L’enunciazione
• Émile Benveniste
Émile Benveniste
(Aleppo 1902 - Versailles 1976)
• Fu allievo di Antoine Meillet all’ École des Hautes Études, dove divenne
successivamente lui stesso docente (“Directeur d’études”), dal 1927, di
Grammatica comparata dell’Indo-europeo e di Iranico.
• Nel 1937, alla morte di Meillet, gli successe come Professore al Collège
de France, detenendo la carica fino al 1969.
• Dal 1959 al 1970 fu segretario della Societé de linguistique de Paris
• Dal 1960 fece parte come membro dell’Académie des inscriptions et
belles-lettres; dal 1965 fu membro anche dell’Accademia dei Lincei.
• Nel 1961 fondò la rivista L’Homme in collaborazione con il geografo P.
Gourou e con l’antropologo C. Lévi-Stauss.
• Presidente dell’I.A.S.S. (International Association for Semiotic Studies).
• Il 6 dicembre 1969 subì un attacco che lo menomò, rendendolo afasico.
Morì sette anni dopo, il 3 ottobre 1976.
• 1935 Origines de la formation des noms en Indoeuropéen
• 1948 Noms d’agent et noms d’action en Indoeuropéen
• 1969 Vocabulaire des institutions idoeuropéen (I e II)
• 1966 e 1971 Problèmes de linguistique générale (I e II)
La mappa dell’enunciazione
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La realizzazione vocale della lingua
La semantizzazione della lingua
L’atto che realizza l’enunciazione
Le situazioni nelle quali si produce
Gli strumenti con cui si compie
1. La realizzazione vocale della
lingua
I suoni emessi e percepiti sono l’esito di atti
individuali, che vengono colti dal linguista in
seno alla parole, come produzione diretta.
Essi sono ogni volta unici e diversi in
relazione alla diversità delle situazioni in cui si
produce l’enunciazione. Uno stesso soggetto
non riproduce mai gli stessi suoni e a maggior
ragione soggetti diversi riproducono lo stesso
fonema in modo differente. L’identità
ricostruita dal linguista è una nozione
approssimativa e media, che trascura le
particolarità individuali.
2. La semantizzazione della
lingua
“L’enunciazione presuppone la conversione della lingua in
discorso” o, detto in altre parole, il fatto che dei “segni”
appartenenti al repertorio della lingua divengano delle “parole”
attraverso le quali il senso prende forma grazie ad un atto
individuale. E’ il problema della “significanza”, ovvero della
proprietà dei sistemi semiotici di significare, che viene realizzata
in maniera diversa a seconda dei differenti sistemi semiotici. Qui
si tocca la teoria del segno e la relazione tra la dimensione che
Benveniste definisce “livello semiotico” e la dimensione definita
“livello semantico”.
(Problema legato a quello della cosiddetta “indeterminatezza
semantica”)
3. L’atto che realizza
l’enunciazione
“L’atto individuale col quale la la lingua viene utilizzata
introduce anzitutto il locutore come parametro nelle
condizioni necessarie per l’enunciazione. Prima
dell’enunciazione la lingua non è che la possibilità di
lingua. A seguito dell’enunciazione, la lingua è resa
effettiva in una istanza di discorso che emana da un
locutore, forma sonora che raggiunge un uditore e che
suscita un’altra enunciazione in risposta”
“L’atto individuale d’appropriazione della lingua
introduce colui che parla nella propria parole”
(1970/1985: 99)
4. 1. Le situazioni: quadro
figurativo
Il locutore si pone al centro di una situazione di discorso che
varia in continuazione con la variazione della parola del
locutore. Alla situazione di discorso è riportato innanzitutto
quello che Benveniste definisce come “il quadro figurativo”
dell’enunciazione” (1970/1985: 102), ovvero la situazione di
intersoggettività, cioè il fatto che l’enunciazione pone
innanzitutto due figure, l’una alla fonte, l’altra alla meta
dell’enunciazione: “Ma immediatamente, non appena egli [il
locutore] si dichiara locutore e assume la lingua, piazza l’altro
davanti a sé, quale che sia il grado di presenza che attribuisce
a questo altro. Ogni enunciazione, esplicita o implicita, è
un’allocuzione che postula un allocutore-destinatario”
(Benveniste, 1970/1985: 99). Il tema dell’intersoggettività e del
carattere sociale dell’enunciazione è un aspetto che emerge
particolarmente nella fase più matura del suo pensiero.
4.2. Le situazioni:
referenzializzazione
Fenomeno che si realizza nella situazione di
discorso, che permette e persino obbliga a
legare locutore ed allocutore al mondo:
“Nell’enunciazione la lingua si trova impiegata
nell’espressione di un certo rapporto col mondo. La
condizione stessa di questa mobilitazione e di questa
appropriazione della lingua è, presso il locutore, il
bisogno di riferire attraverso il discorso e, presso
l’altro, la possibilità di co-riferire allo stesso modo, nel
consenso pragmatico che fa di ciascun locutore un
co-locutore. Il riferimento è parte integrante
dell’enunciazione” (1970/1985: 99)
5. Gli strumenti
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Gli indici di persona
Gli indici dell’ostensione
Le forme della temporalità
Le forme dell’illocutività
Le modalità
Apparato formale dell’enunciazione
Apparato formale
Langue
Pronomi
Deittici
Tempi
Performativi
Modi
5.1. Gli indici di persona
Gli indici di persona, (io, tu) hanno la funzione di mettere in
rapporto costante e necessario il locutore con la propria
enunciazione. La loro caratteristica è quella di essere delle
forme linguistiche che rimandano sempre a degli individui
variabilmente facenti parte della situazione di enunciazione e
non a dei concetti fissi. Per stabilire quale è il loro riferimento
bisogna osservare quale è il soggetto che li enuncia.
5.1.1.Pronomi / nomi
• I nomi si riferiscono a nozioni costanti e oggettive che non
mutano nel passaggio dallo stato virtuale della lingua a
quello attuale del discorso.
• Hanno una referenza fissa, indipendente dal soggetto che li
pronuncia.
• I pronomi come io e tu assumono una referenza variabile a
seconda del soggetto che li pronuncia;
• non rimandano ad una classe di oggetti (come i nomi), né
ad un individuo fisso;
• innescano un riferimento non estero, ma interno al
linguaggio, in quanto “queste forme ‘pronominali’ […]
rimandano all’enunciazione, ogni volta unica, che le
contiene, e riflettono così il loro proprio uso” (1956/1971, p.
304).
5.1.2. Le relazioni di persona nel verbo
• I grammatici arabi distinguevano le tre persone in
modo diverso dalla grammatica occidentale
• 1° persona (al-mutakallimu) “Colui che parla”
• 2° persona (al-muhatabu) “Colui al quale ci si
rivolge”
• 3° persona (al-ga’ibu) “Colui che è assente”
Le prime due persone:
- sono gli attori del processo e della situazione
comunicativi
- sono invertibili nei turni di parola
- svolgono un ruolo comunicativo fondamentale
rendendo padroneggiabile la lingua, poiché il
parlante le prende a prestito, senza che esse lo
designino in modo rigido.
La terza persona
La terza persona è in effetti una “non-persona”:
- designa colui che non parla
- si può riferire a qualunque entità al di fuori
della relazione comunicativa
- non varia la referenza
- morfologicamente ha un comportamento
diverso dalle prime due
Personalità
+
-
Soggettività
+
io
-
tu
egli
La soggettività del linguaggio
• Che cosa rende il linguaggio uno strumento di
comunicazione, e per di più uno strumento efficace?
• Il fatto che possiede le forme attraverso cui l’uomo può
costituirsi come soggetto.
• Solo nel linguaggio e attraverso il linguaggio si può trovare
l’espressione della soggettività.
• Solo nel linguaggio verbale si trova l’enunciazione, perché
solo nel codice verbale c’è un piccolo gruppo di espressioni
a referenza variabile, come il segno io che è il segno
dell’appropriazione del linguaggio da parte dell’individuo che
si designa come ego in una determinata situazione di
discorso. Espressioni analoghe non si trovano in altri sistemi
semiotici
5.2. Gli indici dell’ostensione
Sono quei termini che implicano un gesto che
designa l’oggetto, compiuto nello stesso
momento in cui viene pronunciato il termine
linguistico, come i dimostrativi.
•Hanno la caratteristica di essere organizzati
secondo la correlazione di personalità
(questo:codesto ~ io:tu)
•Si riferiscono agli oggetti in maniera
coestensiva rispetto allo spazio e al tempo
dell’enunciazione (qui e ora)
•Ordinano lo spazio a partire da un punto
centrale che è ego
5.3. Le forme della temporalità
L'idea centrale di Benveniste è che il sistema temporale
assume il presente come espressione del tempo coestensivo
alla situazione di enunciazione: in questo senso il presente
linguistico non ha alcuna realtà oggettiva esterna, ma è suireferenziale. Benveniste si spinge a suggerire che esso è
l'unico tempo inerente al linguaggio, segnalato appunto dalla
coincidenza dell'avvenimento e del discorso e che è per sua
natura implicito: sono gli altri tempi, diversi dal presente, che
hanno bisogno di essere esplicitati, come punti di vista
proiettati indietro o in avanti a partire da esso. Questo lo porta
alla individuazione della nota dicotomia tra due sistemi
temporali distinti e complementari, manifestazione di due
modi diversi di organizzare l'esperienza temporale: (i) quello
della storia, e (ii) quello del discorso (1959).
Tre nozioni di “tempo”
• (1) Il tempo fisico è un continuo uniforme e infinito; si correla
ad una durata infinitamente variabile soggettivamente. E’
lineare e irreversibile.
• (2) Il tempo cronico, che è il tempo degli orologi e degli
avvenimenti. Oggettivato e socializzato. Può essere percorso
nei due sensi.
- condizione stativa: il calendario parte da un momento assiale,
come la nascita di Cristo, l’Egira,la nascita di Roma, ecc.
- condizione direttiva: gli avvenimenti sono visti come
precedenti o come posteriori rispetto a quel momento
- condizione mensurativa: gli avvenimenti sono collocati in una
divisione che permette di misurare la loro distanza rispetto al
momento zero (anni, mesi, giorni)
• (3) Il tempo linguistico costituisce una forma
dell’organizzazione dell’esperienza e un
punto di vista proiettato sul tempo non
linguistico.
• Ha il suo centro nel presente dell’istanza di
parole.
• Quando il parlante usa la forma
grammaticale del presente situa
l’avvenimento come contemporaneo
dell’istanza di discorso.
• La temporalità è prodotta all’interno e per
mezzo dell’enunciazione.
Discorso
• Uso del presente
• Uso di tutta la gamma dei deittici
• Impiego delle forme pronominali di prima e
seconda persona
• La terza persona è possibile, ma si
configura come non persona.
• Il passato prossimo stabilisce un legame
vivente tra l’evento passato e il presente in
cui si colloca la sua evocazione.
Storia
• Impiego del passato remoto (aoristo,
cioè “tempo indefinito”). Uso del
“prospettivo”, ovvero “futuro del
passato”
• Assenza di deittici
• Esclusione dello forme pronominali
• Uso esclusivo della terza persona. La
terza persona, non opponendosi alle
prime due, è una “assenza di persona”
5.4. Le forme dell’illocutività
Le forme dell'illocutività (alle quali Benveniste si
riferisce usando l’espressione "grandi funzioni
sintattiche", 1970/1985: 101), attraverso le quali
l’enunciatore si serve della lingua per influenzare il
comportamento dell’allocutore - destinatario
(l’interrogazione, l’intimazione, l’asserzione).
Benveniste distingue:
• una forma linguistica come l’imperativo, che mira ad
agire sull’ascoltatore, a intimargli un comportamento,
o anche un gesto, o un cartello di avvertimento
(1963/1971:328), da
• i verbi performativi (1958a/1971: 319; 1963/1971:
I verbi performativi
• La loro forza illocutiva specifica si realizza solo se un
determinato soggetto li pronuncia alla prima persona
del presente indicativo: fuori della prima persona
hanno una funzione soltanto descrittiva e non
performativa.
• Devono denominare l’atto eseguito.
• Sono sui-referenziali.
• Sono unici.
• Sono sottoposti a condizioni di validità (1963:327)
“Gli enunciati performativi sono enunciati in cui un verbo dichiarativoingiuntivo alla prima persona del presente è costruito con un dictum. Così:
ordino (o comando, decreto, ecc.) che la popolazione sia mobilitata. E’’
effettivamente un dictum, poiché ne è indispensabile l’enunciazione
espressa perché il testo abbia valore performativo” (1963/1971:327)
5.5.Le modalità
Gli atteggiamenti dell’enunciatore nei confronti
del proprio enunciato vengono marcati
attraverso le modalità formali, suddivisibili in tre
classi:
•Modi verbali (indicativo, ottativo, ecc.) atti ad
esprimere attesa, augurio, apprensione, ecc.
•Verbi che esprimono un atteggiamento
(proposizionale) del parlante verso l’enunciato,
come supposer, présumer, croire, ecc.
•Espressioni fraseologiche, come “forse”,
“senza dubbio”, “probabilmente”, che indicano
incertezza, sicurezza, ecc.
Parola/Frase
• Parola. Ha funzione costitutiva (può essere
decomposta in unità di livello inferiore, i
fonemi) e integrativa (è capace di integrarsi in
un’unità di livello superiore, la frase)
• Frase. Ha funzione costitutiva (può essere
decomposta in unità di livello inferiore, le
parole) e funzione predicativa (conferisce alla
frase la proprietà di avere un senso e una
referenza)
Semiotico/Semantico
• Semiotico è il modo di significare proprio del
segno linguistico. Il senso è garantito dalla
lingua ed è indipendente dalla situazione
extra-linguistica.
• Semantico è il modo di significare del
discorso, nell’ambito dell’enunciazione.
- si realizza nella frase
- esplica la funzione di comunicare, come
mediazione tra uomo e uomo e tra uomo e
società
- attua la funzione referenziale
- porta il carico dell’ “intento” (intenté) (senso
globale inteso dal locutore (1966:255-6)
Enunciazione e polifonia
• Oswald Ducrot
Astratto/Concreto
Quando, per esempio, si effettua un annuncio come:
“Sto per partire”
(a) Da una parte c’è il materiale linguistico, che rimane identico
in tutte le molteplici manifestazioni; questo è quanto Ducrot
propone di chiamare frase, in senso tecnico. Alla stessa frase
può fare seguito uno o più altri segmenti linguistici, caso nel
quale Ducrot propone di usare il termine tecnico testo.
(b) Dall’altra parte ci sono le diverse realizzazioni, che sono
ogni volta uniche, in quanto caratterizzate da specifiche
coordinate spaziali e temporali, per le quali Ducrot propone di
usare, rispettivamente, i termini enunciato come caso di
realizzazione di una frase, e discorso come caso di
realizzazione di un testo.
Realizzazione (1)
(a) In una prima accezione (senso 1) essa fa riferimento alla
cosa realizzata, l’oggetto che è stato prodotto a seguito di una
certa operazione (senso manifestato in una frase come “Le
realizzazioni dell’attuale governo sono superiori a quelle del
precedente”). In termini linguistici si tratta della successione
sonora o grafica in un certo punto del tempo e dello spazio, ad
esempio la frase “Sto per partire” pronunciata il 20 dicembre
2006 alle 18,12, che diviene dunque un enunciato.
Realizzazione (2)
(b) In una seconda accezione (senso 2) la nozione di
realizzazione fa riferimento non al risultato di una certa azione,
ma all’azione stessa o all’evento grazie al quale qualche cosa
che prima non c’era compare e viene a prendere il suo posto
nella catena dei fenomeni. In termini di linguaggio, questo
evento (ovvero questo atto se è, come è solitamente, a carico di
un soggetto) è quanto può essere definito propriamente
enunciazione. La dimensione di evento o di atto è del resto
quella che si può rintracciare in una frase come “Mi sono stupito
che Piero mi abbia scritto questa lettera”, in cui ciò che crea
stupore non è la lettera, ma il fatto che Piero l’abbia scritta.
Realizzazione (3)
(c) Infine c’è una terza accezione della nozione di
realizzazione, (senso 3), quella che ad esempio si può trovare
manifestata in una espressione come “La realizzazione di
questo progetto è durata molti anni”. Ciò che è messo in primo
piano in questo terzo caso è il processo, che ha portato a dei
risultati, il lavoro che è stato necessario. In una accezione
linguistica, tale lavoro viene definito tecnicamente attività
linguistica ed è rappresentato dal processo psicofisiologico che
ha condotto colui che parla a dire quello che ha detto. Tale
attività comprende sia gli atti locutivi, che quelli perlocutivi
Entità astratta
(type)
Realizzazione
(token)
Senso 1: cosa
realizzata
Senso 2:
evento o atto
Senso 3:
processo di
produzione
Livello
elementare
Livello
complesso
Frase
Testo
Enunciato
Discorso
Enunciazione
Attività linguistica
Immagine dell’enunciazione nell’enunciato
Quando qualcuno fa un’affermazione, per esempio “Domani farà bel tempo”,
dà almeno due tipi di indicazioni, affatto diversi:
Uno concerne il tema del suo discorso (il bel tempo);
L’altro concerne il fatto stesso della sua enunciazione, data come
l’asserzione del bel tempo.
Queste due indicazioni hanno uno statuto affatto differente. La seconda non
può essere giudicata in termini di verità. Non si può infatti rispondere:
“E’ vero (è falso); tu hai asserito che farà bel tempo”.
In altre parole, i commenti dell’enunciato sulla sua enunciazione (questa
descrizione che per Ducrot, costituisce il senso dell’enunciato) non sono
oggetto di una asserzione, ma sono mostrati.
La prima indicazione, quella che concerne il bel tempo, è, invece, oggetto di
una asserzione e può essere giudicata in temini di verità o falsità (Ducrot,
1984: 151; anche 188).
Un enunciato comporta sempre un
“mostrare”
• Un enunciato come La terra è sferica ha per
senso di presentare la sua enunciazione come
affermazione della rotondità della terra. Ma
questo carattere assertivo l’enunciato non lo
asserisce, lo mostra (Ducrot, 1981:34).
• Un enunciato veicola un’immagine della propria
enunciazione, immagine che Ducrot considera il
suo senso.
Esempi in cui una parte dell’enunciato
commenta l’enunciazione che è mostrata
•
A1. Avverbi di enunciazione:
“Sinceramente , Piero è una persona che non stimo”.
L’avverbio qualifica una modalità dell’enunciato; equivale a: “La mia
enunciazione è sincera”
•
A2.Caso in cui una parte del discorso un enunciato
commenta l’enunciazione fatta da un altro enunciato, come
avviene in:
(1) “Rispetterò in ogni caso la decisione del suffragio universale”
(2) “Non vi faccio nessuna minaccia e nessun ricatto”
Esempi in cui una parte del discorso commenta
la propria enunciazione
• “Gesti verbali”, rappresentati linguisticamente dalle interiezioni.
Espressioni come “Ahimé”, “Ahi” mostrano che la loro
enunciazione si presenta come involontaria, inevitabile, imposta
al locutore dalla situazione in cui si trova.
• Formulazione degli atti linguistici che non sono espressi nella
forma performativa. L’enunciazione di un imperativo come
“Esci” ha come valore quello di mostrare, senza affermarlo, che
essa è fonte di un nuovo obbligo per il destinatario.
• Un ulteriore esempio è costituito da un enunciato come “Piero!
Parlo a te”, in cui il vocativo presenta Piero come allocutario,
mentre la proposizione “Parlo a te” asserisce esplicitamente
quello che l’enunciazione presenta o mostra.
Prima classificazione delle
Figure dell’enunciazione
Analyse de textes et linguistique
de l’énonciation (1980)
L’Autore
• L’Autore è il ruolo dell’attività linguistica; è la
persona che “effettivamente” produce
l’enunciato e che è spesso, soprattutto nella
conversazione orale, identificato con il
soggetto (empirico) che parla.
• E’ il produttore empirico, secondo Banfield,
cioè l’essere che non deve essere preso in
conto per una descrizione linguistica,
preoccupata solo delle indicazioni
semantiche contenute nell’enunciato
(1984:172)
Il locutore
• Il locutore è il soggetto dell’enunciazione.
• E’ colui che ha la responsabilità della parola
• E’ l’essere designato dal pronome e dalle
differenti marche di prima persona.
• L’allocutario è il soggetto a cui è indirizzata
l’enunciazioine; è designato dai pronomi e
dalle marche di seconda persona e deve
essere distinto dall’ascoltatore.
L’enunciatore
• L’enunciatore (gli enunciatori) è/sono i
personaggi che sono dati dall’enunciato come
gli autori dei diversi atti, per esempio illocutivi,
che compie l’enunciazione come è mostrata
dall’enunciato.
• Gli enunciatori non si confondono con il
locutore e talvolta uno o l’altro degli enunciatori
può essere assimilato, per esempio,
all’allocutario.
• Ciò è connesso con quanto viene chiamato,
secondo l’espressione di Bachtin, “polifonia”
(1984:152)
Perché distinguere locutore da
enunciatore?
•
Perché in uno stesso enunciato sono possibili due
atti linguistici contemporanei
• Es. Se il Primo ministro pronuncia un enunciato
come: “L’ordine sarà mantenuto, costi quello che
costi”, egli compie allo stesso tempo due atti
illocutivi.
1. Una promessa rivolta ai cittadini desiderosi di
ordine.
2. Una minaccia rivolta ai cittadini ritenuti responsabili
del disordine.
Polifonia
• Una pluralità di voci può essere rintracciata
non solo in un testo complesso, ma anche
all’interno di un singolo enunciato.
• Si ha interpretazione polifonica quando
l’asserzione che caratterizza l’enunciazione è
attribuita ad un personaggio diverso dal
Locutore.
• Il presupposto della pragmatica linguistica è
quello di chiedersi come sia possibile “servirsi
delle parole per esercitare una influenza” e
“perché certe parole, in certe circostanze,
siano dotate di efficacia”.
Esempi di polifonia
• “Sortons (E1), puisque / car il fait beau (E2).
Nel caso dell’uso di puisque, l’enunciatore responsabile di (E2) è
presentato come diverso dal locutore, come un’altra voce, Nel
caso dell’uso di car, viene mostrata una identità di voce tra
locutore ed enunciatore.
• Se, in una conversazione, un soggetto L1 rimprovera a un
allocutario A di aver commesso un errore e di essersi
comportato in maniera sciocca, l’allocutario può replicare,
divenendo L2, riprendendo le parole di L1 e dicendo:
“Ah! Io sarei/sono un imbecille? Aspetta un po’ che ti faccio
vedere io”.
L2 è l’effettivo produttore delle parole e è ugualmente colui che è
designato da io; ma la responsabilità dell’atto di affermazione
non è certamente di L. (1984:191)
Seconda classificazione delle
Figure dell’enunciazione
Esquisse d’une théorie
poliphonique de l’énonciation
(1984)
• Viene confermato che il senso di
un enunciato corrisponde ad una
descizione dell’enunciazione
In cosa consiste la descrizione
dell’enunciazione contenuta nel senso
di un enunciato?
• Indicazioni illocutive
• Indicazioni argomentative
• Indicazioni sul (o sugli) autore/i eventuale/i
dell’enunciazione.
Il soggetto parlante
• E’ rappresentato dall’autore materiale o
empirico del discorso
Il Locutore
Deve essere distinto in:
• L (locutore in quanto tale)
• l (locutore in quanto essere del mondo).
(A) L. Il locutore in quanto tale
• L (locutore in quanto tale): non è il personaggio che,
tra le altre proprietà, ha quella di essere il locutore di
E, ma il locutore di E visto nella sua attività stessa di
produzione di E (Ducrot, 1984:127-8).
• Appartiene al commento dell’enunciazione che
viene fatto dal senso dell’enunciato.
• Non necessariamente è rappresentato dal pronome
io. Ad esempio è il locutore a cui è attribuito il
sentimento di tristezza nel caso dell’enunciazione di
una interiezione come “Ahimé” (: non gli si può
obiettare che non sembra veramente triste, senza
accusarlo di ipocrisia).
(B) l (locutore in quanto essere
del mondo).
• E’ una persona completa, che possiede tra le altre
proprietà quella di essere l’origine dell’enunciato.
• E’ la figura del mondo descritta dalle asserzioni fatte
attraverso l’enunciato. E’ oggetto dell’enunciazione,
ma non situato al suo interno.
• E’ un “essere di discorso”. E’ l’essere designato dal
pronome io. Ad esempio è il soggetto di un enunciato
come “Sono molto triste” (gli si può obiettare che non
appare veramente tale, senza accusarlo di ipocrisia)
L’Enunciatore
• Non può essere l’istanza che compie l’atto illocutivo
(come nel primo modello) perché questo compito è
riservato alla figura del soggetto parlante, che
presenta la sua enunciazione come fonte dell’obbligo.
L’Enunciatore non è legato ad alcuna parola.
• Gli enunciatori sono “quegli esseri che sono
considerati esprimersi attraverso l’enunciazione,
senza che ad essi vengano attribuite delle parole
precise; se essi ‘parlano’ è solamente nel senso che
l’enunciazione è vista come esprimente il loro punto di
vista, la loro posizione, il loro atteggiamento, ma non,
nel senso concreto del termine, le loro parole” (1984:
204)
Ironia
• L’ironia è il caso in cui un Locutore fa dire a qualcun
altro (l’Enunciatore) delle cose che sono
manifestamente assurde, ovvero fa intendere una
voce, diversa dalla sua, che sostiene cose che non
possono essere sostenute.
• “In un ristorante di lusso, un cliente è seduto a tavola con la
sola compagnia del suo cane, un barboncino. Il padrone viene
a fare conversazione con lui e vanta la qualità del ristorante:
‘Sa, il nostro chef è l’antico cuoco del re Farouk’. Il cliente
risponde dicendo soltanto ‘Ah si?’. Per niente scoraggiato, il
padrone continua: ‘E il nostro sommelier è l’antico sommelier
della corte d’Inghilterra… Quanto al nostro pasticcere, abbiamo
avuto la fortuna di trovare quello dell’imperatore Bao-Daï’. Di
fronte al mutismo del cliente, il padrone cambia discorso e dice:
‘Lei, signore, ha un bel barboncino’. Al che, il cliente risponde:
‘Si, il mio barboncino è un antico San Bernardo’”
Tabella sinottica
BALLY
GENETTE
GREIMAS
DUCROT
MEUNIER
Soggetto
parlante
Istanza di
scrittura
Enuniatore
Soggetto
parlante
Soggetto
parlante
Soggetto
comunica
nte
Narratore
Narratore
Locutore
Locutore
principale/
Locutore
secondario
Soggetto
comunica
nte
Centro di
prospettiva o di
focalizzazione
Attante
Enunciato Supporto
osservato- re
modale
re
Argomentazione e
persuasione
•
Vanno distinti tre concetti:
1. Argomentare e argomentazione
2. Persuadere e convincere
3. Argomentatività
Argomentare
• L’argomentazione è un atto illocutivo che si
prefigge lo scopo di far ammettere all’uditore
che una certa opinione è accettabile (Van
Eemeren e Grootendorst) o meglio,
“giustificabile”, “legittima”, “ragionevole”
(Ducrot, 1990)
• L’argomentazione è riuscita se l’uditore
comprende l’intenzione del locutore di rendere
una certa opinione accettabile.
Persuadere
• La persuasione è un atto perlocutivo che
contiene in più, rispetto all’argomentazione,
l’intenzione effettiva di fare in modo che
l’uditore ammetta l’opinione in questione.
• L’atto è riuscito se l’uditore ha effettivamente
ammesso l’opinione.
• Per Ducrot, la persuasione è lo sforzo
compiuto, servendosi della parola, per far
ammettere una opinione (far credere) o per far
compiere un’azione (far fare) ad un uditore, che
può anche non essere l’allocutore (parlare a X
per agire su Y)
Argomentatività
• Il senso di un enunciato consiste nella
presentazione (o messa in scena) di differenti
punti di vista, attribuibili a degli enunciatori, che
non sono necessariamente identificabili nel
locutore (concezione polifonica).
• Un punto di vista (enunciazione, cioè funzione
di un enunciatore) è argomentativo quando
caratterizza la situazione che è in questione
nell’enunciato come tale da permettere una
certa conclusione in virtù di un luogo comune
(“topos”).
Esempio:
A. Ti propongo di andare all’Università a piedi
B. E’ lontano.
 La replica di B veicola un certo punto di vista
(contenuto argomentativo) relativo alla distanza che
permette la conclusione “E’ meglio di no”
 Che questa conclusione si imponga dipende dal fatto
che l’uso dell’espressione lontano richiama un topos
secondo il quale “più un luogo è lontano, più richiede
fatica”, e la fatica è vista come qualcosa da evitare
 Un punto di vista argomentativo consiste nel
presentare o cogliere una situazione per mezzo di un
luogo comune (topos legato al significato linguistico
della parola) capace di giustificare una conclusione
Argomentatività e argomentazione
• L’espressione linguistica “lontano” ha come
senso quello di rappresentare la situazione
secondo un punto di vista argomentativo
• Tale espressione convoca un “topos”, che
giustifica o legittima una certa conclusione
• La legittimità della conclusione costituisce la
rappresentazione stessa che viene data del
referente
• L’argomentatività può essere sfruttata o no per
un atto di argomentazione
Non sfruttamento dell’argomentatività
• Nell’esempio proposto B argomenta effettivamente
contro la proposta di andare a piedi. Detto altrimenti,
si identifica come locutore all’enunciatore che mette
in scena.
• Tuttavia avrebbe potuto rispondere: “E’ lontano, ma ci
farà bene camminare”. In questo caso lontano
mantiene il suo valore argomentativo, orientato verso
un rifiuto della passeggiata, ma ciò che succede è
che il locutore non si identifica più con l’enunciatore il
cui punto di vista è espresso da questa parola.
• In questo secondo caso gli è permesso di
argomentare in senso inverso, fondandosi sul punto
di vista che esprime il secondo membro della frase.
L’argomentazione nella lingua
• Il carattere argomentativo dei punti di vista
veicolati da un enunciato, in un contesto dato di
enunciazione, è largamente determinato dalla
struttura linguistica della frase che l’enunciato
realizza.
• Vi è una determinazione linguistica
dell’argomentatività.
L’atto di persuadere
• A differenza dell’argomentazione, che si
fonda sul carattere linguisticamente
determinato dell’argomentatività, l’atto di
persuadere può avvenire attraverso
qualunque frase
• La persuasione dipende dallo sforzo fatto per
persuadere da parte di un locutore capace
Avverbi quantitativi: un po’ e poco
•
•
•
1.
2.
Supponiamo che A, volendo chiedere a B di scusarlo di essere in ritardo,
dica: “Mi scusi, sono un po’ in ritardo”.
Ciò corrisponde ad un atto linguistico di discolpa, che ha due obiettivi: (1)
indicare la mancanza del colpevole, indicando il fatto di essere in ritardo;
(2) dire per quale ragione merita il perdono.
Due scale argomentative opposte:
Un po’, molto, enormemente, ecc. uniti ad una parola P vanno nella
stessa direzione argomentativa di P, manifestando un orientamento
positivo.
piuttosto poco, poco, appena, per niente hanno un orientamento negativo:
vanno nel senso opposto a quello del termine P a cui sono associati.
“Sono un po’ in ritardo”
• Dal punto di vista argomentativo, ha lo stesso orientamento di
“Sono in ritardo” ed equivale ad una confessione di
colpevolezza.
• Tuttavia la forza argomentativa è minore.
• Il fatto di argomentare con una forza più debole nei confronti
della colpevolezza può servire a persuadere che un perdono
sarebbe ragionevole.
• A livello argomentativo, A ha indicato soltanto la propria colpa; a
livello persuasivo ha tentato di discolparsi grazie alla debolezza
(un po’) dell’autocritica presentata sul piano
dell’argomentazione.
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L`Enunciazione - Giovanni Manetti