L’enunciazione • Émile Benveniste Émile Benveniste (Aleppo 1902 - Versailles 1976) • Fu allievo di Antoine Meillet all’ École des Hautes Études, dove divenne successivamente lui stesso docente (“Directeur d’études”), dal 1927, di Grammatica comparata dell’Indo-europeo e di Iranico. • Nel 1937, alla morte di Meillet, gli successe come Professore al Collège de France, detenendo la carica fino al 1969. • Dal 1959 al 1970 fu segretario della Societé de linguistique de Paris • Dal 1960 fece parte come membro dell’Académie des inscriptions et belles-lettres; dal 1965 fu membro anche dell’Accademia dei Lincei. • Nel 1961 fondò la rivista L’Homme in collaborazione con il geografo P. Gourou e con l’antropologo C. Lévi-Stauss. • Presidente dell’I.A.S.S. (International Association for Semiotic Studies). • Il 6 dicembre 1969 subì un attacco che lo menomò, rendendolo afasico. Morì sette anni dopo, il 3 ottobre 1976. • 1935 Origines de la formation des noms en Indoeuropéen • 1948 Noms d’agent et noms d’action en Indoeuropéen • 1969 Vocabulaire des institutions idoeuropéen (I e II) • 1966 e 1971 Problèmes de linguistique générale (I e II) La mappa dell’enunciazione • • • • • La realizzazione vocale della lingua La semantizzazione della lingua L’atto che realizza l’enunciazione Le situazioni nelle quali si produce Gli strumenti con cui si compie 1. La realizzazione vocale della lingua I suoni emessi e percepiti sono l’esito di atti individuali, che vengono colti dal linguista in seno alla parole, come produzione diretta. Essi sono ogni volta unici e diversi in relazione alla diversità delle situazioni in cui si produce l’enunciazione. Uno stesso soggetto non riproduce mai gli stessi suoni e a maggior ragione soggetti diversi riproducono lo stesso fonema in modo differente. L’identità ricostruita dal linguista è una nozione approssimativa e media, che trascura le particolarità individuali. 2. La semantizzazione della lingua “L’enunciazione presuppone la conversione della lingua in discorso” o, detto in altre parole, il fatto che dei “segni” appartenenti al repertorio della lingua divengano delle “parole” attraverso le quali il senso prende forma grazie ad un atto individuale. E’ il problema della “significanza”, ovvero della proprietà dei sistemi semiotici di significare, che viene realizzata in maniera diversa a seconda dei differenti sistemi semiotici. Qui si tocca la teoria del segno e la relazione tra la dimensione che Benveniste definisce “livello semiotico” e la dimensione definita “livello semantico”. (Problema legato a quello della cosiddetta “indeterminatezza semantica”) 3. L’atto che realizza l’enunciazione “L’atto individuale col quale la la lingua viene utilizzata introduce anzitutto il locutore come parametro nelle condizioni necessarie per l’enunciazione. Prima dell’enunciazione la lingua non è che la possibilità di lingua. A seguito dell’enunciazione, la lingua è resa effettiva in una istanza di discorso che emana da un locutore, forma sonora che raggiunge un uditore e che suscita un’altra enunciazione in risposta” “L’atto individuale d’appropriazione della lingua introduce colui che parla nella propria parole” (1970/1985: 99) 4. 1. Le situazioni: quadro figurativo Il locutore si pone al centro di una situazione di discorso che varia in continuazione con la variazione della parola del locutore. Alla situazione di discorso è riportato innanzitutto quello che Benveniste definisce come “il quadro figurativo” dell’enunciazione” (1970/1985: 102), ovvero la situazione di intersoggettività, cioè il fatto che l’enunciazione pone innanzitutto due figure, l’una alla fonte, l’altra alla meta dell’enunciazione: “Ma immediatamente, non appena egli [il locutore] si dichiara locutore e assume la lingua, piazza l’altro davanti a sé, quale che sia il grado di presenza che attribuisce a questo altro. Ogni enunciazione, esplicita o implicita, è un’allocuzione che postula un allocutore-destinatario” (Benveniste, 1970/1985: 99). Il tema dell’intersoggettività e del carattere sociale dell’enunciazione è un aspetto che emerge particolarmente nella fase più matura del suo pensiero. 4.2. Le situazioni: referenzializzazione Fenomeno che si realizza nella situazione di discorso, che permette e persino obbliga a legare locutore ed allocutore al mondo: “Nell’enunciazione la lingua si trova impiegata nell’espressione di un certo rapporto col mondo. La condizione stessa di questa mobilitazione e di questa appropriazione della lingua è, presso il locutore, il bisogno di riferire attraverso il discorso e, presso l’altro, la possibilità di co-riferire allo stesso modo, nel consenso pragmatico che fa di ciascun locutore un co-locutore. Il riferimento è parte integrante dell’enunciazione” (1970/1985: 99) 5. Gli strumenti • • • • • Gli indici di persona Gli indici dell’ostensione Le forme della temporalità Le forme dell’illocutività Le modalità Apparato formale dell’enunciazione Apparato formale Langue Pronomi Deittici Tempi Performativi Modi 5.1. Gli indici di persona Gli indici di persona, (io, tu) hanno la funzione di mettere in rapporto costante e necessario il locutore con la propria enunciazione. La loro caratteristica è quella di essere delle forme linguistiche che rimandano sempre a degli individui variabilmente facenti parte della situazione di enunciazione e non a dei concetti fissi. Per stabilire quale è il loro riferimento bisogna osservare quale è il soggetto che li enuncia. 5.1.1.Pronomi / nomi • I nomi si riferiscono a nozioni costanti e oggettive che non mutano nel passaggio dallo stato virtuale della lingua a quello attuale del discorso. • Hanno una referenza fissa, indipendente dal soggetto che li pronuncia. • I pronomi come io e tu assumono una referenza variabile a seconda del soggetto che li pronuncia; • non rimandano ad una classe di oggetti (come i nomi), né ad un individuo fisso; • innescano un riferimento non estero, ma interno al linguaggio, in quanto “queste forme ‘pronominali’ […] rimandano all’enunciazione, ogni volta unica, che le contiene, e riflettono così il loro proprio uso” (1956/1971, p. 304). 5.1.2. Le relazioni di persona nel verbo • I grammatici arabi distinguevano le tre persone in modo diverso dalla grammatica occidentale • 1° persona (al-mutakallimu) “Colui che parla” • 2° persona (al-muhatabu) “Colui al quale ci si rivolge” • 3° persona (al-ga’ibu) “Colui che è assente” Le prime due persone: - sono gli attori del processo e della situazione comunicativi - sono invertibili nei turni di parola - svolgono un ruolo comunicativo fondamentale rendendo padroneggiabile la lingua, poiché il parlante le prende a prestito, senza che esse lo designino in modo rigido. La terza persona La terza persona è in effetti una “non-persona”: - designa colui che non parla - si può riferire a qualunque entità al di fuori della relazione comunicativa - non varia la referenza - morfologicamente ha un comportamento diverso dalle prime due Personalità + - Soggettività + io - tu egli La soggettività del linguaggio • Che cosa rende il linguaggio uno strumento di comunicazione, e per di più uno strumento efficace? • Il fatto che possiede le forme attraverso cui l’uomo può costituirsi come soggetto. • Solo nel linguaggio e attraverso il linguaggio si può trovare l’espressione della soggettività. • Solo nel linguaggio verbale si trova l’enunciazione, perché solo nel codice verbale c’è un piccolo gruppo di espressioni a referenza variabile, come il segno io che è il segno dell’appropriazione del linguaggio da parte dell’individuo che si designa come ego in una determinata situazione di discorso. Espressioni analoghe non si trovano in altri sistemi semiotici 5.2. Gli indici dell’ostensione Sono quei termini che implicano un gesto che designa l’oggetto, compiuto nello stesso momento in cui viene pronunciato il termine linguistico, come i dimostrativi. •Hanno la caratteristica di essere organizzati secondo la correlazione di personalità (questo:codesto ~ io:tu) •Si riferiscono agli oggetti in maniera coestensiva rispetto allo spazio e al tempo dell’enunciazione (qui e ora) •Ordinano lo spazio a partire da un punto centrale che è ego 5.3. Le forme della temporalità L'idea centrale di Benveniste è che il sistema temporale assume il presente come espressione del tempo coestensivo alla situazione di enunciazione: in questo senso il presente linguistico non ha alcuna realtà oggettiva esterna, ma è suireferenziale. Benveniste si spinge a suggerire che esso è l'unico tempo inerente al linguaggio, segnalato appunto dalla coincidenza dell'avvenimento e del discorso e che è per sua natura implicito: sono gli altri tempi, diversi dal presente, che hanno bisogno di essere esplicitati, come punti di vista proiettati indietro o in avanti a partire da esso. Questo lo porta alla individuazione della nota dicotomia tra due sistemi temporali distinti e complementari, manifestazione di due modi diversi di organizzare l'esperienza temporale: (i) quello della storia, e (ii) quello del discorso (1959). Tre nozioni di “tempo” • (1) Il tempo fisico è un continuo uniforme e infinito; si correla ad una durata infinitamente variabile soggettivamente. E’ lineare e irreversibile. • (2) Il tempo cronico, che è il tempo degli orologi e degli avvenimenti. Oggettivato e socializzato. Può essere percorso nei due sensi. - condizione stativa: il calendario parte da un momento assiale, come la nascita di Cristo, l’Egira,la nascita di Roma, ecc. - condizione direttiva: gli avvenimenti sono visti come precedenti o come posteriori rispetto a quel momento - condizione mensurativa: gli avvenimenti sono collocati in una divisione che permette di misurare la loro distanza rispetto al momento zero (anni, mesi, giorni) • (3) Il tempo linguistico costituisce una forma dell’organizzazione dell’esperienza e un punto di vista proiettato sul tempo non linguistico. • Ha il suo centro nel presente dell’istanza di parole. • Quando il parlante usa la forma grammaticale del presente situa l’avvenimento come contemporaneo dell’istanza di discorso. • La temporalità è prodotta all’interno e per mezzo dell’enunciazione. Discorso • Uso del presente • Uso di tutta la gamma dei deittici • Impiego delle forme pronominali di prima e seconda persona • La terza persona è possibile, ma si configura come non persona. • Il passato prossimo stabilisce un legame vivente tra l’evento passato e il presente in cui si colloca la sua evocazione. Storia • Impiego del passato remoto (aoristo, cioè “tempo indefinito”). Uso del “prospettivo”, ovvero “futuro del passato” • Assenza di deittici • Esclusione dello forme pronominali • Uso esclusivo della terza persona. La terza persona, non opponendosi alle prime due, è una “assenza di persona” 5.4. Le forme dell’illocutività Le forme dell'illocutività (alle quali Benveniste si riferisce usando l’espressione "grandi funzioni sintattiche", 1970/1985: 101), attraverso le quali l’enunciatore si serve della lingua per influenzare il comportamento dell’allocutore - destinatario (l’interrogazione, l’intimazione, l’asserzione). Benveniste distingue: • una forma linguistica come l’imperativo, che mira ad agire sull’ascoltatore, a intimargli un comportamento, o anche un gesto, o un cartello di avvertimento (1963/1971:328), da • i verbi performativi (1958a/1971: 319; 1963/1971: I verbi performativi • La loro forza illocutiva specifica si realizza solo se un determinato soggetto li pronuncia alla prima persona del presente indicativo: fuori della prima persona hanno una funzione soltanto descrittiva e non performativa. • Devono denominare l’atto eseguito. • Sono sui-referenziali. • Sono unici. • Sono sottoposti a condizioni di validità (1963:327) “Gli enunciati performativi sono enunciati in cui un verbo dichiarativoingiuntivo alla prima persona del presente è costruito con un dictum. Così: ordino (o comando, decreto, ecc.) che la popolazione sia mobilitata. E’’ effettivamente un dictum, poiché ne è indispensabile l’enunciazione espressa perché il testo abbia valore performativo” (1963/1971:327) 5.5.Le modalità Gli atteggiamenti dell’enunciatore nei confronti del proprio enunciato vengono marcati attraverso le modalità formali, suddivisibili in tre classi: •Modi verbali (indicativo, ottativo, ecc.) atti ad esprimere attesa, augurio, apprensione, ecc. •Verbi che esprimono un atteggiamento (proposizionale) del parlante verso l’enunciato, come supposer, présumer, croire, ecc. •Espressioni fraseologiche, come “forse”, “senza dubbio”, “probabilmente”, che indicano incertezza, sicurezza, ecc. Parola/Frase • Parola. Ha funzione costitutiva (può essere decomposta in unità di livello inferiore, i fonemi) e integrativa (è capace di integrarsi in un’unità di livello superiore, la frase) • Frase. Ha funzione costitutiva (può essere decomposta in unità di livello inferiore, le parole) e funzione predicativa (conferisce alla frase la proprietà di avere un senso e una referenza) Semiotico/Semantico • Semiotico è il modo di significare proprio del segno linguistico. Il senso è garantito dalla lingua ed è indipendente dalla situazione extra-linguistica. • Semantico è il modo di significare del discorso, nell’ambito dell’enunciazione. - si realizza nella frase - esplica la funzione di comunicare, come mediazione tra uomo e uomo e tra uomo e società - attua la funzione referenziale - porta il carico dell’ “intento” (intenté) (senso globale inteso dal locutore (1966:255-6) Enunciazione e polifonia • Oswald Ducrot Astratto/Concreto Quando, per esempio, si effettua un annuncio come: “Sto per partire” (a) Da una parte c’è il materiale linguistico, che rimane identico in tutte le molteplici manifestazioni; questo è quanto Ducrot propone di chiamare frase, in senso tecnico. Alla stessa frase può fare seguito uno o più altri segmenti linguistici, caso nel quale Ducrot propone di usare il termine tecnico testo. (b) Dall’altra parte ci sono le diverse realizzazioni, che sono ogni volta uniche, in quanto caratterizzate da specifiche coordinate spaziali e temporali, per le quali Ducrot propone di usare, rispettivamente, i termini enunciato come caso di realizzazione di una frase, e discorso come caso di realizzazione di un testo. Realizzazione (1) (a) In una prima accezione (senso 1) essa fa riferimento alla cosa realizzata, l’oggetto che è stato prodotto a seguito di una certa operazione (senso manifestato in una frase come “Le realizzazioni dell’attuale governo sono superiori a quelle del precedente”). In termini linguistici si tratta della successione sonora o grafica in un certo punto del tempo e dello spazio, ad esempio la frase “Sto per partire” pronunciata il 20 dicembre 2006 alle 18,12, che diviene dunque un enunciato. Realizzazione (2) (b) In una seconda accezione (senso 2) la nozione di realizzazione fa riferimento non al risultato di una certa azione, ma all’azione stessa o all’evento grazie al quale qualche cosa che prima non c’era compare e viene a prendere il suo posto nella catena dei fenomeni. In termini di linguaggio, questo evento (ovvero questo atto se è, come è solitamente, a carico di un soggetto) è quanto può essere definito propriamente enunciazione. La dimensione di evento o di atto è del resto quella che si può rintracciare in una frase come “Mi sono stupito che Piero mi abbia scritto questa lettera”, in cui ciò che crea stupore non è la lettera, ma il fatto che Piero l’abbia scritta. Realizzazione (3) (c) Infine c’è una terza accezione della nozione di realizzazione, (senso 3), quella che ad esempio si può trovare manifestata in una espressione come “La realizzazione di questo progetto è durata molti anni”. Ciò che è messo in primo piano in questo terzo caso è il processo, che ha portato a dei risultati, il lavoro che è stato necessario. In una accezione linguistica, tale lavoro viene definito tecnicamente attività linguistica ed è rappresentato dal processo psicofisiologico che ha condotto colui che parla a dire quello che ha detto. Tale attività comprende sia gli atti locutivi, che quelli perlocutivi Entità astratta (type) Realizzazione (token) Senso 1: cosa realizzata Senso 2: evento o atto Senso 3: processo di produzione Livello elementare Livello complesso Frase Testo Enunciato Discorso Enunciazione Attività linguistica Immagine dell’enunciazione nell’enunciato Quando qualcuno fa un’affermazione, per esempio “Domani farà bel tempo”, dà almeno due tipi di indicazioni, affatto diversi: Uno concerne il tema del suo discorso (il bel tempo); L’altro concerne il fatto stesso della sua enunciazione, data come l’asserzione del bel tempo. Queste due indicazioni hanno uno statuto affatto differente. La seconda non può essere giudicata in termini di verità. Non si può infatti rispondere: “E’ vero (è falso); tu hai asserito che farà bel tempo”. In altre parole, i commenti dell’enunciato sulla sua enunciazione (questa descrizione che per Ducrot, costituisce il senso dell’enunciato) non sono oggetto di una asserzione, ma sono mostrati. La prima indicazione, quella che concerne il bel tempo, è, invece, oggetto di una asserzione e può essere giudicata in temini di verità o falsità (Ducrot, 1984: 151; anche 188). Un enunciato comporta sempre un “mostrare” • Un enunciato come La terra è sferica ha per senso di presentare la sua enunciazione come affermazione della rotondità della terra. Ma questo carattere assertivo l’enunciato non lo asserisce, lo mostra (Ducrot, 1981:34). • Un enunciato veicola un’immagine della propria enunciazione, immagine che Ducrot considera il suo senso. Esempi in cui una parte dell’enunciato commenta l’enunciazione che è mostrata • A1. Avverbi di enunciazione: “Sinceramente , Piero è una persona che non stimo”. L’avverbio qualifica una modalità dell’enunciato; equivale a: “La mia enunciazione è sincera” • A2.Caso in cui una parte del discorso un enunciato commenta l’enunciazione fatta da un altro enunciato, come avviene in: (1) “Rispetterò in ogni caso la decisione del suffragio universale” (2) “Non vi faccio nessuna minaccia e nessun ricatto” Esempi in cui una parte del discorso commenta la propria enunciazione • “Gesti verbali”, rappresentati linguisticamente dalle interiezioni. Espressioni come “Ahimé”, “Ahi” mostrano che la loro enunciazione si presenta come involontaria, inevitabile, imposta al locutore dalla situazione in cui si trova. • Formulazione degli atti linguistici che non sono espressi nella forma performativa. L’enunciazione di un imperativo come “Esci” ha come valore quello di mostrare, senza affermarlo, che essa è fonte di un nuovo obbligo per il destinatario. • Un ulteriore esempio è costituito da un enunciato come “Piero! Parlo a te”, in cui il vocativo presenta Piero come allocutario, mentre la proposizione “Parlo a te” asserisce esplicitamente quello che l’enunciazione presenta o mostra. Prima classificazione delle Figure dell’enunciazione Analyse de textes et linguistique de l’énonciation (1980) L’Autore • L’Autore è il ruolo dell’attività linguistica; è la persona che “effettivamente” produce l’enunciato e che è spesso, soprattutto nella conversazione orale, identificato con il soggetto (empirico) che parla. • E’ il produttore empirico, secondo Banfield, cioè l’essere che non deve essere preso in conto per una descrizione linguistica, preoccupata solo delle indicazioni semantiche contenute nell’enunciato (1984:172) Il locutore • Il locutore è il soggetto dell’enunciazione. • E’ colui che ha la responsabilità della parola • E’ l’essere designato dal pronome e dalle differenti marche di prima persona. • L’allocutario è il soggetto a cui è indirizzata l’enunciazioine; è designato dai pronomi e dalle marche di seconda persona e deve essere distinto dall’ascoltatore. L’enunciatore • L’enunciatore (gli enunciatori) è/sono i personaggi che sono dati dall’enunciato come gli autori dei diversi atti, per esempio illocutivi, che compie l’enunciazione come è mostrata dall’enunciato. • Gli enunciatori non si confondono con il locutore e talvolta uno o l’altro degli enunciatori può essere assimilato, per esempio, all’allocutario. • Ciò è connesso con quanto viene chiamato, secondo l’espressione di Bachtin, “polifonia” (1984:152) Perché distinguere locutore da enunciatore? • Perché in uno stesso enunciato sono possibili due atti linguistici contemporanei • Es. Se il Primo ministro pronuncia un enunciato come: “L’ordine sarà mantenuto, costi quello che costi”, egli compie allo stesso tempo due atti illocutivi. 1. Una promessa rivolta ai cittadini desiderosi di ordine. 2. Una minaccia rivolta ai cittadini ritenuti responsabili del disordine. Polifonia • Una pluralità di voci può essere rintracciata non solo in un testo complesso, ma anche all’interno di un singolo enunciato. • Si ha interpretazione polifonica quando l’asserzione che caratterizza l’enunciazione è attribuita ad un personaggio diverso dal Locutore. • Il presupposto della pragmatica linguistica è quello di chiedersi come sia possibile “servirsi delle parole per esercitare una influenza” e “perché certe parole, in certe circostanze, siano dotate di efficacia”. Esempi di polifonia • “Sortons (E1), puisque / car il fait beau (E2). Nel caso dell’uso di puisque, l’enunciatore responsabile di (E2) è presentato come diverso dal locutore, come un’altra voce, Nel caso dell’uso di car, viene mostrata una identità di voce tra locutore ed enunciatore. • Se, in una conversazione, un soggetto L1 rimprovera a un allocutario A di aver commesso un errore e di essersi comportato in maniera sciocca, l’allocutario può replicare, divenendo L2, riprendendo le parole di L1 e dicendo: “Ah! Io sarei/sono un imbecille? Aspetta un po’ che ti faccio vedere io”. L2 è l’effettivo produttore delle parole e è ugualmente colui che è designato da io; ma la responsabilità dell’atto di affermazione non è certamente di L. (1984:191) Seconda classificazione delle Figure dell’enunciazione Esquisse d’une théorie poliphonique de l’énonciation (1984) • Viene confermato che il senso di un enunciato corrisponde ad una descizione dell’enunciazione In cosa consiste la descrizione dell’enunciazione contenuta nel senso di un enunciato? • Indicazioni illocutive • Indicazioni argomentative • Indicazioni sul (o sugli) autore/i eventuale/i dell’enunciazione. Il soggetto parlante • E’ rappresentato dall’autore materiale o empirico del discorso Il Locutore Deve essere distinto in: • L (locutore in quanto tale) • l (locutore in quanto essere del mondo). (A) L. Il locutore in quanto tale • L (locutore in quanto tale): non è il personaggio che, tra le altre proprietà, ha quella di essere il locutore di E, ma il locutore di E visto nella sua attività stessa di produzione di E (Ducrot, 1984:127-8). • Appartiene al commento dell’enunciazione che viene fatto dal senso dell’enunciato. • Non necessariamente è rappresentato dal pronome io. Ad esempio è il locutore a cui è attribuito il sentimento di tristezza nel caso dell’enunciazione di una interiezione come “Ahimé” (: non gli si può obiettare che non sembra veramente triste, senza accusarlo di ipocrisia). (B) l (locutore in quanto essere del mondo). • E’ una persona completa, che possiede tra le altre proprietà quella di essere l’origine dell’enunciato. • E’ la figura del mondo descritta dalle asserzioni fatte attraverso l’enunciato. E’ oggetto dell’enunciazione, ma non situato al suo interno. • E’ un “essere di discorso”. E’ l’essere designato dal pronome io. Ad esempio è il soggetto di un enunciato come “Sono molto triste” (gli si può obiettare che non appare veramente tale, senza accusarlo di ipocrisia) L’Enunciatore • Non può essere l’istanza che compie l’atto illocutivo (come nel primo modello) perché questo compito è riservato alla figura del soggetto parlante, che presenta la sua enunciazione come fonte dell’obbligo. L’Enunciatore non è legato ad alcuna parola. • Gli enunciatori sono “quegli esseri che sono considerati esprimersi attraverso l’enunciazione, senza che ad essi vengano attribuite delle parole precise; se essi ‘parlano’ è solamente nel senso che l’enunciazione è vista come esprimente il loro punto di vista, la loro posizione, il loro atteggiamento, ma non, nel senso concreto del termine, le loro parole” (1984: 204) Ironia • L’ironia è il caso in cui un Locutore fa dire a qualcun altro (l’Enunciatore) delle cose che sono manifestamente assurde, ovvero fa intendere una voce, diversa dalla sua, che sostiene cose che non possono essere sostenute. • “In un ristorante di lusso, un cliente è seduto a tavola con la sola compagnia del suo cane, un barboncino. Il padrone viene a fare conversazione con lui e vanta la qualità del ristorante: ‘Sa, il nostro chef è l’antico cuoco del re Farouk’. Il cliente risponde dicendo soltanto ‘Ah si?’. Per niente scoraggiato, il padrone continua: ‘E il nostro sommelier è l’antico sommelier della corte d’Inghilterra… Quanto al nostro pasticcere, abbiamo avuto la fortuna di trovare quello dell’imperatore Bao-Daï’. Di fronte al mutismo del cliente, il padrone cambia discorso e dice: ‘Lei, signore, ha un bel barboncino’. Al che, il cliente risponde: ‘Si, il mio barboncino è un antico San Bernardo’” Tabella sinottica BALLY GENETTE GREIMAS DUCROT MEUNIER Soggetto parlante Istanza di scrittura Enuniatore Soggetto parlante Soggetto parlante Soggetto comunica nte Narratore Narratore Locutore Locutore principale/ Locutore secondario Soggetto comunica nte Centro di prospettiva o di focalizzazione Attante Enunciato Supporto osservato- re modale re Argomentazione e persuasione • Vanno distinti tre concetti: 1. Argomentare e argomentazione 2. Persuadere e convincere 3. Argomentatività Argomentare • L’argomentazione è un atto illocutivo che si prefigge lo scopo di far ammettere all’uditore che una certa opinione è accettabile (Van Eemeren e Grootendorst) o meglio, “giustificabile”, “legittima”, “ragionevole” (Ducrot, 1990) • L’argomentazione è riuscita se l’uditore comprende l’intenzione del locutore di rendere una certa opinione accettabile. Persuadere • La persuasione è un atto perlocutivo che contiene in più, rispetto all’argomentazione, l’intenzione effettiva di fare in modo che l’uditore ammetta l’opinione in questione. • L’atto è riuscito se l’uditore ha effettivamente ammesso l’opinione. • Per Ducrot, la persuasione è lo sforzo compiuto, servendosi della parola, per far ammettere una opinione (far credere) o per far compiere un’azione (far fare) ad un uditore, che può anche non essere l’allocutore (parlare a X per agire su Y) Argomentatività • Il senso di un enunciato consiste nella presentazione (o messa in scena) di differenti punti di vista, attribuibili a degli enunciatori, che non sono necessariamente identificabili nel locutore (concezione polifonica). • Un punto di vista (enunciazione, cioè funzione di un enunciatore) è argomentativo quando caratterizza la situazione che è in questione nell’enunciato come tale da permettere una certa conclusione in virtù di un luogo comune (“topos”). Esempio: A. Ti propongo di andare all’Università a piedi B. E’ lontano. La replica di B veicola un certo punto di vista (contenuto argomentativo) relativo alla distanza che permette la conclusione “E’ meglio di no” Che questa conclusione si imponga dipende dal fatto che l’uso dell’espressione lontano richiama un topos secondo il quale “più un luogo è lontano, più richiede fatica”, e la fatica è vista come qualcosa da evitare Un punto di vista argomentativo consiste nel presentare o cogliere una situazione per mezzo di un luogo comune (topos legato al significato linguistico della parola) capace di giustificare una conclusione Argomentatività e argomentazione • L’espressione linguistica “lontano” ha come senso quello di rappresentare la situazione secondo un punto di vista argomentativo • Tale espressione convoca un “topos”, che giustifica o legittima una certa conclusione • La legittimità della conclusione costituisce la rappresentazione stessa che viene data del referente • L’argomentatività può essere sfruttata o no per un atto di argomentazione Non sfruttamento dell’argomentatività • Nell’esempio proposto B argomenta effettivamente contro la proposta di andare a piedi. Detto altrimenti, si identifica come locutore all’enunciatore che mette in scena. • Tuttavia avrebbe potuto rispondere: “E’ lontano, ma ci farà bene camminare”. In questo caso lontano mantiene il suo valore argomentativo, orientato verso un rifiuto della passeggiata, ma ciò che succede è che il locutore non si identifica più con l’enunciatore il cui punto di vista è espresso da questa parola. • In questo secondo caso gli è permesso di argomentare in senso inverso, fondandosi sul punto di vista che esprime il secondo membro della frase. L’argomentazione nella lingua • Il carattere argomentativo dei punti di vista veicolati da un enunciato, in un contesto dato di enunciazione, è largamente determinato dalla struttura linguistica della frase che l’enunciato realizza. • Vi è una determinazione linguistica dell’argomentatività. L’atto di persuadere • A differenza dell’argomentazione, che si fonda sul carattere linguisticamente determinato dell’argomentatività, l’atto di persuadere può avvenire attraverso qualunque frase • La persuasione dipende dallo sforzo fatto per persuadere da parte di un locutore capace Avverbi quantitativi: un po’ e poco • • • 1. 2. Supponiamo che A, volendo chiedere a B di scusarlo di essere in ritardo, dica: “Mi scusi, sono un po’ in ritardo”. Ciò corrisponde ad un atto linguistico di discolpa, che ha due obiettivi: (1) indicare la mancanza del colpevole, indicando il fatto di essere in ritardo; (2) dire per quale ragione merita il perdono. Due scale argomentative opposte: Un po’, molto, enormemente, ecc. uniti ad una parola P vanno nella stessa direzione argomentativa di P, manifestando un orientamento positivo. piuttosto poco, poco, appena, per niente hanno un orientamento negativo: vanno nel senso opposto a quello del termine P a cui sono associati. “Sono un po’ in ritardo” • Dal punto di vista argomentativo, ha lo stesso orientamento di “Sono in ritardo” ed equivale ad una confessione di colpevolezza. • Tuttavia la forza argomentativa è minore. • Il fatto di argomentare con una forza più debole nei confronti della colpevolezza può servire a persuadere che un perdono sarebbe ragionevole. • A livello argomentativo, A ha indicato soltanto la propria colpa; a livello persuasivo ha tentato di discolparsi grazie alla debolezza (un po’) dell’autocritica presentata sul piano dell’argomentazione.