa quasi sempre ad anemia falciforme 21. Istologicamente è caratterizzata da un prevalente pattern di crescita di tipo reticolare, che ricorda il tumore del sacco vitellino, associato ad un pattern di crescita tubulare/adenoido-cistico. Lo stroma è marcatamente desmoplastico, come nel carcinoma dei dotti collettori. Tuttavia, nel nostro caso, l’assenza di emoglobinopatie e, istologicamente, del tipico pattern reticolare e tubulare/adenoido-cistico, ci consentiva di escludere il carcinoma renale di tipo midollare. Il carcinoma dei dotti collettori che insorge in età adulta non sembra essere associato a specifiche anomalie cromosomiche, anche se è stata riportata una monosomia per i cromosomi 1, 6, 14, 15 e 22 22. Queste anomalie non sono state riscontrate invece nei carcinomi dei dotti collettori dell’età pediatrica, i quali sembrano essere correlati invece ad una elevata instabilità dei microsatelliti (MSI) 7, suggerendo che questo fenomeno possa avere un importante ruolo patogenetico. Conclusioni Il caso da noi descritto conferma che il carcinoma dei dotti collettori dell’età pediatrica, così come quello insorto in età adulta 23, è caratterizzato da un decorso clinico aggressivo e da una prognosi infausta. Il trattamento è limitato 305 Carcinoma dei dotti collettori di Bellini in etÀ pediatrica alla sola resezione chirurgica, essendo la neoplasia poco sensibile sia alla chemioterapia che alla radioterapia. La maggior parte dei casi descritti si presentano con metastasi polmonari al momento della diagnosi 12; nel nostro caso, all’esordio la malattia si presentava ad uno stadio avanzato (pT3N2) ed erano già presenti metastasi diffuse, epatiche e polmonari. Le Linee Guida del Gruppo TREP dell’AIEOP prevedono in caso di nefrectomia e metastasi linfonodali un trattamento con interleuchina. Nel nostro caso, la terapia con interleuchina non riusciva a contrastare la malattia che, progredendo ulteriormente, portava rapidamente a morte il paziente. Bibliografia Srigley JR, Moch H. Carcinoma of the collecting ducts of Bellini. In: Eble JN, Sauter G, Epstein JI, Sesterhenn IA, eds. Pathology and Genetics. Tumours of the urinary system and male genital organs. Lyon: IARC 2004, p. 33-4. 2 Murphy WM, Grignon DJ, Perlman EJ. AFIP Atlas of Tumor Pathology Series 4. Tumours of the Kidney, Bladder, and Related Urinary Structures (Kidney tumors in adults). Washington: American Registry of Pathology 2004. 3 Lack E, Cassady JR, Sallan SE. Renal cell carcinoma in childhood and adolescence: a clinical and pathological study of 17 cases. J Urol 2006;133:822-8. 4 Cook A, Lorenzo AJ, Salle JL, Bakhshi M, Cartwright LM, Bagi D, et al. Pediatric renal cell carcinoma: single institution 25-year case series and initial experience with partial nephrectomy. J Urol 2006;175:1456-60. 5 Campus R, Nozza P, Dell’acqua A, Sementa AR, Gambini C, Dodero P. Eosinophilic chromophobe renal cell carcinoma in child with hypospadias. 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Collecting duct renal cell carcinoma: clinical study of a rare tumor. J Urol 2002;167:71-4. 11 Tokuda N, Naito S, Matsuzaki O, Nagashima Y, Ozono S, Igar1 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 ashi T, Japanese Society of Renal Cancer. Collecting duct (Bellini duct) renal cell carcinoma: a nationwide survey in Japan. J Urol 2006;176:40-3. Craver RD, Correa H, Crapanzano JP, Kumar SR, Gardner RV. Renal collecting duct carcinoma in an 8-year-old child. Pediatr Nephrol 1996;10:29-32. Weeks DA, Beckwith JB, Mierau GW, Zuppan CW. Renal Neoplasm mimicking rhabdoid tumor of kidney. A report from the national Wilm’s tumor study pathology center. Am J Surg Pathol 1991;15:1042-54. Dimopoulos MA, Logothetis CJ, Markowitz A. Collecting duct carcinoma of the kidney. Br J Urol 1993;71:388. Gurocak S, Sozen S, Akyurek N, Uluoglu O, Alkibay T. Cortically located collecting duct carcinoma. Urology 2005;65:1226. Gong Y, Sun X, Haines GK 3rd, Pins MR. 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A biopsy specimen led to the diagnosis of granuloma faciale. The patient received a session of pulsed-dye laser therapy, which led to significant improvement. This benign and usually isolated dermatosis can more rarely be extrafacial. It may often be mistaken for other benign dermatoses (sarcoidosis, discoid lupus erythematosus) as well as for malignant dermatoses (lymphoma, basal cell carcinoma). Histology is key to correct diagnosis. Introduction Granuloma faciale is a rare, benign condition of the skin that usually occurs on the face, although extra-facial forms have been described. The lesion can be mistaken for other benign or malignant dermatoses. Histopathology is thus key to correct diagnosis. Herein the authors present an isolated case of granuloma faciale, and present the clinical and histological characteristics and treatment options for this dermatosis. Parole chiave Granuloma facciale Riassunto Il Granuloma facciale è uno stato benigno raro della pelle che si presenta solitamente sulla faccia. Attraverso un caso isolato del granuloma facciale, preciseremo le particolarità cliniche ed istologiche di questa dermatosi: un uomo di 49 anni si è presentato con una lesione di 6 mesi marrone-rosso papulo-nodulare asintomatica del naso di 10 millimetri di diametro. È stata effettuata una biopsia della lesione che ha condotto alla diagnosi del granuloma facciale. Il nostro paziente ha ricevuto un’applicazione di laser pulsed-dye con un notevole miglioramento. Questa dermatosi, benigna e solitamente solitaria, può raramente essere extrafacciale. Può essere confusa spesso con altre dermatosi benigne (sarcoidosi, erythematosus discoid lupus) e perfino dermatosi maligne (linfoma, carcinoma basocellulare). Ecco perché l’istologia è la chiave per una diagnosi corretta. Fig. 1. Erythematous papulo-nodular lesion of the nose with dilated ostia of infundibula on the surface. Case report A 49-year-old man presented with a 6-month history of an asymptomatic papulo-nodular lesion of the nose. Upon examination a 10 mm-diameter red-brown nodule marked on its surface by patulous ostia of infundibula Correspondence Dr Khaled Aida, Résidence Diar Ezzahra 4 immeuble Ambar Appartement 94, 2034 Ezzahra Tunisia - Tel. +21 698 670022 - Fax +21 671 571441 - E-mail: [email protected] 307 Granuloma faciale was visible (Fig. 1). There were no laboratory findings. A biopsy specimen showed a dense mixed-inflammatory-cell infiltrate of the dermis (Fig. 2) composed of lymphocytes, plasma cells, macrophages, eosinophils and neutrophils, which were sometimes leukocytoclastic and infiltrate was concentrated around ectatic blood vessels (Fig. 3) that house fibrin in their wall; extrava- Fig. 4. Spared papillary dermis or Grenz zone. Fig. 2. Dense inflammatory dermic infiltrate. sated erythrocytes could also be observed. The lesion spared the overlying epidermis and the papillary dermis forming a Grenz zone (Fig. 4). These findings lead to the diagnosis of granuloma faciale. The patient received a session of pulsed-dye laser with subsequent improvement of the lesion. Discussion Fig. 3. Infiltrate concentrated around ectatic blood vessels composed of lymphocytes, plasma cells, macrophages, eosinophils and neutrophils sometimes leukocytoclastic with extravasated erythrocytes and perivascular fibrin deposits. Granuloma faciale is a rare benign granulomatous condition of unknown aetiology that affects predominantly middle-aged men 1. It was first described as cutaneous eosinophilic granuloma by Lever in the 1950’s 2. The lesion, often solitary (in two-thirds of cases) 2 3, appears as red-brown or purple, rarely ulcerated, papule, nodule or plaque. It is generally asymptomatic and only rarely does it cause pruritus. Dilated ostia of infundibula on its surface are suggestive of diagnosis 3. Superficial telangiectasia can also be observed 2. Granuloma faciale is usually located on the face (95% in Ortonnes’s series 2) where it tends to occur on the nose (27%), forehead (25%) or cheeks (21%). Extra-facial locations are rare but cases where the trunk, upper limbs or scalp are involved have been also reported 4-6. When two locations coexist, the facial lesion is generally the first to appear 7. Clinically, granuloma faciale can lead to erroneous diagnosis of cutaneous sarcoidosis, lymphoma, polymorphous light eruption, discoid lupus erythematosus or even basal cell carcinoma 1. Diagnosis is based on histopathological examination, which shows a dense and polymorphous infiltrate that spares the overlying epidermis and the papillary dermis (Grenz zone) (Fig. 4) and concentrates around ectatic blood vessels (Fig. 3). This infiltrate is composed of lymphocytes, plasma cells, macrophages, eosinophils and neutrophils that are sometimes leukocytoclastic (Fig. 3). Extravasated erythrocytes, hemosiderin deposits and fibrin peri-vascular deposits may also be observed. All these features were present in our case, although none is mandatory for diagnosis. Indeed, even those lesions considered as “classic”, can be absent in confirmed granuloma faciale 1. 308 A. KHALED et al. The infiltrate composition depends on the age of the lesions. Early plaques show a predominance of eosinophils 1 and fibrinoid necrosis 3, whereas in more mature lesions, the infiltrate is lympho-histiocytic with occasional perivascular fibrosis 3. Erythema elevatum diutinum may constitute a histological differential diagnosis of granuloma faciale, especially in extrafacial locations, since it shows vasculitis with a dense inflammatory infiltrate composed of leukocytoclastic neutrophils. Neither the biological characteristics associated with granuloma faciale, apart from a moderate and inconstant elevation in blood eosinophils, nor pathological associations have been described. These lesions are benign but persistent, growing slowly and rarely ulcerating. Treatment remains unclear because of the lack of randomised studies. Many treatments have been attempted with limited or transitory benefits (antimalarials, dapsone, topical or intralesional corticosteroids, clofazimine, PUVA therapy, liquid nitrogen, surgical excision, argon laser, CO2 laser) 5. Promising results, particularly regarding the aesthetic aspects have been reported with cryosurgery 8 and pulsed-dye laser 6 9. Our patient received the latter treatment with subsequent clinical improvement. References 5 Ortonne N, Wechsler J, Bagot M, Grosshans E, Cribier B. Granuloma faciale: a clinicopathologic study of 66 patients. J Am Acad Dermatol 2005;53:1002-9. 2 Lever WF, Lane CG, Dowling JG, Spangler AS. 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Granuloma faciale treated with the pulsed-dye laser: a case series. Clin Exp Dermatol 2005;30:373-5. pathologica 2007;99:309-312 Caso clinico Intraventricular neurocytoma: case report Neurocitoma intraventricolare: caso clinico S. Ulivieri, G. Oliveri Department of Neurosurgery, “Santa Maria alle Scotte” Hospital, Siena, Italy Key words Central neurocytoma • Intrventricular neoplasm • Magnetic resonance imaging Summary Parole chiave Neurocitoma • Tumore ventricolare • Risonanza magnetica nucleare Riassunto Intraventricular neurocytoma is a rare, usually benign tumour of neuronal differentiation, recently recognized as a clinico-pathological entity in comparison to the other intraventricular tumours. It is generally found in the lateral or third ventricles in close relationship with the septum pellucidum, and commonly affects young adults. The authors present a case of an intraventricular neurocytoma in a 25-year-old male and discuss the importance of diagnostic criteria, pathological findings and management of these tumours. Il neurocitoma intraventricolare è un tumore raro, frequente nei pazienti giovani, recentemente riconosciuto come un’entità clinico-patologica nuova rispetto agli altri tumori de ventricoli cerebrali, generalmente localizzato nel terzo o nei venticolo laterale e spesso a contatto con il setto pellucido. Viene presentato il caso clinico e la letteratura attinente revisionata e discussa. Introduction cytochemical analysis and molecular techniques can confirm the neuronal origin of the tumour. Since the initial description of central neurocytoma by Hassoun et al. 1, a number of reports have documented the histological, immunohistochemical and ultra structural features and clinical outcome of this neoplasm. Usually found in an intraventricular location, these tumours show clear cells intersected by a vascular meshwork. Tumours with these histological features have also been reported in an extra ventricular location, in the corpus callosum, in basal ganglia and within the parenchymal and spinal cord. More recently, a multifocal neurocytic tumour with leptomeningeal dissemination has been reported 2. Although generally associated with favourable prognosis, cases with aggressive courses have also been reported 3. Intraventricular tumours usually present with signs of occlusive hydrocephalus such as headache, nausea and visual or mental disturbances 4 5. Differential diagnosis of these tumours includes choroid plexus papilloma, ependymona, subependymal giant-cell astrocytoma, intraventricular meningioma, astrocytoma and oligodendroglioma; immuno- Case report A 25-year-old male presented with a history of headache lasting a few months. Neurological and physical examination was normal. CT scan disclosed a large isodense ventricular tumour entirely occupying the frontal horn of the left lateral ventricle displacing the septum to the right that was enhanced slightly after contrast injection. MRI of the brain confirmed similar features with the tumour obstructing of the foramen of Monro and the involvement of the rostrum of corpus callosum (Fig. 1). The patient underwent a left frontal craniotomy; and the left lateral ventricle was entered through a transcallosal approach. The tumour was soft and could be removed with gentle suction; the wall of the lesion was gently peeled off from the wall of the ventricle, and appeared to arise just posterior to the septum pellucidum. Histological examination demonstrated a homogenous Correspondence Dr. Simone Ulivieri, Unità Operativa Complessa di Neurochirurgia, Policlinico “Santa Maria alle Scotte”, 53100 Siena, Italy Tel. +39 0577 585754 - E-mail: [email protected] 310 Fig. 1. Axial T1-weighted MRI scan shows the tumour, isointense with the cerebral cortex in the left lateral ventricle. S. Ulivieri, G. oliveri Fig. 3. The case was synaptophysin immunopositive (Syn x 200). astrocytes within the tumour tissue, although the neoplastic cells stained negative for GFAP. The postoperative period was uneventful, with a transient neuropsychological dysfunction corresponding to frontal signs and callosal disconnection signs; there was no residual tumour detected in the postoperative CT scan, and the patient was discharged after 10 days. Discussion Fig. 2. Histomorphology of central neurocytoma (CN) showing sheets of uniform, small-to-medium-sized cells (x 100). proliferation of uniform small cells separated by zone of fine fibrillarity (Fig. 2). Honeycomb architecture, Homer-Wright rosettes and pseudo rosettes were not found. Immunohistochemistry for synaptaphysin showed a dot-like strong positivity between cells and a slightly greater positivity in the peripheral cytoplasm on neoplastic cells (Fig. 3). Glial fibrillary acid protein (GFAP) was immunoreactive for rare reactive Central neurocytoma is defined by the World Health Organization (WHO) classification of tumours as a neoplasm composed of uniform round cells with neuronal differentiation, typically located in the lateral ventricles around the foramen of Monro 6. Intraventricular neurocytoma generally have a favourable prognosis and are included in the group of WHO grade II tumours. It occurs predominantly in young adults or adolescents with an incidence of 0.1-0.5% of all intracranial tumours; both sexes are equally affected 7 8. Computed tomography (CT) scans demonstrate an iso-or slightly hyper-dense mass within the body of the lateral ventricles near the foramen of Monro; areas of hypodensity represent cystic degeneration and approximately 50% of central neurocytoma demonstrate calcification on CT imaging. Contrast enhancement is mild to moderate. Magnetic resonance imaging (MRI) usually reveals a mass that is isointense on T1 weighted imaging and on T2 is relatively isointense with the cortex. There is a moderate enhancement after administration of gadolinium 9. Central neurocytoma is composed of uniform, smallto-medium-sized cells with rounded nuclei, finely stippled chromatin (salt and pepper chromatin) and inconspicuous nucleoli, together with scant cytoplasm. The cells are either scattered diffusely or arranged in groups, separated by non-branching, thin-walled vascular channels; in certain areas they 311 Intraventricular neurocytoma are arranged in a fibrillary background. However the presence of small areas of necrosis, nuclear plemorphism and increased mitotic activity are features of malignancy. Vascularity is represented by long, thinwalled capillary-sized vessels, which are arranged in a linear arborizing pattern, give rise to an endocrine appearance. In many cases, thin walled dilated vascular channels, and foci of calcification are readily identified. In places, tumours display dense cellular areas alternating with fibrillary/ acellular areas. The latter components are mainly perivascular and have a fine fibrillary neuropil matrix mimicking “rosettes of ependymoma”. Immunostaining for neuron-specific enolase (NSE) and synaptophysin confirm the neuronal nature of the neoplasm. Typically, synaptophysin immunoreactivity is noted in the neuropil, especially in fibrillary zones and perivascular cell-free areas, and not in the cell bodies of normal neurons. False cytoplasmic immunopositivity may be attributed to preexistent neuropil or neuronal structures, or faulty antigen retrieval techniques and/or use of polyclonal antisynaptophysin antibodies. However, false immunonegativity ascribed to spontaneous absence of immunoreactivity, small biopsies or technical difficulties does not rule out a diagnosis of neurocytoma. Glial fibrillary acid protein (GFAP) staining can be found in central neurocytomas. It is unclear whether these cells represent neoplastic or reactive astrocytes; it has been suggested that central neurocytomas originate from bipotential (neuronal and astrocytic) progenitor cells in the periventricular region that persist into adulthood 10. Electron microscopy demonstrates clear and dense core vesicles, microtubules and synapse formation. Molecular analysis for the detection of chromosomal anomalies in intraventricular neurocytomas can be performed with a number of tests, and genomic alterations have been found in 60% of cases 11. Most neurocytomas are cytologically and mitotically unremarka- ble. Cytogenetic and molecular studies for neurocytomas have yielded variable and inconsistent results, but have included loss of chromosome 17 12, gain of chromosomes 2p, 10q, 18q 13, and isochromosome 17 14. Owing to their artifactual cytoplasmic vacuolations and monomorphic histologic appearances, neurocytomas, and especially extraventricular neurocytoma, must be differentiated from oligodendroglial tumors. An intraventricular tumour with a solid, noninfiltrating pattern along with perivascular pseudorosettes warrants differential diagnosis with ependymomas. Other differential diagnoses of neurocytomas include astrocytomas, mixed gliomas, neuroblastomas, hemangioblastomas and, more rarely, metastases. Central neurocytomas are thought to represent the benign end of the spectrum of neuronal tumors that are generally amenable to surgical excision, with an overall favorable outcome. The surgical approaches for these lateral ventricular tumours include the transcallosal or transventricular routes 15. The hydrocephalus should be treated only if it persists after surgery. An important aspect of clinical management concerns the sensitivity of these lesions to radiation therapy. The histopathological features of prototype neurocytomas, such as advanced neuronal differentiation, low mitotic activity, absence of vascular endothelial proliferations and tumour necrosis suggest a relative resistance to ionizing radiation. The experience with chemotherapy for central neurocytoma has been more limited. In the series of Schild et al. 16, four patients received chemotherapy after radiation and there was no tumour progression by CT and MRI imaging. Various combinations of carmustine, lomustine, prednisone, vincristine and cisplatin have been used. We propose complete microsurgical removal of the tumour as the treatment of choice for intraventricular neurocytoma; radiotherapy eventually followed with chemotherapy should be reserved for specific cases, such as subtotal resection and in malignant or recurrent tumours. References 7 Hassoun J, Gambarelli D, Grisoli F, Pellet W, Salamon G, Pellisier JF, et al. Central neurocytoma: an electronmicroscopic study of two cases. Acta Neuropathol 1982;56:151-6. 2 Yamamoto T, Komori T, Shibata N, Toyoda C, Kobayashi. Multifocal neurocytoma with extensive leptomeningeal dissemination in the brain and spinal cord. Am J Surg Pathol 1996; 20:363-70. 3 Sharma MC, Sarkar C, Kaaraak AK, Gaikwad S. Intraventricular neurocytoma: a clinicopathological study of 20 cases with review of the literature. J Clin Neurosc 1999;6:319-23. 4 Dodero F, Alliez JR, Metellus P, Hassan H, Hassoun J, Alliez B. Central neuorcytoma: 2 case reports and review of the literature. Acta Neurochir 2000;142:1417-22. 5 Patil AA, McComb RD, Gelber B, McConnell J, Sasse BS. Intraventricular neurocytoma: a report of two cases. Neurosurgery 1990;26:140-4. 6 Hwei YL, Khoon LG, Lai PG. An intraventricular tumour in a young woman. Pathology 2002;34:185-8. 1 Drevelengaas A, Polyzoides K, Kaalaaitzoglou I. Intraventricular neurocytoma; case report and review. Eur J Radiol 1994;19:14-8. 8 Tacconi L, Thom M, Symon L. Central neurocytoma: a clinicopathological study of five cases. Br J Neurosurg 1997;11:286-91. 9 Zhang D, Wen L, Henning TD, Feng XY, Zhang YL, Zou LG, et al. Central neurocytoma: clinical, pathological and neuroradiological findings. Clin Radiol 2006;61:348-57. 10 Jay V. Central neurocytoma: morphological. Flow cytometric, polymerase chain reaction, fluorescence in situ hybridization and karyotypic analyses. J Neurosurg 1999;90:348-54. 11 Schmidt MC, Gottfried ON, Von Koch CS, Chanag SM, McDermott W. Central neurocytoma: a review. J Neurooncol 2004;66:377-384. 12 Cerda-Nicholas M, Lopez-Gines C, Peydro-Olaya A, LlombartBosch A. Central neurocytoma: a cytogenetic case study. Cancer Genetics Cytogenet 1993;65:173-4. 13 Jay V, Edwards V, Hoving E, Rutka J, Becker L, Zielenska M, Teshima I. Central neurocytoma: morphological, flow cytometric, polymerase chain reaction, fluorescent in situ hybridization, and karyotypic analyses. Case report. J Neurosurg 1999;90:348-53. 312 Yin XL, Pang JC, Hui AB, Ng HK. Detection of chromosomal imbalances in central neurocytomas by using comparative genomic hybridization. J Neurosurg 2000;93:77-81. 15 Yasargil MG, Von Ammon K, Von Deimling A, Valavanis A, Wichmann W, Wiestler OD. Central neurocytoma: histopa14 S. Ulivieri, G. oliveri thological variants and therapeutic approaches. J Neurosurg 1992;76:32-7. 16 Schild SE, Scheithauer BW, Haddock MG. Central neurocytomas. Cancer 1997;79:790-5. Program 22nd of June 05.30 pm: Registration 06.00 pm: Welcome ceremony Vladimiro Mambelli, President of the Congress Paolo Spinucci, President Pio Sodalizio dei Piceni Andrea Segré, Representative Uniadrion Michele Carmosino, General Manager Asur 13 - Ascoli Piceno 06.15 pm: Keynote Lecture J. Rosai Department of Pathology Centro Diagnostico Italiano Diseases and deaths in the Medici’s of Florence 07.30 pm: Concert (Teatro Regio, Parma) 23rd of June 8.30 am Soft tissue tumours Chairpersons: Oscar Nappi, Bettina Zelger Juan Rosai (Milano, Italy) Typing vs. grading in soft tissue tumours Thomas Mentzel (Friedrichshafen, Germany) Sarcomas of the skin 10.00 am Coffee break 10.30 am Proffered papers Chairmen: Lucio Palombini, Bozo Kruslin Louis Rosati (Tempe, Arizona – USA) Influenza: past, present and the potential pandemic 01.00 pm Lunch 02.30 pm Familial cancer & susceptibility to cancer Chairpersons: Riccardo Cellerino, Angelika Reiner Fatima Carneiro (Porto, Portugal) Pathology and genetics of gastric cancer Gianni Romeo (Bologna, Italy) Mitochondria and thyroid cancer 03.30 pm Coffee break 04.00 pm Proffered papers Chairpersons: Michele De Nictolis, Sezana Grazio 05.30 pm Friendly session Chairmen: Giuseppe Viale, Vincenzo Eusebi Riccardo Masetti (Roma, Italy) Komen Italia and breast cancer Agostino Faravelli (Milano, Italy) Intarsio e patologia (Inlay and pathology) 06.30 pm Business meeting 08.30 pm Social dinner 24th of June 9.00 am Technology applied to pathology Chairpersons: Franco Fedeli, Nina Gale Manfred Dietel (Berlin, Germany) Predictive pathology. A challenge in clinical diagnostic and pharmaceutical drug development Fabio Facchetti (Brescia, Italy) New techniques in hematopathology A.P. Beltrami (Udine, Italy) Cancer stem cells 10.30 Coffee break 11.00 Proffered papers Chairpersons: Gianni Massarelli, Majda Vucic 12.45 Borse di Studio (Prize) ceremony Scientific Committee: Vladimiro Mambelli (Ascoli Piceno), President of the Congress and Elect President of the Adriatic Society of Pathology; Carlo Alberto Beltrami (Udine), Gianni Bussolati (Torino), Vincenzo Eusebi (Bologna), Guidalberto Fabris (Ancona), Sezana Gratio (Ljubljana), Sigurd Lax (Graz), Lucio Palombini (Napoli), Valdi Pisac-Presutic (Split), Giorgio Stanta (Trieste) Committee for the Pio Sodalizio dei Piceni (Borse di Studio) Prizes: Paolo Spinucci (Roma), President; Vladimiro Mambelli (Ascoli Piceno); Gregor Mikuz (Innsbruck); Juan Rosai (Milano); Sven Seiwert (Zagreb); Duilio Benvenuti (Roma); Giorgio Bizzarri (Roma) Organizing secretariat: Dr.ssa Marina Del Vecchio Servizio di Anatomia Patologica Ascoli Piceno pathologica 2007;99:315-341 Concurrent histopathologic diagnoses in endometrioid endometrial carcinoma Myxoid modification in well-differentiated and dedifferentiated liposarcoma C. Amalinei, R. Balan, I. Draga Caruntu, S. Butureanu*, M. Pavaleanu** A. Ambrosini-Spaltro, A. Farnedi, G. Tallini Department of Normal and Pathological Morphology, University of Medicine and Pharmacy “Gr.T. Popa” Iasi, Romania; * Department of Obstetrics and Gynecology, University of Medicine and Pharmacy “Gr.T. Popa” Iasi, Romania; ** III Obstetrics and Gynecology Clinic, Iasi, Romania Clinicopathologic, immunohistochemical, and molecular genetic studies have provided data for a dualistic model of endometrial carcinogenesis. Type I or endometrioid subtype, the most common form, is associated with unopposed estrogenic stimulation, as well as the presence of endometrial hyperplasia as precursor, frequently diagnosed as concurrent lesions on biopsies or on surgical specimens. Simultaneous cancers involving the endometrium and ovary are well recognized, the identification of the primary neoplasm orientating prognosis and treatment. Another coexistent location is the cervix and the correct diagnosis requires exclusion of cervical invasion by the endometrial carcinoma. The aim of our study was to investigate histopathological and immunohistochemical particularities of these categories of coexistent lesions, selecting from our files 42 cases of endometrial endometrioid carcinomas (EECs), 22 cases with concurrent endometrial hyperplasias, 13 cases of synchronous ovarian carcinomas, and 7 cases of synchronous cervical carcinomas, using adjuvant histochemical and immunohistochemical stainings, in selected cases. Endometrial hyperplasias, architecturally classified into simple and complex, and cytological without atypia and atypical type, corresponded to recent criteria of endometrial intraepithelial neoplasia (EIN), and were characterized by high expression of estrogen receptors (ERs), of Ki-67 and Cyclin D1. Synchronous ovarian and EECs were diagnosed in 3 cases, as mucinous pattern was noted in ovarian counterpart. Corroborating clinical, histological and immunohistochemical findings, 8 synchronous ovarian tumors were primary endometrial and metastatic ovarian, and one primary ovarian, probably developed on an endometriotic focus, and secondary endometrial, exhibiting an endometrioid pattern. Coexistent cervical carcinomas were diagnosed in 3 cases, exhibiting different histologic features: adenosquamous pattern in 5 cases and squamous type in 2 cases. Interestingly, 2 of the investigated cases belonged to multiple cancer syndromes: one associating concomitant endometrial and ovarian carcinomas, and a metachronous retroperitoneal malignant peripheral nerve sheath tumor (MPNST) and another diagnosed with concomitant endometrial, ovarian, and cervical carcinomas followed by a metachronous breast carcinoma. Conclusions. Investigated cases reflect different steps along the pathways of feminine genital tract carcinogenesis, especially particular in EECs, revealing their origin in EIN, their propensity to adnexal and/or cervical extension or to multiple primaries, along the genital tract, as an illustrative feature for cancerization field effect. Furthermore, some cases may represent the first manifestation of a multiple cancer syndrome, so a careful examination and follow-up is required in patients diagnosed with endometrial carcinomas. Department of Anatomic Pathology, University of Bologna at Bellaria Hospital, Bologna, Italy Introduction. Myxoid liposarcoma is one of the most common subtype of liposarcomas. Myxoid differentiation can be focally observed also in liposarcoma subtypes that do not belong to the myxoid group. The aim of the present study is to analyze myxoid modification in well-differentiated and dedifferentiated liposarcomas. Materials and methods. Fifty-six cases of well-differentiated and dedifferentiated liposarcomas were retrieved from the archives of the Department of Anatomic Pathology at Bellaria Hospital in Bologna. All the slides were reviewed and the following morphologic parameters were assessed: myxoid stromal change, extent and features of the capillary network, presence and number of lipoblasts and of multinucleated cells, steatonecrosis, and cellular atypia. We also studied the presence and the distribution of non lipogenic components within the tumor: sclerosing areas, areas of low grade dedifferentiation and areas of high grade dedifferentiation. Five samples from 3 cases were successfully karyotyped. Results. Tumors included 49 well-differentiated liposarcomas (44 lipoma-like, 5 sclerosing), 4 liposarcomas with high grade dedifferentiation, 3 mixed liposarcomas (1 case of myxoid/ well-differentiated liposarcoma, 2 cases of myxoid/well-differentiated liposarcoma with high grade dedifferentiation). Recurrences were observed in 4 cases: 2 well-differentiated sclerosing liposarcomas and 2 high grade dedifferentiated liposarcomas. Myxoid stromal change was identified in 12 cases; in 8 of the 12 cases there were also areas with thinwalled capillary vessels organised to reproduce a chickenwire network indistinguishable form that observed in classic myxoid liposarcoma. Myxoid stromal change with an irregular network of thick-walled vessels was identified in 6 cases. Areas containing only myxoid matrix without any defined capillary network were present in 3 cases. Lipoblasts were detected in 49 cases, atypical multinucleated cells in 20 cases, foci of steatonecrosis in 27 cases, significant cellular atypia in 8 cases, including all liposarcomas with high grade dedifferentiated areas. Non lipogenic components were present in 31 cases: sclerosing areas were observed in 29 cases, areas of low grade dedifferentiation in 11 cases, areas of high grade dedifferentiation in 6 cases. The non lipogenic (sclerosing or dedifferentiated) component of the tumor was sharply separated in 7 of the 30 cases. Cytogenetic analysis revealed non clonal alterations including 1p-, -15, -22 in 1 case (well-differentiated liposarcoma), a ring chromosome in 1 case (mixed liposarcoma) and a giant chromosome in 1 case (well-differentiated liposarcoma). Conclusions. Well-differentiated liposarcomas exhibit an extremely variable morphologic appearance with myxoid modification, non lipogenic areas and dedifferentiated components. Myxoid change, including areas with a thin-walled capillary network indistinguishable from that observed in classic myxoid liposarcoma, is not uncommon in well-differentiated and dedifferentiated liposarcomas; it may represent a pitfall in the differential diagnosis with myxoid liposarcoma. Since rings and giant marker chromosomes are the hallmark of well-differentiated and dedifferentiated liposarcomas, their identification by cytogenetic analysis is useful for tumor typing. 316 Histological sectioning of brush bristles allows improved diagnosis of biliary tract S. Asioli, G. Accinelli, E. Armando, D. Pacchioni, P. Cassoni, G. Bussolati Department of Biomedical Sciences and Oncology, University of Turin, Italy Introduction. Biliary tract brush cytology is increasingly being recognized as a favoured method for evaluating abnormalities of the pancreatic and biliary tract. In order to increase the diagnostic potential of endoscopic brushing of the biliary tract, we devised a novel technique finalized to the complete and ideal cytologic examination of the collected material through an original new brush processing method. Material and methods. 112 consecutive pancreato-biliary brush cytology specimens (67M; 45F) collected at Molinette Hospital, University of Turin, between January 2002 and August 2006 were included in our study. All patients had a definite final benign or malignant diagnosis based either on independent histological or cytological sampling, or on clinical follow-up data (follow-up was median 21 months). Immediately following brushing, the brush is immersed into methanol; then, in order to induce formation of a glue surrounding the brush, in the pathological laboratory it is immersed into egg albumen (a mixture 1:1 of egg albumen and glycerol), and finally returned to methanol. For paraffin embedding, the metal handling is cut away and the remaining brush is introduced into a cassette: paraffin-embedded sections parallel to the long axis of brush are cut until the metal wire is almost reached, then the block is rotated and new sections are obtained from the opposite side. Small fragments of the mucosa, of inflammatory cell aggregates or of carcinomas (stained in Haematoxylin & Eosin and Alcyan blue mucine) were observed in our series, and displayed an optimal fixation allowing a definite diagnosis which proved mandatory for proper therapy in the almost totality of cases. Results. The results obtained on 112 consecutive cases using such technique showed a satisfactory sensibility when compared to final histological diagnosis, this method showed: 87% sensitivity, 100% specificity, 100% positive predictive value (PPV), and 91% negative predictive value (NPV). Moreover when compared this method to the patient clinical diagnosis, after at least 6 months follow-up, it showed: 88% sensitivity, 100% specificity, 100% positive predictive value (PPV), and 96% negative predictive value (NPV). Conclusion. Finally such novel technique proved to be highly sensitive and specific, limiting the un-satisfactory cytological diagnoses to less than 1% and providing a 88% concordance (K value) with the final histology at surgery and a 91% concordance (K value) with patient follow-up. Cutaneous rosai dorfman disease without limphadenopathy. A case report N. Bilalovic, A. Cimic, E. Lazovic, A. Cvorak* Department of Pathology, Clinical Centre University Sarajevo, Bosnia and Herzegovina; * Department of Plastic Surgery, Clinical Centre University Sarajevo, Bosnia and Herzegovina Rosai-Dorfman disease or sinus histiocytosis with massive lymphadenopathy is benign proliferation of histiocytes char- Adriatic Society of Pathology - 22nd International Meeting acterized in it’s typical form as painless, bilateral lymph node enlargement of the neck or any group of lymph nodes. About 15% of patient may have only extranodal disease. Our case is 42 years old Bosnian male presented to plastic surgeon with skin lession but with no lymphadenopathy. A microscopic feature shows dermal infiltrate with dendritic cells, histiocytes and inflammatory cells. The dendritic cells show emporipolesis for neutrophils and lymphocytes Giant cells were also present. Based on morphologic appearance and immunohistochemistry we concluded that skin biopsy is the most compatible with cutaneous Rosai-Dorfman disease. Telepathology: an occasion for young pathologists F. Bono, F. Pagni Dipartimento di Scienze chirurgiche, Università di MilanoBicocca, U.O. Anatomia Patologica, Ospedale Civile di Vimercate, Presidio di Desio Introduction. Telepathology makes possibile diagnosis cytoand histopathologic from everywhere in the world. Patologi Oltre Frontiera’s project is to provide some hospital in Africa and other countries with scanner, so they can develope a therapeutic program based on diagnoses makes from Italy, awaiting local pathologists are formed. University school of Pathology can collaborate with this project establishing a network that enrich younger pathologists with a new competence and supports the health in the developing countries. Materials and methods. Till then, just one hospital (Mtendere Mission Hospital of Chirundu, Zambia) has scanner, but some other hospital will have it. Slide scannerized is load on a server and from it is possible see digital slide on every computer by internet. Every school who will agree to this project undertakes to inspect and diagnose scannerized slides. A Pathologist “tutor” will be supervises the diagnoses which will be sent by e-mail to the persons responsible for the project. Discussion. In this presentation we want to show the involvement project of the schools with the activity of Patologi Oltre Frontiera: an inalienable chance to acquire expertise and specializations for the young pathologists, and to awaken everybody to the diagnosis shortage in the poorest countries. Osteosarcoma study L. Brcic, D. Anzulovic, I. Ilic, V. Loncaric, I. Kosuta, J.S. Giljevic*, D. Orlic**, S. Seiwerth Institute of Pathology, Medical School University of Zagreb, Zagreb, Croatia; * Department of Oncology, Children’s Hospital Zagreb, Zagreb, Croatia; ** Department of Orthopaedic Surgery, University Hospital Center Zagreb, Zagreb, Croatia A retrospective study of osteosarcoma in children and adolescents during a 20 years period (1987 till 2006) was performed. From the archives of the Institute of Pathology, Medical School and Department of Pathology, University Hospital Center Zagreb, 80 cases were retrieved. A part of diagnostic biopsies and most of surgery was performed at the Department of Orthopaedic Surgery, University Hospital Center Zagreb. The oncological treatment and follow-up for most of ABSTRACTS the patients (more than 2/3) was at the Children’s Hospital Zagreb. Epidemiological parameters (age, sex, survival), tumor characteristics (localization, histological type, metastases), laboratory data (BSR, LDH), chemotherapy (whether or not preoperative, protocol) were accessed. A comparison of two ten years periods (1987-96 and 1997-2006) was performed. Of the 80 patients 38 were male, age range was from 8-18. Most of the tumors were localized in the femur and tibia. At time of diagnosis only 3 patients had confirmed metastatic disease. The vast majority of patients were treated by preoperative chemotherapy and en block resection, followed by chemotherapy. Inadequate response to preoperative chemotherapy was noted in most patients. About 1/3 of the patients developed metastatic disease during follow-up period. The goal of this study is to make the first step in the direction of a bone tumor registry. Early and late results of the surgical cure in the cases of two malignant primary cardiac tumors D. Butcovan, G. Tinica, C. Borza Iasi Cardiology Center Cardiac sarcomas are rare malignant tumors having often a late diagnosis, because they are usually asymptomatic and malignancy criteria are sometimes difficult to define, as well. The aim of the study was to characterize the clinical and histological picture of 2 malignant cardiac tumors, to assess the prognosis and to develop a tumour management strategy for cure. We described 2 cases: the first was a primary cardiac leiomyosarcoma, located in the posterior wall of the left atrium and the second was a primary cardiac undifferentiated sarcoma, located in the right ventricle. In the leiomyosarcoma case the complete excision was made as a curative procedure, while in the cardiac undifferentiated sarcoma case the partial surgical excision was made as a palliative procedure due to the tumour invasiveness feature. The histological and immunohistochemical study revealed a differentiated leiomyosarcoma in the first case, and a high-grade pleomorphic, undifferentiated sarcoma, in the second case. Whatever histological subtypes are, malignant cardiac tumors have a poor prognosis when are undifferentiated and unresecable forms. Complementary radiotherapy or chemotherapy is ineffective, and prognosis is related more to the degree of tumoral differentiation then to the operative treatment itself. On-site cytopathological evaluation of endoscopic ultrasound-guided fine needle aspiration of pancreatic neuroendocrine tumors P. Campisi, G. Accinelli, C. De Angelis*, I. Castellano, S. Asioli, D. Pacchioni, G. Bussolati Department of Biomedical Sciences and Human Oncology, University of Turin, Italy; * Department of Gastroenterology, San Giovanni Battista Hospital, University of Turin, Italy Objectives. Endoscopic ultrasound-guided fine needle aspiration (EUS-FNA) is increasingly used in diagnosis of pancreatic tumors. Our study aims to identify cytological character- 317 istics of on-site evaluation helpful for recognizing pancreatic neuroendocrine tumors (NETs). Methods. Our study comprises 5 cases of pancreatic tumors with cytological features suggestive of neuroendocrine origin, obtained by EUS-FNA which diagnosis was confirmed by surgical excision. For each case we analized: cytological smears, cell block sections and immunocytochemical stains. Results. All cases show similar and peculiar cytological characteristics of on-site evaluation: smears were richly cellular with poorly cohesive small cells; they display a monotonous basophilic appearance with scanty cytoplasm and small eccentric nucleus with speckled or dusty chromatin pattern conferring a plasmocytoid appearance. Immunocytochemical stains (Chromogranin A, Synaptophysin), performed on cell-block, confirmed neuroendocrine differentiation. Conclusion. EUS-FNA is a useful method of identification of pancreatic NETs. Recognizing cytopathological features of neuroendocrine origin improves the diagnostic yield of the procedure, allowing a three-tiered approach in planning the handling of FNA specimens. Sequencing of the mitochondrial D-loop region as a tool to discriminate between synchronous or metachronous primary lung tumours and intrapulmonary metastastatic spread G. Caprara, L. Morandi, M. Boaron*, A. Cancellieri**, K. Kawamukai*, A. Pession, G. Tallini, S. Damiani Division of Anatomic Pathology University of Bologna; * Division of Thoracic Surgery AUSL di Bologna; ** Division of Anatomic Pathology AUSL di Bologna Four to 10 percent of patients with non small cell lung carcinoma (NSCLC) present with two nodules or develop a second nodule after the initial diagnosis. Tumor stage is the most important prognostic factor in lung cancer and, therefore, the differential diagnosis between synchronous or metachronous primary lung neoplasms (pT1m) and intrapulmonary metastasis of (NSCLC) (pT4 or pM1 according to their location) is crucial for patient management. The large number of mitochondrial mitochonodrial DNA (mtDNA) copies present in each tumour cell and the high frequency of mtDNA mutation rate in tumours suggest that sequencing of the highly polymorphic D-loop mtDNA region may be useful to discriminate synchronous/metachronous primary tumours from intrapulmonary metastases 1. We studied a retrospective series of 20 patients underwent to surgery for synchronous and metachronous NSCLC. The charts from each patient were reviewed and the tumours were staged according the current WHO and classified as multiple primary or metastases according Martini and Melamed 2. Direct DNA sequencing of the mitochondrial D-loop region was performed in all samples and the genetic distance between the multiple tumours was evaluated. Our results show that in 72% of the casess the tumours were genetically unrelated and thus should be considered as independent multiple primary cancers. It is noteworthy that in this group, in up to 65 per cent of patients, the histological type was the same in all nodules analyzed (most frequently adenocarcinoma, acinar type). In the remaining 28% of cases the mtDNA sequencing revealed the same mutation pattern, compatible with origin from a single neoplastic cell clone. Thus, our study indicates that the present clinicopathologic 318 criteria (site, histological type, etc.) for staging patients with multiple nodules of NSCLC may not be fully reliable and that molecular analysis may represent a very useful tool to discriminate multiple primary tumours from intrapulmonary metastases. References 1 Morandi L, Asioli S, Cavazza A, Pession A, Damiani S. Genetic relationship among atypical adenomatous hyperplasia, bronchioloalveolar carcinoma and adenocarcinoma of the lung. Lung Cancer 2007;56:35-42. 2 Martini N, Melamed MR. Multiple primary lung cancers. J Thorac Cardiovasc Surg 1975;70:606-12. The dental pulp fibroblasts as morphologic markers for senescence I.-D. Caruntu, C. Amalinei, S.-E. Giusca Department of Histology, “Gr. T. Popa” University of Medicine and Pharmacy, Iasi, Romania One of the senescence effects at the level of dental pulp is the reduction of the pulp volume, which is frequently associated with the fibrosis and sclerosis. Within the frame of these transformations, the fibroblasts decrease in number and change their sizes. The study presents a quantitative evaluation of the dental pulp fibroblasts, based on computerized morphometry, whose objective was to investigate the variations in cell areas and perimeters for different age groups. The material consisted of dental pulp fragments obtained from patients aged between 40 and 50 years (5 cases – group 1), 50 and 60 years (5 cases – group 2) and 60 and 70 years (5 cases – group 3). In all cases, the dental pulp was healthy (without clinical signs of inflammation) at the time when pulpectomy was requested as part of a restorative tooth treatment. For routine histopathological exam, the dental pulp fragments were formalin fixed, paraffin embedded and stained with hematoxylin-eosin and light green trichrome. From each specimen we acquired digital images corresponding to significant microscopic fields. To develop the quantitative analysis in the Zeiss KS400 environment, we designed and implemented two macros, namely PULPIMG and PULPGRP, which operate at the image and group levels, respectively. For a given image, PULPIMG automatically identifies the regions occupied by fibroblasts and measures their geometric features (areas, perimeters). For a given group, PULPGRP collects the numerical data extracted by PULPIMG from all the microscopic fields considered relevant and provides a statistical analysis. The results of our computerized approach show that the mean value of the fibroblast area decreases from group 1 to group 3, whereas the correlation between perimeters and areas is preserved (the slope of the regression line has insignificant variations from a group to another). These results support the idea that the fibroblasts morphometric profile can play the role of a marker for the dental pulp (and implicitly tooth) senescence. Adriatic Society of Pathology - 22nd International Meeting Clinico-morphological study in twin pregnancy R. Ciurea, I.E. Plesea, N. Patrana**, S. Bala**, L. Novac*, B. Zaharia Department of Pathology; * Department of Obstetrics and Gynecology, University of Medicine and Pharmacy; ** Department of Pathology, Emergency County Universitary Hospital, Craiova, Romania Background and aims. Multiple pregnancy and especially twin pregnancy are stillrepresenting a major issue both for medical corpus and society due to the multitude of implications in medical management and economic and social impact. The authors assessed some of the significant clinical and morphological monitoring parameters of twin pregnancies recorded during a 5 years period in Department of Obstetrics and Gynecology of Craiova Emergency County Universitary Hospital. Material and methods. The studied group consisted of 197 cases of twin pregnancy. The studied material consised of data coming from pregnant women and new born files, surgical records, antepartum ultrsond results, dead new born necropsy records and foetal appendages histopathological records. Results. There was one twin pregnancy for every 97 single pregnancies, with a lower percentage (1.07%) as compared to the literature and data from western civilised countries. The incidence of twin pregnancies was high in women at their fertility peak (26-35 years), with a significant increase with the number of pregnancies and deliveries. Twin pregnancies were more frequent in women with previous twin pregnancies and in a very small percentage in primiparous ones. The mean gestational age was 38-41 weeks in more than 57% of cases, for the remaining 40% being arround 37 weeks. Dichorionic diamniotic placentas were the most frequent ones. Ultrasound examination revealed a small percentage of cases in which monochorionic diamniotic pregnancies were mistaken for dichorionic diamniotic pregnancies with fused placentas. Placental villous structures of twin pregnancies showed a morphological pattern characteristic for the third trimester of pregnancy. In 4 cases of twin transfusion syndrome, the donor shows changes in the the stromal structure of the chorionic villi together with excessive loading of the chorionic vascular bed of the receptor twin. There was a 11.5% perinatal mortality with a slight predominance in the second foetus, the most frequent deaths occuring in the first 72 hours after birth due to maladjustement to the extrauterine environment. One of the main causes of death established after the necroptic examination was the intraventricular hemorrhage. Conclusions. The pathological examination was useful to the obstetrician who took into consideration two major aspects in following and delivering a twin pregnancy: solving of controversial placentation cases through histopathological examination of the twin membranes for a correct evaluation of zygotism and, establishing the causes of perinatal and especially antepartum deaths using necroptic examination. ABSTRACTS PKCJ expression in Gastro-Intestinal Stromal Tumors (GIST): immuno-istochemical assessment PKCJ vs. CD117 F. Corini, M. Del Vecchio, R. Taborro, P. Lorenzini, V. Mambelli Section of Anatomic Pathology, “C. e G. Mazzoni” Hospital, Ascoli Piceno, Italy Introduction. Gastro-intestinal stromal tumors (GIST) are the most common mesenchymal tumors of the gastrointestinal tract. Most GIST contain oncogenic gain-of-function KIT mutations and feature strong expression of the constitutively activated KIT (CD117) receptor tyrosine kinase protein. Numerous studies have demonstrated that the immuno-phenotypical expression of CD117 is specific, even if not confined, to GIST. However, in a small GIST subgroup (less than 2%), c-kit expression is negative although histological findings of gastrointestinal stromal tumors are most suspicious. The existence of c-kit negative gastrointestinal stromal tumors points to the need of additional markers for making the diagnosis. Gene expression studies using DNA microarrays have revealed that GIST show a distinct and uniform gene expression profile, wich allows distinguishing of these tumors from other malignancies of mesenchimal origin. Among the transcripts identified as discriminatory in these studies, the gene encoding protein kinase C (PKCJ) was overexpressed in GIST samples. PKCJ is a serine/threonine kinase that is transcriptionally upregolated in GIST compared with other soft tissue tumors. It is selectively expressed in the interstitial cell of Cajal lineage; it’s also involved in T-cell activation, in skeletal muscle signal transduction and in neuronal differentiation. The aim of this study is to confirm the importance of the analysis of CD117 expression as a specific marker of GIST and, at the same time, to assess the PKCJ expression as a new diagnostic marker of this tumors. Material and methods. Study group: 35 cases of stromal neoplasia have been selected from the central files of the “Mazzoni” Hospital (Ascoli Piceno), with the following localization: stomach (12), small and large intestine (15), peritoneum (3), retro-peritomeum (3), omentum (1), duodenum (1). Immuno-istochemistry: Sections of histological specimen (4 micron thick; microtome Leica DSC1) have been obtained from the tissue material, fixed in formalin and embedded in paraffin. The monoclonal antibody PKCJ clone 27 (BD trnsduction laboratories)and the po lyclonal antibody CD117 (DAKO Cytomation) have been used for the study of the immunohistochemical profile. The optimal diluition of the antibodies were 1:20 for anti-PKCJ and 1:400 for anti-CD117. Tumors were scored as positive for PKCJ or CD117 if there was either a diffuse staining or a focal expression in several clusters of cells. Cases with a minimal expression of PKCJ or CD117 in a few single cells (< 10%) were scored as megative. Results. The cases have been classified, according to mitotic activity and neoplasia dimensions, into 3 groups: 1) low malignancy grade GIST (mitotic activity < 5 mitosis x 50 HPF and/or dimensions < 5 cm): 32% (11 out of 35). All the lesions of this group were positive for CD117 (100%); 2) high malignancy grade GIST (mitotic activity > 5 mitosis x 50 HPF and/ or dimensions > 5 cm): 51% (18 out of 35). Immunoreactivity for CD117 has been found in 17 lesions out of 18 (96%); 3) GIST with a clear leyomysarcomatous differentiation: 17% (6 out of 35). All these cases were negative for CD117. 319 PKCJ was positive in 28 out of 29 GIST (96%). All the leyomyosarcomas were negative for PKCJ. The only case classified as GIST, according to histological findings, but CD117 negative, has revealed a good PKCJ expression (40%), with a positivity grade well exceeding the fixed score. Conclusions. The results clearly show that PKCJ undoubtly appears to be a new and further marker of GIST. Unlike CD117, its positivity is not exclusively related to the expression of the KIT receptor tyrosin-kinase activity but to a more transductional pathway, of which the activity attributed to KIT receptor represents only one of the aspects. Therefore, PKCJ is positive even in cases of immuno-phenotypically CD117 negative GIST, which cannot be attributed to the existence of a mutation characterising the KIT receptor expression. As a consequence, the synergic use of two markers makes diagnosis of GIST more accurate. Diagnostic and therapeutic importance of the PKCq expression in Gastrointestinal stromal tumors (GIST): implications resulting from PKCq phosphorylation F. Corini, M. Del Vecchio, A. D’Angelo, A. Braccischi, L. Diamanti Section of Anatomic Pathology, “C. e G. Mazzoni” Hospital, Ascoli Piceno, Italy Introduction. Although selective inhibition of KIT and PDGFRA receptors activity by means of drugs such as Imatinib has markedly improved the life expectancy of GIST’s patients, further markers are being searched for that can act as target for beneficial pharmacological therapies. PKCJ belongs to a family of proteins showing serin/treonin Kinasic activity; it presents numerous characteristics which may suggest its use as therapeutic target in GIST, mostly in those patients with GIST resistant to Imatinib treatment. It is a molecule involved in the transduction of intracellular signals which, in turn, are involved in the regulation of various cellular functions, such as proliferation (reproduction?) secretation, skeletal-muscular differentiation and apoptosis. PKCq is distinctly present in GIST, as researches regarding genic expression have highlighted, and its functionality is regulated by two different events: the activation induced by molecules as diacilglycerol (DAG) and the regulation of cataqlytic activity through phosphorylation of threoninic residue 538 (activation loop), the autophosphorylation of serinic residue 676 (turn motif), the autophosphorylation of serinic residue 695 (idrofobic motif). A methodical analysis of the data resulting from a survey of the mutations engendered by the three main controlling sites: activation loop (Thr 538), turn motif (Ser 676) and hydrophobic motif (Ser 695) concerning catalytic activity and PKCJ phosphorylation, has allowed to identify two distinct regulation modalities of catalytic activity: phosphorylation of the activation loop and hydrophobic motif. The latter, the phosphorylation of the activation loop, plays an important role in the activation of nuclear factor B (NF-kB). Material and methods. Study group. Twenty-eight gastrointestinal tumours (GIST) have been selected: 27 KIT-positive cases and 1 KIT-negative case. The group includes 12 gastric location neoplasia, 11 intestinal location neoplasia, 2 rectum-colic location neoplasia, 1 peritoneal location neoplasia, 1 retro-peritoneal location neoplasia. 1 duodenal location neoplasia. 320 Immunoistochemistry. Some histologic preparations, 4u thick (microtome Leica DSC1), have been produced from the tissue material, fixed in formalin and encapsulated in paraffin. The monoclonal antibody PKCq clone 27 (transduction laboratories) dil. 1:20 has been used for the characterization of the immunoistochemical profile of the samoles under survey. The polyclonal antibody phospho-PKCq (Thr 538 ) (cell signaling) dil. 1:50 and polyclonal antibody phospho-PKCq (Ser 695) (geneTex Inc) dil. 1:25 have been used to assess the protein phosphorylation levels. Results. PKCq has been found in all the study group samples, with cytoplasmic patterns and a diffused granular colouring. Besides, PKCq has been found in all the phosphorylation samples both on Thr 538 residue, corresponding to the activation loop, and on the residue Ser 695, corresponding to the hydrophobic motif. Discussion. The phosphorylation of the 3 main sites improves the specific catalytic activity of PKCq with respecvt to the hypophosphorylated forms. DAG (diacilglycerol) [+Ca2+] is responsible for thre activation of both conventional and new PKCq isoforms. Their specific activity, however, is regulated by phosphorylation levels. Although this distinction between allosteric effector and phosphorylation exists, PKCq has to be found in an “active” form corresponding to a configuration of the “effector-bound” type for the phosphorylation to occur live and in ideal conditions. When PKCq (new and conventional isotypes) releases its activator (DAG) there is no fast dephosphorylation of its sites. Instead, this “closed”, though inactive, configuration of the molecule appears to be relatively phosphatase resistant. Conclusions. According to the results of this study, which confirm other study groups’ results, an use of PKCq is possible as furhter GIST specific therapeutic target, for those patients who are Imatinib resistant. Predicting gefitinib responsiveness in nonsmall cell lung cancer by in situ hybridization analysis of EGFR and HER2 in needle biopsy and cytology specimens L. Daniele, L. Macrì, M. Schena*, D. Dongiovanni*, L. Bonello**, E. Armando, L. Ciuffreda*, O. Bertetto*, G. Bussolati, A. Sapino Department of Biomedical Sciences and Human Oncology, University of Turin; * Medical Oncology, ASO San Giovanni Battista, Turin, Italy; ** Center for Experimental Research and Medical Studies (CeRMS), University of Turin Purpose. In the present era of targeted therapy, pathologists need to assess tumor tissue for expression of the molecular target in order to predict which patients are likely to benefit from treatment. In non-small cell lung cancer (NSCLC), epidermal growth factor receptor (EGFR) mutational analysis is an excellent predictor of responsiveness to treatment with tyrosine kinase inhibitors (TKIs) such as gefitinib. In up to 80% of NSCLCs, cytologic samples or endoscopic biopsies are the only specimens available for molecular analysis, but PCR amplification of DNA from small fixed and paraffinembedded samples may create artefactual mutations. Fluorescence in situ hybridization (FISH) of EGFR and HER2 has been proposed as an alternative method of analysis. This project aimed to determine the optimal scoring method for FISH or chromogenic (CISH) in situ hybridization assays Adriatic Society of Pathology - 22nd International Meeting when analysing small NSCLC samples in order to predict response. Methods. FISH or CISH analysis of EGFR and HER2 genes was performed on 42 small samples derived from NSCLC patients treated with gefitinib. EGFR mutational analysis was performed after quantity and quality controls of DNA. Results. In 7/7 cases, a balanced increase in EGFR gene and chromosome 7 number was found to correlate with the presence of specific EGFR mutations. In addition, 7/7 cases with balanced EGFR/HER2 polysomy and 2/3 cases with balanced EGFR/HER2 trisomy responded to gefitinib (75% of responders). Instead, the EGFR mutations predicted only 7/12 (58%) of gefitinib-responsive patients. Conclusion. When only endoscopic biopsies or cytological specimens are available in situ hybridization-based analysis for EGFR and HER2 are reliable in predicting gefitinib response in patients with NSCLC. p63 isoforms expression in breast tissue D. de Biase, L. Morandi, A. Farnedi, A. Pession, M.P. Foschini Department of Anatomic Pathology, University of Bologna, at “Bellaria” Hospital, Bologna, Italy The p63 gene encodes six different protein isoforms due to multiple splicing of C-terminal (a, b, g) and alternative promoter located in the intron 3. The transactivating isoforms (TAp63) have similar actions with p53, such as inducing cell-cycle arrest, apoptosis and, in this way, favoring cell differentiation; on the contrary the alternative promoter in intron 3 leads to the expression of amino terminal truncated isoforms (DNp63) lacking the transactivation domain. This last protein acts as a dominant negative agent, favoring cell proliferation. In normal epithelium, balance between these proteins maintains correct cell proliferation and differentiation. In addition, two new isoforms have been described with the same sequence as TAp63 and DNp63 but lacking exon 4 (D4TAp63 and DNp73L). In recent studies DNp73L has been found only in squamous cell carcinoma but not in normal oral mucosa and salivary gland tissues. These data suggest that an altered expression of p63 gene could have an important role in neoplastic development. Purpose of the present study is to investigate the molecular expression of p63 in normal and malignant breast tissues. Materials and methods. All cases were received fresh and a representative sample of nonneoplastic and neoplastic tissues underwent frozen sections evaluation to confirm the benign or the malignant nature. Correspondent samples were formalin fixed and paraffin embedded for routine histology. On frozen samples reverse polymerase chain reaction (RTPCR) and nested PCR were performed to evaluate the p63 mRNA expression pattern. In addition p63 isoforms were evaluated by sequencing. Results. Ten nonneoplastic breast tissues and 10 breast carcinomas (8 ductal invasive and 2 lobular invasive carcinomas) have been studied. The two N-terminal isoforms, namely TAp63 and DNp63 were always present in normal and neoplastic breast tissue. In addition, carcinomas expressed the isoforms lacking exon 4, D4TAp63 (3/10) and DNp73L (4/10). Conclusion. In conclusion the present study shows that breast carcinomas have a p63 expression pattern different ABSTRACTS than nonneoplastic breast tissue that shows only the TAp63 and DNp63 isoforms, while the two proteins lacking exon 4, D4TAp63 and DNp73L appear only in carcinomas. These data suggest that these latter proteins might play a key-role in the malignant transformation of breast tissue. Sperm protein 17 is expressed in primary breast cancer S. Di Biccari, B. Franceschini, G. Soda*, N. Dioguardi, M. Chiriva-Internati**, F. Grizzi Laboratories of Quantitative Medicine, Istituto Clinico Humanitas IRCCS, Rozzano, Milan; * Department of Department of Experimental Medicine and Pathology, University of Rome “La Sapienza”, Rome, Italy; ** Department of Microbiology and Immunology, Texas Tech University Health Science Center, Lubbock, Texas, USA Breast cancer is the most common cancer and the second leading cause of cancer-related death for women in the United States. Current treatment options for localized breast cancer include surgical resection of the primary tumor, irradiation of the breast and regional lymph nodes followed by adjuvant chemoterapy or hormone therapy. Cancer immunotherapy has maturated today as an additional treatment modality in the management of breast cancer, because of its high specificity and low toxicity. The identification of new tumor-associated antigens (TAAs) as potential target for specific immunotherapy is one of the fundamentals in tumor immunology. Among the know TAAs, cancer-testis (CT) antigens have gained high attention because of their selective expression pattern and its presence in a high number of tumours of unrelated histological origin. Here we investigated the expression of sperm protein 17 (Sp17) an entitled CT antigen in 7 breast tissue free of neoplastic pathology (mean age: 40 years, range: 18-66 years) and in 22 primary invasive ductal breast carcinomas (mean age: 48 years, range: 34-62 years), by means of a standardized immunohistochemical technique. Sp17 was also recognized in three human cell lines purchased from ATCC (Manassas, USA): 184B5 originated from a normal mammary epithelial cell line, HCC70 originated from a primary ductal carcinoma and MDA-MB-361 originated from a metastatic breast cell line the by means of flow cytometry (FC) and Western blotting (WB). A high number of breast carcinomas showed a strong cytoplasmic immunoreactivity, homogeneously diffused in neoplastic cells. No immunoreactivity was recognized in normal breast tissues. WB showed that Sp17 was expressed by both HCC70 and MDA-MB-361 and slowly in 184B5. Densitometry analysis revealed higher expression of Sp17 in HCC70 vs. MDA-MB-361. The MFI detected by FC ranged from 18.0 for 184B5 to 28,6 and 32.6 for HCC70 and MDA-MB-361, respectively. These results all first demonstrates the expression of Sp17 in breast cancer. Further studies are necessary to investigate the role exercised by Sp17 in the breast carcinogenesis, and its potentiality as immunotherapeutic target antigen for treating this still highly malignant neoplasia. 321 Primary intracerebral haematoma complicated with intraventricular effusion – correlations between main clinical, imagistic and morphological aspects S.D. Enache, I.E. Plesea3, C.C. Georgescu4, D. Cioroianu5, M. Popescu6, S. Bondari6, O.T. Pop3, A. Camenita1, C. Enache2 Department of Pathology, 1 Department of Neurosurgery, 2 Department of Neurology, Emergency County Universitary Hospital, 3 Department of Pathology, 4 Department of Pharmacology, 5 Department of Neurology, 6 Department of Imagistics, University of Medicine and Pharmacy, Craiova, Romania Background and aims. The Authors performed a retrospective integrated assessment of clinical, imagistic and morphological parameters of severe intracerebral hemorrhages (ICH) complicated with intraventricular extension (IVE). Material and methods. The studied group had 93 cases of patients with ICH and IVE selected from a larger one, consisting of 183 cases with IHC and was divided into 2 subgroups: 39 cases who lived more than 48 h and were confirmend by computed tomography (CT) and 54 cases that died within 48 h and were confirmed by authopsy The remaining 90 cases of IHC without IVE was considered as a reference group for comparing the results of data analysis coming from the studied group. The studied material consisted of patient’s medical records (medical records, CT films, autopsy protocols and histopathology – HP records). Assessed parameters were: clinical (seasons relation, age, sex, arterial blood pressure – HT, motor deficit – MD, degree of coma – C, Glasgow score at admission) and morphological static (ICH sites, size, perilesional edema – pE, microhaemorrhages – mH) and dynamic (mass effect – ME, ventricular effusion – VE and subarachnoid effusion – SE). Results. The presence of IVE as a complication of ICH showed a predilection for cold seasons, especially autumn. From the 93 studied cases 51 were men and 42, women. 52.6% of the patients were in the fifth and sixth life decade. Almost 80% of the patients had III-d stage HT at admission, over 80% MD and almost 60% Glasgow scores lower than 6. The VE involved at least one of the lateral ventricles. The hematomas had huge dimensions as compared to hosting encephalic structures, involving more than one lobe in lobar sites. Other risk factors as ME, pE and SE were constantly present. Conclusions. The association of IVE with other independent risk factors such as hypertension, low Glasgow scores volume of intraventricular bleeding, dimensions of haemorrhagic foci, presence of mass effect, perilesional oedema and subarachnoid effusion results in the death of patient despite any sustained therapeutical intervention. 322 Correlations between grading factors and fibrillary components and vascular density of intratumoral stroma in ductal invasive carcinoma of the breast S.D. Enache, I.E. Plesea*, C.V. Georgescu, M. Ghilusi, C.F. Popescu, O.T. Pop*, R. Ciurea*, D. Mihalache***, P. Badea** Department of Pathology, Emergency County Universitary Hospital, * Department of Pathology, ** Department of Informatics, University of Medicine and Pharmacy, Craiova, Romania; *** Department of Pathology, County Hospital; Braila, Romania Aims. The Authors made a preliminary assessement of possible correlations between the amount of fibrillary components and capillary density of intratumoral stroma and the degree of glandular formation and nuclear pleomorphism in 20 cases of invasive ductal carcinoma of the breast. Material and methods. The samples were fixed in buffered formalin and included in paraffin wax. Stromal components were marked silver staining (Gömöri) and antibodies for CD34 Classs I. Five fields with no necrosis were selected randomly using x10 objective, for each case, from the most representative slide for the tumoral pattern. The selected tumoral areas were aquired using a Nikon DN100 digital camera and a LuciaNet 1.16.2 soft. The quantitative determinations were performed, after image calibration, with analySIS Pro 3.2 soft. The 100 selected fields were firstly subdivided in three groups following tubule formation (group It, group IIt and group IIIt) and then, in other three groups following nuclear pleomorphism of malignant cells (group Ip, group IIp and group IIIp). The studied parameters for each group were: area occupied by stromal fibrillary elements and capillary densities related to tumoral area. Results. The group with less than 10% tubule formation (score 3)on the field area was the most numerous, followed by the group with score 2. Fibrilary component represented between 27,6% (group IIt) and 30% (group IIIt), with a Confidence Level (95%) between 4,52 (group It) and 3,66 (group IIIt). Vascular density related to whole tumoral area ranged between 39/mm2 (group It) and 43/mm2 (group IIt) with a Confidence Level (95%) between 8,72 (group It) and 4,68 (group IIIt). The group with moderate nuclear atypia on the field area was the most numerous. Stromal fibrillary component ranged between 25,85% in group IIp, with a good Confidence Level (95%) of 2,93, and 34,9% in group IIIp but with a Confidence Level (95%) of 9,07 (group IIIp). Vascular density related to whole tumoral area was higher in groups with intermediate and severe pleomorphism but with a better Confidence Level (95%) of 5 for group IIp only. Conclusions. These preliminary data showed no significant variations of the intratumoral stroma amount and intratumoral capillaries amounts in different areas of ductal invasive breast carcinomas. No significant correlation was found between stromal components variations and the degree of tubule formation but severe nuclear atypia seems to be present in tumoral areas with an increased amount of stromal fibrillary components. No significant correlation was also found between the vascular density and tubule formation. The degree of nuclear atypia was not correlated with vascular density, despite the relative increasing trend of vascular density related to tu- Adriatic Society of Pathology - 22nd International Meeting moral parenchyma from areas with mild to those with severe atypia. Primary cell cultures from breast tissues A. Farnedi, E. Magrini, D. de Biase, M.P. Foschini, V. Eusebi Department of Anatomic Pathology, University of Bologna at “Bellaria” Hospital, Bologna, Italy Introduction. Primary cultures from fresh tissues are difficult to obtain, in addition, consecutive culture passages can probably cause clonal selection and the subsequent modification of the original characteristics of cultured cells. Difficulties are mainly related to selection of areas with prevalence of epithelial cells, on surgical specimen, and to fibroblasts proliferation, on culture. Cell cultures are important to better characterize the different breast lesions. Purpose of the present study was to evaluate a method to obtain primary cell cultures from normal and neoplastic breast tissues to better characterize breast lesions. Materials and methods. breast tissues from women, in pre-menopausal age, were obtained fresh. Representative samples of normal and neoplastic tissue underwent frozen sections evaluation to confirm the type of tissue to be examined. Correspondent samples were formalin fixed and paraffin embedded for routine histology. Young age was one of the parameters we utilized to obtain glandular parenchyma vital cultures. Furthermore, to avoid fibroblasts invasion, immunomagnetic microbeads separation and selective culture media were employed. To confirm the epithelial nature of the cultured cells, immunocytochemical characterization was performed, with antibodies directed against cytokeratin 7 (CK7), CK14, Epithelial Membrane Antigen (EMA) and Smooth Muscle Actin (SMA). Results. 21 cultures from normal breast and 12 from tumours were obtained. Immunocytochemistry showed a strong positivity in most of the cultured cells, for CK7 and CK14. Focal immunoreactivity was obtained with SMA and EMA. Conclusion. The data here obtained show that tissue sampling adequacy, through frozen section examination, and cell cultures in adequate medium can be helpful to obtain primary cell cultures from breast tissues. TTF-1 in mediastinal and pulmonary fna Cytopathology M. Ferretti, F. Barbisan*, D. Morichetti*, S. Gasparini**, L. Zuccatosta**, E. Bichisecchi*** Citopatologia Diagnostica, * Anatomia Patologica, ** Pneumologia, *** Clinica Radiologica dell’Azienda OspedalieroUniversitaria Ospedali Riuniti di Ancona, Italy Aim. To assess the impact of thyroid transcription factor-1 (TTF-1) on cytological diagnosis of pulmonary (PL) and mediastinal (ML) lesions sampled by fine needle aspiration (FNA), both trans-bronchial (TBNA) and percutaneous (PCNA). 323 ABSTRACTS Methods. Considering FNA of PL and ML lesions performed from Ian. 2005 to Dec. 2006, we selected 52 patients, 36 male and 16 female ranging 43-86 y.o. (mean 70.15), that underwent TBNA (36 cases) and PCNA (16 cases) procedures because of 37 PL and 15 ML. Patients were subdivided in 3 groups: 12 of them, included in the group A, without previous tumors in clinical history; 34, included in the group B, with a single formerly known tumor (6 breast, 5 urinary bladder; 5 prostate, 4 colon, 3 esophagus, 2 pancreas, 1 gastric, 1 larynx, 1 tongue, 1 kidney, 1 mediastinal, 1 ovaric, 1 lung tumors and 1 non-Hodgkin lymphoma) and 6, included in the group C, with multiple different previous tumors (1 case lung + breast, 1 lung + prostate, 1 lung + thyroid; 1 urinary bladder + prostate; 1 breast + kidney + melanoma). TTF-1 was studied on smears still wet alcohol fixed (ethanol 95°) and stained by Papanicolaou’s modified method (without orange-G). After microscopic evaluation, one smear containing diagnostic cells were destained in acid-alcohol and utilized for TTF-1 study. Destained smears were treated by H2O2 3% (7’), heated (30’ at 95-98 °C in citrate buffer 0.01M pH 6.0) for antigen retrieval and then incubated 30’ at room temperature with monoclonal antiTTF-1 antibody (DAKO 1:50). Reaction was evidenced by further 30’ incubation at room temperature with 3,3’diaminobenzydin (Envision-DAKO). Were deemed positives the cases were diffuse nuclear granular brown die was present in more than 5% of neoplastic cells. In 11 cases we study other immunocytochemical markers too (calretinin, thyroglobulin, HMB-45, chromogranin, PSA and EGFR). Results. In group A, TTF-1 was positive in 9 cases (7 ML and 2 PL) and negative in 3 (2 PL and 1 ML). Positive results in 7 ML confirmed the origin of primary tumor in the lung and permit to spare further diagnostic procedures, obtaining at the same time diagnosis and staging. The 1 negative ML was due to primary unknown poorly differentiated carcinoma. In 4 PL 2 positives were due to NSCLC and 2 negatives to mesotheliomas (1 also positive for calretinin). In group B, TTF-1 was positive in 23 cases (19 PL and 4 ML), weakly positive in 2 (2PL), negative in 8 (7 PL and 1 ML) and not valuable because of too much necrosis in 1 (1 PL). Positive results in 23 cases contribute to assess the presence of a second primary tumor in the 19 PL (17 adenocarcinomas; 1 squamous-cell and 1 NSCLC) and of mediastinal metastases from a second primary lung cancer in the 4 ML (4 NSCLC). 2 Weak positive result and 1 not valuable result do not contribute to further considerations in 3 cases. Negative results in 7 PL were due to metastatic carcinomas (3 urinary bladder, 1 tongue, 1 kidney, 1 larynx, 1 gastric) and the 1 negative ML to metastatic breast carcinoma. In group C, TTF-1 was positive in 4 cases (3 PL and 1 ML) and negative in 2 (1 PL and 1 ML). Positive results were due to 3rd and 4th primary lung cancer in 2 PL, pulmonary metastasis from previous pulmonary carcinoma in the other 1 PL and to pulmonary metastasis from previous thyroid carcinoma (also positive for thyroglobulin) in the 1 ML. The negative results in 1 PL and 1 ML do not lead to further considerations, except the presence of carcinoma. Conclusion. Use of TTF-1 may contribute to a better cytological characterization of PL and ML sampled by FNA. In ML may confirm the pulmonary origin of lymph-nodal metastases, contributing to lung cancer staging. In PL may be of value in suggesting the presence of a primary lung tumor, particularly helpful in clinical management of patients with previous tumors in other sites. Clinicopathological and molecular factors predictive of aggressive behaviour in gastrointestinal stromal tumors: a study of 40 cases A. Fornari, A. Barreca, L. Chiusa, L. Bonello, P. Francia di Celle, G. Bussolati Department of Biomedical Sciences and Human Oncology and Center for Experimental Research and Clinical Studies, “Molinette” Hospital, University of Turin, Turin, Italy Introduction. Gastrointestinal stromal tumors (GISTs) are the most common mesenchymal tumors of the gastrointestinal (GI) tract. The deregulated expression of KIT protein (CD117) remains the most reliable marker of GISTs, and is often due to gain-of-function mutations of the KIT gene. Nevertheless, 15-20% of GISTs lack demonstrable KIT mutations and are characterized by PDGFRa activating mutations or by a wild type (WT) phenotype. Risk of an aggressive behavior in GISTs is currently defined according to tumor size and mitotic counts. The aim of this study was to further identify clinicopathological and molecular prognostic parameters and to define possible correlations between immunohistochemical and molecular analyses. Matherials and methods. 40 cases of GIST (29 gastric tumors, 9 small bowel tumors and 2 large bowel tumors) were selected and classified in a risk of aggressive behaviour category based on tumor size and mitotic count. All cases were treated with surgical resection. Clinical data were available at time of diagnosis and during follow-up (mean follow-up: 35.9 months). Immunohistochemistry was performed using antibodies to CD117, PDGFRa, CD44 an Ki67 (ABC immunoperoxidase method). PCR amplification in combination with DNA sequencing analsyis was performed in all primitive resected tumors to establish the mutational status of the KIT (exons 9, 11, 13 and 17) and the PDGFRa (exons 12 and 18) genes. Correlations between clinicopathological data, immunophenotype, molecular analysis and GIST behavior were assessed; uni- and multivariate analyses of disease free survival (DFS) were performed. Results. Ten out of fourty cases (25%) relapsed. Factors showing a significant correlation with GIST clinical behavior were risk category (sec. Fletcher), proliferation index (Ki67), mitotic count, immunohistochemical positivity for PDGFRa, presence of symptoms at diagnosis and type of KIT mutations. Only one of the 6 cases with PDGFRa mutation relapsed. At univariate analysis of DFS factors predictive of disease progression were proliferation index > 5%, mitotic count > 10/50 HPF, small bowel localization, high risk category, presence of symptoms at diagnosis, deletions-insertions of KIT gene and immunohistochemical negativity-weak positivity (1+) of tumor cells for PDGFRa. At multivariate analysis of DFS, the only independent prognostic factors were proliferation index (Ki67; p = 0,001) and site of involvement (p = 0,004). Strong PDGFRa immunohistochemical positivity (3+) of tumor cells showed significant correlation with PDGFRa gene mutations (p = 0,0001). Discussion. At present, risk of aggressive behaviour in GISTs is established according to tumor size and mitotic count. In our study proliferation index (ki67) was found to be the most important independent prognostic factor, suggesting its use in the assessement of risk at diagnosis. Type of KIT mutation showed a significant correlation with tumor 324 Adriatic Society of Pathology - 22nd International Meeting relapse with cases carrying deletions-insertions having an increased risk of aggressive behaviour. Moreover we showed a significant correlation between strong PDGFRa immunohistochemical positivity and presence of PDGFRa gene mutations. Immunohistochemical staining for PDGFRa can therefore be useful in the diagnosis of KIT (CD117)-negative GISTs. Computer-aided quantitative evaluation of angiogenesis and lymphangiogenesis in primary hepatocellular carcinomas B. Franceschini, C. Russo, S. Di Biccari, B. Fiamengo , N. Dioguardi, F. Grizzi * Laboratories of Quantitative Medicine and * Department of Pathology, Istituto Clinico Humanitas IRCCS, Rozzano, Milan, Italy Hepatocellular carcinoma (HCC) is the fifth commonest malignancy worldwide and its incidence is rising. Surgery still remains the only potentially curative modality for HCC, yet recurrence rates are high and long-term survival poor. Although experimental and clinical data indicate that HCC advancement is associated with angiogenesis and that an increase in microvascular density is related with a poor prognosis, it is currently still uncertain whether HCC growth and progression involve ongoing lymphangiogenesis. Here we apply a computer-aided image analysis system for investigating the surface covered by lymphatic and vascular vessels, in a series of paired specimens of primary HCC and surrounding non-tumoral tissue in order to identify a potential histopathological quantitative biomarker for HCC management. Liver sections taken from 10 patients (m:f = 8:2; mean age: 70.3 years; range: 61-82 years) with primary HCC were immunohistochemically treated with antibodies raised against CD34, CD105 and D2-40 in order to visualize their blood and lymphatic vascularity. For each histological section, two > 50 mm2 areas were identified: one representing tumoral tissue and the other a portion of non-tumoral cirrhotic surrounding parenchyma. We found that the surface covered by CD105+ vessels was not statistically significant lower in the tumoral region when compared to the adjacent non-tumoral tissue. The surface covered by D2-40+ lymphatic vessels was lower in the tumoral region (p = 0.039) vs. that recognized in the nontumoral area. On the contrary the surface covered by CD34+ vessels was significantly higher in the tumoral region (p = 0,003) vs. that identified in the tumoral area. These results suggest that: 1) because its heterogeneous expression in non-tumoral and tumoral tissues, CD105 seems a non useful histopathological biomarker for evaluating the angiogenetic process; 2) the absence of lymphangiogenesis in primary HCC; and 3) the helpfulness of CD34 as an angiogenic histopathological biomarker in primary HCC. Correlations of proliferation markers, p53 expression and some histological findings in colorectal carcinoma C.V. Georgescu, I.E. Plesea*, C.C. Georgescu**, R. Ciurea*, A. Saftoiu***, T. Ciurea*** Department of Pathology, Emergency County Universitary Hospital; * Department of Pathology, ** Department of Pharmacology, *** Department of Gastroentherology, University of Medicine and Pharmacy, Craiova, Romania Background. The purpose of this study was to investigate the expression of PCNA, Ki-67 and p53 antibodies in colorectal carcinomas and to establish the relationship between these markers and some particular histological findings of colorectal carcinomas. Material and methods. The studied material consisted of surgical samples from 41 selected cases of colorectal carcinoma. The specimens were processed by the classical histological technique (neutral buffered formalin fixing and paraffin embedement) and stained with usual stainings (HE, van Gieson). The expression of PCNA, Ki-67 and p53 antibodies were determined using immunohistochemical technique. Results. In adenocarcinomas, the tumor proliferative activity, detected with PCNA and Ki-67 antibodies, increased with the histological grade. Mucinous adenocarcinomas had a mean PCNA labelling index (LI) of 50% and a mean Ki-67 LI of 32%, while signet ring carcinomas had a mean PCNA LI of 70% and a mean Ki-67 LI of 45%. The proliferative activity in the foci of squamous metaplasia was lower than the proliferative activity of malignant areas in the analyzed adenocarcinomas. The p53 overexpression was detected in 24 cases (58.53%). In adenocarcinomas, the p53 positive rate increased with the dedifferentiation of these tumours. Only 16.66% of the cases of carcinomas with mucus secreting cells overexpressed p53, while adenocarcinomas overexpressed this protein in many more cases (65.71% of the cases). The overexpression of p53 was associated with the highest PCNA and Ki-67 LI. Conclusions. The foci of squamous metaplasia, present in colorectal adenocarcinomas, do not seem to influence the increase of the tumours. The p53 overexpression was associated with nonmucinos colorectal carcinomas and with the histological grade of colorectal adenocarcinomas. The p53 overexpression tended to be more frequent in colorectal carcinomas with high proliferative activity. Comparative study between hepatitis B and C main morphological changes M.C. Ghilusi, C. Drighiciu*, C.F. Popescu, M. Comanescu**, C. Dochit, V. Comanescu, I.E. Plesea** Department of Pathology, Emergency County Universitary Hospital; * Department of Pathology, Military Universitary Hospital; ** Department of Pathology, University of Medicine and Pharmacy; Craiova, Romania Background, aims. The Authors performed a preliminary comparison between the presence and intensity of each evaluation element for necroinflammatory activity and fibrosis used in modified HAI score. ABSTRACTS Material and methods. The studied material consised of liver biopsy samples from 246 cases with chronic C hepatitis (CH) and 49 cases with chronic B hepatitis (BH). Tissue samples were processed by the classical histological technique (neutral buffered formalin fixing and paraffin embedment) and stained, on serial slides, with hematoxilin eosin and thricrome van Gieson. All elements of modified HAI score were assessed (Piecemeal necrosis - A -, Confluent necrosis - B -, Spotty necrosis, apoptosis and focal inflamation - C -, Portal inflamation - D - and Architectural changes, fibrosis and chirrosis) for each case from the two groups. Distributions of each score element as well as the final HAI score for both groups were compared. Results. 60% of CH cases had focal piecemeal necrosis in most of portal spaces (score 2) whereas 30% of BH cases had moderate continuos areas in less thah 50% of tracts and septa (score 3). Most of BH cases had no confluent necrosis (score 0) whereas 30% of CH cases had foci of confluent necrosis (score 1), and some of them foci in some areas of 3d zone (score 2). Spotty necrosis, apoptosis and focal inflamation were generally mild to moderate in both groups but with a less expression in BH (almost 40% with score 1) than in CH (around 70% with score 2). Portal inflamation was mild in 50% of BH cases but moderate in 50% of CH cases. The fibrotic remodelling expressed the entire panel in both groups but with more cases with fibrous expantion of most portal sapces (score 3) and with chirrosis (score 6) in B group and with more cases with fibrous expantion of portal spaces and porto-portal marked bridges (score 4) and marked bridging with occasional chirrotic nodules (score 5) in C group. Conclusions. The entire spectrum of morphological changes in hepatic parenchyma is more severe in C hepatitis compared with B hepatitis, which was confirmed by their final assembly in the modified HAI score. Sarcomatoid carcinoma of the urinary bladder. A case report C. Glava, E. Michail*, D. Lepidas*, X. Grammatoglou, T. Vasilakaki Department of Pathology, * Department of Urology “Tzaneion” General Hospital of Piraeus Background. Sarcomatoid variants of urothelial carcinoma are rare, aggressive malignant neoplasms. Histologic composition of these tumors is variable and characterized by the presence of both epithelial and mesenchymal malignant components. We report a case of sarcomatoid urothelial carcinoma with relatively benign course. Case report. A 73-year-old male admitted to our hospital for an episode of painless hematuria. A cystourethroscopy revealed a large-based polypoid solid tumor, of maximum diameter 3 cm, localized in the right lateral and posterior bladder wall and transurethral resection was performed. Histologic examination of the tumor showed a biphasic composition of both neoplastic epithelial and connective tissue components. The epithelial neoplastic component consisted of urothelial cells with nuclear pleomorphism attributable to a high-grade urothelial carcinoma. The mesenchymal component consisted in a neoplasm of low cellular- 325 ity. Neoplastic cells were spindle-shaped with hyperchromatic nuclei and slightly eosinophilic cytoplasm deposited in a prominent myxoid matrix. Mitotic figures were rare. The immunohistochemical profile of the mesenchymal component was characterized by a strong and diffuse positivity for Vimentin and negativity for Smooth Muscle Actin (SMA), Desmin, S100p and cytokeratins. Histochemical stain for Trichrome Masson was negative, indicating the absence of hyalinization of the stroma. Diagnosis for sarcomatoid carcinoma, according to the latest WHO’s classification, without heterologous differentiation was made. The patient underwent radiation treatment. After five years in follow-up and in absence of recurrence or metastasis, a programmed cystourethroscopy revealed a papillary tumor around the bladder neck, excised with transurethral resection. Histologic examination showed a low-grade urothelial carcinoma with absence of the mesenchymal neoplastic component. The patient did not accept supplementary radiation therapy. A year later, a tumor recurrence was found localized in the anterior bladder wall and around the bladder neck infiltrating the prostatic urethra. The tumor was excised and specimens were taken from both bladder wall and prostate. Histologic examination revealed a high-grade urothelial carcinoma with invasion of both bladder wall and prostate gland. The patient continued radiation therapy. Discussion. In the urinary bladder the majority of the neoplasms are of pure epithelial origin. Pure mesenchymal tumors and biphasic epithelial – mesenchymal neoplasms rarely occur at this site. Also histogenesis of sarcomatoid carcinomas remains uncertain. Some authors support that these tumors develop as a result of the capability of the totipotential neoplastic cell to undergo multiple pathways of terminal differentiation whereas others support the theory of “collision” tumors where both epithelial and mesenchymal components arise independently from each other. Recent molecular studies strongly agree for a monoclonal origin of both epithelial and mesenchymal components. The mean age of diagnosis is 66 years and hematuria is the most frequent symptom. Etiology and risk factors are largely unknown. Heterogeneous elements (osteosarcoma, chondrosarcoma, rhabdomyosarcoma, leiomyosarcoma, liposarcoma and angiosarcoma) can be present in the stromal component of the tumor. Immunohistochemically, epithelial elements react with cytokeratin, whereas stromal elements react with Vimentin or specific markers corresponding to the mesenchymal differentiation. Nodal and distant metastases at diagnosis are common. Prognosis is very poor: 70% of the patients die at 1 to 48 months. In the present case, histologic and immunohistochemical characteristics of the tumor are to attribute to a sarcomatoid carcinoma. According to the literature, prognosis of such neoplasms is very poor. However, seems that early diagnosis (smaller tumor without lymphatic or distant metastases) can improve the prognosis. Conclusion. Sarcomatoid carcinomas of the urinary bladder are rare, aggressive malignant neoplasms. Nevertheless, early diagnosis, radical excision of the neoplasm and accurate adjuvant radiation therapy seem being of crucial importance in order to improve prognosis and prolong survival. 326 Histological modifications of the umbilical cord in pregnancy induced hypertension R. Ilie*, C. Ilie Neonatology Departament of “Bega” Clinic of Obstetrics and Gynecology, Timisoara; * Pathology Departament of Children’s Hospital, “Louis Turcanu” Timisoara Objective. The main structural modifications of the umbilical cord in pregnancy induced hypertension (PIH) are presented vs. the normotensive pregnancy. Material and method. Over 160 histological sections were obtained from 42 umbilical cords, distributed into two equal monitored groups: one group (n = 21), from mothers with (PIH); and another group (n = 21), from normotensive mothers, representing control-group. The histological sections were made from the placental and fetal side of the umbilical cord. The histological method for preparation and the colored stain was that for Hematoxylin-Eosine (H.E.); for the examination of the samples we used an optical microscopy. Results. In the study, were registered the following structural modifications in the pregnancies with PIH vs. normal pregnancies: – diameter and volume reduction of the umbilical cord and umbilical vessels; – numerical reduction and structural disorders of the smooth muscular fibers and fascicles, from the vascular (and especially, arterial) media; – vascular endothelium thickening and vascular caliber reduction; – numerical reduction and structural disorders of the collagen and elastic fibers (especially to the umbilical cord vein). It is a special interest in the constant association of these lesions to the pacients with PIH, vs. the normotensive cases, where they occur rarely and isolatedly. Conclusions. The above described lesion complex has at least three physiopathological consequences: – fetal blood stream reduction; – fetal oxygenation and nutrition reduction, with an impact upon the general development; – a fetal chronic hypoxemia, with a direct impact upon the fetal cerebral development. The immunohistochemical and molecular status of Epstein-Barr Virus (EBV) in lymphnodes draining nasopharyngeal carcinoma C. Iosif*, L. Popescu**, A. Georgescu*, F. Vasilescu*, D. Terzea* **, M. Mihai*, F. Andrei*, M. Ceausu* **, D. Arsene*, M. Neagu*, D. Ene*, G. Butur*, C. Ardeleanu* ** “Victor Babes” National Institute, Bucharest, Romania; “Carol Davila” University of Medicine and Pharmacy, Bucharest; *** “Coltea” Clinical Hospital, Bucharest * ** Aim. To determine retrospectively the presence of EBV latent membrane protein (LMP) and viral transcript EBER in metastatic and nonmetastatic lymphnodes from patients with nasopharyngeal carcinomas. Material and methods. Metastatic and nonmetastatic lymphnodes from 34 adult patients diagnosed with different types of nasopharyngeal carcinoma and 13 primary undifferentiated nasopharyngeal carcinoma were tested immuno- Adriatic Society of Pathology - 22nd International Meeting histochemically (IHC) for LMP and by in situ hybridization (ISH) for EBV. Clone CS 1-4 and EnVision detection system from Dako, Denmark were used for LMP identification by IHC; the EBV probe (NCL-EBV) and NCL-ISH-D detection kit from Novocastra, UK were used for identifying EBER transcripts by ISH. Results and discussion. The tumoral cells were positive in 5/7 cases for EBER and in 3/7 cases for LMP in laterocervical lymphnodes with metastases of undifferentiated nasopharyngeal carcinomas. The lymphocytes were positive in 2/4 cases for EBER, but negative for LMP in reactive lymphnodes from patients with nasopharyngeal nonmetastatic undifferentiated carcinoma. The 13 undifferentiated primary tumor tested showed positivity for EBER in 11 and for LMP in 6 cases. The metastatic lymphnodes from patients with squamous cell carcinoma showed positivity for EBER in one case out of 13; all 10 reactive lymphnodes from patients with squamous cell carcinomas were negative for EBER as for LMP. The positivty of EBER in primary or metastatic tumoral cells of undifferentiated nasopharyngeal carcinoma is associated usually with their transformation, but the same positivty for lymphocyte in reactive lymphnodes of these tumors is unusual. Conclusion. The positive lymphocytes for EBER in reactive lymphnodes of undifferentiated carcinomas could suggest their role as latently infected cells, possiblly implicated in viral growth and predicting further metastses. Immunoexpresion of HER family, Neuregulin, MAPK, AKT in Invasive Ductal Carcinomas of the Breast H. Kaya, I. Erbarut, N. Özkan, N. Bekiroglu* Marmara University Hospital, Department of Pathology, Istanbul 81190, Turkey; * Marmara University Hospital, Department of Biostatistics, Istanbul 81190, Turkey Background. Epidermal Growth Factor (EGF) family of receptor tyrosine kinases (RTKs) and ligands play an important role in the pathogenesis of breast cancer. The purpose of this study was to investigate the frequency of expression of erbB/Her family of growth factor receptors and their ligand neuregulina (NRGa), most important pathways activated by HER receptors mitogen activated protein kinase (MAPK) and serine/threonine kinase (AKT), their coexpressions and their correlations with the well known histopathological prognostic parameters as tumour stage, grade, lymph node status, oestrogen receptor (ER), progesterone receptor (PR) status, and patients clinical out come, in invasive ductal carcinomas of the breast, not otherwise specified (IDC-NOS). Methods. 59 invasive carcinomas ductal carcinomas of the breast has been studied for ER, PR, EGFR, c-erbB-2, cerbB-3, c-erbB-4, Neuregulin Ab-3, Phospho-Akt, and Phospho-p44/42 Map Kinase by streptavidin-biotin horseradish method. Results. Of the 59 tumours, 44 (75%) were ER+, 37 (63%) PR+, 4 (7%) EGFR+, 7 (12%) c-erbB-2, 7 (12%) c-erbB-3, 14 (24%) c-erbB-4. Strong cytoplasmic and nuclear immunoexpression revealed with 17 (29%) NRGa, with 13 (22%) p-AKT and nuclear immunoexpression with p-MAPK found to be 17 (29%) of the cases. There has been a statistically significant correlation with ER negativity and EGFR overexpression, and PR positivity and p-MAPK expression 327 ABSTRACTS (p < 0.05). c-erbB-2 overexpression demonstrated significant correlation with the tumour high grade, PR negativity, and cerbB-3 immunoexpression. c-erbB-3 expression and c-erbB-4 expression has found to be statistically correlated (p < 0.05). Significant association with c-erbB-4 expression and the patients good clinical out come has been revealed (p < 0.05). Conclusion. The results of our study suggests that high grade histomorphology of the breast carcinomas are associated with the ER-/PR- negativity, and activated by receptor tyrosine kinase growth factors as EGFR and c-erbB-2 overexpression. Distant metastatic disease of skin melanoma at ovary, like paraovary cyst. Case report E. Lazovic, N. Bilalovic, A. Cimic, I. Bukvic* Department of Pathology, Clinical Center University Sarajevo, Bosnia and Herzegovina; * Department of Gynaecology, Clinical Center University Sarajevo, Bosnia and Herzegovina This paper will show you a rare hystologic type of metastatic primary skin malignant melanoma to ovary that simulate paraovary cyst. A 40-year-old Bosnian woman was admitted in November 2006 at the Department of Gynaecology, Clinical Center of the University of Sarajevo, Bosnia and Herzegovina cause of the tumor mass at her right ovary, 24 x 17 x 15 cm. Tumor was cystic with haemorrhagic, agility liquid but in the base of cystic tumor we found whitish-gray, papillary, fragility, tumor mass with solidity area 15 x 15 cm. With microscopic analysis of tumor tissue we found that it consists of eosinophylic, atypic, pleomorfic cells with prominent nucleoli and some pathologic mitoses (less then 10/10 Hpf). Tumor had areas with muffy growth pattern of cells around the vessels. We found the vessels invasion. Imunohystohemical evaluation of tumor cells show us S-100 (+), Melan A (+), Vimentin (+) and CD 10 (+). Addition of clinical information, macroscopic find, microscopic morphology find with imunohistochemical evaluation we found out the diagnosis: distant metastatic disease of skin melanoma to ovary that simulate paraovary cyst. Ultrastructural features of heterotopic mesenteric ossification S. Lega, D. Malvi, C.M. Betts , M.P. Foschini * Section of Anatomic Pathology, Bellaria University Hospital, and * Dept. of Experimental Pathology, University of Bologna, Bologna, Italy The histological finding of mature bone-tissue within the mesentery of the gastrointestinal tract is very uncommon and to our knowledge, less than 25 cases have been described in the literature. This kind of lesion may represent the soft-tissue counterpart of myositis ossificans and therefore, it has been designated under the term “heterotopic mesenteric ossification” (HMO). Purpose of the present paper is to describe the ultrastructural features of three cases. All patients were male, aged 25, 48 and 58 years, respectively. All had prior history of abdominal trauma and presented with intestinal obstruction. Macroscopically, multiple, firm, greyish-white lesions were observed in the mesentery of small bowel in all cases and in one also in the omentum. Histologically the lesions were composed of steatonecrosis and haemorrhage surrounded by myo-fibroblastic proliferation, with spindle shaped cells, intermixed with an acute and chronic inflammatory infiltrate. At the periphery of these areas, eosinophilic material resembling osteoid was present. The “zone phenomenon” described in the myositis ossificans was observed. The myofibroblastic cells and osteoblasts were mitotically active, while they lacked atypia and atypical mitotic figures were absent. For electron microscopy small blocks were microdissected from paraffin-embedded samples. These small blocks were de-waxed by overnight immersion in xylol and rehydrated to phosphate buffer, through a graded series of alcohol dilutions. Biopsies were then re-fixed in buffered glutaraldehyde, post-fixed in OsO4, dehydrated in alcohol and embedded in Epon 812 (Fort Washington, Pa, USA). Thick sections stained with toludine blue were used to select areas to examine. Thin sections were stained with uranyl acetate and Reynold’s lead citrate, and observed in a Philips CM 10 TEM (Eindhoven, Netherlands). At ultrastructure, elongated cells immersed in the osteoid material were rich in rough endoplasmatic reticulum, contained vesicles and filaments and showed a well developed Golgi apparatus. The eccentric nuclei showed finely distributed chromatin with occasional prominent nucleoli. All these features are consistent with a secretory-like cell pattern and an active protein synthesis. The precise pathogenesis of HMO has still not yet been determined. Most probably it is related to metaplasia of mesenchymal stem cells, as a consequence of an exuberant reaction to trauma or injury, in predisposed individuals. The ultrastructural features observed here further support the hypothesis of stem cells actively producing osteoid material. Mesothelioma study V. Loncaric, L.B. Vuletic, L. Brcic, D. Anzulovic, I. Brcic, M. Alilovic*, S. Krizanac, S. Seiwerth Institute of Pathology, Medical School University of Zagreb, Zagreb, Croatia; * Department of Pneumology, University Clinic for Lung Diseases, Zagreb, Croatia Mesothelial changes still remain one of the most problematic areas in routine pulmonary pathology. In recent years the diagnosis of mesothelioma underwent significant changes. Gradual introduction of new immunohistochemical tools allows today a better differential diagnosis and represents a valuable help in solving some of the crucial questions in the “simple” decision tree: primary or secondary; if primary-benign or malignant, if secondary- where from. In order to analyze the evolution of the diagnostic process of mesothelioma at our Institute in the light of above mentioned changes, and to reevaluate the diagnosis of mesothelioma made under different technical conditions, we reassessed the material of 100 patients diagnosed as mesothelioma in the period 1999-2006. The original specimen was a transthoracal needle biopsy, an open biopsy or a surgical resection. All specimens were submitted to a panel of antibodies including CEA, vimentin, thrombomodulin, calretinin and CD15. In order to reach the envisioned antibody panel 155 slides had to be stained additionally. In about 40% of cases the original diagnosis was achieved without immunohistochemistry. In 20% of cases 1 or 328 2 antibodies were used, in 15% of patients 3 or 4 antibodies were originally applied. The advances in immunohistochemical identification of mesothelium greatly improved the differential diagnosis between primary and metastatic pleural disease, while discrimination between benign and malignant mesothelial changes still remains difficult diagnostic task. Haemangiopericytoma of the meninges and peripheral solitary fibrous tumour: morphological and immunoistochemical comparison S. Manoni, D. Malvi, V. Eusebi Section of Anatomic Pathology, “Bellaria” University Hospital, Bologna, Italy Background. In 1942 Stout and Murray described a tumour of the soft tissue, primarily located in the retroperitoneum, buttock and thigh that they named haemangiopericytoma (HPC) because the cells that composed the neoplasm had a certain similarity to the “pericytic” cell, discovered previously by Zimmermann nineteen years before. In the central nervous system (CNS), however, this term was used for the first time in 1954 when Begg and Garre reported a case of primary cranial meningeal haemangiopericytoma. They noticed, in fact, that this lesion was identical to angioblastic meningiomas as well as to the lesion previously described by Stout and Murray. Following the recognition of the solitary fibrous tumour (SFT), it soon became clear that there was an overlap between these two entities (i.e. SFT and haemangiopericytoma). Over the years, the concept of haemangiopericytoma located outside the CNS has changed and nowadays it is no longer considered a distinctive entity, but rather as a growth pattern which can be shared by several neoplasms. Nevertheless, HPC is still diagnosed when occurring in the meninges. Purpose. In order to better define the morphological features and the immunophenotype of meningeal HPC, we re-examined 6 cases of HPC of the meninges that had not recurred, 9 cases of HPC that had recurred and 12 cases of peripheral SFT that were found in the database of this Institution from 1993 to 2004. No SFT of the CNS was found in the same database. Cases were stained for CD 34, Bcl2, Cd 99, Ki 67 and smooth muscle actin. The HPC cases of the CNS are neoplasms composed of spindle to globoid cells, showing a “patternless” pattern, with numerous vessels showing thick and thin stag-horn branching. A variable amount of collagenous fibres were present. HPCs that recurred were highly cellular, had occasional necrotic foci, a high mitotic count, frequent cellular atipia and weak CD34 positivity. HPCs that did not recur and peripheral SFTs, on the contrary had low cellularity, low mitotic index, no necrotic areas, and showed diffuse and strong positivity for CD34. Comment. The present data indicate that recurring HPC, non recurring HPC and peripheral SFT are a spectrum of the same lesion. Aggressive behaviour of HPC of meninges is indicated by high cellularity, necrotic foci, high mitotic count and low expression of CD34. It is suggested that HPC of the meninges, by analogy with peripheral lesions, ought to be renamed meningeal solitary fibrous tumour (MSFT). Adriatic Society of Pathology - 22nd International Meeting Risk of neoplastic transformation in asymptomatic radial scar. Analysis of 117 cases E. Manfrin, A. Remo, F. Falsirollo, D. Reghellin, R. Loss, M. Gobbato, C. Cannizzaro, D. Dalfior, M.P. Rapagnani, M. Vergine, F. Menestrina, F. Bonetti Department of Pathology, University of Verona (Italy) Background. Before mammographic screening was available, Radial Scar (RS) was mostly an incidental finding in breast specimens removed for other clinically suspicious lesions, but nowadays it is increasingly recognized as a primary lesion in asymptomatic patients with atypical mammograms. RS is a benign breast lesion but a variable percentage of cases are associated with atypical epithelial proliferations and cancer. In recent years, it has become apparent that RS, albeit benign, is a lesion that carries the risk of a carcinoma developing within its context and a subsequent breast carcinoma with an increased relative risk (R.R.1.8) when compared with the normal female population. Previous studies have shown that patient age and the size of RS are correlated to a potential neoplastic transformation. Method. We collected 117 asymptomatic patients with suspected RS following a mammogram, histologically confirmed. The clinical, pathological and immunophenotypical analysis is reported. The cases are subdivided into three different groups: 1) RS “Pure”, without epithelial atypia; 2) RS associated with epithelial atypical hyperplasia; 3) RS with cancer. Results. “Pure” RS was detected in 55 patients (47%); the mean age was 48.1 years and the mean size 0.94 cm. RS associated with atypical epithelial hyperplasia was identified in 25 cases (21%) with a mean age of 53.1 years and a mean size of 0.98 cm. Carcinoma in RS was observed in 37 cases (32%); the mean age was 55.5 years and the mean size was 1.16 cm. The mean age was statistically significant (p = 0.004) in separating RS with cancer from the two other RS groups. The size of RS was not sufficiently statistically significant (p = 0.2) to differentiate the risk. Atypical lesions and cancers showed a morphology and marker of low-grade aggressiveness. Conclusions. RS seems to represent a natural model of carcinogenesis starting from a proliferative lesion in patients of less than 50 years of age and developing into an atypical and later into a carcinomatous lesion. The fact that most carcinomas arising in RS are low grade also favors this hypothesis. All cases of RS should be excised because of the intrinsic risk of neoplastic transformation. This work was supported by: Fondazione Cassa di Risparmio di Verona Vicenza Belluno e Ancona. “Carcinoma della mammella: marcatori fenotipici e molecolari indicatori di prognosi e risposta terapeutica”. Bando di ricerca scientifica 2004, indirizzo biomedico. Exfoliative cytology of the oral cavity: Flow Cytometric analysis of dna obtained by a new sampling method A. Marsico, A. Demurtas*, I. Rostan, M. Pentenero, S. Gandolfo, R. Navone Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana dell’Università di Torino; * SC Anatomia Patologica II, ASO “S. Giovanni Battista” di Torino, Italy Introduction. Survival rate for oral squamous carcinoma has shown no improvement over the last 25 years as it is often ABSTRACTS diagnosed in the advanced stages. Moreover, although new technologies (liquid-based and computer-assisted cytology, AgNORs, etc.) have improved the sensitivity and specificity of diagnostic oral exfoliative cytology for the diagnosis of oral dysplasia/neoplasia (Navone et al., Cytopathology, in press), some cases still remain undiagnosed with cytology alone. The evaluation of the DNA content may give a good indication of malignancy, but the intra-tumoural heterogeneity of ploidy is high (12-45%), suggesting that is hard to determine the correct DNA content by only one specimen. To overcome this limitation, we examined a pool of cells harvested from the whole abnormal surface area, using an innovative system, based on the scraping with a dermatological curette. This study compares the DNA ploidy to the cytological and histological diagnosis made on the microhistological and scalpel biopsy of oral potentially malignant lesions (PMLs). Methods. A total of 117 oral samples, adequate for ploidy and diagnostic cytology evaluation, evidenced 44 leukoerythroplakia lesions without dysplasia, 44 with dysplasia, 25 squamous cell carcinoma and 4 verrucous carcinoma. Flow cytometry was carried out on samples in saline, using a FACSCalibur (Becton Dickinson) cytofluorimeter and the Cycle Test Plus kit for the determination of the DNA. Results. Aneuploidy was observed in 56.0% of the squamous cell carcinoma, in 0% of the verrucous carcinoma, in 50.0% of the leuko-erythroplakia lesions with dysplasia and in 9.1% of those without dysplasia (p = 0.0005 in relationship with the presence of dysplasia). There was 11.7% of inadequate samples. Conclusions. The cell material harvested from the oral cavity may be used, not only to make a cytological diagnosis, but also for the examination of the DNA content. The presence of aneuploidy may have a prognostic value and is, therefore, particularly important in lesions with no morphological evidence of dysplasia. The scraping technique described herein allows for the non-invasive harvesting of cells from the whole abnormal area, providing material for cytology, flow cytometry and the micro-histology of the “accidental micro-biopies” obtained by the curette. Pathological findings in surgical specimens of patients with refractory temporal lobe epilepsy G. Marucci, I. Banchelli, L. Volpi*, G. Rubboli*, M. Giulioni**, M.P. Foschini Section of Pathology, Department of Oncology, University of Bologna, “Bellaria” Hospital, Bologna, Italy; * Section of Neurology, Department of Neuroscience, “Bellaria” Hospital, Bologna, Italy; ** Section of Neurosurgery, Department of Neuroscience, “Bellaria” Hospital, Bologna, Italy The aim of this study was to analyze a series of patients who underwent surgery for refractory temporal lobe epilepsy in order to evidence the frequence of pathological findings, the predictive potential of magnetic resonance and to correlate the histological diagnosis with the seizure outcome after surgery. Material and Methods. Cases were retrieved from the files of the Section of Anatomic Pathology of the “Bellaria” Hospital, University of Bologna, relative to patients seen between 2001 and 2005. Histological subtypes of focal cortical dysplasia (FCD) were classified according to Palmini et al. 1 and cases with mild histological abnormalities corresponding to the 329 definition of microdisgenesia were included.The seizure outcome was classified according to Engel 2. Results. Fifty-one cases constituted the basis of this study (24 males and 27 females), ranging from 4 to 61 years of age (median age 34.5 years), at follow-up periods of 12 to 60 months after epilepsy surgery (median period 36 months). The most frequent histological diagnosis were hippocampal sclerosis and FCD, that alone or in association (dual pathology) accounted for 70.6% of the cases; low grade tumors (mainly ganglioglioma and dysembrioplastic neuroepithelial tumour) represent 23.5% of the cases, while vascular lesions (cavernous angioma and artero-venous malformation) 5.9% of the cases. Magnetic resonance imaging contributed in a high percentage of cases to the detection of hippocampal sclerosis (90.9%) and low grade tumors (91.6%). Neverthless a significant number of FCD lesions remained unidentified using current neuroimaging techniques (more than 80%). Regarding the seizure outcome after surgery, it has been evidenced that 80.3% of cases are in class I of Engel. Particularly better postsurgical outcome has been reported in patients with low grade tumours (100% of patients in class I), followed by hippocampal sclerosis (72.6% of patients in class I) and FCD (50% of patients in class I). In cases of dual pathology, 84.10% of patients are in class I. Comparing the seizure outcome with subtypes of FCD it has been observed that microdisgenesia presents very good follow-up (100% of patients in class I), while less favourable prognosis was associated to architectural dysplasia (70% of patients in class I) and finally to cytoarchitectural dysplasia (62.5% of patients in class I). Conclusions. Hippocampal sclerosis and FCD represent the most frequent diagnoses in the present group of patients. FCD lesions remain often unidentified using current neuroimaging techniques. The data confirm that surgical approach may represent a useful alternative in therapeutic managemente of these patients. References 1 Tassi L, Colombo N, Garbelli R, et al. Focal Cortical Dysplasia: Neuropathological Subtypes, EEG, Neuroimaging and Surgical Outcome. Brain 2002;125:1719-32. 2 Fauser S, Schulze-Bonhage A, Honegger J et al. Focal Cortical Dysplasias: Surgical Outcome in 67 patients in relation to Histological Subtypes and Dual Pathology. Brain 2004;127:2406-18. Stromal response in invasive (pT1) and noninvasive (pTa) papillary urothelial carcinoma of the urinary bladder Z. Marusic, M. Milosevic*, H. Cupic, M. Belicza, B. Kruslin, D. Tomas Ljudevit Jurak Department of Pathology, Sestre Milosrdnice University Hospital, Zagreb, Croatia; * Department for Environmental and Occupational Health, “Andrija Ctampar” School of Public Health, Zagreb, Croatia Purpose. Stromal invasion is a key prognostic feature in papillary urothelial carcinoma of the urinary bladder, but sometimes it is difficult to diagnose invasion. Aim of this study was to assess and compare stromal eosinophil and mastocyte count and desmoplastic reaction in invasive (pT1) and non-invasive (pTa) papillary urothelial carcinoma of the urinary bladder. 330 Methods. Eosinophils and mastocytes were counted in the stroma of 18 pT1 and 16 pTa urothelial carcinomas obtained by transurethral resection. Specimens were routinely fixed, embedded in paraffin, cut and stained with hematoxylin and eosin method for the eosinophil count. Giemsa stain was performed for the mastocyte count, and Mallory stain for the assesment of desmoplastic reaction. The area of the tumor that contained the maximum number of eosinophils was identified by scanning the whole mount section under lower magnification (100X). Eosinophil counts were performed in the previously selected high-power field (HPF, 400X) and in 9 adjacent stromal HPFs. Identical counting method was performed for mastocytes using the Giemsa stain. Eosinophil numbers were classified as low (< 30/10 HPFs), moderate (30-60/10 HPFs) or high (> 60/10 HPFs). The intensity of green staining in the stroma of the above mentioned 16 pTa and 18 pT1 carcinomas was assessed semiquantitatively and classified as follows: 0 = no staining, 1 = weak green staining, 2 = moderate green staining, 3 = intense green staining. Statistical analysis was performed by the independent t-test and c2 test and the level of statistical significance was set at p < 0.001. Results. The average number of eosinophillic granulocytes per 10 HPFs was 22 in pTa and 92 in pT1 carcinomas (p < 0.001). Among pTa carcinomas, the eosinophil count was low in 12 (75.0%) and moderate in 4 (25.0%) specimens, but none exhibited a high number of eosinophils, whereas in pT1 carcinomas the eosinophil count was low in 3 (16.7%), moderate in 4 (22.2%) and high in 11 (61.1%) cases (p < 0.001) Also, presence of ≥ 20 eosinophils in at least one HPF was not recorded in non-invasive carcinoma, in contrast to 11 (61.1%) of the invasive carcinomas. Mastocytes were found only in 5 pTa and 2 pT1 specimens, which didn’t allow us to make further comparisons. Absent or weak green staining (groups 0 and 1) was recorded in 7 (43.8%) pTa and 8 (44.4%) pT1 carcinomas, whereas moderate or intense green staining (groups 2 and 3) was present in 9 (56.2%) pTa and 10 (55.6%) pT1 carcinomas (p = 0.968). Conclusion. Our results suggest a statistically significant difference in stromal eosinophil count between pTa and pT1 urothelial bladder cancer, which may represent a useful additional criterion in the diagnosis of invasion. The estimation of desmoplastic reaction by Mallory stain does not represent a useful diagnostic criterion of invasion and further investigations of stromal desmoplastic reaction using immunohistochemical methods are required to assess its usefulness in the diagnosis of invasion. Ovarian retiform Sertoli-Leydig cell tumor: clinico-pathological study of a case D. Micello, N. Papanikolau, C. Facco, C. Riva, C. Capella Department of Human Morphology, University of InsubriaVarese, Italy Background. Sertoli-Leydig cell tumors (SLCTs), which account for less than 0.5% of all ovarian tumors, exhibit a wide range of patterns and cell types. Fifteen percent of SLCTs are composed of tubular structures arranged in a retiform pattern resembling the rete testis. Retiform SLCTs often display a prominent papillary architecture, mimicking the much more common serous epithelial neoplasms. Adriatic Society of Pathology - 22nd International Meeting The clinico-pathological features of a case of ovarian retiform SLCT are reported. Case report. A 13 year-old young female, with regular menstrual cycles and absence of virilization signs, presented with the complaint of severe abdominal pain. The physical examination revealed a palpable pelvic mass and the abdominal CT-scan showed a pelvic tumor (24 x 12 cm-sized) of probable left adnexial origin. High serum level of CA-125 (299 U/ml) and a-fetoprotein (94 ng/ml) was observed, while CEA and b-hCG were negative. The patient underwent left salpingo-ooforectomy, omentectomy and multiple peritoneal biopsies. No adjuvant therapy was administrated. After 11 years the patient was alive and well, without recurrence of disease. Results. Macroscopically, the tumor measured 24 cm in greatest dimension and the external surface was intact and smooth. The cut surface exhibited a multicistic hydatiformlike appearance, with pale, edematous and spongy foci intermingled to some solid and brownish areas. Microscopic examination showed the proliferation of medium sized cells arranged in a network of elongated, narrow, slit-like tubules resembling the rete testis. A striking papillary architecture with marked stromal hyalinization was observed; the epithelial cells lining the papillae showed prominent nuclei and scanty cytoplasm. Minuti foci of cartilage and of rhabdomyoblastic differentiation were present. Immunoprofile study revealed a diffuse positivity for cytokeratin and a-inhibin, focal reactivity for actin, desmin and CA-125 and negativity for vimentin and a-fetoprotein. Discussion. The ovarian retiform SLCT is an uncommon neoplasia arising in young females, that in approximately 25% of the cases may follow an aggressive course. In our case the patient presented with a Stage I disease and a favourable outcome after a long term follow-up. Retiform SLCTs can mimick other ovarian neoplasms including serous carcinoma, endodermal sinus tumor, endometrioid carcinoma and carcinosarcoma. The correct recognition of these entities is important because they have a better prognosis than tumors with which they are confused but they have a worst prognosis than other subtypes of SLCTs. Frequency of malignant tumors in children treated in “St. Mary’s” Pediatric Hospital, Iasi, Romania D. Mihaila, M. Onciu***, I. Florea**, P. Plamadeala, M. Trandafirescu, A. Varna, S. Dumitras* Departments of Pathology and * Oncology “St. Mary” Children’s Hospital, Iasi, Romania; ** Department of Immunology UMF “Gr. T. Popa”, Iasi, Romania; *** Department of Pathology St. Jude Children’s Research Hospital Memphis, TN, USA Objectives. The aim of this study was to asses the frequency and types of pediatric extra-cranial malignant tumors diagnosed and treated at “St. Mary’s” Emergency Hospital for Children (SMEHC), Iasi, Romania, a tertiary pediatric care center that serves a population of approximately 5 million, during a period of seven years (2000-2007). Methods. Most of the cases were initially diagnosed cytologically, on May-Grünwald-Giemsa-stained imprints, and/or frozen sections stained with toluidine blue. The final ABSTRACTS 331 diagnostic was made on hematoxylin-eosin-stained sections of routinely processed, formalin-fixed, paraffin-embedded tissue, with special stains and immunochemical stains performed when necessary. Patient’s age, gender, and stage at presentation were recorded after a medical record review. Statistical analysis was performed using the SPSS.13.0 software. Results. 354 patients with cancer (0.17%) were identified out of a total of 204,477 children treated in our hospital between 2000-2007. The patients ranged in age from 6 months to 18 years. The male/female ratio was 1.4:1. Hematopoietic tumors were the most frequent (205 cases, 57%), including leukemias (173 cases, 48.7%) non-Hodgkin lymphomas (45, 12.6%) and Hodgkin lymphomas (32, 9%). Of the leukemias, 86 cases (24.2%) were acute lymphoblastic leukemias, 37 (10.4%) were acute myeloid leukemias, and 5 (1.4%) were chronic myeloid leukemias. The next most frequent were embryonal tumors (87 cases, 24.5%), including neuroblastoma (32 cases, 9%), Wilms tumors (22, 6.2%), Ewing/PNET (18 cases, 5%), rhabdomyosarcomas (RMS) (11, 3.1%), hepatoblastomas (3, 0.8%) and retinoblastoma (1, 0.2%). In decreasing order of frequency, other types of malignancy included: germ cell tumors (18 cases, 5%), osteosarcomas (17, 4.7%), non-RMS sarcomas (12, 3.3%), carcinomas (9, 2.5%), and melanomas (4, 1.1%). The most frequent subtypes of carcinoma included nasopharyngeal, adrenocortical and gastrointestinal. The lowest mean patient age at presentation (2.5 years) occurred in patients with embryonal tumors, while the highest was found in patients with carcinomas (12.9 years). Patient age had a bimodal appearance in hematopoietic neoplasms, with a major peak at 4 years and a minor peak at 14 years. Most of the patients were in advanced disease stages at the time of diagnosis. Conclusions. Extra-cranial malignant tumours represented 0.17% of the diagnoses established at SMEHC, Iasi, between 2000-2007. The most frequent were hematologic malignancies, followed by embryonal tumors. There were significant differences in patient age at presentation for the different types of malignancy. Most of these patients presented with advanced disease stages. an expert pathologist and then by an automatic procedure in order to determine an accurate cut off value which could predict the implant success. Material and methods. We used a digital microscope (Olympus “slide Digital virtual microscopy”) with a proper software (“dot slide” software) to scan all the specimens at 10X magnification to obtain VSI (Virtual Slide Image) files. On scanned images the percentage of integrated bone was determined by two different procedures: A)we captured all images from dot slide’s VSI files and measured the areas of each specimen by manual drawing using “dot slide” instrument from the menu bar. It took about one hour and half for each biopsy; B)we captured the images from VSI files in the same way but we converted VSI files in Jpg. These images were analyzed using another software called “Image-Pro Plus” by Media Cybernetics with a settings for automatic recognition and measurements of selected areas. With this approach we could evaluate the percentage of mature bone for each biopsy in 10 minutes, and no special expertise was required. Several stains such as Trichrome and Von Kossa were tested to give the best colour contrast between the different areas, but Hemathoxilin and eosin gave the best result. Results. The percentages of mature bone recognized using the different approaches were similar and almost overlapping with those reported by the expert pathologist, with a variability of 5-10%. Inflammation, granulation tissue and presence of osteoblasts/osteoclasts at the periphery of the mature bone could play an additional important role on the implant success and should be described. Conclusions. Determining an exact cut off level of regenerated vs. necrotic bone with rapid and automated procedure would be important not only for objectively predicting the implant success but also for testing different materials to be used in pre-implant therapy. Automated Evaluation of mature bone component in alveolar biopsies following pre-implant Guided Bone Regeneration procedure S. Musardo, B. Franceschini, S. Di Biccari, B. Fiamengo*, N. Dioguardi, F. Grizzi L. Molinaro, S. Asioli, L. Gaetano, P. Cassoni, R. Navone Department of Biomedical Sciences and Human Oncology Section of Pathological Anatomy and Histology University of Turin Introduction. Making a dental implant means to put a hollow screw with a tooth on top in the dental alveolus that often is completely necrotic. Osteointegration and the quantity and quality of bone available in the site of implant is a crucial step for the stability of the protesis and the success of the rehabilitation. The aim of the study was to evaluate 24 biopsy from the dental alveolus of 20 patients who underwent “Guided Bone Regeneration” procedure with biocompatible material (heterologous bone powder or synthetic powder) 6 months following the treatment in order to determine the percentage of mature bone. All the specimens were first analyzed by Pituitary tumor transforming gene 1: a new histopathological biomarker for primary cholangiocarcinomas Laboratories of Quantitative Medicine and * Department of Pathology, Istituto Clinico Humanitas IRCCS, Rozzano, Milan, Italy Cholangiocarcinoma (CC) is an epithelial neoplasm arising from the biliary network, still difficult to diagnose and associated with a high mortality. Although its rarity the CC incidence is increasing globally, and it remains the second most common primary hepatobiliary malignancy. CC is usually classified into three distinct categories: 1) intrahepatic CC, 2) hilar CC, and 3) distal extrahepatic bile duct cancer. Although our advances in molecular and cellular knowledge on CC, there are still not specific CC markers. Several biomarkers have been proposed as a diagnostic guide, including the carcinoembryonic antigen (CEA) and carbohydrate antigen 19.9 (CA19.9). Furthermore, imaging is retained helpful tools for the evaluation and management of patients with suspected CC. Here we investigate the expression of Pituitary Tumor Transforming Gene 1 (PTTG1), in order to evaluate this 332 antigen as a potential histopathological biomarker for early detection of CC and its management. The expression of PTTG1 was assessed by means of a standardised immunohistochemical procedure in formalinfixed and paraffin-embedded surgically resected specimens taken from patients affected by primary CC. We found PTTG1 expression in all of the investigated tissue. Interestingly the protein was homogeneously recognized in all of the neoplastic cells with a different intensity. Normal adjacent tissue was found immunonegative, except for Kupffer macrophagic cells that were highly immunopositive. The present study first demonstrates the expression at the protein level of the proto-oncogene PTTG1 in primary CC cells. The high frequency of expression, and its diffuse distribution in cancer cells suggest that this antigen can be taken as a new histopathological biomarker of CC, enabling not only its early detection, but also to follow-up the dynamics of this neoplasia. In addition, further studies are necessary for evaluating the usefulness of PTTG1 as a potential target for developing effective immunotherapeutic strategies. Histological diagnosis by satellite. The Chirundu experience F. Pagni, A. Faravelli, et al. POF, Università Milano Bicocca In Italy the pathologists are enough for global number to answer to clinical daily problems (around 2,500 for 60 millions people). It isn’t like that in a lot of poor countries. In the subsaharian Africa, for example, a lot of countries haven’t surgical pathology laboratories and also if there is a pathologist it is insufficient to satisfy the medical needs. In Zambia there is only 1 pathologist for 10 millions men, in Tanzania with 30 millions of inhabitants there are only 7 pathologists. Patologi Oltre Frontiera-ONG (POF) planned since 2004 an ambitious project to promote the birth of new surgical pathology laboratories all around the world, expecially in “poor countries”. This project needs two important features: first of all, the telemedicine, to transfer and communicate the histological cases to the Italian hospitals where the pathologists, by internet, can see virtual slides and make a diagnosis that they sent to Africa. The other important aspect of the project is the possibility to train new medical and technician staff directly in the “poor countries” using Italian voluntary pathologists which travel around the different countries to teach the practical bases of surgical pathology. Since 2006 the pathologists have used a modern technology based on the transmission of microscopic images by internet using a Scanscope and a satellitar connession. This permits to “POF” to make diagnosis in Italy on surgical histological and cytological specimens prepared locally. In this work we will show with histological examples the first months of experience of our telepathologic project in Mtendere Mission Hospital, Chirundu (Zambia). Adriatic Society of Pathology - 22nd International Meeting Not-proliferating, committed to proliferate and proliferating hepatocytes in human hepatocarcinogenesis C.I. Paulon, L. Di Tommaso, G. Franchi*, A. Destro*, E. Balladore*, M. Montorsi**, G. Torzilli**, M. Tommasini***, M. Roncalli Departments of Pathology and ** General Surgery, University of Milan School of Medicine & Humanitas Clinical Institute, Rozzano, Milan, Italy; * Molecular Genetic Laboratory and *** Operating Unit of Hepatology, Humanitas Clinical Institute, Rozzano, Milan, Italy Background. Hepatocellular nodules occurring in cirrhosis are a morphologically heterogeneous group of lesions embracing LGDN (low grade dysplastic lesions), HGDN (high grade dysplastic lesions), e-HCC (early HCC) and G1-HCC and G2-3 HCC. Recently it has been proposed that the coincidental evaluation of both old and novel markers of cell kinetic such us Ki67, MCM-2 (minichromosome protein 2) and germinin is useful to understand the biology of this spectrum of lesions. Objectives. To evaluate hepatocyte cell kinetic in 78 hepatocellular nodules arising in cirrhosis, using Ki67 and MCM-2 as immunocytochemical markers. Material and methods. The series included 81 surgically resected hepatocellular nodules from 32 patients (15 cirrhotic nodules, 7 LRN, 10 LGDN, 11 HGDN, 15 G1-HCC, 20 G2-3 HCC). Tissue sections were immunostained for Ki67 and for the (MCM-2). Results were semiquantitatively evaluated as percentage of immunoreactive cells and all the lesions subclassified as not-proliferating (NP: Ki67 < 5% & MCM-2 < 10%), committed to proliferate (CTP: Ki67 < 5% & MCM-2 > 10%), and proliferating (P: Ki67 > 5% & MCM-2 > 10%). Results. Thirty-four (42%) nodules were NP, 24 (30%) CTP and 23 (28%) P. NP lesions were distributed as follows: cirrhotic nodules (80%), LRN (71.4%), LGDN (60%), HGDN (72.7%), G1-HCC and G2-3 HCC (0%). CTP were distributed as follows: cirrhotic nodules (20%), LRN (28.6%), LGDN (40%), HGDN (27.3%), G1-HCC (53.3%) and G2-3 HCC (20%). P nodules were distributed as follows: cirrhotic nodules (0%), LRN (0%), LGDN (0%), HGDN (0%), G1-HCC (46.7%) and G2-3 HCC (80%). Conclusions. There is a substantial retention on the control of cell kinetic within the heterogeneous group of non malignant hepatocellular nodules as opposed to malignant lesions. Hepatocytes of well differerentiated HCC are mainly committed to proliferate while are frankly proliferating in less differentiated tumors. These might indicate that other factors rather than a mere disruption on the control of cell cycle play a role in the early phases of human hepatocarcinogenesis while aberrant cell proliferation plays a more crucial role in HCC progression. We are currently evaluating whether the cell kinetic of so-called early HCC falls within the spectrum of overtly malignant or non malignant hepatocellular nodules. ABSTRACTS Small cell carcinoma of the urinary bladder: a new case report A. Petrescu, G. Berdan, I. Hulea, R. Gaitanidis, V. Ambert, V. Jinga, D. Damian, F. Andrei**, L. Niculescu* “Prof. Dr. Th. Burghele” Hospital, Bucharest, Romania; * University of Medicine and Pharmacy “Carol Davila”, Bucharest, Romania; ** “Victor Babes” National Institute of Pathology, Bucharest, Romania Small cell carcinoma of the urinary bladder is rare and accounts about 0.5%-1% of all bladder tumors. The most of the small carcinoma coexist with other carcinoma as urothelial carcinoma, epidermoid carcinoma or adenocarcinoma. Introduction. We present the case of a man 44 years old, smoker (10 cigarettes/day) hospitalized in the “Prof. Th. Burghele” Urology Clinic accusing intermittent hematuria dating one month before being admitted. Ultrasonography exam performed for establishing the diagnosis showed the presence of a sesil tumoral mass, sized 37/30 mm. Transurethral resection of the tumor mass was effected and tissue fragments were send to the pathologic lab to establish the histologic type, the degree and invasion. Material and methods. Fragments of the tumor were fixed in formaldehyde 10%, included in paraffin and processed as standard technique and the sections were stained with HE, VG and immunohistochemically: CROMO, EMA, NSE, CD56, NK1 (CD57), p53, beta HCG. Results. The microscopic exam reveled a tumor proliferation composed of two distinct components: extensive small cells areas and foci of typical low grade (G2) papilary urothelial carcinoma. The small cell are uniformly, round, with increased nucleo-cytoplasmic ratio, eosinophyl cytoplasmic, hyperchromatic nuclei, finely granular chromatin and inconspicuous nucleoli. Immunohistochemical stains showed diffuse positive staining of the small cell carcinoma component for CROMO, EMA, NSE, CD 56 and urothelial carcinoma component stained focally for betaHCG. The rate of cell proliferation was increased (p53 -80% positive reaction). Conclusions. Because of aggressive behavior and distinct treatment, the pathologist should watch out for the presence of small cell carcinoma component. Intraparenchymatous arterial and arteriolar morphological changes in hypertensive patiens dead with intracerebral haemorrhage I.E. Plesea, S.D. Enache*, M. Ghilusi*, C.F. Popescu*, M. Tenovici***, O.T. Pop, A. Camenita** Department of Pathology, University of Medicine and Pharmacy; * Department of Pathology, ** Department of Neurosurgery, Emergency County Universitary Hospital; *** Department of Pathology, National Railways System Universitary Hospital, Craiova, Romania Background and aims. The rupture of a intraparenchymal vascular wall usually hides or at least modifies the real vascular pathology making thus difficult the study of the main cause of primary intracerebral haemorrhage. Therefore the purpose of this study was to assess the alterations of intraparenchymal arterial and capillary in patients suspected of primary intraparenchymal hematoma, which died and were autopsied in order to confirm the diagnosis. 333 Material and methods. 82 hypertensive cases were selected which died with stroke and were confirmed with intracerebral haemorrhage by autopsy. The studied material consisted of nervous tissue situated near and distant from the haemorrhagic lesion. The specimens were processed by the classical histological technique (neutral buffered formalin fixing and paraffin embedement) and stained with usual stainings (H-E, van Gieson and Goldner trichromes) and with immunohistochemical stains for endothelial cells. Results. Penetrating arteries and intraparenchymal arterioles showed the entire spectrum of lesions due to arterial hypertension including all steps of vascular wall degeneration: thickening and folding of the inner elastica, hypertrophy of the middle smooth muscle layer, progressive and exgtensive fibrosis, starting from the outer adventicial layer with simultaneous smooth muscle atrophy and, finally, hyaline degeneration of the collagen fibres which replaced the middle and outer vascular wall layers. All these alterations had a focal irregular distribution, not related with the proximity of haemorrhagic focus. The CD 34 immunostaining showed that endothelial cells kept their structural integrity. Conclusions. The sequence of cerebral vascular wall degenerative lesions results in hyalinization of excessive fibrillar material from arteriolar wall or from basement membranes. Hyalin material is weakening the wall resistance when exposed to the stress caused by blood pressure high values in hypertension and, correlated with a minimal resistance of the surrounding cerebral parenchyma, can explain why the cerebral parenchyma is the only tissue in which blood pressure variations can determinate vascular rupture and cerebral haemorrhage. The more adequate term for describing the vascular wall changes seems to be sclerosis with hyalinosis. Correlations between grading factors and fibrillary components and vascular density of intratumoral stroma in prostate carcinoma I.E. Plesea, S.D. Enache**, C.F. Popescu**, M. Ghilusi**, C.V. Georgescu**, O.T. Pop, R. Ciurea, D. Gherman***, P. Badea* Department of Pathology, * Department of Informatics, University of Medicine and Pharmacy; ** Department of Pathology, Emergency County Universitary Hospital, Craiova; *** Department of Pathology, Municipal Hospital, Sighisoara, Romania Aims. The authors made a preliminary assessement of possible correlations between the amount of fibrillary components and capilaries of intratumoral stroma and the architectural tumoral patterns described by Gleason in 34 cases prosatic adenocarcinoma. Material and methods. The samples, obtained by transurethral resection (TUR) were fixed in buffered formalin and included in paraffin wax. Stromal fibrillary components were marked with silver staining (Gömöri) and stromal vascular structures were marked with antibodies for CD34 Classs I. Dominant and secondary Gleason patterns were identified for each case. Five fields with no necrosis were selected randomly using x20 objective, for both important patterns of each case. The selected tumoral areas were aquired using a Nikon DN100 digital camera and a LuciaNet 1.16.2 soft. The quantitative determinations were 334 performed, after image calibration, with analySIS Pro 3.2 soft. The 340 selected fields were firstly subdivided following Gleason patterns. Area occupied by stromal fibrillary components and the number of intratumoral capillaries were determined for each field. The studied parameters for each group were: the percentage of stromal fibrillary elements and capillary densitiy related to tumoral area Results. There is no significant difference between the amount of stromal fibrillary components (SFC) in patterns “2” (21.43% ± 9.35 of tumoral area) and “3” (24.56% ± 9.21 of tumoral area) (t-test > 0.05). There is also no significant difference in SFC between patterns “2” and “4” (21.81% ± 9.98 of tumoral area) (t-test also > 0.05). There is significant difference between patterns “3” and “4” (0.01 < t-test < 0.05). Pattern “5” with a mean value of the amount of SFC of 33.07%, ranging between 21.37 and 44.83 presented high significant differences compared with all the other patterns (all t-test values < 0.001). There is high significant difference between the density of intratumoral capilaries in pattern “2” wich has the lowest values (84.76 ± 50.67 capillaries/mm2 of tumoral area) comparing with all the other patterns: “3” (107 ± 74.58 capillaries/mm2 of tumoral area – t-test = 0.04), “4” (195.72 ± 150.28 capillaries/mm2 of tumoral area - t-test < 0.001) and “5” (156.93 ± 98.07 capillaries/mm2 of tumoral area - t-test < 0.001). There is also high significant difference in capillary densities between patterns “3” and “4” (t-test < 0.001). Pattern “5” with a mean value of capillaries density of 156.93 capillaries/mm2 of tumoral area, ranging between 58.86 and 255 capillaries/mm2 of tumoral area presented significant differences compared with patterns “3” and “4” (t-test values of 0.011 and 0.029 respectively). Conclusions. These preliminary data suggested that on TUR specimens the amount of SFC tends to increase in “3” patterns, is decreasing in “4” patterns and becomes again significantly higher in “5” patterns. Intratumoral vascular density tends to increase from well differentiated areas to poorely differentiaded ones, with the highest values in areas with solid pattern “4”. Human sodium iodide symporter (hnis) in gastric mucosa F. Poli, A. Farnedi, M.P. Foschini, V. Eusebi Anatomic Pathology University of Bologna, “Bellaria” Hospital Iodide uptake across the basolateral membrane is a characteristic feature of normal thyroid follicular cells and is driven by the recently cloned and characterized human sodium iodide symporter (hNIS), an intrinsic transmembrane protein. In addition to normally functioning thyroid tissue, iodide uptake has been demonstrated in a variety of nonthyroidal tissues, including gastric mucosa, salivary and lacrimal glands, lactating mammary gland, choroid plexus and placenta. In this study we used a polyclonal antibody directed against hNIS protein to asses its expression in tissue sections derived from ten cases of gastric pathology. These specimens include 5 cases of intestinal-type gastric adenocarcinoma, 3 Adriatic Society of Pathology - 22nd International Meeting cases of signet-ring cell carcinoma, 1 case of chronic gastritis, 1 case of peptic ulcer, 1 case of gastric leiomyoma and 1 case of gastric lymphoma. In all cases immunohistochemical analysis revealed hNIS immunoreactivity in normal and hyperplasic gastric foveolae. On the contrary, intestinal-type adenocarcinomas, signet-ring cell carcinomas, gastric lymphoma and gastric leiomyoma resulted negative. Moreover areas showing gastric atrophy with intestinal metaplasia showed loss of hNIS immunoreactivity. These results confirm that hNIS is expressed in normal and hyperplasic gastric mucosa and it is responsible for an active iodide translocation that provides a higher iodide concentration in gastric secretions than in serum. Inorganic iodide secreted by gastric mucosa followed by oxidation to hypoiodite may act as an antimicrobial agent, offering mucosal protection against environmental micro-organisms. Chronic atrophic gastritis with intestinal metaplasia missing hNIS expression lost this capability. Furthermore hNIS expression could be used as an immunohistochemical marker to provide differential diagnosis between hyperplasic and neoplastic gastric mucosa. Morphological changes of seminiferous tubular wall in aging testis O.T. Pop, R. Ciurea, I.E. Plesea, S.D. Enache**, P. Badea*, M. Tenovici***, C. Gruia** Department of Pathology, * Department of Informatics, University of Medicine and Pharmacy; ** Department of Pathology, Emergency County Universitary Hospital; *** Department of Pathology, National Railways System Universitary Hospital, Craiova, Romania Background and aims. The Authors assesed the possible correlations between ageing and morphologic aspects of the seminiferous tubular (ST) wall. Material and methods. The studied material consised of surgical samples of testicular tissue from 28 cases with orchiectomy for prostate adenocarcinoma. Tissue samples were processed by the classical histological technique (neutral buffered formalin fixing and paraffin embedement) and stained, on serial slides, as following: for basement membrane (BM) with silver staining following Gömöri technique and immunostaining for Collagen IV (CIV) and for lamina propria (LP) with Goldner green light thricrome and immunostaining for smooth muscle Actin (SMA) and CIV. Images were aquired and measurements were performed with a specialised softweare for immage analysis after previous calibration. The assessed parameters were: BM thickness (BMThs), LP thickness (LPThs) and Fibro-Hyalin “Collar” thicknes (FHCThs). 30 tubules were randomly selected, with X40 objective, for each case and 5 random determinations for each tubule and for each parameter were performed. Mean thickness/tubule (M-xThs/T), Mean thickness/case (M-xThs/Cs) and Mean thickness/age group (M-xThs/A) were calculated (x = assesed parameter). Regression line (RL), Slope (m) and Significance test for Slope (“p”) were calculated in order to to assess the correlation of each parameter with ageing. Results. For BM, the layer immunostained with CIV was thinner than that marked by silver staining. Therefore, it seems that the most accurate way of marking the BM is CIV ABSTRACTS immunostaining. Thickness of the 2 observed layers (CIV immunostained and silver stained) had different trends with ageing: the true BM seems to have a regressive trend while the outer silver stained layer seems to have an encreasing trend both in thickness and density. M-LPThs showed, in contrast with other data, a discrete decreasing trend with ageing, but without a obvious statistical significance. The internal LP layer, apposed to BM and usually formed of a loose, reticular, fibrillary network, revealed, not rarely, areas of collagen fibers focal denseness. Moreover, these areas showed often foci of hyaline degeneration. Sometimes, these foci had a circumferencial disposal, like a “collar” around the tubule (FHC). M-FHCTh had a discrete decreasing trend with ageing but but without a obvious statistical significance. The percentage occupied by FHC in LP had also a mild decreasing trend but without statistical corellation with ageing. Conclusions. The measurements and observations showed beyond any doubt that ST wall undergoes, with ageing, a series of extremely variable degenerative changes, with a “mosaic”, focal distribution. These changes showed no tendency to advance with ageing as demonstrated by the great variety of morphologic measurements (ranging from total absence in some tubules to surrounding the entire circumference of the tubule) and by the statistical determinations. Fine needle aspiration cytology of thyroid nodules performed under the guidance of eco-colour doppler sonography M. Ragazzi, S. Bianchini**, S. Lega, L. Castaldini*, P. Vezzadini**, M.P. Foschini Section of Anatomic Pathology, University of Bologna “Bellaria” Hospital, Italy; * Department of radiology, “Bellaria” Hospital, Bologna; ** Department of Medicine and Gastroenterology, University of Bologna “Bellaria” Hospital Background. Ultrasonography guidance has increased the sensitivity of fine-needle aspiration cytology (FNAC). Nevertheless, in multinodular goiters the choice of nodule to submit to FNAC is still a problem. In a previous work, we have shown that thyroid nodules have a characteristic vessel distribution, that can be visualized on eco-colour doppler sonography (ECD). Purpose of the present study is to evaluate if the vascular pattern can be useful to select thyroid nodules for FNAC. Method. 310 thyroid nodules were analysed by ECD before FNAC and classified as follow: no vessels evident (type 1), only peripheral vessels evident (type 2), intranodular vessels (type 3). Results. Type 1 nodules were 45 and were diagnosed on FNAC as negative for malignancy in 36 (80%) cases, follicular lesions (FL) in 5 (11.1%), papillary carcinomas (PC) in 2 (4.4%) and inadequate in 2 (4.4%) cases. Type 2 nodules were 72: 60 negative for malignancy (83.3%), 11 FL (15.3%) and 1 inadequate (1.4%). Type 3 nodules were 193: 108 negative for malignancy (55.9%), 73 FL (37.8%), 8 PC (4.1%), 1 medullary carcinoma (0.5%) and 3 inadequate (1.5%). Conclusion. Type III nodules show a higher rate of neoplastic lesions (FL, PC and MC) (42.5%). This suggests that vascular pattern may be useful in the selection of thyroid nodules for FNAC. 335 Vacuum-assisted biopsy with the “targetoid” method. Report of an experience with 324 cases D. Reghellin, E. Manfrin, M. Tonegutti*, E. Bragantini, M.P. Rapagnani, M. Vergine, A. Remo, R. Loss, M. Gobbato, C. Cannizzaro, D. Dalfior, F. Menestrina, F. Bonetti Istituto di Anatomia Patologica, Dipartimento di Patologia, Università di Verona, Italy; * Servizio di Radiologia, Casa di Cura “Pederzoli”, Peschiera, Verona, Italy Introduction. Vacuum-assisted biopsy (VAB) is a widely used technique to obtain tissues from breast minimal lesions, usually calcifications, without surgery. The classic method is to perform multiple biopsies in a clock-wise sequence. This method is really effective in sampling the lesion and, in some circumstances, also in removing it. However, classic VAB is sometimes not so effective in characterizing a lesion in its extension and composition. This is particularly important for atypical lesions and for lesions of uncertain malignant potential (radial scar, central papilloma, multiple papillomatosis, mucocele-like lesion, phyllodes tumour) which can be topographically heterogeneous and which can be associated with malignant lesions. In this work we describe a new method to perform VAB, which we have named “targetoid”. Method. The “targetoid” VAB is performed under stereotactic-guide with the Mammotome™ System (Ethicon Endo-Surgery, Breast Care, Norderstedt, Germany) with an 11-gauge probe. Specimens are obtained with vacuum aspiration (23-25 mmHg) and for every VAB procedure multiple complete needle rotations are performed (at least three, when possible); during every rotation (internal, intermediate and external) multidirectional specimens (360°) are collected. The tissue thus obtained is processed in three different samples as internal (A), intermediate (B) and external (C) and pathological diagnosis is subdivided in the same way. When surgical excision is later performed and Pathologist’s report is available, it is compared with Pathologist’s report of VAB. Results. From October 2002 until December 2006 we have applied the “targetoid” method to 324 consecutive VAB procedure performed by the same Radiologist and histologically evaluated by the same Pathologist. In 252/324 cases (77.8%) mammographic image was calcification, in 18/324 cases (5.5%) mammography showed a nodule, in 7/324 cases (2.2%) there was a distortion of breast parenchyma and in 42/324 cases (13%) there were a nodule and calcifications together. In 5/324 (1.5%) cases mammographic image was not specified. In 274 patients at least three VAB rotations were performed, with a mean specimen number of 21.9 (range 11-40). Among these 274 patients, a malignant lesion was detected in 74/274 cases (27%); an atypical lesion was detected in 28/274 cases (10.2%); a lesion of uncertain malignant potential was detected in 22/274 cases (8.1%) and in 116/274 cases (42.3%) a benign lesion was detected. In 34/274 cases (12.4%) there was not a specific lesion in VAB specimens. Among these 274 patients with 3 VAB rounds, a surgical excision was later performed and Pathologist’s report was available in 60 cases. In 47/60 cases (78%) surgical biopsy contained the same lesion found in the VAB specimens. In 1 case with a malignant diagnosis in VAB, the surgical biopsy contained only an atypical lesion. In 3 cases with an atypical lesion in VAB, surgical biopsy contained a malignant lesion and in 3 cases with a benign lesion in VAB, surgical biopsy contained an atypical lesion. One case negative at VAB was 336 submitted to surgery because of its suspect radiological image and there was a malignant lesion in the surgical biopsy. In 5 cases surgical biopsy contained no more lesions. Conclusion. VAB is a minimal-invasive, widely used, technique to obtain mammal tissue. In Literature, VAB is proposed as a diagnostic tool for malignant and atypical lesions and as a therapeutic instrument for benign lesions (such as fibroadenoma and gynecomastia). In this work we describe a new “targetoid” method to perform VAB. The “targetoid” method can give a great number of specimens making possible to obtain material from three topographically distinct levels of the lesion. This is useful in removing lesions, especially benign ones, and in better characterizing atypical lesions. In fact, in our series, in 78% of cases VAB diagnosis was confirmed at surgery, in 5/60 cases (8%) lesion was completely removed by VAB and in 1/40 case with a malignant diagnosis at VAB, surgical biopsy contained only an atypical lesion. However, the single case with no lesion in VAB and a malignant lesion in surgical biopsy and the three cases with a benign VAB diagnosis and an atypical lesion in surgical biopsy confirm the importance of considering VAB results together with radiological image and suspect. This work was supported by: Fondazione Cassa di Risparmio di Verona Vicenza Belluno e Ancona. “Carcinoma della mammella: marcatori fenotipici e molecolari indicatori di prognosi e risposta terapeutica”. Bando di ricerca scientifica 2004, indirizzo biomedico. Pituitary adenoma and carcinoma: description of a series A. Righi, G. Marucci, G. Frank*, D. Mazzatenta*, M. Faustini Fustini*, M.P. Foschini Department of Anatomic Pathology, University of Bologna, “Bellaria” Hospital, Italy; * Center of Surgery for Pituitary Tumors, Department of Neuroscience, “Bellaria” Hospital, Bologna Introduction. Most tumours arising in the sella turcica, are adenomas derived from adenohypophysial cells (10-15% of intracranial neoplasms). However, their biology is complex and they can cause a variety of endocrine syndromes and disorders. Purpose of the present study is to analyse a series of pituitary adenomas in order to better define morphologic features associated with recurrence and aggressive behaviour. Material and methods. All cases of adenohypophysial tumours were retrieved from the of the Section of Anatomic Pathology of the University of Bologna at Bellaria Hospital, from January of 1992 to April of 2007. In all cases the patient age and sex, the presence of endocrine function, macroscopical invasion and disease status (disease free or recurrent tumour) were evaluated. The tissue has been fixed in 10% buffered formalin, routinely processed, and embedded to paraffin. All tumours have been immunostained for the full spectrum of pituitary hormones. In addition, in 265 cases the proliferation rate was evaluated, applying an anti Ki67 antibody. All cases were classified according the World Health Organization (WHO) 2000 Classification of Endocrine Tumours guidelines. Results. The present series consists of 957 pituitary adenomas, from 908 patients, 443 males (48.8%) and 465 females (51.2%) with a mean age of 48.3 years old (range 7-95). Ad- Adriatic Society of Pathology - 22nd International Meeting enomas were subdivided as follows: 293 null cell adenomas, 131 prolactin (PRL) cell adenomas, 112 corticotroph cell adenomas, 94 gonadotroph (FSH/LH cell) cell adenomas, 61 sparsely granulated growth hormone (GH) cell adenomas, 114 densely granulated GH cell adenomas, 30 mixed (GH and PRL cell) adenomas, 17 mammosomatotroph cell adenomas, 16 oncocytoma, 15 plurihormonal adenomas, 10 thyrotrophic cell adenomas, 9 silent corticotroph adenomas (subtype I, II), 2 silent adenomas (subtype III), 4 acidophil stem cell adenomas and 2 pituitary carcinomas. Sixty six patients showed invasive adenomas, which included 32 null cell adenomas, 16 PRL cell adenomas, 3 sparsely granulated GH cell adenomas, 3 densely granulated GH cell adenomas, 3 thyrotrophic cell adenomas, 3 oncocytoma, 2 gonadotroph (FSH/LH cell) cell adenomas and one plurihormonal adenoma. The mean of Ki67 labelling index in 41 patients with recurrent non invasive adenomas was 5.5% (range 1-30%); in 179 patients with non recurrent non invasive adenomas, the mean Ki67 labelling index was 2.6% (range 1-15%). Ki67 labelling index in 45 patients with invasive adenomas showed that in 8 patients with a recurrence mean Ki67 labelling index was 12% (range 3-30%), while in the remaining 37 patients without recurrences Ki67 labelling index was 4.1% (range 1-20%). Two carcinomas, both with craniospinal metastases, presented a Ki67 labelling index of 40% and 43% respectively. Conclusion. Our study confirm that high Ki67 is associated with recurrence, invasion (atypical adenoma) and metastasis (pituitary carcinoma) in pituitary tumours. Somatostatin receptor type 2 immunohistochemistry in neuroendocrine tumors: a proposal of scoring system correlated with somatostatin receptor scintigraphy L. Righi, M. Volante, M.P. Brizzi, A. Faggiano*, S. La Rosa**, I. Rapa, A. Ferrero, G. Mansueto***, S. Garancini****, C. Capella**, G. De Rosa***, L. Dogliotti, A. Colao*, M. Papotti Department of Clinical and Biological Sciences, University of Turin at “San Luigi” Hospital, Orbassano, Turin, Italy; * Department of Molecular and Clinical Endocrinology and Oncology, “Federico II” University, Naples, Italy; ** Section of Anatomic Pathology, Department of Human Morphology, University of Insubria and Ospedale di Circolo, Varese, Italy; *** Department of General Pathology, Medicine, Human Pathology, and Clinical Pathology, University “Federico II” of Naples, Naples, Italy; **** Department of Nuclear Medicine, Ospedale di Circolo, Varese, Italy Background. Typing somatostatin receptor (SSTR) expression in neuroendocrine tumors (NETs) is of relevance to target an octreotide-based diagnostic approach and treatment. The expanding use of immunohistochemistry to detect SSTR is to date not paralleled by an accurate methodological setting and standardized interpretation of the results. Methods. A multicentric study was designed to compare SSTR immunohistochemical expression with in vivo scintigraphic data and verify its usefulness in the clinical management of NETs. After methodological setting by testing different SSTR antibodies, 107 cases of NETs with available OctreoScan data 337 ABSTRACTS and pathological material (both surgical and preoperative) were retrospectively analyzed for SSTR type 2A immunohistochemical expression, and the results combined in a four grade scoring system (0 to 3) and compared with scintigraphic images and, whenever available, with the clinical response to somatostatin analogue treatment. Results. Restricting “positive cases” to the presence of a membrane pattern of staining (proposed scores 2 and 3), an overall SSTR type 2A immunohistochemistry/OctreoScan agreement of 77% (Chi-square test p < 0.0001) was reached. Lower concordance ratios were detected in preoperative and metastatic tumor samples, possibly as a consequence of SSTR expression heterogeneity. Pure cytoplasmic staining showed poor correlation with OctreoScan images (54% concordance rate). In a pilot series, SSTR type 2A immunohistochemistry correlated with clinical response in 82% of 22 patients undergone to therapy with somatostatin analogs on the basis of a positive OctreoScan uptake. Conclusions. A standardized scoring system for SSTR type 2A immunohistochemistry is proposed as a useful and reliable adjunct to OctreoScan in the clinical management of NET patients. A membranous as opposed to cytoplasmic SSTR type 2A staining well predicts clinical response to somatostatin analogue therapy and provides additional information on receptor distribution into a given tumor tissue and among primary and metastatic lesions. Obestatin distribution in human fetal and adult tissues and endocrine tumours R. Rosas, M. Volante, P. Ceppi, E. Bacillo, V. Tavaglione, E. Fulcheri*, M. Papotti Department of Clinical and Biological Sciences, University of Turin at “San Luigi” Hospital, Orbassano, Turin, Italy; * DICMI, Division of Pathology, University of Genoa, Genoa, Italy Background. Obestatin is a newly discovered peptide, encoded by the ghrelin gene, which possesses controversial metabolic activities, partially opposed to ghrelin, that are mediated by the interaction with receptors still far to be characterized. No data are currently available on obestatin distribution in human tissues as well as in neoplastic disease. Methods. A variety of normal human paraffin embedded tissues was collected, as well as fetal human tissues at different gestational ages. Obestatin and ghrelin proteins were analyzed by means of single or double immunohistochemistry, also in comparison with chromogranin A. The specificity of the obestatin and ghrelin antibodies was tested by adsorption experiments. A series of 63 human endocrine tumors was also collected and tested by immunohistochemistry for both hormones. Results. In normal tissues, obestatin protein was detected in neuroendocrine cells of the pituitary, bronchial tree, gastrointestinal tract (with a decrease in the density of positive cells from the stomach to the colon) and pancreas, and weakly in the parathyroid. By analysis of serial sections and double immunohistochemical procedure obestatin protein detection largely overlapped with ghrelin immunoreactivity. In fetal tissues, obestatin was detected in the same tissues mentioned above, and notably in fetal thyroid, as also previously described for ghrelin. Concerning endocrine tumors, obestatin was expressed in thyroid (altogether in nearly 50% of cases of benign and malignant tumors), parathyroid and pituitary tumors, with the same distribution pattern as ghrelin. Scattered obestatin positive cells were also detected in nearly 70% of neuroendocrine tumors of various sites, with a percentage of positive cells within individual tumors never exceeding 10%. In this latter group of tumors, obestatin protein detection was unrelated to ghrelin immunoreactivity, in terms of both intensity and distribution of the reactivity pattern. Conclusions. Our study demonstrates for the first time obestatin protein expression by neuroendocrine human cells, mostly overlapped with that of ghrelin distribution. Moreover, obestatin protein is also expressed by endocrine tumors, with a larger spectrum of reactivity but a lower extent in individual tumors as compared to ghrelin; further transcriptional as well as in vitro studies will better define its role in neoplastic growth regulation, as already demonstrated for ghrelin hormone. An anusual case of lipid-rich breast carcinoma S. Russo, F.M. Maiello, D. Coppola, P. Vinaccia, F. Baldassarre, A. Siciliano, G. Pisani, G. Teta Ospedale dei Pellegrini, Napoli We report a case of a breast carcinoma that is morphologically and histochemically looking-like a “lipid-rich” carcinoma but from a immunohistochemical point of view we could call it a “basal-type” carcinoma. The tumour occurred in a female patient of 73 years and presented as a 2 cm. mass of the right breast showing a short clinical history. The patient submitted a FNAB and a mastectomy with lymphadenectomy. The lesion did not present axillary lymph node metastases . The tumour presented with cytological and histological features of an invasive lipid-rich breast carcinoma. Since it was a triple negative we performed an immunostaining for c-kit, EGFR and molecular high weight cytokeratins that resulted diffusely and intensely positive. We interpret this reactivity as a basaltype phenotype. Since recent literature suggests the existence of two distinct groups of breast neoplasia, luminal and basal, with different behaviour and therapy responsiveness, the relevance of this case would lye in its clinical and therapeutic implications. Frequency and localization of metastases in patients with primary renal cell carcinoma who developed second primary tumors M. Skledar, I. Novosel*, D. Tomas, H. Cupic, S. Bulimbasic**, A. Reljic, M. Belicza, B. Kruslin Ljudevit Jurak Department of Pathology, Sestre Milosrdnice University Hospital, Zagreb, * Department of Pathology, Dr. Ivo Pedisic Country Hospital, Sisak; ** Department of Pathology, Dubrava University Hospital, Zagreb Introduction. Simultaneous occurrence of two or more primary carcinomas is considered to be very rare. Among these uncommon cases as indicated by recent literature, primary renal cell carcinoma (PRCC) is the tumor most frequently associated with another primary cancer. It is still difficult to find correct data since these patients are considered to be a curios- 338 ity. There are no surveys regarding frequency or localization of metastases developed in patients with PRCC and another second primary malignant tumor (SPMT), and also no data regarding the frequency and localization of metastases from primary RCC or SPMT in such patients. Aim. In this study we intended to answer the questions regarding the PRCC and SPMT: How many? Where? What? Which one? related to metastasis development of SPMT or PRCC in these patients. Also we wanted to determine the incidence and localization of second malignances. Materials and methods. Out of 849 patients who underwent surgery for renal malignancies at the Department of Urology during the period between 1992 and 2006, 797 were diagnosed with PRCC out of which 23 patients had also SPMT also (14 males and 9 female). Results. In our study there were 148 (19%) patients aged 22-100 with PRCC who developed metastatic disease out of which 68% were males. Regional lymph nodes were affected most commonly (55%), and other localizations in descending order of frequency were adrenal gland (21%), spine (7%), lungs (7%), brain (6%), muscle (3%), colon (3%), and others. The infiltration of renal vein was present in 18% of cases. Median diameter of PRCC that developed metastases was 10.1 cm and in 67% the PRCC was G3 or G4 according to Fuhrman. SPMTs were present in 23 of 797 patients (3%) out of which 11 (48%) were in patients with metastatic PRCC disease. There were 14 males (median 61.0 years) and 9 female patients (median 58.0 years). Simultaneous occurrence of more than one SPMT was found in 6 patients out of which in one case Von Hippel Lindau syndrome was diagnosed. Taking into consideration the last information, we found 29 SPMTs which were diagnosed in 23 patients. According to the localization of SPMT in a descending order of frequency, they included cancer of the other kidney (51%), prostate (10%), brain (8%), intestine (8%), ureter (8%), bladder (3%), breast (3%), ovary (3%), adrenal gland (3%) and skin (3%). In 5 cases both of malignancies (PRCC and SPMT) developed metastases (80% lymph nodes, 20% brain), in 6 cases PRCC was the one metastasizing tolymph nodes, adrenal gland, and brain and just in one case only SPMT metastasized to cerebellum. Simultaneous occurrence of more than one SPMT was found in 6 patients out of which in one case Von Hippel Lindau syndrome was diagnosed. Discussion and conclusion. Second primary malignant tumors are not so rare as it is thought. therefore they may be of great importance for the clinician regarding follow-up, as well as for the pathologist to elucidate etiologic factors. Further studies and investigations may provide new prognostic parameters in these patients. Antiproteasome effects of Epoxomicin on bladder tumor growth B. Stanoiu, I.E. Plesea*, C.V. Gerogescu**, C. Simionescu*, C. Gruia** Department of Cellular Biology, * Department of Pathology, University of Medicine and Pharmacy; ** Department of Pathology, Emergency County Universitary Hospital, Craiova, Romania Background and aims. In normal cells p53 is usually inactive, being continually produced and degraded by the proteasome Adriatic Society of Pathology - 22nd International Meeting system. p53 becomes activated in response to a myriad of cellular stress types. p53 is central to many of the cell’s anticancer mechanisms. It can induce growth arrest, apoptosis and cell senescence. Many of human tumors contain a mutation of the p53 gene. Mutant p53 proteins are able to accumulate at very high concentrations and can inhibit normal p53 protein levels. The proteasome is a multisubunitar complex responsible for the degradation of almost all cytosolic proteins, when cells no longer need them. Proteasome inhibitors have effective anti-tumor activity in cell culture, inducing apoptosis by disrupting the regulated degradation of pro-growth cell cycle proteins. The mechanism by which proteasome inhibitors potentiate cell death have often been attributed to stabilization of p53. This study is focused on Epoxomicin, a cell-permeable, irreversible and relatively selective proteasome inhibitor. Current research efforts are aimed to determine the effects of Epoxomicin as an anticancer therapy. Material and methods. To obtain information on the mechanisms underlying antiproteasome effects on bladder tumor growth, we used T24, a cell line established from an invasive human transitional cell carcinoma (TCC) of the bladder as experimental models. To determine the effect of different Epoxomicin concentrations on the proliferation of this cell line we used BrdU incorporation. To determine whether Epoxomicin induces cell death in our cell model system, annexin V FITC assay has been performed. To investigate whether the treatment with Epoxomicin resulted in an accumulation of p53, Western blot analysis were performed on T24 cells treated for different time with different doses of Epoxomicin. Results. Results have shown a marked decrease in cell proliferation of T24 cells, that is dose and time dependent. Epoxomicin manifests a significant cell growth inhibition starting with 0,1 mM at 18 hours. The apoptotic activity of T24 cells was significantly increased compared to the untreated cell culture after an incubation period of 12 hours with Epoxomicin 0,5 mM. on our cell model system, p53 expression increased after 4 hours treatment with 0,5 mM Epoxomicin and high levels of p53 remained up to 24 hours. Conclusions. The proteasome inhibitors exhibit antiproliferative, proapoptotic and antitumor activities in several cancer models. The mechanism of action involves stabilization of p53. Proteasome inhibition is a promising way to radiosensitize chemotherapy- and radiation-resistant cancers, without added toxicities requiring dose modifications. Cellular localization of the sodium/iodide (Na + /I-) in human thyroid tissue: correlation with pathologic features and possibile diagnostic applications G. Tallini, A. Farnedi, T. Ragazzini, E. Magrini, K.J. Rhoden, V. Eusebi Department of Oncological Sciences, Section of Anatomic Pathology at “Bellaria” Hospital, Bologna University School of Medicine, Italy Introduction. Radioactive iodine (131I) has long been used to diagnose and treat thyroid cancer thanks to the thyroid gland’s intrinsic ability to concentrate and trap iodide. Circulating inorganic iodide is accumulated in the thyroid follicular lumen and is incorporated into thyroglobulin for the synthesis of thyroid hormones. Iodide accumulation is mediated by the Na+/I- symporter (NIS) a transmembrane glycoprotein locat- 339 ABSTRACTS ed on the basolateral membrane of follicular cells that is able to concentrate iodide within follicular cells to 30-50 times the plasma concentration. NIS is therefore both essential to thyroid follicular cell function and a marker of cellular differentiation. Despite this, little is known regarding the expression and cellular distribution of NIS in thyroid tumours of different stage, grade and histotype, and its potential use for pathologic diagnosis has not been evaluated. To this purpose we have analyzed immunohistochemically NIS expression in a series of neoplastic and non-neoplastic thyroid lesions. Materials and methods. Cases: 50 samples of thyroid lesions and 4 samples of perilesional normal tissue were retrieved from the archives of the Department of Pathology at the Ospedale Bellaria in Bologna, Italy. All the slides were reviewed and cases were selected to cover a large spectrum of thyroid disorders, both neoplastic (5 follicular carcinomas, FC; 10 papillary carcinomas, PC; 1 poorly differentiated carcinoma, PDC; 1 undifferentiated carcinoma UDC; 3 medullary carcinomas, MC), hyperplastic (21 hyperplastic nodules, HN; 3 cases of diffuse hyperplasia, DH) and inflammatory (6 cases of chronic lymphocytic thyroiditis, LT). Immunohistochemistry: immunohistochemistry with an hNIS antibody (hNIS Ab-1-Clone FP5A, NeoMarkers-LabVision Corporation, Fremont, Ca) diluted 1:200 was performed on 4 um paraffin sections using an Horse Radish Peroxidase polymer detection system (Ultravision LP, LabVision Corporation) according to the manufacturer’s recommendation. The percentage of positive cells was estimated and the reaction intensity was evaluated using a modified H score. Immunoreactivity was correlated with tissue diagnosis and clinicopathologic parameters. Statistical analysis was performed using the non-parametric Mann-Whitney test. Results. The average percentage of positive cells was 18.2 ± 8.8 Standard Error of the mean (SEM) for the normal samples, 26.0 ± 4.5 for the non-neoplastic samples (NH 22.0 ± 4.5; DH 70.0 ± 5.8; LT 17.5 ± 3.8), and 10.4 ± 5.9 for the tumor samples (PC 4.8 ± 3.0; FC 32 ± 19.8). The H score (range 0-300) was 47.5 ± 23.7 for the normal samples, 71.5 ± 12.4 for the non-neoplastic samples (NH 60.3 ± 13.9; DH 193.3 ± 12.0; LT 50.0 ± 10.0), and 28.3 ± 15.3 for the tumor samples (PC 12.6 ± 8.0; FC 88.0 ± 54.3). The MC, PDC and UDC did not show any significant NIS immunoreactivity. All positive cases showed, as expected, follicular cells with distinct membrane immunoreactivity that was often associated with various degrees of cytoplasmic staining. Positive cells were always distributed heterogeneously, were often tall with an activated appearance, and were sometimes in close contact with capillary vessels. Hyperplastic papillae showed numerous positive cells and NIS immunoreactivity was higher in DH compared with other non-neoplastic lesions (both as percentage of positive cells and as H score values) (p < 0.05). Thyroid follicles distended by colloid displayed few if any positive cells. Nonneoplastic and normal samples always showed immunostaining limited to the basolateral aspect of the cell membrane, while in the only two tumor samples (both FC) with extensive NIS immunoreactivity, many cells showed staining througout the perimeter of the membrane. Tumor samples showed a lower degree of NIS immunoreactivity (both as percentage of positive cells and as H score values) (p < 0.01) compared with non-neoplastic thyroid lesions and, with the exception of the two FC mentioned above, all tumor samples showed a significant decrease in the number of positive cells compared with the perilesional tissue (p < 0.01). NIS immunoreactivity was particularly low among PC (both classic and follicular variant) and neoplastic papillae had few if any positive cells. Conclusions. Neoplastic samples show reduced levels of NIS expression compared with non-neoplastic thyroid lesions. The only tumors to express significant levels of NIS were well differentiated follicular carcinomas. The lack of NIS immunoreactivity in neoplastic papillae and the reduced levels of NIS in follicular variant PC may be useful to distinguish PC from thyroid lesions with papillary hyperplasia and from follicularpatterned thyroid nodules. Cytogenetics of Merkel cell carcinoma primary in lymph nodes F. Vasuri, E. Magrini, E. Di Oto, M.P. Foschini, V. Eusebi Section of Anatomic and Cytopathology “M. Malpighi”, Ospedale “Bellaria”, University of Bologna Background. Merkel cell carcinoma (MCC) of the skin is a well established neuroendocrine tumour, characterized by neoplastic cells with scanty cytoplasm, neuroendocrine granules at electron microscopy, chromogranin and synaptophisin positivity of the cytoplasm and keratin 20 filaments condensed in paranuclear dots. In addition, trisomy of chromosome 6 is described in 47% of MCC of cases reported in the literature, if in situ hybridization is employed. Tumours morphologically and immunohistochemically identical to MCC of the skin have been described in numerous other sites like salivary glands, breast and female genital tract. Primary MCC in lymph nodes is also a distinct possible entity 1. Here we report on a molecular cytogenetic study (FISH) of 4 cases of MCC of lymph nodes to see whether trisomy of chromosome 6 is also present in these neoplasms and hence enhance the similarity with skin MCC carcinomas. Material and methods. Four cases of MCC primary in lymph nodes taken from the consult cases of one of us and ten consecutive cases of MCC of the skin taken from the files of the Section of Anatomic Pathology were studied for chromosome 6 using FISH method. The mean age of patients with MCC of lymph nodes was 71.7 (range 58-85). Patients with MCC of the skin had a mean age of 82.3 (range 75-90). The site of lymph node cases was inguinal (2/4 cases) or crural (2/4 cases). MCC of the skin were located in the leg in 5 cases (50%), in the face in 4 cases and in the dorsal region in 1 case. All cases were routinely processed and immunostained for chromogranin (Biogenex), synaptophisin (Cell Marque) and cytokeratin 20 (Dako) with an ABC method. FISH was performed following the procedures of hybridisation and detection recommended in the manufacturer’s protocol and a specific alpha-satellite centromeric probe for chromosome 6 (CEP6D6Z1 SprectrumeOrange Probe,Vysis) was used. The number of bright spots by nucleus was scored by two different observers; reactive non-neoplastic lymph node tissue was used as negative control. Results. All cases showed typical features of MCC both at Haematoxylin-Eosin (H&E) and immunohistochemical levels. Accordingly all cases were positive for chromogranin, synaptophisin and cytokeratin 20. No differences in staining pattern nor in intensity were evident between the two groups. For FISH evaluation, two indipendent screeners cumulated a total count of 286 nuclei for slide: 2 MCC of the lymph nodes and 6 MCC of the skin showed trisomy of Chromosome 6 (50% and 60% respectively). 340 Adriatic Society of Pathology - 22nd International Meeting Comments. All cases here studied shared the same histological and immunohistochemical features, as well as the same cytogenetic pattern. Therefore it seems that there are more similarities than differences between MCC of the skin and lymph nodes. Whether MCC of lymph nodes are real primary tumours or metatases from regressed skin lesions is still open to question, although several features indicate a primary origin in lymph nodes. If this is the case, it appears difficult to reconcile the tumours primary in lymph nodes to a Merkel cell origin, as these same cells are not present in lymph nodes. adjacent to oncocytic tumours, oncocytic cells of lymphocytic thyroiditis and neoplastic cells of mixed oncocytic and nononcocytic follicular tumors. Reference 1 Eusebi V, Capella C, Cossu A, Rosai J. Neuroendocrine carcinoma within lymph nodes in the absence of a primary tumor, with special reference to Merkel cell carcinoma. Am J Surg Pathol 1992;16:65866. Department of Clinical and Biological Sciences, University of Turin at “San Luigi” Hospital, Orbassano, Turin, Italy Detection of mitochondrial dna alterations by fish technique in oncocytic cells and tumours of the thyroid M. Volante, S. Cappia, R. Rosas, E. Bacillo, M. Papotti Department of Clinical and Biological Sciences, University of Turin at “San Luigi” Hospital, Orbassano, Turin, Italy Background. Human mitochondria contain between two and ten copies of mitochondrial DNA (mtDNA). Alterations of mtDNA occur in a variety of human diseases, and specific deletions (mainly the so called “common deletion” encompassing 4977 bp) have been documented in oncocytic thyroid tumours by means of cytogenetic and PCR-based molecular analysis. However, whether such alterations would be cause or consequence of the mitochondrion accumulation typical of hyperplastic/neoplastic thyroid oncocytes is still a matter of debate. Methods. In order to assess the fluorescent in situ hybridization (FISH) technique applicability to detect mtDNA deletion in oncocytic thyroid cells and tumours, we slightly modified a FISH method, recently developed for salivary Warthin’s tumor, to detect the 4977 bp mtDNA deletion in two cases each of normal thyroid tissue, oncocytic variant of follicular adenoma, oncocytic variant of follicular carcinoma, and renal oncocytoma, as a control. The method is based on the combination of two specific probes, one flanking the mtDNA region commonly deleted and one corresponding to a preserved portion of mtDNA. Results. In normal thyroid tissues, a balanced presence of FISH signals corresponding to both probes was observed, with up to ten cytoplasmic signals/cell. In all oncocytic tumours, both benign and malignant, as well as in the case of renal oncocytoma, a very high number of signals corresponding to the preserved mtDNA region was observed, to demonstrate mitochondrion accumulation in the neoplastic cell cytoplasm; moreover a very low or absent signal corresponding to the common deleted mtDNA region was observed within these tumours, providing the evidence of the presence of the mtDNA common deletion. Conclusions. FISH technique may be applied to paraffin embedded thyroid tissues to demonstrate the presence of the 4977 bp mtDNA common deletion. This methodology offers major advantages, as compared to conventional molecular methods, allowing to localize specific mtDNA alterations in different settings, including normal thyroid parenchyma Significance of thymidylate synthase expression in gastroenteropancreatic and pulmonary neuroendocrine tumours M. Volante, P. Ceppi, A. Ferrero, L. Righi, I. Rapa, R. Rosas, A. Berruti, L. Dogliotti, G.V. Scagliotti, M. Papotti Background. The predictive role of the quantification of Thymidylate synthase (TS) in tumours treated with anti-folate drugs, such as 5-Fluorouracil (5-FU), has been extensively described in a variety of human tumours. Neuroendocrine tumours (NETs) represent potential targets of anti-folate agents but no data on the level of TS expression in these tumours are available. Methods. A series of 116 samples were collected including 58 gastro-entero-pancreatic (GEP) and 58 lung NETs, of various degrees of differentiation. Additionally, in 24 welldifferentiated GEP neuroendocrine carcinomas (WD-NEC) of the present series a 5-FU-based therapy was administrated. Total RNA was extracted from microdisseted paraffin blocks and TS mRNA quantification was performed by Real-Time PCR, whereas protein expression was evaluated by immunohistochemistry. Results. By means of both Real-Time PCR and immunohistochemistry, a higher TS expression in pulmonary small cell (SCLC) and large cell carcinomas (LCNEC) as compared to typical and atypical carcinoids was observed (ps < 0.01). Similarly, in GEP tumours a higher TS expression in poorly differentiated carcinomas (PD-NEC) than both WD-NEC and benign tumours (ps < 0.01) was found. In patients with WDNEC treated with 5FU high TS mRNA levels were associated with shorter time to progression (p = 0.002) and overall survival (p = 0.04), whereas immunohistochemistry had no correlation probably due to the low protein expression levels. The negative prognostic role of high TS mRNA levels was confirmed in multivariate analysis adjusting for major prognostic parameters, including proliferative activity (p = 0.01). No association between TS mRNA and survival was observed in WD-NEC patients not receiving 5FU. Conclusions. The present study for the first time: 1) reports the differential TS expression in the spectrum of GEP and lung NETs and 2) indicates a role of TS expression evaluation in predicting clinical response of WD-NEC patients to antifolate drug administration. 341 ABSTRACTS “Polymyositis” in patients with myasthenia gravis and thymoma – rather a paraneoplastic event than a true autoimmune inflammation J. Zamecnik*, D. Vesely*, B. Jakubicka*, L. Simkova**, J. Pitha** ***, J. Schützner**** Department of Pathology and Molecular Medicine, Charles University, 2nd Medical Faculty and Faculty Hospital Motol, Prague, Czech Republic; ** Department of Neurology, Charles University, 1st Medical Faculty, Prague, Czech Republic; *** Department of Neurology, Charles University, 3rd Medical Faculty, Prague, Czech Republic; **** 3rd Department of Surgery, Charles University, 1st Medical Faculty and Faculty Hospital Motol Prague, Czech Republic * Objective. Lymphocytic infiltrate in muscle of patients with myasthenia gravis (MG) was reported repeatedly as a coincidental autoimmune polymyositis. We aimed at providing evidence that most cases of lymphocytic infiltration of myasthenia gravis (MG) muscle do not represent a true autoimmune myositis, rather a paraneoplastic event associated with lymphocyte-rich thymomas. Methods. A muscle biopsy from 179 patients with pure MG was taken during thymectomy. When lymphocytic infiltrates were found, immunohistochemistry to establish their immunophenotype (CD20, CD3, CD4, CD8, CD45RA) was performed. The resected thymus was also histopathologically analyzed in each case. Muscle biopsies from 6 thymoma patients without MG and 15 patients with definite polymyositis were also enrolled into the study. Results. In 18 patients with MG (importantly, all were associated with thymomas WHO type B or AB) and in two thymoma patients without MG, lymphocytic infiltrates morphologically indistinguishable from those in polymyositis were identified in muscle biopsies, associated with a mild blood lymphocytosis in a proportion of cases. The immunohistochemical analysis revealed that CD8+ lymphocytes in MG differ from those in polymyositis being mature but, in contrast to polymyositis, naive CD45RA+ T lymphocytes. Clinically, the MG patients with thymoma and lymphocytic infiltrates in muscle did not differ significantly from those without infiltrates. Interpretation. It has been shown previously that the proportion of CD8+ CD45RA+ lymphocytes is significantly increased in the blood of patients with thymomas (Hoffacker et al., 2000). We demonstrated that the polymyositis-like lymphocytic infiltrates in MG muscles of thymoma patients have the same immunophenotype, differing from that of polymyositis. Therefore, we suggest that the lymphocytic infiltrates in patients with MG and thymoma represent more likely a paraneoplastic event due to the “spillover” of thymoma-derived mature naive T-cells than a true cell-mediated autoimmune disorder. The finding of CD8+ CD45RA+ lymphocytes in muscle biopsies (especially in MG patients) may signify an underlying thymic neoplasm and should not be misdiagnosed as polymyositis. Adriatic Society of Pathology - 22nd International Meeting Indice analitico per autori Accinelli G., 316, 317 Alilovic M., 327 Amalinei C., 315, 318 Ambert V., 333 Ambrosini-Spaltro A., 315 Andrei F., 326 Andrei F., 333 Anzulovic D., 316 Ardeleanu C., 326 Armando E., 316, 320 Arsene D., 326 Asioli S., 316, 317 Asioli S., 331 Bacillo E., 337, 340 Badea P., 322 Badea P., 333, 334 Bala S., 318 Balan R., 315 Baldassarre F., 337 Balladore E., 332 Banchelli I., 329 Barbisan F., 322 Barreca A., 323 Bekiroglu N., 326 Belicza M., 329, 337 Berdan G., 333 Berruti A., 340 Bertetto O., 320 Betts C.M., 327 Bianchini S., 335 Bichisecchi E., 322 Bilalovic N., 316, 327 Boaron M., 317 Bondari S., 321 Bonello L., 320, 323 Bonetti F., 328, 335 Bono F., 316 Borza C., 317 Braccischi A., 319 Bragantini E., 335 Brcic L., 316 Brizzi M.P., 336 Bukvic I., 327 Bulimbasic S., 337 Bussolati G., 316, 317, 320, 323 Butcovan D., 317 Butur G., 326 Butureanu S., 315 Camenita A., 321 Camenita A., 333 Campisi P., 317 Cancellieri A., 317 Cannizzaro C., 328, 335 Capella C., 330, 336 Cappia S., 340 Caprara G., 317 Caruntu I.-D., 318 Cassoni P., 316, 331 Castaldini L., 335 Castellano I., 317 Ceausu M., 326 Ceppi P., 337, 340 Chilusi M., 322 Chiriva-Internati M., 321 Chiusa L., 323 Cimic A., 316, 327 Cioroianu D., 321 Ciuffreda L., 320 Ciurea R., 318, 322, 324, 333, 334 Ciurea T., 324 Colao A., 336 Comanescu M., 324 Comanescu V., 324 Coppola D., 337 Corini F., 319 Cupic H., 329, 337 Cvorak A., 316 D’Angelo A., 319 342 Adriatic Society of Pathology - 22nd International Meeting Dalfior D., 328 335 Damian D., 333 Damiani S., 317 Daniele L., 320 De Angelis C., 317 de Biase D., 320, 322 De Rosa G., 336 Del Vecchio M., 319 Demurtas A., 328 Destro A., 332 Di Biccari S., 321, 324, 331 Di Oto E., 339 Di Tommaso L., 332 Diamanti L., 319 Dioguardi N., 321, 324, 331 Dochit C., 324 Dogliotti L., 336, 340 Dongiovanni D., 320 Draga Caruntu I., 315 Drighiciu C., 324 Dumitras S., 330 Ilie I., 316 Ilie C., 326 Ilie R., 326 Iosif C., 326 Enache C., 321 Enache S.D., 321, 322, 333, 334 Ene D., 326 Erbarut I., 326 Eusebi V., 322, 328, 334, 338, 339 Macrì L., 320 Magrini E., 322, 338, 339 Maiello F.M., 337 Malvi D., 327, 328 Mambelli V., 319 Manfrin E., 328, 335 Manoni S., 328 Mansueto G., 336 Marsico A., 328 Marucci G., 329, 336 Marusic Z., 329 Mazzatenta D., 336 Menestrina F., 328, 335 Micello D., 330 Michail E., 325 Mihai M., 326 Mihaila D., 330 Mihalache D., 322 Milosevic M., 329 Molinaro L., 331 Montorsi M., 332 Morandi L., 317, 320 Morichetti D., 322 Musardo S., 331 Facco C., 330 Faggiano A., 336 Falsirollo F., 328 Faravelli A., 332 Farnedi A., 315, 320, 322, 334, 338 Faustini Fustini M., 336 Ferrero A., 336, 340 Ferretti M., 322 Fiamengo B., 324, 331 Florea I., 330 Fornari A., 323 Foschini M.P., 320, 322, 327, 329, 334, 335, 336, 339 Franceschini B., 321, 324, 331 Franchi G., 332 Francia di Celle P., 323 Frank G., 336 Fulcheri E., 337 Gaetano L., 331 Gaitanidis R., 333 Gandolfo S., 328 Garancini S., 336 Gasparini S., 322 Georgescu A., 326 Georgescu C.C., 321, 322, 324, 333, 338 Gherman D., 333 Ghilusi M., 333 Ghilusi M.C., 324 Giljevic J.S., 316 Giulioni M., 329 Giusca S.-E., 318 Glava C., 325 Gobbato M., 328, 335 Grammatoglou X., 325 Grizzi F., 321, 324, 331 Gruia C., 334, 338 Hulea I., 333 Jakubicka B., 341 Jinga V., 333 Kawamukai K. Kaya H., 326 Kosuta I., 316 Krizanac S., 327 Kruslin B., 329, 337 La Rosa S., 336 Lazovic E., 316, 327 Lega S., 327, 335 Lepidas D., 325 Loncaric V., 316 Lorenzini P., 319 Loss R., 328, 335 Navone R., 328, 331 Neagu M., 326 Niculescu L., 333 Novac L., 318 Novosel I., 337 Onciu M., 330 Orlic D., 316 Özkan N., 326 Pacchioni D., 316, 317 Pagni F., 316, 332 Papanikolau N., 330 Papotti M., 336, 337, 340 Patrana N., 318 Paulon C.I., 332 Pavaleanu M., 315 Pentenero M., 328 Pession A., 317, 320 Petrescu A., 333 Pisani G., 337 Pitha J., 341 Plamadeala P., 330 Plesea I.E., 318, 321, 322, 324, 333, 334, 338 Poli F., 334 Pop O.T., 321, 322, 333, 334 Popescu C.F., 322, 324, 333 Popescu L., 326 Popescu M., 321 Ragazzi M., 335 Ragazzini T., 338 Rapa I., 336, 340 Rapagnani M.P., 328, 335 Reghellin D., 328, 335 Reljic A., 337 Remo A., 328, 335 Rhoden K.J., 338 Righi A., 336 Righi L., 336, 340 Riva C., 330 Roncalli M., 332 Rosas R., 337, 340 Rostan I., 328 Rubboli G., 329 Russo S., 337 Russo C., 324 Saftoiu A., 324 Sapino A., 320 Scagliotti G.V., 340 Schena M., 320 Schützner J., 341 Seiwerth S., 316, 327 Siciliano A., 337 Simionescu C., 338 Simkova L., 341 Skledar M., 337 Soda G., 321 Stanoiu B., 338 Taborro R., 319 Tallini G., 315, 317, 338 Tavaglione V., 337 Tenovici M., 333, 334 Terzea D., 326 Teta G., 337 Tinica G., 317 Tomas D., 329, 337 Tommasini M., 332 Tonegutti M., 335 Torzilli G., 332 Trandafirescu M., 330 Varna A., 330 Vasilakaki T., 325 Vasilescu F., 326 Vasuri F., 339 Vergine M., 328, 335 Vesely D., 341 Vezzadini P., 335 Vinaccia P., 337 Volante M., 336, 337, 340 Volpi L., 329 Zaharia B., 318 Zamecnik J., 341 Zuccatosta L., 322 pathologica 2007;99:412-414 Pubblichiamo la seguente relazione che per motivi tecnici non è stata inserita nel fascicolo di agosto 2007 di Pathologica, dedicato al IV Congresso Nazionale di Anatomia Patologica Milano, 5-9 ottobre 2007 La diagnosi di Malattia Celiaca U. Volta, V. Villanacci , E. Tavani , S. Manenti , R. Rodella*, E. Fiorini, C. Parisi * ** * Dipartimento di Malattie dell’Apparato Digerente e Medicina Interna, Azienda Ospedaliera Universitaria, Policlinico “S. Orsola-Malpighi”, Bologna; * 2° Anatomia Patologica Spedali Civili, Brescia; ** Anatomia Patologica Az. “G. Salvini”, Dipartimento Patologia Ospedale di Rho Certezze e dubbi negli aspetti clinici, sierologici e genetici. La malattia celiaca è stata paragonata o ad un grande imitatore o ad un camaleonte proprio per le sue molteplici possibilità di espressione non solo sul piano della presentazione clinica, ma anche dei markers sierologici, della genetica e delle caratteristiche istopatologiche 1. Tutto ciò spiega perché è praticamente impossibile fare diagnosi sulla base di un solo elemento e perché la certezza diagnostica può venire solo dall’incastro di tutte le tessere del puzzle “celiachia”, che prevede la stretta collaborazione fra clinico e patologo. La principale ragione per cui la celiachia è ancora largamente sottostimata (in Italia 75.000 diagnosi sulle 500.000 attese) è la scarsa conoscenza di questa patologia che può esordire con sintomi estremamente variabili ed a qualsiasi età, dalla prima infanzia all’età geriatrica. La biopsia duodenale rimane a tutt’oggi il “gold standard” per la diagnosi, ma l’istologia va integrata con la clinica, la sierologia e, quando necessario, con la genetica. Inoltre, dal momento che sia la mucosa intestinale che la sierologia tendono rispettivamente a normalizzarsi e a negativizzarsi dopo dieta aglutinata, è fondamentale che il clinico ed il patologo dispongano di notizie estremamente precise sulla dieta con o senza glutine seguita dal paziente. Aspetti clinici. Non esiste mai la certezza della diagnosi di celiachia sul piano clinico, ma certamente è possibile identificare sintomi e patologie che portano ad un elevato, moderato e basso sospetto di celiachia. Elevato sospetto clinico (forme sintomatiche o con patologia associata altamente predittiva) 1)Sindrome da malassorbimento con ripetute scariche diarroiche, dolori addominali, meteorismo e marcato calo ponderale; 2)dermatite erpetiforme, definita anche la celiachia della cute, dal momento che in tutti i casi è presente un danno intestinale glutine-dipendente più o meno severo. Moderato sospetto clinico (forme con sintomi intestinali atipici o extraintestinali) 1)Sintomi intestinali atipici fra cui dispepsia, stipsi (fino a veri e propri quadri di subocclusione intestinale) e vomito; 2)sintomi extra-intestinali suggestivi per celiachia sono: – l’anemia (più frequentemente sideropenica, ma anche da alterato assorbimento di acido folico e di vitamina B12), – l’iposomia, – le afte recidivanti del cavo orale, – il rialzo delle transaminasi da causa sconosciuta, – un’osteoporosi inspiegabile, – le alterazioni dello smalto dentale, – una sindrome emorragica da malassorbimento di vitamina K, – le alterazioni della sfera riproduttiva femminile (menarca tardivo, menopausa precoce, sindrome dell’aborto ricorrente, parti prematuri). 3)Patologie autoimmuni, idiopatiche o cromosomiche: – diabete mellito autoimmune, – tiroidite di Hashimoto e morbo di Graves, – deficit selettivo di IgA, – alopecia areata, – morbo di Addison, – connettiviti (sindrome di Sjogren, LES. Artrite reumatoide, sclerosi sistemica, dermatomiosite), – sindrome di Down e di Turner, – malattie neurologiche (neuropatia periferica, epilessia con o senza calcificazioni occipitali, atassia cerebellare), – patologia autoimmune epatica (cirrosi biliare primitiva, epatite autoimmune, colangite sclerosante primitiva), – cardiomiopatia dilatativa idiopatica. Basso sospetto clinico (forme asintomatiche e potenziali/latenti) 1)Familiari di 1 e 2 grado di celiaci, affetti da celiachia nel 4-17% dei casi, ma quasi sempre del tutto privi di sintomi; 2)celiachia potenziale/latente, in cui il paziente, identificato sulla positività dei markers anticorpali, presenta lesioni minime intestinali e spesso ha sintomi solo sfumati. Aspetti sierologici. Premesso che nessun anticorpo (neanche il più specifico) ci autorizza a fare diagnosi di celiachia senza la necessaria conferma della biopsia intestinale, i markers sierologici forniscono elementi molto utili per confermare o mettere in dubbio la diagnosi (Tab. I). Certezze della sierologia a supporto della diagnosi – Anticorpi antiendomisio (EmA) di classe IgA presentano una specificità assoluta per la celiachia con valore predittivo positivo del test del 100%. Titoli anticorpali medio-elevati (> 1:40) correlano con la severità del danno di mucosa intestinale, così come positivi a basso titolo (1:5) sono spesso espressione di celiachia potenziale. – Anticorpi antitransglutaminasi (anti-tTG) di classe IgA positivi ad alto titolo (> 10 volte il cut-off) sono sempre espressione di celiachia. – La negatività degli anti-tTG IgA con valori molto bassi (< 0,1 AU) deve far sospettare la presenza di un deficit selettivo di IgA (condizione che si associa a celiachia) ed indirizzare alla ricerca di markers anticorpali di classe IgG. – La positività per anticorpi di classe IgG (anti-tTG o EmA o antigliadina – AGA) è altamente predittiva di celiachia nei pazienti affetti da deficit selettivo di IgA (IgA sieriche < 5 mg/dl). – Nella prima infanzia (bambini di età < 2 anni) la positività per AGA di classe IgA è fortemente indicativa di celiachia (anche in presenza di negatività per EmA ed anti-tTG). 413 La diagnosi di Malattia Celiaca Tab. I. Valore diagnostico dei markers anticorpali correlati alla celiachia. Anticorpo Sensibilità (%) Specificità (%) Valore Pred. Pos. (%) Valore Pred. Neg. (%) IgA anti-tTG 98 IgA EmA 95 90 91 98 100 100 95 IgA AGA 82 78 79 81 Impiego consigliato dei markers anticorpali: – anti-tTG come test di I livello (test più sensibile e con più elevata riproducibilità) – EmA come test di conferma (test più specifico) – AGA utile nei bambini di età < 2 anni (primo anticorpo a comparire) La ricerca dei markers di classe IgG è indicata solo nei casi con deficit selettivo di IgA. Dubbi della sierologia con necessità di verifica della diagnosi – Anticorpi anti-tTG IgA, soprattutto se a basso titolo (valori border-line o debolmente positivi < 2 volte il cut-off), vengono ritrovati in altre condizioni al di fuori della celiachia (10% di falsi positivi in casi di allergia alimentare, infezioni intestinali, malattie infiammatorie croniche intestinali e patologia autoimmune). – La positività isolata per AGA di classe IgA (con negatività di anti-tTG ed EmA IgA) è raramente indicativa di celiachia in pazienti adulti ed in bambini di età > 2 anni. – Tutti gli anticorpi di classe IgG (EmA, anti-tTG ed AGA) non sono predittivi di celiachia in soggetti con normali valori di IgA totali sieriche, per cui la loro positività in assenza dei corrispettivi anticorpi di classe IgA non ha rilevanza diagnostica. – In caso di positività degli EmA che non corrisponde a quanto atteso (istologia normale, negatività degli anti-tTG, quadro genetico atipico) verificare sempre l’attendibilità del laboratorio che ha eseguito il test (elevata variabilità interobserver per gli EmA, che rimangono un test fortemente operatore-dipendente). Aspetti genetici. L’indicazione ad eseguire la determinazione degli antigeni di istocompatibilità è in tutti quei casi in cui la diagnosi rimane dubbia per discrepanza fra istologia e sierologia ed in secondo luogo per valutare la predisposizione genetica alla celiachia nei familiari di celiaci 2 3. Certezze della genetica a supporto della diagnosi – L’assenza dell’HLA-DQ2 e del -DQ8 esclude con certezza quasi assoluta la diagnosi di celiachia. – Il riscontro di HLA-DQ2 o DQ8 definisce una predisposizione alla celiachia nei familiari di 1° e 2° grado di celiaci. Dubbi della Genetica con necessità di verifica della diagnosi – Il riscontro di HLA-D2 o DQ8 non deve essere interpretato di per sé come un elemento a sostegno di una diagnosi dubbia dal momento che gli stessi HLA vengono ritrovati pure nel 30% della popolazione normale. – L’assenza del DQ2-DQ8 in presenza di un quadro istologico di atrofia dei villi consiglia di eseguire un’attenta valutazione per escludere altre cause di atrofia non-glutine dipendente. In conclusione le informazioni che il clinico dovrebbe sempre fornire al patologo possono essere così schematizzate: a) dieta del paziente (dieta libera, dieta aglutinata e grado di compliance con la stessa) al momento della biopsia; b) sospetto clinico elevato, moderato o basso in base ai sintomi; c) sierologia con predittività assoluta, in caso di positività, per gli EmA, elevata per gli anti-tTG e bassa per gli AGA. Specificare sempre la classe anticorpale e ove disponibile il titolo (alto, medio, basso); d) genetica (ove effettuata o indicata): pattern HLA compatibile con predisposizione a celiachia. Gli aspetti anatomo-patologici. Quali sono i punti “certi” nella diagnosi di malattia celiaca? Ovvia premessa alla diagnosi di certezza nella malattia celiaca (MC) dal punto di vista anatomo-patologico è l’osservazione ed il rispetto di una serie di punti fermi: 1.stretta collaborazione con clinico-endoscopista-laboratorista; 2.adeguato numero di biopsie (almeno 4; 2 nel duodeno distale e 2 nel prossimale); 3.corretto orientamento delle biopsie (impiego di filtri pretagliati di acetato di cellulosa); 4.sufficienti notizie cliniche; 5.ottima qualità dei preparati. Fatte queste precisazioni è chiaro che la “certezza” nella diagnosi di MC si ha soltanto nella condizione di atrofia dei villi unitamente ad un incremento patologico del numero dei linfociti intraepiteliali (valore superiore a 25/100 cellule epiteliali). In questa situazione applicando le tre classificazioni oggi conosciute e validate (Marsh, Marsh-Oberhuber e Corazza-Villanacci) non vi è alcun problema nella diagnosi e nel confronto con i dati clinici e di laboratorio 4 5. L’atrofia deve essere certa e non una pseudo-atrofia da incorretto orientamento e taglio dei villi. Consiglio utile in questi casi è sempre la valutazione del numero dei linfociti intraepiteliali che “deve” essere sempre patologico (> 25/100 cellule epiteliali) sia valutato in H&E che con la colorazione immunoistochimica per CD3 sempre consigliabile. Attenzione alle biopsie compiute nel bulbo duodenale ove la presenza di ghiandole di Brunner può portare a false diagnosi di atrofia; confrontare sempre le biopsie del bulbo con quelle delle porzioni distali soprattutto nelle fasi iniziali di malattia in cui si ha una progressione del processo patologico in senso cranio-caudale. Descrivere sempre, se ci sono, gradi variabili di atrofia e non limitarsi al grado di maggiore severità, inoltre esprimere un giudizio di compatibilità solo nella descrizione del caso. È assolutamente da evitare nella diagnosi finale il termine di malattia celiaca; nella diagnosi limitarsi alla sola descrizione ossia dare al clinico una precisa “fotografia” della situazione della mucosa duodenale; ricordare che la diagnosi finale di MC va fatta solo ed unicamente dal clinico gastroenterologo pediatra o dell’adulto. Quali sono i punti “dubbi” nella diagnosi di malattia celiaca? I punti di “dubbio” e di estrema cautela per l’anatomo patologo nella diagnosi di MC sono chiaramente rappresentati dai casi in cui si riscontrano lesioni iniziali (Marsh 1-2 e Grado A secondo la nuova classificazione proposta), in questi casi: 414 1.valutare attentamente l’orientamento delle biopsie; 2.considerare se viene rispettato il rapporto villo/cripta di almeno 3/1; 3.contare attentamente il numero dei linfociti nell’epitelio di rivestimento superficiale; 4.associare “sempre” la valutazione immunoistochimica con CD3; 5.confronto con i dati clinici e di laboratorio. I due elementi fondamentali da valutare sono sempre l’assenza di atrofia e l’incremento del numero dei linfociti intra-epiteliali per questo associare “sempre” la valutazione immunoistochimica con il CD3. La presenza o meno di iperplasia degli elementi ghiandolari ai fini pratici e terapeutici è totalmente ininfluente. Non dimenticare che il “vetrino” rimane a testimonianza della valutazione effettuata dal patologo e come tale suscettibile di confronto e di rivalutazione da parte di altri colleghi e specialisti; è altresì da sottolineare e sostenere con forza che la valutazione istologica deve essere effettuata solo ed unicamente dal patologo e non da altri “specialisti”. Come per i casi “certi” a maggior ragione nei casi dubbi esprimere solo un giudizio di possibile compatibilità nella descrizione con MC, limitarsi alla formulazione del quadro istologico nella diagnosi finale. Escludere, se possibile, una concomitante infezione da Helicobacter pilori (in questo senso sarebbe auspicabile che biopsie gastriche venissero sempre effettuate), immunodeficit, infezioni parassitarie, allergie ad altri fattori alimentari, impiego di farmaci. U. Volta et al. Utile in queste situazioni è tenere presente l’ottima review di Brown et al. 6 in cui lo schema finale riassuntivo è dirimente e utile in tutte le situazioni dubbie nel senso che il patologo deve essere sicuro di trovarsi di fronte ad una condizione patologica dimostrata inequivocabilmente dall’incremento del numero dei linfociti T intraepiteliali confermata dalla valutazione con CD3. La diagnosi finale scaturirà dal confronto clinico e laboratoristico. Nei pazienti pediatrici nel primo anno di vita non dimenticare la possibilità di intolleranza alle proteine del latte vaccino, utile può essere la conta degli eosinofili (valore patologico superiore a 60 per 10 campi di visione). Bibliografia 1 Alaedini A, Green PHR. Narrative review: celiac disease: understanding a complex autoimmune disorder. Ann Int Med 2005;142:289-98. 2 Volta U, Parisi C, Fiorini E, Piscaglia M, Granito A. Celiachia: approccio razionale alla diagnosi. Ital J Med 2007;1:60-66. 3 Karell K, Louka AS, Moodie SJ, Ascher H, Clot F, Greco L, et al. HLA types in celiac disease patients not carrying the DQA1*05-DQB1*02 (DQ2) heterodimer: results from the European genetics cluster on celiac disease. Hum Immunol 2003; 64:469-477 4 Dickson BC, Streutker CJ, Chetti R. Coeliac disease: an update for pathologists. J Clin Pathol 2006; 59:1008-1016 5 Corazza GR, Villanacci V, Zambelli C, Milione M, Luinetti O, Vindigni C, et al. Comparison of the interobserver reproducibility with different histologic criteria used in celiac. Dis Clin Gastroenterol Hepatol (in press). 6 Brown I, Mino-Kenudson M, Deshpande V, Lauwers GY. Intraepithelial lymphocytosis in architecturally preserved proximal small intestinal mucosa: an increasing diagnostic problem with a wide differential diagnosis. Arch Pathol Lab Med 2006;130:1020-5. Indice per Argomenti Relazioni I Sessione: La citologia del linfonodo II Sessione: La citologia negli screening del cervico-carcinoma Tavola Rotonda: Lo screening del cervico-carcinoma in Calabria III Sessione: La citologia dei versamenti IV Sessione: La parola all’esperto V Sessione: Slide seminar – Sessione diagnostica interattiva VI Sessione: Il laboratorio in citopatologia L’automazione in citologia: Esperienze a confronto Pag » » » » » » » 347 353 361 362 367 370 372 375 Comunicazioni libere » 380 Poster » 408 Indice analitico per autori » 411 pathologica 2007;99:347-380 RELAZIONI I Sessione La citologia del linfonodo Moderatori A. Amorosi (Catanzaro), F. Romeo (Cosenza) Citologia del linfonodo normale e reattivo L. Tucci Unità Operativa Complessa di Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera “Pugliese-Ciaccio”, Catanzaro L’analisi citologica del materiale ottenuto da aspirato con ago sottile (FNAB) è parte integrante nella diagnostica e nel management dei pazienti con linfoadenopatie superficiali e profonde. Questo metodo è diffusamente utilizzato per individuare neoplasie maligne metastatiche e per isolare l’agente patogeno di varie malattie infettive. L’utilità della FNAB nella definizione dei processi linfoproliferativi (reattivi vs. maligni), e nella loro caratterizzazione (varietà di linfoadenopatia reattiva e di linfoma), è controversa e oggetto di discussione. Grazie alle attuali conoscenze sulla istofisiologia del linfonodo, all’esistenza di una moderna classificazione istogenetica delle malattie linfoproliferative e alla possibilità di utilizzare tecniche speciali di morfologia e biologia molecolare, molti Autori hanno riportato livelli soddisfacenti di sensibilità e di specificità anche nei casi di linfoadenite e di linfoma. La prima presentazione di questa sessione ha il compito di ricordare la morfologia e il fenotipo dei costituenti cellulari del linfonodo normale e reattivo, con lo scopo di introdurre le successive relazioni di diagnostica morfologica e di laboratorio. Le linfoadenopatite reattive costituiscono la causa più frequente di linfoadenomegalia. Nella maggior parte dei casi, si tratta di condizioni di iperplasia non specifica di una o più componenti della struttura del linfonodo (linfoadenite immunoreattiva). Altre volte, la causa patogena produce una commistione di eventi reattivi e di eventi patologici che si manifestano con quadri speciali di linfadenite. La popolazione cellulare presente nel materiale bioptico ottenuto da FNA di linfonodi non neoplastici è rappresentata da un insieme polimorfo di elementi cellulari “normali”, presenti in diversa proporzione a seconda del pattern di reattività linfonodale. Pattern follicolare. È rappresentato da una popolazione cellulare polimorfa tendente ad organizzarsi in piccoli aggregati, vagamente nodulari, costituiti da frammenti dei centri germinativi (aggregati linfo-istiocitici). Sono presenti: Centroblasti. Grandi cellule linfoidi B con nucleo rotondo, cromatina vescicolosa, due o tre nucleoli adesi alla membrana nucleare, scarso citoplasma basofilo. Sono cellule proliferanti che vanno incontro a mutazioni somatiche ed a switch isotipico, subiscono una selezione negativa e si trasformano in centrociti (CD20+, Ki67+, bcl-2-, bcl-6+, CD10+). Centrociti. Cellule linfoidi B di medie e grandi dimensioni con nucleo rotondeggiante, presenza di incisure nucleari (meno evidenti che in istologia), cromatina aperta, uno o più cromocentri, scarso citoplasma basofilo. Sono cellule che derivano dai centroblasti, hanno attività proliferativa, hanno varia affinità per l’antigene in base alla quale subiscono una selezione positiva (CD20+, Ki67+/-, bcl-2-, bcl-6+, CD10+). Cellule follicolari dendritiche. Cellule di medie dimensioni con nucleo tondeggiante, cromatina fine, un singolo nucleolo paracentrale, citoplasma ampio, membrana citoplasmatica con prolungamenti. Formano un meshwork stabile nei follicoli tramite desmosomi ed espongono l’antigene ai linfociti B (CD21+, CD35+, CD23+, CD45-). Macrofagi con corpi tingibili. Grandi cellule istioidi con ampio citoplasma chiaro che contiene corpuscoli ematossilinofili. Cellule che hanno fagocitato i nuclei apoptoici dei centroblasti e dei centrociti (CD68+). Piccoli linfociti. Cellule linfoidi di piccole dimensioni con nucleo rotondo e scarso citoplasma. In genere sono linfociti T helper, cellule che contribuiscono alla selezione positiva dei centrociti (CD3+, CD4+). Possono essere presenti anche piccoli linfociti B del mantello (CD20+, bcl-2+, sIgM+, sIgD+). Plasmacellule. Plasmacellule mature con nucleo eccentrico, cromatina raggiata e citoplasma eosinofilo. Rappresentano la fase finale della maturazione della linea cellulare B ma il linfonodo non è sede di secrezione immunoglobulinica per cui in genere sono poco rappresentate (CD138+). 348 Quadri speciali. Artrite reumatoide, malattia di Kimura, toxoplasmosi, sifilide, HIV, malattia di Castleman, infezione da CMV, infezione da Yersinia, reazione regionale a tumori, fase iniziale della linfoadenite granulomatosa necrotizzante. Pattern paracorticale. È rappresentato da una popolazione cellulare mista, prevalentemente linfoide, diffusamente dispersa. Sono presenti: Piccoli linfociti. Cellule linfoidi di piccole dimensioni con nucleo rotondo e scarso citoplasma. Sono numerosi e costituiscono il fondo del preparato. Sono linfociti T helper e suppressor, effettori dell’immunità cellulo-mediata (CD3+, CD4+ > CD8+). Possono essere presenti piccoli linfociti B (CD20+, bcl-2+). Immunoblasti. Sparse cellule linfoidi di grandi dimensioni con nucleo rotondo, vescicoloso, evidente nucleolo centrale, membrana nucleare ispessita, abbondante citoplasma basofilo. Possono essere T, elementi linfoidi attivati (CD3+, CD4+ > CD8+) e B, precursori delle plasmacellule (CD20+, bcl2+, MUM-1+). Cellule dendritiche perivenulari. Sparse cellule di dimensioni medio-grandi con membrana nucleare irregolare, cromatina dispersa, assenza di nucleolo, citoplasma poco colorato. Sono cellule presentanti l’antigene (proteina S100+, CD1a+/-, DCLAMP+). Cellule fibroblastiche reticolari. Morfologicamente simili alle cellule dendritiche. Sono le principali cellule dello stroma linfoghiandolare e formano una rete tridimensionale che connette i seni alle venule ad endotelio alto (desmina+, vimentina+, actina del muscolo liscio+, miosina+, proteina S100-, CD21-, CD3-, in parte: citocheratina 8+, citocheratina 18+). Cellule dendritiche plasmacitoidi. Cellule plasmacitoidi di medie dimensioni con nucleo eccentrico, cromatina moderatamente condensata e citoplasma anfofilo. Producono interferone tipo I. Sono frequentemente presenti ma sono evidenti solo in particolari forme di linfoadenite (CD43+, CD68+, CD74+ CLA “cutaneous lymphocyte-associated antigen”+, CD123+). Macrofagi. Cellule istiodi ed epitelioidi di grandi dimensioni ad attività macrofagica (CD68+). Quadri speciali. Proliferazione immunoblastica reattiva (postvaccinica, da farmaci), infezione da EBV (mononucleosi), infezione da Herpesvirus, linfoadenite hodgkinoide interfollicolare, linfoadenite dermatopatica, linfoadenite di Kikuchi. Pattern con prevalenza di istiociti. È rappresentato da una popolazione cellulare con prevalenza di istiociti, sparsi o in piccoli aggregati. In alcuni casi è presente necrosi e la necrosi può essere prevalente. Sono presenti: Macrofagi. Grandi cellule istioidi o epitelioidi (CD68+) anche in forma di cellule giganti. Cellule dello stroma e del parenchima linfonodale. Cellule precedentemente descritte variamente rappresentate. Quadri speciali: a)linfoadenite con istiociti sparsi o con piccoli granulomi: toxoplasmosi, micobatteriosi aviaria, lebbra, febbre tifoide, linfoadenite batterica simile al linfoma di Lennert, reazione istiocitica a materiale estraneo, linfoadenite di Kikuchi, lupus eritematoso sistemico, malattia di Kawasaki; b)linfoadenite granulomatosa: tubercolosi, sarcoidosi, berilliosi, malattia di Crohn; c)linfoadenite granulomatosa suppurativa: malattia da graffio di gatto, linfogranuloma venereo, infezione da Yersinia, tularemia, micosi, micobatteriosi atipica; d)linfoadenite con prevalenza di necrosi: infarto del linfonodo, linfoadenite di Kikuchi, lupus eritematoso sistemico, malattia di Kawasaki, linfoadeniti granulomatose con ne- III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP crosi, linfoadeniti granulomatose suppurative, linfoadenite da Pneumocistis carinii; e)istiocitosi dei seni: istiocitosi dei seni in linfonodi drenanti tumori, istiocitosi dei seni con linfoadenopatia massiva, sindrome emocitofagica reattiva, reazione istiocitica a materiale estraneo, malattia di Whipple, malattie da accumulo. Bibliografia 1 Schafernak KT, Kluskens LF, Ariga R, Reddy VB, Gattuso P. Fineneedle aspiration of superficial and deeply seated lymph nodes on patients with and without a history of malignancy: review of 439 cases. Diagn Cytopathol 2003;29:315-9. 2 Saboorian MH, Ashfaq R. The use of fine needle aspiration biopsy in the evaluation of lymphadenopathy. Semin Diagn Pathol 2001;18:11023. 3 Nasuti JF, Yu G, Boudousquie A, et al. Diagnostic value of lymph node fine needle aspiration cytology: an institutional experience of 387 cases observed over a 5-year period. Cytopathology 2000;11:1831. 4 Stewart CJ, Duncan JA, Farquharson M, Richmond J. Fine needle aspiration cytology diagnosis of malignant lymphoma and reactive lymphoid hyperplasia. J Clin Pathol 1998;51:197-203. 5 Buley ID. Fine needle aspiration of lymph nodes. J Clin Pathol 1998;51:881-5. 6 Prasad RR, Narasimhan R, Sankaran V, et al. Fine-needle aspiration cytology in the diagnosis of superficial lymphadenopathy: an analysis of 2,418 cases. Diagn Cytopathol 1996;15:382-6. 7 Steel BL, Schwartz MR, Ramzy I. Fine needle aspiration biopsy in the diagnosis of lymphadenopathy in 1,103 patients: role, limitations and analysis of diagnostic pitfalls. Acta Cytol 1995;39:76-81. Citologia agoaspirativa linfonodale: diagnosi e classificazione dei processi linfoproliferativi M. Ungari 1° Servizio di Anatomia Patologica, Spedali Civili, Brescia Introduzione. La citologia agoaspirativa è una metodica rapida, economica ed efficace per indagare una linfoadenopatia, anche se la sua utilità non è unanimemente condivisa, in particolare nella diagnosi dei processi linfoproliferativi. Tuttavia con l’esperienza dell’operatore e l’ausilio di tecniche speciali, quali l’immunoctitochimica, la citometria a flusso ed indagini molecolari, la citologia agoaspirativa linfonodale ha raggiunto valori di sensibilità e specificità assolutamente ottimali. Essa è in genere in grado di fornire sufficienti informazioni per decidere se è necessario unicamente un controllo nel tempo, una terapia antibiotica per un processo infettivo, radioterapia e chemioterapia per una patologia tumorale o una stadiazione per una localizzazione metastatica. Nei casi problematici o per conferma del sospetto diagnostico citologico si ricorre alla linfoadenectomia. Negli ultimi 10 anni circa la sensibilità della metodica è > 80%, la specificità > 90% e l’accuratezza diagnostica > 85%, per i linfomi non Hodgkin (LNH) 1-4. La classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha aperto la porta ad un più ampio uso della citologia agoaspirativa in quanto essa ha dato minore importanza all’architettura, favorendo le caratteristiche cliniche, citologiche, il fenotipo ed il genotipo nell’identificazione delle singole entità. I quadri citologici nel caso di sospetto di un processo linfoproliferativo possono essere classificati in due grandi categorie: quadro polimorfo con o senza cellule atipiche di grossa taglia e quadro monomorfo, quest’ultimo a sua volta distinto in base alle dimensioni della popolazione tumorale a cellule di piccola, media e grossa taglia (Tab. I). 349 relazioni Per il linfoma di Hodgkin la sensibilità è più bassa (48%86%), anche se la specificità rimane elevata (98%-100%) 5 6. La diagnosi di localizzazione metastatica ha elevate sensibilità 91%-98%), specificità (95%-98%) ed accuratezza diagnostica (94%-97%) 7 8. Linfomi non Hodgkin. I linfomi non Hodgkin B a cellule di piccola taglia comprendono, secondo l’OMS, il linfoma linfocitico (LLC), il linfoma linfoplasmacitico, il linfoma follicolare (FL), il linfoma mantellare (MCL) ed il linfoma marginale (MZL), che citologicamente sono dominati da una popolazione monomorfa di cellule di piccole dimensioni. Tutti possono comprendere alcune cellule linfoidi di grossa taglia, plasmacellule, cellule follicolari dendritiche, in numero variabile a seconda della singola entità. I singoli tumori vengono classificati con una combinazione di caratteri citologici, immunofenotipici e citogenetica (Tab. II). La leucemia linfocitica linfocitica cronica/LNH linfocitico citologicamente è caratterizzata da una popolazione monomorfa di piccoli linfociti maturi, con cromatina in zolle e sottile rima di citoplasma, cui si associano sparse cellule di media/grossa taglia, con nucleolo riconoscibile e citoplasma più abbondante, basofilo, chiamati paraimmunoblasti. Nel Tab. I. Quadri diagnostici in citologia agoaspirativa linfonodale. Pattern citologico Diagnosi differenziale Tecniche aggiuntive Pitfalls Linfocitosi mista Reattivo LNH a piccoli linfociti LNH B DLC ricco in T LH Citometria a flusso Immunocitochimica FISH Presente in numerose condizioni benigne e maligne Linfocitosi mista con numerosi neutrofili Infezioni LH ALCL Coltura microbiologica Immunocitochimica Necrosi Linfocitosi mista con cellule atipiche di grossa taglia LH LNH B DLC ricco in T ALCL LNH B follicolare di alto grado Immunocitochimica FISH Le cellule neoplastiche possono essere rare Necrosi Fibrosi La citometria a flusso può essere negativa Monomorfo a piccole cellule LNH LNH LNH LNH LNH linfocitico/LLC B mantellare B marginale B follicolare B linfoplasmacitico Immunocitochimica Citometria a flusso FISH t(11;14) FISH t (14;18) Variazioni ed overlap del fenotipo Monomorfo a cellule di media taglia LNH B Burkitt Linfoma/Leucemia linfoblastica LNH B mantellare blastoide LNH T periferici Leucemia mieloidi acute Immunocitochimica Citometria a flusso FISH t(11;14) FISH per c-myc Necrosi Artefatti Monomorfo a grandi cellule LNH B DLC LNH T periferico Metastasi Immunocitochimica Citometria a flusso Necrosi Artefatti Citometria a flusso negativa Pleomorfo a grandi cellule ALCL LH Metastasi Immunocitochimica Necrosi Artefatti Citometria a flusso negativa Plasmacellule Mieloma multiplo LNH B linfoplasmacitico Malattia di Castleman HIV Immunocitochimica Citometria a flusso Citometria a flusso negativa Granulomi Infezioni Sarcoidosi LH Metastasi Colorazioni istochimiche Immunocitochimica Colture microbiologiche Granulomi possono essere osservati sia in condizioni benigne che maligne Macrofagi con o senza detriti cellulari LNH B Burkitt LH LNH B DLC ricco in T Iperplasia follicolare Malattia di Rosai-Dorfman HIV Citometria a flusso Immunoistochimica FISH Macrofagi con corpi tingibili possono essere presenti sia in condizioni maligne che benigne 350 III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP Tab. II. Classificazione OMS dei LNH B a piccole cellule. Linfocitico Mantellare Follicolare Marginale 65 60 59 61 Sesso M>F M>>F M=F M=F Clinica Indolente Aggressivo spesso extranodale Indolente indolente Età media CD5 1 1 -1 -1 CD10 -1 -1 1 -1 CD23 1 -1 0 0 Ciclina D1 -1 1 -1 -1 Trisomia 12 t(11;14) t(14;18) Citogenetica 1 = tipico e indispensabile/rilevante per la diagnosi; 0 = irrilevante per la diagnosi; -1 = non tipico, fortemente contrario alla diagnosi 10%-20% dei pazienti si ha la trasformazione in un linfoma a grandi cellule (sindrome di Richter), che può essere costituito da paraimmunoblasti, ma anche da cellule linfoidi indifferenziate. La presenza di numerose mitosi, di necrosi cellulare ed un elevato indice proliferativo (Ki-67/Mib-1) sono indicativi di trasformazione cellulare 11. Lo studio dell’espressione immunofenotipica del marcatore prognostico Zap70 è eseguibile anche in citologia. Il MCL presenta mitologicamente una popolazione monomorfa di piccoli linfociti con nucleo irregolare, simil-centrocitico, cromatina in granuli ipercromatici, senza nucleolo. Centroblasti ed immunoblasti sono in genere assenti. Vi possono essere sparsi istiociti, non in attività fagica. Architetturalmente si riconoscono tre forme: mantellare, nodulare e diffusa, che tuttavia non sembrano avere valore prognostico. Citologicamente il linfoma a crescita nodulare può comprendere frammenti di centri germinativi con macrofagi con corpi tingibili, assenti nelle altre due forme 12. La variante blastoide è riconoscibile citologicamente in quanto costituita da cellule medio/grandi, con uno o più nucleoli, che simulano linfoblasti 13. La conferma della natura mantellare di una popolazione linfomatosa è data dalla sua espressione immunocitochimica di ciclica D1 o dalla dimostrazione di t(11;14) 14. Il FL rappresenta il 35% di tutti i linfomi. Il quadro citologico è caratterizzato da popolazione linfoide dispersa o in aggregati, per la presenza di cellule follicolari dendritiche, costituita da centrociti, cui si associano in minor numero centroblasti, in genere con rari o assenti macrofagi con corpi tingibili. Le cellule follicolari sono caratteristiche mitologicamente, in quanto caratterizzate da un nucleo ovale con cromatina pulverulenta ed un piccolo nucleolo paracentrale; spesso le cellule follicolari dendritiche sono plurinucleate, con nuclei tra loro strettamente adesi. Le immunocolorazioni per CD21 e CD35 le evidenziano. La natura centrofollicolare della popolazione linfoide si conferma con le immunocolorazioni per CD10 e Bcl6. La diagnosi differenziale è con i quadri di iperplasia reattiva, che oltre ad essere ricchi di macrofagi con corpi tingibili, mostrano molto più numerosi centroblasti di quanto in genere osservato nel FL. Inoltre i FL nel 70-95% dei casi esprimono la proteina Bcl-2, come risultato della traslocazione t(14;18). Tuttavia, in citologia, la lettura dell’immunocolorazione per Bcl-2 può essere problematica, sia perché non vi sono reperi spaziali, sia perché nel contesto degli aggregati centrofollicolare, in corso di allestimento del preparato possono migrare i linfociti del mantello o linfociti T, che esprimono fisiologicamente la proteina Bcl-2. Pertanto può essere senz’altro utile dimostrare il riarrangiamento con FISH, metodica che può essere applicata sia su materiale fissato all’aria, che su preparati fissati in alcool e decolorati 15. Istologicamente il FL è diviso in 3 gradi in rapporto al numero di centroblasti per campo ad alto ingrandimento. Non è possibile fornire tale dato in citologia, con sufficiente margine di accuratezza, anche se in uno studio gli Autori identificano il grado 1 con < 10% di centroblasti, il grado 2 con 10% < < 25% ed il grado 3 25% < < 50% 16. La classificazione dell’OMS consiglia di segnalare anche il grado di nodularità della popolazione linfomatosa, dato che si evince solo dall’esame istologico, ma che non sembra avere alcun valore prognostico o terapeutico. Il MZL si presenta con uno striscio polimorfo comprendendo linfociti di taglia piccola ed intermedia, spesso centrocitoidi per le caratteristiche del nucleo, immunoblasti, plasmacellule e frammenti di centri germinativi, con centrociti/centroblasti, cellule follicolari dendritiche e macrofagi con corpi tingibili. A differenza del linfoma marginale extranodale (MALT), la forma nodale non mostra né t(11;18), né trisomia 3. Del linfoma di Burkitt (BL), ne esistono 3 forme cliniche: a.endemico in Africa ed Asia, colpisce i bambino, frequentemente con localizzazione alle ossa facciali, ed è EBV correlato; b.sporadico, nei bambini e giovani adulti, in forma di masse addominali; c.in pazienti con immunodeficit (es. HIV), con coinvolgimento linfonodale, ed è EBV correlato. In tutti i casi la malattia, all’esame citologico si presenta come una popolazione monomorfa di cellule di media taglia, con nucleo rotondeggiante, multipli nucleoli e citoplasma basofilo abbondante, con vacuoli microscopici di lipidi (colorazione giemsa). Vi possono essere numerosi macrofagi con corpi tingibili (c.d. “aspetto a cielo stellato”). Fenotipicamente il BL esprime CD10, ma è negativo per Bcl-2. La diagnosi differenziale si pone con il linfoma leucemia linfoblastica, che esprime nella maggior parte dei casi TDT e può esprimere CD34. Geneticamente il BL è caratterizzato dal riarrangiamento del proto-oncogene c-myc: t(8;14), t(2;8) e t(8;22), dimostrabili anche in citologia con FISH. Tuttavia riarrangiamento del cmyc è stato riscontrato anche in altri linfomi: LNH B DLC e linfoma linfoblastico. Pertanto la diagnosi di BL è il risultato dei quadri clinico, morfologico, immunofenotipico e citogenetica. Nello spettro delle neoplasia a cellule monomorfe di media taglia vanno incluse anche le leucemie mieloidi. Nel caso che i marcatori linfoidi B e T (CD3, CD20 e Pax5) risultino negativi, è utile indagare la natura mieloide di una popolazione tumorale con CD34, CD43, mieloperossidasi, CD117. relazioni Il LNH B DLC è frequente (30%-40%) dei linfomi dell’adulto. La citologia è un tappeto di cellule linfoidi grandi, con variabili caratteri citologici: centroblasti, immunoblasti, cellule con nucleo polilobato, cellule ad anello con castone, plasmablasti. Linfoma di Hodgkin. La maggior parte dei pazienti presenta coinvolgimento linfonodale latero-cervicale e/o mediastinico. Il linfoma di Hodgkin classico (sclerosi nodulare, cellularità mista, ricco in linfociti e deplezione linfocitica, che comprendono il 95% dei pazienti) è citologicamente caratterizzato da un piccolo numero di cellule tumorali (cellule di Hodgkin e cellule di Reed-Sternberg) sparse nel contesto di una popolazione linfoide polimorfa, comprendente linfociti, eosinofili, neutrofili, istiociti (anche in aggregati granulomatosi), plasmacellule e fibroblasti. La classica cellula di RS è di grossa taglia, binucleata con nucleoli acidofili prominenti spesso circondati da un alone chiaro. Il fenotipo della cellula di Hodgkin e RS è CD15+, CD30+, Pax5+ (più spesso), CD20-, CD45-, anche se non sono inusuali le eccezioni (es. assenza di espressione di CD15: 12% 10; espressione di CD20, in genere da una frazione minoritaria di cellule tumorali). La sottoclassificazione del linfoma di Hodgkin classico non è possibile in citologia. Tuttavia il linfoma di Hodgkin classico non mostra variazioni nella terapia in rapporto al differente sottotipo 9. Il linfoma di Hodgkin predominanza linfocitica nodulare comprende il 5% dei pazienti. La cellula diagnostica, cellula Linfocitica&Istiocitica (L&H), è anch’essa di grossa taglia, ma con nucleo multilobulato, in genere senza nucleoli acidofili prominenti, ed ha un differente fenotipo: CD20+ (espressione intensa da parte di tutte le cellule tumorali), CD45+, Pax5+, CD15-, CD30-. La diagnosi differenziale citologica include l’iperplasia reattiva, linfoadeniti infettive, il LNH B DLC ricco in linfociti T, le metastasi di carcinoma e di melanoma. I falsi negativi sono in genere secondari o a solo parziale coinvolgimento linfonodale, o a estensiva sclerosi che non consentono un’adeguata raccolta di cellule diagnostiche. Linfadeniti da infezione di virus di Epstein-Barr comprendono cellule linfoidi atipiche di grossa taglia “sternbergoidi”, che possono essere CD30+ e che pertanto sia citologicamente che fenotipicamente pongono un problema diagnostico differenziale con un linfoma di Hodgkin classico. Il CD15 può essere espresso da alcuni carcinomi, così come l’antigene epiteliale di membrana (EMA) può essere espresso dalla cellula di RS, pertanto la tipizzazione immunofenotipica deve cercare di essere comprensiva di CD30 e Pax5. tra le neoplasie linfoidi la diagnosi differenziale si pone con il LNH B DLC ricco in linfociti T, le cui cellule, pur se possono essere citologicamente simili alle cellule di RS, sono tuttavia intensamente CD20+ e negative per CD15, e con il linfoma anaplastico a grandi cellule (ALCL). Le cellule del ALCL possono essere citologicamente simili alle cellule di Hodgkin e RS, fenotipicamente esprimono CD30, ma sono negative per CD15, possono esprimere marcatori T (soprattutto CD2), anche molecole citotossiche (es. granzyme β e TIA-1). Geneticamente, nel 65%-85% dei casi, il ALCL è associato alla traslocazione t(2;5) che risulta nell’espressione della protena ALK, che virtualmente esclude un LH. Più frequentemente tuttavia il ALCL si presenta come un tappeto di cellule atipiche di grossa taglia, ponendosi in diagnosi differenziale con il LNH B DLC, le metastasi di carcinoma ed il carcinoma embrionale, che tra l’altro esprime CD30. I LNH T/NK rappresentano all’incirca il 10% dei linfomi. Diversamente dai processi linfoproliferativi B dove la restrizione clonale è individuata dall’espressione monotipia delle catene leggere delle immunoglobuline di superficie, i linfomi T non 351 hanno marcatori di monoclonalità. La diagnosi di linfoma si fonda pertanto sulle caratteristiche citologiche della popolazione linfoide e sulla perdita di espressione di antigeni che normalmente sono espressi. Metastasi. Una metastasi è di gran lunga più frequente di un linfoma come causa di linfoadenopatia, soprattutto in pazienti 50 anni. L’accuratezza diagnostica è del 95% per i carcinomi e del 100% per i melanomi 3. Aspirati linfonodali in pazienti con metastasi di melanoma spesso mostrano un quadro a cellule disperse simile a quello dei processi linfoproliferativi. L’immunocitochimica consente inoltre di orientare il clinico sulla sede primitiva del tumore. Uno dei maggiori problemi è la diagnosi differenziale tra un processo linfoproliferativo ed una neoplasia “a piccole cellule blu”. Nei bambini in particolare il neuroblastoma, il sarcoma di Ewing/PNET ed il rabdomiosarcoma, negli adulti in carcinoma neuroendocrino. Le metastasi di adenocarcinoma si presentano come aggregati coesivi e cellule disperse. La dimostrazione di mucine intracitoplasmatiche esclude in genere l’epatocarcinoma, il carcinoma della corticale surrenalica, il carcinoma papillare e follicolare della tiroide, così come i sarcomi, con l’eccezione del cordoma, ed il melanoma. Vi sono poi tutta una serie anticorpi che ci aiutano ad individuare il sito di origine di un carcinoma: TTF-1, antigene prostatico specifico, anti-epatocitario, CD10 recettori ormonali, GCFD-15, tireoglobulina, l’espressione di citocheratina 7 e citocheratina 20, e altri. Il linfonodo sovraclaveare sinistro (linfonodo di Virchow) drena il tratto gastro-intestinale e gli organi pelvici. I sarcomi che più frequentemente metastatizzano ai linfonodi sono il rabdomiosarcoma, il sarcoma a cellule chiare, il sarcoma epitelioide, il sarcoma di Ewing ed il sarcoma sinoviale. La citologia, adiuvata da tecniche immunoistochimiche ed eventualmente studi citogenetica, è in grado di documentare le localizzazioni metastatiche, soprattutto in pazienti con malattia nota. Bibliografia 1 Chau I, Kelleher MT, Cunningham D, et al. Rapid access multidisciplinary lymph node diagnostic clinic: analysis of 550 patients. Br J Cancer 2003;88:354-61. 2 Jaffer S, Zakowski M. Fine-needle aspiration biopsy of axillary lymph nodes. Diagn Cytopathol 2002;26:69-74. 3 Steel BL, Schwartz MR, Ramzy I. Fine needle aspiration biopsy in the diagnosis of lymphadenopathy in 1,103 patients: role, limitations and analysis of diagnostic pitfalls. Acta Cytol 1995;39:76-81. 4 Nasuti JF, Yu G, Boudousquie A, et al. Diagnostic value of lymph node fine needle aspiration cytology: an institutional experience of 387 cases observed over a 5-year period. Cytopathology 2000;11:1831. 5 Jimenez-Heffernan JA, Vicandi B, Lopenz-Ferrer P, et al. Value of fine needle aspiration cytology in the initial diagnosis of Hodgkin’s disease: analysis of 188 cases with emphasis on diagnostic pitfalls. Acta Cytol 2001;45:300-6. 6 Chieng DC, Cangiarella JF, Symmans WF, et al. Fine-needle aspiration cytology of Hodgkin disease: a study of 89 cases with emphasis on the false-negative cases. Cancer Cytopathol 2001;93:52-9. 7 Prasad RR, Narasimhan R, Sankaran V, et al. Fine-needle aspiration cytology in the diagnosis of superficial lymphadenopathy: an analysis of 2,418 cases. Diagn Cytopathol 1996;15:382-6. 8 Martins MR, da Santos GC. Fine-needle aspiration cytology in the diagnosis of superficial lymphadenopathy: a 5-year Brazilian experience. Diagn Cytopathol 2006;34:130-4. 9 Zhang JR, Raza AS, Greaves TS, et al. Fine-needle aspiration diagnosis of Hodgkin lymphoma using current WHO classification: re-evaluation of cases from 1999-2004 with new proposals. Diagn Cytopathol 2006;34:397-402. 10 von Wasielewski R, Mengel M, Fischer R, et al. Classical Hodgkin’s disease: clinical impact of the immunophenotype. Am J Pathol 1997;151:1123-30. 352 Shin HJ, Caraway NP, Katz RL. Cytomorphologic spectrum of small lymphocytic lymphoma in patients with an accelerated clinical course. Cancer 2003;99:293-300. 12 Volmar KE, Singh HK, Gong JZ. The advantages and limitations of the role of core needle and fine needle aspiration biopsy of lymph nodes in the modern era. Pathol Case Rev 2007;12:10-26. 13 Hughes JH, Caraway NP, Katz RL. Blastic variant of mantle-cell lymphoma: cytomorphologic, immunocytochemical, and molecular genetic features of tissue obtained by fine-needle aspiration biopsy. Diagn Cytopathol 1998;19:59-62. 14 Caraway NP, Gu J, Lin P, et al. The utility of interphase fluorescence in situ hybridization for the detection of the translocation t(11;14)(q13;q32) in the diagnosis of mantle cell lymphoma on fineneedle aspiration specimens. Cancer 2005;105:110-8. 15 Gong Y, Caraway N, Gu J, et al. Evaluation of interphase fluorescence in situ hybridization for the t(14;18)(q32;q21) translocation in the diagnosis of follicular lymphoma on fine-needle aspirates: a comparison with flow cytometry immunophenotyping. Cancer 2003;99:385-93. 16 Sun W, Caraway NP, Zhang H-Z, et al. Grading of follicular lymphoma on fine needle aspiration specimens: comparison with DNA image analysis proliferative index and Ki-67 labeling index. Acta Cytol 2004;48:119-29. 17 Hecht JL, Aster JC. Molecular biology of Burkitt’s lymphoma. J Clin Oncol 2000;18:3707-21. 11 Tecniche molecolari per la diagnosi e prognosi dei linfomi S. Zupo, A.M. Parodi, G. Cerruti S.S. Diagnostica malattie Linfoproliferative, Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro, Genova Le malattie linfoproliferative sono il settore della moderna ematologia oncologica in cui la ricerca traslazionale ha prodotto i risultati più tangibili. Il progresso è dovuto ad un lavoro comune di istopatologi, biologi molecolari e clinici che hanno lavorato a stretto contatto trasferendo con particolare velocità il dato biologico alla pratica clinica. Questo lavoro di équipe è nato dall’evidenza che sotto la definizione di linfomi non Hogkin (LNH) si raggruppano una grande varietà di entità cliniche differenti che mostrano caratteristiche morfologiche, fenotipiche, cliniche, di risposta alla terapia e prognostiche molto differenti. Dalle iniziali classificazioni basate puramente su criteri morfologici si è passati agli approcci odierni che utilizzano tecnologie molto più avanzate. Lo sforzo multidisciplinare compiuto nei trascorsi ultimi 10 anni ha portato come risultato importantissimo nel 2001 alla formulazione di una nuova classificazione della World Health Organization che è stata recepita ora in tutto il mondo. Questa classificazione, che ha indotto una vera e propria rivoluzione nella diagnosi e trattamento dei pazienti con LNH, è basata sull’integrazione dei dati fenotipici, morfologici, genetici e clinici. Una diagnosi corretta di linfoma non può prescindere dalla conoscenza di tutte queste informazioni e dalla loro integrazione. Un avanzamento di estrema importanza nelle conoscenze sulla patogenesi dei LNH, e nella loro diagnosi e cura è stato certamente apportato dalla genetica molecolare con l’identi- III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP ficazione di marcatori genetici specifici che consentono non solo una precisa caratterizzazione diagnostica del linfoma ma anche un follow-up molecolare della malattia. Infatti la negativizzazione duratura del marker molecolare nel sangue midollare/periferico dei pazienti è un indice imprescindibile dell’efficacia del trattamento. Molteplici approcci terapeutici odierni basano le scelte del clinico durante il follow-up del paziente sulla remissione non solo clinica ma anche molecolare. L’importanza e la necessità dello studio della malattia minima residua (MRD), cioè la conoscenza della presenza di cellule neoplastiche residue tramite la ricerca del markers molecolare, è strettamente legata alla rapida evoluzione che ha avuto anche la terapia in queste patologie. Infatti ai chemioterapici tradizionali si sono aggiunte nuove strategie di natura diversa, quali le immunoterapie con anticorpi monoclonali specifici, il trapianto autologo e allogenico, la terapia genica. La conoscenza dell’efficacia di un trattamento anche a livello molecolare ha dimostrato avere un impatto sulla sopravivenza e sull’intervallo libero dalla malattia dei pazienti con linfoma. La presenza di malattia molecolare in pazienti in remissione clinica completa spesso implica la necessità di ulteriori trattamenti terapeutici magari di tipo immunoterapico. Di conseguenza è evidente che il dato molecolare ha assunto una importanza strategica e con anche il suo utilizzo si potrà arrivare a disegnare strategie terapeutiche ad hoc per il singolo paziente. Studi ancora più recenti che utilizzano tecniche di gene expression profiles hanno aperto ulteriori nuovi orizzonti sulle conoscenze sui difetti molecolari che sottostanno alla patogenesi dei linfomi. Queste nuove conoscenze molecolari consentono non solo di diagnosticare con precisione i diversi tipi di linfoproliferazioni neoplastiche ma anche di stratificare malattie morfologicamente simili ma clinicamente eterogenee, estrapolando più informazioni possibili a significato clinico, soprattutto di tipo prognostico. In conclusione, le informazioni provenienti dalle indagini geniche, citogenetiche, immunofenotipiche, oltre che ad essere indispensabili per una corretta diagnosi, possono fornire un aiuto decisivo nell’inquadramento della malattia dal punto di vista clinico fornendo aiuto prognostico e nella scelta del trattamento. Questo impone al clinico la responsabilità di avere a disposizione tutte le informazioni necessarie al fine di scegliere per i singoli pazienti la cura più “intelligente”. Bibliografia 1 Jaffe ES, Harris NL, Stein H, Vardiman JW, editor. World Health Organization Classification of Tumours: pathology and genetics of tumours of haematopoietic and lymphoid tissues. Lyon IARC press 2001. 2 Chan WC, Fu K. Molecular Diagnostics on Lymphoid Malignancies. Arch Pathol Lab Med 2004;128:1379. 3 Dunphy CH. Gene expression profiling data in lymphoma and leukaemia. Arch Pathol Lab Med 2006;130:483-520. 4 Bagg A. Molecular diagnostics in lymphoma. Curr Hematol Rep 2005;4:313-23. 5 Bench AJ, Erber WN, Follows GA, Scott MA. Molecular gentic analysis of haematological malignancies II. Mature lymphoid neoplsms. Int J Haematol 2007;29:229-60. 353 relazioni II Sessione La citologia negli screening del cervico-carcinoma Moderatori M.G. Scalia (Crotone), F. Tallarigo (Crotone) Il Sistema Bethesda 2001 L. Di Bonito U.C.O. di Citodiagnostica e Istopatologia, Università di Trieste Il Sistema Bethesda (BTS) nasce nel 1988 da una riunione multisciplinare di esperti in ginecopatologia per dare una risposta ai problemi di scarsa comunicabilità fra specialisti a causa dall’utilizzo di terminologie e di classificazioni non sempre univoche. L’obiettivo dell’uniformità terminologica era legato anche al raggiungimento di una maggiore chiarezza sul management delle anomalie cellulari riscontrate al Pap test. Le novità introdotte da questo protocollo di classificazione citologica e di refertazione riguardavano principalmente l’abbandono della classificazione di Papanicolaou ed il riconoscimento del Pap test quale strumento di consultazione medica. Il BTS del 1988 prevedeva che ogni referto dovesse comprendere un giudizio sull’adeguatezza del materiale citologico (“adeguato”, “sub-ottimale”, “inadeguato”), una classificazione generale della diagnosi ed una diagnosi descrittiva con utilizzo di una terminologia stabilita. Il BTS fu subito adottato in molti laboratori e nel 1991 fu effettuata una seconda riunione per procedere alla verifica della sua applicazione e per apportare eventuali aggiornamenti alla luce delle esperienze nel frattempo acquisite. Il risultato del meeting fu una semplificazione centrata soprattutto nella parte concernente le alterazioni cellulari benigne ed in una più dettagliata classificazione delle anomalie ghiandolari. L’impianto complessivo, tuttavia, rimase inalterato. Un’ulteriore rivisitazione del BTS si rese necessaria e nel 2001 furono apportate alcune modifiche più sostanziali alle precedenti versioni. I principali capitoli modificati sono: – adeguatezza. La categoria intermedia tra adeguato ed inadeguato (“sub-ottimale”) viene soppressa perché considerata confondente per i clinici. Nel BTS 2001 gli strisci convenzionali sono da considerarsi adeguati in presenza di 8.000-12.000 cellule squamose ben visualizzabili (5.000 nelle preparazioni in fase liquida) e di almeno 10 elementi endocervicali o metaplasici ben conservati, anche isolati, mentre il riscontro di tali elementi in aggregati non viene più considerato necessario. La presenza di elementi oscuranti (emazie o cellule della flogosi) deve essere segnalata, anche se lo striscio è ritenuto adeguato, quando meno del 75% delle cellule sono oscurate; – categorie generali. Le alterazioni cellulari benigne (presenti come categoria indipendente nelle precedenti versioni) vengono ora incluse nella categoria “Negativo per lesione intraepiteliale o malignità”; – interpretazione/risultati. Il Pap test è principalmente un test di screening e, pertanto, il referto citologico è da considerarsi solo un’interpretazione del quadro morfologico che contri- buisce alla formulazione della diagnosi assieme alla clinica. Dall’integrazione del risultato citologico e dei dati clinici scaturisce poi il management specifico per ciascun caso; – alterazioni delle cellule epiteliali. In questo capitolo le modifiche più sostanziali riguardano le cellule atipiche e l’introduzione dell’adenocarcinoma endocervicale in situ. Atipie in cellule epiteliali squamose. Le precedenti versioni del BTS avevano suggerito di suddividere le ASCUS, in reattive o displastiche, in obbedienza allo scopo primario del Pap test, ovvero l’individuazione del maggior numero possibile di lesioni intraepiteliali. In realtà, ciò si era tradotto in un eccesso di ASCUS, anche alla luce dei risultati delle successive indagini eseguite sulle pazienti. L’attuale denominazione delle ASCUS è modificata in ASC (“Atypical Squamous Cells”), che esclude le anomalie reattive, passate anch’esse nella categoria dei negativi. Le ASC vengono poi suddivise in ASC-US per indicare le atipie non altrimenti specificabili ed in ASC-H qualora non sia possibile escludere una lesione di alto grado. Il BTS 2001 suggerisce che quest’ultima categoria sia sospetta per lo più lesioni di alto grado e che pertanto le ASC-H non debbano costituire più del 5-10% delle ASC totali. Queste ultime non potranno superare il 5% delle diagnosi totali, con un rapporto fra ASC e SIL di 2:1. Atipie in cellule ghiandolari. La precedente categoria AGUS viene eliminata dal BTS 2001 e sostituita da AGC (“Atypical Glandular Cells”). Poiché il management delle pazienti con lesioni ghiandolari è strettamente correlato con il tipo di cellule coinvolte, il BTS 2001 raccomanda di specificare, ove possibile, se le AGC sono a carico di cellule endocervicali o endometriali, anche alla luce di aspetti citomorfologici specifici che ne permettono la distinzione. Il reperto di cellule ghiandolari atipiche è clinicamente rilevante poiché la percentuale di casi che sottende una lesione di alto grado (10-39%) è più elevata di quanto si osserva per le ASC. Il BTS 2001, in presenza di atipie ghiandolari sospette per la presenza di un adenocarcinoma, suggerisce di utilizzare il termine di AGC vs. neoplasia, specificandone, se riconoscibile, l’origine endocervicale. L’“adenocarcinoma endocervicale in situ”, viene introdotto dal BTS 2001 quale nuova ed indipendente categoria diagnostica. Ne vengono anche definiti i criteri citomorfologici più tipici: gli aspetti piumati, le pluristratificazioni, la formazione di rosette, l’assenza di nucleoli prominenti in cellule con rapporto nucleo/citoplasmatico più elevato del normale, l’assenza di diatesi tumorale, caratteristiche che lo diversificano dall’adenocarcinoma invasivo. Altro. In questo capitolo sono comprese le cellule endometriali normali presenti nello striscio di donne di età uguale o superiore ai 40 anni (in relazione comunque alla data dell’ultima mestruazione), in ragione di un possibile aumento del rischio di patologie endometriali in queste donne. Nelle precedenti versioni, tale riscontro era incluso nella categoria delle anomalie delle cellule ghiandolari. 354 Lettura computerizzata e test aggiuntivi. Il BTS 2001 ha voluto tenere conto anche delle innovazioni tecnologiche più recenti, aggiungendo una categoria opzionale assente nelle versioni precedenti. Il referto dovrebbe contenere anche le informazioni aggiuntive ottenute dalla lettura computer-assistita o dall’esecuzione di test molecolari, assieme alle specifiche degli strumenti e delle metodologie impiegate. Note educazionali e suggerimenti. Il citopatologo ha la facoltà, se lo ritiene opportuno, di rivolgere al clinico suggerimenti o commenti sul risultato citologico, sempre coerenti con le Linee Guida adottate per il management delle pazienti con anomalie citologiche. Le categorie diagnostiche più definite, quali SIL e carcinoma invasivo, non sono state modificate, poiché il loro aspetto citomorfologico permette di porre una valutazione ben precisa, che vede un’elevata corrispondenza nel confronto citoistologico. Bibliografia 1 The 1988 Bethesda System for reporting cervical/vaginal cytological diagnoses. National Cancer Institute Workshop. JAMA 1989;262:931-4. 2 The Bethesda System for reporting cervical/vaginal cytological diagnoses: report of the 1991 Bethesda Workshop. Diagn Cytopatol 1989;8:313-5. 3 The 2001 Bethesda System terminology for reporting results of cervical cytology. JAMA 2002;287:2114-9. Il Pap test nell’era vaccinale C. Gentili Carrara, (MS) Nel febbraio 2007 l’Agenzia Italiana del Farmaco ha autorizzato la commercializzazione del primo vaccino contro il papilloma virus (HPV), responsabile della quasi totalità dei casi di tumore del collo dell’utero. A partire dal 2008 se ne prevede la somministrazione gratuita a tutte le ragazze 12enni. Il vaccino in commercio è diretto contro 4 ceppi del virus: HPV 16, HPV 18, HPV 11, HPV 6. L’HPV 16 e l’HPV 18 sono quelli più frequentemente correlati alle lesioni tumorali, essendo responsabili da soli del 70% dei casi di tumore del collo dell’utero; l’HPV 6 e l’HPV 11 sono generalmente correlati a lesioni condilomatose. Si calcola che l’efficacia del vaccino contro questi 4 ceppi sia del 98% e che l’immunità duri per più di 5 anni, anche se ancora non si dispone di dati sull’efficacia oltre questo periodo. Non si esclude, inoltre, una reattività crociata del vaccino contro altri ceppi che ne aumenterebbe così copertura ed efficacia. Se, come programmato, la vaccinazione andrà a regime per tutte le 12enni dal prossimo anno, saranno possibili i primi bilanci in termini valutativi quando, tra 13 anni, questa fascia di popolazione raggiungerà l’età di screening. Se i risultati saranno pari alle aspettative, dovrà passare ancora un discreto numero di anni perché tutta la popolazione sia coperta contro i due ceppi. Al momento, dunque, lo strumento migliore per contrastare questo tumore che, va ricordato, registra una frequenza di 3.500 nuovi casi ogni anno con circa 1.100 morti, resta il controllo sistematico di tutte le donne nella fascia di età tra i 25 e 65 anni con un test di screening semplice, innocuo, efficace e riproducibile. Fino ad ora il Pap test ha soddisfatto in maniera ottimale tutti questi requisiti essendo innocuo, semplice, con ottimo rapporto sensibilità-specificità, accettabile riproducibilità (soprattutto per le lesioni più importanti). Ha svolto un ruolo centrale III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP nella individuazione delle lesioni prencacerose, contribuendo in maniera determinante al crollo della mortalità per la neoplasia nei Paesi industrializzati. Il Pap test richiede, tuttavia, una serie di requisiti che ne garantiscano la qualità e la cui mancanza rende la sua centralità nello screening più precaria. Ogni programma di screening cervicale, come è noto, deve: – prevedere l’esecuzione di un Pap test ogni 3 anni nelle donne di età compresa tra 25 e 64 anni; – essere sottoposto ad un rigoroso controllo di qualità che assicuri, tra l’altro, che il carico annuo di lavoro di un citologo dedicato allo screening non superi i 7.500 Pap test, che ogni laboratorio esamini almeno 15.000 Pap test l’anno e che il referto venga consegnato non oltre le 6 settimane dall’esecuzione del test; – disporre di ambulatori o consultori nei distretti, presso cui effettuare il prelievo cervico-vaginale, e di personale per l’esecuzione dei prelievi; di laboratori di citologia, istologia e patologia per la lettura dei preparati citologici e istologici e di personale dedicato; – prevedere la refertazione, la classificazione e l’archiviazione dei preparati citologi ed istologici che devono essere automatizzate, utilizzando software e classificazioni compatibili e interfacciabili con i dati delle anagrafi comunali e sanitarie. I referti negativi devono essere conservati per 5 anni, quelli non negativi per 20 anni e i preparati istologici per 20 anni 2. Il rispetto di questi requisiti renderà ben presto problematico, anche dove gli screening basati sull’esame citologico sono “precariamente stabilizzati” come in Toscana, il ruolo centrale dello “striscio”, tanto più in considerazione della disponibilità alternativa di un test di biologia molecolare. Tenuto conto che in Italia si eseguono circa 6 milioni di Pap test, in strutture sia pubbliche che private e che una fetta consistente di popolazione non ha mai eseguito il test o lo esegue in modo irregolare 2, ci si chiede se, alla luce delle nuove conoscenze, sia opportuno affrontare ex novo, o mantenere laddove esiste, uno screening organizzato avente come test di base il Pap test con il suo impegno economico ed organizzativo gravoso, oppure se convenga utilizzare nuovi test che con migliori requisiti (minor costo complessivo, maggior semplicità e riproducibilità, analogo rapporto sensibilità-specificità) garantiscano lo stesso risultato? Molti studi hanno mostrato un incremento di sensibilità dell’HPV DNA rispetto alla citologia convenzionale 3 e, recentemente, si rafforza la convinzione che con l’utilizzo del l’HPV test come test screening primario e la citologia come “triage” per le donne HPV positive si ottenga un incremento di sensibilità dell’HPV test comparato alla citologia convenzionale, sia pure con una piccola perdita di specificità anche tra donne sotto i 30 anni dove l’infezione è molto più presente 4 5. In Italia il numero di donne positive all’HPV da testare con la citologia è relativamente basso: 14% in donne tra i 25 e 34 anni e 7% in donne tra i 34 e i 65 anni 5. Ciò sta a significare che, se lo screening primario fosse eseguito con il solo HPV test, soltanto il 9% circa di donne andrebbero sottoposte ad un controllo citologico (che diverrebbe in questo caso un test di 2° livello), con un sensibile calo, dunque, delle prestazioni citologiche (in un laboratorio standard passerebbero da 15.000 a 1.650), e il conseguente recupero di personale dedicato (due citologi, un tecnico ed un amministrativo) e un inevitabile miglioramento della qualità delle prestazioni. Le vaccinazioni con HPV 16 e 18 avranno un forte impatto sulla epidemiologia della CIN e sul cancro cervicale e, perciò, sullo screening. relazioni La più bassa prevalenza di CIN ridurrà il VPP; questo effetto potrebbe essere più forte in citologia, molto soggettiva rispetto all’HPV test, molto riproducibile. Quali, dunque, i vantaggi di un test di biologia molecolare come test di screening ? 1)costo complessivo molto più contenuto del test molecolare; 2)impiego di sistemi organizzativi più snelli e con meno risorse umane; 3)riproducibilità; 4)incremento di sensibilità rispetto a un piccolo decremento nella specificità; 5)allungamento degli intervalli di screening. Quali gli svantaggi? 1)ansietà legata all’infezione (ma non c’è anche per una portatrice di ASCUS o un SIL di basso grado se il comunicatore comunica ansia?); 2)possibilità di avere falsi negativi (ma non ci sono anche nel Pap test?). Conclusioni. Gli studi finora mostrano che il vaccino è efficace e privo di effetti collaterali, anche se non si conosce la durata della protezione. In Italia il vaccino sarà messo in commercio entro un anno e sarà indicato per le adolescenti e le donne giovani. Per valutarne l’impatto sull’incidenza del carcinoma cervicale si dovranno però attendere molti anni: dovrà quindi persistere un programma di prevenzione secondaria efficace e capillare, secondo schemi di integrazione delle due azioni preventive. Il Pap test come test di screening abbisogna di un’organizzazione complessa e costosa che coinvolge più figure professionali, molte delle quali altamente qualificate; rispetto ai test di biologia molecolare offre solo piccoli vantaggi in termini di valore predittivo positivo. Poiché il vero obiettivo dello screening del cervicocarcinoma, in attesa degli effetti benefici del vaccino, è quello di raggiungere tutta la popolazione bersaglio con un test semplice, efficace e riproducibile, al fine di ridurre la mortalità e la morbilità della malattia, riteniamo che il Pap test debba cedere il passo alle nuove tecnologie che rispondono meglio ai requisiti richiesti. Bibliografia 1 Coleman D, et al. European Guidelines for Quality Assurance in Cervical Cancer Screening. 2 Ronco G, et al. Livello di attivazione ed indicatori di processo dei programmi organizzati di screening cervicale in Italia. Osservatorio nazionale dei tumori femminili, Secondo Rapporto 2003, p. 36-51. 3 IARC Working Group on the Evaluation of Cancer Preventive Strategies. Cervix cancer screening. IARC handbooks of cancer prevention. Vol. 10. Lyon: IARC 2005. 4 Cuzick J, Szarewski A, Cubie H, Hulman G, Kitchener H, Luesley D, et al. Management of women who test positive for high-risk types of human papillomavirus: the HART study. Lancet 2003;362:1871-6. 5 Ronco, et al. Gynecol Oncol 2007;4 (in press). Il vetrino digitale per la promozione della qualità in citologia A. Bondi U.O. di Anatomia, Istologia Patologica e Citodiagnostica, Ospedale Maggiore, AUSL Bologna Introduzione. Nell’ambito degli screening per la prevenzione del cancro della cervice, della mammella e del colon, la Regione Emilia Romagna ha promosso gruppi professionali che si occupano della garanzia della qualità nei settori speci- 355 fici. L’Anatomia Patologica è stata individuata come settore importante per tutti e tre gli screening: si è pensato quindi di realizzare uno strumento comune alle Istituzioni che in regione si occupano di Citopatologia e di Istopatologia nell’ambito degli screening oncologici. Questo lavoro presenta il progetto che vedrà la prima fase di realizzazione da ottobre a dicembre 2007: per il III Simposio di Citologia è quindi possibile riportarne le linee essenziali ed il piano di messa in opera. Razionale. Progetto per realizzare una rete regionale per la Promozione ed in Controllo della Qualità (PCQ) delle prestazioni di Citologia ed Istologia che coinvolga le Anatomie Patologiche che hanno parte negli screening regionali di prevenzione per il cancro della cervice, della mammella e del colon-retto. Le basi metodologiche della PCQ sono quelle della verifica della riproducibilità nella lettura periodica di set standard di vetrini digitali, resi disponibili in un server internet regionale a costituire un sistema di archiviazione e trasmissione di immagini (Picture Archiving and Communication System o PACS) e della discussione periodica tramite teleconferenze di consenso (consensus forum). 1.La citologia è fondamentale negli screening per il cervicocarcinoma e l’istologia è essenziale per la diagnosi, la classificazione e la stadiazione dei tumori di tutte e tre le sedi. 2.La citologia ed anche l’istologia sono basate sull’interpretazione di immagini e l’applicazione dei parametri diagnostici può essere soggetta a forti elementi interpretativi individuali. La lettura periodica di set standard di vetrini, la verifica della riproducibilità delle interpretazioni e la successiva discussione collegiale dei reperti (slide seminars) rappresenta lo strumento più efficace per promuovere e verificare la qualità delle diagnosi dei patologi e dei citologi 1. 3.Lo sviluppo della telepatologia su un sito internet efficiente costituisce un ottimo strumento per integrare le Unità Operative di Anatomia Patologica coinvolte negli screening oncologici regionali. 4.I meeting di consenso in teleconferenza permettono discussioni e confronti senza necessità di trasferimenti fisici e possono coinvolgere numerosi partecipanti anche distanti, con l’ottimizzazione dei tempi di partecipazione. La telepatologia. La telepatologia è quella branca della telemedicina che si occupa della diagnostica microscopica: l’istologia e la citologia 2, ed anche la caratterizzazione biofenotipica dei tumori e la citogenetica. Nell’evoluzione della telepatologia sono schematizzabili tre principali fasi, a cui corrispondono altrettante tecnologie: 1)telepatologia statica: alcuni campi significativi di un preparato istologico, citologico o di biotecnologia vengono fotografati ed inviati ad un consulente come allegati di un messaggio e-mail o con tecnologia FTP. I proponenti sono autori di esperienze pionieristiche con questa tecnica, riuscendo a trasmettere, primi al mondo, pacchetti di immagini corredati di notizie cliniche dall’Ospedale “Bellaria” di Bologna al Memorial Sloane Kettering Cancer Center di New York e viceversa 3. Sebbene in circa il 90% dei casi si raggiungesse una verifica diagnostica circostanziata, ben presto ci si accorse che il punto critico di questa semplice procedura è nella selezione di rappresentatività delle immagini fotografiche, che deve essere fatta dal patologo richiedente: il consulente farà diagnosi solo sulle figure selezionate in base ai criteri del richiedente e che potrebbero sviare dalla conclusione diagnostica corretta 4. Anche se le fotografie digitali possono essere trasmesse in un tempo molto breve, questa metodica presenta pochi vantaggi nei 356 confronti della spedizione postale (convenzionale) di un intero vetrino che, in un compattissimo volume, offre una grande concentrazione di informazioni morfologiche. La telepatologia statica ha comunque trovato numerose applicazioni nella didattica e nel controllo di qualità 5-7. 2)Telepatologia dinamica: attraverso opportuni microscopi motorizzati viene realizzato il controllo a distanza del movimento dello strumento con invio, in tempo reale, delle immagini microscopiche riprese da una telecamera. Può essere associata la discussione del caso in teleconferenza, anche fra più patologi. La strumentazione è più complessa e costosa di quella necessaria per la telepatologia statica, ma la possibilità di interazione offre spunti per veri consulti professionali. Sono state descritte esperienze applicate all’esecuzione di indagini intraoperatorie col patologo in una città diversa da dove veniva eseguito l’intervento chirurgico 8 e teleconsulti fra piccoli laboratori nelle numerosissime isole giapponesi, dove opera spesso un solo patologo 9. La Regione Piemonte ha realizzato una rete di stazioni di telecitologia con possibilità di discussione in linea per effettuare consultazioni crociate fra i laboratori di Anatomia Patologica che partecipano agli screening di prevenzione oncologica 10. Anche la Regione Toscana sta utilizzando la patologia digitale per la didattica agli operatori degli screening 11 anche se questa esperienza si è sviluppata soprattutto su immagini statiche. In un progetto per il controllo di qualità nello screening per il cervicocarcinoma i citopatologi dell’Emilia Romagna hanno testato la patologia digitale per controlli di riproducibilità fra laboratori per la promozione della qualità in citologia ed in istologia di screening 5. 3)Il vetrino digitale. Il concetto più moderno di telepatologia si concretizza nel vetrino digitale; alcuni Autori hanno anche usato il termine (improprio) di caso virtuale 12: comunque sia, questa tecnica prevede l’esecuzione automatica di numerose fotografie ad adeguato ingrandimento, che vengono fra di loro affiancate fino a coprire l’intera superficie di un vetrino. Un software opportuno assembla queste figure e le trasforma in una grande immagine digitale che copre tutto il vetrino, che può poi essere osservato a diversi ingrandimenti sfruttando un browser adeguato. Va associato un quadro d’insieme a piccolo ingrandimento ed un testo per descrivere i dati clinici. Tutte le informazioni presenti sul vetrino vengono quindi trasferite su un file e non è più necessario un microscopio per diagnosticare il caso 2 12 13. Il file del vetrino digitale è agevolmente archiviabile e catalogabile, è duplicabile per consulenze o controlli di qualità, ma soprattutto è trasferibile a distanza in tempi rapidissimi, molto più velocemente di quanto non possa essere spedito il vetrino vero, col quale condivide, però, la completezza delle informazioni contenute. È prevedibile che questa sarà, in tempi non lunghi, l’evoluzione della microscopia diagnostica, ma non tanto per ottenere teleconsulenze, una pratica difficile anche col microscopio convenzionale, quanto per diagnosticare i casi di routine 14. È stato da noi dimostrato, in lesioni mammarie “borderline”, che la riproducibilità dell’immagine virtuale non è inferiore a quella del microscopio convenzionale 15. La telepatologia con vetrino digitale rappresenta inoltre una grande opportunità di evoluzione culturale ed organizzativa dell’Anatomia Patologica 16: diversi laboratori possono scambiarsi e concentrare le casistiche, condividendo competenze, tecnologie, specializzazioni e consulenti che non sarebbero altrimenti permessi ai laboratori di medie e piccole dimensioni, come sono generalmente in Italia le Unità Operative di Anatomia Patologica (UO). III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP Esperienze di controllo di qualità basate sul vetrino digitale sono state realizzate anche in Italia 17-19. La teleconferenza. Riunioni di più persone collegate fra loro con mezzi che trasmettono audio ed immagini e, opzionalmente, riprese video in diretta sono ampiamente usate in molti settori produttivi. Le tecniche di collegamento possono comprendere complicati sistemi di riprese, telecamere e microfoni come in uno studio televisivo e vari sistemi di trasmissione dei segnali che impiegano la rete telefonica fissa, mobile o la trasmissione satellitare 20 21. Inoltre è possibile prevedere una sorta di regia della conferenza, con un centro dove persone dedicate selezionano immagini, voci e suoni che vengono condivisi durante la conferenza. L’opzione appropriata ed innovativa per le finalità del presente progetto ed anche più vantaggiosa in termini di rapporto benefici/costi appare la teleconferenza basata su una rete di personal computer collegati tramite internet 22-24. Materiali e metodi. Infrastruttura generale. Si costruisce una sorta di PACS (Picture Archiving and Communication System) che ha per oggetto i vetrini istologici e citologici digitali che rappresentano i set standard per PCQ. In un server internet regionale si installa un sito dinamico dove hanno sede i vetrini digitali e vengono inseriti i moduli per la partecipazione alle iniziative: le risposte alla lettura dei set standard, i commenti ed i contributi alle varie attività. In almeno due sedi concordate si installa uno scanner per la produzione dei vetrini digitali: tali scanner devono servire tutte le iniziative programmate nell’ambito dei tre screening oncologici. Le due sedi di scansione sono tenute mettere a disposizione delle iniziative di PCQ gli scanner funzionanti, ovvero anche l’assistenza tecnica operativa agli strumenti e la messa in rete dei casi nel server. Le iniziative che verranno supportate sono quelle approvate dai gruppi di patologi e citologi promossi dal coordinamento regionale degli screening oncologici. I partecipanti alla PCQ devono essere dotati di un personal computer adeguato, con schermo piatto ad alta risoluzione, telecamera ed impianto microfonico per teleconferenza, una connessione internet veloce (fibra ottica o ADSL) e di appropriato browser per la visualizzazione dei vetrini virtuali. Programmazione delle sessioni PCQ: i coordinatori regionali dei vari settori (patologi e/o citologi), assieme agli Epidemiologi che analizzeranno i risultati, programmano operativamente l’attività PCQ che è stata pianificata nei termini generali dai gruppi regionali dei patologi e citologi, stabiliscono il numero ed il tipo di sessioni, individuano la casistica da impiegare, i quesiti da porre e la temporizzazione delle iniziative. Una volta avviata una sessione, i partecipanti consultano la casistica nel sito ed in appositi form comunicano le risposte, che verranno analizzate. Raccolti i contributi viene fissata la data della (tele)conferenza di consenso che conclude ogni sessione di PCQ. Risultati previsti ed indicatori. Il principale risultato strategico sarà il coordinamento delle anatomie patologiche regionali che sono coinvolte negli screening oncologici. La valutazione della concordanza e della riproducibilità, ed il relativo andamento nel tempo, costituiscono efficaci indicatori tecnici da monitorare per garantire la qualità della diagnostica oncologica in tutti e tre gli screening oncologici regionali. Un lavoro collegiale e coordinato delle Anatomie Patologiche regionali rappresenterà, inoltre, un importante stimolo al miglioramento della diagnostica isto-citologica generale in regione. 357 relazioni Bibliografia 1 Zarbo RJ, Jones BA, Friedberg RC, Valenstein PN, Renner SW, Schifman RB, et al. Q-tracks: a College of American Pathologists program of continuous laboratory monitoring and longitudinal tracking. Arch Pathol Lab Med 2002;126:1036-44. 2 Kayser K, Kayser G, Radziszowski D, Oehmann A. New developments in digital pathology: from telepathology to virtual pathology laboratory. Stud Health Technol Inform 2004;105:61-9. 3 Eusebi V, Foschini L, Erde S, Rosai J. Transcontinental consults in surgical pathology via internet. Hum Pathol 1997;28:13-6. 4 Eusebi V, Losi L, Erde S, Rosai J. Telepathology: a powerful tool for improved communication among pathologists. Curr Diagnostic Pathol 1997;4:73-5. 5 Bondi A, Casadei GP, Lanzanova G, Collina G, Prandi S. CitoReview. Compact Disk di supporto al controllo di qualità in citologia ed istologia nello screening per il carcinoma della cervice. CDS - Centro Documentazione per la Salute - Regione Emilia Romagna, Bologna 2001. 6 Ghidoni D, Amadori A, Zuffa F, Bondi A. Controllo di qualità in Pap test di screening tramite analisi di immagini digitali con rete neurale secondo il sistema PapNet. Pathologica 1995;87:429-9. 7 Marsan C, Vacher-La Venu MC. Telepathology: a tool to aid in diagnosis and quality assurance in cervicovaginal cytology. Cytopathology 1995;6:339-42. 8 Demichelis F, Barbareschi M, Boi S, Clemente C, Dalla Palma P, Eccher C, et al. Robotic telepathology for intraoperative remote diagnosis using a still-imaging-based system. Am J Clin Pathol 2001;116:744-52. 9 Okada DH, Binder SW, Felten CL, Strauss JS, Marchevsky AM. “Virtual microscopy” and the internet as telepathology consultation tools: diagnostic accuracy in evaluating melanocytic skin lesions. Am J Dermatopathol 1999;21:525-31. 10 Arisio R, Angeli G, Giudici M, Coverlizza S, Pavesi M, Comino A. Il progetto generale della rete di telepatologia per la Regione Piemonte. Pathologica 2001;93:271-2. 11 Cariaggi MP, Confortini M, Mirri F, Tinacci G. Interobserver reproducibility: a new approach to quality control by using digital images (D.I. Test). Acta Cytol 2001;45:488-90. 12 Demichelis F, Barbareschi M, Dalla Palma P, Forti S. The virtual case: a new method to completely digitize cytological and histological slides. Virchows Arch 2002;441:159-64. 13 Molnar B, Berczi L, Diczhazy C, Tagscherer A, Varga SV, Szende B, et al. Digital slide and virtual microscopy based routine and telepathology evaluation of routine gastrointestinal biopsy specimens. J Clin Pathol 2003;56:433-8. 14 Bondi A, Dalla Palma P. Telepatologia: confronto fra offerta tecnologica e domanda per l’utilizzo. In: Clemente C, Scopsi L, eds. Telepatologia: strumenti, problemi e applicazioni. Torino: C.G. Edizioni Medico Scientifiche 2000, p. 87-93. 15 Elston CW, Sloane JP, Amendoeira I, Apostolikas N, Bellocq JP, Bianchi S, et al. Causes of inconsistency in diagnosis and classifying intraductal proliferations of the breast. Eur J Cancer 2000;36:176972. 16 Jukic DM, Patel AA, Becich MJ. The digital future of histopathology: where we are today and where we are heading. 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Video-conferencing: personal experience and practical advice. Bull Royal College Pathologists 2005;131:20-1. 24 Della Mea V, Roberto V, Conti A, di Gaspero L, Beltrami CA. Internet agents for telemedicine services. Med Inform Internet Med 1999;24:181-8. La citologia computer-assistita nello screening P. Dalla Palma Screening provinciale Pap test, Provincia Autonoma di Trento La recente pubblicazione delle “Raccomandazioni per la pianificazione e l’esecuzione degli screening di popolazione per la prevenzione del cancro della mammella, del cancro della cervice uterina e del cancro del colon retto” da parte del CCM prevede che il prelievo cervico-vaginale (sia di tipo convenzionale che in fase liquida) possa essere valutato anche con l’ausilio di sistemi di lettura automatici. La cronica carenza di personale tecnico addestrato alla lettura dei preparati cervicovaginali e la non sempre attestata capacità diagnostica dello stesso, ha portato da anni l’industria a sviluppare sistemi di lettura automatica che avessero una qualità diagnostica almeno pari a quella della media dei citotecnici. Tali strumenti, approvati dal Food and Drug Amministration già da alcuni anni, hanno dimostrato un’ottima affidabilità anche nei Centri italiani come riportato negli incontri ufficiali del 2006 a Ferrara e a Roma. Le attrezzature disponibili sul mercato italiano sono sostanzialmente due: il ThinPrep Imaging System, detto IMAGER (Cytyc Co) ed il Focal Point (Tripath Imaging, Becton Dickinson Co). Entrambi si basano su di uno scanner e su stazioni di revisione ma seguono una filosofia molto diversa. Il ThinPrep Imaging System dopo aver scannerizzato il preparato (in fase liquida ThinPrep esclusivamente) ne localizza 22 punti (detti FOV) di interesse clinico. Le coordinate di tali punti vengono quindi presentate al citoscreener su di un microscopio interattivo robotizzato per permettergli una diagnosi senza ulteriori indicazioni. A parte l’accuratezza e la riproducibilità della diagnosi dimostrate da numerose pubblicazioni scientifiche, in modo particolare americane ed australiane, viene di fatto aumentata di molto la produttività del singolo citoscreener. Il Focal Point scannerizza l’intero preparato (sia tradizionale che in fase liquida Surepath) individuandone 16 campi di interesse clinico. La stazione di revione (SlideWizard), anch’essa interattiva, presenta tali campi al citoscreener che alla fine fa la propria diagnosi. Rispetto al modello precedente descritto il sistema fa anche una classificazione matematica in quintili a probabilità crescente di anormalità (laddove il 1° quintile è peggiore). Circa il 25% dei casi viene classificato come No Further Review (NFR) cioè assolutamente negativo per cellule neoplastiche o pre-neoplastiche senza abbisognare di ulteriori controlli umani aumentando ancora in modo considerevole la produttività. Entrambi i sistemi sono dunque affidabili, in alcune situazioni sono superiori alla performance umana, sono sicuramente produttivi ma hanno dei costi importanti per quello che è lo standard dei budget delle Anatomie Patologiche italiane. Viene quindi da chiedersi se possono essere validamente utilizzati negli screening di popolazione. In tali casi va fatta una valutazione non già sulle base della Evidence Based Medicine (EBM), già ampiamente dimostrata, ma su quelle della Health Technology Assessment (HTA) in quanto vi è un impegno di denaro pubblico. Nel 2001 il costo del solo Focal Point (SlideWizard escluso), comprensivo di tasse e di assistenza per 5 anni, in Inghilterra è stato stimato pari a 650.000 sterline con un costo aggiuntivo medio per test di £ 2,66 (variabile a seconda delle varie organizzazioni e del carico di lavoro tra i £ 1,33 e i £ 5,24) (Fonte 358 HTA NHS R&D HTA Programme, marzo 2005). Analisi sui costi dell’Imager non sono ancora disponibili in quanto la commercializzazione dello strumento è recente e quindi le valutazioni riportate sono in parte deduttive (per l’Imager) in parte reali (per lo strumento Tripath, BD). Per quel che riguarda la potenzialità degli strumenti dai dati disponibili si può calcolare che gli scanner sono in grado di valutare tra i 1.200 ed i 1.500 preparati alla settimana (la seconda ipotesi sarebbe quella massima caricando lo scanner anche il sabato alle ore 12) con un carico annuale di oltre 62.000 e fino a 78.000 casi l’anno rispettivamente. L’uso di 2 stazioni di revisione comporterebbe una produttività teorica di 225 casi al giorno contro una più realistica di 180 con un volume teorico di 56.000 casi/anno e più realistico di 45.000 casi/anno; tali valori si ottengono turnando i citoscreeners e il revisore agli strumenti per turni di non più di 60 minuti. Sempre da dati inglesi (Fonte HTA NHS R&D HTA Programme, marzo 2005) il tempo di lettura di 2 minuti proposto dai costruttori viene ritenuto ottimistico e viene ricalcolato in 3,4. In base ad un’esperienza personale basata sullo strumento Tripath, i casi NFR sono risultati pari al 24,5%, quelli Process Review (cioè i casi che comunque debbono essere visti al microscopio ottico normale) il 3,2%, i Rerun (inferiori all’1%) e i Review il 72,3%. Per questi ultimi il citotecnico deve porsi davanti alla stazione di lettura ma viene aiutato nel suo lavoro. I turni al microscopio permettono in genere, a seconda della capacità e della adattabilità del citoscreener alla macchina, di esaminare circa 20 preparati all’ora. Per un controllo di qualità si è stabilito che i preparati già screenati con Focal Point debbono essere valutati dal primo citoscreener solo nei campi selezionati dalla macchina (i 16 FOV) e ove questi ritenga che siano presenti delle alterazioni il preparato viene passato ad un secondo citoscreener che lo diagnosticherà con un microscopio ottico tradizionale, segnalando i punti di maggior interesse. Il patologo revisore quindi rivedrà i casi allo SlideWizard, controllando sia i campi identificati elettronicamente che quelli posti dal secondo revisore. Si fa presente che con il sistema manuale il controllo di qualità prima in atto – tutti i casi con precedenti patologici recenti, quelli giudicati con atipie compatibili con ASC/AGC+ e questi ultimi dopo revisione di un secondo citoscreener – dovevano essere passati al supervisore. Si sono quindi paragonati i tempi di lettura tradizionali con il sistema automatico tenendo conto del personale in dotazione e del carico di lavoro annuale dello stesso per l’attività specifica. Nel 2006, anno di riferimento, erano stati screenati a Trento 45.321 Pap test da 7,5 citoscreeners equivalenti a un totale di 275 ore settimanali di attività e da un supervisore che impiegava parte del suo tempo in tale attività. Si è quindi passati ad una rigorosa descrizione delle varie fasi dello screening simulando una situazione tradizionale ed una modificata dall’introduzione dell’attrezzatura automatica. Inoltre è stata condotta un’analisi comparativa dei costi di due diverse metodologie di lettura per lo screening Pap test. Nel quadro di una valutazione HTA dell’esame diagnostico Pap test, sono stati analizzati esclusivamente i costi di tale prestazione e non altri aspetti quali quello organizzativo, economico, etico e sociale, che normalmente sono oggetto di valutazioni HTA. Nel calcolo del costo annuo delle attrezzature è stata ipotizzata una vita utile dei beni pari a 8 anni, ossia il periodo di ammortamento delle attrezzature previsto dal Regolamento contabile aziendale. Alla luce dei calcoli sopra descritti e del numero di vetrini letti nel 2006, l’utilizzo dell’attrezzatura automatica permette di beneficiare di un teorico risparmio in termini di risorse umane III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP pari a 5 unità equivalenti di citoscreener e 0,3 supervisori, per un risparmio totale di 254.000 €/anno, ossia 5,5 €/vetrino. Pertanto, il Break-Even Point è pari a 32.000 vetrini. In caso di lettura di 46.000 vetrini, il risparmio sarebbe pari a 80.000 €. È necessario sottolineare che tale ipotesi è solamente teorica e non tiene in considerazione che non è realistico pensare che l’intero carico della lettura dei vetrini gravi su un citoscreener a tempo pieno ed uno a tempo parziale (1,5 unità equivalenti). Più realistica, invece, è la simulazione di una riduzione dagli attuali 7,5 a 4 citoscreener, lasciando invariato il numero dei supervisori. In tal caso il Break-Even Point sale a 52.000 vetrini, ossia poco superiore al numero di vetrini attualmente letto nella Provincia di Trento. L’utilizzo della strumentazione nella situazione attuale a Trento comporterebbe i seguenti cambiamenti: 1)nuova organizzazione dei turni di lavoro con utilizzo dello SlideWizard per periodi di 1 ora e poi lavoro tradizionale con ritorno allo strumento dopo idoneo intervallo; 2)riduzione dei tempi d’attesa. I casi verrebbero screenati praticamente subito dopo la loro accettazione in reparto; 3)eliminazione diretta di circa 1/4 dei preparati classificati dalla macchina come NFR; 4)necessità di specificare che il preparato è stato classificato come “negativo per lesioni maligne o premaligne” da un sistema automatico come specificato nelle raccomandazioni ministeriali; 5)velocizzazione dei tempi di screening con aumento della produttività dei singoli operatori (dagli attuali 4/5 vetrini ora a 20 ora); 6)aumento dei controlli di qualità sui preparati per l’aiuto (pre-screening) fornito dalla macchina con individuazione e segnalazione elettronica permanente dei punti più sospetti. In base alle considerazioni suddette è stata pertanto decisa l’acquisizione della strumentazione automatica. Considerazioni molto simili possono essere fatte per l’acquisizione dell’Imager tenendo però presente che a sostanziale parità di costi della strumentazione si deve aggiungere quello (indispensabile) dello strato sottile (possibile comunque anche con il Focal Point) che però comporta un ulteriore aumento della produttività stante la maggior rapidità sia nella scansione che nella lettura dei preparati al microscopio robotizzato. Il Pap test nelle donne “over 50” S. Prandi Arcispedale “S. Maria Nuova”, Reggio Emilia La letteratura della patologia cervicale in questi anni si è occupata prevalentemente delle problematiche delle donne in età fertile e meno risalto è stato dato alla diagnostica citologica delle donne over 50. In alcuni programmi di prevenzione dei tumori del collo dell’utero era stato suggerito di cessare gli inviti a fare il Pap test nelle donne oltre i 50 anni 1 2. Nelle nostra realtà nazionale gli inviti ad eseguire il Pap test cessano a 65 anni pertanto dai risultati delle Survey è possibile fare alcune riflessioni riguardo la diagnostica citologica. Dall’analisi dati della Regione Emilia Romagna è stato possibile rilevare quali sono i tassi della distribuzione delle lesioni citologiche in base alle fasce di età per mille donne 3. 359 relazioni 2° round di screening anni 2000-2001-2002: popolazione bersaglio: 617308. Tassi 25-29 30-34 35-39 40-44 45-49 50-54 55-59 60-64 Totale ASCUS 16,8 16,5 18,0 19,9 21,1 20,9 14,7 11,7 17,5 AGUS 0,3 0,7 1,0 1,2 1,4 1,4 1,0 0,7 0,9 LG SIL 20,4 14,8 11,5 10,3 9,4 6,8 4,6 3,1 10,2 HG SIL 3,5 4,2 4,1 3,4 2,2 1,8 1,7 1,4 2,8 Cell.tumorali 0,0 0,1 0,0 0,1 0,1 0,2 0,1 0,2 0,1 3° Round di screening anni 2003-2004-2005:popolazione bersaglio:450873. Tassi 25-29 30-34 35-39 40-44 45-49 50-54 55-59 60-64 Totale ASCUS 20,7 18,2 18,5 19,8 20,2 17,0 11,1 8,6 16,8 AGUS 0,7 1,2 1,6 2,4 2,8 3,0 2,3 1,5 2,0 LG SIL 21,2 16,2 12,7 10,3 8,7 6,2 3,5 2,5 10,1 HG SIL 3,8 3,7 3,4 2,8 2,2 1,4 1,1 0,8 2,4 CTM 0,0 0,1 0,1 0,0 0,1 0,1 0,1 0,1 0,1 2° round di screening tassi su 1.000 donne. Diagnosi ASC US 25-49 50-64 Differenze 51,2 67,4 + 16,2 AGUS/AGC 2,5 4,3 + 1,7 LSIL 36,4 20,8 - 1,56 HSIL 9,7 6,8 - 2,9 CTM 0,1 0,7 + 0,6 14.292 5.214 Totale 3° round di screening tassi su 1.000 donne. Diagnosi 25-49 50-64 Differenze ASC US 51,0 61,8 + 10,8 AGUS/AGC 4,7 11,5 + 6,8 LSIL 35,8 20,6 - 15,2 HSIL 8,3 5,6 - 2,7 CTM 0,1 0,6 + 0,5 Totale 10.857 3.272 Dall’analisi dei tassi delle categorie citologiche di entrambi i round nelle donne over 50, la categoria ASC US risulta percentualmente più elevata rispetto alle altre, seguita dall’AGUS/ACG. I cambiamenti citologici significativi secondo le varie fasce d’età possono essere così suddivisi: – età fertile 25-44 anni; – perimenopausa 45-55 anni; – post-menopausa > 55 anni. Il citologo ha più incertezza nell’effettuare la diagnosi nelle donne in peri- e post-menopausa e questo problema diagnostico è quantizzato nelle Tabelle sopra riportate, si ripete nei 2 round, è confermato dai dati della letteratura. Le modificazioni assunte dall’epitelio pavimentoso atrofico nel periodo peri- e post-menopausa possono risultare di difficile interpretazione in alcuni casi, per cui la diagnosi di ASC US rappresenta il “non so”. Da uno studio di Johnston spesso i Pap test in peri- e post-menopausa con ASC US, al follow-up non avevano lesioni clinicamente evidenti. In particolare fra coloro che avevano effettuato il DNA HPV test, risultato negativo, le modificazioni citologiche consistevano in nuclei allargati, lieve ipercromasia, frequenti indentature della membrana nucleare e aloni citoplasmatici perinucleari: erano queste le modificazioni che avevano portato ad una sovradiagnosi in questo gruppo d’età. L’interpretazione diagnostica risulta più difficoltosa quando nel vetrino si sovrappongono modificazioni artefattuali quali da ritardo di fissazione, alterazioni infiammatorie, metaplasia reattiva, terapia ormonale o errori da campionamento. Una marcata infiammazione associata a degenerazione con vaginite atrofica può portare alla diagnosi di ASC US o anche a diagnosi più gravi. Pazienti anziane possono mostrare epitelio squamoso atrofico, mentre le cellule parabasali assumono il citoplasma orangiofilo con variazioni nucleari secondo il grado di secchezza; queste alterazioni sono tali da rendere indistinguibile l’atrofia marcata da uno stato patologico; al follow-up un’elevata percentuale di donne con diagnosi di ASC US risulta non avere una patologia displastica, rispetto alle donne più giovani 4. Questi effetti sono influenzati dalla terapia ormonale; infatti con l’utilizzo della terapia ormonale, che viene assunta per ridurre la sintomatologia indotta dal calo ormonale, il quadro citologico si modifica e risulta più facile il riconoscimento delle modificazioni displastiche 5. Morfologia citologica in donne NON in T.O. e in T.O. Terapia ormonale: estro-progestinici o estrogeni da più di un mese. No terapia ormonale Sì terapia ormonale prevalenza di cells parabasali non cells parabasali bassa % di cells intermedie alta % di cells intermedie basso valore di maturazione elevato valore di maturazione modificazioni atrofiche marcate bassa % di modificazioni atrofiche % elevata di FP diagnostici % meno FP diagnostici Particolare attenzione bisogna porre nei Pap test di coloro che sono in trattamento con tamoxifene in quanto può indurre pseudocoilocitosi; Yang 6 riporta la presenza di piccole cellule di incerta origine. L’incidenza di piccole cellule incrementa con l’età e morfologicamente sono simili alle cellule parabasali o di riserva normali; la loro presenza può indurre la diagnosi di ASC H, soprattutto quando lo striscio ha un aspetto maturo. Il vero obiettivo del citologo, tuttavia, è il 360 riconoscimento di lesioni intraepiteliali di alto grado (HSIL) in menopausa. Da uno studio di Saad 7 i quadri citomorfologici in favore di HSIL sono: – incremento del numero di cellule anormali; – irregolarità della membrana nucleare; – disposizione delle cellule (più frequentemente singole che in aggregati, ma di più difficile riconoscimento); – elevato rapporto N/C. Il fondo granuloso, le dimensioni del N, l’ipercromasia, l’anormale quadro cromatico può essere associato a quadri reattivi/atrofici. L’importanza della diagnosi di HSIL nelle donne anziane acquista più valore perché la regressione spontanea è minore rispetto alle donne giovani; inoltre, le donne che fra 40-50 anni hanno una storia di lesioni citologiche borderline, devono continuare i controlli anche in menopausa. Nelle donne ben screenate con una storia citologica negativa persiste ancora il rischio di sviluppare nuove anormalità dopo i 50 anni 8. Poco si sa qual è il futuro delle lesioni citologiche nelle donne over 50, di certo servirà un lungo periodo di sorveglianza. L’introduzione di nuove metodiche molecolari quali la p16 9 e l’esecuzione del test DNA HPV potranno essere d’ausilio al clinico nel risolvere quei dubbi diagnostici che il citologo con la sola morfologia non riesce a dirimere. Ringrazio per la collaborazione: dott. C.A. Finarelli, dott. C. Naldoni, dott. P. Sassoli. Bibliografia 1 Cecchini S. ECJ 1995;32a:180. 2 Cruickshank ME. BJOG1997;104:586-89. 3 SCRER. Dati tratti dai Programmi Screening Oncologici Regione Emilia Romagna, Centro Coordinamento Screening in Oncologia, Assessorato Politiche per la Salute. 4 Flynn K. Diagn Citopathol 2001;24:132-6. 5 Gupta S. Diagn Citopathol 2006;34:676-81. 6 Yang YJ. Acta Cytol 1997;41:1542- 3. 7 Saad RS. Diagn Cytopathol 2006;34:467-71. 8 Flannelly G. BJOG 2004; 111:362-8. 9 Bolanca IK. Coll Antropl 2007;31:107-11. HPV e P16: come valutarli G. Troncone Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università “Federico II” di Napoli Sebbene il ruolo del Pap test come strumento primario di screening sia fuori discussione, i limiti di tale test sono sempre meglio definiti. Il limite più evidente riguarda l’elevatissima variabilità interpersonale (43%) dell’interpretazione microscopica degli strisci ASCUS (K = 0,46) 1. Nella valutazione degli strisci dubbi vi è quindi bisogno di affiancare al Pap test dei sistemi di valutazione più oggettivi basati sulla valutazione di specifici biomarkers. Lo scopo di questa relazione è quello di evidenziare e di discutere le principali problematiche e controversie relative all’applicazione, allo screening cervico-vaginale, di test molecolari, con particolare attenzione al test dell’HPV-DNA ed a quello relativo alla valutazione immunocitochimica di p16INKa. L’infezione persistente da parte dei tipi ad elevato rischio del virus del papilloma umano (HPV) è un evento non sufficiente ma comunque necessario per l’avvio della cancerogenesi cervicale. Le problematiche tecniche relative all’applicazione clinica del test dell HPV-DNA sono state oggetto di studi approfonditi da parte del gruppo di ricerca ASCUS-LSIL Triage Study (ALTS); tali studi hanno portato alla validazione clinica III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP della metodica di Hybrid Capture (HC) II 2. Tale test utilizza 13 sonde specifiche per la maggior parte dei tipi ad elevato rischio assicurando la copertura di quasi il 90% degli HPV evidenziabili nell’HSIL e nel carcinoma invasivo. Lo studio ALTS ha dimostrato che l’HCII rappresenta una valida alternativa alla colposcopia negli strisci ASCUS 2; al contrario nelle lesioni displastiche di basso grado (LSIL), in cui il virus è quasi sempre evidenziabile (83% dei casi), tale test non è utile da solo per riconoscere i casi che presentano la capacità di evolvere ad HSIL 3. La “prognosi dell’LSIL” richiede una strategia di screening più complessa basata accanto all’HC II all’utilizzo di primer di consenso specifici per la regione genomica L1 in grado di distinguere nell’ambito dei 13 ceppi valutati selettivamente l’HPV 16 ed HPV18 per identificare pazienti a rischio maggiore di ≥ CIN3 4. Un approccio diverso si basa sull’impiego di biomarkers utili a definire non solo la presenza ma anche l’attività virale. Di recente introduzione sono i test basati sulla valutazione dell’espressione dei trascritti virali relativi alle oncoproteine E6 ed E7. Tali proteine non possono essere studiate dal punto di vista immunoistochimico per la loro rapida degradazione, mentre i corrispondenti trascritti possono essere valutati tramite RT-PCR. Il 23% degli strisci ASCUS è risultato essere positivo con tale tecnica; tale approccio appare promettente in quanto è significativamente correlato alla evidenziazione di HSIL in corso di follow-up 5. La proteina p16 è un inibitore delle chinasi ciclino dipendenti (CDK) 4/6; la sua espressione aumenta nelle lesioni displastiche di alto grado per compensare l’inattivazione della proteina della suscettibilità al retinoblastoma da parte dell’oncoproteina virale E7 dei tipi ad elevato rischio dell’HPV. Nel corso della relazione saranno illustrate le problematiche relative alle varie metodologie proposte per lo studio immunoistochimico di tale marcatore con particolare attenzione all’impiego delle tecniche di preparazione citologica in fase liquida, all’allestimento di campioni su strato sottile o tramite cell blocks ed all’impiego di kit dedicati, quali il CINtec p16(INK4a) Cytology Kit 6 7. Bibliografia 1 Stoler MH, Schiffman M. Atypical Squamous Cells of Undetermined Significance-Low-grade Squamous Intraepithelial Lesion Triage Study (ALTS) Group. Interobserver reproducibility of cervical cytologic and histologic interpretations: realistic estimates from the ASCUS-LSIL Triage Study. JAMA 2001;285:1500-5. 2 Solomon D, Schiffman M, Tarone R; ALTS Study group. Comparison of three management strategies for patients with atypical squamous cells of undetermined significance: baseline results from a randomized trial. J Natl Cancer Inst 2001;93:293-9. 3 ASCUS-LSIL Traige Study (ALTS) Group. Results of a randomized trial on the management of cytology interpretations of atypical squamous cells of undetermined significance. Am J Obstet Gynecol 2003;188:1383-92. 4 Wheeler CM, Hunt WC, Schiffman M, Castle PE; Atypical Squamous Cells of Undetermined Significance/Low-Grade Squamous Intraepithelial Lesions Triage Study Group. Human papillomavirus genotypes and the cumulative 2-year risk of cervical precancer. J Infect Dis 2006;194:1291-9. 5 Molden T, Nygard JF, Kraus I, Karlsen F, Nygard M, Skare GB, et al. Predicting CIN2+ when detecting HPV mRNA and DNA by PreTect HPV-proofer and consensus PCR: a 2-year follow-up of women with ASCUS or LSIL Pap smear. Int J Cancer 2005;114:973-6. 6 Liu H, Shi J, Wilkerson M, Huang Y, Meschter S, Dupree W, et al. Immunohistochemical detection of p16INK4a in liquid-based cytology specimens on cell block sections. Cancer 2007;111:74-82. 7 Meyer JL, Hanlon DW, Andersen BT, Rasmussen OF, Bisgaard K. Evaluation of p16INK4a expression in ThinPrep cervical specimens with the CINtec p16INK4a assay: correlation with biopsy follow-up results. Cancer 2007;111:83-92. 361 relazioni Tavola Rotonda Lo screening del cervico-carcinoma in Calabria Moderatori O. Nappi (Napoli), A. Leotta (Lamezia Terme) Primo programma organizzato di screening citologico cervico-vaginale effettuato in Calabria presso l’ASL 6 di Lamezia Terme nel triennio 2002-2005 A. Leotta, S.G. Lio, B. Caparello, M. Cerra, G. Coppola, C.M. Costabile, F. Fiorenzo, C. Raco, C. Spena U.O.C. Anatomia Patologica, Lamezia Terme Riassunto. In Calabria, per la prima volta nel 2002, è stato attivato un programma di screening regionale di durata triennale. Le prime Aziende Sanitarie che hanno aderito sono state quelle di Palmi e Lamezia Terme e, dal 2004, anche l’ASL di Castrovillari. Il programma di screening a Lamezia Terme è stato coordinato dal dott. Attilio Leotta; nel presente lavoro sono riportati i risultati ottenuti nel triennio giugno 2002-dicembre 2005. Discussione. La popolazione bersaglio comprendeva 33.877 unità: ogni anno è stato invitato circa un terzo delle donne (11.292), e il programma è stato completato in tre anni. Alla fine del terzo anno si erano presentate 13.038 donne (39%); non si erano presentate 20.791 (61%). Tra le non presentate, 19.841 (58%) non avevano aderito allo screening, e 950 (3%) non avevano aderito per cause diverse (Tab. I). Dall’esame dei risultati ottenuti emerge una percentuale d’adeguatezza dei campioni pari al 99%, un dato molto positivo certamente legato ai percorsi formativi dedicati al personale coinvolto nel prelievo, oltre che alla loro professionalità e competenza. I dati cumulativi sono riportati in Tabella II. Sono stati riscontrati 29 casi con pap-test anormale; le donne interessate sono state richiamate al 2° livello ma soltanto 20 hanno aderito all’invito. In corso di colposcopia sono state effettuate 14 biopsie della portio e la corrispondenza citologica/ istologica si è avuta in 12 casi su 14 (85,7%). Sono stati valutati gli indicatori di qualità secondo le Linee Guida attuali; i dati ottenuti sono riportati in Tabella III. Tab. I. Tab. II. Risultati dei Pap test effettuati. Numero di donne residenti nel territorio 33877 (100%) dell’ASL 6 di Lamezia Terme, coinvolte nel programma di screening da giugno 2002 a giugno 2005. Totale dei Pap test effettuati alla donne aderenti 13.038 (100%) Adeguati 12.917 (99%) Pazienti presentatesi 13.038 (39%) Pazienti non presentatesi 20.791 (61%) Pazienti non presentatesi perché non ade- 19.841 (58%) renti all’invito Pazienti non presentatesi per cause diverse - decedute - trasferite - lettere non consegnate e restituite dalla posta - esame fatto privatamente - rifiuto - altro 950 (3%) 37 (4,5%) 166 (17,5%) 248 (26%) 58 (6%) 41 (4%) 400 (42%) 121 (1%) Inadeguati Negativi per lesione intraepiteliale e per malignità 12888 (99%) Anormalità delle cellule epiteliali squamose 28 (1%) Anormalità delle cellule epiteliali ghiandolari 1 (0%) L-SIL 14 H-SIL 6 ASCUS 6 Carcinoma a cellule squamose 2 Tab. III. Indicatori di qualità nello screening del cervico carcinoma. ASL Lamezia Terme Valori accettabili Valori desiderabili 38% 30% 60% Adesione della popolazione bersaglio 1% < 7% < 5% Tasso di invio in colposcopia 0,2% < 5% < 3,5% % ASCUS tra gli invii in colposcopia 20% < 50% < 50% % adesione al secondo livello 77% > 80% > 90% Dati non disponibili > 95% 100% > 15% % Pap test inadeguati Adesione al trattamento di secondo livello Valore predittivo positivo 40% > 10% Intervallo iter diagnostico (colposcopia) 100% Entro 60 gg > 90% Intervallo test/referto negativo 99% Entro 28 gg > 85% 362 III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP I dati relativi all’adesione al trattamento di secondo livello non sono disponibili in quanto le pazienti sono state curate in altra sede. Conclusioni. Il primo triennio del programma di screening nell’ASL di Lamezia Terme si è concluso il 30/12/2005, con una percentuale d’adesione complessiva relativamente bassa (39%), ma in ogni caso compresa nei parametri di riferimento degli standard nazionali (40%). La partecipazione allo screening delle donne che non hanno mai fatto il Pap test era ritenuto l’obiettivo prioritario. La bassa adesione complessiva delle donne e la bassa percentuale di casi positivi, sono spiegabili col fatto che ad aderire al programma sono state in prevalenza quelle stesse donne che già facevano abitualmente il Pap Test. Infatti, l’adesione allo screening è stata diversa nei tre anni: superiore al 50% nel primo anno e via via sempre più bassa fino al valore complessivo del 39%. La causa di tale fenomeno è da ricercare nella scarsa partecipazione dei medici di base, l’inadeguata campagna d’informazione attraverso i mass-media e la scarsa collaborazione con la rete dei distretti, dei Comuni e delle Associazioni di volontariato. Per il conseguimento degli obiettivi prefissati da un progetto di screening è fondamentale il coordinamento e la partecipazione costruttiva di tutte le professionalità e strutture coinvolte, le quali, lavorando in sinergia, ognuno con il proprio ruolo, si prefiggono l’obiettivo del loro miglioramento continuo. Dall’analisi dei risultati emerge una bassa percentuale di Pap test inadeguati che, seppur inconsueta, è espressione dell’alta competenza delle ostetriche acquisita durante i corsi d’addestramento finalizzati alla conoscenza della corretta tecnica di prelievo. Un dato da tenere in evidenza, perché in controtendenza rispetto al riferimento nazionale, è la percentuale di ASCUS riscontrati, vicina allo 0% (6 casi) per la quale un approfondimento di studio ha portato ad evidenziare che la lettura dei vetrini, in mancanza di figure professionali di cito-tecnici, è stata eseguita solo da personale medico specializzato in Anatomia Patologica e Citologia. Tale fenomeno, se da una parte può considerarsi positivo, dall’altra produce un impiego troppo specialistico del personale, con evidente aggravio dei costi, che si accentua nella prospettiva di una sempre maggiore diffusione e adesione ai programmi di screening. Un altro punto debole di tale programma, alla prima esperienza in Calabria, è stato forse lo scarso spirito di partecipazione e di affiatamento tra i vari soggetti attuatori. Inoltre, la mancanza di dati per il follow-up post-programma, causata dalla mancanza di un archivio sanitario regionale informatizzato, non ha consentito di sapere, in quel momento, quante donne, tra quelle esaminate e non, comprese nella popolazione bersaglio, hanno poi manifestato patologie riconducibili al carcinoma della cervice uterina o a patologie correlate. Dalla raccolta dei dati infatti, non è stato possibile determinare il numero casi falsi negativi e falsi positivi riscontrati e di conseguenza determinare il tasso di “detection rate” indispensabile per una comparazione rispetto agli standard nazionali. Ciò nonostante, questa campagna ha permesso di individuare una percentuale anche se bassa di lesioni e di carcinoma squamoso nelle donne che non avevano mai fatto il Pap test. Dai dati emergenti da questa esperienza, che possiamo definire “Pilota” in Calabria, anche se limitati ad una sola azienda sanitaria, si potrebbe erroneamente dedurre che il rapporto costi-benefici risulta troppo alto. Tale erronea considerazione deve però essere rivista in una casistica più allargata e su una popolazione più estesa che includa anche lo “zoccolo duro” delle donne che per falsi pudori e disinformazione non hanno risposto all’offerta di salute loro offerta. È noto infatti che lo screening del carcinoma cervico uterino trova sempre più consenso nazionale e internazionale in quanto strumento efficace per la prevenzione dell’incidenza e quindi della mortalità per cancro, con evidenti ricadute positive in termini di salute e di abbattimento dei costi della spesa sanitaria nel Paese. Il nuovo round di screening 2006-2009 in corso nell’AS Provinciale di Catanzaro-Lamezia Terme, potrà avvalersi dell’esperienza vissuta effettuata con il programma di screening 2002-2005 e affrontare meglio e risolvere la maggior parte dei punti critici incontrati per un migliore conseguimento degli obiettivi prefissati nell’interesse comune. Bibliografia 1 Solomon D, Nayar R. Il sistema Bethesda per refertare la citologia cervicale. Seconda Edizione. Roma: CIC edizioni internazionali 2004. 2 Documenti GISCI. Indicatori. www.Gisci.it III Sessione La citologia dei versamenti Moderatori A.m. Lavecchia (Catanzaro), R. Bellantonio ( Melito Porto Salvo) Il mesotelio normale e i suoi pitfalls V. Ascoli Anatomia Patologica, Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università di Roma “La Sapienza”, Italia Il mesotelio “normale” è un monostrato di cellule che riveste le cavità sierose (pleura, pericardio, peritoneo, tunica vaginale). In condizioni fisiologiche le cavità contengono una minima quantità di liquido (0,2 +/- 0,1 mL/kg) e di cellule (1.700 x µL: macrofagi 75%, piccoli linfociti 23%, granulociti neutrofili 1%, e cellule mesoteliali 1%). L’accumulo di liquido e cellule nelle cavità costituisce il versamento endocavitario. Scopo principale dell’esame citologico dei versamenti è la ricerca di cellule neoplastiche, vale a dire distinguere tra versamento neoplastico o reattivo. Maggiore “pitfall” nella citodiagnostica dei versamenti è distinguere tra cellule mesoteliali normali/reattive e cellule mesoteliomatose. 363 relazioni Più raramente la diagnosi differenziale è tra mesotelio normale/reattivo, mesotelioma o altra neoplasia. Per evitare errori diagnostici è basilare ottenere adeguate quantità di liquido ben conservato e processare con cura il campione in laboratorio per una concentrazione appropriata di cellule. Il sedimento molto scarso oppure eccessivamente ematico non è idoneo; il sedimento migliore è quello di colorito biancastro (solo cellule). L’allestimento di routine prevede la preparazione di strisci e due colorazioni (Papanicolau e May-Grünwald-Giemsa (MGG)). In caso di sedimento ematico è necessario eliminare l’eccesso di emazie; in caso di sedimento scarso si deve arricchire il campione mediante centrifugazione di tutto il campione, o allestire citocentrifugati. Il sedimento abbondante deve essere utilizzato per la preparazione del cito-incluso in paraffina (cell-block). Questo materiale è molto utile per apprezzare la struttura tridimensionale degli aggregati e per le colorazioni di immunoistochimica. Le cellule mesoteliali vengono esaminate su campioni di versamenti endocavitari spontanei (cellule esfoliate naturalmente e galleggianti nel liquido) o su campioni ottenuti durante interventi chirurgici (cellule esfoliate mediante lavaggio). Le dimensioni delle cellule mesoteliali oscillano tra i 10 e i 20 µm circa. Il nucleo, rotondo od ovale, è in genere al centro della cellula e presenta piccoli nucleoli. Il citoplasma è tipicamente “denso” per la ricca componente di filamenti intermedi del citoscheletro (citocheratine), messo bene in evidenza dalla colorazione eosinofila perinucleare del Papanicolau e basofila con il MGG. I macrofagi hanno più o meno le stesse dimensioni e pertanto bisogna distinguerli dalle cellule mesoteliali; presentano un citoplasma molto delicato e tenue, di aspetto finemente vacuolato. Le cellule mesoteliali “normali” o reattive si dispongono singolarmente o in gruppi anche costituiti da numerose cellule. Possono presentare mitosi (mai atipiche) e bi- o multinucleazione. Il rapporto nucleo/citoplasma può essere alterato a favore del nucleo. Nell’esaminare i vetrini di un versamento è indispensabile considerare la sede del versamento, il genere e l’età del paziente, e le notizie cliniche salienti. I versamenti pericardici reattivi possono presentare una ricca cellularità mesoteliale con formazione di strutture moruliformi che ricordano quelle del mesotelioma. Lo stesso vale per versamenti ascitici nel contesto clinico di epatopatie, insufficienza cardiaca o insufficienza renale. Più attenzione deve essere rivolta ai versamenti pleurici, in caso di ricca cellularità mesoteliale. In questi casi è indispensabile – indipendentemente dall’aspetto “benigno” delle cellule mesoteliali – escludere il mesotelioma maligno. La dialisi peritoneale, i trattamenti chemio- e radioterapici inducono proliferazione del mesotelio con alterazioni nucleari (alterato rapporto nucleo/citoplasma, presenza di nucleoli, multinucleazione, mitosi). Condizioni infettive o infiammatorie o cardiocircolatorie (infarto polmonare, polmonite, diverticoliti, tubercolosi, pancreatiti) o altre condizioni (insufficienza renale/uremia) possono essere associate a versamenti reattivi contenenti cellule mesoteliali atipiche. Patologie sistemiche del collagene come lupus eritematoso sistemico, artrite reumatoide, sono condizioni predisponenti alla formazioni di versamenti che possono creare difficoltà in citodiagnostica per la presenza, più che di cellule atipiche, di materiale “sospetto” (nuclei picnotici, necrosi). Il rischio di non identificare un mesotelioma è possibile e frequente. Pitfalls principali sono il non riconoscimento di scarse atipie delle cellule mesoteliomatose e di patterns morfologici diversi da quello tipico. Pattern non-coesivo. Negli strisci sono presenti numerose cellule mesoteliomatose disposte isolatamente invece che in aggregati. Pattern infiammatorio con background necrotico/infiammatorio acuto. Questi casi sono caratterizzati da abbondanti granulociti neutrofili, talora associati ad altri elementi flogistici (mastociti, granulociti eosinofili e macrofagi) e materiale necrotico. Le rare cellule mesoteliomatose presentano citoplasma ingolfato di granulociti neutrofili. In considerazione della ricca componente flogistica, si possono sottovalutare le cellule mesoteliali in gruppi o isolate e si attribuisce il versamento erroneamente ad una categoria diagnostica benigna, “infiammatoria”. La presenza di abbondanti granulociti eosinofili e rare cellule mesoteliali atipiche in un versamento in corso di idropneumotorace deve far sorgere il sospetto di mesotelioma perché questa neoplasia si può presentare con pneumotorace spontaneo. Pattern infiammatorio con background infiammatorio cronico. La cellularità mesoteliale è molto scarsa mentre sono abbondantissimi i linfociti, per lo più di piccola taglia (linfociti T reattivi). Questi casi sono talvolta associati a mesoteliomi sarcomatosi. Sono di difficile interpretazione per la scarsa componente neoplastica. Il patologo viene depistato dall’abbondanza dei linfociti, pattern che ricorda i versamenti cronici tubercolari. Pattern con cellule mesoteliali ben differenziate. Il mesotelioma ben differenziato è una variante rara (più frequente nel peritoneo) descritta anche nella pleura in associazione, senza eccezione, a versamenti pleurici recidivanti. È molto difficile diagnosticare un mesotelioma ben differenziato in citologia perché le cellule mesoteliali presentano atipie molto lievi. Il sospetto deve essere espresso per versamenti con una grande quantità di cellule mesoteliali senza una causa apparente. Conclusioni. Alcune condizioni totalmente benigne possono produrre versamenti con caratteristiche “sospette” per abbondante cellularità, presenza di modeste atipie nucleari o di materiale nel background (necrosi). Spesso i mesoteliomi maligni non vengono diagnosticati per le scarse atipie o per scarsa cellularità o per pattern atipici. Nei referti citologici di versamenti non chiaramente attribuibili né alla categoria “benigna” né a quella “maligna” sarebbe opportuno segnalare le atipie, se presenti. Mesotelioma e caratterizzazione immunoistochimica C.E. Comin, L. Novelli, R. Santi, L. Messerini Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia, Università di Firenze Il mesotelioma rappresenta spesso per il patologo un importante problema diagnostico. Secondo i più recenti criteri classificativi dei tumori del polmone e della pleura del “World Health Organization” (WHO) 1, i mesoteliomi sono tipizzati in quattro principali categorie: epiteliomorfo, sarcomatoide, bifasico e desmoplastico. Questo schema classificativo può sembrare estremamente semplice rispetto alla moltitudine di quadri morfologici con i quali può esprimersi, in particolare, il mesotelioma epiteliomorfo (vedi il mesotelioma a piccole cellule, a cellule chiare, secernente mucine, deciduale) ma anche i mesoteliomi sarcomatoide e bifasico (vedi mesotelioma 364 linfoistiocitoide). Infatti, mentre il termine di “mesotelioma desmoplastico” è unanimemente accettato per indicare un particolare sottotipo di mesotelioma sarcomatoide altamente aggressivo, non c’è tuttora accordo circa la terminologia da adottare per gli altri numerosi sottotipi tumorali. Il riconoscimento delle diverse varianti istomorfologiche del mesotelioma è importante ai fini diagnostici, tuttavia, non avendo ciascuna di esse diverso significato prognostico, si raccomanda di utilizzare le categorie sopraindicate senza ulteriori sottotipizzazioni 1. Inoltre, l’analisi di abbondante materiale chirurgico evidenzia molto spesso un’ampia variabilità di differenziazione morfologica nel contesto dello stesso tumore. Il principale problema diagnostico differenziale si pone essenzialmente quando ci troviamo di fronte a piccoli frammenti bioptici ed in particolare e più frequentemente nella corretta differenziazione fra mesotelioma epiteliomorfo e adenocarcinoma. Più raramente la diagnosi differenziale si pone fra mesoteliomi sarcomatoidi e bifasici e altri rari tumori primitivi pleurici quali ad esempio, tumore fibroso solitario, sarcoma sinoviale monofasico o bifasico, emangioendotelioma epitelioide, tumore desmoplastico a piccole cellule rotonde. Le tecniche speciali associate all’esame morfologico in ematossilina-eosina utilizzate nella diagnostica del mesotelioma sono l’istochimica, la microscopia elettronica e, principalmente, l’immunoistochimica. L’utilità diagnostica dell’istochimica ha in parte perso il suo originario significato: la regola generale è che i mesoteliomi epiteliomorfi non esprimono mucine e quindi risultano PAS-diastasi, mucicarminio e alcian blu negativi in contrasto con gli adenocarcinomi che producono mucine. Oggi è ben noto che il 2%-5% dei mesoteliomi epiteliomorfi si colorano con i reagenti per le mucine e sono denominati “mesoteliomi epiteliomorfi mucine-secernenti”. L’esame in microscopia elettronica può essere di grande utilità ed è da molti tuttora considerato il “gold standard” nella diagnosi di questo tumore, tuttavia, è raro predisporre di materiale adeguato per la microscopia elettronica e inoltre, i caratteri morfologici ultrastrutturali di differenziazione mesoteliale possono non essere apprezzabili nei tumori meno differenziati. Senza dubbio, l’immunoistochimica è la metodica più utile nel differenziare il mesotelioma da altri tipi di neoplasia primitiva o secondaria delle sierose. Nell’ultimo decennio sono stati proposti numerosi marcatori potenzialmente utili nella diagnosi di mesotelioma (in particolare per la diagnosi differenziale fra mesotelioma epiteliomorfo e adenocarcinoma) che possono essere schematicamente suddivisi in tre principali categorie: 1) anticorpi che reagiscono con antigeni specifici del mesotelio, utili nella identificazione positiva del mesotelioma; 2) anticorpi che reagiscono con antigeni di cellule non mesoteliali (ad esempio, adenocancerigne), utili per l’esclusione della diagnosi di mesotelioma; 3) anticorpi che reagiscono con le proteine dei filamenti intermedi contenute nelle cellule mesoteliali (citocheratine e vimentina). Nell’ambito dei marcatori positivi per il mesotelio, i più sensibili e specifici sono risultati essere trombomodulina, calretinina, citocheratina 5/6, WT1 e D2-40. Del tutto recentemente, inoltre, il nostro gruppo ha dimostrato l’utilità di h-caldesmone nella diagnosi positiva di mesotelioma. La trombomodulina (CD141) è una glicoproteina transmembranale di 25-kDA con attività anti-coagulante. Questa proteina è espressa dalle cellule mesoteliali, endoteliali, mesangiali, sinoviali, trofoblastiche, megacariocitarie e da alcune cellule epiteliali squamose. I dati della letteratura circa l’utilizzo di questo marcatore sono controversi in quanto, la reattività della trombomodulina nei tessuti fissati in formalina e inclusi in paraffina tende ad essere focale potendo quindi dare origine a falsi negativi in III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP piccoli frammenti bioptici; un altro motivo di divergenza nei risultati dei vari studi con questo marcatore potrebbe essere riconducibile all’interpretazione dell’immunocolorazione che deve essere di membrana nel mesotelioma mentre è perlopiù citoplasmatica nei casi positivi di adenocarcinoma 2. La calretinina è una proteina di 29-kDa, legante il calcio, diffusamente espressa nel tessuto nervoso centrale e periferico e in alcune cellule non neurali quali gli adipociti, le cellule di Leydig e di Sertoli, le ghiandole eccrine e le cellule mesoteliali. La calretinina è il marcatore mesoteliale positivo più frequentemente utilizzato in quanto altamente sensibile e specifico. La positività alla calretinina è generalmente intensa e diffusa con un pattern di colorazione nucleare e citoplasmatico altamente specifico. 2 L’anticorpo anti-citocheratina 5/6 è entrato in commercio subito dopo la calretinina. Anche questo marcatore ha dimostrato elevata specificità per il mesotelio ma rispetto alla calretinina e a D2-40, esso è risultato essere molto meno sensibile in quanto l’immunoreattività può essere debole e focale con conseguenti possibili falsi negativi nel materiale bioptico 2. WT1 è un altro marcatore molto importante specie nella diagnosi differenziale fra mesotelioma pleurico epiteliomorfo e adenocarcinoma polmonare mentre è di scarsa utilità diagnostica per il mesotelioma peritoneale in quanto sia i carcinomi sierosi del peritoneo che quelli dell’ovaio esprimono questo marcatore 2. D2-40 è un anticorpo monoclonale che reagisce con l’antigene oncofetale M2A espresso dalle cellule germinali e dagli endoteli linfatici; esso è utilizzato nella dimostrazione della permeazione tumorale dei vasi linfatici e nell’identificazione di tumori di origine linfatica (linfangiomi, sarcoma di Kaposi e angiosarcomi con differenziazione linfatica). Recenti studi hanno dimostrato l’elevata sensibilità e specificità di D2-40 nella diagnosi positiva di mesotelioma 2. h-Caldesmone (h-CD), è l’isoforma ad alto peso molecolare del caldesmone, proteina associata al citoscheletro coinvolta nei meccanismi di contrazione cellulare, espressa dalle cellule muscolari lisce e dalle cellule mioepiteliali, utilizzata come marcatore dei tumori a cellule muscolari lisce. Di recente, testando diversi marcatori muscolari in una serie di lesioni pleuriche, abbiamo riscontrato l’espressione di h-CD nelle cellule mesoteliali neoplastiche e non neoplastiche. Dallo studio dell’espressione di h-CD su 70 casi di mesotelioma epiteliomorfo e 70 casi di adenocarcinoma polmonare abbiamo dimostrato l’elevata sensibilità (97,1%) e specificità (100%) di questo marcatore nella diagnosi positiva di mesotelioma 3. Successivamente, abbiamo dimostrato l’importanza dell’utilizzo di h-CD nella diagnostica differenziale fra mesotelioma peritoneale e carcinoma sieroso papillare ovarico 4. Nel contesto dei cosiddetti marcatori negativi per il mesotelio, i più ampiamente utilizzati sono CEA, TTF-1 (positivo negli adenocarcinomi polmonari), MOC-31, CD15, B72.3, Ber-EP4 e CA19.9 2. I marcatori sopra citati sono nel loro complesso utilizzati nella diagnostica delle lesioni epiteliomorfe. I mesoteliomi sarcomatoidi sono caratterizzati dalla co-espressione di citocheratine (in particolare CAM 5.2) e di vimentina. Le cellule fusate raramente esprimono la citocheratina 5/6 e sono negative agli altri marcatori mesoteliali più noti (calretinina, WT1, trombomodulina). Tuttora, oggetto di studio è l’immunoreattività dei mesoteliomi sarcomatoidi a D2-40 e h-CD. Per le forme sarcomatoidi la scelta dei diversi marcatori, perlopiù negativi per il mesotelio, varierà in base al problema diagnostico differenziale: mesotelioma sarcomatoide vs. tumore fibroso solitario (citocheratine, CD34, bcl-2, CD99), mesotelioma relazioni sarcomatoide vs. sarcoma sinoviale monofasico (citocheratine, EMA, bcl-2, CD99), ecc. In conclusione, un ampio numero di marcatori immunoistochimici è stato dimostrato essere utile per la diagnosi di mesotelioma, ma tuttora non è ancora stato identificato un singolo anticorpo con specificità e sensibilità assoluta. Da ciò la necessità di avvalersi sempre di un panel di anticorpi che comprenda sia marcatori mesoteliali positivi che negativi. Il valore di ciascun anticorpo, così come la scelta della migliore combinazione di anticorpi, sono tematiche discusse, oggetto di numerose pubblicazioni scientifiche. Inoltre, nonostante l’utilizzo di ampi panel anticorpali, il profilo immunoistochimico del tumore non è sempre caratteristico, da ciò ne deriva la continua ricerca di nuovi marcatori mesoteliali. Bibliografia 1 Travis WD, Brambilla E, Müller-Hermelink HK, et al.; World Health Organization Classification of Tumours. Pathology and Genetics. Tumours of the lung, pleura, thymus and heart. Lyon: IARC Press 2004. 2 Ordoñez NG. What are the current best immunohistochemical markers for the diagnosis of epithelioid mesothelioma? A review and update. Hum Pathol 2007;38:1-6. 3 Comin CE, Dini S, Novelli L, Santi R, Asirelli G, Messerini L. h-Caldesmon, a useful positive marker in the diagnosis of pleural malignant mesothelioma, epithelioid type. Am J Surg Pathol 2006;30:463-9. 4 Comin CE, Saieva C, Messerini L. h-Caldesmon, Calretinin, Estrogen Receptor and Ber-EP4: a useful combination of immunohistochemical markers for differentiating epithelioid peritoneal mesothelioma from serous papillary carcinoma of the ovary. Am J Surg Pathol (in stampa). Aspetti citomorfologici ed immunoistochimici dei versamenti secondari (metastatici) E. Leonardo, L. Di Bonito* Dip. Patologia, S.C.D.U. Anatomia Patologica, A.S.O. “San Luigi Gonzaga”, Orbassano (Torino); * S.C. Citodiagnostica e Istopatologia, Università di Trieste, Trieste Il termine di versamento indica l’accumulo di liquido in una cavità sierosa (pleurica, peritoneale, pericardica, sinoviale o testicolare). Tale circostanza è sempre manifestazione di una patologia in atto e rappresenta, in relazione all’etiologia, il segno di alterazioni vascolari, di lesioni infiammatorie degli organi rivestiti dalla sierosa, di neoplasie maligne primitive della sierosa o da tumori che infiltrano la stessa. In campo oncologico, l’allestimento di preparati citologici (strisci, citocentrifugati, sedimento incluso, ecc.) di un versamento sieroso è enormemente utile per l’identificazione ed il riconoscimento dell’esistenza di neoplasie occulte, per la stadiazione di tumori noti, per la valutazione di eventuali progressioni neoplastiche, per indirizzare l’oncologo verso gli opportuni trattamenti terapeutici e nel monitoraggio del paziente oncologico dopo terapia. La pleura è una sede frequente di metastasi. Dalla revisione della letteratura emerge che, fra le neoplasie metastatiche in sede pleurica, la frequenza maggiore, nel sesso maschile, è a carico del carcinoma del polmone; seguono quindi le neoplasie dell’apparato digerente, i linfomi/leucemie ed il melanoma. Nell’ambito delle lesioni di origine polmonare, la variante adenocarcinoma è quella maggiormente rappresentata, a causa della sua localizzazione preferenzialmente periferica. L’origine più frequente di versamento pleurico secondario nel sesso 365 femminile è dovuto al carcinoma della mammella, seguito da quello del polmone, del tratto gastro-intestinale e dell’ovaio. A livello pericardico, i versamenti da metastasi sono prevalentemente di origine da carcinoma polmonare nell’uomo e di provenienza da neoplasia mammaria nella donna. Nei versamenti peritoneali metastatici i tumori più frequenti, nei soggetti di sesso maschile, sono quelli provenienti dal tratto gastro-intestinale, seguiti da quelli di origine pancreatica ed epatica. I versamenti peritoneali secondari, nel sesso femminile, hanno punto di partenza più frequente dall’ovaio, cui segue l’origine primitiva dall’apparato digerente, dall’utero, dalla mammella, dal pancreas, dal fegato e dalle vie biliari. Il riconoscimento morfologico della presenza di elementi neoplastici nel liquido di versamento abitualmente non presenta grandi difficoltà all’osservazione microscopica, poiché la cellula tumorale mostra i caratteri citologici generali della malignità. Si osservano, infatti, cellule polimorfe con alterazione del rapporto nucleo/citoplasma, provviste di ipercromasia e pleomorfismo nucleare, cromatina con distribuzione disomogenea, presenza di nucleoli prominenti. Ciò consente, abitualmente, la formulazione diagnostica, rapida e priva di difficoltà, di positività per cellule neoplastiche. La definizione di origine della neoplasia primitiva è, invece, morfologicamente meno agevole e l’attribuzione delle cellule tumorali maligne individuate ad una specifica e precisa neoplasia primitiva, spesso è solo ipotizzata. Di grande utilità per la diagnostica risultano i dati di tipo anatomo-clinici, anamnestici ed epidemiologici. Il corretto utilizzo di indagini immunocitochimiche consente poi la formulazione diagnostica pertinente. Dal punto di vista esclusivamente citomorfologico, l’individuazione della sede di origine di una neoplasia secondaria che ha determinato un versamento può essere suggerita dalla presenza di eventuale accumulo citoplasmatico di alcuni prodotti cellulari, dalla distribuzione delle cellule neoplastiche (isolate, in aggregati), dalla conformazione e disposizione delle cellule tumorali in aggregati, dalle dimensioni degli elementi neoplastici. Le indagini immunoistochimiche, inoltre, potranno essere utili e dirimenti nel confermare o nell’escludere l’ipotesi diagnostica morfologica. A questo proposito, è opportuno rimarcare che non esiste a priori un numero definito di reazioni eventualmente necessarie, poiché la quantità di immunocolorazioni è strettamente collegata con il caso in esame. Rilevante ausilio diagnostico può derivare dal riscontro di prodotti cellulari, nel citoplasma degli elementi neoplastici, talora indirizzando verso la diagnosi specifica, ma sempre limitando il numero delle ipotesi diagnostiche. Ad esempio, la presenza di melanina (da non confondere con il pigmento emosiderinico fagocitato da elementi macrofagici), caratteristica del melanoma pigmentato, consente la formulazione della diagnosi specifica di tale neoplasia. Altri prodotti endocellulari non sono indicativi di una precisa neoplasia, tuttavia possono orientare, congiuntamente con i dati clinici, verso la definizione diagnostica. La cheratinizzazione del citoplasma degli elementi neoplastici indica la presenza di cellule di carcinoma squamoso, la cui origine primitiva va ricercata fra i tumori del polmone, della cervice uterina, dell’esofago, della cavità orale e della laringe. La presenza di muco è significativa dell’esistenza di un carcinoma mucosercernente, la cui provenienza è da verificare fra un carcinoma di pertinenza dell’apparato gastro-intestinale, della colecisti, dal polmone, dal pancreas e dall’ovaio. Dal punto di vista della distribuzione e della conformazione, gli elementi neoplastici metastatici possono presentarsi riuniti 366 in forma di agglomerati sferici o papillari, a costituire filiere o come singole cellule sparse. Gli aggregati di tipo sferico, piuttosto comuni nei mesoteliomi, si osservano nei carcinomi della mammella ed in quelli sierosi dell’ovaio. I dati anatomo-clinici e strumentali, spesso consentono la diagnostica differenziale fra queste neoplasie, evidenziando la sede primitiva della lesione. Nel caso invece di carcinoma primitivo occulto o alla presenza di un riscontro clinico non dirimente, queste neoplasie possono essere caratterizzate con l’immunocitochimica, che permette in molti casi di giungere ad una diagnosi definitiva. Nonostante questi due carcinomi mostrino un profilo antigenico in gran parte identico, tuttavia, l’uso attento di alcuni marcatori consente, nella maggioranza dei casi, la possibilità di differenziare le due neoplasie. Infatti, il carcinoma della mammella mostra assetto immunofenotipico caratterizzato dalla presenza di antigene epiteliale di membrana (EMA), con pattern di colorazione citoplasmatica, e la proteina apocrina (GCDFP-15). Il carcinoma sieroso dell’ovaio presenta un profilo antigenico con espressione di TAG B72.3 di membrana e presenza nucleare di WT1 (proteina del tumore di Wilms). La ricerca dei recettori estrogenici e quelli del progesterone, nella diagnostica differenziale fra queste due neoplasie, non offre risultati utili, poiché entrambi i tumori possono risultare positivi. Analogamente, i marcatori carboidratici, quali il CA125, il CA15.3 ed il CA150, considerati un tempo marcatori specifici rispettivamente dei tumori ovarici (CA125) e di quelli mammari (CA15.3, CA150), sono di utilità assai limitata, poiché i tre markers sono presenti in entrambi i carcinomi. Le cellule neoplastiche riunite in strutture papillari sono coerenti con le neoplasie primitive di tipo papillare. Tali tumori sono osservabili in sede ovarica, polmonare, gastro-enterica, tiroidea ed uroteliale. L’applicazione corretta dell’algoritmo immunoistochimico o del panel anticorpale, anche in questa circostanza, permette il valido raggiungimento diagnostico. L’utilizzo dell’immunocolorazione per citocheratina 7 (CK7) e citocheratina 20 (CK20), permette di suddividere le neoplasie in questione, in relazione alla loro positività. Sono positive alla CK7 e negative alla CK20 il carcinoma sieroso dell’ovaio, l’adenocarcinoma del polmone, il carcinoma (di cellule follicolari) della tiroide ed il carcinoma della mammella. Al contrario, sono negativi alla CK7 e positivi alla CK20 i tumori dell’intestino. Entrambe le citocheratine si osservano nel carcinoma uroteliale, nel carcinoma mucinoso dell’ovaio ed in alcuni tumori gastrici. Fra le neoplasie in precedenza indicate, esprimono l’antigene carcinoembrionale (CEA) gli adenocarcinomi del polmone, quelli del tratto gastroenterico, quelli della mammella e le neoplasie uroteliali. Il fattore nucleare TTF-1 è presente nell’adenocarcinoma del polmone e nel carcinoma (di cellule follicolari) della tiroide. Quest’ultimo, tuttavia, si identifica facilmente per la sua espressione in tireoglobulina, uno dei pochissimi marcatori tessuto-specifici. La disposizione cellulare a filiere si osserva frequentemente nel carcinoma lobulare della mammella, nel carcinoma duttale del pancreas e nel carcinoma di piccole cellule indifferenziate del polmone. La distinzione fra l’origine mammaria e quella pancreatica è effettuabile avvalendosi della colorazione immunoistochinica per la CK7 e la CK20. Nel carcinoma lobulare della mammella è presente solo la prima, mentre la neoplasia duttale pancreatica mostra entrambe le citocheratine. I carcinomi a piccole cellule del polmone di natura neruroendocrina possono essere individuati utilizzando i marcatori di tipo neuroendocrino, quali la cromogranina A, la sinaptofisina ed il CD56, o il fattore trascrizionale nucleare TTF-1. I carcinomi polmonari a piccole cellule, di citotipo squamoso, III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP sono identificabili utilizzando citocheratine di medio peso molecolare, quale la CK5. L’evidenza morfologica di cellule non coesive, di piccola dimensione, suggerisce l’esistenza di una lesione emolinfoproliferativa (leucemia, linfoma, sarcoma mieloide), di un carcinoma di piccole cellule indifferenziate, di un carcinoma lobulare della mammella, di un melanoma o di un sarcoma di piccole cellule. Cellule isolate, non coesive e di grossa taglia sono indicative di carcinoma indifferenziato a grandi cellule, di un melanoma o di invasione pleurica da parte di una malattia linfoproliferativa. Mediante l’applicazione di immunocolorazioni è possibile differenziare le differenti neoplasie: le citocheratine ed i marcatori epiteliali (ESA, HEA125, ERA) risultano positivi nei carcinomi, gli antigeni leucocitari sono presenti nei linfomi/leucemie (CD45, CD3, CD20, CD5, CD10, CD30, ecc.), i marcatori mieloidi (CD117, CD68) si ritrovano nei sarcomi mieloidi, i marcatori melanocitari (HMB45, CD63, Melan A) individuano il melanoma. Più complesso è, invece, attribuire l’origine delle cellule metastatiche a sarcomi di piccole cellule. Le indagini immunoistochimiche vertono sul riscontro di antigeni propri delle cellule mesenchimali neoplastiche (CD99, desmina, miogenina, osteonectina, ecc.) e fattori trascrizionali specifici (Fli-1, WT1, EWS, ecc.). Successive indagini immunoistochimiche consentono poi, di identificare nell’ambito dei carcinomi, l’origine della neoplasia primitiva, applicando algoritmi o panel anticorpali specifici. Per concludere, il riconoscimento di elementi neoplastici nei versamenti è una diagnostica che si basa esclusivamente su criteri morfologici. L’identificazione del sito di origine della neoplasia nei versamenti secondari è, invece, un procedimento logico, in cui è necessario considerare differenti parametri. In primo luogo l’aspetto citomorfologico, la distribuzione e l’eventuale aggregazione cellulare, seguiti dai dati anamnestici, anatomo-clinici e strumentali. L’assetto immunoistochimico potrà infine, all’occorrenza, dare un apporto alla diagnostica, validando una diagnosi formulata o dirimendo i dubbi fra più ipotesi diagnostiche. Ruolo della citofluorimetria nella diagnostica dei versamenti P. Zeppa Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali, Università “Federico II” di Napoli, Napoli, Italia Le cavità sierose dell’organismo (pleurica, peritoneale, cardiaca) possono andare incontro ad accumulo di fluidi per cause dismetaboliche, emodinamiche infiammatorie e neoplastiche; queste ultime primitive o secondarie. Campioni citologici di versamenti sono frequentemente esaminati nei laboratori di Citopatologia soprattutto in caso di versamenti neoplastici o sospetti tali. La commistione dei diversi costituenti cellulari, la loro variabilità morfologica e la differente rappresentatività quantitativa degli stessi anche in ragione dei peculiari ambienti di sviluppo rappresentano problematiche classiche della diagnostica citopatologica. La citofluorimetria è una tecnica diagnostica e di ricerca utilizzabile su cellule vitali in sospensione fluida e pertanto potenzialmente efficace nello studio dei versamenti. Applicazioni generali classiche della citofluorimetria sono la determinazione della DNA-ploidia e la fenotipizzazione dei differenti costituenti cellulari; quest’ultima rappresenta oggi l’applicazione più utilizzata per finalità diagnostiche. La fenotipizzazione citofluorimetrica 367 relazioni delle popolazioni cellulari presenti nei versamenti è realizzabile in corso di patologie onco-ematologiche e non ematologiche. Le neoplasie onco-ematologiche, principalmente rappresentate da linfomi non-Hodgkin, possono interessare le sierose sotto forma di processi linfoproliferativi primitivi (più rari) o più frequentemente secondari e rappresentano il 15% circa dei versamenti neoplastici. La tipizzazione citofluorimetrica può contribuire alla diagnosi citologica dei versamenti mediante una corretta fenotipizzazione delle popolazioni linfocitarie e della loro quantificazione numerica. In particolare la valutazione del rapporto delle catene leggere kappa/lambda può essere decisivo nella determinazione della clonalità e la diversa espressione e co-espressione di antigeni specifici può contribuire sia alla definizione di malignità che all’identificazione del tipo specifico di linfoma 1-3. Per quanto concerne le neoplasie non-ematologiche, studi recenti sono stati condotti per valutare le potenzialità della metodica nella fenotipizzazione di cellule epiteliali e mesoteliali per finalità diagnostiche con risultati incoraggianti soprattutto nello studio di aspetti fenotipici specifici di grandi popolazioni cellulari, in particolare gli antigenici relativi alla proliferazione ed i inibizione dell’apoptosi 2. Meno efficace sembra essere il contributo all’identificazione ed allo studio di piccoli cloni cellulari in contesti reattivi, infiammatori o con prevalenza di cellule mesoteliali 4. Bibliografia 1 Das DK. Serous effusions in malignant lymphomas: a review. Diagn Cytopathol 2006;34:335-47. 2 Dong HP, Holth A, Berner A, Davidson B, Risberg B. Flow cytometric immunphenotyping of epithelial cancer cells in effusionsTechnical considerations and pitfalls. Cytometry B Clin Cytom 2007;72:332-43. 3 Krishan A, Ganjei-Azar P, Jorda M, Hamelik RM, Reis IM, Nadji M. Detection of tumor cells in body cavity fluids by flow cytometric and immunocytochemical analysis. Diagn Cytopathol 2006;34:528-41. 4 Czader M, Ali SZ. Flow cytometry as an adjunct to cytomorphologic analysis of serous effusions. Diagn Cytopathol 2003;29:74-8. IV Sessione La parola all’esperto Moderatori D. Beccati ( Ferrara), G. Fadda ( Roma) FNA of the breast: the impact of experience F. Feoli Institut Bordet (Centre des tumeurs de l’ULB), B-1000 Bruxelles, Belgique Objective. Experience is an important factor in fine needle aspiration cytology of the breast. We evaluated our learning curve, based on the use of standardized microscopic criteria (Wang HH, Ducatman BS. Fine needle aspiration of the breast. A probabilistic approach to diagnosis of carcinoma. Acta Cytologica 1998;42:285-9) and of a team based diagnostic approach. We also discuss the possible complementarities between FNAC and core biopsy (CB) when skilled cytopathologists are available. Study Design. A review of 292 FNAC of breast lesions, obtained at the beginning of our activity, and of their subsequent biopsies. The cytological samples were blindly re-evaluated 4 years later, when we had earned more experience and we had refined our diagnostic criteria. The accuracy of the first reading was assessed and compared with that obtained at the second reading. Inadequate smears were included in the accuracy calculations. Results. In both readings we had no false positive results. At second reading the identification of carcinomas and of benign lesions became more accurate. The number of uncertain diagnoses decreased as well as the number of false negative results. False suspicious diagnoses disappeared. Absolute sensitivity passed from 60% to 67.7%. Complete sensitivity from 92.16% to 91.7%. The inadequacy rate from 12.67% to14.04%. Specificity increased from 52% to 56%. Conclusion. Statistically significant improvements of our results were associated to increased experience. A more accurate evaluation of nuclear atypia was also important. FNAC can be a useful diagnostic tool and can be used complementarily to CB. La Citologia Tiroidea. Linee Guida F. Nardi Anatomia Patologica, Università di Roma “La Sapienza” Il 6 ottobre 2006 si tenne a Pisa un convegno per la “consensus” sul nodulo tiroideo organizzato dai proff. A. Pinchera e F. Basolo. In quella sede fu deciso di formulare delle Linee Guida sia cliniche che citologiche in collaborazione tra endocrinologi appartenenti alla SIE (Società Italiana di Endocrinologia) e alla AIT (Associazione Italiana della Tiroide) e un gruppo di patologi partecipanti al Convegno (F. Basolo, G. Bussolati, A. Crescenzi, G. Fadda, O. Nappi, F. Nardi e M. Papotti) ai quali furono aggiunti i proff. A. Bondi e G. Taddei in qualità di responsabili del settore Citologia della SIAPEC. Il lavoro è stato da poco completato ed uscirà con il titolo di “Gestione clinica del paziente con patologia nodulare tiroidea: consenso italiano”. La parte riguardante l’agoaspirato tiroideo ha suscitato non poche discussioni tra i patologi partecipanti, ma alla fine si è arrivati ad un testo conclusivo in grado di tenere conto e rispettare i vari punti di vista. Alcuni dei punti caratterizzanti di questa “Consensus” sono i seguenti. L’agoaspirato viene definito FNC (Fine Needle Cytology), a differenza delle altre Linee Guida che usano il termine di 368 FNAC o FNAB, in quanto viene espressamente consigliato, quando possibile, il prelievo senza aspirazione (con il solo ago) a causa della ricca vascolarizzazione dell’organo. Lo striscio diretto su vetrino è il metodo di base consigliato, lo striscio su strato sottile (LBC) ed il citoincluso sono riservati a centri con specifica esperienza e per indagini speciali. La diagnosi citologica fa parte di un iter diagnostico multidisciplinare e pertanto l’opzione terapeutica non può basarsi esclusivamente sulla citologia, ma questa deve essere valutata nel contesto degli esami clinici e strumentali. Le implicazioni medico-legali sono evidenti. La FNC ha lo scopo principale di selezionare i pazienti con patologia nodulare della tiroide in funzione della terapia medica o chirurgica e, a questo scopo, si suggerisce di associare al referto citologico un codice numerico che indichi una categoria di lesioni che, indipendentemente dalla etiopatogenesi, siano omogenee per rischio di malignità e opzione terapeutica. Si sono individuate 5 categorie diagnostiche denominate Tir 1-5 seguendo l’esempio della British Thyroid Association (BTA), mentre altre Linee Guida utilizzano 4 o, addirittura 6 categorie. Ad ogni categoria è associato un suggerimento operativo che, come abbiamo detto in precedenza, non ha un valore assoluto, in quanto l’opzione terapeutica, nei singoli casi, deve scaturire dalla valutazione complessiva della citologia e degli esami clinici e strumentali. Prendiamo in esame le varie categorie con i relativi suggerimenti terapeutici. Tir 1. Non diagnostico. Comprende i campioni inadeguati e/o non rappresentativi. Viene definito inadeguato un campione mal strisciato e/o mal fissato e/o mal colorato. Viene definito non rappresentativo un campione che non abbia un numero sufficiente di cellule per effettuare la diagnosi. Fanno eccezione alcuni casi come la cisti colloide, le pseudocisti emorragiche e le tiroiditi di Hashimoto che valutati nel contesto clinico, anche con poche cellule, possono essere considerati rappresentativi. Il suggerimento operativo è la ripetizione del FNC, a giudizio del clinico, non prima di un mese. Tir 2. Negativo per cellule maligne. Comprende il gozzo collidocistico e le flogosi. Si suggerisce rpetizione del FNC a giudizio del clinico o del citopatologo per ridurre la possibilità di falsi negativi. Tir 3. Inconclusivo/indeterminato (proliferazione follicolare). Comprende tutti quei casi di lesioni follicolari nei quali la citologia non è in grado di fornire una conclusione diagnostica. Il ruolo di alcuni marcatori immunoistochimici come GAL-3, HBME-1, CK-19 possono essere utilizzati seguendo “rigorosi protocolli diagnostici” anche se non hanno raggiunto un comprovato valore predittivo. Si suggerisce l’asportazione chirurgica della lesione sempre tenendo conto del contesto clinico strumentale. L’esame istologico intraoperatorio è sconsigliato. Tir 4. Sospetto di malignità. Comprende tutti quei casi nei quali le atipie citologiche non sono sufficenti a porre con sicurezza un giudizio di malignità. In questi casi si suggerisce l’intervento chirurgico con esame istoloogico intra-operatorio. Tir 5. Positivo per cellule maligne. Comprende tutti quei casi con citologia sicuramente diagnostica di neoplasia maligna. In questi casi è previsto l’intervento chirurgico per i carcinomi differenziati, sempre in accordo con il clinico e tenendo presente che la diagnosi definitiva è sempre e solo istologica. III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP Ruolo e limiti della citologia nelle lesioni squamose del cavo orale R. Navone Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana dell’Università di Torino e uoadu Anatomia Patologica I dell’ASO “San Giovanni Battista” di Torino Contesto e razionale della ricerca. Il carcinoma squamoso della cavità orale e dell’orofaringe è una neoplasia maligna frequente (al 6° posto come mortalità cancro-correlata, con un’incidenza mondiale stimata superiore ai 400.000 nuovi casi all’anno), con alta mortalità (in Italia i dati dei Registri Tumori indicano 2.978 decessi nel 1999, con sopravvivenza a 5 anni del 38% 1. La sopravvivenza non è significativamente migliorata negli ultimi 25 anni sia perché questo tipo di tumore viene quasi sempre diagnosticato in fase avanzata, sia per l’elevata frequenza di recidive, secondi tumori e metastasi. Inoltre, la frequenza del cancro orale sta mostrando un aumento significativo in molti Paesi europei, come Regno Unito, Francia ed Europa dell’Est 2. Solo recentemente 3 è stato dimostrato che programmi di screening basati sull’esame obiettivo del cavo orale possono ridurre la mortalità del carcinoma squamoso, ma non ci sono dati relativi a programmi basati su altri parametri. Tra le cause della cattiva prognosi delle neoplasie orali vi è certamente il fatto che la diagnosi, sia del carcinoma orale, sia dei suoi precursori (displasie) è tuttora basata esclusivamente sulla biopsia chirurgica incisionale (“scalpel biopsy”), che è un esame invasivo, che campiona un’area assai limitata e che può essere effettuato (in caso di lesioni multiple) su un numero relativamente basso di sedi. Perciò lesioni orali molto estese o multiple potrebbero essere campionate in modo insufficiente dalla biopsia chirurgica tradizionale, in quanto è esperienza comune che anche solo una lesione tra tante, o una piccola parte di lesione, potrebbe dimostrarsi microscopicamente maligna (carcinoma) o premaligna (displasia). Inoltre la biopsia incisionale non viene solitamente effettuata su tutte le lesioni orali potenzialmente maligne o PML (leuco-eritroplachie, lichen, ulcere), ma solo su quelle con più alto indice di sospetto (eritroplachie, leucoplachie disomogenee o verrucose, ulcere croniche). Per ultimo, ma non meno importante, anche quando la “scalpel biopsy” viene effettuata in casi fortemente sospetti, il suo tasso di falsi negativi è comunque elevato, potendo raggiungere il 23% dei casi biopsiati [4]. È evidente quindi quanto sarebbe utile l’individuazione di un test di primo livello atto ad identificare quelle lesioni orali che, per le loro caratteristiche morfologiche o genetiche, dovrebbero essere ulteriormente indagate con un esame di secondo livello, come già avviene con l’uso del Pap test e della colposcopia per il carcinoma della cervice uterina. È infatti noto che il Pap test è efficace nel ridurre incidenza e mortalità del cervico-carcinoma, individuando le lesioni neoplastiche intraepiteliali (displastiche) prima che queste possano evolvere in forme invasive (neoplastiche). La citologia orale diagnostica, benché nota da parecchi anni, in quanto semplice, non invasiva, applicabile anche su localizzazioni estese e multiple, indolore e poco costosa, non ha trovato sinora un’applicazione così ampia e capillare come la citologia cervico-vaginale. Recenti lavori 5, anche del nostro gruppo 6 7 , indicano che l’efficienza e l’efficacia della citologia orale aumentano utilizzando nuove tecniche ancillari che la rendano più sensibile e specifica, come la citologia “computer-assistita”, in “fase liquida”, gli AgNOR, la biologia molecolare e la citometria a flusso 8. relazioni La citologia “computer-assistita” si basa sull’utilizzazione di strumenti specifici che danno la possibilità di identificare lesioni neoplastiche e pre-neoplastiche con sensibilità pari o superiore a quella dello screening manuale, senza perdita di specificità. La citologia “in fase liquida” o su “strato sottile” è una recente metodica, usata sinora prevalentemente per i Pap test, che ha dato risultati promettenti sia per la migliore qualità dei preparati, sia per il migliore campionamento. L’analisi degli AgNOR (proteine associate agli organizzatori nucleolari) consente la valutazione dell’attività proliferativa cellulare e pertanto, oltre ad essere un valido fattore prognostico in campo oncologico, permette di riconoscere cellule displastiche e/o neoplastiche in citologia. Al fine di aumentare la quantità di cellule utilizzabili per l’esame citologico e le altre tecniche complementari, abbiamo anche messo a punto una nuova tecnica di prelievo citologico orale basata non più sul “cytobrush”, ma su uno “scraping” effettuato con curette dermatologica. Ci è parso subito evidente che tale tecnica non soltanto forniva materiale più abbondante per la citologia e la ploidia 7 8, ma anche che i campioni erano assai ricchi di frustoli “accidentali” utilizzabili istologicamente come micro-biopsie. Scopo della ricerca. Lo scopo è lo studio di tutte le PML (anche di quelle con più basso indice di sospetto) per l’identificazione precoce di lesioni precancerose orali al fine di prevenirne la successiva trasformazione, con l’utilizzazione di metodiche innovative, citologiche (citologia computer-assistita, in fase liquida, AgNOR, citometria a flusso per lo studio della ploidia) e microistologiche (esame istologico di microfrustoli prelevati con curette), paragonate all’esame istologico e citologico convenzionale. Metodi. Circa 600 lesioni orali potenzialmente maligne (soprattutto eritro- e leucoplachie e lichen) sono state controllate, oltre che con l’istologia, con la citologia convenzionale (cioè strisciando il materiale su vetrino porta-oggetti) ed in fase liquida (cioè stemperandolo nel liquido fissativo del sistema usato, nel nostro caso il Thin Prep della Cytic). Solo per quest’ultimo gruppo in 138 casi il prelievo è stato effettuato, oltre che con Cytobrush, con una curette dermatologica (AcuDispo Curette, Acuderm inc.), ed i microfrustoli così ottenuti sono stati processati con metodica istologica come normali biopsie. In 73 casi è stata effettuata la lettura citologica computerizzata con reti neurali e la valutazione degli AgNOR (effettuata con colorazione all’argento con il metodo di Ploton, e misurando le aree con un sistema computerizzato di analisi di immagine). In 211 pazienti è stata effettuata la citometria a flusso per l’analisi del DNA delle cellule squamose su prelievi in soluzione fisiologica, utilizzando un citofluorimetro FACSCalibur (Becton Dickinson). Risultati. L’esame istologico convenzionale (scalpel biopsy) è stato eseguito su tutti i casi. La citologia convenzionale (89 casi) ha mostrato una sensibilità dell’86,5%, una specificità del 94,3% ed un valore predittivo positivo del 95,7%, con una percentuale di inadeguati del 12,4%. La citologia computer-assistita (73 casi) ha consentito di recuperare un caso dato inizialmente come negativo, portando la sensibilità all’89,0%. La citologia in fase liquida (511 casi) ha mostrato, per lesioni di alto grado e carcinomi, una sensibilità del 94,7%, una specificità del 98,9% ed un valore predittivo positivo del 95,9%, con l’8,8% di inadeguati. Gli AgNOR (73 casi) hanno dimostrato una sensibilità ed una specificità del 100%, ma con un’elevata quota di inadeguati (15,1%). L’esame della ploidia del DNA con citometria a flusso ha mostrato aneuploidia in 17/31 (54,8%) dei carcinomi, in 369 0/6 (0%) carcinomi verrucosi, in 10/66 (15,1%) delle leucoplachie senza displasia, e in 24/48 (50,0%) delle leucoeritroplachie con displasia. Infine, in oltre il 50% dei casi, i microfrustoli, prelevati insieme al materiale per la citologia in strato sottile, hanno consentito una diagnosi istologica definitiva 9. Conclusioni. Già la citologia esfoliativa convenzionale può fornire risultati soddisfacenti ai fini diagnostici (la sensibilità è superiore a quella del Pap test, mentre la specificità è analoga). La citologia computer-assistita ha una sensibilità lievemente superiore, ma l’efficienza del sistema non è pienamente dimostrata. La citologia in strato sottile sembra invece in grado di aumentare l’accuratezza diagnostica della citologia orale per il miglioramento della sensibilità e specificità. L’analisi degli AgNOR (pur limitata dall’alto tasso di inadeguati) si è dimostrata utile per migliorare ulteriormente la sensibilità nei casi dubbi. Il riscontro di aneuploidia in leucoplachie con displasia lieve o assente ha consentito di individuare lesioni a rischio di evoluzione, che il semplice esame istologico non è stato in grado di evidenziare 8, identificando categorie di soggetti che necessiteranno di uno stretto follow-up, con eliminazione chirurgica di ogni lesione orale sospetta. Infine, il prelievo con curette, permettendo una valutazione istologica su microfrustoli provenienti da un’ampia superficie e/o da più lesioni, ha consentito una riduzione dei richiami di pazienti e del numero delle biopsie effettuate a scopo diagnostico, con risparmi per l’Azienda Ospedaliera e minori disagi per il paziente 9. In prospettiva, i vantaggi di tale tipo di prelievo ricadrebbero non solo sui pazienti afferenti all’Azienda Ospedaliera, ma potrebbero trovare applicazione su una più ampia popolazione in quanto la relativa semplicità di tale tecnica potrebbe consentire il suo utilizzo anche da parte degli Odontoiatri del territorio, che vedono la maggior parte delle lesioni pre-neoplastiche e neoplastiche orali in prima istanza. Questo potrebbe contribuire a ridurre, almeno per le lesioni invasive, il notevole ritardo diagnostico attuale. Le acquisizioni ottenibili da questo studio, oltre ad approfondire la conoscenza dei meccanismi di progressione delle lesioni precancerose orali, potrebbero avere un’utile ricaduta in un’ottica più vasta ed estesa ad altre lesioni precancerose insorte nel distretto testa-collo. Bibliografia 1 Rosso S, et al. Sopravvivenza dei casi di tumore in Italia negli anni ’90: i dati dei Registri Tumori. Epidemiol Prev 2001;25(Suppl):1375. 2 La Vecchia C, et al. Trends in oral cancer mortality in Europe. Oral Oncol 2004;40:433-9. 3 Sankaranarayanan R, et al. Effect of screening on oral cancer mortality in Kerala, India: a cluster-randomised controlled trial. Lancet 2005;365:1927-33. 4 Pentenero M, et al. Oral mucosal dysplastic lesions and early squamous carcinomas: underdiagnosis from incisional biopsy. Oral Dis 2003;9:68-72. 5 Sciubba JJ. Improving detection of precancerous and cancerous oral lesions. Computer-assisted analysis of the oral brush biopsy. J Am Dent Ass 1999;130:1445-57. 6 Navone R, et al. Utilità della citologia orale per la diagnosi di displasia e carcinoma orale. Minerva Stomatol 2004;53:77-86. 7 Navone R, et al. The impact of liquid-based cytology for the diagnosis of oral dysplasia and carcinoma. Cytopathology (in press). 8 Marsico A, et al. Liquid-based diagnostic cytology of oral potentially malignant lesions (PML): DNA analysis with flow cytometry. 32nd European Congress of Cytology, Venice 1-3 October 2006. 9 Navone R, et al. Oral potentially malignant lesions: micro-histological diagnosis from tissue fragments sampled in liquid-based diagnostic cytology. Submitted to Oral Oncology 2007. 370 III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP Citologia agoaspirativa di tumefazioni laterocervicali S. Fiaccavento Servizio di Anatomia Patologica, Sezione di Citopatologia Diagnostica, Istituto Clinico “Città di Brescia”, Brescia L’obiettivo di questo mio intervento è di trattare non tanto gli innumerevoli volti della diagnostica citologica agoaspirativa delle lesioni a localizzazione laterocervicale quanto di sottolineare, nel breve tempo a disposizione, il contributo del patologo alla diagnostica pre-operatoria della patologia di questa regione anche presentando alcuni casi esemplificativi. Inoltre l’utilizzo anche in citologia di indagini ancillari ed in particolare nella pratica quotidiana di ogni labororatorio dell’immunocitochimica, con uno spettro sempre più ampio di anticorpi, consente oggi un’accurata diagnosi pre-operatoria paragonabile a quella istologica evitando, nella maggior parte dei casi, l’utilizzo di esami estemporanei intraoperatori. Tuttavia il ruolo che la FNA può assumere in questa area dipende da diversi fattori. In primo luogo è determinato dall’approccio metodologico che il chirurgo intende perseguire. Il ruolo sarà marginale quando, per attitudine personale, il chirurgo deciderà di prescindere da una diagnosi pre-operatoria di natura della lesione mentre sarà fondamentale quando una diagnosi corretta, non solo nella separazione tra neoplasie benigne e maligne ma anche nella precisazione dei diversi istotipi benigni e maligni, potrà condizionare il tipo di approccio chirurgico. Il ruolo della FNA dipende però anche dalla variabilità della patologia della regione in quanto anche i chirurghi meno disponibili non potranno comunque completamente prescindere da un messaggio diagnostico suggerito dalla citologia in quanto non tutte le lesioni della sfera testa-collo sospette neoplastiche lo sono e non tutte le neoplasie possono essere necessariamente di interesse chirurgico (ad es. linfomi). La valutazione morfologica citologica dovrà seguire un iter che confermi inizialmente l’identificazione suggerita dal radiologo del tessuto di base. I passi successivi previsti nella tabella condizioneranno, con l’eventulale ausilio della immunocitochimica, l’approccio terapeutico. V Sessione Slide seminar – Sessione diagnostica interattiva Moderatori L. Tucci (Catanzaro), Pacetti (Vibo Valentia) Citologia agoaspirativa di un caso di miofibroblastoma della mammella F. Fedeli, B. Bacigalupo Dipartimento di diagnostica, U.O. Anatomia ed istologia patologica e citodiagnostica, ospedale s. andrea, la spezia, italia Il caso si riferisce ad un uomo di 79 anni che presentava da circa 6 mesi nella regione periareolare della mammella di destra un nodulo ipoecogeno di cm 1,3 che veniva agoaspirato. Dal materiale di agoaspirazione effettuata con ago da 25 gauge venivano allestiti 8 vetrini fissati in alcool 95° e colorati con Papanicolau. Il materiale citologico era moderatamente cellulato; le cellule erano disposte singolarmente con numerosi nuclei nudi o formavano irregolari cluster discretamente 371 relazioni cellulati. Nei cluster le cellule si disponevano in fascicoli mal definiti. Alcuni aggregati cellulari mostravano una matrice mixoide talora vacuolata.Le cellule erano uniformi, possedevano nuclei ovoidali con contorno regolare, cromatina finemente granulare e piccoli nucleoli. Talora i nuclei mostravano incisure nucleari. Il citoplasma era discretamente orangiofilo con membrana citoplasmatica mal definita. Le mitosi erano assenti. In diagnosi differenziale entravano lesioni a cellule fusate della mammella con caratteristiche nucleari blande. Gli agoaspirati da fibroadenomi e da tumore filloide, entrambi estremamente rari negli uomini, mostrano una componente epiteliale costituita da tappeti di cellule associata alle cellule stromali. L’adenoma pleiomorfo della mammella e’ una lesione rarissima e mostra elementi mixo-condroidi associati a cellule epiteliali. Sono state descritte neoplasie mioepiteliali a cellule fusate della mammella che mostrano una positivita’ per l’S-100 ma tutti i pazienti erano donne. Una difficile diagnosi differenziale si puo’ porre con la fibromatosi della mammella e la fascite nodulare. La fibromatosi ha distinte caratteristiche cliniche ecografiche con margini irregolari mentre la fascite nodulare mostra citologicamente cellule rigonfie associate ad altre fusate con rare cellule giganti. Un neurilemmoma puo’ entrare in diagnosi differenziale ma le cellule tendono ad avere nuclei piu’ ondulati e costantemente positivi con l’ S-100. Neoplasie maligne come il carcinoma a cellule fusate metaplastico, il sarcoma stromale, l’istiocitoma fibroso maligno e il leiomiosarcoma hanno margini mal definiti e una chiara atipia citologica. La presenza di nuclei nudi ovoidi, cluster cellulari vagamente fascicolati con talora incisure nucleari l’assenza di cellule epiteliali in un preciso contesto clinico-ecografico ci hanno fatto propendere per un miofibroblastoma [1,3,4,7,8,9,10] ponendo in diagnosi differenziale un tumore fibroso solitario[2,5,11] e veniva quindi raccomandata l’escissione del nodulo. Macroscopicamente il nodulo era ovoide, ben circoscritto di consistenza duro elastica e misurava cm 1,3 di asse maggiore. Al taglio aveva un colore grigio roseo con un aspetto multinodulare mal definito. Istologicamente era un tumore ben circoscritto circondato da una pseudocapsula di stroma mammario. La lesione era composta da cellule fusate uniformi bipolari frammiste a bande di collageno ialinizzato con abbondante matrice fibrillare mixoide. Era presente una ricca vascolarizzazione costituita da vasi con parete talora ialinizzata. Le mitosi erano pressoche’ assenti. Le indagini immunoistochimiche mostravano nelle cellule neoplastiche positivita’ per la vimentina, Cd 34, actina, calponina e desmina e negativita’ per Cd 31, citocheratina Cam 5.2, S-100. I recettori per gli estrogeni e per il progesterone erano presenti circa nel 40% dei nuclei mentre risultavano negativi i recettori per gli androgeni. Sulla base del quadro clinico, citologico, istologico ed immunoistochimico veniva confermata la diagnosi di miofibroblastoma della mammella. Il tumore fibroso solitario anch’esso Cd 34 positivo che avevamo ipotizzato in citologia era stato escluso per la mancanza dell’aspetto istologico “patterless” e la negativita’ immunoistochimica per la desmina, l’actina muscolo liscio e per la calponina. Recentemente Magro e coll [5] hanno ipotizzato che il tumore fibroso solitario e il miofibroblastoma abbiano un precursore comune nelle cellule dello stroma mammario vimentina e Cd 34 positive che possono differenziarsi lungo linee mesenchimali differenti come il fibroblasto e il miofibroblasto. Il miofibroblastoma e’ una neoplasia benigna della mammella che si tratta con la semplice nodulectomia; alcuni autori hanno supposto una relazione con la presenza dei recettori androgenici [6] un dato che non e’ stato confermato dal nostro caso. L’agoaspirazione potrebbe essere utile [4,7] in un particolare contesto clinico-ecografico per sospettare la diagnosi di questo raro tumore benigno. Amin MB, Gottlieb CA, Fitzmaurice M, Gaba AR, Lee MW, Zarbo RJ: Fine-needle aspiration cytologic study of myofibroblastoma of the breast. Immunohistochemical and ultrastructural findings. Am J Clin Pathol. 1993 May;99(5):593-7. 2 Falconieri G, Lamovec J, Mirra M, Pizzolitto S.: Solitary fibrous tumor of the mammary gland: a potential pitfall in breast pathology. Ann Diagn Pathol. 2004 Jun;8(3):121-5. 3 Lazaro-Santander R, Garcia-Prats MD, Nieto S, Andres-Gozalvo C, Cortes-Vizcaino V, Vargas-Holguin S, Vera-Roman JM: Myofibroblastoma of the breast with diverse histological features. Virchows Arch. 1999 Jun;434(6):547-50. 4 Lopez-Rios F, Burgos F, Madero S, Ballestin C, Martinez-Gonzalez MA, de Agustin P.: Fine needle aspiration of breast myofibroblastoma. A case report. Acta Cytol. 2001 May-Jun;45(3):381-4. 5 Magro G, Bisceglia M, Michal M, Eusebi V.: Spindle cell lipoma-like tumor, solitary fibrous tumor and myofibroblastoma of the breast: a clinico-pathological analysis of 13 cases in favor of a unifying histogenetic concept. Virchows Arch. 2002 Mar;440(3):249-60. Epub 2002 Jan 4. 6 Morgan MB, Pitha JV: Myofibroblastoma of the breast revisited: an etiologic association with androgens? Hum Pathol. 1998 Apr;29(4):347-51. 7 Negri S, Bonzanini M, Togni R, Castelli P, Dalla Palma P, Fiaccavento S.: Fine needle aspiration of myofibroblastoma of the breast. Case report. Pathologica. 1995 Dec;87(6):719-22. 8 Odashiro AN, Odashiro Miiji LN, Odashiro DN, Nguyen GK: Mammary myofibroblastoma: report of two cases with fine-needle aspiration cytology and review of the cytology literature. Diagn Cytopathol. 2004 Jun;30(6):406-10. 9 Ordi J, Riverola A, Solé M, Sentis M, Velasco M, Bernet M, Cardesa A: Fine needle aspiration of myofibroblastoma of the breast in a man. A report of two cases. Acta Cytol. 1992 Mar-Apr;36(2):194-8. 10 Powari M, Srinivasan R, Radotra BD: Myofibroblastoma of the male breast: a diagnostic problem on fine-needle aspiration cytology. Diagn Cytopathol. 2002 May;26(5):290-3. 11 Salomao DR, Crotty TB, Nascimento AG: Myofibroblastoma and solitary fibrous tumour of the breast: histopathological and immunohistochemical studies. Breast. 2001 Feb;10(1):49-54. 1 372 III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP VI Sessione Il laboratorio in citopatologia Moderatori S.G. Lio (Lamezia Terme), R. Iuele (Cosenza) Le aree di criticità tecnica in citologia T. Zanin E.O. Ospedali “Galliera”, S.C. Anatomia Patologica, Genova, Italia Nei laboratori delle Anatomie Patologiche italiane la citologia viene attualmente allestita con tre metodiche principali: – tradizionale; – per citocentrifugazione; – strato sottile. Le aree di criticità tecnica si differenziano nell’impiego di una metodica piuttosto che un’altra, possiamo affermare che la metodica di allestimento dei campioni citologici che presenta le maggiori criticità tecniche è quella tradizionale. Infatti in questa metodica intervengono in modo preponderante le capacità professionali del tecnico di laboratorio, il quale dall’arrivo del campione da analizzare esegue una sequela di operazioni tutte quasi esclusivamente manuali. Il processo di allestimento principale può essere il seguente: 1.materiale prelevato e inviato fresco; 2.centrifugazione (se impiegata); 3.viene strisciato su uno o più vetrini il sedimento o il materiale biologico intero; 4.fissazione; 5.colorazione; 6.lettura. In questo processo si possono individuare delle criticità tecniche nei primi quattro passaggi. Il campione biologico, che viene inviato da una sala di degenza piuttosto che da un ambulatorio, se fresco deve pervenire nel più breve tempo possibile; se fissato deve essere dato ai prelevatori un protocollo con indicate tutte le istruzioni per una corretta fissazione del materiale biologico. Il materiale, se è pervenuto fresco al laboratorio (es. puntato sternale), deve essere strisciato nel più breve tempo possibile e tale operazione deve avvenire in modo corretto, permettendo di ottenere degli strisci omogenei, aventi uno strato cellulare che risulti il più sottile possibile. Questa è un passaggio che risulta essere una delle maggiori criticità nell’allestimento di campioni citologici con metodica tradizionale. Altra criticità è poi la fissazione dei vetrini allestiti per la colorazione. Se si deve ricorrere alla centrifugazione per ottenere un sedimento cellulare, dobbiamo stare attenti al numero di RPM dello strumento; una centrifugazione eseguita ad un numero di giri non ottimale può generare diversi problemi quali l’ottenere un sedimento non ottimale, danneggiare le strutture cellulari, ecc. Nella preparazione dei vetrini valgono le criticità evidenziate per il trattamento del materiale citologico non centrifugato. Una metodica di allestimento più avanzata tecnologicamente di quella tradizionale è la “citocentrifugazione”, metodo che premette di ottenere degli spot cellulari di un certo diametro e con il materiale cellulare depositato in modo omogeneo e sottile. Tale procedimento diminuisce le criticità tecniche che si evidenziano con l’allestimento tradizionale senza peraltro risultarne indenne, qui le criticità tecniche che si presentano sono sostanzialmente due: – omogeneizzazione del materiale biologico pervenuto; – quantità di materiale biologico che viene inserito nelle cuvette per la citocentrifugazione. Se la prima criticità è importante, lo è ancora di più la seconda, infatti se inseriamo nella cuvette una quantità scarsa di campione biologico troviamo sui vetrini degli spot non omogenei e scarsi, se inseriamo una quantità eccessiva di liquido ci troviamo di fronte a due criticità tecniche e cioè del versamento nello strumento di materiale biologico eccedente e sui vetrini spot troppo carichi di materiale cellulare. La terza metodica di allestimento dei campioni biologici è quella in “strato sottile”. Questa la si può considerare l’evoluzione della citocentrifugazione e anche come la risoluzione a tutte le criticità relative alla conservazione del materiale biologico dal momento del prelievo. Utilizzando questo metodo e utilizzando dei protocolli precisi e completi per il prelevatore al laboratorio, pervengono campioni di materiale biologico già fissato e lisato, pronto per eseguire la metodica di allestimento. Tutte le criticità relative alla conservazione cellulare dei campioni biologici non dovrebbero più sussistere. Inoltre, utilizzando questa metodica, l’allestimento avviene con uno strumento automatico, lasciando all’operatore tecnico solo poche manovre manuali, riducendo così anche quelle criticità dovute all’allestimento dei vetrini a mezzo strisciatura del sedimento. Resta tuttavia l’utilizzo della centrifuga, e qui si richiamano le attenzioni descritte precedentemente, e la fissazione dei vetrini; dalla pratica è però emersa una criticità tecnica a carico dell’operatore che è quella di mantere in ordine lo strumento, facendo una manutenzione ordinaria quotidiana onde evitare “fermi macchina” e inquinamenti di materiale cellulare. Un altro vantaggio è l’eliminazione della criticità relativa a campioni biologici scarsamente cellulati, tipo liquor piuttosto che urine, riuscendo ad ottenere comunque un preparato diagnostico. Il materiale cellulare deposto automaticamente sui vetrini risulta praticamente un monostrato cellulare (strato sottile) e con uno spot di dimensioni maggiori rispetto alla citocentrifugazione. I vetrini ottenuti con questo metodo inoltre si prestano brillantemente per ricerche immunoistochimiche e di biologia molecolare a tutto vantaggio della diagnostica. Inoltre con l’utilizzo di strumenti automatici per l’allestimento di campioni citologici si diminuisco tutti quei fattori relativi alla sicurezza che risultano evidenti nell’allestimento tradizionale. Concludendo possiamo affermare che l’evoluzione tecnologica ha permesso e permetterà di ridurre al minimo le criticità relazioni tecniche nell’allestimento di preparati citologici, offrendo al patologo preparati più sicuri per la diagnosi e garantendo al paziente una risposta alle sue aspettative di cura. Bibliografia Daniel S, Zanin T. Manuale di Tecnica Cito-Istologica. Bologna: DSE Documentazione Scientifica Editrice 1997. Le nuove e vecchie professioni nella lettura citologica M.R. Giovagnoli, E. Giarnieri II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Roma “La Sapienza” La necessità di personale che svolga attività di lettura citologica è stata più volte affermata a livello di Linee Guida nazionali, pubblicate anche sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, ed è ribadita, dalle società scientifiche che si occupano di tale settore, oltre ad essere sentita soprattutto a livello di servizio sanitario. Quella del Citoscreener, del citologo e del citopatologo è una “attività professionale” che non può prescindere da specifiche conoscenze teoriche e da precise competenze/abilità pratiche le quali, in quanto tali, devono essere oggetto di un’accurata attività formativa. La consapevolezza della necessità di tale formazione si è tradotta, in molti Paesi europei, in un percorso universalmente riconosciuto ed ormai formalizzato da vari decenni. In Italia, dove tale “attività professionale” non ha avuto un riconoscimento a livello normativo, il discorso formativo ha avuto connotazioni più variegate e mutevoli nel corso degli anni. Si può ragionevolmente suddividere la formazione in: formazione di base, approfondimento/specializzazione ed aggiornamento. Quest’ultimo, di fatto, coincide con l’“educazione continua”, normata dalle regole ECM del Ministero della Salute. Per quanto riguarda la formazione di base di tipo “formale” essa ha avuto diverse connotazioni a partire dagli anni ’70 (corsi semestrali, biennali, indirizzi specifici all’interno di diplomi di laurea ecc.), che hanno portato alla creazione di intere “generazioni” di citoscreener con un background culturale relativamente omogeneo. Tuttavia, va riconosciuto che, accanto a questi diversi percorsi, si è svolta un’attività più “informale” tesa a colmare la carenza di personale, laddove non esistevano soggetti specificamente addestrati, con il risultato di una maggiore variabilità professionale. Spesso in questo caso l’iniziativa della formazione non partiva dalla struttura, ma piuttosto era una richiesta di autoformazione a cui accedevano soggetti con titolo di studio differenti: diplomati o laureati tecnici, laureati in Biologia, Farmacia anche Chimica e naturalmente in Medicina e Chirurgia con differenti specialità. In tutto questo lungo periodo le conoscenze e competenze citopatologiche avevano sede principalmente, anche se non esclusivamente, presso varie Anatomie Patologiche universitarie od ospedaliere, con gradi diversi nelle varie parti della penisola. Con l’accordo della Sorbona nel 1999 e la riforma universitaria, la formazione ha assunto in Europa tratti maggiormente omogenei, soprattutto per quanto riguarda i diversi livelli formativi: laurea triennale, laurea specialistica o magistrale e master di I e II livello (oltre alle specializzazioni, particolarmente importanti nel settore sanitario). Ancora, da tale data 373 l’attività formativa è stata suddivisa in unità dette “crediti formativi” universalmente riconosciuti. Questa unitarietà ha permesso la libera circolazione degli studenti tra le diverse Università europee. In Italia, dopo un gap formativo di alcuni anni, legato alla cessazione dei corsi preesistenti senza che ne che fossero istituiti dei nuovi, sono stati istituiti alcuni master di I livello, aperti cioè anche a tecnici con laurea triennale, dedicati alla formazione di citoscreener e basati su di un tipo di didattica fortemente interattiva, impostata secondo le Linee Guida europee. Contemporaneamente la formazione più approfondita, dedicata non solo alla citologia esfoliativa ma anche a quella agoaspirativa, aveva la sua naturale sede presso le scuole di specializzazione in Anatomia Patologica e talora in Patologia Clinica, aperte a laureati in Medicina. Anche questa formazione è risultata però disomogenea, perché non in tutte le sedi esisteva od esiste una tradizione in campo citopatologico, con il risultato che, accanto a punte di eccellenza, intere generazioni di neo-patologi presentavano competenze citopatologiche non all’altezza delle competenze più squisitamente istopatologiche. È entrata da poco in vigore una nuova normativa, che prevede un tronco unico formativo per gruppi di specialità similari (ad esempio di tipo laboratoristico), ma rimane da vedere se tale riforma possa, almeno in parte, sopperire a vecchie carenze. Un altro punto che deve essere sottolineato è il mutato contesto scientifico in cui si situa l’esame citomorfologico. Mentre un tempo il preparato microscopico era l’unica base su cui formulare l’ipotesi diagnostica, le tecniche molecolari ed immunocitochimiche si sono affiancate ormai di routine. Inoltre è mutato il modo di guardare il preparato che può essere anche “virtuale” e visto non solo “on site”, ma a distanza, condividendolo con colleghi esperti. Tutto questo richiede non solo nuove competenze, ma soprattutto un mutamento “culturale” che dobbiamo essere pronti a promuovere anche a livello formativo. Pertanto molte problematiche rimangono tuttora aperte sia sui contenuti (quali sono i “requisiti minimi” di una formazione di base? E di un corso più avanzato?) sia sui soggetti ai quali tale formazione debba essere indirizzata a seconda dei diversi livelli (laureati tecnici, biologi, medici?) ed infine su chi debba costruire tale offerta formativa e secondo quali modalità (master di I o II livello? Periodi di formazione specifici all’interno di corsi di specializzazione? Corsi riconosciuti extrauniversitari? Formazione sul campo?). Risulta, però, chiaro che l’attuale confusione di ruoli e competenze non può che essere nociva ad una “disciplina” che proprio in quanto poco quantizzabile ed oggettivizzabile risulta gravata da una certa soggettività di giudizio e pertanto richiede un’impostazione ancor più rigorosa ed un’esperienza notevolmente approfondita. Un altro importante tema, connesso a quello della formazione è il tema della “valutazione del citologo”. Anche in questo caso possiamo considerare un test di base relativo alla valutazione delle competenze indispensabili per accedere all’attività di citoscreener, un secondo, teso alla valutazione del mantenimento di tali competenze nel tempo, e infine una prova che riconosca abilità e competenze maggiori. A differenza che all’estero, in questo campo in Italia non esistono modelli specifici ed universalmente accettati, ma si è finora fatto riferimento, in maniera volontaristica, a test messi a punto altrove (Test Europeo di Competenza o Aptitude test). 374 Tecniche di Biologia Molecolare: ruolo ancillare o diagnostico A. Caleo Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali, Sezione di Citopatologia, Università “Federico II” di Napoli Molte metodiche di Biologia Molecolare (ibridazione in situ, PCR, Southern Blotting, gene-microarrays) possono oggi essere agevolmente applicate a campioni citologici [1]. Gli acidi nucleici possono infatti essere estratti da diversi tipi di preparazioni citologiche: campioni citologici in sospensione freschi o fissati, vetrini di archivio, preparazioni cell-block. La quantità di acido nucleico estratto correla principalmente con la cellularità di partenza. Per tale ragione le metodiche di amplificazione come la PCR/RT-PCR sono le più comunemente utilizzate a partire da campioni relativamente piccoli come quelli ottenuti dall’aspirazione per ago sottile (FNB). Il ruolo della Biologia Molecolare in Citologia è a tutt’oggi sicuramente ancillare rispetto a quella che è la diagnosi basata su caratteri citomorfologici. Tuttavia il test molecolare è talora necessario nel determinare fattori prognostici o predittivi di risposta alla terapia. Le applicazioni più frequenti della Biologia Molecolare in Citologia, in cui il test molecolare assume un ruolo diagnostico ancillare, riguardano ad esempio lo studio di clonalità nelle malignità ematologiche, la rilevazione di microrganismi o la rilevazione di traslocazioni o altre mutazioni a cui è riconosciuto un ruolo (patogenetico, prognostico, terapeutico) in determinate neoplasie. Esempi di questo tipo comprendono l’analisi dell’amplificazione dell’Her2/neu nel carcinoma della mammella o la rilevazione di specifiche traslocazioni in alcuni sarcomi dei tessuti molli. In altri casi lo studio molecolare riveste invece un ruolo prettamente investigativo. La nostra attività di ricerca si basa sullo studio delle alterazioni genetiche coinvolte nella cancerogenesi tiroidea. Negli ultimi anni la progressiva conoscenza dei meccanismi molecolari coinvolti nelle neoplasie tiroidee unitamente al sempre maggior uso di tecniche di Biologia Molecolare in Citopatologia hanno portato alla conoscenza di geni rilevanti dal punto di vista diagnostico, prognostico e terapeutico. Nel nostro laboratorio effettuiamo lo studio molecolare su campioni citologici di alcuni dei più comuni oncogeni coinvolti nelle neoplasie tiroidee, al fine di valutarne l’ausilio nella diagnosi citologica pre-operatoria. In un recente studio abbiamo dimostrato come le mutazioni dell’oncogene BRAF e le traslocazioni ret/PTC possono essere facilmente rilevate in materiale genomico, anche estratto da vetrini di archivio, di lesioni tiroidee [2]. Il nostro studio prospettico viene eseguito su casi raccolti nella pratica routinaria dell’ambulatorio di Citopatologia del nostro ateneo. Da tali casi vengono estratti gli acidi nucleici e si procede alla tipizzazione vera e propria degli oncogeni: B-Raf, Ret e Trk [3]. In conclusione, le metodiche molecolari possono essere facilmente applicate a campioni citologici anche di archivio, fornendo, oltre che prezioso materiale ai fini di ricerca, un utile ausilio diagnostico in quei casi che non possono essere conclusivi sulla base dei soli dati cito-morfologici. Bibliografia 1 Krishnamurthy S. Applications of molecular techniques to fine-needle aspiration biopsy. Cancer Cytopathol 2007;111:106-22. 2 Salvatore G, Giannini R, Faviana P, Caleo A, Migliaccio I, Fagin JA, III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP et al. Analysis of BRAF Point Mutation and RET/PTC Rearrangement refines the Fine Needle Aspiration diagnosis of Papillary Thyroid Carcinoma. J Clin Endocr Methab 2004;89:5175-80. 3 Sapio MR, Posca D, Raggioli A, Guerra A, Marotta V, Deandrea M, et al. Detection of RET/PTC, TRK and BRAF mutations in preoperative diagnosis of thyroid nodules with indeterminate cytological findings. Clin Endocrinol 2007;66:678-83. Utilità delle colorazioni rapide in corso di esame agoaspirativo F. Tallarigo, I. Putrino, U. Costa, L. Chiaravalloti, M.G. Scalia U.O. Anatomia Patologica e Citodiagnostica, Ospedale “San Giovanni di Dio”, Crotone Un Servizio di Citodiagnostica Agoaspirativa sotto guida ecografica o tomografia computerizzata con citoassistenza (presenza del citopatologo che, previa colorazione rapida, effettua la lettura al microscopio del preparato), ha lo scopo di fornire all’utenza l’accesso alle strutture ospedaliere che garantiscano il massimo grado di accuratezza diagnostica nell’ambito delle prestazioni ambulatoriali pubbliche erogate dal Servizio Sanitario Nazionale. Alla base di questo percorso c’è la stretta collaborazione tra clinico, radiologo e citologo, sia per migliorare l’efficienza delle U.O. coinvolte nella fase di acquisizione diagnostica, sia per garantire un’interazione continua tra le varie componenti specialistiche nella fase terapeutica o di osservazione nel tempo del malato. La citologia da agoaspirato con ago sottile (fine needle aspiration, FNA) è una metodica affidabile, semplice, rapida, poco invasiva, indolore, minimamente ansiogena che permette di esaminare masse patologiche superficiali o profonde, può essere ripetuta durante la stessa seduta, non necessita di anestesia, e che in alternativa alla biopsia evita il ricovero e l’uso della sala operatoria. La presenza del citopatologo, che effettua rapidamente la colorazione (2-3 minuti) e che guarda al microscopio il preparato, consente, innanzitutto, di stabilire l’adeguatezza del campione, in maniera tale che se il materiale strisciato non risulta idoneo, il prelievo può venire immediatamente ripetuto, evitando un secondo accesso al paziente. Inoltre consente di poter formulare una immediata diagnosi della natura di una massa, con conseguente selezione mirata delle ulteriori indagini diagnostiche ed anticipazione dell’iter terapeutico. Le indagini citologiche particolari (citoinclusione, analisi dei recettori ormonali, immunocitochimica), lo studio della ploidia, dell’indice di proliferazione delle cellule neoplastiche, le tecniche di biologia molecolare, vengono rimandate ad una seconda linea operativa. La FNA trova indicazioni: a) nelle patologie nodulari di organi superficiali (mammella, tiroide, ghiandole salivari, linfonodi, testicoli) semi-profondi (masse addominali) e profondi (polmone, mediastino, fegato, pancreas, reni, surreni, ovaio, prostata); b) in caso di recidiva di tumore dopo escissione chirurgica; c) come procedura sia diagnostica che curativa per svuotare cisti e raccolte ematiche-purulente intraparenchimali o essudati cavitari. Nel nostro ospedale le strutture che sono coinvolte, in questa metodica diagnostica, sono la U.O. di Anatomia Patologica e Citodiagnostica, con un proprio ambulatorio dotato di ecografo e microscopio, e la U.O. di Radiologia per prelievi da masse non palpabili o profonde, utilizzando guida stereotassica ecografica o TC. Nella U.O. di Radiologia vengono eseguiti sia esami agoaspirati ecoguidati che TC-guidati. Il personale della suddetta U.O. ha il compito di 375 relazioni controllare le eventuali complicanze, che possono derivare dall’atto diagnostico, con esami mirati. Nell’ambulatorio afferente alla U.O. di Anatomia Patologica si effettuano sia esami agoaspirativi ecoguidati, sia agoaspirati di lesioni superficiali, che non necessitano di guida ecografica. Nella suddetta U.O. viene tenuto il registro delle prestazioni effettuate, si organizza l’accettazione del materiale biologico, si forma il personale sanitario (tecnico di laboratorio) sulle modalità procedurali relative a raccolta e processazione del materiale biologico, organizzare il trasporto del materiale necessario alla colorazione rapida e del microscopio presso l’U.O. di Radiologia, organizzare l’idonea conservazione del materiale biologico prelevato, predisporre per le ulteriori, eventuali, indagini quali: citochimica, immunocitochimica ecc., leggere in estemporanea al microscopio i preparati citologici allestiti mediante colorazione rapida. Nel periodo gennaio-luglio 2007 la nostra sezione di Citodiagnostica ha eseguitio 748 agoaspirati con citoassistenza di cui 430 presso l’ambulatorio di Anatomia Patologica e 318 eco-Tc-guidati in collaborazione con l’U.O. di Radiologia. La tipologia di organo delle lesioni è stata: 441 tiroidi, 211 mammelle, 43 linfonodi, 14 ghiandole salivari, 7 fegato, 18 polmone, 14 sottocute. Le colorazioni rapide utilizzate sono state quella di May Grunvald-Giemsa (prevalentemente usata negli agoaspirati tiroidei) e la Ematossilina-Eosina in tutti gli altri agoaspirati. Con la prima metodica i vetrini, dopo una rapida asciugatura all’aria, vengono immersi nella soluzione già pronta di May-Grunvald (10 immersioni), lavaggio in acqua di fonte, immersi nella soluzione di Giemsa concentrata (10 immersioni), lavaggio in acqua, visione al microscopio. Con la metodica in Ematossilina-Eosina i vetrini, previa rapida fissazione (Cito-fix), vengono immersi in Ematossilina Gill (10 immersioni), lavaggio in acqua distillata (10 immersioni), passaggio in alcool 70° (10 immersioni), Eosina G alcolica (10 immersioni), alcool assoluto (10 immersioni), diafanizzante e balsamo (15 immersioni). Il tempo medio di entrambe le metodiche è di 2-3 minuti. Risultati citologici: Sono stati riscontrati 7 carcinomi della tiroide, 70 carcinomi della mammella, 2 linfomi, 10 metastasi linfonodali, 4 carcinomi delle ghiandole salivari, 2 carcinomi epatici, 3 metastasi epatiche, 4 carcinomi polmonari, 6 metastasi polmonari, 4 metastasi sottocutanee. Conclusioni. Così organizzata la Citologia da FNA con citoassistenza oltre a permettere, nella maggior parte dei casi, la consegna del referto entro 24 ore dal prelievo è una metodica efficace in quanto riduce a zero gli inadeguati, evitando un nuovo accesso presso la struttura ospedaliera al paziente, limitando pertanto i disagi dello stesso, soprattutto per quelli che giungono in ospedale da località lontane. Inoltre, è sicuramente una metodica di basso costo per l’Azienda, tale da porsi come obiettivo esemplare nel processo di razionalizzazione dei Servizi Sanitari Aziendali. L’AUTOMAZIONE IN CITOLOGIA: ESPERIENZE A CONFRONTO Moderatore G.L. Taddei (Firenze) L’automazione in Citologia: esperienza della regione Abruzzo V. Maccallini, A.M. Venditti, T. Andreano U.O. Anatomia Patologica, Ospedale “dell’Annunziata”, Sulmona, Regione Abruzzo, Italia Introduzione. L’esperienza abruzzese con la Citologia cervicale in fase liquida (LBC) è iniziata nel 2000, dopo l’attivazione dei 6 programmi di screening organizzato, preceduta da corsi di formazione e da un trial randomizzato multicentrico 1 che ha confrontato le performances di LBC e Citologia Convenzionale (CC). Lo studio ha coinvolto 3 programmi con randomizzazione di circa 8.600 donne (4.336 CC vs. 4.318 LBC). Oltre a confrontare l’accuratezza delle tecniche ha stimato anche i costi per donna esaminata e lesione CIN2+ trovata. È stato rilevato un calo consistente di inadeguati nel braccio sperimentale e una sensibilità essenzialmente uguale. In controtendenza allo studio NTCC 2 le ASCUS sono diminuite in modo significativo con la LBC. Lo screening abruzzese, dopo il confronto LBC-CC e l’impiego della lettura computer assistita FocalPoint nel Controllo di Qualità (CdQ) in CC, ha attivato a dicembre 2006 un secondo studio regionale randomizzato multicentrico triennale per con- frontare le metodiche di Lettura Computer Assistita (LCA) su LBC Cytyc ThinPrep Imaging System (TPI) e su CC Tripath FocalPoint System (FP). La LCA della LBC si sta rivelando una metodica pratica, produttiva e con maggior confort ergonomico (Biscotti et al., 2005; Chivukula et al., 2007; Bolger et al., 2006; Chase, 2006; Ramey, 2006). Studi pubblicati recentemente (Chivukula et al., 2007; Davey et al., 2007; Bolger et al., 2006; Linder et al., 2006; Lozano, 2007; Pflueger et al., 2006) con metodica TPI su più di 1.000.000 di campioni, hanno dimostrato, oltre all’incremento della produttività, un aumento statisticamente significativo della frequenza di HSIL+ sia verso CC che LBC manuale (Linder et al., 2006; Pflueger et al., 2006; Travers et al., 2006). Scopo della ricerca. Lo studio si propone di ottimizzare l’accuratezza diagnostica, standardizzare il CdQ con maggiore efficienza e produttività, ridurre i tempi di lettura, abolire le attività di preparazione e allestimento in 4 dei 6 centri regionali, standardizzare la diagnostica molecolare HPV, determinare le risorse necessarie. La valutazione costo efficacia sarà considerata per eventuale utilizzo definitivo nello screening regionale. Metodi. I 6 programmi sono stati consorziati e dotati di stazioni di revisione remote. Procedure di preparazione e LCA 376 sono state centralizzate: LBC con sistema TPI nell’Anatomia Patologica di Sulmona e CC con sistema FP nell’Anatomia Patologica di Atri. Vengono arruolate donne in età di screening residenti in Abruzzo, invitate o spontanee; il 50% effettua LBC, il 50% CC. La Randomizzazione viene eseguita a gruppi di 3 programmi che ogni 2 mesi alternano i 2 sistemi. Vengono raccolte informazioni anagrafiche e storiche delle donne. Procedure e classificazioni diagnostiche seguono le Linee Guida regionali. Nel triennio è previsto l’arruolamento di circa 180.000 donne, 90.000 per braccio. Attivando metodiche d’indagine più sensibili ci si aspetta di identificare circa 10.800 ASC+ di cui 1.380 HSIL+ istologicamente confermate. Lo studio è stato preceduto da selezione e formazione degli operatori con corsi finalizzati e formazione personalizzata. Entrambi i sistemi di LCA analizzano otticamente i nuclei che vengono individuati e differenziati. La maggiore anormalità determina la memorizzazione delle coordinate cellulari in campi ottici (FOV) rivisti dal citologo (TPI = 22; FP = 15). I due apparati, pur utilizzando un sistema di analisi cellulare simile, non emettono un report finale confrontabile. Risultati preliminari. L’esame dei dati consente di estrapolare alcuni risultati preliminari che necessitano ovviamente della successiva conferma analitica finale. Nel 1° semestre sono state arruolate 28.031 donne: 15.575 (55,6%) hanno effettuato CC e 12.456 (44,4%) LBC; 20.190 donne hanno risposto all’invito; 7.841 si sono presentate spontaneamente. Il tasso di inadeguati è 5,92% in CC e 2,65% in LBC (-55%) confermando sostanzialmente i risultati del precedente trial abruzzese 1, dello studio NTCC 2 e della letteratura (Davey E et al., 2007). La frequenza delle ASC-US (CC: 2,26%; LBC: 2,16%) e delle AGC (CC: 0,26%; LBC: 0,22%) è praticamente simile nei due bracci, mentre si nota un concreto raddoppio in LBC delle ASC-H (+ 100%) ed un considerevole incremento delle SIL (LSIL: + 167%; HSIL: + 68%). Allo stato attuale non è stato ancora possibile effettuare le correlazioni con gli esami istologici e molecolari. Nel primo semestre sono stati sottoposti a LCA i preparati di 19.997 donne: 10.205 vetrini CC per il FP e 9.792 vetrini LBC per il TPI. La correlazione con le diagnosi finali ha evidenziato che il TPI effettua la lettura nel 97,5% dei casi vs. il 88,2% del FP che ne classifica insoddisfacenti il 15,5% (vs. Citologo: 5,9%) e subottimali il 16,5% (vs. Citologo – note: 3,3%). La LCA è risultata più completa nel braccio in strato sottile con un minor numero di vetrini non analizzati (TPI: 2,5% vs. FP: 11,8%). Non sembra significativa la frequenza nella categoria No Further Review di una LSIL, una AGC e 13 ASC-US, riscontrati nel CdQ di verifica. Ulteriore analisi preliminare è stata eseguita sulla diagnostica citologica regionale totale confrontando i risultati del 1° semestre 2006 (n. 27.972 donne) con quelli del 1° semestre 2007 (n. 28.031 donne). Il tasso degli inadeguati ha avuto un sostanziale miglioramento di circa il 25% (6.0% vs. 4,5%). La frequenza delle diagnosi ha evidenziato una diminuzione delle dubbie (ASC-US: -27%; AGC: -14%) e un aumento delle positive (HSIL: + 33%; LSIL: + 19%; CA SQUAM: + 14%). Conclusioni. I risultati preliminari del 1° semestre, che necessitano di una rivalutazione e conferma analitica finale, sembrano evidenziare un impatto molto favorevole dell’implementazione della LBC e dell’attivazione del TPI con incremento della produttività, minore frequenza degli inadeguati, aumento della frequenza delle lesioni di basso e alto grado III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP e maggiore soddisfazione dei citologi dovuta alla migliore ergonomicità del sistema. L’attivazione sistematica della LCA in entrambi i bracci sta favorendo una maggiore attenzione diagnostica documentata dal confronto dei risultati del 1° semestre degli anni 2006 e 2007. La frequenza delle classi diagnostiche sembra evidenziare un’importante maturazione professionale dei citologi, da seguire nel tempo, confermata dalla tendenza in diminuzione delle diagnosi dubbie a favore delle positive. Bibliografia 1 Maccallini V, Angeloni C, Zappa M, et al. Comparison of conventional smear and liquid based cytology: the result of a controlled prospective study in the Abruzzo Region (Italy). In pubblicazione Acta Citol. 2 Ronco G, et al. Human Papillomavirus testing and liquid-based cytology: results at recruitment from the new technologies for cervical cancer randomized controlled trial. JNCI 2006;98:765-74. Le nuove tecnologie della Citopatologia M.D. Beccati Diagnostica Citopatologica, Azienda Ospedaliero-Universitaria “S. Anna”, Ferrara Le più recenti innovazioni tecnologiche in ambito di diagnostica citopatologica sono rappresentate da sistemi di preparazione su strato sottile e lettori automatici per lo screening cervico-vaginale computer-assistito. Allestimento automatico su strato sottile. I sistemi di allestimento automatico su strato sottile comportano la modifica delle procedure pre-analitiche con lo scopo di realizzare la fissazione tempestiva e la disposizione in strato sottile delle cellule, sia esfoliate che agoaspirate. In tale modo si ottengono: fissazione ottimale, disposizione omogenea, assenza di fattori mascheranti, randomizzazione, ripetibilità dell’allestimento, possibilità di esecuzione di tecniche ausiliari, facilità e rapidità di lettura ed interpretazione. Presso la Diagnostica Citopatologica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara la tecnica di allestimento su strato sottile, sia per sedimentazione che per filtrazione, è stata adottata dal 1996. Verrà riportata l’esperienza di citologia della cervice uterina, dell’endometrio, dell’urotelio e della tiroide. Citologia cervico-vaginale: pre-screening computer-assistito. Il più sperimentato sistema di lettura computer-assistita è rappresentato dal FocalPoint™ GS (Tripath Burlington, USA) approvato negli Stati Uniti per lo screening primario dei Pap test convenzionali (FDA 1998) e per lo screening primario dei preparati in strato sottile SurePath™ (FDA 2001). Presso la Diagnostica Citopatologica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara il lettore FocalPoint™ GS è stato attivato dal 2004 su striscio convenzionale, ed applicato alla lettura dei preparati in strato sottile cervico-vaginali SurePath™ dal 2005. La visita di 23 professionisti italiani e stranieri ed una giornata internazionale di studio testimoniano l’impegno alla condivisione della nostra esperienza. Caratteristiche del Lettore automatico FocalPoint™. Si tratta di un sistema automatico costituito da un cluster di computers per l’analisi morfometrica, da un microscopio motorizzato per lo screening del vetrino, da un sistema di video-camere che acquisisce 25 immagini di alta qualità per secondo, da un computer d’appoggio per la generazione e la trasmissione dei files di lavoro alla stazione di revisione remota. Tale sistema analizza fino ad un massimo di 288 vetrini/24 ore ed accetta 377 relazioni ugualmente strisci convenzionali e preparati su strato sottile SurePath™. Il Sistema classifica i vetrini in tre gruppi: 1)No Further Review. Il sistema elimina una percentuale variabile (massima 25%) di vetrini in cui non individua campi meritevoli di revisione, che propone come archiviabili. 2)Review. I restanti vetrini vengono suddivisi in 5 quintili caratterizzati da maggiore o minore rischio di anormalità cellulari di alto grado (massimo rischio 1° quintile, minimo rischio 5° quintile). Dei 1.000 campi memorizzati per ciascun vetrino, il sistema ne seleziona fino ad un massimo di 15 meritevoli di revisione (FoV Field of View). 3)Process review. Per motivazioni tecniche (spessore dello striscio, fattori mascheranti, oppure colorazione o montaggio non appropriati) il sistema può considerare un vetrino non adeguato per l’analisi; in tale evenienza, il vetrino è posto nella categoria Process Review, in pratica viene sottoposto alla lettura tradizionale. La percentuale di Process review è pertanto il primo indicatore di qualità dell’intera procedura del Pap test, a partire dalla qualità del prelievo. La percentuale media dei vetrini Process Review è stata del 4%. Alla fine della sessione di lavoro il sistema genera un rapporto contenente i dati identificativi del vetrino, la percentuale di cellule interpretabili, la presenza/assenza di cellule endocervicali, il quintile di allocazione, le motivazioni del Process Review. Caratteristiche della stazione di revisione. La stazione di revisione remota, denominata Slide Wizard™, è costituita da un microscopio motorizzato governato da un computer che sottopone al revisore i 15 campi identificati dallo strumento di lettura, in ordine decrescente dal campo più rilevante al meno rilevante. Contestualmente, di ciascun vetrino vengono riproposti il report individuale ed una mappa elettronica di collocazione topografica dei campi (FoV) prescelti dal lettore automatico. Modalità di revisione. Il revisore valuta i campi proposti dallo strumento e può inserire ulteriori campi per un’ulteriore supervisione, demarcabili con label topografico e acronimo della diagnosi. Alla fine della revisione, sono possibili le opzioni di convalida (Ready for sign out) o supervisione (Awaiting further review) del vetrino. I vetrini convalidati sono pronti per essere refertati ed archiviati. La quota Process Review è sottoposta a lettura tradizionale. Tutti i Pap test interpretati ASC+ vengono sottoposti a supervisione guidata dallo Slide Wizard™. Valutazione dei Professionisti. Qualsiasi nuova tecnologia comporta un periodo di addestramento specifico e di adattamento. I professionisti coinvolti nella diagnostica sono stati formati inizialmente sulla lettura dello strato sottile e successivamente sulla lettura assistita da FocalPoint™ GS. L’atteggiamento complessivo è stato di apprezzamento del lettore automatico, che riduce il carico di lavoro e converte il professionista da screener del vetrino ad interprete dell’analisi proposta dal FocalPoint. Risultati. Prima dell’immissione nella diagnostica di routine, la performance del lettore FocalPoint™ GS è stata confrontata con quella della lettura tradizionale (LT), sia su striscio convenzionale che su strato sottile. Il confronto tra LT e con lettore automatico (FP) consta di numerosi parametri di qualità, tra i quali i più significativi sono: – valore predittivo positivo 93,7FP/73,5LT: si è verificato l’incremento di 20,2 punti percentuali rispetto alla LT; – tasso di identificazione CIN2+ 4,6FP/3,1LT: si è diagnosticato il 50% in più di lesioni CIN2+; – tempo di refertazione 5,7FP/7,7LT: si è ridotto del 30% il tempo di refertazione. Esperienze in Italia. In Italia, sono numerose le strutture di Diagnostica citopatologica che hanno adottato il lettore automatico FocalPoint™ GS. Alcuni tra questi professionisti, in ambito GISCi (Gruppo Italiano Screening Citologico, www. gisci.it), hanno recentemente licenziato un documento di raccomandazioni sulla base delle evidenze per il governo della diagnostica computer-assistita dei programmi di screening italiani. Considerazioni. Nella nostra esperienza le tecnologie di automazione dell’allestimento e dello screening computerassistito con il lettore FocalPoint™ GS si sono rivelate sicure alleate di una moderna Citologia. La fish in Citologia urinaria M. Paglierani, F. Castiglione, F. Garbini, A.M. Buccoliero, M.R. Raspollini, G. Nesi, A. Lapini*, G. Vignolini*, G.L. Taddei Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia; Urologica I, Università di Firenze * Clinica La FISH (Fluorescence in situ hybridization) è una tecnica che utilizza molecole di DNA marcate con fluorofori per evidenziare sequenze target complementari. Può essere applicata a nuclei in interfase per identificare vari tipi di alterazioni citogenetiche (aneusomie, amplificazioni, delezioni e traslocazioni) nelle cellule tumorali maligne indipendentemente dal loro stato funzionale. Poiché la maggior parte delle cellule neoplastiche presenta numerose alterazioni cromosomiche, la FISH applicata ai nuclei in interfase rappresenta una tecnica ideale per l’analisi cromosomica delle cellule tumorali. Una delle applicazioni più promettenti nell’ambito della citopatologia urinaria è la valutazione di anormalità cromosomiche nelle cellule uroteliali esfoliate nelle urine di pazienti affetti da neoplasia vescicale. Il Carcinoma Uroteliale (CU) è una malattia genetica che presenta alterazioni cromosomiche determinate da danni ossidativi al DNA delle cellule uroteliali della vescica e/o delle vie escretrici superiori ed inferiori. Il CU è associato ad una elevata probabilità di recidiva e di progressione a forma invasiva dopo il trattamento iniziale e quindi necessita di un follow-up regolare che consiste nella combinazione di due strumenti diagnostici: la cistoscopia e la citologia urinaria convenzionale. Il protocollo prevede l’utilizzo combinato delle due tecniche ogni tre mesi per i primi due anni dopo la diagnosi iniziale, ogni sei mesi per i seguenti due anni e successivamente ogni anno. L’algoritmo di sorveglianza presenta dei limiti sia perché i pazienti si devono sottoporre frequentemente all’esame cistoscopico sia perché la sensibilità totale della citologia urinaria è piuttosto bassa (34%) e spesso vi sono risposte citologicamente equivoche per la presenza di cellule “atipiche” di incerto significato. La specificità della citologia urinaria è invece migliorata significativamente (96%) a seguito dell’introduzione di metodiche citodiagnostiche in “fase liquida”. Recentemente sono stati proposti diversi marcatori per il CU. Alcuni test che si basano sull’aumentato livello di antigeni urinari (NMP22, BTA stat, BTA TRAK, ImmunoCyt, ecc.) mostrano una maggiore sensibilità, ma una minore specificità e sono associati a numerosi falsi-positivi. Altri, più promettenti soprattutto per la diagnosi di tumori a basso-grado, ma più costosi, si basano sulle alterazioni ge- 378 netiche presenti nelle cellule uroteliali esfoliate nelle urine (microsatelliti, FISH). Nel Laboratorio di Citopatologia Diagnostica del Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia dell’Università di Firenze le cellule uroteliali esfoliate nelle urine e allestite in strato sottile vengono prima esaminate dal citopatologo e i casi dubbi con cellule morfologicamente “atipiche” vengono sottoposti alla tecnica FISH UroVysion (Vysis, Downers Grove, IL). Affiancare alla Citologia convenzionale una tecnica rapida, efficace e soprattutto non-invasiva come la FISH ha migliorato la sensibilità e la specificità della caratterizzazione diagnostica a indirizzo prognostico del CU. Il kit Multitarget, Multicolor UroVysion è stato recentemente approvato dalla Food and Drug Administration e commercializzato come ausilio alla Citologia convenzionale. Il test è approvato come sostegno nella diagnosi iniziale di CU in pazienti con ematuria e nel follow-up di pazienti con precedente diagnosi di CU. Il kit UroVysion evidenzia le alterazioni cromosomiche per mezzo di tre probes a DNA a singolo filamento complementari alle regioni pericentromeriche dei Cromosomi 3, 7 e 17 e di un quarto probe per il locus 9p21. La combinazione delle tre sonde CEP (Chromosome Enumeration Probes) evidenzia l’aneusomia dei cromosomi 3, 7 e 17, mentre la sonda LSI (Locus Specific Identifier) per il locus 9p21 evidenzia la delezione eterozigote o omozigote del gene oncosoppressore p16 deleto circa nell’80% dei casi nella fase iniziale della cancerogenesi uroteliale. La valutazione dei segnali avviene sotto la luce di un microscopio a fluorescenza corredato di un set di filtri adeguati alla lunghezza d’onda dei singoli fluorofori. Lo scanning dei segnali fluorescenti viene eseguito sulle stesse cellule considerate morfologicamente atipiche durante l’esame citologico tradizionale (diametro nucleare aumentato, contorni nucleari irregolari, cellule raggruppate in clusters). Le cellule normali sono diploidi e presentano due segnali fluorescenti per ogni cromosoma 3, 7 e 17; le cellule anormali, aneuploidi, presentano differenti pattern molecolari con perdita o acquisizione di segnali. Per ogni preparato devono essere contate un minimo di 25 cellule morfologicamente anormali contrastate con DAPI (4’,6-Diamidino-2-fenilindolo cloridrato). Vengono considerati FISH positivi i casi che contengono cellule con almeno uno dei seguenti criteri: i) aumento cromosomico multiplo (> 2) dei cromosomi 3, 7 o 17 in almeno 4 cellule analizzate; ii) delezione omozigote per 9p21 in almeno 12 cellule analizzate; iii) isolata trisomia dei cromosomi 3, 7 o 17 in almeno il 10% delle cellule analizzate. La positività all’analisi FISH deve essere considerata come un indice precoce di “instabilità uroteliale” di cellule che vanno incontro a trasformazione neoplastica prima che la lesione sia macroscopicamente apprezzabile alla cistoscopia e/o prima che vi sia una evidenza della malattia documentabile con la biopsia. Jones ha suggerito che il test FISH UroVysion venga considerato una tecnica di “citologia molecolare” perché valuta contemporaneamente sullo stesso preparato le alterazioni morfologiche delle cellule uroteliali e le modificazioni molecolari del DNA. Pur essendo la FISH una tecnica di valutazione oggettiva, la valutazione dei livelli di espressione di aneuploidia, la presenza di delezione al locus 9p21 nei differenti nuclei e l’interpretazione globale dei risultati richiede competenze specifiche, notevole esperienza ed adeguato addestramento metodologico. III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP La fish in Citologia urinaria S. Casazza U.O. Anatomia Patologica, E.O. Ospedali “Galliera”, Genova I carcinomi uroteliali (UC), superficiali e invasivi, rappresentano una categoria di lesioni estremamente eterogenee, non solo dal punto di vista morfologico (stadio e grado) e molecolare (i differenti pattern genetici ne definiscono le caratteristiche biologiche), ma anche per il diverso comportamento clinico e di risposta alla terapia. La maggior parte degli UC (circa il 70%), alla diagnosi, risulta essere di tipo superficiale (circa 40% pTa, 30% pT1 e 2-5% CIS) e di questi circa l’80% si ripresenta dopo il trattamento iniziale (tumore ricorrente) mentre circa il 25% va incontro a progressione verso forme più aggressive della malattia. Poter rilevare precocemente la ricorrenza e l’eventuale progressione del tumore è chiaramente fondamentale per la sopravvivenza a lungo termine dei pazienti. L’obiettivo è quindi individuare gli strumenti più adeguati, in termini di sensibilità, specificità e riproducibilità, per “stratificare” il rischio dei pazienti discriminando categorie di tumori a “basso rischio” e ad “alto rischio” di ricorrenza e di progressione della malattia. L’utilizzo combinato di uretrocistoscopia ed esame citologico delle urine costituisce l’approccio standard per la diagnosi e la sorveglianza di questi tumori. Tuttavia entrambi i metodi, basati su criteri morfologici, presentano delle limitazioni nell’accuratezza diagnostica soprattutto nel rilevamento precoce delle lesioni delle vie urinarie superiori e di quelle a stadio più superficiale, oltre a comportare costi e “disconfort” per i pazienti. I reperti sono suscettibili di valutazione soggettiva da parte del clinico/patologo e talvolta di “sospetta positività” o “dubbia” interpretazione, con sostanziali conseguenze per il paziente in termini di inadeguato trattamento: ad esempio nei campioni citologici non sempre è possibile discriminare una reale atipia da un’atipia su base reattiva. D’altra parte anche i fattori prognostici “convenzionali” quali stadio e grado del tumore non sembrano essere sufficientemente predittivi dei diversi comportamenti clinico-biologici dei tumori uroteliali. La recente introduzione di tests genetici permette di superare molti di questi problemi mediante l’analisi di specifiche alterazioni molecolari definendo il profilo biologico individuale del tumore (es. attivazione di oncogeni, inattivazione di geni tumore-soppressivi, riarrangiamenti cromosomici, delezioni e/o polisomie geniche) e preziose informazioni di tipo prognostico-predittive ai fini di una precoce individuazione della malattia, della eventuale progressione, della scelta del trial terapeutico più adeguato e “personalizzato”, del monitoraggio della risposta alla terapia e infine la possibile individuazione di nuovi “target” terapeutici. La tecnica di ibridazione in situ in fluorescenza (FISH), utilizzata direttamente su campioni di cellule ottenute da urine spontanee o da lavaggio vescicale, ha dimostrato un’alta sensibilità e specificità nella diagnosi di UC, anche nei tumori di basso grado. È stato sviluppato un kit commerciale (UroVysion, Vysis-Abbott, Downers Grove, IL), approvato dall’FDA, costituito da tre sonde fluorescenti relative alle regioni centromeriche dei cromosomi 3 (rossa), 7 (verde) e 17 (azzurra), per lo studio delle aneuploidie dei rispettivi cromosomi, e ad una sonda fluorescente per il locus 9p21 (gold) che consente di rilevare delezioni omo-eterozigotiche di questa regione. relazioni La simultanea valutazione dei segnali FISH viene eseguita su almeno 25 cellule uroteliali che presentano distinti segnali fluorescenti, non sovrapposizione dei nuclei e soprattutto morfologia “atipica” (aumento diametro nucleare, irregolarità dei contorni nucleari e disomogenea captazione del DAPI): le cellule che risultano essere “FISH negative” contengono due copie di ciascun segnale fluorescente mentre quelle ritenute “FISH positive” possono esprimere differenti pattern molecolari di perdita o acquisizione dei segnali (score di positività secondo le indicazioni del kit). Si desume che la tecnologia FISH, associando al dato morfologico della citologia convenzionale l’analisi delle alterazioni del DNA cellulare, può essere definita in termini di “Citologia Molecolare”. Dalla più recente letteratura emerge che in circa l’80% dei UC si verifica una delezione parziale o completa del cromosoma 9: sul braccio corto di quest’ultimo (mappato a livello del locus 9p21) è stato identificato almeno un gene oncosoppressore frequentemente deleto nei UC. Questo gene codifica per la proteina P16 che regola il ciclo cellulare e la sua perdita funzionale rappresenta un evento mutazionale nella genesi tumorale di molti UC: interviene nelle fasi precoci dello sviluppo della neoplasia e correla con la ricorrenza dei tumori superficiali. L’eventuale progressione della malattia si associa significativamente all’incremento dell’instabilità cromosomica e delle aneuploidie multiple coinvolgenti i cromosomi 3, 7 e 17 rispetto alle lesioni ricorrenti. La polisomia del cromosoma 3 sembra essere espressa in circa il 30% dei tumori, mentre quella del cromosoma 7 non supera il 15%. Per quanto riguarda l’aneuploidia del cromosoma 17, espressa in oltre il 50% degli UC, dati recenti la indicherebbe- 379 ro quale “marker” predittivo di progressione del tumore a stadi più avanzati. Alcuni Autori, inoltre, hanno individuato un rischio di ricorrenza per il tumore uroteliale pari al 15% quando il test FISH risulta positivo per la delezione del locus 9p21 da solo o associata ad irregolarità relative al cromosoma 3, mentre con un test FISH positivo per aneuploidie multiple dei cromosomi 7 e 17 il rischio di ricorrenza e di progressione del tumore è rispettivamente del 60% e del 30%. Inoltre numerose evidenze confermano il ruolo della FISH quale “Anticipatory Positive Test”: questa indagine molecolare permette di individuare la presenza di cellule neoplastiche nelle urine prima che si manifesti la malattia, anticipando quindi il dato morfologico (sia citologico che cistoscopico) anche di 8-12 mesi. L’elevata sensibilità di questo test permette quindi di rilevare precocemente nuovi casi di tumore uroteliale, proponendosi quale “test di screening” in pazienti con sintomatologia di micromacroematuria. Inoltre l’analisi del DNA non risulta inficiata dalla presenza di intensa flogosi e da ematuria nei campioni cellulari e il bacillo di Calmette-Guérin non interferisce con l’integrità molecolare: il test FISH risulta estremamente utile nel monitoraggio della risposta terapeutica. Questi dati concorrono alla definizione di un “rischio individuale” per ogni paziente con pregresso UC in base al pattern molecolare, proponendo nuovi algoritmi di follow-up e una modulazione dei trials terapeutici. Infatti il paziente con test FISH positivo, ma citologia/cistoscopia negativa, necessita di intervalli più stretti di sorveglianza, mentre un test FISH negativo permette di dilatare maggiormente i tempi del follow-up riducendo il numero dei controlli citologici e cistoscopici, con indubbi benefici sia dei costi che di invasività per il paziente. pathologica 2007;99:380-407 COMUNICAZIONI LIBERE Follow-up di casi di citologia cervicale borderline e negativi per atipia con indicazione a ricontrollo citologico in una casistica di screening spontaneo D. Antonini, I. Rostan, C. Magnani*, M. Bonfadini*, A. Marsico, R. Navone Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana dell’Università di Torino, * Clinica “S. Gaudenzio”, Novara Introduzione. Il Sistema Bethesda 2001 prevede, per lesioni borderline, le diagnosi di ASC-US, ASC-H e AGC ed include nei negativi anche le alterazioni cellulari reattive (ACR). La nostra ricerca intende, mediante adeguato follow-up (almeno due esami citologici e/o un istologico negativi, in una casistica di citologia cervicale seguita per 3-9 anni), stabilire la diagnosi definitiva successiva ad atipie di tipo borderline e ad ACR senza atipie. Materiale. Abbiamo esaminato 147.030 Pap test comprendenti 1.845 (1,3%) ASC/AGC, 704 (0,5%) L-SIL, 432 (0,3%) H-SIL, 56 (0,04%) carcinomi squamosi e 33 (0,02%) adenocarcinomi. Avevano un follow-up considerato sufficiente 430 ASC, 54 AGC e 821 casi tra 4.577 esami citologici con diagnosi negativa per atipie ma indicazione a ricontrollo citologico per presenza di ACR (per lo più infezioni) con ridotta leggibilità dei preparati. Risultati. Dei 430 casi di ASC, 305 (71%) sono benigni, 82 (19%) L-SIL, 37 (8,6%) H-SIL e 6 (1,4%) carcinomi. Tra 54 casi di AGC, 35 (64,8%) risultano benigni e 19 (35,2%) maligni (13 H-SIL, 1 carcinoma squamoso e 5 adenocarcinomi). Suddividendo gli ASC, osserviamo nel gruppo ASC-US (393 casi), 294 (74,8%) diagnosi definitive di benignità, 75 (19,1%) L-SIL, 20 (5,1%) H-SIL e 4 carcinomi (1%) e nel gruppo ASC-H (37 casi), 11 (29,7%) casi negativi, 7 (18,9%) L-SIL, 17 (45,9%) H-SIL e 2 (5,4%) carcinomi squamosi. Su 821 ACR seguite, 757 (92,2%) sono benigne, 29 (3.6%) L-SIL, 11 (1,4%) H-SIL, 1 (0,1%) carcinoma squamoso, 1 (0,1%) adenocarcinoma e 22 (2,7%) ASC/AGC. Conclusioni. Per le lesioni borderline emerge l’alta predittività dell’ASC-H. Del resto, il Sistema Bethesda incoraggia la ripetizione del Pap test dopo terapia negli ASC-US. Per le ACR si conferma la possibilità di falsi negativi. Infine, poiché alcuni nostri casi sono risultati positivi dopo precedenti controlli negativi, parrebbe opportuno un followup sufficientemente prolungato (per es. controllo annuale per tre anni) sia per le diagnosi borderline, sia per le infezioni con ridotta leggibilità dei preparati. Cellule endometriali Fondo Epiteliali N E G A T I V O Stromali Quantità Architettura Polarità Citoplasma Nucleo Proliferativo Abbondante Aggregati tridimensionali cilindrici Conservata Scarso Isomorfo; cromatina finemente granulare; nucleoli piccoli o assenti Fusate Pulito Secretivo Abbondante Ampi aggregati tridimensionali cilindrici o lamine bidimensionali Conservata Ampio Isomorfo; cromatina dispersa; nucleoli piccoli o assenti Epiteliomorfe Pulito/ Moderatamente infiammatorio Atrofico Scarsa Piccoli aggregati tridimensionali cilindrici Conservata Scarso Isomorfo; cromatina finemente granulare; nucleoli piccoli o assenti Abbondanti; fusate Pulito; istiociti multinucleati Iperplasia non atipica Abbondante Ampi aggregati tridimensionali; affollamento cellulare Disordine architetturale Scarso Isomorfo; cromatina finemente granulare; nucleoli piccoli o assenti Fusate Pulito/ moderatamente infiammatorio Iperplasia atipica Abbondante Aggregati tridimensionali; affollamento cellulare Disordine architetturale Apprezzabile Variabilmente pleomorfo; cromatina irregolarmente granulare; nucleoli Scarse; fusate Isomorfo; cromatina finemente granulare; nucleoli piccoli o assenti Carcinoma Abbondante Aggregati di dimensioni e con affollamento cellulare variabili; perdita della coesione cellulare; cellule isolate; cannibalismo cellulare Disordine architetturale Apprezzabile Pleomorfo; cromatina grossolanamente granulare; nucleoli o macronucleoli Molto scarse o assenti; fusate Variabilmente flogisticonecrotico 381 comunicazioni libere La diagnostica citologica endometriale in fase liquida. Criteri diagnostici e di refertazione A.M. Buccoliero, F. Castiglione, F. Garbini, C.F. Gheri, D. Moncini, G.L. Taddei Dipartimento di Patologia Umana e Oncologia, Università di Firenze La citologia endometriale non ha avuto la stessa diffusione di quella cervico-vaginale. Le motivazioni di ciò sono da ricercarsi in parte nella comune cattiva qualità dei campioni endometriali strisciati ed in parte nelle maggiori difficoltà di interpretazione dei reperti morfologici. Tali difficoltà interpretative sono legate alla particolare plasticità dell’endometrio. Esso infatti, anche in condizioni non patologiche, va incontro a vistose modificazioni morfologiche. A differenza della citologia cervico-vaginale, la citologia endometriale non è mai stata perfettamente codificata né per quel che riguarda i criteri morfologici che per le classi diagnostiche. L’avvento della citologia in fase liquida ha ottimizzato la qualità dei preparati ponendo le basi per una migliore categorizzazione diagnostica. A partire dalla fine degli anni ’90 presso il Dipartimento di Patologia Umana e Oncologia di Firenze sono stati condotti diversi studi di concordanza cito-istologica endometriale 1 2 grazie ai quali si sono potuti ridefinire e proporre criteri diagnostici e di refertazione. La diagnostica citologica endometriale si basa su valutazioni cito-architetturali quantitative e qualitative (Tabella). Va tuttavia sottolineato che la citologia endometriale non si presta a studi funzionali (dating endometriale) in quanto non consente di apprezzare sino in fondo le sottili modificazioni morfologiche cui va incontro l’endometrio sotto l’influsso ormonale. Essa al contrario va intesa quale metodica di prevenzione oncologica. E proprio in questa ottica che viene proposto un sistema di refertazione semplificato: negativo per patologia iperplastica o neoplastica; positivo per patologia iperplastica (con o senza atipie citologiche); positivo per patologia neoplastica. Bibliografia 1 Buccoliero AM, Gheri CF, Castiglione F, Garbini F, Fambrini M, Bargelli G, et al. Liquid-based endometrial cytology in the management of sonographically thickened endometrium. Diagn Cytopathol 2007;35:398-402. 2 Buccoliero AM, Gheri CF, Castiglione F, Garbini F, Barbetti A, Fambrini M, et al. Liquid-based endometrial cytology: cyto-histological correlation in a population of 917 women. Cytopathology 2007;18:241-9. Diagnosi citologica molecolare integrata (reflex fish) nella patologia neoplastica dell’urotelio C. Buriani, M. Pedriali*, M.D. Beccati, I. Nenci* Diagnostica Citopatologica, * Anatomia, Istologia e Citologia Patologica, Azienda Ospedaliero-Universitaria “S. Anna”, Ferrara Introduzione. Scopo dello studio è valutare i vantaggi dell’integrazione della diagnosi citologica con UroVysion™ test (citologia molecolare) nei sedimenti urinari di pazienti con sospetto clinico di carcinoma uroteliale o in follow-up dopo resezione transuretrale. Metodi. 161 campioni di sedimento urinario (142 pazienti; età media anni 69, range 35-91) sono analizzati con UroVysion™ test (Vysis-Abbot) nel periodo 1 giugno 2006-31 agosto 2007. 102 pazienti (71,8%) rientrano nel protocollo di follow-up dopo resezione transuretrale mentre 40 (28,2%) non hanno storia pregressa di carcinoma uroteliale, ma presentano un quadro clinico sospetto. UroVysionTM test è utilizzato come reflex test su campioni allestiti tramite citologia in fase liquida (ThinPrep®, CYTYC Corp.). Il cocktail di sonde multitarget UroVysionTM è costituito dalle seguenti sonde: CEP3-SpectrumRed, CEP7SpectrumGreen), CEP17-SpectrumAqua, LSI9p21-SpectrumGold. Si confrontano i risultati di UroVysionTM test con le diagnosi citologiche concomitanti e con le diagnosi cito-istologiche successive al test dove disponibili (112 casi; 69%). Risultati. FISH e citologia classica hanno diagnosi concordante nell’80% dei casi (32% negativi, 48% positivi). Nei casi discordanti, la FISH è positiva e la citologia negativa nell’8% dei casi e la FISH è negativa e la citologia positiva nel 13%. La FISH presenta una sensibilità del 97% ed un vpn di 98%; specificità e vpp sono rispettivamente di 60% e 54%. I 32 casi FISH positivi sono stati così classificati istologicamente: 5 PUNLMP, 10 LG-PUC, 10 HG-PUC di cui 3 muscoloinvasivi, 6 CIS. L’unico caso falso negativo in FISH è stato classificato istologicamente come PUNLMP. L’accuratezza diagnostica della citologia convenzionale è: sensibilità = 92%, vpn = 93%, specificità = 57% e vpp = 52%. L’integrazione delle due metodiche fornisce i migliori risultati: sensibilità = 100%, vpn = 100%, specificità = 67% e vpp = 59%. Conclusioni. La diagnosi citologica molecolare integrata nella patologia neoplastica dell’urotelio si dimostra particolarmente utile nei casi con citologia negativa o sospetta aumentando di 8 punti percentuali la sensibilità della sola citologia e permettendo di chiarire i casi citologicamente dubbi (10/15 casi con citologia sospetta e FISH negativa si sono rivelati veri negativi al followup cito-istologico). Essa si dimostra invece pleonastica nella diagnosi citologica di HG-PUC. L’uso della reflex-FISH consente all’urologo di migliorare il management clinico del paziente. Versamento pleurico ricco in eosinofili e con elevati valori di ldh: studio clinicocitoistologico di un caso B. Caparello, S.G. Lio, A. Leotta, M. Calderazzo* S.C. Anatomia Patologica e Citodiagnostica, P.O. Lamezia Terme; * S.C. Broncopneumologia, P.O. Lamezia Terme Riassunto. È riportato un caso di un versamento pleurico a ricca componente eosinofila e con valori elevati di LDH. La particolarità del caso consiste nel fatto che usualmente elevati valori di LDH nel liquido pleurico sono molto suggestivi di etiologia neoplastica. L’esame citologico del versamento e quello istologico delle biopsie, eseguite sulla pleura parietale in corso di videotoracoscopia, sono stati negativi per processi flogistici specifici e per neoplasia. Caso. Paziente di sesso maschile, di anni 25, che praticava attività sportiva non agonistica. Ricoverato presso l’U.O. di Broncopneumologia per toracodinia sinistra, febbricola e riscontro radiografico di versamento pleurico sinistro. L’esame TC torace con mdc ha evidenziato versamento pleurico posterobasale sinistro, in parte saccato, con parziale atelettasia del lobo inferiore del polmone sinistro. Il test cutaneo alla tubercolina (intradermoreazione alla Mantoux) è risultato negativo. Il test immunologico per la diagnosi di infezione tubercolare (QuantiFERON-TB) è risultato negativo. Esami ematochimici anormali: IgE totali = 418 Ul/ml. Sono state eseguite, a distanza di una 382 settimana, due toracocentesi sotto guida ecografica, la prima con evacuazione di circa 250 cc di liquido rosato, la seconda di circa 500 cc di liquido giallastro. I campioni sono stati sottoposti ad esame citologico, biochimico e colturale. L’esame citologico ha evidenziato un essudato a ricca componente eosinofila, l’esame colturale ha dimostrato l’assenza di lieviti e di carica batterica, l’esame biochimico ha evidenziato in particolare: glucosio 10 mg/dL; proteine totali 5,8 g d/L; LDH > 6441 U/L; pH 7,12. Discussione e conclusioni. I versamenti ricchi di eosinofili (in percentuale superiore al 10%) configurano il quadro delle cosiddette pleuriti eosinofile 1 alle quali è attribuibile un generico significato di spia immunologica, senza alcuna specificità. I versamenti a più elevata rappresentazione in granulociti eosinofili sono quelli associati a pneumotorace, ad infiltrato fugace di Loffler, a malattie allergiche, a forme fungine e parassitarie a carattere sistemico, a collagenopatie, a traumi toracici, a tubercolosi, ad alcune neoplasie maligne, al morbo di Hodgkin (varietà scleronodulare). L’esame citologico del liquido pleurico, della prima evacuazione, ha evidenziato prevalentemente una popolazione linfocitaria con granulociti eosinofili superiori al 10% e assenza di cellule atipiche. All’esame citologico del liquido pleurico prelevato con la seconda toracocentesi, a distanza di una settimana, i granulociti eosinofili erano circa il 50% delle cellule, oltre a linfociti e rare cellule mesoteliali. La particolarità di questo caso consiste nel fatto che l’ipereosinofilia del liquido pleurico della seconda toracocentesi, si associa, ad un valore elevatissimo di LDH che suggerisce una patologia neoplastica primitiva o secondaria 2 e ad un valore basso di glucosio che è compatibile con una patologia tubercolare o neoplastica. La videotoracoscopia del polmone sinistro ha evidenziato abbondanti coaguli di fibrina e di aderenze pleuroparietali multiple in parte contenenti sacche liquide, e non vere e proprie nodularità sospette in senso neoplastico. L’esame istopatologico e immunoistochimico delle biopsie pleuriche parietali ventrali e diaframmatiche ha evidenziato un quadro compatibile con pleurite aspecifica e assenza di reperti neoplastici. Escluse le diagnosi di empiema pleurico, di infezione tubercolare del polmone, e di neoplasia primitiva o secondaria pleuropolmonare, si può ipotizzare che questo caso, considerata la storia clinico-anamnestica, si sia manifestato verosimilmente in seguito ad attività fisica con trauma misconosciuto; quindi un versamento pleurico particolarmente ricco in eosinofili (almeno il 50% delle cellule), con valori elevati di LDH e bassi valori di glucosio pleurici, non necessariamente è associato a neoplasia primitiva o secondaria del polmone. Bibliografia 1 Bower G. Eosinophilic pleural effusion. A condition with multiple causes. Am. Rev. Respir. Dis., 95, 746, (1967) 2 Koss LG, et al. Eosinophilic pleural effusion. Acta Cytol 1979;23:40. Test HPV sì, test HPV no F. Castiglione, A.M. Buccoliero, F. Garbini, C.F. Gheri, D. Moncini, D. Rossi Degl’Innocenti, G.L. Taddei Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia Università di Firenze L’infezione da Human Papilloma Virus (HPV) è una delle più frequenti malattie sessualmente trasmesse nel mondo. Nel sesso femminile l’infezione da HPV può determinare quadri patologici diversi per gravità e presentazione clinica, infatti numerosi dati epidemiologici e biomolecolari hanno dimostrato il rapporto III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP tra infezione da HPV ed insorgenza del carcinoma della cervice uterina anche se questa è considerata una condizione estremamente rara di una infezione estremamente frequente. Numerose metodiche diagnostiche sono state proposte quale possibile integrazione o alternativa al Pap-Test tradizionale. Tra queste la citologia in fase liquida, la lettura automatizzata dei preparati, il test per la determinazione del genoma virale o ancora indagini immunocitochimiche o biomolecolari volte a valutare la persistenza dell’infeziona da HPV e/o l’integrazione virale. Scopo del nostro studio è stato quello di valutare l’utilità del test per l’HPV in modo generalizzato e primario o soltanto nei casi citologicamente dubbio o ancora come indagine preliminare alla vaccinazione. Bibliografia Lee SH et al. Infect. Agents Cancer 2007;52:11. Il ruolo del tecnico nel controllo di qualità nel laboratorio di Anatomia Patologica di Lamezia Terme M. Cerra, G. Coppola, M. Costabile, F. Fiorenzo S.C. Anatomia Patologica, Lamezia Terme Introduzione. Uno dei principali obiettivi di un Servizio di Anatomia Patologica è quello di fornire referti diagnostici isto-citologici accurati, completi, tempestivi e clinicamente rilevanti, basati sull’osservazione di preparati allestiti secondo procedure tecniche ottimali. L’Anatomia Patologica di Lamezia Terme ha ottenuto la certificazione di qualità secondo le norme UNI EN ISO 9001:2000, nel 2005 ed ha superato la prima verifica ispettiva nel 2006. Il tecnico di laboratorio ha avuto ed ha un ruolo molto importante per il raggiungimento ed il mantenimento di tale risultato in quanto riveste un ruolo chiave nel mantenere sotto controllo costante tutto il processo produttivo, dall’accettazione dei campioni citologici e istologici, all’allestimento di preparati di qualità, all’archiviazione dei reperti anatomici, dei vetrini e dei blocchetti di paraffina, alla gestione delle apparecchiature, della sicurezza, degli acquisti dei materiali di consumo e dei reagenti, della gestione delle scorte e del monitoraggio e controllo della spesa. L’attività del tecnico è fondamentale in comunicazioni libere quanto contribuisce in maniera determinante a favorire l’attività diagnostica del patologo. Discussione. I campioni citologici e istologici pervengono al laboratorio accompagnati dal modello di richiesta, che riporta i dati anagrafici del paziente e le notizie cliniche, MOD-C.Q.I. Richiesta esame citologico/istologico/estemporaneo. Il tecnico controlla il materiale ricevuto, la completezza dei dati riportati sul contenitore e la corrispondenza con quelli riportati sulla richiesta d’accompagnamento e annota tutte le difformità e le anomalie riscontrate sul modello MOD-C.Q.I. - ricezione campioni citologici extravaginali, vaginali e istologici. 383 I casi di non conformità sono analizzati con cadenza semestrale dal Responsabile S.G.Q., esaminati con la direzione e adottati gli eventuali provvedimenti correttivi necessari, coinvolgendo le U.O. richiedenti a prestare maggiore attenzione sia nella compilazione delle richieste d’esame che nelle procedure d’invio dei materiali da esaminare. Le colorazioni standard sono: Emotossilina-Eosina per i preparati istologici, Papanicolaou per i citologici vaginali, Papanicolaou e May-Grunwald-Giemsa per la citologia agoaspirativa. Eventuali colorazioni speciali sono richieste dal patologo sul MOD-C.Q.I. Richiesta per laboratorio cito-istologia. 384 Il tecnico è responsabile del controllo dell’efficienza, della sicurezza e della predisposizione delle apparecchiature, per le quali sono previsti interventi di manutenzione: – ordinaria; – programmata; – straordinaria. Anche i reagenti ed i materiali utilizzati nel corso dei processi sono correttamente conservati, annotando su apposito modello il rilevamento giornaliero della temperatura e quotidianamente sottoposti a controllo di idoneità all’uso (integrità, scadenza) prima dell’utilizzo. Per i prodotti non conformi, nel caso in cui la non conformità dipenda dal fornitore, il tecnico annota sul MOD-C.Q.I. – segnalazione di fornitua non conforme, informa il responsabile del Sistema di Gestione Qualità ed il direttore, e segnala il problema all’Ufficio acquisizione beni e servizi per la soluzione del problema. Fondamentale è il controllo quotidiano preventivo delle soluzioni e dei reagenti impiegati nelle procedure di fissazione, inclusione e colorazione, al fine di ottenere sempre preparati di qualità ottimale standard. A tale scopo è necessario provvedere alla loro sostituzione prima che siano alterate dal carico di lavoro con annotazione nei relativi modelli predisposti. Per quanto riguarda la sicurezza sul luogo di lavoro, sono stati analizzati i tre tipi di rischio, fisico, chimico e biologico e discusse le relative procedure di prevenzione. A tale scopo, nei locali del laboratorio sono stati affissi dei cartelli segnaletici e dei posters illustrativi in cui sono specificati tutti i tipi di rischio e le relative misure di prevenzione, inoltre una mappa dei rischi, riportata sulla piantina planimetrica, è esposta nel corridoio all’ingresso del reparto. Infine, il tecnico si occupa delle richieste di acquisto dei reagenti e materiali di consumo, del loro corretto stoccaggio; tiene sotto controllo il carico e lo scarico dei vari prodotti mediante una gestione computerizzata che consente anche la valutazione continua delle risorse giacenti e il monitoraggio della spesa. Bibliografia 1 Norme UNI EN-ISO 9001-2000. 2 Daniel S, et al. Manuale di tecnica cito-istologica. Bologna: Documentazione Scientifica Editrice 1977, p. 706-71. III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP Carcinoma midollare della tiroide senza disendocrinopatia: Sindrome di Sipple o patologia a carattere eredo-familiare? C. Criaco, N. Aspromonte*, G. Avenoso Unità di Citopatologia, Ospedale Civile di Locri, * Divisione di Chirurgia, Ospedale Civile di Siderno Il Carcinoma midollare della tiroide (TMAC) è una patologia neoplastica che deriva, in forma pressoché esclusiva, da degenerazione tumorale delle cellule parafollicolari della tiroide che secernono calcitonina. Tale patologia è noto essere spesso associata alla presenza di Neoplasia Endocrina Multipla Familiare (MEN) che si caratterizza per un aumento dei livelli plasmatici di diversi ormoni ipofisari e per una serie di alterazioni sistemiche ad esso correlate. Altra caratteristica di questa forma è l’età giovanile di insorgenza della patologia e di una certa familiarità che, nell’insieme configurano, assieme alla presenza di feocromocitoma e di iperplasia delle paratiroidi, la cosiddetta Sindrome di Sipple. Qui riportiamo un caso di TMAC, apparentemente non associato a sindrome completa. E.Z. di 27 anni, è giunta alla nostra osservazione in quanto un esame ecografico, eseguito in assenza di sintomatologia significativa, evidenziava un piccolo nodulo unico, ipoecogeno, solido a margini netti di circa 6 mm di diametro, localizzato a livello del lobo dx della tiroide. L’esame citologico sull’agoaspirato ha documentato la presenza di cellule dall’aspetto fusato, nucleolate e talora con nuclei di grosse dimensioni. Inoltre, in alcuni campi, si evidenziava una ricca cellularità con un background di materiale amorfo strutturato, riferibile a sostanza amiloide associata alla presenza, sul fondo, di elementi cellulari di cospicue dimensioni, francamente atipici. Un esame immunocitochimico, infine, ha documentato la presenza di significativa positività per la calcitonina a documentazione dell’origine degli elementi cellulari rilevati dalle cellule parafollicolari e quindi, della possibile presenza di un TMAC. Eseguita la resezione chirurgica della tiroide, tale diagnosi è stata confermata successivamente dall’esame istologico ed immunoistochimico effettuato sul pezzo operatorio. Tale reperto, ha indotto a verificare l’esistenza di familiarità per la patologia neoplastica e ad esplorare l’assetto neuroendocrino della paziente, rilevando la presenza di un altro caso, in famiglia, di neoplasia tiroidea giovanile, pur in assenza di specificità per l’origine parafollicolare della neoplasia. Inoltre, non era possibile rilevare alterazioni delle concentrazioni plasmatiche di ACTH, di somatostatina e di calcitonina. Inoltre, non erano evidenti alterazioni dei livelli delle catecolamine urinarie e dei livelli di paratormone. Unico elemento che si repertava nel caso in esame e nella storia familiare della paziente, era la presenza di ipertensione arteriosa giovanile. Ne deriva, che il caso esaminato di TMAC, pur in presenza di evidente familiarità e di alterazioni giovanili riferibili ad ipertensione arteriosa, non si associava, allo stato, a MEN. Ulteriori studi sono richiesti per verificare l’esistenza di una alterazione neurendocrina più fine associata alla patologia neoplastica verificata nel caso studiato. In tal senso, si è proceduto alla valutazione dell’assetto genico della paziente e dei suoi collaterali, in particolare per la ricerca di mutazioni puntiformi del gene RET, localizzato a livello del cromosoma 10, che sembrerebbe rappresentare il substrato genico di tale patologia che potrebbe fornirci l’elemento interpretativo più significativo per l’inquadramento del caso in esame. 385 comunicazioni libere Esperienza della lettura computer assistita 2004-2006 N. De Maria, A. Arcoria, V. Aricò, V. Lombardo, M.P. La Fauci, R. Valveri AUSL 5, Screening per la prevenzione del Cervico-Carcinoma Messina Lo Screening per la prevenzione del Cervico-Carcinoma di Messina si avvale di un sistema di lettura Computer-Assistita mediante Focal Point SW (Slide Wizard) che affianca la lettura del citologo. Il Focal Point funziona tramite un sistema di analisi di immagini che valuta i vetrini in base ad algoritmi complessi classificandoli secondo la probabilità che questi contengano anomalie morfologiche cellulari e li suddivide in 5 quintili con probabilità decrescente dal 1° al 5° di contenere tali anomalie. Per anomalie cellulari si intendono tutte le alterazioni citomorfologiche di tipo reattivoriparativo, pre-neoplastico e neoplastico. Le anomalie cellulari vengono rappresentate da 15 aree o “campi di visione” (FOV) ritenute dal Focal Point come più significative per la diagnosi. Questi campi vengono trasmessi ad una “stazione di revisione” (SW) il cui microscopio è in grado di ricollocarli tramite un comando a pedale, sul vetrino. Si ottiene così una mappatura del vetrino; il citopatologo vede le 15 aree e valuta anche il resto del vetrino per giungere ad una diagnosi citologica finale. Inoltre il Focal Point segnala nel modulo di stampa (REPORT) la presenza o l’assenza della componente squamosa ed endocervicale, la percentuale di flogosi e/o la presenza di sangue che offusca la lettura e li valuta come: SAT (soddisfacente), UNSAT (insoddisfacente), SBLB (quasi soddisfacente). I vetrini passati in macchina vengono classificati in: – No Further Review (NFR): rappresentano i Pap test ritenuti negativi dal Focal Point e che non necessitano di ulteriore revisione da parte del citologo, vengono comunque rivisti con lettura convenzionale rapida perché si è visto che ci può essere il ritrovamento in questa categoria di lesioni intraepiteliali di basso e medio grado sul totale dei vetrini letti (nella nostra casistica rappresentano il 25% e abbiamo riportato un solo caso di CIN2). – Further Review (FR): rappresentano i Pap test processati dal Focal Point e ritenuti qualificati per la rilettura da parte del citologo, vengono suddivisi in 5 quintili (Pap test sia negativi che positivi). – Process Review (PR): rappresentano i Pap test non processati. Sono i vetrini che, per motivi di allestimento tecnico inadeguato, il Focal Point non può valutare. Sono ritenuti “non qualificati” e vengono letti in convenzionale dal citologo, nella nostra casistica rappresentano il 10%. Al fine di ridurre questa percentuale si ritiene necessaria un’accurata preparazione tecnica del vetrino, con la presenza di cellule endocervicali e/o metaplastiche, una fissazione che avvenga immediatamente dopo la stesura del preparato citologico, una colorazione con metodo di Papanicolaou, un buon montaggio che eviti la formazione di bolle. Per la refertazione ci avvaliamo del Sistema Bethesda 2001 il cui fine è l’utilizzo di una terminologia standard e riproducibile tra gli operatori del settore. I dati ottenuti dalla nostra esperienza, per gli anni 2005-2006, con lettura Computer-Assistita dimostrano che le lesioni ASC + vengono rappresentate per l’80% nei primi due quintili e il 100% delle lesioni di alto grado nel 1° quintile. Può accadere di contro che non sempre i primi quintili corrispondano a lesioni di alto grado, questo si ha quando gli aspetti citolo- gici di situazioni cliniche quali l’atrofia, l’erosione, trichomoniasi o micosi ecc. simulano quelle caratteristiche di atipie cellulari che il Focal Point considera come positive. Spetta al citopatologo saper individuare tali discordanze e collocarle opportunamente secondo una corretta e accurata interpretazione citologica finale. La nostra esperienza è stata positiva in termini di affidabilità ed accuratezza diagnostica da parte del Focal Point ritenendo tale lettura sovrapponibile alla lettura di tipo convenzionale. Abbiamo ottimizzato i tempi di lettura, riducendoli del 30% e questo ci ha consentito di poter dedicare più tempo ai controlli di qualità con conseguente raggiungimento di un valore predittivo per positivo (VPP) per H-SIL pari a 1. Questo contribuisce a sostenere l’implementazione delle nuove tecnologie (Focal Point SW). Bibliografia 1 GISCi. Raccomandazioni GISCi per l’applicazione di nuove Tecnologie nei programmi di Screening della Cervice Uterina. Documento aggiornato al 16 Aprile 2007. 2 Maioli P. Focus on Bethesda Workshop 2001. 3° Bethesda Workshop, N.C.I. of Health, Bethesda, Maryland USA, 30 Aprile-2 Maggio 2001. 3 ASP - Agenzia di Sanità Pubblica. Screening. Anno 3 numero 2 Maggio-Agosto 2005, p. 8. 4 GISCi. Raccomandazioni per il controllo di qualità in citologia cervico-vaginale. Epidemiol Prev 2004;28:(Suppl 1):1-16. Vantaggi e difficoltà dello screening citologico endometriale R. Depietra, M.T. Trentin, D. Toso, G. Lodovichetti Laboratorio Pennelli di Istopatologia e Citologia, Padova Introduzione. Le neoplasie endometriali sono affezioni tipiche del post-menopausa e in genere uno screening mirato è previsto solo per una circoscritta popolazione asintomatica ma ritenuta a rischio. Il pap test ha dimostrato al riguardo scarsa sensibilità. Più attendibile è la citologia endometriale per aspirazione o brushing in soggetti con iperplasia ghiandolare postmenopausale per la possibilità di evidenziare “atipie” talora correlate a terapia ormonale sostitutiva o antiestrogenica per tumori mammari 1 2. Metodi. Nel periodo 2005-2007 sono stati esaminati 11316 casi di citologia endometriale in soggetti di età compresa fra 35 e 75 anni. Alcuni reperti citologici “atipici” sono stati riesaminati con ulteriori prelievi per controllo istologico. Risultati. I risultati delle nostre osservazioni sono stati riassunti nella Tabella I. Tab. I. Risultati delle osservazioni citologiche endometriali di 11316 casi. N° casi % Inadeguati Diagnosi citologica 1969 17,4 Negativi (reperti con aspetti follicolinici, progestinici, misti, disfunzionali, atrofici) 7866 69,5 Iperplasia ghiandolare senza atipie 1405 12,4 Iperplasia ghiandolare atipica (AGC) 76 0,7 29 dei 76 casi classificati AGC in citologia sono stati riesaminati per controllo istologico con il seguente risultato: 5 adenocarcinomi endometrioidi, 2 carcinomi recidivi dell’ovaio con metastasi endometriale, 1 adenocarcinoma in situ endo- 386 cervicale, 3 iperplasie adenomatose atipiche dell’endometrio, 5 iperplasie ghiandolari semplici, 13 reperti negativi correlati peraltro a lesioni benigne coerenti con fibromatosi, polipi o altro. Conclusioni. In conclusione riteniamo che lo screening citologico oncologico endometriale rappresenti tutt’oggi una metodica discutibile qualora non venga ristretta a soggetti a rischio o clinicamente sintomatici. I reperti inadeguati (17%) e la difficoltà diagnostica nell’intepretare la natura di aggregati epiteliali in soggetti con atrofia rappresentano un limite a questa metodica che richiede grande esperienza e applicazione da parte del citologo. Tuttavia in un numero significativo di casi (12%) è stato possibile indicare al clinico una iperplasia benigna senza atipie. Solo in una piccola percentuale di soggetti abbiamo riscontrato quadri “atipici” che richiedevano ulteriore controllo istologico (0,7%). Bibliografia 1 Koss LG, Melamed MR Koss. Diagnostic cytology and its histopathologic bases. Vol. 1. Lippincott 2006, p. 422-65. 2 Cibas ES, Ducatman BS. Cytology. Toronto: Saunders 2003, p. 47-50. 1° caso Assessment of rt-pcr detection of Human Mammaglobin for the diagnosis of breast cancer derived pleural effusions F. Fedeli, P. Ferro*, A.M. Carletti**, B. Bacigalupo, P. Dessanti, M.C. Franceschini, L. Pratticò**, P.A. Canessa**, S. Roncella Division of Histopathology and Cytopathology, “Sant’Andrea” Hospital, La Spezia; * AIL, Sezione “Francesca Lanzone” La Spezia; ** Division of Pneumology, “San Bartolomeo” Hospital, Sarzana, Italy Introduction. Pleural effusions (PE) are commonly observed in patients with breast cancer (BC) and predict an extremely poor prognosis. Detection of BC cells in PE is usually achieved by routine cytomorphology. However, the diagnosis by this methodology is often difficult due to the small number of malignant cells and their dispersion among reactive mesothelial cells, monocytes or red blood cells. Therefore, more sensitive and specific techniques for diagnosis of PE would be required. Recently, polymerase chain reaction (PCR) for Human mammaglobin (hMAM) gene has been developed for the detection of BC micrometastasis and it has been proven to be highly sensitive. The aim of this study is to investigate the possible application of a nested RT-PCR for hMAM mRNA as an adjunctive test to cytology in the diagnosis of PE. Materials and mathods. Two-hundred and fifty PE including 28 from BC, 116 from other cancers and 102 from benign diseases were subjected to nested RT-PCR for hMAM and the results were compared to conventional cytology. Moreover, diagnostic performance of the test was assessed by computing sensitivity (Se), specificity (Sp), accuracy (Ac), positive predictive value (PPV) and negative predictive value (NPV). Results. hMAM was found expressed in 76/250 (30.4%) total PE and in 23/28 (Se of 82.1%) of the PE sub-group related to BC. The Sp for hMAM detection method was 75.7%, while Ac, PPV and NPV were 76.4%, 30.3% and 97.1%, respectively. hMAM was also detected in 46/116 (39.6%) PE from other types of cancer and in 7/102 (6.9%) from benign diseases. III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP Comparative analysis of RT-PCR and cytology showed that 14 PE from BC (50%) were positive by both PCR and cytology, 9 (32.1%) were positive only by PCR and 5 (17.9%) were negative by both tests. RT-PCR increased Se of cytology of 32.1% (McNemar test p-value = 0.004). Conclusions. RT-PCR for hMAM was more sensitive than cytomorphology. So, although hMAM is not BC specific, it may be useful in adjunct to cytology for the routine screening of malignant BC effusions. 2° caso Carcinoma a cellule aciniche del pancreas V. Canzonieri, T. Salviato, T. Perin S.O.C. di Anatomia Patologica, Centro di Riferimento Oncologico di Aviano, Istituto Nazionale Tumori, IRCCS Descrizione del caso. Soggetto di sesso maschile di anni 23 con dolori addominali diffusi e perdita di peso. Una TAC dimostrava la presenza di una massa pancreatica della testa e del corpo di verosimile natura neoplastica con estensione al tessuto peripancreatico. Erano presenti anche lesioni nodulari multiple al fegato. L’esame citologico sottoguida ecoendoscopica (EUS-FNAC) era diagnostico per neoplasia epiteliale ad aggregazione solida o vagamente acinare ad elementi di piccola-media taglia monomorfi con lievi irregolarità nucleari, cromatina a “clumps”, evidenti nucleoli e citoplasma “granuloso” eosinofilo. Tali elementi presentavano PAS-D – positività di membrana (apicale). I risultati dell’indagine immunocitochimica su tali elementi sono riportati in Tabella I. La diagnosi posta fu di carcinoma a cellule aciniche del pancreas. Nel presente caso le diagnosi differenziali, su base citomorfologica, includono i tumori neuroendocrini, che però in genere hanno citoplasma non granuloso, cromatina tipo “salt and pepper” e nuclei privi di evidenti nucleoli; il tumore solido pseudopapillare che presenta, in genere, architettura papillare e maggior monomorfismo citonucleare; l’adenocarcinoma duttale che ha maggior background flogistico e talora evidente arrangiamento tubulo-ghiandolare. Discussione. Il carcinoma a cellule aciniche (CAA) del pancreas è una neoplasia rara. Si tratta di un’entità nota almeno dal 1947, quando fu descritta da Auger come condizione associata a necrosi del tessuto adiposo, (da iperincrezione lipasica) 1. Costituisce circa l’1-2% di tutti i tumori esocrini del pancreas e potrebbe essere correlato ad un gruppo di lesioni proliferative “acinari” che vanno dall’iperplasia, a volte atipica (che non pare sia comunque precursore del carcinoma, come inizialmente sostenuto da alcuni Autori) 2, all’adenoma e cistoadenoma a cellule Tab. I. Caso riportato. Immunocitochimica CkAE1/AE3 + Ck7 + Sinaptofisina + Alfa trispina CEA Cromogranina A Ki-67 + -/ + + (30%) 387 comunicazioni libere aciniche, fino al carcinoma e cistoadenocarcinoma. Si conoscono anche due varianti descritte come intraduttale e papillare 3. Il CAA si presenta spesso in soggetti adulti, con dolore addominali vaghi e perdita di peso, ma, a volte, può essere una scoperta incidentale. Esso può interessare la testa o la coda del pancreas, ed è un tumore ben circoscritto, parzialmente capsulato con superficie di taglio grigio-rosea omogenea o con evidenti aree di necrosi ed emorragia 4 5. Microscopicamente la maggior parte dei tumori sono molto cellulati con minimo stroma e, a differenza dell’adenocarcinoma duttale, senza desmoplasia. Sono descritti 4 pattern di crescita: acinare, solido, trabecolare e ghiandolare 6. Il primo, presente nella maggior parte dei tumori, è spesso frammisto con i patterns trabecolari e ghiandolari. Le cellule neoplastiche somigliano alle normali cellule pancreatiche acinari. I nuclei sono rotondi o ovalari con lieve pleomorfismo e con nucleoli singoli e prominenti. Il citoplasma è abbondante eosinofilo e granuloso per la presenza di granuli di tipo enzimatico (zimogeno) che sono PAS-positivi e diastasi resistenti, ma nei tumori solidi la PAS positività può essere debole. L’attività mitotica può essere variabile, da rare mitosi fino a più di 50 per 10HPF. Poiché le cellule normali pancreatiche secernono gli enzimi specifici, gli anticorpi di maggiore utilità da un punto di vista immunoistochimico sono quelli diretti contro tali enzimi, cioè tripsina, chimotripsina, amilasi, elastasi, lipasi. Quando le cellule neoplastiche mostrano segni di polarità è presente positività apicale di membrana per questi marcatori, mentre, nelle forme solide, la positività è in genere focale e ristretta a cellule singole. La positività per tripsina e chimotripsina facilita la distinzione di questi tumori dai tumori endocrini e dai tumori solidi pseudopapillari (entrambi negativi, in genere, per tripsina e chimotripsina). Inoltre, i tumori solidi pseudopapillari, sono positivi per α-1-antitripsina che, in genere, è negativa nei carcinomi a cellule aciniche 6. Infine, la positività citoplasmatica “apicale” per la reazione PAS-D, indicativa di presenza di zimogeno, è abbastanza specifica per i carcinomi a cellule aciniche, fornendo un ulteriore elemento utile per la diagnosi 6. Per quanto riguarda la possibile differenziazione endocrina, una positività per cromogranina A e sinaptofisina può essere riscontrata nel 30-50% dei casi di carcinoma a cellule acini- che 7 8. In genere essa si ha nelle forme solide, come sparse cellule tumorali positive 5. Nei casi in cui tale differenziazione endocrina è, invece, riscontrabile in più del 25% delle cellule aciniche neoplastiche, si può considerare la possibilità di un carcinoma misto acinare-endocrino 6. Nella Tabella II è riportato uno schema di diagnostica differenziale immunoisto(cito)chimica dei principali tumori epiteliali pancreatici. Il carcinoma a cellule aciniche, studiato anche da un punto di vista ultrastrutturale, dimostra una somiglianza con le normali cellule pancreatiche, con un reticolo endoplasmatico ben sviluppato e granuli di zimogeno (diametro medio di 400-500 nm) che sono comunemente orientati verso lo spazio luminale. Un reperto interessante in tali tumori è la presenza di inclusioni filamentose aderenti alle membrane che sono considerate nell’ambito dello spettro morfologico dei granuli di zimogeno 9-11. Inclusioni simili sono presenti molto raramente nei tumori endocrini 12 e pertanto esse possono servire come markers ultrastrutturali nella diagnosi di carcinoma a cellule aciniche. A differenza dell’adenocarcinoma duttale, il carcinoma a cellule aciniche mostra solo raramente mutazioni del K-Ras, p53, p16, DPC4. Una recente analisi ha identificato perdite/delezioni in 11p nel 50% dei casi. In aggiunta il 24% dei carcinomi a cellule aciniche hanno anomalie nel “pathway” APC/ß-catenina, per mutazioni dei geni di ß-catenina o di APC 13. Da un punto di vista clinico, il CAA è, in genere, un tumore aggressivo e la maggior parte dei pazienti muore a causa della malattia entro una media di 18 mesi dopo la diagnosi. La sopravvivenza a 5 anni è del 5,9%, che è comunque migliore rispetto a quella dell’adenocarcinoma duttale 6. Pazienti giovani (meno di 60 anni) e pazienti con tumore inferiore a 10 cm tendono ad avere una sopravvivenza più lunga, mentre pazienti con sintomi da lipasi sierica elevata vanno peggio (sopravvivenza media di 8,8 mesi). Si tratta circa del 15% circa dei pazienti in cui si sviluppa necrosi diffusa del tessuto adiposo sottocutaneo, poliartrite ed eosinofilia (triade di Schimd) 5 14. Per il carcinoma a cellule aciniche pancreatico la resezione è il trattamento di scelta con o senza radio chemioterapia, ma nel 50% circa dei casi la malattia è già metastatica alla prima diagnosi. Tab. II. Diagnosi differenziale immunoistochimica dei principali tumori del pancreas. Bibliografia 1 Auger C. Acinous cell carcinoma of the pancreas with extensive fat necrosis. Arch Pathol 1947;43:400-5. 2 Kodama T, Mori W. Atypical acinar cell nodules of the human pancreas. Acta Pathologica Jpn 1983;33:701-14. 3 Basturk O, Zamboni G, Klimstra DS, Capelli P, Andea A, Kamel NS, et al. Intraductal and papillary variants of acinar cell carcinomas. Am J Surg Pathol 2007;31:363-70. 4 Klimstra DS, Heffess CS, Oertel JE, Rosai J. Acinar cell carcinoma of the pancreas. A clinicopathologic study of 28 cases. Am J Surg Pathol 1992;16:815-37. 5 Solcia E, Capella C, Kloppel G. Tumors of the Pancreas. Washington, DC: Armed Forces Institute of Pathology. Atlas of Tumor Pathology; 3rd series, fascicle 20. 1997, p. 103-114. 6 Klimstra DS. Nonductal neoplasms of the pancreas. Mod Pathol 2007;20(Suppl):S94-112. 7 Hoorens A, Lemoine NR, McLellan E, Morohoshi T, Kamisawa T, Heitz PU, et al. Pancreatic acinar cell carcinoma. An analysis of cell lineage markers, p53 expression, and Ki-ras mutation. Am J Pathol 1993;143:685-98. 8 Notohara K, Hamazaki S, Tsukayama C, Nakamoto S, Kawabata K, Mizobuchi K, et al. Solid-pseudopapillary tumor of the pancreas: immunohistochemical localization of neuroendocrine markers and CD10. Am J Surg Pathol 2000;24:1361-71. 9 Tucker JA, Shelburne JD, Benning TL, Yacoub L, Federman M. CCA END TSP ACD CKAE1AE3 + + +/- + Tripsina + - - - Chimotripsina + - - - Antitripsina - - - - CEA -/+ - - + CK7 + + - + Cromogranina A -/+ + -/+ - Sinaptofisina +/- + -/+ - CD56 - + + - Vimentina - - + - CD10 - - + - -/+ - + - ß-Catenina CAA: Carcinoma a cellule aciniche; END: Tumori Neuroendocrini; TSP: Tumori solidi pseudo papillari; ACD: Adenocarcinoma duttale 388 10 11 12 13 14 Filamentous inclusions in acinar cell carcinoma of the pancreas. Ultrastruct Pathol 1994;18:279-86. Chong JM, Fukayama M, Shiozawa Y, Hayashi Y, Funata N, Takizawa T, et al. Fibrillary inclusions in neoplastic and fetal acinar cells of the pancreas. Virchows Arch 1996;428:261-6. Ordonez NG, Mackay B. Acinar cell carcinoma of the pancreas. Ultrastruct Pathol 2000;24:227-41. Ordonez NG. Insulinoma with fibrillar inclusions and acinar cell elements. Ultrastruct Pathol 2001;25:485-95. Abraham SC, Wu TT, Hruban RH. Am J Pathol 2002;160:953-62. Ashley SW, Lauwers GY. Case records of the Massachusetts General Hospital. Weekly clinicopathological exercises. Case 37-2002. A 69-year-old man with painful cutaneous nodules, elevated lipase levels, and abnormal results on abdominal scanning. N Engl J Med 2002;347:1783-91. Emopoiesi extramidollare in sede paravertebrale in paziente con mastocitosi sitemica. Case report A.V. Filardo, L. Leonetti, A.M. Lavecchia*, L. Tucci* U.O. Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera “PuglieseCiaccio”, Catanzaro Descriviamo il caso di un paziente con emopoiesi extramidollare in sede lombare paravertebrale diagnosticato tramite FNAB. Il paziente era affetto da mastocitosi sistemica a prevalente localizzazione osteomidollare e splenica. Paziente di sesso maschile, di anni 70, veniva ricoverato presso l’U.O. di Oncologia della nostra Azienda per pancitopenia e splenomegalia. Veniva quindi effettuata biopsia osteomidollare. L’esame istologico evidenziava: cellularità del 100%, con prevalenti aree midollari (circa il 60%) costituite da elementi cellulari con nucleo ovoidale o fusato ed ampio citoplasma eosinofilo (CD45+, CD68+ e CD117+). Veniva pertanto fatta diagnosi di “mastocitosi”, in seguito alla quale il paziente effettuava cicli di terapia con interferone, cortisone, oncocarbide e imatinib, con miglioramento del quadro clinico. Dopo un intervallo di 4 anni circa, un esame ecografico addominale di controllo evidenziava in sede lombare paravertebrale dx una massa disomogenea di circa 7 cm, iperecogena e a margini irregolari che veniva sottoposta ad agoaspirato. Il reperto citologico, costituito da elementi immaturi ad abito mieloide, da elementi di piccole dimensioni simili ad eritroblasti e da rare cellule giganti con nucleo polilobato, deponeva per emopoiesi extramidollare. Una successiva agobiopsia confermava il reperto citologico e ne permetteva la documentazione immunoistochimica (CD117-, CD45-, glicoforina+, mieloperossidasi+, fattore VIII RA+). La mastocitosi è una proliferazione neoplastica caratterizzata dall’accumulo di mastociti in uno o più distretti corporei, più frequente dopo la III decade di vita. Nel 15-20% dei casi coinvolge organi viscerali e il midollo osseo (mastocitosi sistemica). Emopoiesi extramidollare nei tessuti molli paravertebrali, soprattutto in sede mediastinica, è stata descritta in pazienti con anemie ereditarie. Nel nostro caso, la diagnosi di emopoiesi extramidollare si basava oltre che su dati citologici, anche sul reperto ecografico (disomogeneità ed iperecogenicità della massa) e sulla sede, che permettevano di escludere la possibilità di un mielolipoma. Inoltre, l’infiltrazione neoplastica della milza rendeva impossibile una emopoiesi extramidollare a livello splenico. III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP Adenoma pleomorfo infartuato: presentazione di un caso simulante la malignità diagnosticato su campione di biopsia per ago sottile F. Fulciniti, S. Losito, D. Di Mattia, G. Botti Settore di Citodiagnostica, U.O. di Anatomia Patologica, Istituto Nazionale Tumori “Fondazione G. Pascale”, Napoli Introduzione. L’infarto spontaneo delle neoplasie delle ghiandole salivari è un evento abbastanza raro 1 2. Le modificazioni citopatologiche indotte dall’infarto ischemico sono, pertanto, poco note a livello delle ghiandole salivari poiché esse fanno più spesso seguito all’agoaspirato, piuttosto che precederlo. Metodi. Una paziente di 49 anni, che lamentava la rapida comparsa di una tumefazione in regione pre-tragica venne sottoposta a biopsia per ago sottile senza aspirazione, con ago 23G. La tumefazione, del diametro di 3,5 cm, era di consistenza duro-elastica e poco mobile sui piani profondi. Il prelievo, eseguito più volte, dava esito a materiale cremoso. Risultati. Citologicamente, in uno sfondo infiammatorio caratterizzato da un essudato granulocitario ed istiocitario, erano evidenti, oltre a cellule acinari iperplastiche ed a cellule duttali salivari di aspetto benigno, cellule disperse di tipo cheratinizzante, di media e grossa taglia, con gravissime atipie nucleocitoplasmatiche, che vennero ritenute fortemente suggestive per malignità. Si consigliava, pertanto, l’escissione chirurgica con esame istopatologico intra-operatorio. Il successivo campione chirurgico evidenziò un adenoma pleomorfo della parotide con parziale trasformazione cistica. L’epitelio di rivestimento della parete cistica mostrava metaplasia squamosa atipica, necrosi ed atipie nucleo-citoplasmatiche sovrapponibili a quelle osservate nel campione citologico. Conclusioni. La possibilità di modificazioni infartuati, sia pur se rara, va tenuta presente nella diagnostica differenziale delle tumefazioni delle ghiandole salivari allo scopo di evitare diagnosi di falsa positività, in un distretto anatomico nel quale la chirurgia radicale può provocare danno estetico ed anatomico permanente. Bibliografia 1 Behzatoglu K, Bahadir B, Huq GE, Kaplan HH. Spontaneous infarction of a pleomorphic adenoma in parotid gland: diagnostic problems and review. Diagn Cytopathol 2005;32:367-9. 2 Layfield LJ, Reznicek M, Lowe M, Bottles K. Spontaneous infarction of a parotid gland pleomorphic adenoma. Report of a case with cytologic and radiographic overlap with a primary salivary gland malignancy. Acta Cytol 1992;36:381-6. Coriocarcinoma gestazionale: caratteristiche morfologiche in un campione citologico endometriale in fase liquida F. Garbini, A.M. Buccoliero, F. Castiglione, C.F. Gheri, D. Moncini, D. Rossi Degl’Innocenti, A. Barbetti, A. Villanucci*, G.L. Taddei Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia; * Ginecologia, Perinatologia e Fisiopatologia della riproduzione umana, Università di Firenze Il coriocarcinoma è un tumore raro, può rappresentare una complicanza di una gravidanza normale o patologica oppure può insorgere nelle gonadi o in sede extragonadica indipen- comunicazioni libere dentemente dalla gravidanza, in uomini e donne. Nei Paesi occidentali l’incidenza del coriocarcinoma gestazionale è di circa 1 su 45.000 gravidanze, e nella maggior parte dei casi si presenta in donne con meno di 35 anni. La prognosi è buona poiché, nonostante abbia la tendenza a diffondersi in altre parti del corpo, è estremamente chemiosensibile. La maggior parte dei coriocarcinomi secerne gonadotropina corionica ed il suo dosaggio nel sangue aiuta nella diagnosi della neoplasia e nel monitoraggio della terapia. Microscopicamente il coriocarcinoma si compone di cellule multinucleate del sinciziotrofoblasto frammiste a cellule poligonali del citotrofoblasto e a cellule intermedie disposte in singoli elementi o in clusters, in assenza di villi corionici. Sono presenti numerose mitosi, necrosi, emorragie ed invasione miometriale e vascolare. Riportiamo il caso di una paziente di 33 anni che ha avuto 2 precedenti gravidanze e 2 aborti spontanei. Nella prima metà del mese di dicembre ha avuto un parto fisiologico. In seguito ha presentato un sanguinamento vaginale anomalo. Alla fine del mese di gennaio ha avuto un dolore a livello del polmone destro. L’esame radiografico ha mostrato lesioni multiple in entrambi i polmoni, la betaHCG raggiungeva un valore superiore a 1.000.000 mU/mL. L’ecografia della pelvi ha evidenziato la presenza di una massa uterina altamente vascolarizzata. La paziente è stata sottoposta ad un esame citologico endometriale allestito con metodica in fase liquida. Il preparato citologico presentava una moderata cellularità composta da piccoli clusters cellulari di cellule grandi con nuclei rotondi e cromatina dispersa, evidenti nucleoli eosinofili ed abbondante citoplasma chiaro. Occasionalmente si osservavano cellule multinucleate. Il fondo si presentava necrotico con abbondanti cellule infiammatorie. Le caratteristiche morfologiche, in accordo con i dati clinici e radiografici, rafforzano la diagnosi di coriocarcinoma. In base alle nostre conoscenze questa è la prima descrizione delle caratteristiche morfologiche citologiche del coriocarcinoma gestazionale in campioni allestiti in fase liquida. La citologia in fase liquida è una metodica non invasiva che potrebbe essere utile nella diagnosi del coriocarcinoma. Applicazione di una classificazione inedita ad un’ampia casistica di agoaspirati tiroidei sotto guida ecografica: risultati ottenuti e correlazione citoistologica G. Gardini, S. Piana, M. Ferrari, E. Froio Servizio di Anatomia ed Istologia Patologica e Citodiagnostica, Arcispedale “Santa Maria Nuova”, Reggio Emilia, Italia Introduzione. La citologia agoaspirativa è tradizionalmente utilizzata nella diagnostica di noduli tiroidei palpabili – in particolare quella sotto guida ecografica –, garantisce elevati livelli di sensibilità e specificità e consente di esaminare anche lesioni non palpabili, fino a 0,5 cm di diametro. L’uso delle categorie diagnostiche, condivise dai clinici, rappresenta un elemento indispensabile in un percorso assistenziale integrato, così da selezionare i pazienti destinati all’intervento chirurgico o al follow-up. Metodi. Abbiamo estratto tutti i casi di citologia agoaspirativa dal 1998 al 2006, pari a circa 15.000 esami, basandoci sul codice SNOMED del nostro archivio informatico e li abbiamo riclassificati utilizzando un sistema a 5 categorie diagnostiche, in parte analogo ad altri sistemi descritti in letteratura 1 2. Tale 389 sistema rientra nella logica di classificazioni attualmente in uso in altri campi della citologia diagnostica, in cui tra malignità (C5) e benignità (C2) si pongono due sottocategorie, una definita “dubbia” (C3), più vicino alla benignità, ed una definita “sospetta” (C4), più vicina alla malignità. Abbiamo collocato le neoformazioni follicolari nella categoria “dubbia”, insieme a quei casi con alterazioni nucleari indeterminate ed insufficienti per un sospetto di carcinoma papillare, e a quelle proliferazioni linfocitarie in assenza di epitelio, che pongono la diagnosi differenziale fra tiroidite e linfoma. Abbiamo poi definito la categoria “inadeguato” come C1 e per ogni categoria abbiamo cercato dei precisi criteri morfologici riproducibili. Risultati. Sono stati analizzati 15.534 referti citologici, pari a 13.091 pazienti, con i risultati che seguono. C1 (“inadeguato”). La media degli esami inadeguati è passata da 20,7% del 1998 al 7,5% del 2006. Se consideriamo che, diversamente da altre casistiche 3, non è prevista alcuna citoassistenza, cioè nessuna valutazione immediata dell’adeguatezza del materiale, tali valori sono coerenti a quanto riferito in un’ampia revisione della letteratura da Gharib e Gollner 4 che, considerando più di 18.000 casi, riportano una percentuale di inadeguati compresa fra il 2% ed il 21%, con una media del 17%. C2 (“benigno”). Il risultato del 74,2% si colloca nell’ambito dei valori medi, con una scarsa variabilità nel corso degli anni. Nella revisione di Gharib e Gollner 4 la percentuale degli esami citologici benigni va dal 53% al 90%, con una media del 69%; nelle altre casistiche numericamente rilevanti 3 5-7, la percentuale è compresa fra il 37% e l’87,3%. C3 (“dubbio”). La percentuale da noi riportata in questa categoria, che potremmo definire la vera “zona grigia” della citologia tiroidea, è del 8,6% a fronte del 10% secondo Gharib e Gollner 4 e del 18,6% di Poller et al. 1. Tale dato risulta soddisfacente se consideriamo che in questa categoria sono comprese anche le “neoformazioni follicolari”, dai più inserite nella categoria delle lesioni “sospette” o “indeterminate”, per l’accertata impossibilità di caratterizzarle con esattezza mediante il solo esame citologico. Le neoformazioni follicolari, la cui percentuale varia dal 10% al 20% a seconda delle casistiche 8-11, sono in gran parte costituite, alla verifica istologica, da adenomi follicolari, per quanto comprendano anche carcinomi follicolari e varianti follicolari di carcinoma papillare. Il rischio dell’“overtreatment” chirurgico, che appare inevitabile in caso di diagnosi citologica di “sospetto” e che può giungere fino all’85% dei pazienti 12, rende indispensabile l’applicazione stringente dei criteri citologici differenziali fra “dubbio” e “sospetto”. C4 (“sospetto”) e C5 (“maligno”). Le due classi citologiche comprendono un numero di casi che non eccede il 5% ed in cui le diagnosi di malignità superano sempre quelle di sospetto. Poiché a tale valutazione segue un intervento chirurgico, è possibile confermare il dato o valutare i motivi di eventuali falsi positivi. La correlazione cito-istologica è stata possibile per 1.511 pazienti, pari al 11,5% dei 13.091 pazienti che hanno eseguito un’agoaspirazione tiroidea. 1)Dei 2.045 agoaspirati con diagnosi di C1 (inadeguato), corrispondenti a 478 pazienti, 73 pazienti (3,56%) sono stati sottoposti ad intervento chirurgico. Di questi, 56 pazienti (76%) hanno ricevuto una diagnosi di lesione benigna, mentre 17 (23,2%) sono risultati affetti da neoplasia maligna. Le neoplasie maligne costituiscono perciò lo 0,8% dei casi classificati inizialmente come C1, un valore decisamente inferiore rispetto ad altre casistiche 13. 390 III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP 2)Dei 1.337 agoaspirati con diagnosi di C3 (dubbio), corrispondenti a 578 pazienti, 542 pazienti (72%) sono stati sottoposti ad intervento chirurgico. Di questi, 396 pazienti (73%) sono risultati portatori di lesioni benigne, mentre in 146 casi (27%) la lesione è risultata maligna. Nel gruppo delle lesioni citologicamente inquadrate come C3, le lesioni maligne costituiscono quindi l’11%. 3)I 10 falsi positivi sono stati tutti classificati citologicamente C4 e sono risultati, all’esame istologico: – 4 (40%) adenomi a cellule di Hürthle; – 3 (33%) iperplasia adenomatosa; – 2 (20%) adenomi; – 1 (1%) adenoma follicolare con focale metaplasia a cellule fusate. 4)I 53 falsi negativi sono risultati istologicamente: – 25 (47%) microcarcinomi papillari (dimensioni medie pari a 0,5 cm); – 8 (15%) carcinomi papillari, varietà follicolare; – 7 (13,2%) carcinomi papillari, varietà classica; – 6 (11,3%) carcinomi follicolari; – 4 (7,5%) carcinomi midollari; – 3 (5,6%) carcinomi a cellule di Hürthle. Mentre i 25 microcarcinomi papillari sono riferibili ad errori di campionamento, i rimanenti 28 costituiscono veri errori di interpretazione. L’analisi della performance è riassunta nella seguente Tabella. Analisi della performance 1998-2006 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 of thyroid carcinoma. A retrospective study in 37,895 patients. Cancer (Cancer Cytopathol) 2000;90:357-63. Gharib H, et al. Fine-needle aspiration biopsy of the thyroid: an appraisal. Ann Intern Med 1993;118:282-9. Goellner JR, et al. Fine needle aspiration cytology of the thyroid, 1980 to 1986. Acta Cytologica 1987;31:587-90. Bakhos R, et al. Fine-needle aspiration of the thyroid: rate and causes of cytohistopathologic discordance. Diagn Cytopathol 2002;23:233-7. Leenhardt L, et al. Increased incidence of thyroid carcinoma in France: a true epidemic or thyroid nodule management effects? Report from the French Thyroid Cancer Committee. Thyroid 1994;14:1056-60. Baloch ZW, et al. Diagnosis of “follicular neoplasm”: a gray zone in thyroid fine-needle aspiration cytology. Diagn Cytopathol 2002;26:41-4. Baloch ZW, et al. Fine needle aspiration of thyroid: an institutional experience. Thyroid 1998;8:565-9. Yang GCH, et al. Should cytopathologists stop reporting follicular neoplasms on fine-needle aspiration of the thyroid? Diagnosis and histologic follow-up of 147 cases. Cancer (Cancer Cytopathol) 2003;99:69-74. Greaves TS, et al. Follicular lesions of thyroid. A 5-year fine-needle aspiration experience. Cancer (Cancer Cytopathol) 2000;90:335-41. Castro MR, et al. Continuing controversies in the management of thyroid nodules. Ann Intern Med 2005;142:926-31. American association of clinical endocrinologists and associazione medici endocrinologi. Medical guidelines for clinical practice for the diagnosis and management of thyroid nodules. Endocrine practice 2006;12. Wang HH. Reporting thyroid fine needle aspiration: literature review and a proposal. Diagn Cytopathol 2006;34:67-76. Valore Sensibilità 90% Specificità 97% Nuove tecnologie nello screening del cervicocarcinoma HPV DNA test: le ragioni di un sì Accuratezza complessiva 93% C. Gentili Valore predittivo positivo di C5 100% Valore predittivo positivo di C4 93,9% Valore predittivo positivo di C3 36,9% Valore predittivo negativo di C2 87,3% Conclusioni. La letteratura è ricca di proposte classificative di vario genere, che si basano su classificazioni a 2, 3, 4, 5 e più categorie 14. La collocazione delle lesioni follicolari in una categoria distinta, fra le lesioni dubbie piuttosto che sospette, costituisce l’elemento caratterizzante della presente classificazione degli agoaspirati tiroidei ed è dovuta alle seguenti considerazioni: – tra le “neoformazioni follicolari” citologiche, verificate poi istologicamente, sono di gran lunga più frequenti gli adenomi, rispetto ai carcinomi 8 9. In una casistica “ecoguidata”, le neoformazioni follicolari di piccole dimensioni costituiscono un numero cospicuo ed il rapporto benigno/maligno cresce ulteriormente; – collocare le lesioni follicolari nella categoria “sospetto” (C4) significa incrementare considerevolmente il numero dei pazienti destinati all’intervento chirurgico. Bibliografia 1 Poller DN, et al. Fine needle aspiration of the Thyroid. Importance of an indeterminate diagnostic category. Cancer (Cancer Cytopathol) 2000;90:239-44. 2 British Thyroid Association, Royal College of Physicians. Guidelines for the management of thyroid cancer in adults. March 2002. 3 Ravetto C, et al. Usefulness of fine-needle aspiration in the diagnosis Carrara (MS) Negli ultimi vent’anni la mortalità per tumore dell’utero è diminuita di oltre il 50%, passando da 8,6 casi nel 1980 a 3,7 casi ogni 100 mila donne nel 2002 (tassi standardizzati sulla popolazione mondiale). In base ai dati Istat non è tuttavia possibile discriminare come causa precisa della morte tra carcinoma della cervice uterina o del corpo dell’utero. Analisi di popolazione che tengono conto delle coorti di nascita consentono comunque una distinzione sia pure approssimativa, dal momento che è noto che il tumore della cervice uterina ha un’insorgenza più precoce rispetto al tumore dell’endometrio. Pertanto la riduzione della mortalità soprattutto nelle coorti più giovani suggerisce che, in buona parte, sia da attribuirsi alla diminuita mortalità per tumore della cervice uterina. Si stima che, ogni anno, in Italia siano diagnosticati circa 3.500 nuovi casi di carcinoma della cervice e che si registrino circa 1.100 morti per questo tipo di tumore: pochi ma ancora troppi per un tumore che dovrebbe avere mortalità zero. Lo screening cervicale con Pap test è l’unico screening oncologico che ha contribuito a ridurre in maniera determinante non solo la mortalità, ma anche l’incidenza della neoplasia. Questi lusinghieri risultati sono stati raggiunti anche nei Paesi (e in Europa sono la maggioranza) in cui lo screening è stato condotto in maniera opportunistica in cui si poteva tuttavia contare su ottime condizioni socio-economiche e un elevato livello culturale. comunicazioni libere Sul territorio italiano l’attività organizzata di screening citologico per il carcinoma della cervice non è distribuita in modo uniforme. Nel 1997 solo il 13,5% delle donne italiane tra i 25 e i 64 anni risultavano inserite in un programma organizzato di screening cervicale, con una concentrazione dei programmi organizzati al Centro e al Nord. Nel 2004 risultava inserito in un programma organizzato di screening cervicale il 64% delle donne italiane della medesima fascia di età, ma con una differenza geografica che vedeva una percentuale del 66% al Nord, dell’83% al Centro e del 49% al Sud e nelle Isole) 1. Al di fuori dei programmi organizzati di screening cervicale anche in Italia è presente una rilevante attività spontanea. È stato stimato che ogni anno in Italia si eseguono circa 6 milioni di Pap test, in strutture sia pubbliche (consultori, ambulatori, ospedali) sia private (convenzionate e non convenzionate). Questo dato va valutato tenendo presente un fabbisogno inferiore a 5,5 milioni annui al fine di garantire un intervallo triennale di re-screening nella fascia di età bersaglio. In realtà, la quota di donne che esegue il Pap test con regolarità è molto più limitata e, in più, questa quota fa spesso un uso eccessivo del test, talora eseguito annualmente o, addirittura, anche più frequentemente. A ciò si aggiunge il dato che una parte cospicua della popolazione femminile non ha mai eseguito il test o lo esegue in modo irregolare. È proprio su questa fascia di popolazione che si deve concentrare un programma di screening attivo. Ma quale tipo di screening? Molti esperti si interrogano se, alla luce delle nuove conoscenze, sia opportuno organizzare ex novo, o mantenerlo laddove già sia stato attivato, uno screening organizzato che abbia come test di base il Pap test considerato il gravoso impegno economico ed organizzativo che richiede, oppure sia opportuno utilizzare nuovi test che abbiano quei requisiti che ogni screening deve avere: basso costo complessivo, semplicità, riproducibilità, conveniente miscela di sensibilità-specificità. Sicuramente il Pap test ha un ottimo rapporto sensibilità/specificità; è tuttavia gravato da una serie di requisiti tesi a garantire la qualità ma che ne rendono la sua centralità nello screening più precaria. Infatti, ogni programma di screening cervicale: – deve prevedere l’esecuzione di un Pap test ogni 3 anni nelle donne di età compresa tra 25 e 64 anni; – deve essere sottoposto ad un rigoroso controllo di qualità che assicuri, tra l’altro, che il carico annuo di lavoro di un citologo dedicato allo screening non superi i 7.500 Pap test, che ogni laboratorio esamini almeno 15 mila Pap test l’anno e che il referto venga consegnato non oltre le 6 settimane dall’esecuzione del test; – prevede la necessità di poter disporre di ambulatori o consultori nei distretti, presso cui effettuare il prelievo cervico-vaginale, e di personale per l’esecuzione dei prelievi; di laboratori di citologia, istologia e patologia per la lettura dei preparati citologici e istologici e di personale preparato all’uopo; – prevede l’automatizzazione della refertazione, della classificazione e dell’archiviazione dei preparati citologici e istologici utilizzando software e classificazioni compatibili e interfacciabili con i dati delle anagrafi comunali e sanitarie. Inoltre, si consiglia di conservare i referti negativi per 5 anni, quelli non negativi per 20 anni e i preparati istologici per 20 anni 2. Il rispetto di questi requisiti renderà ben presto problematico, anche dove gli screening basati sull’esame citologico 391 sono “precariamente stabilizzati” come in Toscana, il ruolo centrale dello “striscio” considerate tutte le professionalità che comporta e, soprattutto, in considerazione della disponibilità alternativa di un test di biologia molecolare. Molti studi hanno ormai segnalato un incremento di sensibilità dell’HPV DNA rispetto alla citologia convenzionale 3 e, recentemente, si rafforza la convinzione che l’utilizzo dell’HPV test come test screening primario e la citologia come “triage” nelle donne HPV positive incrementi la sensibilità dell’HPV test rispetto alla citologia convenzionale, sia pure con una piccola perdita di specificità anche nelle donne sotto i 30 anni in cui l’infezione è molto più presente 4 5. In Italia, il numero di donne HPV positive da testare con citologia è relativamente basso (14% nella fascia d’età 2534 anni e 7% nella fascia 34-65 anni) 5. Ciò sta a significare che, se lo screening primario fosse eseguito con il solo HPV test, solo il 9% circa delle donne dovrebbe sottoporsi ad un controllo citologico (che diverrebbe, così, un test di 2° livello), con un sensibile calo, dunque, delle prestazioni citologiche (in un laboratorio standard passerebbero da 15.000 a 1.350) e il conseguente recupero di personale dedicato (due citologi, un tecnico ed un amministrativo) e un inevitabile miglioramento della qualità delle prestazioni. Quali i vantaggi, dunque, di un test di biologia molecolare come test di screening? 1)costo complessivo molto più contenuto; 2)impiego di sistemi organizzativi più snelli e con minor ricorso a risorse umane; 3)riproducibilità; 4)incremento di sensibilità rispetto ad un piccolo decremento nella specificità; 5)allungamento degli intervalli di screening; Quali gli svantaggi? 1)ansietà legata all’infezione (ma non c’è anche per una portatrice di ASCUS o di SIL di basso grado se il comunicatore comunica ansia?); 2)possibilità di falsi negativi (ma non ci sono anche nel Pap test compresi i cancri intervallo?). Conclusioni. Il Pap test come test di screening necessita di un’organizzazione complessa e costosa che coinvolge più figure professionali, molte della quali altamente qualificate. Rispetto ai test di Biologia Molecolare offre solo piccoli vantaggi in termini di Valore Predittivo Positivo. Poiché il vero obiettivo dello screening del cervico-carcinoma, in attesa degli effetti del vaccino, è di raggiungere l’intera popolazione bersaglio con un test semplice, efficace e riproducibile e ciò allo scopo di ridurre la mortalità e la morbilità della malattia, riteniamo che il Pap test debba cedere il passo alle nuove tecnologie che sembrano rispondere meglio a tali esigenze. Bibliografia 1 Ronco G, et al. Livello di attivazione ed indicatori di processo dei programmi organizzati di screening cervicale in Italia. Osservatorio nazionale dei tumori femminili, Secondo Rapporto 2003; 36-51. 2 Coleman D, et al. European Guidelines for Quality Assurance in Cervical Cancer Screening. 3 IARC Working Group on the Evaluation of Cancer Preventive Strategies. Cervix cancer screening. IARC handbooks of cancer prevention. Vol. 10. Lyon: IARC 2005. 4 Cuzick J, Szarewski A, Cubie H, Hulman G, Kitchener H, Luesley D, et al. Management of women who test positive for high-risk types of human papillomavirus: the HART study. Lancet 2003;362:1871-6. 5 Ronco G, et al. Gynecol Oncol 2007;4 (in press). 392 La citologia endometriale in fase liquida nel management dell’endometrio ecograficamente inspessito C.F. Gheri, A.M. Buccoliero, F. Castiglione, F. Garbini, M. Fambrini*, G. Bargelli*, A. Barbetti, S. Pappalardo**, D. Moncini, A. Taddei***, V. Boddi****, G.F. Scarselli*, M. Marchionni*, G.L. Taddei Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia, Università di Firenze, Firenze, Italia; * Dipartimento di Ginecologia, Perinatologia e Fisiopatologia della Riproduzione, Università di Firenze, Firenze, Italia; ** Ginecologo, Azienda Sanitaria Firenze, Firenze, Italia; *** Dipartimento di Chirurgia Generale, Università di Firenze, Firenze, Italia; **** Dipartimento di Statistica, Università di Firenze, Firenze, Italia Nel nostro studio abbiamo valutato l’accuratezza della citologia endometriale in fase liquida confrontandola con la biopsia di 670 pazienti inviate all’isteroscopia per inspessimento della rima endometriale (> 4 mm) come rilevato dall’ecografia transvaginale. In 41 casi (6%) (21 dei quali erano adenocarcinomi) la biopsia endometriale ha identificato la patologia, la citologia in 62 casi (9%) (19 dei quali erano adenocarcinomi). La biopsia era inadeguata in 291 casi (43%), la citologia in 28 (4%). La sensibilità e la specificità erano rispettivamente del 95% e del 98%. Il valore predittivo positivo e negativo erano rispettivamente del 83% e del 99%. La citologia ha fornito materiale diagnostico più spesso della biopsia (p < 0,01). Dal momento che la citologia su strato sottile si è dimostrata una opportunità diagnostica efficace potrebbe essere sfruttata in associazione all’ecografia transvaginale al fine di evitare il ricorso a procedure più costose e più invasive. La zona grigia nella diagnosi citologica delle lesioni mammarie: esperienza in 24 mesi consecutivi di osservazione A.M. Lavecchia, M. Facchini*, F. Leone**, L. Tucci U.O. Anatomia Patologica * U.O. Radiologia ** U.O. Chirurgia, Azienda Ospedaliera “Pugliese-Ciaccio”, Catanzaro La citologia aspirativa per ago sottile delle lesioni mammarie rappresenta una procedura diagnostica di comprovata efficacia, le cui caratteristiche si adattano tanto alle procedure di screening che alla diagnostica di lesioni sintomatiche, dove integrandosi con l’esame clinico e radiologico consente spesso di definire la natura della lesione e di indirizzare adeguatamente il successivo iter terapeutico. Esiste tuttavia la possibilità di un reperto non conclusivo che comprende le lesioni dubbie (C3) e le lesioni sospette maligne (C4). In questo territorio “grigio” rientrano lesioni benigne, maligne e a diverso potenziale di malignità, per le quali spesso è complesso anche un corretto inquadramento diagnostico clinico e radiologico. La diversità biologica di queste lesioni e la necessità di facilitare la comunicazione tra i vari operatori, ha recentemente indotto qualche Autore a proporre una categoria unica che raccolga casi definiti “equivoci”. Riportiamo qui i dati relativi ad una serie di 488 casi consecutivi di esami citologici mammari con esito C3 (10,4%) e C4 (7%), osservati nell’arco di 24 mesi, presso la nostra Azienda Ospedaliera con un follow-up di 36-44 mesi. I casi dubbi sottoposti a verifica istologica comprendevano, in ordine di frequenza decrescente: fibroadenomi, lesioni papillari III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP benigne e atipiche, mastopatia fibrocistica con iperplasia florida e un carcinoma in situ di basso grado nucleare. Al contrario la maggioranza delle lesioni sospette corrispondeva a carcinomi invasivi, più spesso di basso grado nucleare; erano presenti inoltre qualche fibroadenoma e alcune lesioni infiammatorie croniche. La categoria C4 raccoglieva lesioni mammarie biologicamente diverse, ma più spesso maligne, le cui difficoltà interpretative apparivano fortemente correlate con le loro caratteristiche morfologiche. La verifica istologica appare quindi per questa categoria indispensabile. Viceversa la categoria C3 sembra raccogliere lesioni prevalentemente benigne per le quali un attento follow-up potrebbe sostituire la verifica istologica immediata, laddove il quadro radiologico consenta di monitorizzare adeguatamente la lesione e il quadro clinico non contrasti con l’ipotesi di benignità. Carcinoma mucinoso puro della mammella in citologia agoaspirativa. Segnalazione di un caso S.G. Lio, B. Caparello, A. Leotta S.C. Anatomia Patologica, Lamezia Terme Riassunto. Il carcinoma mucinoso della mammella è un istotipo speciale del carcinoma duttale invasivo; nella sua variante pura, cioè senza componente duttale invasiva di tipo NAS, è stato riportato in percentuale compresa tra lo 0,5% e il 3% nelle varie casistiche. Per le sue caratteristiche macroscopiche di crescita espansiva a margini netti e ben definiti, può essere scambiato per una lesione benigna. Colpisce le donne in età più avanzata di circa 10 anni rispetto all’età media d’insorgenza dell’istotipo usuale. La sua prognosi, allo stadio T1, è nettamente migliore nei confronti del carcinoma duttale invasivo NAS, le metastasi linfonodali sono rare. Caso. Paziente di aa 60 alla quale, in corso di screening mammografico, viene riscontrata una lesione nodulare di 17 mm di diametro, a margini ben definiti, verosimilmente benigna, posta al confine tra QSI e QSE della mammella dx. L’esame ecografico evidenzia una lesione ipoecogena a margini netti, incapsulata e scarsamente vascolarizzata, verosimilmente benigna. Il cavo ascellare omolaterale non evidenzia strutture linfonodali ingrandite. L’agoaspirato ecoguidato fornisce abbondante materiale denso traslucido che si asciuga rapidamente all’aria. L’esame citologico mostra numerose cellule epiteliali ghiandolari di piccole dimensioni, con modesta anisonucleosi e struttura cromatinica lievemente irregolare, con nucleolo evidente e scarso citoplasma, disposte in ampi lembi coesivi bi- e tridimensionali, o isolate e disperse in abbondante materiale amorfo di colore verdognolo alla colorazione di Papanicolaou, violaceo o bluastro alla colorazione di May Grunwald-Giemsa, PAS positivo. Viene posta la diagnosi di “cellule epiteliali atipiche sospette di malignità (C4), verosimile carcinoma mucinoso”, e la paziente operata. L’esame macroscopico del campione chirurgico evidenzia una neoformazione solida a margini netti ben definiti rispetto al tessuto adiposo circostante, con superficie di sezione lucente di colorito bianco grigiastro con piccole aree emorragiche da riferire al precedente prelievo, di cm 2 di diametro. L’esame istologico ha confermato la diagnosi di carcinoma mucinoso puro. Discussione. Il carcinoma mucinoso è una variante, del carcinoma duttale invasivo NAS. Quando la neoplasia è costituita 393 comunicazioni libere da una componente mucinosa pari almeno al 90%, viene definito puro e rappresenta una neoplasia di bassa malignità con una sopravvivenza, nei casi senza metastasi linfonodali, sovrapponibile a quella della popolazione generale. Quando la componente mucinosa è inferiore al 90% della massa neoplastica si definisce misto; in tal caso la prognosi è determinata dalla componente associata. Nella diagnosi differenziale citologica va preso in considerazione il fibroadenoma che può avere delle aree mucoidi: la presenza di cellule disposte in aggregati bidimensionali regolari, con nuclei piccoli e monomorfi, la presenza di sparsi nuclei nudi di forma tondeggiante o bipolari, permette di escludere il carcinoma mucinoso. Anche l’ectasia duttale può fornire un’abbondante quantità di sostanza mucoide all’esame citologico su agoaspirato. In tal caso mancano naturalmente le cellule neoplastiche. Solitamente sono positivi alla CK7 e negativi alla CK20, l’adenocarcinoma del polmone e il carcinoma d’origine dalle cellule follicolari della tiroide, sono invece positivi per CK20 e negativi per CK7 i tumori gastro-intestinali. Il TTF-1, di regola, è positivo nell’adenocarcinoma del polmone e nel carcinoma della tiroide. La tiroglobulina è positiva esclusivamente nel carcinoma di cellule follicolari della tiroide. La Calretinina è un marcatore positivo molto sensibile e specifico per il mesotelioma. Bibliografia 1 Zaidela, et al. Testo atlante di citologia mammaria. Piccin Ed. 1995. 2 Bisceglia M, et al. Gli istotipi speciali del carcinoma duttale invasivo della mammella. Pacini editore 2001. 3 Mariuzzi GM. Anatomia Patologica e correlazioni anatomo-cliniche. Vol. 2°, Piccin Editore 2007. P. Maioli*, E. Crisanti *, F. Pedrazzoli*, F. di Tommaso** * Versamento pleurico sede di metastasi di adenocarcinoma gastrico misconosciuto, simulante un carcinoma papillare della tiroide: studio immunocitochimico S.G. Lio, B. Caparello, A. Leotta S.C. Anatomia Patologica, Lamezia Terme Riassunto. È riportato un caso di versamento pleurico positivo per adenocarcinoma, insorto in un paziente di sesso maschile di anni 41. L’originalità del caso consiste nel particolare pattern citologico di crescita delle cellule neoplastiche in aggregati papillari simulanti una localizzazione secondaria di un tumore della tiroide. Le indagini endoscopiche e la TAC non avevano evidenziato alcuna lesione. Dopo la diagnosi citologica, ci viene riferito che il paziente aveva subito una gastrectomia parziale per early gastric cancer undici anni prima. Discussione. I versamenti pleurici positivi per neoplasia possono derivare da tumori primitivi della sierosa, i mesoteliomi, o da localizzazione secondaria di tumori insorti in qualsiasi altra sede corporea; più frequentemente, nell’uomo, da tumori del polmone, dell’apparato digerente, linfomi/leucemie e melanoma, mentre nella donna il tumore secondario più frequente è quello della mammella seguito da quello del polmone, tratto gastro-intestinale e ovaio. Per individuare l’origine della neoplasia primitiva è necessario innanzi tutto avere a disposizione i dati anamnestici e clinico-strumentali: nel nostro caso la clinica evidenziava solo un versamento pleurico monolaterale mentre l’endoscopia digestiva, la TAC total body e le indagini ecografiche erano negative. L’esame citologico mostrava numerose cellule epiteliomorfe atipiche disposte in aggregati pseudopapillari, o simil-follicolari con citoplasma più o meno ampio e tenuamente azzurrofilo alla colorazione di May-Grunvald e Giemsa; a volte il citoplasma appariva microvacuolato o presentava un unico vacuolo. Si poneva il problema diagnostico differenziale delle neoplasie a pattern di crescita papillare di origine mesoteliale, polmonare, gastro-enterica, tiroidea o uroteliale. È stato allestito un panel immunocitochimico con Calretinina, Citocheratina 7 e 20, TTF-1, e Tiroglobulina. Le cellule neoplastiche sono risultate positive per Citocheratina 20 e negative per Citocheratina 7, TTF-1, Calretinina e Tiroglobulina. Analisi retrospettiva dei criteri citomorfologici in FNAC mammarie “C3” atipie probabilmente benigne” dopo Vacuum Assisted Breast Biopsy (VAAB) Anatomia ed Istologia Patologica, Ospedale Santa Maria delle Croci ASL l Ravenna, ** Unità Operativa di Epidemiologia e Statistica ASL, Ravenna * Introduzione Le possibilità in citologia mammaria sono molteplici, da tempo validate ed utili ai fini diagnostici e quindi prognosticiterapeutici. L’analisi citologica è infatti un test rapido, indolore e poco costoso. La frequenza però di preparati indeguati derivanti da lesioni non palpabili fibrotiche, microcalcificazioni etc.., e la possibilità di referti non-certi ne costituisce un limite. Sappiamo che la patologia mammaria non possiede una gradualità di anomalie epiteliali che si possa mettere in relazione a stati precancerosi o di neoplasia intrepiteliale come avviene per i tumori della cervice uterina, pertanto le categorie diagnostiche nella citologia agoaspirativa della mammella hanno una categoria C3 definita come atipia probabilmente benigna. I report citologici devono essere concisi e non equivocabili, ma nel caso del C3 sappiamo che si tratta di una FNAC che non ha le caratteristiche di un preparato certamente benigno, che secondo le Linee guida Europee e Regionali (NHSPBC, RER) dovrebbe avere un VPP del 20%, ed inoltre, a ciò occorre aggiungere il peso determinato dalla soggettività nella diagnosi, la quale dipende dalla esperienza del citologo, e tende con l’aumentare di questa, a fare diminuire il numero dei casi incerti. Queste osservazioni di fatto hanno creato la necessità di introdurre nuove tecnologie strumentali di prelievo molto sofisticate come VABB, al fine di individuare il maggior numero di lesioni possibili e di adottare quindi la più opportuna strategia terapeutica. Già sono introdotte nella pratica corrente da alcuni anni, comunque tutte volte a identificare i pazienti con neoplasia maligna in modo precoce e rivolte nella nostra esperienza sopratutto alla identificazione dei dubbi citologici C3. Poiché quindi le aree ecografiche e/o radiologiche di interesse da identificare possono essere esclusivamente benigne o maligne con poche eccezioni, questo studio si rivolge all’analisi delle incertezze derivanti dalla osservazione morfologica dei preparati classificati C3 nella nostra casistica. Sono stati riconsiderati i principali caratteri citomorfologici di agoaspirati derivanti della nostra casistica negli anni 2005-6 e primo semestre 2007. Per ognuno di questi è stata valutata la prevalenza PV e accuratezza diagnostica intesa come VPP, VPN, SE e SP. Tutti hanno successivamente eseguito biopsia con mammotome VABB con guida radiologica o ecografica secondo le modalità standard di multipli prelievi. 394 III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP Finalità di questo studio è quella di facilitare la diagnosi identificando se possibile parametri associati più di altri alle patologie benigne o maligne per diminuire, in definitiva, il numero dei casi dubbi. Nella provincia di Ravenna la popolazione è di circa 170.000 abitanti ed è operativo il programma di Screening Per la prevenzione del tumore della Mammella dal 1996. Esso si rivolge alle donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni (50.000 circa) con una compliance di 36.500 (partecipanti) e con una percentuale di richiamo del 5% (1648) delle quali vengono inviate ad approfondimento diagnostico 190 pazienti (11,5%). La casistica di FNAC derivata negli anni 2005-6 e I° semestre 2007 ha prodotto Anno 2005 Anno 2006 Anno 2007 (I° sem) Totale C1 264 370 223 857 C2 484 582 357 1423 C3 128(11,9%) 143(13,9%) 70(9,32%) 341 C4 42 47 10 99 C5 152 194 91 437 Totale 1070 1026 751 2847 Risultato Citologico Da 341 FNAC C 3 non tutte sono state definite con Biopsia poiché alcuni componenti del “Triple assesment” erano risultate benigne e pertanto inviate a controlli ravvicinati. Sono stati estratti dalla casistica citologica i 341 esami citologici con risultato “C3 atipie probabilmente benigne” eseguite presso il Centro di Prevenzione Oncologica in citoassistenza e diagnosticate nella Anatomia Patologica dello stesso Ospedale Santa Maria delle Croci di Ravenna. Tutti gli agoaspirati sono stati eseguiti da radiologi. Tutti hanno avuto una pre-diagnosi mediante la colorazione di una parte dei preparati con colorazione GIEMSA Rapida; uno studio nostro precedentemente eseguito mostrava una % di concordanza tra diagnosi estemporanea e diagnosi definitiva dell’85%; la differenza era dovuta prevalentemente il passaggio alla categoria inferire diagnostica Code C2. I restanti preparati con colorazione PAP successiva. Sono stati selezionati da queste 227 FNAC che hanno eseguito microbiopsia con Mammotome VABB 227/341 (66,6%). Di questi hanno eseguito trattamento chirurgico 68/ 227 (30%) e sono in F-UP 159/227(70%). Il progetto dello studio prevede anche l’analisi del risultato microbioptico raggruppato per tipo istologico. In riferimento alla refertazione della biopsia mammaria è stato applicato il sistema in uso nei paesi anglosassoni: Tab. I. C3 VAAB CHIR F-UP 2005 92 27 66 2006 90 32 58 2007 45 9 35 Totale 227 68(30%) 159( 70%) (Guidelines for non-operative diagnostic procedure and reporting in breast cancer screening; NHSBSP Publication), che prevede 5 categorie suddivise come di seguito: B1: Tessuto normale. B2: Lesione benigna B3: Lesione a potenziale di malignità incerto B4: Lesione sospetta. B5: Carcinoma in situ o invasivo. Tab. II. Anno B1 B2 B3 B4 B5 No mammotome 2005 6 49 22 - 14 24 2006 12 47 12 - 19 20 2007 5 29 3 - 8 13 Totale 23 125 37 - 41 57 L’analisi del risultato bioptico è stato raggruppato in 5 categorie suddivise come di seguito. Tab. III. Anno NPBD (B1,B2) PBD CIS CLIS IDC No mammotome 2005 55 22 7 1 7 24 2006 59 12 2 3 14 20 2007 34 3 3 1 4 13 Totale 148 37 12 5 25 57 1) NPDB: Fibroadenoma, quadri molteplici della malattia fibroso-cistica, adenosi sclerosante, estasia duttale, liponecrosi e ascesso. Il gruppo delle NPBD costituisce un complesso di lesioni elementari, variamente associate, iperplastiche e/o involutive. Alcune lesioni, quali l’adenosi e il fibroadenoma hanno un pattern organoide con iperplasia lobulare e stromale e mioepiteli ben rappresentati. 2) PBD: Iperplasia duttale e lobulare atipica,adenosi, papillomi, radial scar,metaplasia colonnare. Il gruppo delle PBD comprende lesioni proliferative epiteliali dei dotti terminali e/o dei lobuli, caratterizzata dalla cospicua proliferazione endoluminale o lobulare; presenta aspetti citologici e strutturali sovrapponibili a quelli del carcinoma in situ, dal quale si differenzia esclusivamente in termini quantitativi (un solo lume simil-duttale interessato). Comporta un aumento del rischio di comparsa di carcinoma (RR = 4-5), nella mammella omo- o controlaterale, incrementato dalla familiarità specifica positiva. Tuttora oggetto di discussione risulta essere l’opportunità di considerare l’iperplasia duttale atipica una categoria diagnostica nettamente distinta dal carcinoma intraduttale: secondo alcuni autori l’iperplasia duttale atipica è sinonimo di carcinoma duttale in situ di tipo “clinging” ben differenziato. Secondo la WHO, le lesioni proliferative intraduttali vengono classificate come DIN 1A (atipia epiteliale piatta), DIN 1B (iperplasia duttale atipica), DIN 1C (carcinoma in situ a basso grado), DIN 2 (carcinoma in situ a grado intermedio) e DIN 3 (carcinoma in situ ad alto grado). Vengono inserite in questo gruppo anche le lesioni papillari e la radial-scar che, per per la limitatezza del prelievo, potrebbero essere associate a carcinoma. 395 comunicazioni libere 3) Carcinoma duttale in situ: Neoplasia epiteliale senza evidenza di infiltrazione dello stroma circostante e, quindi, sprovvista di capacità metastatica.La proliferazione è limitata al lume di strutture duttali. Talora multicentrico, comporta un rischio importante di progressione e successiva comparsa di carcinoma infiltrante nella medesima area della mammella sede della primitiva lesione; tale rischio, valutato globalmente come RR = 10-12, si correla alla varietà istologica ed alla dimensione. Holland et al. 1 proposero nel 1994 uno schema classificativo dei DCIS che fa riferimento principalmente alla differenziazione citonucleare (grado di pleomorfismo citonucleare) ed in seconda istanza alla differenziazione architetturale (polarizzazione delle cellule). In base a questo schema classificativo i DCIS vengono suddivisi in tre gruppi: forme a basso grado di differenziazione, a medio grado di differenziazione e ad alto grado di differenziazione. Allo scopo di individuare un inquadramento classificativo a preminente significato prognostico, Silverstein et al. 2 nel 1995 hanno utilizzato in prima istanza il grado nucleare per selezionare le lesioni ad alto grado, indipendentemente dalla presenza di necrosi, ed inserendo queste nel gruppo prognosticamente sfavorevole; i rimanenti casi a grado nucleare basso o intermedio vengono suddivisi in due gruppi in base alla assenza o presenza di necrosi di tipo comedo. Le linee guida Europee per la quality assurance nei programmi di screening 3 riportano una classificazione basata esclusivamente sulle caratteristiche nucleari dividendo così i DCIS in tre categorie: DCIS di basso grado nucleare G1, DCIS di grado nucleare intermedio G2 e DCIS di alto grado nucleare. 4) Carcinoma Lobulare in situ: Neoplasia epiteliale senza evidenza di infiltrazione dello stroma circostante, e quindi sprovvista di capacità metastatica, la cui proliferazione è limitata al lume delle strutture duttulo-lobulari da cui origina, con possibile estensione “pagetoide” in situ ai dotti limitrofi; più frequente in premenopausa, è molto spesso multifocale e spesso bilaterale, non dà massa palpabile, comporta un rischio sensibilmente aumentato (RR = 8-10) ma molto diluito nel tempo, di successiva comparsa – nella mammella medesima o controlaterale – di carcinoma infiltrante, lobulare o duttale (ed istotipi derivati). Morfologicamente sono stati descritti due diversi istotipi di carcinoma lobulare in situ: il tipo A o classico caratterizzato da cellule monomorfe di piccole dimensioni con nuclei rotondi e nucleoli poco evidenti ed il tipo B che si caratterizza per essere costituito da nuclei più grandi con un certo grado di pleomorfismo e talora con presenza di necrosi centrale e microcalcificazioni. Il tipo B è da considerare una lesione più aggressiva rispetto al tipo A classico e dovrebbe essere trattato come un carcinoma duttale. 5) Carcinoma infiltrante: Neoplasia epiteliale in cui è evidente l’infiltrazione dello stroma e, di conseguenza, con potenziale metastatico. Comprende numerosi tipi istologici (duttale, lobulare, midollare, apocrino, mucinoso, papillare, tubulare ecc.) e può essere associato a carcinoma in situ. Viene inserito in questa categoria anche il carcinoma microinvasivo la cui componente dominante è intraduttale, ma con uno o più focolai di infiltrazione, nessuno dei quali misura più di 1 mm. Metodo Sono stati rivalutati 168 preparati citologici sui 227 totali derivanti dalle patologie più significative escludendo quindi i preparati derivanti da tessuto normale, cisti, adiponecrosi steatonecrosi, inadeguati per un totale di 58 casi che non sono stati ritenuti significativi per lo studio. Tab. IV. variabili morfologiche SE SP VPP VPN Daccuracy cellularità 1 21,67% 75% 68,42% 27,69% 36,90% coesività 2 18,75% 75% 31,58% 60% 53,57% tubulare 3 47,37% 50,77% 21,95% 76,74% 50% ghiandolare 4 60,53% 22,31% 18,55% 65,91% 30,95% papillare 2.63% 73,85% 2,85% 72,18% 57,74% mioepiteli nei gruppi 6 5 23,68% 43,85% 10,98% 66,28% 39,28% margini nucleari 7 73,68% 80,77% 52,83% 91,30% 79,17% nuclei nudi nel BG 8 26,32% 48,46% 12,99% 69,23% 43,45% nucleoli 9 78,95% 53,85% 33,33% 89,74% 59,52% dimensioni nucleo 10 25,81% 86,36% 84,21% 29,23% 41,67% cromatina 11 97,37% 24,62% 27,41% 96,97% 41,07% localizz nucleo 12 44,74% 63,08% 26,15% 79,61% 58,93% cell.apocrine 13 15,79% 71,54% 13,95% 74,40% 58,93% diatesi tum 14 39,47% 84,62% 42,86% 82,71% 74,40% istiociti foamy 15 26,32% 59,23% 15,87% 73,33% 51,79% mucina 16 23,68% 67,69% 17,65% 75,21% 57,74% pop unica 17 44,74% 48,46% 20,24% 75% 47,62% sovrapposizione cell 18 100% 18,46% 26,39% 100% 36,90% stroma 19 28,95% 96,15% 68,75% 82,24% 80,95% calcificazioni 20 13,16% 96,92% 55,56% 79,25% 77,98% 396 III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP La rilettura dei preparati è avvenuta all’oscuro del risultato finale microbioptico. Queste osservazioni derivano dalla valutazione dei seguenti parametri citomorfologici specifici (20) quelli che dalla letteratura sono considerati essere i più significativi e largamente in uso ed utili nel definire le lesioni benigne e maligne. La parte più cospicua del lavoro è data dal tentativo di stabilire la “capacità” di un singolo o gruppi di fattori nell’identificare l’esito definitivo istologico della lesione mammaria A tal fine ed è stata eseguita una analisi semiquantitativa, talora di tipo dicotomico per alcuni fattori con SI/NO come per: • Architettura tubulare a stampo • Architettura ghiandolare • Architettura micropapillare • Presenza di cellule mioepiteliali nei gruppi • Nuclei nudi nel BG • Distribuzione cromatina • Presenza di cellule apocrine • Presenza di necrosi • Presenza di istiociti schiumosi • Presenza di mucina • Popolazione unica • Sovrapposizione cellulare • Calcificazioni Mentre per i è stato definito invece uno score che in fase di analisi statistica sono stati raggruppati come è evidenziato in carattere corsivo: • Cellularità: > 30 gruppi, > = 6-30 gruppi, < 6 gruppi • Aggregazione cellulare: coesiva, mista coesiva e discoesiva, doscoesiva • Nucleoli assenti, presenti, prominenti • Dimensioni nucleari < = 2 volte emazia, > = 2-4 volte emazia, > 4 volte emazia. • Margini nucleari irregolari, lisci, misti. • Posizione del nucleo centrale, eccentrica, variabile • Tipo di stroma: fibroso, adiposo, lasso, adipociti discoesi, ragnatela. Analisi dei risultati Discussione La caratterizzazione citomorfologica della FNAC C3 resta una delle sfide più importanti in citologia mammaria in quanto determinante per il successivo iter diagnostico terapeutico. La morfologia riconferma il suo valore nella diagnosi delle lesioni epiteliali mammarie. Finalità del citopatologo è classificare le lesioni il più possibile in modo definitivo, ma sappiamo che esiste una “area grigia” ove una diagnosi basata solo su di essa è difficile. Scopo di questo studio è stato il cercare identificare un quadro morfologico il più possibile riproducibile di benignità o di malignità pur nell’ambito di lesioni già sospette per gli esami strumentali ecografici e radiologici. Nella analisi di ciascuna di queste variabili si è cercato di individuare la capacità di ciascuno di questi fattori come un fattore indipendente capace di predirre il risultato istologico. L’analisi dei più accettati criteri morfologici riconferma anche per la categoria citologica delle atipie nucleari la possibilità di identificare una gamma di fattori probabili e associabili a benignità o malignità e alla casualità, utili in definitiva a Tab. V. variabili morfologiche LH+ CI 95% LH- CI 95% cellularità 1 0,8667 0,5605-1,34 1,044 1,004-1,086 coesività 2 0,75 0,3427-1,641 1.083 1,035-1.134 tubulare 3 0,9622 0,8268-1,12 1,037 0,9132-1,177 ghiandolare 4 0,7791 0,7228-0,8397 1,77 1,227-2,552 papillare 5 0,1006 0,0000-333 1,319 1,241-1,4 mioepiteli nei gruppi 6 0,4218 0,2035-0,874 1,741 1,557-1,946 margini nucleari 7 0,5106 0,2864-0,9102 1,52 1,372-1,686 nuclei nudi nel BG 8 1,711 1,627-1,798 0,391 0,2988-0,5117 nucleoli 9 1,892 1,145-3,129 0,8591 0,8342-0,8848 dimensioni nucleo 10 3,832 3,455-4,249 0,3258 0,2666-0,3981 cromatina 11 1,292 1,264-1,32 0,1069 0,0124-0,9156 localizz nucleo 12 1,212 1,009-1,455 0,8761 0,787-0,9754 cell.apocrine 13 0,5548 0,0921-3,34 1,177 1,098-1,262 diatesi tum 14 2,566 1,904-3,458 7,7153 0,6548-0,7815 istiociti foamy 15 0,6455 0,3593-1,16 1,244 1,14-1,358 mucina 16 0,7331 0,3468-1,549 1,127 1,043-1,219 pop unica 17 0,868 0,7311-1,031 1,14 1,005-1,294 sovrapposizione cell 18 1,226 1,264-1,249 0 0 stroma 19 7,526 3,284-17,25 0,7389 0,6868-0,7951 calcificazioni 20 4,276 0,1971-92,79 0,896 0,8439-0,9513 397 comunicazioni libere • Siamo inoltre impossibilitati a distinguere le varie patologie benigne in quanto possono essere presenti numerosi elementi citologici ubiquitari nelle benignità e malignità. Le conclusioni potrebbero essere domande: • È utile mantenere una doppia categoria di sospetto C3, C4?, il VPP della categoria C3 consigliato è di circa 20% risulta nella nostra esperienza non raggiungibile, essendo invece di circa il 50% (infatti nella nostra esperienza il C4 viene riservato in anallisi finale a preparati limitati nella diagnosi da artefatti tecnici o di allestimento, alla esiguità delle cellule neoplastiche presenti, od alla commistione di esse con numerosi elementi caratterizzanti la benigntà • La biologia molecolare potrà forse aiutarci ad identificare il potenziale maligno delle Fnac C3? Non dimentichiamo che l’uso migliore della FNAC dipende dall’entusiasmo e dalla dedizione dei patologi e citologi piuttosto che dal riconoscimento del suo valore da parte dei clinici 4. Fig. 1 tentare di ridurre il rischio dei FN circoscrivendo quindi il più possibile la necessità di successive indagini (Tab. VI). I nostri risultati hanno sottolineato due particolari aree di difficoltà nell’inquadramento diagnostico degli agoaspirati: • Il considerevole grado di sovrapposizione diagnostica degli score tra i benigni e maligni ed i carcinomi di basso grado Chiaramente nessuna variabile può essere da sola significativa in un sistema complesso come quello della valutazione globale di un agoaspirato che deve essere integrato con con dati clinici, ecografici e mammografici. Thin prep cytology in bile duct brushing sampling: the experience of two cooperating institutions L Marchioro °, L Bozzola *, S Olivati *, B Famengo *, ESG d’Amore * and A Visonà ° Unità Operative di Anatomia Patologica di Vicenza*(Italy) Tab. VI. Criteri citomorfologici Bibliografia 1 Holland et al. Semin Diag Pathol 1994;11:181-92. 2 Silverstein et al. Lancet 1995;345:1154-7. 3 Pathologica 1997;89:234-55. 4 Cytopathology 2006;17:219-26. Odds P test di fischer Cellularità C 0,4846 0,4025 Coesività P 0,3576 0,3204 Architettura tubulare C 1,1859 0,7902 Architettura ghiandolare P 0,305 0,1386 Architettura ghiandolare P 0,0321 0,0323 Mioepiteli nei gruppi P 0,1941 0,0243 Margini nucleari R 4,8034 0,04 Cellule bipolari P 0,7729 0,7231 Nucleoli R 2,7951 0,1347 Dimensioni nucleari P 2,8623 0,2807 Cromatina C 42,67 0,065 Posizione del nucleo C 0,5736 0,4381 Cellule apocrine benigne P 1,273 0,7536 Necrosi R 16,8468 0,0024 Foamy iistiociti P 0,404 0,2057 Mucina C 0,3763 0,2306 Popolazione epiteliale unica C 3,276 0,0814 Overlapping nei gruppi C NV NV Tessuto stromale R 5,0988 0,1399 Microcalcificazioni R 0,6119 0,7261 Legenda: P = protettivo - R= rischio - C= casuale Thiene° e Introduction: Liquid based cytology, widely diffuse in pap test screening, has become popular also in non-gynaecological and fine needle aspiration cytology. In 2004 we extended the Thin Prep° method (Cytyc Co., Marlborough, MA. USA) to bile duct brushing cytology setting mainly to reduce our high percentage of inadequate cases and to improve the general quality of specimens. Methods: 112 consecutive endoscope-retrograde-cholangiopancreaticography guided samples of bile duct brushing cytology were collected and fixed in methanol based vial (PreservCyt) and processed with Cytyc TP2000. Adequacy, cellularity, back-ground and morphological features of thin layer slides were evaluated and classified as: unsatisfactory, negative/reactive, suspicious and positive. 49 cases (43,7%) had histological follow-up examination. Results: Of 112 cases, 13 (11,6%) were inadequate mainly for artifactual coagulative changes due to papillotomy; 27 cases (24,0%) were negative, inflammatory, reactive or hyperplastic; 47 specimens (41,9%) were diagnosed as suspicious for malignancy and 25 slides ( 22,3%) were positive. Of 27 negative cases 11 were histologically confirmed, 1 had inadequate biopsy, 1 was bioptically suspicious and 1 case was associated with gallbladder cancer. Among 47 suspicious cases 19 had histological control: 4 were negative, 3 dysplastic and 12 positive. Out of 25 positive cases 14 were followed by biopsy: 9 cases were confirmed as adenocarcinoma and carcinoid tumor, 5 cases turned out negative being related to acute pancreatitis or brushing of prosthesic device. Conclusions: we adopted thin layer method mainly to overcome previous poor results with conventional cytology (smear or Millipore membrane). In our view the advantages of Thin 398 Prep method are: 1- feasibility and easiness of procedure 2increased cellularity and marked reduction of unsatisfactory cases, 3- clear background with preserved inflammatory, necrotic and biliary pigments, 4- excellent morphological features, 5- reproducibility of typical cytological criteria, 6recovery of small tissue fragments for micro-histology. Bibliography Meara RS et al. Cytopathology 2006; 17(1):42-. Volmar KE et al. Cancer 2006; 108(4) : 231-8 Analisi del Master di primo livello “citopatologia diagnostica degli screening di popolazione” A. Marsico, M.T. Benenti, C. Bocchio, D. Cauchi Inglott, G. Gazzera, G. Pasquariello, S. Patrini, S. Pontoni, E. Prudente, C.A. Scafidi Iscritti al Master dell’Università di Torino “Citopatologia diagnostica degli screening di popolazione” per l’Anno Accademico 2006-2007 Il Pap test è l’unico test di screening per il carcinoma della cervice uterina ed è volto a identificare le lesioni pre-invasive ed il carcinoma invasivo iniziale (Linee Guida della Commissione Oncologica Nazionale per il triennio 1994-96, concernenti l’organizzazione della prevenzione e dell’assistenza in Oncologia. Dal Supplemento alla Gazzetta Ufficiale n. 127 del 1° giugno 1996). Tuttavia l’utilità del Pap test come strumento di prevenzione dipende da molti fattori, in particolare da una corretta interpretazione diagnostica, quindi ad un’adeguata preparazione degli operatori che effettuano la diagnosi. Per sopperire alla carenza istituzionale di formazione e di aggiornamento, soprattutto nell’ambito del corso di laurea in Scienze Biologiche e del corso di laurea breve in Tecnico di Laboratorio Biomedico, l’Università di Torino ha istituito un Master di primo livello in “Citopatologia diagnostica degli screening di popolazione” a partire dall’A.A. 2004/2005, con l’obiettivo finale di: 1)formare personale tecnico e laureato con specifiche competenze in campo citopatologico addetto alla prima lettura non solo in ambito cervico-vaginale; 2)rispondere alla carenza istituzionale di formazione della figura del “citologo”; 3)creare professionalità che possano inserirsi a livello lavorativo a livello dello screening per il cervico-carcinoma, sia organizzato che spontaneo; 4)permettere l’aggiornamento a citologi impegnati in attività di screening ed operanti in ASL e Case di Cura già da molti anni con titoli di studio talora obsoleti; 5)favorire gli esami europei di competenza in citologia (EFCS-QUATE) e la libera circolazione dei docenti in citologia e dei citologi in tutta l’Europa. Un provvedimento analogo è stato preso dall’Università di Roma “La Sapienza” ed è in fase avanzata di preparazione un terzo Master, presso l’Università “Federico II” di Napoli. Questa comunicazione ha lo scopo di fornire informazioni sull’esperienza relativa al Master di Torino nell’A.A. 2006/2007, con la descrizione dettagliata della tipologia del Master, degli obiettivi formativi (coincidenti con quelli indicati nel Piano Oncologico Nazionale), delle caratteristiche del corso, degli argomenti affrontati e delle proposte per l’A.A. 2007/2008, in cui saranno presenti anche docenti di vari Paesi europei, oltre all’Italia (Belgio, Francia, Gran Bretagna), sottolineando la III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP necessità di investire in progetti che risultino realmente efficaci per la prevenzione europea in campo oncologico. Carcinoma midollare a stroma amiloide, variante papillare, della tiroide. Segnalazione di un caso con correlazione cito-istologica e completo di follow-up R. Nenna, C.D. Inchingolo Struttura Complessa di Anatomia Patologica, Presidio Ospedaliero “ L. Bonomo”, Andria Introduzione. L’esame citologico è uno strumento diagnostico utilizzato sia frequentemente per la valutazione del “Nodulo tiroideo innocente” sia per la diagnosi pre-operatoria delle neoplasie maligne della tiroide. Viene presentato un caso clinico “di routine”. Donna di 72 anni, portatrice di nodulo dominante palpabile del lobo destro della tiroide (diametro massimo = cm 5) e di due altri noduli minori (istmico di 22 mm e del lobulo piramidale di 17 mm), asintomatica sul piano clinico, con assetto ormonale eutiroideo, sottoposta prima a FNAC ecoguidata sul nodulo del lobo destro, con diagnosi citologica di “atipia sospetta per malignità (categoria diagnostica C4): probabile carcinoma papillare”, successivamente a tiroidectomia totale con esame criostatico intraoperatorio e diagnosi istologica provvisoria di “sospetto carcinoma midollare di tipo papillare”, confermato da esame istologico definitivo corredato di studio immunoistochimico, seguito da completamento chirurgico di linfoadenectomia latero-cervicale bilaterale e mediastinica antero-superiore. Scopo della comunicazione: sottolineare l’importanza – nei casi non tipici – della necessità di integrare l’approccio puramente citomorfologico con quelli isto-architetturali ed immunofenotipici. Materiale e metodi. L’esame citologico è stato effettuato su strisci allestiti dal radiologo e fissati parte in alcool etilico 95° e parte essiccati all’aria e colorati rispettivamente con i metodi di Papanicolau, May-Grunwald-Giemsa ed Ematossilina-eosina. È stata effettuata anche valutazione su sezioni colorate con Ematossilina-eosina, ottenute da citoincluso del sedimento (proveniente dal lavaggio dell’ago in fissativo alcolico). L’esame istologico è stato effettuato su campione di tiroidectomia totale con prelievi subseriati di lobo destro, istmo e lobulo piramidale per giudizio diagnostico intra-operatorio con successiva diagnosi istologica definitiva. Sono state effettuate, oltre alle colorazioni istomorfologiche di routine, colorazioni istochimiche con i metodi di Pas con e senza diastasi e Rosso Congo sec. Highman mod., reazioni immunoistochimiche con antisieri per Calcitonia, Tireoglobulina, CEA, Cromogranina, Citocheratina 19, TTF-1. Risultati. La citomorfologia suggestiva per carcinoma papillare (clearing nucleare, anisocariosi, occasionali nuclear grooves, aggregazione papillare in assenza di colloide) non correlava con i reperti istoimmunofenotipici di neoplasia solida e tubulopapillare a stroma amiloide (Rosso Congo+, con birifrangenza verdastra a luce polarizzata, positiva per Calcitonina, Cromogranina, CEA, TTF1-1 e negativa per Tireoglobulina e Citocheratina 19). La diagnosi istologica definitiva risultava quindi: “carcinoma midollare della tiroide, variante papillare, a stroma amiloide del lobo destro, dell’istmo e del lobulo piramidale, metastatico in 5 su 17 linfonodi latero-cervicali di destra ed in 8 su 8 linfonodi paratracheali destri”. 399 comunicazioni libere Conclusioni. Mentre per le lesioni follicolari della tiroide il problema principale che si pone al Patologo è il confine tra nodulo benigno (C2) e nodulo atipico o maligno (C3 vs. C4-C5) per le lesioni non follicolari si apre un diagnostico differenziale più ampio (carcinoma papillare di tipo classico; neoplasie oncocitarie con aspetti papillari e – vedasi il ns. caso – carcinoma midollare con aspetti papillari) donde la necessità di un approccio diagnostico integrato. Prognostic value of interleukin-6 and 10 ratio (il-6/il-10) in intermediate-risk urothelial bladder carcinoma G. Nesi, T. Cai*, S. Mazzoli**, F. Meacci**, G. Tinacci***, E. Zini***, R. Bartoletti* Departments of Pathology and * Urology, University of Florence, Florence; ** STDs Center and *** Department of Pathology, Ospedale “Santa Maria Annunziata”, Florence, Italy Background. Several potential markers have been investigated so as to improve non-invasive diagnosis of superficial bladder carcinoma (SBC). The aim of this study is to evaluate the interleukin-6 and interleukin-10 ratio (IL-6/IL-10) as a prognostic marker of recurrence in patients with intermediate-risk SBC. Methods. Sixty-five consecutive urologic out-patients (41 affected with intermediate-risk SBC and 24 controls) were selected for this prospective study. A total of five urine samples for urinary cytology, urine dipstick test and interleukin analysis were collected from each subject before transurethral resection of the bladder tumor (TUR-BT) and, after TUR-BT, at 3, 6, 9 and 12 months. IL-6 and IL-10 concentrations in urine were determined by solid phase ELISA Quantikine IL-6 and IL-10 immunoassay, respectively. Sensitivity, specificity and positive and negative predictive values of the method were calculated. Results. At pre-TURBT sample collection, IL-6/IL-10 was not statistically different in patients and controls (p = 0.58). IL-6/IL-10 was statistically different in patients with recurrence and in those without recurrence at 3 (0.009 vs. 0.408), 6 (0.011 vs. 0.268), 9 (0.012 vs. 0.288) and 12 (0.009 vs. 0.302) months after TURBT (each p < 0.001). Multivariate analysis indicated that IL-6/IL-10 was an independent prognostic factor for recurrence (HR = 3.62, 95% CI 2.80-4.92, p < 0.001). Test sensitivity and specificity was 0.83% (95% CI 0.57-0.95) and 0.76% (95% CI 0.45-0.93), respectively. Conclusions. The current study highlights the feasible role of the IL-6/IL-10 value in predicting intermediate-risk SBC recurrence. This method will be instrumental in improving urinary cytology accuracy in the monitoring of SBC patients. Valutazione retrospettiva di 153 casi di carcinoma papillare della tiroide su fnac: aspetti morfologici e criteri diagnostici M. Rizzo, R. Talamo Rossi, O. Bonaffini, C. Scisca U.O.C. di Oncologia Medica e Diagnostica Patologica Ultrastrutturale, A.O.U. Policlinico “G. Martino”, Università di Messina, Italy L’ecotomografia (ETG) quale guida strumentale e la valutazione immediata del prelievo con colorazione citologica rapida hanno migliorato moltissimo l’efficacia e l’efficienza della Fine Needle Aspiration Cytology (FNAC) nella diagnostica della patologia nodulare della tiroide. In questo ambito la diagnosi citologica di Carcinoma Papillare (CP) è piuttosto accurata in ragione di alcune peculiarità morfologiche che lo caratterizzano e che si presentano con frequenze variabili nelle varie esperienze riportate in letteratura. Viene qui riportata la nostra esperienza ricavata da una casistica di 8.021 casi di FNAC della tiroide (giugno 1988-giugno 2007) condotti con guida ETG e valutazione immediata del prelievo (valutazione on-site) mediante colorazione citologica rapida (Cytocolor) e successiva doppia colorazione di Papanicolaou (Pap) e MayGrunwald e Giemsa (MGG), per la diagnosi del CP. Sono stati diagnosticati così 138 casi di CP come prima diagnosi (Thy5 sec. BTA), 10 casi dai reperti sospetti (Thy4) e 3 casi provenienti dai reperti classificati come neoformazioni follicolari (Thy3); 1 caso proveniva dai falsi negativi e 1 caso dai Carcinomi NAS, per un totale di 153 casi di CP, pari al 18,5 x 1.000 (153/8.021) di incidenza nella popolazione in esame. Questa neoplasia rappresenta pertanto il tumore più frequente anche nel nostro materiale con il 76,5% (153/200) di tutti i tumori maligni della tiroide e l’88,5% (153/179) dei t. primitivi della tiroide. La correlazione istologica e i dati del follow-up erano disponibili in 150/153 casi (98%). Tutti questi casi quindi sono stati rivalutati per la presenza dei parametri maggiormente significativi ai fini diagnostici citologici, ottenendo così i seguenti dati: Lembi piani (sheets), arrangiamento papillare, pseudofollicolare pseudostratificazione e overlapping 80% Inclusi citoplasmatici intranucleari (nuclei papillari) (ICI) 66% Istiociti plurinucleati e giganti 59% Pieghe nucleari, nuclei coffee-bean o nuclear grooves (NG) 33% Aspetti oncocitosimili e/o Warthin-like 30% Colloide densa/spessa o cheving gum-like 18% Aspetti follicolari (var. follicolare) 15% Aspetti papillari e follicolari (misti) 14% Corpi psammomatosi (psammoma bodies) 13% Aspetti squamoso-simili 12% Popolazione linfoide associata (TCL) 5% Aspetti anaplastici 2% Macrofagi e “aspetti cistici” (CP intracistico) 2% I dati confermano ancora una volta quelli della letteratura sull’argomento, anche se con alcune differenze in taluni parametri. Quando venivano considerati i primi 3 criteri a fini diagnostici la sensibilità del CP era più bassa, quando si includeva quello dei NG (criterio escludente la presenza degli ICI), allora la sensibilità raggiungeva il massimo: nella nostra esperienza la sensibilità diagnostica per CP era del 96,7% (148/153). L’uso di 5 o più dei criteri sopra riportati quando usati opportunamente consentiva il 100% in accuratezza. Il diametro delle lesioni variava da 6 a 40 mm; 11 casi erano inferiori al cm di diametro ed erano considerati pertanto microcarcinomi; 5 casi erano CP intracistici, dei quali 2 diagnosticati in primis su linfonodo laterocervicale (meta), sempre con FNAC. L’età media dei nostri soggetti in entrambi i sessi (M + F) era di 42 anni, quella dei M 36 e quella delle F 43 400 anni, confermando così la più precoce comparsa del CP nel sesso maschile. Il range era 10-82 anni (M + F), mentre per i M era 26-70. La classe modale in entrambi i sessi (M + F) mostrava un plateau fra 21-40 anni, nei M era 21-30 e nelle F 51-60. Altra curiosità da noi riscontrata e non segnalata in letteratura è che la presenza dei corpi psammomatosi era associata a lesioni di grandi dimensioni e di vecchia data, mentre con l’anticipazione diagnostica, e negli ultimi anni, questa caratteristica è diventata raramente osservabile in citologia. III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP ed ipertensiva. Gli esami ematochimici con alterazioni non significative; esame radiologico con segni di versamento pleuro-pericardico. All’agocentesi pericardico: 150 cc di liquido siero-ematico. Esame citologico versamento pericardico: presenza di cellule epiteliali neoplastiche con aspetto papillare. Si decide di eseguire indagini immunocitochimiche sul campione: Citocheratina, EMA, Vimentina, CEA e Calretinina. Citocheratina Markers immunoistochimici nella diagnostica del mesotelioma F. Romeo, R. Iuele, G. Capocasale, G. Patitucci UOC Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera, Cosenza Presentiamo il caso di un uomo di anni 79 affetto da sintomatologia cardio-respiratoria (lieve scompenso cardiaco) EMA Vimentina 401 comunicazioni libere Calretinina Citocheratina Che hanno confermato il mesotelioma pleurico. La positività ai markers ha reso necessario verificare un eventuale mesotelioma. Il paziente è stato sottoposto ad una biopsia pleurica: Quadro all’ematossilina-eosina. Localizzazione secondaria di neoplasia carcinomatosa di probabile origine ovarica F. Romeo, R. Iuele, G. Capocasale, G. Patitucci UOC Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera, Cosenza Presentiamo il caso di una donna di aa. 76 affetta da ascite di n.d.d. Anamnesi negativa per patologia addomino-pelvica; esami ematochimici nei limiti (compresi i markers oncogeni); esame ecografico non significativo; agocentesi: 300 cc di liquido emorragico. Esame citopatologico di liquido ascitico. Alla successiva indagine immunoistochimica: Calretinina 402 III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP La paziente è stata poi sottoposta ad ecografia addomino-pelvica che ha evidenziato: – ovaie nella norma; – lesione nodulare in sede pelvica non meglio definibile (probabilmente omentale). Alla successiva laparotomia esplorativa: – nodulo omentale (3 cm circa) su cui si esegue biopsia. Sezioni in ematossilina ed eosina. Diagnosi. Positività per cellule neoplastiche di carcinoma papillare. In corso esame ICC per verificare un’eventuale neoplasia ovarica. Indagine immunocitochimica su strato sottile: Citocheratina 20, Citocheratina 7, Ca 125, CEA. Ca 125 CK 7 IIC: Ca125 403 comunicazioni libere Diagnosi molecolare IIC: CK7 Diagnosi. Localizzazione secondaria di neoplasia carcinomatosa di probabile origine ovarica (Ca125 e Citocheratina 7 positivi). Necessario indagare in tal senso. Alla seconda laparotomia esplorativa: asportazione ovaio destro per neoformazione cistica di circa 1,5 cm di diametro su cui si esegue esame istologico intraoperatorio: quadro di cistoadenocarcinoma papillare sieroso. Metodiche a dna e ad rna per la gestione delle pazienti in follow-up per lesioni cervicali hpv-indotte S. Rosini, D. Caraceni*, A. Mazzotta**, F. Conti**, L. Ciccocioppo*, T. Orsini, S. Setta, D. Pilla*, R. Zappacosta Sezione di Citodiagnostica, Università “G. D’Annunzio”, Chieti-Pescara; * U.O.C. Sezione di Citodiagnostica, Ospedale “Renzetti”, Lanciano, Chieti; ** Divisione di Ostetricia e Ginecologia, Ospedale “SS. Annunziata”, Chieti Introduzione. L’infezione persistente tipo specifica da papillomavirus rappresenta un significativo fattore di rischio nello sviluppo delle neoplasie cervicali. L’infezione persistente può essere evidenziata per mezzo di indagini sequenziali volte ad individuare precocemente lesioni cervicali ad alto rischio di progressione verso il carcinoma invasivo. Abbiamo voluto valutare l’utilità clinica di indagini molecolari che consentono di evidenziare i trascritti dei geni E6 ed E7 del papillomavirus per mezzo di una tecnologia NASBA in real-time allo scopo di identificare tra le donne affette da lesioni citologiche di basso grado quelle ad alto rischio di progressione verso lesioni di più alto grado o carcinoma invasivo. Metodi. Lo studio è stato effettuato su 104 donne di età compresa tra 16 e 82 anni selezionate tra le pazienti di ambulatori ospedalieri o privati in follow-up per lesioni di basso grado o per precedenti trattamenti di lesioni cervicali. Ciascuna donna sottoposta a prelievo citologico in fase liquida e colposcopia è stata valutata per la presenza di HPV DNA con sistema Hybrid Capture II (HC II Digene). L’espressione dell’RNA messaggero delle oncoproteine E6/E7 è stata evidenziata con tecnologia NASBA in real-time (Pre-tect HPV proofer, Alfa Wasserman). Le indagini molecolari sono state condotte sullo stesso campione dal quale è stato allestito l’esame citologico. Risultati. I risultati ottenuti sono riportati in tabella. Diagnosi citologiche (n. di casi) HPV-DNA Negatività HPV-DNA LR+ HPV-DNA HR+ E6/E7 mRNA+ BCC/negativi (17) 10 (59%) 0 7 (41%) 2 (12%) ASC(33) 19 (58%) 1 (3%) 13 (39%) 5 (15%) L-SIL (46) 8 (17%) 3 (7%) 35 (76%) 12 (26%) H-SIL (8) 1 (13%) 1 (13%) 6 (74%) 4 (50%) In particolare, i trascritti dei geni E6/E7 erano presenti in 23 (22,1%) delle 104 donne studiate ed in 20 (32,8%) delle 61 risultate positive per ceppi ad alto rischio all’HC II. Delle 46 donne negative alla colposcopia, 21 (45,6%) erano positive per HPV DNA ad alto rischio e 5 di esse (23,8%) positive al Pre-tect HPV Proofer. Delle 58 donne positive alla colposcopia, 36 (62%) erano positive per ceppi al alto rischio e di esse 17 (47,2%) esprimevano E6/E7. I nostri risultati preliminari mostrano che l’espressione delle oncoproteine E6/E7 è rilevabile solo in circa un terzo delle donne con infezione da ceppi al alto rischio. Poiché la persistenza virale rappresenta il reale precursore della progressione neoplastica solo la valutazione dell’espressione delle oncoproteine E6/E7 ci consente di identificare quali infezioni protranno indurre neoplasia in futuro. L’associazione tra HPV DNA test e Pre-tect HPV Proofer migliora la sensibilità diagnostica del Thin prep Pap test ed è utilizzabile nella pratica clinica per individuare le pazienti da sottoporre necessariamente a trattamento perché ad alto rischio di sviluppare un cervicocarcinoma. Cytologic diagnosis of medullary carcinoma of the thyroid gland N. Scibetta, L. Marasà U.O.C. di Anatomia Patologica, ARNAS “Civico, G. Di Cristina, M. Ascoli”, Palermo Introduction. Medullary carcinoma of the thyroid gland (MTC) is a rare malignant tumor of C-cells accounting for 10% of thiroid malignancies. MTC can occur either in sporadic (~80%) or in familial forms (~20%) in association with MEN syndrome variants. Preoperative recognition of MTC by fine-needle aspiration (FNA) enables the surgeon to investigate the patient for a possible MEN type II that might include pheochrocytoma, and to plan the surgery with radical neck dissection, if necessary. We report a case of microMTC diagnosed by FNA cytology and confirmed by subsequent histologic examination of the thyrodectomy specimen, that showed an microMCT, measuring 9 mm in diameter, with a pericapsular limph node metastasis. Methods. The FNA was performed from a 26 years-old woman with a unique subcentimetric palpable thyroid nodule, with 22-gauge needle, and the alcohol fixed samples were stained with H&E method. Unstained smears was not available, in order to verify the diagnosis by immunostaining. 404 Results. The smears were very cellular,with cell clusters as well as single dispersed cells in the background. The cell clusters were solid and multilayered. The cells within these groups showed a considerable degree of disorganization, characterized by an overlapping of the nuclei. The background was clean and included calcified bodies. The cells were either round with finely granular cytoplasm and spindle-shaped. The nuclei round and regular, characteristically located eccentrically, contained predominately a coarse granular pattern of chromatin, characteristic of MTC and neuroendocrine differentiation. Nucleoli were inconspicuous. The cells were often stripped of cytoplasm. Intranuclear cytoplasmic inclusion was present. No amyloid was found. Conclusions. In our case, all the cytomorphologic features, such a clean background, eccentric nuclei, inconspicuous nucleoli, neuroendocrine chromatin pattern, considered pathognomonic of MTC were present, but some features (i.e. intranuclear inclusions and granular cytoplasm) and the absence of amyloid were the source of diagnostic difficulties, expanding differential diagnosis to include papillary carcinoma and Hürthle cell neoplasm. The histologic subsequent diagnosis of MTC confirmed that the combination of neoplastic plasmacytoid cells with extremely eccentrically placed nuclei, and neuroendocrine chromatin are the most important cytologic criteria for the diagnosis of MTC with FNA. The absence of amyloid does not exclude MTC. In conclusion the role of fine needle aspiration is particularly important in the initial assessment of patients with the sporadic form of MTC, the diagnosis of which is not suspected clinically. Cytometric findings in L.B.C.C. S. Senatore, P. Rizzo*, E. Molina**, A. D’Amuri Morbid Anatomy, “S. Cuore di Gesù” Hospital of Gallipoli ASL/LE; * School of Biology University of Camerino; ** Department of Human Anatomy, Pharmacology and Medical Forensic Sciences, School of Medicine University of Parma Introduction. Our study proposes a Liquid Based Cervical Cytology (L.B.C.C.) algorithm based on morpho-cytometric analysis that can be integrated to cervical cancer screening investigations to better support both screening activity and prognostic evaluations. Morphological and cytometric findings were analysed in order to elucidate the role of each cell types between the different diagnosis and in the whole cell populations. Material and methods. The study evaluated cervical samples of 304 cases obtained from a population with a mean age of 47 that ranged from 21 to 77 years old processed by a L.B. system Thin Prep Pap Test (Cytyc). Diagnostic slides were stained with Papanicolau method and used for cytometric assays evaluated in different times from two observers. Cytological material was grouped for both age and diagnosis in four different diagnostic steps (D.S.): 0) “not diagnostic”, 1) “reactive”, 2) LSIL, AGUS, ASCUS, 3) HSIL-SCC. Cytometry evaluations were done on metaplastic cells, coylocyties, lesional atypic cells, flogistic component. The number of cells falling on the “test area” points were counted and expressed as cell densities for test area in each specimen. The ratios between the different cell types were calculated. All obtained data were analysed with statistical methods using X2, Fisher “F” and ANOVA. III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP Discussion and conclusion. This study clearly indicate that LBCC samples in different diagnostic steps must be considered as the expression of a multiple micro-stressed organic region where lesions development come out from common cytologic populations. In the different evaluated diagnostic conditions it could be observed both statistical significant presence of metaplastic cells increase between the 2nd and 3rd DS and a Ic/Mc ratio increase between 1st and 2nd DS. The statistical significant presence of coylocytes increased between 1st and 2nd as decreased between 2nd and 3rd DS, is well according with the lesional evolution, particularly in HPV-related conditions. In conclusions, we retain that reviewing morphometry in cervical cancer screening can be a useful aid to better evaluate cervical pathology and its possible development. Carcinoma squamoso primitivo (scc) della mammella: descrizione di un caso S. Squillaci, C. Spairani, R. Marchione, D. Lambertenghi*, A. Mazzi*, R. Cazzaniga** Servizio di Anatomia Patologica, * Servizi di Radiologia, ** Divisione di Chirurgia, Ospedale di Vallecamonica, Esine ed Edolo, Italia Introduzione. Il carcinoma squamoso primitivo (SCC) della mammella è un’entità di raro riscontro; in letteratura sono stati segnalati circa un centinaio di casi. Caso clinico. Donna di 83 anni riferisce la comparsa di nodulo mammario al quadrante supero-interno destro immobile sui piani sottostanti, mammograficamente sospetto per la presenza di microcalcificazioni ed ecograficamente disomogeneo per l’alternanza di aree anecogene cistiche con setti ipoecogeni. La TAC e la radiografia toraco-polmonare risultano negative. La paziente viene sottoposta ad agoaspirato che evidenzia elementi di foggia poligonale o fusata con citoplasma orangiofilo e nucleo ipercromico sospetti (C4). Successivamente, si procede a nodulectomia con esame intraoperatorio positivo e a mastectomia radicale con linfonodi del primo e secondo livello. Macroscopicamente la lesione appare come un nodulo di colore giallastro di aspetto solido-cistico a margini irregolari di cm 3,4 di diametro. Istologicamente la neoplasia è costituita da una crescita cordoniforme di cellule poco differenziate con citoplasma ampio ed eosinofilo, nucleo talora nucleolato, delimitazione di spazi pseudocistici, presenza di frequenti figure mitotiche ed estesa necrosi. Assenza di carcinoma intraduttale e di metastasi linfonodali. Le cellule tumorali sono positive alle citocheratine 5/6 ed alto peso, alla P63 e all’EGFR. Negativi i recettori estro-progestinici e il c-erb 2; frazione proliferante Ki67 pari al 15%. Conclusioni. La diagnosi differenziale del SCC mammario include il carcinoma metatipico, il carcinoma squamoso insorto nelle strutture cutanee adiacenti e secondarismi da siti primari extramammari. L’origine della neoplasia si pensa possa essere correlata con una trasformazione maligna di una metaplasia squamosa dei dotti mammari 1. La prognosi è alquanto controversa; alcuni studi indicano una propensione alle recidive, alta aggressività e refrattarietà alla terapia. L’espressione di marcatori mioepiteliali e la positività per EGFR hanno indotto alcuni Autori a considerare il SCC un fenotipo “basal-like” di carcinoma della 405 comunicazioni libere mammella 2. Ad oggi il trattamento del SCC della mammella è simile a quello degli altri tumori invasivi anche se l’impiego combinato, in trials clinici sperimentali, di inibitori di EGFR, sali di platino e taxani è stato suggerito 1. Bibliografia 1 Hennessy BT, et al. J Clin Oncol 2005;23:7827-35. 2 Reis-Filho JS, et al. Histopathology 2006;49:10-21. Carcinoma papillifero della tiroide in adolescente di dodici anni. Descrizione di un caso S. Squillaci, R. Marchione, C. Spairani, E. Mondini*, M. Berlendis**, R. Cirelli Servizio di Anatomia Patologica, * Servizio di Radiologia,** Divisione di Otorinolaringoiatria, Ospedale di Vallecamonica, Esine (BS) Introduzione. La maggioranza dei carcinomi della tiroide sono primitivi e di origine epiteliale e tra questi il carcinoma papillifero è quello più rappresentato con una percentuale che oscilla, secondo le casistiche tra il 50 ed il 70%. Si osserva con maggior frequenza nel sesso femminile in età adulta. Circa il 10% del totale dei casi di carcinoma della tiroide compare in bambini ed adolescenti e di questi l’istotipo più comune è il papillifero. Metodi. Ad una adolescente di dodici anni veniva riscontrato un nodulo palpabile al lobo destro tiroideo che all’esame ecografico appariva di 4 cm di diametro con ecostruttura solida per lo più ipoecogena. Non risultava dimostrabile la presenza di linfonodi laterocervicali omo- o controlaterali ingranditi e/o con ilo non apprezzabile. Si eseguiva FNA che mostrava prelievi costituiti da materiale amorfo simil-colloideo, talora addensato, alcuni macrofagi, rare cellule giganti plurinucleate ed aggregati tridimensionali di tireociti, spesso di foggia papillare, talora con ispessimento della membrana nucleare, cromatina chiarificata, incisure e pseudoinclusi citoplasmatici intranucleari. Veniva fatta diagnosi di neoplasia tiroidea compatibile con carcinoma papillifero e si procedeva a tiroidectomia totale senza svuotamento linfonodale laterocervicale destro. Risultati. All’esame macroscopico la tiroide mostrava, a livello del lobo destro, una formazione nodulare, di cm 3,3 di diametro a colorito grigio-rossastro. Istologicamente tale lesione corrispondeva a carcinoma papillifero di tipo classico con aree di sclerosi e corpi psammomatosi; giungeva a ridosso della capsula d’organo senza infiltrarla con immagini di angioinvasione peritumorali. Il profilo immunofenotipico della neoplasia era rappresentato da un’intesa positività alla citocheratina 19 ed all’anticorpo HBME-1. Conclusioni. Il carcinoma papillifero della tiroide è un’entità rara nelle prime due decadi di vita. La prognosi, anche in caso di localizzazioni a distanza (coinvolgimento linfonodale e/o metastasi polmonari) è relativamente buona. L’eziologia è sconosciuta; sono riportati in letteratura alcuni fattori di rischio che ne aumentano l’incidenza quali l’esposizione a radiazioni ionizzanti nei primi anni di vita, il deficit di iodio, la tiroidite di Hashimoto, fattori genetici dovuti a mutazioni spontanee (riarrangiamento RET/PTC). Nel nostro caso non sussisteva alcun fattore di rischio specifico riportato. Metastasi linfonodale di carcinoma midollare della tiroide. Diagnosi mediante FNA con ago sottile. F. Tallarigo, I. Putrino, S. Mazza, N. Papaleo, A. Tommasini, M.G. Scalia U.O. Anatomia Patologica e Citodiagnostica, Ospedale San Giovanni di Dio, Crotone Introduzione. Il carcinoma midollare è un tumore maligno costituito da cellule derivate da elementi parafollicolari “C”. Può comparire sporadicamente o come forma familiare, sia come lesione isolata che associato ad altre proliferazioni endocrine, costituendo la cosiddetta “sindrome delle neoplasie endocrine multiple” (MEN) di tipo II. Caso clinico. Paziente maschio di 39 anni, giunto alla nostra osservazione per linfoadenopatia laterocervicale sinistra, sottoposto a FNA mediante ago sottile (25 G), sotto guida ecografica. Materiali e metodi. Vengono allestiti n. 5 preparati citologici, colorati con ematossilina-eosina. Gli strisci discretamente cellulati sono costituiti da elementi epiteliali, neoplastici, prevalentemente dispersi talora aggregati in strutture tipo organoide con la formazione di nidi e cordoni. Le cellule presentano un aspetto prevalentemente poligonale, raramente fusato, con citoplasma eosinofilo e nuclei ovalari, talora rotondeggianti, cromatina finemente granulare, incospicui i nucleoli. Frequenti le binucleazioni. L’ipotesi diagnostica, dettata dal quadro morfologico, indirizzava verso una localizzazione metastatica di neoplasia di tipo neuroendocrino. Pertanto, sui preparati precedentemente allestiti, veniva effettuata un’indagine di immunocitochimica testando diversi markers anticorpali. Risultati e conclusioni. Gli elementi neoplastici mostravano un’intensa e diffusa positività alla cromogranina, calcitonina e CEA, negativi tireoglobulina ed NSE. Il dato immunofenotipico, pertanto, risultava essere compatibile con localizzazione metastatica di carcinoma midollare della tiroide. L’esame ecografico della ghiandola evidenziava la presenza di grossolani noduli atipici, su entrambi i lobi, successivamente sottoposti ad esame citologico mediante agoaspirato che ne confermava la natura neoplastica. A questo punto il paziente veniva sottoposto a tiroidectomia totale con conferma istologica di carcinoma midollare della tiroide. Il brushing pleurico nella valutazione diagnostica dei versamenti sospetti di malignità M.C. Truglia, G. Anzalone* U.O. Anatomia Patologica Ospedale “Misericordia e Dolce” Prato, * U.O. Pneumologia Ospedale “Misericordia e Dolce” Prato Quarantotto pazienti con versamento pleurico sospetto per malignità sono stati sottoposti a prelievo del liquido ed a brushing pleurico in corso di toracentesi effettuata mediante ago BARD 17 g da 8 cm. Per il brushing è stato usato uno spazzolino monouso da citologia bronchiale con setole di 1 mm. Il materiale spazzolato è stato strisciato su vetrino. Del liquido aspirato sono stati allestiti preparati in strato sottile. La valutazione citologica dei campioni è stata espressa in classi diagnostiche: C1: inadeguato, C2: lesione benigna, C3: lesione indeterminata, C4: lesione sospetta, C5 lesione neoplastica 406 maligna. In 34 dei 48 casi è stata documentata la malignità. Il brushing pleurico (CPBR) è risultato positivo per neoplasia maligna in 21 casi, l’esame citologico del versamento (PFC) in 14. Entrambe le tecniche hanno alti valori di specificità (100% per CPBR e 91% per PFC) e valore predittivo positivo (100% per CPBR e 95% per PFC). La sensibilità, che è del 62% per il brushing e del 41% per l’esame del versamento, raggiunge il 70% quando le due tecniche vengono usate insieme. Il brushing pleurico è tecnica semplice, ben tollerata e di grande aiuto diagnostico nei pazienti con versamenti sospetti di malignità. Essa può sostituire in molti casi tecniche diagnostiche più invasive e più costose come la toracoscopia e la toracotomia. Bibliografia 1 Emad A, Rezaian G. Closed percutaneous pleural brushing: a new method for diagnosis of malignant pleural effusion. Respir Med 1998;92:659-63. 2 Akosoy E, et al. Diagnostic yield of closed pleural brushing. Tuberk Toraks 2005;53:238-44. Il lavaggio bronchiolo-alveolare nella diagnosi di proteinosi alveolare polmonare. A case report G. Vita, M. Celano* U.O.C. Anatomia Patologica e Citodiagnostica, * U.O.C. Pneumologia; Azienda Ospedaliera “Osp. S. Carlo”, Potenza Introduzione. La proteinosi alveolare polmonare è una rara malattia ad etiologia sconosciuta, caratterizzata dall’accumulo endoalveolare di materiale amorfo lipoproteinaceo, PAS positivo, legato ad un’alterata produzione o degradazione del surfactant. Si distinguono due forme: idiopatica e secondaria (esposizione a polveri inorganiche, neoplasie ematologiche). Viene presentato un caso di proteinosi alveolare polmonare idiopatica con diagnosi definitiva eseguita su BAL. Il paziente è stato trattato con due lavaggi polmonari massivi. Al followup: miglioramento clinico-funzionale. Metodi. Uomo di anni 48, fumatore, presenta cianosi, dispnea da sforzo da circa 12 mesi, non ortopnea. Esame obiettivo toracico negativo. Prove di funzionalità respiratoria: pattern ventilatorio restrittivo con riduzione della diffusione alveolocapillare. Emogasanalisi: alcalosi respiratoria, grave ipossemia corretta con 4 L/m di O2. ECG nella norma. Rx torace: addensamenti polmonari bilaterali dei campi medi ed inferiori. HRTC toracica: ground-glass associato ad ispessimento dei setti (crazy-paving) diffuso ai campi medi ed inferiori. Viene eseguito lavaggio bronchiolo-alveolare per esame citologico ed esami colturali (negativi). Risultati. Il BAL si presentava di aspetto lattescente. Sono stati eseguiti: conta della cellularità totale in camera di Burker, la determinazione citofluorimetrica delle sottopopolazioni linfocitarie (CD4/CD 8) e l’esame citologico. Quindi allestiti vetrini su citocentrifugato di cui 2 fissati all’aria per la colorazione di May Grunwald-Giemsa e 6 in alcool 95° per le colorazioni di routine. Il coagulo formatosi è stato fissato in alcool 95° per l’allestimento del “cell block”. Le sezioni sono state colorate con H&E, PAS e PAS diastasi. Il quadro citologico dei campioni esaminati mostrava, in un background di materiale amorfo e detriti, numerosi macrofagi con inclusi citoplasmatici e corpuscoli acellulati a struttura multilamellare, entrambi PAS+ diastasi resistenti 1. Tale reperto macro- e microscopico era diagnostico di proteinosi alveolare. III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP Conclusioni. L’esame citologico del BAL è stato conclusivo 2 nella diagnosi di proteinosi alveolare polmonare escludendo le altre ipotesi diagnostiche formulate radiologicamente fra cui il BAC. Bibliografia 1 Maygarden SJ, et al. Pulmonary alveolar proteinosis: a spectrum of cytologic, histochemical and ultrastructural findings in bronchoalveolar lavage fluid. Diagn Cytopathol 2001;24:389-95. 2 Meng ZL, et al. Pathologic feature and diagnosis of pulmonary alveolar proteinosis. Zhonghua Bing Li 2005;34:575-8. La citologia in fase liquida nella diagnosi delle neoplasie polmonari G. Vita, E. Ferri, D.P. De Sanctis, M. Celano* U.O.C. Anatomia Patologica e Citodiagnostica, *U.O.C. Pneumologia; Azienda Ospedaliera “Osp. S. Carlo” Potenza Introduzione. La diagnosi di carcinoma polmonare mediante metodi citologici riveste un interesse storico perché è stata una delle prime dimostrazioni della possibilità di diagnosticare i tumori maligni grazie all’esame di cellule sfaldate. Purtroppo la qualità tecnica dei vetrini della citologia polmonare è inficiata da molti dei limiti propri degli strisci convenzionali come la presenza di numerosi elementi oscuranti (muco, sangue ed infiammazioni), modificazioni degenerative, allestimento del vetrino operatore-dipendente. L’impiego dell’allestimento su strato sottile per la citologia extra-vaginale e, quindi, anche per quella polmonare è stato dettato proprio dalla necessità di migliorarne la qualità tecnica e, quindi, quella diagnostica. Metodi. Sono stati allestiti esclusivamente con la tecnica della fase liquida (ThinPrep 2000) i campioni di lavaggio bronchiale e brushing di 98 pazienti pervenuti nei seguenti anni: 20052006 e I semestre 2007. Inoltre sono stati valutati gli stessi tipi di esami riguardanti 34 pazienti dell’anno 2004 allestiti con la citologia convenzionale. L’introduzione dell’allestimento della metodica in strato sottile ha determinato una serie di modifiche riguardanti le fasi di invio e di processazione in laboratorio del materiale citologico con necessario adeguamento a determinati protocolli da parte di tutti gli operatori interessati. È stata valutata la qualità tecnica, la qualità diagnostica e la sensibilità delle due metodiche di allestimento dei preparati citologici per la diagnosi di carcinoma polmonare e di istotipo. Risultati. Confrontando i due metodi i vetrini allestiti in fase liquida mostravano una migliore conservazione della morfologia nucleare e minori cambiamenti degenerativi. Inoltre il sangue era virtualmente assente ed il tempo di lettura ridotto. I risultati riguardanti la qualità diagnostica sono riportati nella Tabella I. Tab. I. FBS Diagnosi Citologica Diagnosi Istologica Diagnosi Citoistologica Sensibilità 2004 34 2 14 18 58% 2005 27 8 4 15 85% 2006 36 10 5 21 86% 2007 (I sem) 35 10 4 21 88% 407 comunicazioni libere Dai dati riportati si evidenzia un aumento di preparati citologici diagnostici di neoplasia maligna polmonare; inoltre si è notevolmente ridotto il numero dei falsi negativi, si è avuta una diagnosi più accurata di istotipo e la possibilità di effettuare indagini di immunoistochimica. Infatti nel 2004 i 20 casi positivi all’esame citologico (2 + 18) furono così classificati: 10 NSCLC, 6 carcinomi spinocellulari, 2 adenocarcinoma e 2 SCLC. Al contrario, nei periodi testati con l’allestimento in fase liquida, i preparati citologici positivi per carcinoma, in totale 85, sono stati così classificati: 15 SCLC, 44 carcinomi spinocellulari, 20 adenocarcinomi, 2 carcinomi a grandi cellule e 4 NSCLC. Conclusioni. La citologia su strato sottile (ThinPrep 2000) aumenta notevolmente la qualità dei vetrini da valutare eliminandone gli elementi oscuranti; ha una più alta sensibilità rispetto alla citologia convenzionale (nostra valutazione: 86% vs 58%, in accordo con i dati in letteratura), permette una di.agnosi di istotipo nella maggior parte dei casi e consente la determinazione immunoistochimica di anticorpi specifici di ausilio diagnostico. Tale possibilità si rivela vantaggiosa in situazioni dubbie, come nello SCLC la cui diagnosi differenziale con l’iperplasia delle cellule di riserva può risultare difficoltosa. Bibliografia 1 Rana DN et al. A comparative study: conventional preparation and ThinPrep 2000 in respiratory cytology. Cytopathology 2001;12:390-8. Malattia di Rosai-Dorfman in campione di liquido pleurico: aspetti citologici A. Zabatta, M. Marino, G. Marino, R. Boschi, C. Frangella, A. Iaccarino, A. Vetrani Dipartimento di Scienze biomorfologiche e funzionali Università “Federico II”, Napoli La malattia di Rosai-Dorfman, primariamente malattia linfonodale, può interessare anche siti extranodali. Tra questi molto raramente la pleura come unica localizzazione senza interessamento del parenchima polmonare 1. La paziente da noi osservata era una donna di 27 anni, affetta da infezione da HIV, che aveva sviluppato, a sei mesi da un parto spontaneo, dispnea ingravescente. All’Rx e successiva TAC, veniva evidenziato un versamento pleurico massivo. L’esame citologico del liquido pleurico, trattato con le comuni metodiche citologiche e con citocentrifugazione, metteva in evidenza sia nei campioni colorati con Papanicolaou che con May-GrunwaldGiemsa, accanto a cellule mesoteliali, numerosi elementi linfoidi maturi, alcuni granulociti eosinofili e rare plasmacellule. Sullo sfondo si notavano elementi istiocitari con citoplasma eosinofilo ed evidenti fenomeni di emperipolesi. L’esame immunocitochimico metteva in evidenza positività in tali cellule per CD 68 e S100. Risultavano negativi citocheratina 7 e 20, CEA monoclonale, CD1A e HMB45. L’esame immunocitofluorimetrico confermava la natura reattiva dell’infiltrato linfoide. L’insieme dei dati era consistente per un coinvolgimento pleurico da malattia di Rosai-Dorfman. La paziente trattata con terapia antiedemigena sta bene a circa 8 mesi dalla prima osservazione. Il nostro caso, insolito dal punto di vista clinico-patologico, documenta l’importanza di considerare la possibilità di una malattia di Rosai-Dorfman nella diagnostica differenziale dei versamenti pleurici. Bibliografia 1 Ohori NP, et al. Hum Pathos 2003;34:1210-1. pathologica 2007;99:408-410 POSTER La proteina p16: un ulteriore tassello nella diagnostica delle lesioni intraepiteliali hpv correlate della cervice uterina Linfoma marginale della milza: diagnosi citologica su versamento pleurico. Case report L. Baron, P. Beltotti, M. Postiglione, F. Quarto A.M. Lavecchia, L. Leonetti, A.V. Filardo, L. Tucci Struttura Operativa Complessa di Anatomia ed Istologia Patologica e Citopatologia, P.O. “San Leonardo”, ASL NA-5, Castellammare di Stabia (Napoli) U.O. Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera “PuglieseCiaccio”, Catanzaro Introduzione. Vi è ormai evidenza certa che l’iperespressione della proteina p16INK4a nelle cellule dell’epitelio cervicale rappresenta un segno indiretto dell’integrazione del genoma dell’HPV ad alto rischio (HPV-HR) nel genoma della cellula ospite. Scopo di questo lavoro è quello di valutare l’utilità dell’iperespressione della p16INK4a nell’individuazione delle lesioni in progressione nell’ambito di programmi di screening del cervicocarcinoma. Metodi. Abbiamo studiato 402 casi, selezionati nell’ambito di una campagna di screening del cervicocarcinoma, con citologia in strato sottile (LBC), così suddivisi in: negativi (189, 47% – 50 controlli negativi e 139 negativi ai successivi controlli), ASC (140, 35%), L.SIL (61, 15%), H.SIL (12, 3%). Su tali casi è stata effettuata prima la ricerca e tipizzazione dell’HPV ad alto rischio (HPV-HR), attraverso l’utilizzo del test Hybride Capture 2 (HC2), e poi la valutazione dell’iperespressione della p16INK4a utilizzando il test immunoistochimico (IHC) CINtec™ (clone E6H4). Inoltre abbiamo valutato la sensibilità, la specificità, il valore predittivo positivo ed il valore predittivo negativo del test dell’HC2 e di quello IHC della p16INK4a sulla base del successivo esame istologico. La significatività statistica è stata valutata col test χ2 di Pearson. La positività nucleare e/o citoplasmatica per p16 è stata valutata considerando solo le cellule con alterazioni morfologiche di vario grado e la quantità di cellule positive. Risultati. La positività per l’HPV-HR aumenta dall’11% dei negativi, al 44% degli ASC-US, fino al 92% nei L.SIL e 100% negli H.SIL (p < 0,0001). Negli HC2+ il 20% dei negativi (p < 0,05) è risultato p16+; il 79% degli ASC-US (p < 0,001) è p16+; il 65% (p < 0,05) dei L.SIL è p16+ mentre il 100% degli H.SIL è p16+. La sensibilità, la specificità, il valore predittivo positivo ed il valore predittivo negativo del test HC2 è risultato essere rispettivamente del 98%, dell’88%, del 78% e del 99%, mentre quello del test IHC della p16 è risultato essere dell’81%, del 98%, del 95% e del 92%. Conclusioni. La positività per p16 può essere utile nell’individuazione, soprattutto nelle lesioni dubbie e in quelle di grado basso/intermedio, dei casi in “progressione”, in cui il virus dell’HPV si è integrato innescando di fatto un’infezione a rischio “di trasformazione”. Il test immunoistochimico per la p16 deve affiancarsi e non sostituire l’HC2 in quanto presenta una più elevata specificità e una sensibilità inferiore. Presentiamo un caso di linfoma marginale della milza esordito con versamento pleurico sx. Paziente di sesso femminile, di anni 56, in seguito a dispnea ingravescente ed in assenza di sintomi sistemici, veniva sottoposta ad esame radiologico del torace che evidenziava un versamento della cavità pleurica sx. L’esame citologico, eseguito sul liquido da agoapirazione, metteva in evidenza la presenza di numerosi elementi linfoidi, di piccole e medie dimensioni con nucleo rotondo o reniforme, cromatina dispersa ed evidente rima citoplasmatica pallida. Alcuni elementi presentavano estroflessioni della membrana citoplasmatica che conferivano loro un caratteristico aspetto “villoso”. Veniva su queste basi ipotizzata la diagnosi di linfoma marginale splenico, in seguito alla quale veniva eseguita una TAC addominale che metteva in evidenza splenomegalia diffusamente disomogenea (diametro massimo 21 cm) e linfoadenomegalie mesenteriche, celiache e periaortiche (diametro massimo 2 cm). Successivamente veniva eseguita una biopsia osteomidollare che, all’esame istologico, mostrava un’infiltrazione neoplastica, quantizzabile in circa il 30%, di piccoli linfociti in sede endosinusoidale ed interstiziale. L’indagine immunoistochimica dava i seguenti risultati: CD20+, CD79+,CD3-, CD10-, CD5-, CD23-, Ciclina D1-, bcl 6-. Tale quadro confermava la diagnosi di linfoma marginale splenico. Il linfoma marginale della milza rappresenta una rara neoplasia a cellule B periferiche (meno dell’1% delle neoplasie linfoidi) con primitiva localizzazione splenica ma con costante diffusione sistemica. La malattia presenta due particolari caratteristiche morfologiche: nel sangue periferico i linfociti neoplastici possono presentare sulla membrana citoplasmatica corte estroflessioni villose polarizzate; nel midollo osseo i linfociti neoplastici infiltrano le cavità midollari con pattern endosinusoidale. I caratteri morfologici descritti, unitamente al dato clinico di splenomegalia, sono fondamentali nella diagnosi di questo linfoma, non essendo ancora disponibile un anticorpo specifico per le neoplasie della zona marginale e dovendo pertanto basare la diagnosi immunoistochimica su un criterio di esclusione. Nel caso da noi riportato, i linfociti villosi sono stati eccezionalmente riconosciuti nel liquido pleurico, indirizzando con successo le ulteriori indagini cliniche che hanno portato alla diagnosi definitiva. 409 poster La diagnosi citologica di istotipi speciali di carcinoma mammario Le applicazioni dell’immunoistochimica all’esame citologico A.M. Lavecchia, M. Facchini*, F. Leone**, A.V. Filardo, L. Tucci F. Tallarigo, A. Tommasini, N, Papaleo, S. Mazza, F. Vittimberga, I. Putrino, M.G. Scalia U.O. Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera “PuglieseCiaccio”, Catanzaro; * U.O. Radiologia, Azienda Ospedaliera “Pugliese-Ciaccio”, Catanzaro; ** U.O. Chirurgia, Azienda Ospedaliera “Pugliese-Ciaccio”, Catanzaro U.O. Anatomia Patologica e Citodiagnostica Ospedale “S. Giovanni di Dio”, Crotone L’accuratezza diagnostica della citologia agoaspirativa delle lesioni mammarie è condizionata da molteplici fattori, alcuni legati all’esperienza degli operatori impegnati nel prelievo e nella lettura, altri correlati alle caratteristiche intrinseche della neoplasia. Oltre all’estensione e alla palpabilità, alle modalità di crescita ed al grado nucleare di malignità, le peculiarità morfologiche degli istotipi speciali di carcinoma mammario possono influenzare l’accuratezza della diagnosi citologica. Queste forme rappresentano non meno del 10% dei tumori diagnosticati e alcuni rientrano spesso nei cosiddetti tumori da screening. In molti casi il limite diagnostico è rappresentato dalla scarsa cellularità o dal basso grado nucleare, ma anche per gli istotipi morfologicamente più aggressivi, la concomitante presenza di elementi reattivi o la somiglianza con elementi metaplastici possono condizionarne il riconoscimento. Sono stati valutati 227 casi consecutivi di carcinoma mammario operati presso la nostra Azienda Ospedaliera in un arco di 24 mesi, precedentemente sottoposti a citologia aspirativa con ago sottile. A fronte di un 70% di carcinomi duttali NOS, 9% di carcinomi lobulari e 5% di carcinomi intraduttali, sono stati diagnosticati 36 tumori ad istotipo speciale (16%). Tra questi più frequenti sono stati carcinomi papillari (3%), papillari-mucinosi (2,6%), tubulari (2,6%), apocrini (1,7%) e infiammatori (1,7%). Ancora più rari il carcinoma mucinoso, metaplastico e midollare (0,8%) e i carcinomi cribriforme, tubulo-lobulare, secretorio, micropapillare e a cellule giganti osteclast-like (0,4%). In tre di questi casi (tubulo-papillare, mucinoso-papillare e cribriforme) la diagnosi citologica era stata di sospetto (C4), in due (mucinoso e infiammatorio) di inadeguato (C1) e in uno (tubulare) di dubbio (C3). Si trattava in questi casi di carcinomi ben differenziati o poco cellulati. Le caratteristiche morfologiche del carcinoma infiammatorio giustificano l’inadeguatezza del materiale esaminato. Gli istotipi speciali rappresentano quindi, anche nella nostra esperienza, una sfida diagnostica, resa ancora più probabile dall’introduzione di indagini di screening mammografico. Tuttavia a fronte delle difficoltà interpretative, il riconoscimento di queste lesioni può permettere di suggerire percorsi terapeutici più o meno aggressivi in relazione alle diverse prognosi che spesso caratterizzano tali neoplasie, indipendentemente dai dati clinici e radiologici che li accompagnano. Introduzione. L’immunoistochimica è una metodica di fondamentale importanza nella diagnosi istopatologica. Utilizza anticorpi come reagenti individuando su di un tessuto antigeni specifici e rileva il legame Ag-Ab con una colorazione visibile al microscopio. Applicare le tecniche d’immunocolorazione anche sui preparati citologici consente sia la definizione di malignità che lo studio di neoplasie metastatiche e quello di biomarcatori tumorali (mammella). Materiali e metodi. I campioni citologici utilizzati possono essere: da semplice esfoliazione cellulare a citologia per agoaspirazione (FNA). La metodica può essere applicata su materiale diversamente allestito: strisciato e/o centrifugato, citoincluso, citologia in fase liquida. Quando è necessario si può ricorrere a vetrini di archivio. Per tutti i seguenti allestimenti: striscio, fase liquida, citocentrifugato, citoincluso, la metodica prevede i seguenti step: decolorazione (può non essere necessaria), smascheramento antigenico, blocco delle perossidasi (può non essere necessario), legame Ag-Ab, rivelazione, controcolorazione. Metodica standardizzata del nostro laboratorio: durante la reidratazione, arrivati all’alcool 95°, i vetri vanno immersi per 2-3 secondi in una soluzione (100 ml) fatta da: 70 ml di alcool 70° più 29 ml di acqua distillata, più 1 ml di acido cloridrico puro (decolorazione). Lavare i vetri abbondantemente in acqua grado reagente. Smascheramento antigenico: bagno termostatato a 99° con tampone Tris-EDTA ph 9 (20’); blocco delle perossidasi endogene H2O2 – 3% (5’); anticorpo primario (30’); polimero marcato (30’); DAB (3’); controcolorazione in ematossilina (2’). Risultati e conclusioni. I risultati sono direttamente proporzionali alla qualità dei preparati, infatti la reazione non avviene in maniera adeguata in presenza di preparati spessi con accumuli cellulari di tipo tridimensionale o in presenza di materiale non adeguatamente fissato. La presenza di sangue e/ o flogosi non alterano la reazione. La metodica è riproducibile e standardizzata (unico trattamento per tutti i marker testati, diluizione degli Ab uguale sia per IHC che per ICC). Opportunità particolarmente importante se si considera la metodica applicata ad un immunocoloratore. Dendritic follicular cells tumor. Report of a case F. Tallarigo, M.G. Scalia, S. Mazza, R. Cordoni*, R. Valgimiglim, S. Fiaccavento* U.O. Anatomia Patologica e Citodiagnostica, Ospedale “San Giovanni di Dio”, Crotone; * Servizio di Anatomia Patologica Settore di Citopatologia Diagnostica Istituto Clinico Città di Brescia Clinical history. A 56-year-old woman, with palpable left laterocervical lymphadenopathy, have previous right emithyroidectomy with a diagnosis of haemorrhagic cyst. Ultrasoudguided FNA of a mass ø 3 cm was performed and subsequent gastroduodenoscopy, ORL visit and nasopharynx brushing where negative. Morphological clues in FNA: highly cellular 410 smears background of small lymphocytes and plasma cells. Large and pleomorphic tumor cells, single or in loosely cohesive and syncytial groups irregular, rounded to oval nuclei of variable in size and large cytoplasm with ill-defined limit same tumor cells have folded nuclear membrane and prominent nucleoli bizarre multinucleated giant cells frequent atypical mitotic figures. Morphological cytological diagnosis. Malignant lesion with suggestion of metastatic neoplasm morphological no otherwise classified; ancillary studies are required for the diagnosis. Immunocytochemical Findings: CD 20: -; CD2: +; CD23: +; Lysozima: -; Cam 5.2: +/-; Vimentin: +; Thyroglobulin: -; LCA: -; CD21: +. Histological and Immunohistochemical findings: Positivity for CD21, CD23, CD35. Focal positivity for EMA, S100, CD68, CD20. Negativity for CD34, CD30, Lysozima, LCA. Diagnosis. Dendritic Follicular Cells Tumor. Citologia agoaspirativa di massa endoaddominale F. Tallarigo, I. Putrino, N. Papaleo, R. Cordoni*, S. Fiaccavento* U.O. Anatomia Patologica e Citodiagnostica, Ospedale “San Giovanni di Dio”, Crotone; * Servizio di Anatomia Patologica Settore di Citopatologia Diagnostica Istituto Clinico Città di Brescia Caso Clinico. Massa solida fortemente vascolarizzata e necrotica del ø di cm 20 in ipocondrio sinistro con ipotesi diagnostica eco/tac di angiosarcoma. Aspetto citologico: l’agoaspirazione eco-guidata della neoformazione consente di allestire 9 preparati citologici che vengono colorati con Ematossilina ed Eosina. In questi si evidenzia una ricca cellularità in parte costituita da elementi singoli sparsi, in parte in aggregati discretamente coesivi. A forte ingrandimento si apprezza una disposizione in fasci di cellule rotondeggianti o fusate, a nucleo rotondo/ovale con disegno cromatinico finemente ipercromatico raramente nucleolato e focalmente in aree con maggiore disordine architetturale sono presenti maggiori atipie con evidente anisomacrocariosi, irregolarità del disegno e del profilo nucleare ipercromatico. Diagnosi citologica provvisoria: cellule atipiche suggestive per neoplasia mesenchimale a basso grado. Sulla base dei dati clinico-strumentali e del dato morfologico citologico viene suggerito un panel di anticorpi che ha consentito una precisa conclusione diagnostica. Profilo immunocitochimico: Cam 5.2: --; S100: --; SMA: --; Vimentina: ++; CD 34: focalmente positiva; CD 117(c-Kit): +++. Diagnosi citologica definitiva: localizzazione di tumore stromale (GIST). Conferma istologica: tumore stromale dello stomaco (c.d.GIST) con ulcerazione mucosa, infiltrante per contiguità la milza ed infiltrazione nodulare in sede di tessuto adiposo peripancreatico, perigastrico e in nodi multipli al mesocolon. III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP Quali possibilità della citologia agoaspirativa mammaria nel riconoscere le modificazioni a cellule colonnari? F. Tallarigo, F. Vittimberga, A. Tommasini, R. Cordoni*, S. Fiaccavento* U.O. Anatomia Patologica e Citodiagnostica, Ospedale “San Giovanni di Dio”, Crotone; * Servizio di Anatomia Patologica Settore di Citopatologia Diagnostica, Istituto Clinico Città di Brescia Introduzione. Si tratta di lesioni (CAPSS) che interessano le unità duttulo-lobulari terminali, di recente riscontro in occasione di mammografie eseguite per microcalcificazioni, e caratterizzate dalla presenza di cellule epiteliali colonnari con pronunciate secrezioni apicali nel lume ghiandolare. Su queste lesioni di base si possono aggiungere atipie architetturali e citologiche in uno spettro di lesioni insufficienti però a configurare diagnosi di iperplasia duttale atipica (ADH) e carcinoma in situ (DCIS) e con un significato precanceroso ancora da definire. Comunque lesioni morfologicamente più significative come carcinomi duttali in situ e invasivi si associano ad alterazioni a cellule colonnari di diversa entità. Discussione e conclusioni. Nella semplice alterazione a cellule colonnari si ha una proliferazione epiteliale e conseguente dilatazione cistica delle ghiandole. Queste risultano delimitate da cellule cubiche o colonnari in una o due file con nuclei in sede basale e citoplasma eosinofilo, apicale con protrusioni intraluminali. È presente modesta ipercromasia nucleare in assenza di nucleoli e mitosi. Nel lume si notano materiale granulare e talora microcalcificazioni basofile. Nella iperplasia a cellule colonnari con atipia, le atipie sono di vario grado, i nuclei appaiono aumentati di volume, vescicolosi, talora macronucleolati con frequenti, ma non indispensabili, modificazioni architetturali. Si accompagnano ad aspetti micropapillari sempre più evidenti con l’incremento della gravità delle lesioni stesse sino ad aspetti del carcinoma intraduttale. Compaiono nel lume microcalcificazioni che possono essere di tipo cristallino, opache, basofile con tendenza a frammentarsi e calcificazioni ossificanti. In presenza di associati quadri di ADH e di DCIS la diagnosi si basa sulle note caratteristiche morfologiche delle rispettive lesioni. Gli aspetti citologici specifici delle alterazioni a cellule colonnari non sono di agevole individuazione e talora possono essere riconosciuti in associazione ad atipie ed aspetti di iperplasia papillare più o meno atipica. pathologica 2007;99:411 3° Simposio Nazionale di Citopatologia - Siapec-Iap Indice analitico per autori Andreano T., 374 Antonini D., 379 Anzalone G., 397 Arcoria A., 383 Aricò V., 383 Ascoli V., 360 Aspromonte N., 383 Avenoso G., 383 Bacigalupo B., 368 Barbetti A., 385, 388 Bargelli G., 388 Baron L., 400 Bartoletti R., 391 Beccati M.D., 375, 380 Beltotti P., 400 Benenti M.T., 390 Berlendis M., 397 Bocchio C., 390 Boddi V., 388 Bonaffini O., 391 Bondi A., 353 Bonfadini M., 379 Boschi R., 398 Buccoliero A.M., 376, 381, 385, 388 Buriani C., 380 Cai T., 391 Calderazzo M., 380 Caleo A., 373 Canessa P.A., 368 Canzonieri V., 369 Caparello B., 359, 380, 389, 389 Capocasale G., 392 Capocasale G., 393 Caraceni D., 395 Carletti A.M., 368 Casazza S., 377 Castiglione F., 376, 381, 385, 388 Cazzaniga R., 396 Celano M., 397, 398 Cerra M., 359, 381 Cerruti G., 350 Chiaravalloti L., 373 Ciccocioppo L., 395 Cirelli R., 397 Comin C.E., 361 Conti F., 395 Coppola G., 359, 381 Cordoni R., 401, 402 Costa U., 373 Costabile C.M., 359 Costabile M., 381 Criaco C., 383 D’Amuri A., 396 Dalla Palma P., 355 De Maria N., 383 De Sanctis D.P., 398 Depietra R., 399 Dessanti P., 368 Di Bonito L., 351, 363 Facchini M., 388, 400 Fambrini M., 388 Fedeli F., 368 Feoli F., 365 Ferrari M., 385 Ferri E., 398 Ferro P., 368 Fiaccavento S., 368, 370, 401, 402 Filardo A.V., 384, 400 Fiorenzo F., 359, 381 Franceschini M.C., 368 Frangella C., 398 Froio E., 385 Garbini F., 376, 381, 385, 388 Gardini G., 385 Gazzera G., 390 Gentili C., 352 Gentili C., 387 Gheri C.F., 376, 381, 385, 388 Giarnieri E., 372 Giovagnoli M.R., 372 Iaccarino A., 398 Inchingolo C.D., 390 Iuele R., 392, 393 La Fauci M.P., 383 Lambertenghi D., 396 Lapini A., 376 Lavecchia A.M., 384, 400 Leonardo E., 363 Leone F., 388, 400 Leonetti L., 384, 400 Leotta A., 359, 380, 389 Lio S.G., 359, 380, 389 Lodovichetti G., 399 Lombardo V. 383 Maccallini V., 374 Magnani C., 379 Marasà L., 395 Marchione R., 396, 397 Marchionni M., 388 Marino G., 398 Marino M., 398 Marsico A., 379, 390 Mazza S., 399, 401 Mazzi A., 396 Mazzoli S., 391 Mazzotta A., 395 Meacci F., 391 Messerini L., 361 Molina E., 396 Moncini D., 376, 381, 385, 388 Mondini E., 397 Nardi F., 365 Navone R., 366, 379 Nenci I., 380 Nenna R., 390 Nesi G., 376, 391 Novelli L., 361 Orsini T., 395 Paglierani M., 376 Papaleo N., 399, 401, 402 Pappalardo S., 388 Parodi A.M., 350 Pasquariello G., 390 Patitucci G., 392, 393 Patrini S., 390 Pedriali M., 380 Perin T., 369 Piana S., 385 Pilla D., 395 Pontoni S., 390 Postiglione M., 400 Prandi S., 356 Pratticò L., 368 Prudente E., 390 Putrino I., 373, 399, 401, 402 Quarto F., 400 Raco C., 359 Raspollini M.R., 376 Rizzo M., 391 Rizzo P., 396 Romeo F., 392, 393 Roncella S., 368 Rosini S., 395 Rossi Degl’Innocenti D., 381, 385 Rostan I., 379 Salviato T., 369 Santi R., 361 Scafidi C.A., 390 Scalia M.G., 373, 399, 401 Scarselli G.F., 388 Scibetta N., 395 Scisca C., 391 Senatore S., 396 Setta S., 395 Spairani C., 396, 397 Spena C., 359 Squillaci S., 396, 397 Taddei A., 388 Taddei G.L., 370, 376, 381, 385, 388 Talamo Rossi R., 391 Tallarigo F., 373, 399, 401, 402 Tinacci G., 391 Tommasini A., 399, 401, 402 Toso D., 399 Trentin M.T., 399 Troncone G., 358 Truglia M.C., 397 Tucci L., 345, 384, 388, 400 Ungari M., 346 Valgimiglim R., 401 Valveri R., 383 Venditti A.M., 374 Vetrani A., 398 Vignolini G., 376 Villanucci A., 385 Vita G., 397, 398 Vittimberga F., 401, 402 Zabatta A., 398 Zanin T., 369, 371 Zappacosta R., 395 Zeppa P., 364 Zini E., 391 Zupo S., 350