Identità e scrittura rapporto tra identità e scrittura il ruolo delle origini italiane nello sviluppo della figura dell’intellettuale; Zygmunt Barman considera l'identità come il punto di arrivo di un processo; –resta, invece, da chiarire se il temine identità rinvii all’ordine dei concetti o piuttosto a quello dell’auto-percezione sentimentale Bauman scrive: “l’identità ci si rivela unicamente come qualcosa che va inventato piuttosto che scoperto; come il traguardo di uno sforzo, un obiettivo, qualcosa che è ancora necessario costruire da zero o selezionare fra offerte formative, qualcosa per cui è necessario lottare e che va poi protetto attraverso altre lotte ancora” [iv]. L’auto-percezione identitaria dell’italo-americano risente senza dubbio della radicale esperienza di abbandono attivo e passivo vissuta dall’emigrante: – “identità ferita”; – “Clean Break”; – identità etica e non etnica (l’identità etica non divide come quella astrattamente etnica, ma unisce perché in essa l’antica identità – il paese della memoria – si congiunge con la nuova – la terra dell’appaesamento). [ “Emigrando le persone care scomparivano, venivano inghiottite dall’ignoto, molte volte per sempre. Si partiva in cerca di beni materiali, lasciando alle spalle un proprio mondo di miseria, ma ricco di beni immateriali, di calore umano, di relazioni e di rassicurazioni. L’assenza e l’attesa generano stati d’animo nuovi che si sostituiscono – nel bene e nel male ai sentimenti che avevano caratterizzato le relazioni intime in un mondo contadino chiuso e unico. (...). Dolori. Sofferenze. Responsabilità. Sensi di colpa. Vergogna. Riscatto. Alle donne toccava in sorte di rimanere, di assistere impotenti alla partenza degli uomini, mariti, fratelli, fidanzati o padri che fossero. (...). Per queste donne l’emigrazione rappresentava una rottura luttuosa, un fenomeno comunque più da elaborare attraverso processi psichici che non attraverso il fare. L’assenza prolungata degli uomini richiedeva a chi rimaneva un processo di interiorizzazione per colmare il vuoto materiale lasciato da questi uomini con una presenza e permanenza affettiva, interiore.” “[…] l’emigrazione è stata anche una storia densa di corpi. Corpi violentemente separati: quelli degli uomini che si usurano nella dura fatica del lavoro, quelli delle donne che, dopo le gravidanze, si atrofizzano nell’attesa. Una storia variamente elaborata e riconosciuta nelle singole biografie che, tuttavia, ancora attende un riconoscimento vero collettivo, al di là dei momenti celebrativi.” Renate Siebert, “Sud-Sud, genere e generazioni,” Mesogea, n. 0 (2002): 32-3. Clean Break “Clean break è azzeramento dell’identità data e apertura a tutte le possibilità, anche a quelle che gli ancoramenti (familiari, sociali, etc.) della situazione originaria rendevano inimmaginabili. Nella nuova patria l’emigrante non trova soltanto la soddisfazione dei propri bisogni vitali, bensì un compito, al quale non può sottrarsi: inventarsi una nuova vita, reinventarsi.” Domenica Mazzù, “Al di là del Mare Nostrum. Riflessione sull’identità italo-americana,” NEOS, Rivista di Storia dell’Emigrazione Siciliana, vol. 1, n. 1 (Dicembre 2006): 50-51. Giuseppe Prezzolini America in pantofole (1950), Firenze, Vallecchi, 2002 La piccola rivoluzione degli italiani consiste proprio nel “farsi cittadini, seguire le scuole americane, guadagnare piccoli e grossi patrimoni, conquistare posti di giudice, di senatore, di sindaco, di commissario, contribuire alla letteratura americana, popolare di figure di tipo italiano le piazze e gli edifici d’America, contare come una massa elettorale che può dare in vari Stati dell’Unione il tracollo della bilancia politica.” (204) “Gli italiani in America, c]’erano, ci sono, ci resteranno e cresceranno (…). Prendiamoli ad uno ad uno, dal modesto fruttivendolo dove mi riforniscono di verdure fino al leader col quale mi trattengo talora a conversare. In tutti i gradi sociali si trovano vite ammirevoli segnate da una parola: ascensione.” (ibidem) “Pensavo ai Governi che li avevan lasciati partire d’Italia, senza scuola e senza denaro; ai rappresentanti del Governo italiano che non li avevano sufficientemente protetti; ai padroni del loro sangue e della stessa lingua che li avevano sfruttati; ai banchieri che li avevano derubati; ai politicanti che li avevano turlupinati; e nonostante tutto questo al grido della patria di origine avevano risposto dimenticando con generosità, cancellando rancori che sarebbero stati giusti e soffocando bestemmie che sarebbero state umane, avevan risposto che eran lì sempre freschi, nuovi, pronti, e sui loro volti non c’era che il colore di un sentimento: l’amore.” (Prezzolini, America in Pantofole, 204-5) “One Italian immigrant is said to have remarked, “I came to America because I heard the streets were paved with gold. When I got here, I found out three things: First, the streets were not paved with gold. Second, they were not paved at all. And, third, I was expected to pave them”. In fact, not only did the Italian immigrants build the roads, they built the bridges, tunnels, buildings, and railroads; that became the backbone of an expanding industrial economy throughout the entire nation. They were eager to contribute and earn their own way and took whatever work they could find. Nothing was expected, only the opportunity to work and prosper.” Kenneth Pasquale La Valle, “Trasformation of the Italian-American Family and its impact on ethnic identity”, NEOS, Rivista di Storia dell’Emigrazione Siciliana, vol. 1, n.1 (Dicembre 2006): 53. “[A]ppare significativo che il nostro campione di fronte alla domanda se si sentivano Americani, Italiani emigrati, o Americani con origine e cultura italiana per l’80,5% dei casi ha scelto quest’ultima opzione, lasciando molto indietro un piccolo campione che ha risposto di sentirsi americano l’8,9% ed uno ancora più piccolo che ha risposto di sentirsi un italiano emigrato (7,3%).” Marcello Saija L’identita’ Dei Siciliani D’america. Una Ricerca Su Tre Generazioni in NEOS, Rivista di Storia dell’Emigrazione Siciliana, vol. 1, n.1 (Dicembre 2006): 18. “Reinventare se stessi, dunque. È la visione eroica, è l’epica dell’emigrante, è il suo grande sogno: ripercorrere all’inverso la distanza oceanica, tornare là da dove è partito – abbandonato-abbandonante – e mostrare il proprio essere, il proprio valere, il proprio potere. Tornare ed assaporare, insieme, il piacere della rivalsa e la gioia della generosità. Tornare e ricoprire di doni quella madre-Terra che gli aveva sì donato la vita, ma poi lo aveva lasciato andare; giacché quella madre-Terra che lo aveva lasciato andare, gli aveva tuttavia donato la vita.” Domenica Mazzù, “Al di là del Mare Nostrum. Riflessione sull’identità italo-americana”, cit., p. 51. Terra- madre, Terra-nutrice [N]ei miti, sia di origine greca che di origine ebraica, come nelle favole, è frequente l’abbandono e l’esposizione dei bambini. La nutrice emerge in presenza del bambino abbandonato, che non muore ma viene accolto dentro un universo adottivo nel quale costruirà il suo destino. Solitamente il bambino abbandonato diventa un eroe, ritorna da signore nel suo luogo di nascita e vi porta prosperità e ricchezza, salvando coloro che lo avevano abbandonato. Gli esempi sono talmente numerosi – si pensi a Mosé, a Giuseppe e i suoi fratelli, allo stesso Edipo, alle favole come quella di Pollicino – da autorizzare a pensare il “bambino abbandonato” come un vero e proprio archetipo, al quale strettamente si collegano le figure della madre e della nutrice.” D.Mazzù, “Al di là del Mare Nostrum. Riflessione sull’identità americana”, cit., p.48. “E pensavo pure alla seconda patria, la patria delle ‘opportunità’ che s’era aperta a loro ma con fredda e sdegnosa superiorità; sovente senza comprensione dei loro usi e costumi; irridendo delle loro sacrosante tradizioni e combattendo apparenti superstizioni che erano forza per vivere e segnacolo di unione e riparo familiare presso il quale si sentivano protetti e compensati dagli urti e dalle umiliazioni della nuova vita.” Giuseppe Prezzolini America in pantofole, 1950, Firenze, Vallecchi, 2002, p.205. “Nostos è desiderio del ritorno verso la dimora originaria, dalla quale proviene un richiamo indefinito ma irresistibile, come un incantesimo.” Domenica Mazzù, “Al di là del Mare Nostrum. Riflessione sull’identità americana,” cit., p.49. Il ruolo della memoria “Non ci sarebbe ‘Io’ se la memoria non costruisse quella sfera di appartenenza per cui riconosco come ‘miei’ vissuti, azioni, pensieri e sentimenti; non ci sarebbe ‘Mondo’ se la memoria non cucisse la successione delle visioni che altrimenti si offrirebbero come spettacoli sempre nuovi, apparizioni tra loro irrelate.” Umberto Galimberti, Psiche e teche, Milano: Feltrinelli, 2002. Memoria e xenofobia “Non c’è stato un solo intervistato che non ricordasse, più o meno dettagliatamente, le vicende che avevano caratterizzato la vita dei nonni. Potevano non ricordare, talvolta, il grado d’istruzione (60,2%) o se avessero mantenuto la cittadinanza italiana (54,5%), ma sapevano benissimo da quale parte della Sicilia venivano (97,6%), se qualcuno li aveva sollecitati ed aiutati ad emigrare (59,3%) e come si erano procurati il denaro per il viaggio (88,6%).” “Nelle risposte ottenute, abbiamo trovato ampia conferma del dato xenofobico: il 18,7% asserisce che il proprio padre si sentiva discriminato e il 4,9% che si sentiva trattato con freddezza e che per questa ragione, moltissimi (73,2%) avevano tentato di nascondere le origini e parecchi avevano fatto pratiche formali di occultamento dell’identità. Nel 75% dei casi avevano, poi, definitivamente abbandonato l’italiano e preteso che i figli non lo parlassero, imparando immediatamente l’americano e soltanto nel 17,1% dei casi avevano imparato l’inglese dopo molto tempo e nell’1,6% dei casi non l’avevano mai imparato.” Marcello Saija, “L’identita’ dei Siciliani d’america. Una Ricerca Su Tre Generazioni”, cit., p.15. Memoria identitaria residuale: si coglie dell’aggettivo “residuale” non tanto l’accezione “debole” che sta ad indicare qualcosa di marginale e inessenziale, ma il senso “forte” che rimanda a “ciò che nonostante tutto resta,” ovvero a ciò che irriducibilmente residua sotto forma di tratti tipici nell’auto-rappresentazione dell’italoamericano.” Domenica Mazzù, “Al di là del Mare Nostrum. Riflessione sull’identità italoamericana”, cit., p.48. “Il luogo comune raccolto ed amplificato anche dalla storiografia recente era quello di una comunità italiana soggetta a pratiche discriminatorie che reagisce nascondendo la propria identità d’origine.” Marcello Saija, “L’identita’ Dei Siciliani D’america. Una Ricerca Su Tre Generazioni”, cit., p.15.