Donald
Winnicott
(Playmouth 1896 –
Londra 1971)
Vero Sé e
sviluppo
dell’individuo
• Winnicott utilizza il concetto di Vero Sé
non rifacendosi ad una concezione
metafisica o a una teoria dell’anima (pur
non essendo concetti che si escludono!)
→ il concetto di Vero Sé contiene un’idea
di per sé evidente, cioè che l’individuo è
agente, intenzionale: il Vero Sé è la
spontaneità originaria del soggetto.
• Il Vero Sé contiene il senso del Sé, la
certezza di esistere e di essere reali, di
poter essere se stessi, creativi e
spontanei; ad esso appartiene la
percezione di una continuità della propria
esistenza.
al centro di ciascuna persona, c’è un elemento
segregato, e questo è sacro ed estremamente
degno di essere preservato (Winnicott).
• Per Winnicott rappresenta quindi la creatività
originaria del soggetto.
 La creatività corrisponde al naturale senso di
espansione di sé che si sperimenta in quanto si
è vivi. Quando siamo creativi ogni cosa che
facciamo aumenta il senso di essere noi stessi
(Winnicott 1970). Senza questo piano, per W.,
non c’è nulla.
Felice è colui che è sempre creativo nella sua vita
personale come pure nei rapporti con i partner, con i
figli, con gli amici ecc. (1970, tr. it. 1986, p. 41)
• Essere creativi significa essere “soggetti” a
pieno titolo. Essere soggetti significa esistere
anche indipendentemente dallo stimolo
esterno. Se il nostro sentirci vivi dipendesse
esclusivamente da stimoli esterni, cessato lo
stimolo cesserebbe anche la sensazione di
sentirsi vivi.
 L’essere creativi di cui parla Winnicott allude
proprio al sentirsi vivi anche quando non c’è lo
stimolo che proviene dal mondo esterno.
“Fuori dalla mia finestra c’è una pianta, e il sole, e
razionalmente so che deve essere uno spettacolo
piacevole, per chi lo può vedere. Ma questa
mattina per me tutto ciò non ha senso. Non riesco
ad esserne partecipe e ciò mi rende
profondamente conscio del fatto di non sentirmi
reale” (Winnicott 1970).
Il mondo... questo grosso essere assurdo. [...] Scoprire che il mondo non
ha senso, che è assurdo, provoca la nausea. [...] L'essenziale è la
contingenza [= la non necessità delle cose]. Voglio dire che, per
definizione, l'esistenza non è la necessità. Esistere è essere lì,
semplicemente: gli esistenti appaiono, si lasciano incontrare ma non li si
può mai dedurre. C'è qualcuno, credo, che ha compreso questo. Soltanto
ha cercato di sormontare questa contingenza inventando un essere
necessario e causa di sé. Orbene, non c'è alcun essere necessario che
può spiegare l'esistenza: la contingenza non è una falsa sembianza,
un'apparenza che si può dissipare; è l'assoluto, e per conseguenza la
perfetta gratuità. Tutto è gratuito, questo giardino, questa città, io stesso.
E quando vi capita di rendervene conto, vi si rivolta lo stomaco e tutto si
mette a fluttuare... ecco la Nausea [...] La Nausea non è in me: io la sento
laggiù sul muro, sulle bretelle, dappertutto attorno a me. Fa tutt'uno col
caffè, son io che sono in essa [...] Ed ora lo so: io esisto - il mondo esiste ed io so che il mondo esiste. Ecco tutto. Ma mi é indifferente. E' strano
che tutto mi sia ugualmente indifferente: é una cosa che mi mette paura.
E' cominciato da quel famoso giorno in cui volevo giocare a far rimbalzare
i ciottoli sul mare. Stavo per lanciare quel sassolino, l'ho guardato, ed è
allora che è cominciato: ho sentito che esisteva. E dopo, ci sono state
altre Nausee; di quando in quando gli oggetti si mettono ad esistervi
dentro la mano. (Sartre, La Nausea)
• La creatività riguarda l’ “essere” sé
stessi, e viene prima del “fare”.
 Laddove il vero Sé sia stato traumatizzato, esso
non deve più essere ritrovato e ferito di nuovo.
Si sviluppa un falso Sé a difesa del vero Sé.
 Questo falso Sé può funzionare perfettamente,
eppure sta all’opposto della salute psichica
perché sorge dalla negazione del vero Sé.
Cos’è la salute mentale?
• La salute non è sinonimo di tranquillità. La
vita di un individuo sano è caratterizzata da
paure, sentimenti conflittuali, dubbi e
frustrazioni, come pure da elementi positivi.
La cosa fondamentale è che si senta di
stare vivendo la propria vita, assumendosi
le responsabilità di quanto si fa, il merito del
successo e la colpa del fallimento. In tal caso
si può dire che l’individuo è passato dalla
dipendenza all’autonomia.
• Essere e sentirsi reali sono le caratteristiche
della salute. Soltanto quando l’essere è
acquisito (cioè quando sentiamo di essere noi
stessi) possiamo procedere verso altre mete.
Senza dubbio la gente dà per scontato il sentirsi
reali. Ma a quale prezzo? In quale misura essi
negano la verità che di fatto esiste il pericolo di
sentirsi non reali, posseduti, di non essere se stessi,
di precipitare all’infinito, di non avere una direzione,
di essere separati dal proprio corpo, annientati, di
essere un nulla, di non avere un luogo in cui stare…
(D. Winnicott, Il concetto di individuo sano)
Lo sviluppo della creatività:
fra onnipotenza e principio di realtà
• La vita creativa che corrisponde alla
possibilità di non essere continuamente uccisi o annientati
dalla compiacenza verso o dalla reazione a un mondo che
fa violenza all’individuo; si tratta di riuscire a vedere ogni
cosa in modo sempre nuovo.
• L’esperienza dell’onnipotenza è qualcosa di più
di un controllo magico, ma include l’aspetto
creativo dell’esperienza (Winnicott 1963)
Le fotografie dei grandi cacciatori che, come H.
Hemingway, si fanno immortalare di fianco a un
leone massacrato, ci danno un’idea degli sforzi
estremi che un essere umano può compiere nel
tentativo di trionfare sull’oggetto percepito
oggettivamente (Winnicott)
• Essere creativi significa, afferma
Winnicott, “mantenere qualcosa che
appartiene all’esperienza infantile: la
capacità di creare il mondo”.
 in ogni atto creativo c’è sempre una
porzione di “onnipotenza”
• Ma l’essere creativi implica incontrare il
mondo, la realtà esterna.
• Inizialmente è la madre che si adatta ai bisogni
del bambino per consentire che egli compia
esperienze che sono coerenti con i suoi stati
mentali.
• La madre, con la sua capacità empatica è
capace di dare qualcosa di buono al bambino
che, al suo livello, può solo fantasticare e
“allucinare” degli oggetti: il bambino è solo con
le sue illusioni, la madre conosce la realtà e
può far sì che la fantasia del piccolo si
connetta con la realtà. Ella, infatti, basandosi
sulla sua intuizione, può fornire al bambino
quegli oggetti che egli sta allucinando.
• Winnicott parla a tale proposito di
“presentazione d’oggetto”.
– Dobbiamo supporre che il bambino abbia dei
guizzi creativi in base ai quali cerca il contatto con
la realtà; non essendo “organizzato” non riesce a
contattare il mondo. Allora la madre, intuendo le
volontà nascenti del piccolo, gli fornisce quegli
oggetti che il bambino sta “allucinando”. Il
bambino, cioè, è solo con le sue fantasie, la
madre conosce la realtà e può far sì che la
fantasia del piccolo si connetta con la realtà. Ella,
infatti, basandosi sulla sua intuizione, può fornire
al bambino quegli oggetti che egli sta allucinando.
• L’esperienza del piccolo risulterà arricchita di
elementi reali ed egli stesso inizierà a sentirsi
reale. Il suo essere e sentirsi reale, che sta
alla base della salute psichica, dipende
dunque dal fatto che le connaturali tendenze
alla crescita e all’espansione del suo Sé
hanno trovato un ambiente favorevole e degli
oggetti che corrispondevano alle sue
fantasie.
• Più in generale, la madre, insomma,
supporta l’Io del bambino: calandosi al suo
livello, gli consente di credere che le
esperienze che compie possano trovare un
corrispettivo nella realtà esterna, protegge
l’Io del bambino e supporta l’evoluzione
della sua identità (”preoccupazione
materna primaria”).
 L’ “essere” viene garantito al bambino
dalla madre.
Lo sviluppo psichico può essere
immaginato dipanarsi lungo le
seguenti direttrici:
a. Dipendenza  autonomia
(a “spingere” verso l’autonomia è l’innata
tendenza a evolvere)
b. Inorganizzazione  organizzazione
c. Non integrazione  integrazione
Dipendenza  autonomia
• Dipendenza assoluta (primi 6 mesi)
• Dipendenza relativa (dai 6 mesi ai 2 anni)
• Indipendenza (viene raggiunta dai 2 anni fino
all’adolescenza in maniera «assistita» e durante
l’adolescenza come compito evolutivo specifico)
• Per Winnicott, all’inizio non abbiamo una cosa che si
chiama “un lattante”, ma solo un potenziale,
un’innata tendenza alla crescita.
Non esiste una cosa che si chiama “un lattante”, intendendo
con ciò che se ci mettessimo a descrivere un lattante ci
accorgeremmo che stiamo descrivendo un lattante con
qualcuno. Il bambino piccolo non può esistere da solo, ma è
fondamentalmente parte di una relazione. Quello che
abbiamo (all’inizio) è una manciata di anatomia e fisiologia e
a questa si aggiunge il potenziale di evolvere in una
personalità umana. C’è una tendenza generale verso la
crescita fisica e una tendenza allo sviluppo nella parte
psichica dell’unità psicosomatica (Winnicott, Sviluppo affettivo
e ambiente, 1965)
Inorganizzazione  organizzazione
• Il neonato è non organizzato → Pur avendo un
Vero Sé il bambino non ha un’organizzazione
mentale.  Deve imparare a pensare i suoi stessi
pensieri e sentimenti, deve imparare a conoscere
se stesso e il mondo esterno. Pur essendo se
stesso sin dall’origine, non è in grado di sentire e
pensare io sono.
• è necessario un ambiente che lo protegga dai
vissuti di vuoto. Il «pensiero» della madre contiene
il bambino entro una «pelle psichica» e lo
organizza.
• La madre è in grado di contattare e contenere il
bambino grazie alla preoccupazione materna
primaria, che permette alla madre di giungere a
una inorganizzazione simile a quella del bambino
per poter «funzionare» come lui e assieme a lui.
– Si tratta di una funzione spontanea, che non è scevra
da un carico emotivo, che può condurre alla
depressione. A tale proposito, come ricordava Bowlby,
in molte culture le donne sono accompagnate e a loro
volta sostenute da una figura femminile a loro vicina:
cugina, amica, confidente.
Non integrazione  integrazione
• Il bambino vive in uno stato di non integrazione
in cui non possiede un unità corporea che gli
permetta di riconoscere le sensazioni come
proprie (non c’è differenza fra l’esperienza di sé
bambino e la fame: il bambino è la fame, il sonno,
il mondo).
• Per permettergli il passaggio a un funzionamento
integrato, la madre mette in atto le funzioni
materne di:
– holding: è il «tenere», nel senso del «contenere»,
fisicamente e mentalmente, il bambino; il contenere non è
qualcosa di «costrittivo»: il semplice fatto di empatizzare, di
capire intimamente il bambino fa sì che egli si senta
contenuto entro una «pelle psichica» (questo termine non è
winnicottiamo).
• Da un punto di vista sistemico (che Winnicott non
approfondisce) si potrebbe dire che c’è holding quando la
madre come sistema vivente è il grado di risuonare e
accordarsi col bambino in quanto sistema vivente. Si ha così
una «dinamica» in cui due sistemi viventi autonomi eppure in
relazione, si avvicinano e si allontanano. È stato visto che
solo 1/3 delle interazioni madre bambino esprime sintonia.
Ciò è normale. Ciò che è importante è la capacità di
reincontrarsi, di riparare, di riaggiustare.
– object presenting: il connettersi della madre
alle «fantasie d’oggetto» del bambino (si veda
sopra)
– handling: è la «manipolazione» del bambino,
che favorisce l’insediamento della psiche nel
corpo; di qui la certezza di riuscire ad abitare il
proprio corpo. Certamente, a tutti può capitare
di essere separati dal proprio corpo, di «non
avere un luogo in cui stare. (cfr. la sensazione
di straniamento dal proprio corpo di molti
personaggi di Pirandello – si veda dopo)
→ Ogni tanto il bambino deve sapersi rilassare e
tornare ad uno stato di non-integrazione.
→ Winnicott valorizza, come Balint, l’esperienza
transitoria della non-integrazione, resa possibile
dallo sfondo di una madre contenitiva. E, con
Balint, pensa che l’esperienza artistica permetta
di sperimentare momenti di non integrazione in un
contesto di sicurezza.
Rilassarsi per un infante significa non sentire il bisogno di
integrarsi, essendo data per scontata la funzione di
sostegno dell’Io svolta dalla madre
(Winnicott, L’integrazione dell’Io nello sviluppo del bambino, in Sviluppo
affettivo e ambiente, 1965, p. 74).
Ma nei momenti di tranquillità non c’è confine tra il mondo interno
e il mondo esterno, solo una quantità di cose separate: il cielo
visto attraverso gli alberi, qualcosa che ricorda gli occhi della
madre che vagano fuori e dentro di lui… Manca ogni necessità di
integrazione.
Questa è una cosa estremamente importante da ricordare: senza
di essa ci manca qualcosa. È un concetto che ha a che fare con
l’essere calmi, rilassati, riposati, sentendosi tutt’uno con le altre
persone e le cose, quando non c’è eccitazione in giro.
Perché il mondo possa fluttuare dentro e fuori, senza fame da
prendere e rabbia da dare, i bambini all’inizio hanno bisogno di
cure molto appaganti.
(Winnicott, L’introduzione primaria alla realtà esterna, 1948)
• Analogamente anche la capacità di stare solo si
instaura sullo sfondo della presenza della madre.
Dice W.:
la capacità di stare solo […] è l’esperienza di essere solo […]
in presenza della madre. La capacità di essere solo ha un
fondamento paradossale, cioè l’esperienza di essere solo in
presenza di un’altra persona (1958, trad. it, p. 31).
• L’esperienza della solitudine è possibile solo a patto
di aver sperimentato questa protezione dell’essere
immaturo costantemente sull’orlo di un’ “impensabile
angoscia” (1962, trad. it. 1965, p.69).
La madre normalmente devota e la
progressiva disillusione dell’onnipotenza
• Quando la capacità allucinatoria si è consolidata spetta
allora alla madre una progressiva disillusione (madre
“normalmente devota”)
• Si procede ad una fase di separazione-individuazione
e, “se tutto va bene”, ad una diminuita funzione di
sostegno all’Io da parte della madre corrisponde
solitamente un aumento delle funzioni dell’Io del
bambino.
• Di lì in poi il bambino sarà capace di attacchi
aggressivi verso la madre.
• A partire da questa fase è possibile apprendere
dall’esperienza, ovvero da qualcosa che è fuori dal
controllo onnipotente del bambino.
Approfondimento: l’aggressività e «l’uso di
un oggetto»
• L’aggressività è un modo per esteriorizzare l’altro troppo
intimo: per separarci dobbiamo aggredirlo!
L’aggressività, nel suo versante positivo, serve al Sé per
crescere, per separarsi, per sostenere gli impulsi, per
rompere l’armonia (salvo poi riconquistarla)
• Finché non acquisiamo la capacità di usare le persone
(«oggetti») restiamo loro legati nella maniera della
dipendenza totale. Siamo tutt’uno con loro, non sono
esterne, sono parte del Sé: il nostro Sé dipende ancora da
loro. Non abbiamo raggiunto la capacità di amare. Per amare
qualcuno, questo qualcuno deve essere altro da noi!
…non è possibile per me accettare come scontato il fatto che il primo
impulso, nel rapporto del soggetto con l’oggetto (percepito
oggettivamente, non come soggettivo), sia distruttivo ((Winnicott, 1971)
L’assioma fondamentale della relazione oggettuale è: ciò che
è buono viene costantemente distrutto. Ciò che gli uomini non
possono lasciare in pace è ciò che è buono. Essi devono poter
prendere ciò che è buono e distruggerlo. E perché? Perché le
cose buone possono sopravvivere. Solo dopo che è stata
distrutta la cosa buona può essere amata, valorizzata e quasi
adorata in un modo nuovo (Winnicott, 1970).
Gran parte della violenza che esiste nel mondo proviene dal
tentativo di compiere una distruzione che non è di per sé
distruttiva, eccetto quando l’oggetto sopravvive o quando viene
provocato fino alla ritorsione. La sopravvivenza delle cose
fondamentali è quindi un valore grande e profondo per
l’individuo, e la monarchia nel nostro paese è una di queste. La
realtà diventa più reale e l’impulso individuale meno pericoloso
(Winnicott, 1970)
L’oggetto transizionale
• L’oggetto transizionale consente di mantenere
interrelate due aree altrimenti separate, quella della
realtà interna e quella della realtà esterna.
• L’oggetto transizionale compare tra i quattro e i dodici
mesi.
• Il bambino ha bisogno di investire un oggetto del potere
transizionale, tali che rappresentino un ponte tra la
realtà interna e quella esterna. Si colloca tra la
“creatività primaria e la percezione obiettiva basata
sull’esame di realtà”.
• Anche se non tutti i bambini vi fanno ricorso, la
presenza dell’oggetto transizionale è un indice sicuro di
una potenziale capacità di elaborare l’onnipotenza e la
separazione.
• L’oggetto transizionale viene quindi
progressivamente dimenticato.
• Può rimanere nell’adulto nella consapevolezza
di mantenere un “luogo di riposo”, ove lasciar
fluttuare la mente e giocare con le proprie idee.
Oppure come spazio del gioco, della creatività,
del sentimento religioso, ma anche della perdita
del sentimento affettuoso, dell’assuefazione alla
droga, dei rituali ossessivi.
• W. distingue a tal proposito l’oggetto
transizionale dall’oggetto feticcio o oggetto
tossico. Quest’ultimo mantiene il soggetto in uno
stato di continua dipendenza, distoglie da sé e
dalla realtà esterna.
• La parte principale della vita degli adulti, degli
adolescenti, dei bambini e dei lattanti si svolge
all’interno di quest’area intermedia, a metà strada
fra soggettività e oggettività, sogno e realtà. La
stessa civiltà può essere descritta a partire da
questa visuale. Nei fenomeni transizionali
occorre accettare il paradosso ce collega la
realtà interna a quella esterna. Non chiediamo
mai dell’orsacchiotto del bambino (che è un
simbolo della disponibilità materna) se è stato
creato o se era già lì.
• Negli adulti l’area transizionale è l’area degli
interessi culturali, lavorativi, religiosi, politici,
artistici ecc.
• Tutto è «transizionale» in quanto «abitiamo» la
realtà non passivamente, subendola, ma in modo
attivo, tentando di comprenderla da nostro punto
di vista: non ci sono «cose», ma le cose come
sono per noi, pur restando «cose» esterne,
«reali», non costruzioni soggettive.
– Chi crea utilizza la propria spontaneità originaria, il
proprio peculiare punto di vista, la propria prospettiva
ma si «connette» con la realtà: la creazione è, così,
un qualcosa di oggettivo-soggettivo
– Anche l’umorismo può essere visto come un
fenomeno transizionale in quanto chi ride si distacca
per un attimo dal dato oggettivo e lo rilegge secondo
la propria prospettiva; c’è un guizzo di onnipotenza
nell’umorismo, un qualcosa di «antidepressivo» in
quanto chi fa umorismo non accetta di essere
passivo: pur stando dentro la realtà, la assume in
modo soggettivo.
Comunicare o non comunicare? (Winnicott 1963)
Nell’ambito della salute esiste un nucleo della personalità che corrisponde
al vero Sé. Ritengo che tale nucleo non comunichi mai direttamente con il
mondo degli oggetti percepiti e che l’individuo sappia che questo nucleo
non deve entrare in comunicazione con la realtà esterna né venirne
influenzato. Sebbene le persone sane comunichino e amino comunicare,
è anche vero che ogni individuo è un essere isolato che non comunica in
modo permanente, in permanenza sconosciuto e mai realmente scoperto.
[…] Al centro di ogni persona c’è un elemento incomunicabile, inviolabile,
che è sacro e va preservato. Le esperienze traumatiche, che portano
all’organizzazione delle difese primitive, rappresentano una minaccia al
nucleo isolato, la minaccia che venga scoperto, modificato e che ci si
metta con esso in contatto. La difesa consiste in un ulteriore
occultamento del Sé nascosto… Essere stuprati o essere mangiati dai
cannibali sono cose di poco conto rispetto alla violazione del nucleo del
Sé mediante la comunicazione che si insinua attraverso le difese.
…possiamo capire l’odio che la gente ha verso la psicoanalisi, la quale è
penetrata assai nella personalità umana e costituisce una minaccia per il
bisogno che l’individuo ha di restare segreto e isolato. Il problema è:
come isolarsi senza doversi circondare di barriere?
Credo che, inerente in ogni tipo di artista, si possa scoprire
un dilemma dovuto alla coesistenza di due tendenze: il
bisogno urgente ricomunicare e il bisogno ancora più
urgente di non essere scoperto. Ciò potrebbe spiegare la
nostra impossibilità a concepire un artista che arrivi alla fine
del compito che impegna totalmente la sua natura.
(Winnicott 1963)
Forse non è stata data abbastanza attenzione al fatto che il
mistico si ritira in una posizione in cui può comunicare
segretamente con oggetti e fenomeni soggettivi, poiché la
perdita di contatto col mondo della realtà condivisa è
compensata da un vantaggio nel sentirsi reale (Winnicott
1963).
Tutto ciò che è profondo ama la maschera; le cose più profonde
provano perfino odio per l’immagine e il simbolo […]. Esistono
fatti così delicati che si fa bene a coprirli e a renderli
irriconoscibili sotto una grossolanità; esistono atti d’amore e di
traboccante generosità, in seguito ai quali non c’è nulla di più
consigliabile di prendere un bastone e picchiare di santa ragione
il testimone oculare: e con ciò offuscare la sua memoria […] il
pudore è ingegnoso. Non sono le cose peggiore quelle di cui ci si
vergogna di più (F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, 40).
Ogni profondo pensatore teme più l’essere compreso che
l’essere frainteso (F. Nietzsche, idem, 290).
PATOLOGIA: da quanto si è visto, le patologie, per Winnicott, sono
essenzialmente patologie del Sé
→ quando c’è un misconoscimento profondo del Sé si incorre nella
psicosi e si mobilitano difese profonde per evitare che il Sé possa
sperimentare angosce non sopportabili;
→ quando un senso del Sé c’è, allora si hanno disturbi del Sé, che possono
essere più o meno gravi a seconda del livello di profondità in cui si è
strutturato il falso sé (si veda dopo);
→ quando c’è deprivazione, ma c’è ancora la speranza di ritrovare la
«madre» (che si cerca fuori perché non la si ha dentro, come madre
«interna») allora ci possono essere tendenze antisociali, che hanno la
funzione di appello all’ambiente.
• Il rischio è che le tendenze antisociali diventino «egosintoniche» e che il
soggetto pensi di compensare con la «potenza» la sua fragilità. Ciò è
pericoloso in particolare in adolescenza quando si deve strutturare un sé
adulto. La «madre», può essere rappresentata anche da un’ideologia. Ma
dove ci sia l’inconscia certezza di non poterla ritrovare, allora
quell’ideologia diventa intoccabile, pena il riprovare angoscia.
– Ciò è da distinguere dal «trionfo sull’oggetto» - di cui aveva parlato la Klein e,
in termini diversi, anche Fromm – che nega la dipendenza dall’oggetto e rende
il soggetto onnipotente e insensibile.
Il falso sé
– stato patologico. Il falso sé domina la scena. Ci sono attori che sanno
solo recitare, perché quando non recitano non si riconoscono come
esistenti. Ma nei rapporti profondi?;
– stato di confine. Il falso sé schiaccia il vero sé. Però questo è
riconosciuto, gli viene consentita una vita segreta. Questo può avvenire
per difendere la persona da condizioni ambientali anormali. La malattia
può rappresentare un «discorso» del Vero Sé;
– stato della sofferenza. Il falso sé si struttura in modo tale da permettere
l’emergenza del vero sé fra le incrinature de falso sé. Se questo non
accade, l’esito fallimentare (disperazione) può portare al suicidio.
– stato di fragilità. Il falso sé si struttura sulla base di un comportamento
imitativo che non incide profondamente nella costruzione dell’Io. Questo
causa una mancanza di integrazione dell’Io che sarà impegnato in uno
sforzo continuo per «tenere dietro alla vita», con poche possibilità di
sperimentare lo star bene con sé stessi.
– stato di salute. Il falso sé corrisponde all’atteggiamento sociale, alla
maschera che tutti i giorni utilizziamo per interagire con gli altri senza
mostrarci loro «col cuore in mano».
Melanie
Klein
(Vienna 1882 –
Londra 1960)
• Per il pensiero di M. Klein – che rappresenta
il retroterra teorico del testo di Waddell,
Mondi interni – l’Io è è esistente sin dalla
nascita
• Inoltre, per M. Klein gli “impulsi” (pulsioni)
dell’Io sono sempre legate agli “oggetti”: per
la Klein le unità di base dei processi
mentali non sono blocchi di energia senza
oggetto, ma unità relazionali.
È mia convinzione che il bambino abbia fin dall’inizio
della vita prenatale una relazione con la madre […]
che è impregnata degli elementi fondamentali di una
relazione oggettuale, ossia amore, odio, fantasie,
angosce e difese (Le origini della traslazione, 1952,
p. 49).
• Per la Klein le fantasie sono la base
dell’esperienza della realtà.
il pensiero di realtà non può operare senza la
concomitanza e il supporto di fantasie inconsce
(Isaac, Natura e funzione della fantasia, 1943).
Approfondimento: fantasia e realtà:
• La Klein oscilla, relativamente al ruolo degli altri in relazione agli
oggetti interni, fra varie sfumate posizioni, sottolineando sempre,
tuttavia, anche nei suoi primi lavori, il ruolo degli altri reali.
• Ella afferma che ad oggetti primitivi rigidi si sovrappongano poi le
immagini dei genitori reali; in altri momenti ipotizza che i primi
oggetti derivino dalle percezioni dei genitori reali, ma
grossolanamente distorte dagli impulsi del bambino; altrove
ipotizza un meccanismo più fluido, in virtù del quale gli altri reali
verrebbero poi deformati dal mondo interno del bambino:
percezioni di oggetti reali si mescolano alle immagini
proiettate cosicché nella successiva reinteriorizzazione gli
oggetti interni che ne risultano sono parzialmente trasformati
dalle percezioni di oggetti reali. Ecco allora che ai genitori reali
si sovrappone sempre un’immagine fantastica di essi
esageratamente punitiva.
• La Klein ha messo in luce gli impulsi
aggressivi del bambino, fra cui, in particolare,
l’invidia (si veda dopo).
– Ella si figura che il bambino sia impegnato a possedere tutte le
ricchezze che immagina contenute nel grembo della madre, tra cui il
cibo, feci preziose, neonati e il pene del padre. Immagina e
distrugge, nella fantasia il perpetuo rapporto sessuale reciproco dei
genitori, che concepisce come uno scambio di preziose sostanze
nutritive, inaccessibili a lui. Immagina che il proprio corpo sia abitato
da un simile mondo di oggetti buoni e cattivi ed è occupato in un
sempre rinnovato tentativo di:
• afferrare sostanze e oggetti “buoni” (in sostanza “buon” latte,
“buone” feci, “buon” pene e “buoni” neonati) e, con il loro aiuto,
paralizzare l’azione di sostanze e oggetti “cattivi” all’interno del
suo stesso corpo;
• ammassare al suo interno abbastanza riserve per poter resistere
agli attacchi sferrati contro di lui dai suoi oggetti esterni
(Contributo alla teoria delle inibizioni intellettive, 1931).
• Sulla base di tali processi – fortemente
determinati dalle fantasie innate, da un
lato, e dagli altri reali, dall’altro – si
stabilisce una fitta rete di relazioni
oggettuali interiorizzate.
– Il bambino può anche essere turbato e
paralizzato dagli esiti di tali relazioni, soprattutto
da quelle aggressive, che possono bloccare la
sua creatività. Lo scopo dell’analisi infantile sarà,
allora, proprio restituire la creatività al bambino.
Posizione schizo-paranoide
/ posizione depressiva
• Il bambino teme che la propria cattiveria (che
proietta), gli “ritorni indietro”. Vive pertanto
nella paura “paranoide”. M. Klein chiama
pertanto questa dimensione come “posizione
paranoide”.
– Il “Super-io” del bambino è alimentato da tali
sentimenti di ritorsione
• Nella posizione paranoide il bambino separa
gli oggetti buoni e gli oggetti cattivi: i primi
vengono trattenuti psichicamente presso l’Io;
gli altri espulsi (proiettati).
• Successivamente, facendo proprie
sollecitazioni di Fairbairn, la Klein affermerà
che scissioni d’oggetto implicano scissioni
dell’io: in sostanza “parti” di Io vengono
scisse assieme agli oggetti (potremmo dire:
ciò che viene scisso è l’intera relazione Iooggetto) e tendono a ritornare in modo
persecutorio
 ella ridenomina la posizione “paranoide” in
posizione “schizo-paranoide”, dove “schizo”
sta per “schizoide” nel senso di Fairbairn
• Il processo di scissione permette all’Io di
emergere dalla indistinzione affettiva
originaria ordinando le cose in “buone” o
“cattive”.
• Se la scissione non sarà stata troppo
drastica, rimarrà una comunicazione fra
conscio (buono) e inconscio (pieno di oggetti
cattivi).
• Fondamentale, per la Klein, è che
l’esperienza del mondo (e dell’Io) come
“buono” prevalga sulle esperienze del
mondo (e dell’Io) come “cattivo”.
il primo oggetto buono agisce come punto
focale nell’Io. Esso bilancia i processi di
scissione e dispersione, contribuisce alla
coesione e all’integrazione, ed è strumentale alla
costruzione dell’Io. (Note su alcuni meccanismi
schizoidi, 1946, p. 6)
Approfondimento: il Super-Io arcaico e l’oggetto ideale
• Nel periodo 6-12 mesi il Super-Io arcaico si arricchisce
dell’oggetto ideale: esso perde in parte il suo carattere
feroce, ma incita il bambino alla perfezione promovendo
l’identificazione, incoraggiandolo a crescere e gratificandolo.
• Il tentativo di tutelare l’oggetto d’amore dalle sue stesse
pulsioni, che si esprime nel circolo “senso di colpa –
riparazione”, induce anche alla sublimazione, alla
produzione di simboli e alla creatività.
• L’esperienza di un oggetto buono che
prevale su quello cattivo rimane nella
profonda memoria affettiva come
idealizzazione dell’oggetto buono: essa si
risperimenta nell’innamoramento, nel
piacere estetico, nella costruzione di ideali e
valori.
 Comunque il predominio delle
esperienze buone su quelle cattive è
essenziale ai fini di uno sviluppo
armonico.
• Uno dei fattori perturbativi di un sano
sviluppo è, invece, l’invidia, espressione
precoce dell’istinto di morte, attacca gli
oggetti parziali, in particolare il seno.
• L’invidia impedisce di ricevere aiuto e
conforto da un oggetto ideale e l’Io di priva
della possibilità di arricchirsi mediante
l’introiezione.
Approfondimenti: l’invidia
• All’invidia viene attribuita una posizione di estrema
importanza in Invidia e gratitudine (1957, anche se
riferimenti all’invidia si trovano già in La psicoanalisi dei
bambini, 1932): essa è la forma più nefasta di aggressività
innata: l’invidia vuole distruggere il seno non perché è
cattivo, ma perché è buono. L’esistenza del seno al di
fuori del suo controllo è intollerabile per il bambino e di qui
discende l’invidia. Il danno arrecato dall’indivia sta nel fatto
che la distruzione è diretta anche verso gli oggetti buoni,
distruggendo i quali egli si impedisce quei momenti di
sollievo che questi possono arrecare.
• La descrizione kleiniana dell’invidia ha un notevole
potere esplicativo nel caso dei pazienti difficili, quelli
che non sembrano trarre nulla di buono dalla relazione
terapeutica e manifestano quella che Freud definì “reazione
terapeutica negativa”.
• Nella seconda metà del primo anno di vita,
secondo la Klein il bambino acquista la
capacità di interiorizzare oggetti interi (in
opposizione al scindere e dividere gli oggetti)
e questo corrisponde ad una marcata
variazione del centro della vita psichica.
 Il bambino entra così nella posizione
depressiva
– L’angoscia “depressiva” è quella provata
per l’oggetto intero, che il bambino teme di
aver distrutto. Il bambino si sente svuotato e
tenta allora di “riparare” la madre attraverso
fantasie e comportamenti ricostruttivi.
Gratitudine e ansia per il destino
dell’oggetto
• La Klein mette in luce come in questa fase vi sia
un’autentica preoccupazione del bambino
verso gli altri
 questa preoccupazione non è solamente una
“formazione reattiva”, ma è espressione di una
profonda gratitudine
 l’ansia per il destino dell’oggetto e il
tentativo di ricostruirlo per mezzo dell’amore
sono la forza motrice della personalità. In questi
tentativi di riparazione l’io dubita di riuscire e
questo costituisce un forte impulso al suo
sviluppo.
• Quindi, nello sviluppo normale all’invidia si
contrappone la gratitudine.
 quando il bambino è sicuro del possesso
di un oggetto ideale avrà meno bisogno di
proiettare i suoi impulsi distruttivi e
aumenterà la capacità di tolleranza e la
forza energetica dell’Io. Con il sorgere della
posizione depressiva si acquisisce la
capacità di tollerare l’ambivalenza.
Riparazione
 Poiché l’oggetto amato è ora incorporato
nell’Io, l’aggressione contro di esso non dà
luogo a paure persecutorie, come quando il
bambino era nella posizione schizo-paranoide
(dove gli oggetti erano esterni), ma senso di
colpa e lutto per distruggere un oggetto
buono interno. Ma tali sentimenti incitano il
bambino ad assumere un atteggiamento di
riparazione.
• Nella fase finale del suo pensiero la Klein vede
la vita come una lotta fra l’integrazione creata
dall’amore e la disintegrazione ad opera
dell’invidia. Tenere insieme i due aspetti è
penosamente difficile: devono essere
riconosciuti i limiti dell’amore di ciascuno, la
realtà dell’ambivalenza e devono essere
affrontati l’ansia depressiva e il senso di colpa.
• L’angoscia depressiva non viene mai
superata per tutta la vita: l’ambivalenza
verso gli oggetti rimane. La perdita viene
vissuta come svuotamento e come risultato
della propria distruttività e come rappresaglia
per azioni odiose passate. Per contro, buone
esperienze con altri sono importanti per
ristabilire una speranza nella propria capacità
di amare e di ricostruire. Nell’ultima fase della
Klein, gli altri reali sono importanti.
• Per la Klein, “l’io assorbe continuamente in
sé l’intero mondo esterno (1935)”,
internalizza aspetti buoni del mondo esterno
e, facendoli propri, cresce e si sviluppa.
Difese nella posizione schizoparanoide
• Le difese che si sperimentano nella
posizione schizoparanoide sono volte a
scongiurare la contaminazione degli
oggetti buoni con quelli cattivi: scissione,
idealizzazione, diniego della realtà interna
ed esterna, repressione, artificiosità delle
emozioni, identificazione proiettiva
• Fra le difese, l’ “identificazione proiettiva” è un
concetto tipicamente kleiniano che viene utilizzato
per descrivere la scissione di parti dell’Io e la loro
proiezione su altri. Quindi, parti non desiderate di
sé sono attribuite ad oggetti esterni.
– Per la Klein l’aver proiettato parti cattive rende l’Io
timoroso di rappresaglie e la paura di avere parti di sé
imprigionate dentro l’oggetto aggredito. Il meccanismo
dell’identificazione proiettiva sta alla base del delirio
psicotico di essere un’altra persona (ad es. Cristo o
Napoleone).
Normali sviluppi della
posizione depressiva
• I normali sviluppi della posizione
depressiva sono la riparazione, il
rafforzamento dell’esame di realtà (con
conseguente sviluppo della simbolizzazione
e della creatività), la capacità di tollerare
amore e odio nei confronti di uno stesso
oggetto (perché si è acquisita la sicurezza
della prevalenza dell’amore sull’odio),
gratitudine che scaturisce dal senso di
colpa.
Sviluppi patologici della
posizione depressiva
Gli sviluppi patologici della posizione
depressiva derivano da una negazione del
senso di colpa e da un rapporto maniacale
con l’oggetto all’insegna dell’idealizzazione,
che impoverisce la vita psichica e nega
l’ambivalenza degli oggetti
 Il rapporto maniacale con l’oggetto nega
invece i sensi di colpa. Esso è caratterizzato
da tre sentimenti verso l’oggetto:
– dominio,
– trionfo,
– disprezzo,
volti a negare la dipendenza e ad assicurarsi
il dominio del mondo esterno.
N.B. Ma quando gli sforzi di idealizzazione falliscono,
come nel caso del lutto patologico, si innesca una
spirale di colpa, autorimprovero e disperazione che
conduce alla psicosi depressiva.
• Per Bion esiste una genuina capacità di
amare, di odiare e di conoscere.
• Ma esiste anche una mistificazione di
questa capacità che trasforma:
l’amore
 in cinismo,
l’odio
 in puritanesimo/bigottismo
Il conoscere  in ipocrisia
• Il circolo virtuoso che spinge il bambino,
sicuro del possesso dell’oggetto amato, ad
abbandonare le fantasie per accettare la
realtà non è mai concluso una volta per tutte:
esperienze di ambivalenza, colpa e
privazione possono ricomparire anche nella
vita adulta.
Approfondimenti: la psicopatologia
• La concezione della psicopatologia si è progressivamente
spostata (soprattutto dopo l’introduzione delle “posizioni”)
verso i nuclei psicotici e, nel caso delle nevrosi, alle
eventuali psicosi soggiacenti.
• Nella Klein la tendenza è a vedere il buono come dato
dall’esterno e il cattivo come un prodotto della psicologica
originaria del bambino. La Klein tende a vedere l’influenza
dei genitori sul bambino come uniformemente positivo,
come fonte di immagini di amore a fronte dell’innata
aggressività di lui. Talvolta mette in luce casi particolari:
depressione della madre, mancanza di calore, avversione
nei confronti del bambino, ma tali formulazioni non
compaiono in relazione ad oggetti interni, che rispondono a
caratteristiche universali. Le radici della patologia vanno
ricercate nella cattiveria del bambino. È sicuramente strano
che la Klein non parli delle deficienze genitoriali.
• Per la Klein i fallimenti nell’elaborazione delle due posizioni
darebbero luogo a punti di fissazione sui quali si innesta il
disturbo psicotico dell’adulto.
• Inoltre, ella paragona i disturbi psicotici in generale alla
posizione schizo-paranoidea, tanto da lasciar presumere
che il neonato sia un piccolo psicotico. La Klein connette in
unico quadro schizofrenia e paranoia:
– il delirio persecutorio tipico della paranoia deriverebbe dalla
proiezione dell’oggetto cattivo.
– Lo schizofrenico fallisce nell’entrata nella posizione
depressiva (non riesce ad integrare oggetto e sé) e resta in
preda a violente scissioni e proiezioni e ad una confusione fra
mondo interno e mondo esterno.
– Il depresso non riesce a conseguire la riparazione dell’oggetto
(e di se stesso) e resta diviso fra l’Io cattivo e l’oggetto buono.
– Nella fase maniacale, invece, ad un Io grandioso si oppone un
oggetto svalutato.
In breve
• Per la Klein, come per Freud, esiste una pulsione di vita e
una pulsione di morte
• Le pulsioni si manifestano come fantasie inconsce
originarie in cui il sé interagisce con un oggetto sotto
l’influenza di emozioni primitive (che sono il riflesso delle
pulsioni). Si è utilizzata la metafora della mente come teatro.
• Il prototipo della pulsione di vita è la relazione col seno buono.
La proiezione dell’oggetto buono su nuovi oggetti è alla base
della fiducia verso il mondo, del desiderio di esplorare ecc.
• La pulsione di morte viene intesa come derivante dalla
cattiveria originaria del bambino e viene proiettata all’esterno.
La Klein ha parlato assai del sentimento dell’invidia, una
forma perniciosa di aggressività che conduce il bambino a
voler depredare il corpo della madre di cose buone avendone,
di rimando, la paura della ritorsione.
• Il bambino viene descritto dalla Klein come impegnato ad
ammassare oggetti buoni e preziosi, depredandoli dal corpo
della madre, ma è impaurito dalla ritorsione da parte degli
oggetti aggrediti. Il suo vissuto è caratterizzato dalla paura
paranoide della ritorsione degli oggetti cattivi, sia esterni, in
quanto ha diretto nei loro confronti la propria aggressività, sia
di quelli che sono diventati interni in virtù dell’internalizzazione
(che è un processo spontaneo e naturale di assorbimento
dell’io degli oggetti).
• La Klein descrive una posizione schizoparanoide, in cui il
bambino è impegnato ad ammassare oggetti buoni e a lottare e
rifiutare gli oggetti cattivi, dai quali si attende sempre
rappresaglia e punizione (paura paranoide). I meccanismi di
scissione operano al massimo livello fino al 6° mese. Si parla
in tal senso di relazione con oggetti parziali. La relazione con
un oggetto assolutamente buono e idealizzato, scisso
dall’oggetto assolutamente cattivo, rimane nelle nostre menti.
• Le difese che si sperimentano nella posizione depressiva sono
volte a scongiurare la contaminazione degli oggetti buoni con
quelli cattivi: scissione, idealizzazione, diniego della realtà
interna ed esterna, repressione, artificiosità delle emozioni,
identificazione proiettiva
• Quando il bambino sarà in grado di accettare i propri impulsi
cattivi, sperimenterà la posizione depressiva, diminuirà l’uso di
difese e inizierà a relazionarsi con l’oggetto intero. A consentire
questo passaggio è la consapevolezza, da parte del bambino,
del sicuro possesso di un oggetto buono, che aumenta la forza
dell’Io e la sua capacità di tolleranza. “…il primo oggetto buono
agisce come punto focale nell’Io. Esso bilancia i processi di
scissione e dispersione, contribuisce alla coesione e
all’integrazione, ed è strumentale alla costruzione dell’Io (Note su
alcuni meccanismi schizoidi, 1946, p. 6)
• A differenza delle paure persecutorie della posizione
schizoparanoide, il timore che il bambino sperimenta nella
posizione depressiva è quello di far male all’oggetto buono. Ciò
genera senso di colpa e angoscia depressiva e conseguente
desiderio di riparare al male arrecato all’oggetto buono.
• Il Super-io arcaico, che si era formato durante la posizione
schizoparanoide, è costituito dal timore di rappresaglia da parte
di oggetti interni cattivi non proiettati. Esso giunge a
maturazione alla fine del 1° anno, col passaggio delle fantasie
dalla madre al padre, e si caratterizza della paura di organi
sessuali pericolosi e di relazioni sessuali fra i genitori distruttive.
Il Super-io si arricchisce però anche dell’oggetto ideale
perdendo, così, parte del suo carattere feroce, ma incitando il
bambino alla perfezione (anche in modo crudele), promovendo
l’identificazione, incoraggiandolo a crescere, gratificandolo.
• I normali sviluppi della posizione depressiva sono la
riparazione, il rafforzamento dell’esame di realtà (con
conseguente sviluppo della simbolizzazione e della creatività),
la capacità di tollerare amore e odio nei confronti di uno stesso
oggetto (perché si è acquisita la sicurezza della prevalenza
dell’amore sull’odio), gratitudine che scaturisce dal senso di
colpa.
• Gli sviluppi patologici della posizione depressiva derivano
da una negazione del senso di colpa e da un rapporto
maniacale con l’oggetto all’insegna dell’idealizzazione, che
impoverisce la vita psichica e nega l’ambivalenza degli oggetti;
si nega anche la dipendenza e il bisogno che si ha di essi
controllandoli con un senso di trionfo e disprezzo. Ma quando
gli sforzi di idealizzazione falliscono, come nel caso del lutto
patologico, si innesca una spirale di colpa, autorimprovero e
disperazione che conduce alla psicosi depressiva.
Ronald Fairbairn
(1889 – 1964)
La centralità della
relazione
• Ronald Fairbairn – che elaborò i suoi contributi di
psicoanalisi negli anni ’40 – pose al centro del suo
interesse il profondo bisogno da parte del
bambino di relazioni personali basate sull’amore.
Egli affermò, in contrasto con Freud, che la
motivazione centrale degli esseri umani è stabilire
buone relazioni con gli altri (“la libido non è ricerca di
piacere, ma ricerca d’oggetto”)
 Per Fairbain l’asse centrale attorno al quale ruota
lo sviluppo del bambino sono le buone relazioni,
all’insegna dell’affetto, dell’amore, della stima, della
considerazione personale.
 Il bisogno di relazione è così centrale che “è
meglio una relazione cattiva che nessuna
relazione”
• Nelle prime fasi dello sviluppo l’Io non è strutturato
e dotato di una coscienza di sé di tipo riflessivo,
ma è tutt’uno col caregiver. Il piccolo è, cioè, in
“identificazione primaria” con l’altro.
 Così, se il bambino sperimenta relazioni
insoddisfacenti, egli – in virtù dell’identificazione –
giungerà a percepire se stesso come
insoddisfacente e “cattivo”.
• Questo sentirsi cattivo comporta un’esperienza
molto dolorosa, addirittura catastrofica,
nell’esperienza di Sé del bambino.
…l’esperienza di non essere accettato e riconosciuto nel
proprio bisogno di amore è un’esperienza devastante che, a
livello profondo, è l’esperienza della vergogna per aver
manifestato dei bisogni affettivi. Il senso del proprio valore è
minacciato. Ad un livello ancora più profondo, si ha un
senso di svuotamento e di morte psichica. La
consapevolezza che il proprio amore è inutile genera un
senso di futilità dell’Io… (Fairbairn 1944, tr. it. 1970, p. 140)
• Fairbairn descrisse approfonditamente come
tali esperienze relazionali negative
possano essere controllate solamente
tramite la loro rimozione nell’inconscio.
– la rimozione nell’inconscio delle esperienze
negative è un espediente per “bonificare” le
relazioni della loro “cattiveria” e farle apparire di
nuovo positive e “buone”.
• È l’esperienza, tristemente nota, dei bambini abusati
che non riescono ad accusare i loro aguzzini della
violenza subita perché hanno bisogno di credere
nella bontà della relazione.
• Nell’inconscio, tuttavia, questi sentimenti
negativi permangono; in virtù
dell’identificazione, il proprio Io,
inconsciamente percepito come
profondamente “contaminato” di cattiveria,
svuotato.
 Fairbairn tale parte dell’Io contaminata
di cattiveria “sabotatore interno”, che
rappresenta quella parte dell’Io
profondamente contaminata da un senso
di cattiveria e capace di boicottare i
miglioramenti della personalità
Ciò genera una vera e propria situazione di
tipo “schizoide” ovvero di scissione all’interno
dell’Io. Ci sono, cioè, delle “parti” del nostro Io
legate a delusioni relazioni molto profonde che
intaccano e si legano al senso di sé da dover
essere negate perché intollerabili.
Questi individui percepiscono che il bisogno di
amore, dipendenza e affetto sono pericolosi e vanno
negati. L’amore è sentito come connesso alla
distruzione e alla morte. È questo il senso
dell’affermazione di Oscar Wilde che, nella Ballata
della prigione di Reading, esclama “Ogni uomo
uccide la cosa che ama” (Fairbairn 1940, tr. it 1970).
• Inoltre, osserva Fairbairn, assieme alla
inconscia sensazione di cattiveria dell’Io,
v’è un’altra parte dell’Io, anch’essa
diventata inconscia, che ambisce ad avere
soddisfatti quei bisogni relazionali di cui
non ha avuto esperienza. Tuttavia li
desidera in maniera compulsiva, esigente,
vorace, voluttuosa, “libidica”.
 Fairbairn chiama tale Io “Io libidico” e
a suo parere assomiglia all’inconscio
pulsionale descritto da Freud.
Riassumendo:
• Le relazioni insoddisfacenti generano, cioè, da un
lato un bisogno insoddisfatto che assume una
forma seduttiva, stimolante e, dall’altro lato, la
continua frustrazione di quei bisogni da parte dell’
“Io cattivo” (sabotatore interno), che incarna la
memoria del fallimento profondo di ogni tentativo di
mettersi in relazione. Il sabotore interno, come
suggerisce il nome, “attacca” rabbiosamente quella
parte dell’Io (l’Io libidico) che manifesta desideri.
• Più in fondo, l’attacco del sabotatore interno
rappresenta anche un attacco che il bambino
rivolge verso sé stesso in quanto dipendente e
bisognoso di relazione.
Precisazione:
• Rispetto a questa dinamica profonda avente a che
fare relazioni buone o cattive, il senso di colpa che
genera il Super-Io descritto da Freud agisce, per
Fairbairn, a un livello più superficiale.
 Fairbairn pensa infatti che il senso di colpa sia
una difesa “morale” più evoluta dietro la quale si
cela una situazione più originaria legata a relazioni
interiorizzate assolutamente cattive (in cui il proprio
Io è sentito come indegno e cattivo). Il
colpevolizzarsi viene utilizzato, cioè, per coprire e
per tenere lontano dalla coscienza la sensazione
profonda di disperazione legata alle relazioni
cattive. Meglio, cioè, sentirsi in colpa che sentirsi
indegno di esistere.
L’evoluzione come passaggio dalla dipendenza
immatura alla dipendenza matura
• Crescendo il bambino sarà indotto a evolvere
dalla dipendenza immatura alla dipendenza
matura.
• Affinché tale passaggio possa avvenire in modo
emotivamente sano occorre che il bambino
abbia la sensazione di essere sostenuto e
incoraggiato nell’ambito di relazioni in cui si
sente amato come persona; altrimenti egli tale
passaggio e l’aprirsi al mondo esterno come
carichi di troppa ansia di separazione.
– L’ansia di separazione è spesso legata alla sensazione di
sentirsi intrappolati in spazi troppo stretti o troppo ampi.
Approfondimento:
• Per Fairbairn le relazioni cattive rimosse
nell’inconscio (che contengono un’esperienza dell’Io
come cattivo e dell’altro come cattivo) sono alla base
dei disturbi ossessivi, paranoidi, isterici e fobici.
Si riportano i meccanismi di difesa così come vengono intesi da Fairbairn:
– La fobia rappresenta la tensione connessa al passaggio dalla
dipendenza infantile a quella matura, nella speranza di “farcela” e nel
timore di rimanere intrappolato, rinchiuso, inghiottito… Il conflitto è
quello tra la fuga dall’oggetto e il ritorno all’oggetto. Il fobico adotta una
posizione passiva e si pone nella scelta di fuggire dal potere
dell’oggetto o sottomettersi ad esso.
– La paranoia è la più radicale, in quanto gli oggetti cattivi vengono
trattati come assolutamente cattivi. Questi diventano dei persecutori
che attaccano il soggetto dall’esterno. Il paranoide è caratterizzato da
una grandiosità stravagante (perché non basata su una realistica
autostima) che teme l’attacco da parte degli oggetti cattivi persecutori.
– L’isteria non è una fissazione alla fase fallica come conseguenza della
situazione edipica, come nella teoria freudiana, ma è un rifiuto degli
organi genitali perché essi sono utilizzati per avere soddisfazioni di tipo
infantile-dipendente.
• Fairbairn fa l’esempio di una bambina tenuta in disparte da genitori che non
si occupavano di lei che inizia ad utilizzare la seduzione per avere il padre
dalla sua parte.
A differenza che per il paranoico e l’ossessivo, nell’isterico l’oggetto
cattivo è trattenuto psicologicamente dentro: l’isterico vuole consegnare
tutto ai suoi oggetti d’amore, spesso idealizzandoli, nella speranza di
stabilire una relazione più rassicurante, ma non dà loro gli organi
sessuali, che restano invischiati in un meccanismo di soddisfazione
regressiva con l’oggetto cattivo e devono pertanto essere tenuti fuori
dalla relazione idealizzata. L’isterico, come il fobico e l’ossessivo, ha in
parte acquistato una maturità durante la fase di transizione, ma in parte è
rimasto legato in modo immaturo ai suoi oggetti interni. Proprio
l’esagerazione dell’isterico solleva il sospetto che il suo comportamento
derivi dalla sovracompensazione d’un rifiuto. Questo sospetto è
confermato nell’isterico dalla presenza di dissociazioni e l’analisi può
evidenziare l’identificazione con i genitali rifiutati.
– Nell’ossessione, invece, c’è un po’ di atteggiamento oblativo della
dipendenza matura. L’ossessivo è come se volesse metaforicamente
espellere di propri oggetti cattivi e pertanto esercita un forte controllo,
spesso connotato da alta aggressività, su di essi.
Iper-investimento difensivo del
mondo interno
• Per paura di ulteriori “fallimenti relazionali”, il
bambino si “attaccherà” di più al suo “mondo
interno” fatto di relazioni con oggetti cattivi (che lo
fanno sentire una nullità) e oggetti libidici (che
stimolano il suo desiderio in maniera vorace).
• L’attaccamento al mondo interno va a
compensare la sensazione di solitudine; ma così
l’individuo si chiude in un circolo vizioso sempre
più stringente, fino al punto che il dare e
l’interagire autentico con gli altri viene sentito
come un pericoloso “svuotamento”.
• Melanie Klein aveva già evidenziato come il normale
sviluppo infantile contempli il rafforzamento dell’esame
di realtà (con conseguente sviluppo della
simbolizzazione e della creatività) e la capacità di tollerare
amore e odio nei confronti di uno stesso oggetto (perché
si è acquisita la sicurezza della prevalenza dell’amore
sull’odio e si prova gratitudine verso l’oggetto).
L’espressione dell’aggressività diventa connotata da
senso di colpa e dal desiderio di riparare al male fatto.
• Gli sviluppi patologici derivano invece da una
negazione del senso di colpa e da un rapporto
maniacale con l’oggetto all’insegna dell’idealizzazione,
che impoverisce la vita psichica e nega l’ambivalenza
degli oggetti; si nega anche la dipendenza e il bisogno
che si ha di essi controllandoli con un senso di trionfo
e disprezzo.
Realtà esterna, altri
Parte matura dell’individuo in interazione con la realtà e capace di
interagire in senso realistico col mondo (Io centrale)

Senso di colpa (Super-Io “morale” di Freud) (“non devi comportarti così”;
“non essere così dipendente”; “non essere egoista, pensa come soffrono gli
altri”; “sei proprio una persona cattiva” ecc.)
Io solo, abbandonato, vergognoso del
proprio bisogno di amore, con un senso
di profonda disistima e di cattiveria
(sabotatore interno)
(Super-Io primitivo sadico e punitivo)


Io che reclama aggressivamente il
soddisfacimento dei propri bisogni, non
più percepiti come puri bisogni
relazionali e di affetto, ma come
esigenze, “capricci”, lusinghe, seduzioni
(che spesso si intrecciano con la sfera
sessuale), uno sfruttare gli altri. Contro
questo bisogno il sabotatore interno
mobilita la sua aggressività (perché in
fondo è un bisogno che si sviluppa da
una mancanza, compensatorio, che il
sabotatore interno rabbiosamente mette
a tacere) (io libidico)
Relazioni con oggetti interiorizzati, cui l’individuo è costretto a ricorrere in
mancanza di una relazione soddisfacente con gli oggetti del mondo esterno
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slide 6^ lezione