IL GIORNALE ITALIANO DI CARDIOLOGIA INVASIVA N. 3 • 2014 COME OTTIMIZZARE IL RAPPORTO SICUREZZA DEL PAZIENTE E QUALITÀ DELL’IMMAGINE Vittorio Romano1, Matteo Longoni1, Antonella Merelli2, Lorenzo Ciarma3, Beatrice Magro4, Francesco Saia3 Cardiologia Interventistica ed Emodinamica, Ospedale San Raffaele, Milano Dipartimento Cardio Toraco Vascolare, Azienda Ospedaliera Pisana, Pisa 3 Laboratorio di Emodinamica, Azienda Ospedaliera Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna 4 Servizio di Diagnostica ed Interventistica Cardiovascolare, Ospedale Santa Maria della Misericordia, Rovigo 1 2 Introduzione Negli ultimi due decenni la Cardiologia Interventistica (CI) ha conosciuto una rapida crescita grazie agli evidenti benefici ed allo sviluppo tecnologico-terapeutico delle procedure eseguite nei laboratori di diagnostica e terapia cardiovascolare invasiva (1). Anche il trattamento del distretto vascolare periferico ed i nuovi approcci terapeutici eseguibili per via percutanea (strutturale) hanno contribuito a rendere più evidente tale crescita. Si stima che solo nel 2007 in Europa siano state eseguite più di tre milioni di coronarografie e quasi 700.000 angioplastiche coronariche con stent(2). In Italia i dati SICI-GISE (Società Italiana di Cardiologia Interventistica), oltre a confermare un trend di crescita in linea con quello europeo (Fig. 1A), nel periodo che va dal 2008 al 2012, hanno documentato un aumento delle PTA femoro-poplitea del 70,5% (Fig. 1B) e un aumento delle procedure di impianto di valvola aortica transcatetere (TAVI) del 343% (Fig. 1C). Tutto ciò ha però generato una crescente preoccupazione sui livelli di dose di radiazioni in quanto un aumento delle procedure eseguite sotto guida fluoroscopica, si traduce inevitabilmente in un aumento di pazienti esposti a radiazioni ionizzanti. La stessa diminuzione del 2% di coronarografie, registrata tra il 2006 ed il 2008 negli USA, presenta tra i vari fattori responsabili un maggior uso della Tomografia Computerizzata (TC) in ambito cardiologico (studio TAVI, coro-TC, follow-up clinico post PTCA/bypass). La sola cardio-TC, negli USA, è responsabile del 6% dell’esposizione medica totale(3). I pazienti cardiologici infatti sono esposti a radiazioni ionizzanti provenienti da differenti tipologie di esami: radiografia, TC, scintigrafia e angiografia coronarica(4), pertanto nel computo totale della dose al paziente si dovrà tener conto anche dell’esposizione dovuta ad esami radiologici precedenti. Alla luce di quanto fin qui evidenziato, è chiaro che in CI ottimizzare il rapporto sicurezza paziente/qualità dell’immagine rappresenta, in tema di radioprotezione, un aspetto necessario. Ottimizzazione della dose Radioproteggere significa rendere massimi i benefici clinici di una procedura rispetto al rischio di danno radioindotto, utilizzando le tecniche di riduzione della dose ogni qualvolta possibile, tenendo conto però che la dose al paziente deve essere adatta allo scopo medico. Il primo concetto fondamentale è quindi quello di ridurre il più possibile l’esposizione del paziente utilizzando i principi di buona tecnica (As Low As Reasonably Achievable, ALARA). Le raccomandazioni utili per l’ottimizzazione della dose in radiologia sono applicabili anche in CI(1,5): • Ridurre al minimo il tempo di fluoroscopia; • Utilizzare la fluoroscopia in modalità pulsata; • Utilizzare il minor rateo di dose in fluoroscopia: prefe- Indirizzo per la corrispondenza: Vittorio Romano Interventistica Cardiovascolare, Ospedale San Raffaele, Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico Via Olgettina, 60 - 20132 Milano Tel.: +39 02 2643 7306 - Fax.: +39 02 2643 7339 - Email: [email protected] 19 IL GIORNALE ITALIANO DI CARDIOLOGIA INVASIVA N. 3 • 2014 A 160000 PCI PCI primarie PCI multivaso 140000 120000 100000 VARIAZIONE 2008-2012 80000 +5,1% +24,6% +7,6% 60000 40000 20000 0 2008 2009 2010 2011 2012 B 9000 PTA carotide PTA iliaco-femorale 8000 PTA femoro-poplitea/BTK Endoprotesi vascolari 7000 6000 VARIAZIONE 2008-2012 5000 +5,7% +5,1% +70,5% +14,1% 4000 3000 2000 1000 0 2008 2009 TAVI Mitraclip 2010 2011 2012 C 2500 2000 VARIAZIONE 2008-2012 1500 +343% 1000 VARIAZIONE 2008-2012 500 0 +106% 2008 2009 2010 2011 Figura 1. Attività Cath-Lab in Italia, periodo 2008-2012 (dati SICI-GISE 2013). 20 2012 COME OTTIMIZZARE IL RAPPORTO SICUREZZA rire la fluoroscopia in modalità “low” e passare alle modalità “medium” e “high” solo in casi eccezionali e per brevi periodi; • Rimuovere la griglia antidiffusione durante l’esecuzione di procedure su pazienti pediatrici; • Utilizzare il minor ingrandimento possibile; • Utilizzare i filtri a cuneo e la collimazione in maniera adeguata; • Se disponibili utilizzare la collimazione ed i filtri a cuneo virtuali; • Quando possibile e laddove disponibile registrare i processi dinamici in fluoroscopia: l’intensità del fascio è da 10 a 20 volte superiore in grafia rispetto alla scopia(3); • Utilizzare l’ultima immagine conservata - Last Image Hold (LIH) - per fini di studio o consultazioni; • Non utilizzare mai un’acquisizione in grafia come sostituto della fluoroscopia; • Utilizzare il minor numero di fotogrammi per secondo in grafia e in fluoroscopia pulsata; • Quando possibile modificare l’angolazione del fascio di raggi X per evitare di concentrare la dose in un unico punto della pelle; • Quando possibile ridurre al minimo l’uso di forti inclinazioni del fascio di raggi X; • Tenere le estremità del paziente fuori dal fascio di raggi X; • Mantenere l’intensificatore di brillanza o flat panel detector il più vicino possibile al paziente; • Mantenere il paziente il più lontano possibile dal tubo; • Se il paziente ha eseguito procedure analoghe, cercare di ottenere informazioni dosimetrico-anatomiche per ottimizzare le procedure successive. Tuttavia nonostante l’ottimizzazione della tecnica procedurale, la dose ai pazienti sottoposti a questo tipo di procedure è, in alcuni casi, talmente elevata da causare danni radio-indotti, soprattutto alla pelle, anche quando la procedura viene eseguita da un operatore esperto, ben addestrato e che utilizza moderne attrezzature(6,7). Gestione della dose Parlare di danno radio-indotto in seguito ad una procedura radiologica, significa parlare di danno stocastico DEL PAZIENTE E QUALITÀ DELL’IMMAGINE (leucemie e tumori solidi) e di danno deterministico (reazioni tissutali). Per quanto riguarda la relazione dose-rischio di sviluppare cancro, l’International Commission on Radiological Protection (ICRP) suggerisce di mantenere il cosiddetto “modello lineare senza soglia” LNT (Linear No-Threshold), secondo cui la probabilità che l’effetto si manifesti è proporzionale alla dose assorbita per quanto piccola possa essere. Gli effetti stocastici non richiedono il superamento di un valore soglia per manifestarsi e soprattutto non sono graduati, cioè la dose non rende l’effetto più grave, ma solo più probabile. Di conseguenza, nel momento in cui un paziente viene sottoposto ad indagine radiologica, qualunque essa sia, non è possibile eliminare la probabilità che un effetto stocastico possa verificarsi, ma è possibile, rispettando le raccomandazioni sopraelencate, ridurre tale probabilità fino ad un livello universalmente riconosciuto come accettabile. Le reazioni tissutali invece si verificano solitamente se si supera una certa dose soglia nel punto in cui i raggi X incontrano la pelle del paziente(8) e generalmente la loro gravità è direttamente proporzionale all’aumentare della dose(9). Dunque, al fine di rendere massimi i vantaggi delle procedure di CI, non ci si può limitare unicamente ai principi di buona tecnica. Stiamo parlando di procedure influenzabili da più fattori e pertanto non standardizzabili(10). La dose quindi, oltre ad essere giustamente ottimizzata, deve anche essere adeguatamente gestita(11) in quanto l’eventuale rischio di reazioni tissutali post-procedurali deve essere stimato per ogni singolo paziente(12). I motivi responsabili dell’aumento delle reazioni tissutali post-procedurali(13) sono diversi: i cardiologi interventisti non sempre hanno un’adeguata familiarità con le innovazioni tecnologiche offerte dalle macchine di ultima generazione, operatori differenti a parità di procedura danno dosi differenti(14) ed infine le procedure di CI sono aumentate in numero e complessità. Oltre ad una tecnica operativa insoddisfacente il peso del paziente, la complessità della procedura e l’uso prolungato di una stessa proiezione sono tra le cause principali delle elevate dosi alla pelle(15). I fattori che sembrano influenzare la complessità di tali procedure sono soprattutto il tipo ed il numero delle lesioni trattate, tra cui la presenza di occlusione cronica, calcificazioni severe, tor21 IL GIORNALE ITALIANO DI CARDIOLOGIA INVASIVA tuosità e coinvolgimento di biforcazioni(16,17). Casi complessi possono essere trattati in più di una sessione(18) e danni alla pelle possono essere causati dalla dose cumulativa di ripetute procedure anche se ognuna di queste singolarmente non sarebbe mai stata in grado di causare lesioni(19). Per ciò che riguarda i pazienti obesi va detto che questi sono più a rischio(6), infatti la dose alla cute nel punto d’ingresso del fascio può essere fino a 10 volte superiore rispetto ad un paziente normopeso(12). Il processo di gestione della dose comincia già dal consenso informato che dovrebbe includere informazioni sul rischio da radiazioni(20). Durante la procedura il cardiologo deve essere informato sul tempo di fluoroscopia, sul numero di cine e su tutti i parametri tecnici utilizzati. Alcuni sistemi fluoroscopici moderni consentono di monitorare in tempo reale la dose al paziente e forniscono, alla fine della procedura, un rapporto di dose che include anche informazioni sulla distribuzione della dose alla pelle(12). Tale rapporto dovrà essere registrato nella cartella clinica del paziente. Lo scopo del monitoraggio della dose è quello di rendere consapevole l’operatore della quantità di radiazione somministrata e permettere una valutazione del rapporto rischio/beneficio ai fini del completamento della procedura(20). L’ICRP raccomanda i seguenti livelli soglia di riferimento: dose massima alla pelle 3 Gy, prodotto Kerma/area (KAP) di 500 Gycm2, Kerma in aria al punto di ingresso del paziente di 5 Gy. Se i livelli di soglia consigliati vengono superati, il paziente deve essere informato sull’eventualità di una lesione alla pelle e deve essere invitato ad esaminare il sito di ingresso del fascio 2-4 settimane dopo la procedura. Il cardiologo interventista dovrebbe organizzare un follow-up clinico per la diagnosi precoce e la gestione delle lesioni cutanee(3,20) ed il medico responsabile della cura del paziente dovrà essere informato sulla possibilità di effetti da radiazioni(11). Kerma vs dose assorbita La dose assorbita rappresenta la quantità di energia assorbita dall’unità di massa in seguito all’interazione 22 N. 3 • 2014 con la radiazione incidente, mentre il Kerma, acronimo di Kinetic Energy Released to Matter, è la quantità di energia ceduta dalla radiazione incidente per unità di massa. La differenza tra le due grandezza ha una ragione strettamente fisica, ma per energie tipiche dei raggi X, da un punto di vista numerico, Kerma e dose assorbita hanno lo stesso valore. Quindi KAP e DAP (prodotto dose/area) sono numericamente uguali. Il KAP è un valore dosimetrico cumulativo legato all’effetto stocastico, è correlato al Kerma in aria, ma non alla dose massima alla pelle del paziente(4). Il Kerma in aria cumulativo è un parametro dosimetrico legato agli effetti deterministici ed è misurato in un punto del fascio centrale di radiazione a 15 cm da un ipotetico isocentro (cuore)(21). Tale punto prende il nome di “Punto di Riferimento Interventistico” (PRI). Il PRI corrisponde, con buona approssimazione, alla superficie cutanea del paziente investita dal fascio di radiazione durante la procedura. Ovviamente differenti proiezioni radiologiche hanno differenti PRI, ognuno legato ad un livello soglia di dose alla pelle di 3 Gy (Fig. 2). Questo introduce il concetto di dose picco come dose massima ricevuta localmente in un qualsiasi punto della pelle del paziente. Non necessariamente il rispetto dei valori soglia dei parametri cumulativi, KAP (500 Gycm2) e Kerma in aria cumulativo (5 Gy), coincide con il rispetto del valore soglia della dose massima alla pelle (3 Gy). Studi hanno messo in evidenza come, in CI, a valori medi di KAP, Figura 2. Punto di Riferimento Interventistico (PRI) al variare della proiezione radiologica. COME OTTIMIZZARE IL RAPPORTO SICUREZZA 250 Gycm2, possano essere associati valori di picco alla pelle che superano i 3 Gy(22). Da notare come tra i valori soglia consigliati non compaia il tempo di fluoroscopia (TF). Il TF in CI è infatti un povero predittore di rischio di danno deterministico in quanto ha una scarsa correlazione con la dose massima alla pelle(2) e non tiene in considerazione i parametri tecnici finalizzati all’ottimizzazione della tecnica operativa quali: collimazione, ingrandimento, distanza fuoco pelle, altezza lettino, numero di frame al secondo, dimensioni paziente ecc.(3). Conclusioni Attualmente la maggior parte dei cardiologi interventisti non ha mai avuto pazienti affetti da reazioni tissutali post-procedurali. Stiamo parlando di eventi rari rispetto al numero di procedure eseguite in tutto il mondo(12), ma va considerato che la CI da sola è responsabile dell’80% dei casi classificati come gravi(23). DEL PAZIENTE E QUALITÀ DELL’IMMAGINE L’aumento e la complessità degli interventi sembra aver ampiamente compensato la riduzione di dose dovuta al miglioramento tecnologico (24) e ciò sottolinea come l’ottimizzazione della dose sia una pratica necessaria, ma non più sufficiente: occorre anche saper gestire la dose. I laboratori di CI dovrebbero utilizzare apparecchiature in grado di stimare i relativi valori di dose picco alla pelle(20) e il monitoraggio in tempo reale della dose dovrebbe essere una pratica consolidata e di routine, soprattutto se si interviene su pazienti obesi. Tutto lo staff del laboratorio deve avere familiarità con i parametri dosimetrici e deve ricevere una formazione sulla radioprotezione congrua rispetto alla propria professione(12). I cardiologi interventisti, in particolare, devono essere in grado di informare i pazienti in modo dettagliato sul rischio da radiazione al fine di aumentare le probabilità di guarigione di un eventuale danno alla pelle(11), specialmente quando la procedura è stata particolarmente complessa. 23 IL GIORNALE ITALIANO DI CARDIOLOGIA INVASIVA N. 3 • 2014 Bibliografia 1. Miller DL, Balter S, Schueler BA, et al. Clinical radiation management for fluoroscopically guided interventional procedures. Radiology 2010;257:321-32. 2. Faulkner, K., Werduch, A. Analysis of the frequency of interventional cardiology in various European countries. Rad Prot Dosimetry 2008; 129:74-6. 3. NCRP. Radiation Dose Management for Fluoroscopically Guided Interventional Medical Procedures. NCRP Report No. 168. 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