Dottorato in Diritto pubblico dell’economia Osservatorio sulla giurisprudenza comunitaria Anno accademico 2009/2010 Decisioni della Corte di Giustizia delle comunità Europee Marzo 2010 Causa C 175/08 del 2 marzo 2010 Estensore scheda ARIANNA CASCELLI Causa Causa: C 175/08 (procedimenti riuniti C-175/08, C-176/08, C-178/08 e C-179/08), Grande Sezione Pubblicazione (causa) : in GUCE xxx del xxx; Parti: Aydin Salahadin Abdulla et al. C. Bundesrepublik Deutschland Giudice relatore: L. Bay Larsen; Avvocato generale: J. Mazák Ambito tematico LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE PERSONE Parole chiave Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Qualità di “rifugiato” – Cessazione dello status di rifugiato – Valutazione - Revoca dello status di rifugiato – Prova Oggetto Domanda di pronuncia pregiudiziale Parametro Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Qualità di “rifugiato” – Art. 2, lett. c); Art. 11; Art. 11, n. 1, lett. e); Art. 11, n. 2; Prova – Art. 14, n. 2 Esito 1) L’art. 11, n. 1, lett. e), della direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE, deve essere interpretato nel senso che una persona perde lo status di rifugiato quando, considerato un cambiamento delle circostanze avente un carattere significativo e una natura non temporanea, occorso nel paese terzo interessato, vengano meno le circostanze alla base del fondato timore della persona stessa di essere perseguitata a causa di uno dei motivi di cui all’art. 2, lett. c), della direttiva 2004/83 e non sussistano altri motivi di timore di «essere perseguitat[a]» ai sensi dell’art. 2, lett. c), della direttiva 2004/83; ai fini della valutazione di un cambiamento delle circostanze, le autorità competenti dello Stato membro devono verificare, tenuto conto della situazione individuale del rifugiato, che il soggetto o i soggetti che offrono protezione di cui all’art. 7, n. 1, della direttiva 2004/83 abbiano adottato adeguate misure per impedire che possano essere inflitti atti persecutori, che quindi dispongano, in particolare, di un sistema giuridico effettivo che permetta di individuare, di perseguire penalmente e di punire gli atti che costituiscono persecuzione e che il cittadino interessato, in caso di cessazione dello status di rifugiato, abbia accesso a detta protezione. 2) Il criterio di probabilità per l’esame del rischio derivante da altre circostanze che giustifichino il fondato timore di persecuzione, anche per uno degli altri motivi elencati all’art. 2, lett. c), della direttiva 2004/83 è lo stesso criterio applicato ai fini della concessione dello status di rifugiato. 3) L’art. 4, n. 4, della direttiva, nella misura in cui fornisce indicazioni quanto alla portata, in termini di forza probatoria, di atti o minacce precedenti di persecuzione, può applicarsi quando le autorità competenti considerino di revocare lo status di rifugiato ai sensi dell’art. 11, n. 1, lett. e), della direttiva 2004/83 e l’interessato, per giustificare il permanere di un fondato timore di persecuzione, faccia valere circostanze diverse da quelle sulla cui base era stato riconosciuto come rifugiato. Tuttavia, ciò potrà di regola verificarsi solamente quando il motivo di persecuzione sia diverso da quello considerato al momento del riconoscimento dello status di rifugiato e vi siano atti o minacce precedenti di persecuzione i quali sono collegati al motivo di persecuzione esaminato in tale fase. Sintesi La domande sono state presentate nel contesto di alcune controversie relative alla revoca dello status di rifugiato di alcuni cittadini iracheni da parte dell’ufficio federale tedesco per l’immigrazione e i rifugiati (Bundesamt). Con la prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 11, n. 1, lett. e), della direttiva debba essere interpretato nel senso che lo status di rifugiato si estingue nel momento in cui vengano meno le circostanze alla base del fondato timore del rifugiato stesso di essere perseguitato, ai sensi dell’art. 2, lett. c), della direttiva stessa, in base al quale il riconoscimento era stato concesso, e non sussistano altri motivi di timore di «essere perseguitato» ai sensi dello stesso art. 2, lett. c), della direttiva. Secondo la Corte, per giungere alla conclusione che il timore del rifugiato di essere perseguitato non è più fondato, le autorità competenti, alla luce dell’art. 7, n. 2, della direttiva, devono verificare, tenuto conto della situazione individuale del rifugiato, che il soggetto o i soggetti che offrono protezione del paese terzo in causa, i quali possono comprendere organizzazioni internazionali che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, anche per mezzo della presenza di una forza multinazionale abbiano adottato adeguate misure per impedire che possano essere inflitti atti persecutori, che quindi dispongano, in particolare, di un sistema giuridico effettivo che permetta di individuare, di perseguire penalmente e di punire gli atti che costituiscono persecuzione e che il cittadino interessato, in caso di cessazione dello status di rifugiato, abbia accesso a detta protezione. Inoltre l’art. 11, n. 2, della direttiva prevede che il cambiamento delle circostanze constatato dalle autorità competenti debba avere «un significato e una natura non temporanea» tali da eliminare il fondato timore di persecuzioni del rifugiato in modo duraturo e significativo. La Corte ricorda inoltre che nel sistema della direttiva l’eventuale cessazione dello status di rifugiato avviene senza incidere sul diritto della persona interessata di chiedere il riconoscimento dello status conferito dalla protezione sussidiaria, quando siano presenti tutti gli elementi necessari, contemplati dall’art. 4 della direttiva, al fine di stabilire che siano soddisfatte le condizioni idonee a giustificare una siffatta protezione, elencate all’art. 15 della direttiva. Invece nel caso in cui la cessazione delle circostanze in base alle quali lo status di rifugiato è stato riconosciuto, nel verificare se sussistano altre circostanze che giustifichino il fondato timore dell’interessato di essere perseguitato lo Stato membro dovrà procedere mediante una valutazione analoga a quella effettuata al momento dell’esame di una domanda iniziale di concessione dello status di rifugiato. Infine, l’art. 11, 2 è applicabile anche quando il rifugiato opponga alle autorità competenti che, alla cessazione dei fatti sulla base dei quali il riconoscimento era avvenuto, sono seguiti altri fatti che hanno originato un timore di persecuzioni per il medesimo motivo, mentre qualora egli faccia valere un motivo di persecuzione diverso da quello considerato al momento del riconoscimento dello status è applicabile l’art. 4, n. 4, della direttiva, nella misura in cui fornisce indicazioni quanto alla portata, in termini di forza probatoria, di atti o minacce precedenti di persecuzione. Note / Bibliografia Adinolfi, A., Quali procedure e garanzie per la cessazione dello status di rifugiato?, in Rivista di diritto internazionale, 1993, pp. 1107-1111; Causa C 384/08 - Sentenza 11.03.2010 Estensore scheda DANIELE STANZIONE Causa Causa: C 384/08 Terza Sezione. Pubblicazione (causa): in GUCE n. 285 dell'8.11.2008 Parti: Ricorrente: Attanasio Group Srl; Convenuto: Comune di Carbognano Giudice relatore: Ó Caoimh; Avvocato generale: Sig. J. Mazák Ambito tematico LIBERTA’ DI STABILIMENTO Parole chiave Restrizioni alla libertà di stabilimento; sistema distributivo carburanti; accesso al mercato italiano da parte di operatori di altri Stati membri. Oggetto Domanda di pronuncia pregiudiziale Tribunale Amministrativo del Lazio. Parametro artt. 43 CE, 48 CE, 49 CE e 56 CE e i principi comunitari di concorrenza economica e di non discriminazione giuridica sanciti dal medesimo Trattato Esito L’art. 43 CE, letto in combinato disposto l’art. 48 CE, deve essere interpretato nel senso che una normativa di diritto interno, come quella di cui alla causa principale, che prevede distanze minime obbligatorie fra gli impianti stradali di distribuzione di carburanti costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento sancita dal Trattato CE. In circostanze come quelle della controversia principale, tale restrizione non appare idonea ad essere giustificata dalle finalità di sicurezza stradale, di tutela sanitaria ed ambientale e di razionalizzazione del servizio reso agli utenti. Sintesi La Attanasio Group Srl, aveva ricevuto dal Comune di Caprarola il diniego alla costruzione di un impianto di distribuzione con la motivazione che era già stata autorizzata l’apertura di altro impianto alla Felgas Petroli: i due impianti sarebbero stati troppo vicini. Le distanze minime obbligatorie erano di tre km ai sensi della L. R. del Lazio n. 8/2001. La Attanasio Group Srl ha impugnato tale diniego dinanzi al Tar del Lazio; subito dopo l'ordinanza di rinvio, la legge n. 133/2008 ha stabilito che l'installazione e l'esercizio di un impianto non possono essere subordinati a vincoli commerciali, numerici o distanze minime e ciò ha condotto alla disapplicazione della legge regionale n. 8/2001. Tuttavia il Tar Lazio ha mantenuto la propria domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di giustizia chiedendo di chiarire in particolare se la normativa nazionale sia suscettibile di violare le disposizioni del Trattato circa il rispetto dei principi di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi. La Corte ha confermato l’esistenza di tale violazione affermando inoltre che se la norma nazionale subordina il rilascio dell’autorizzazione per la costruzione dell’impianto alla verifica della conformità dello stesso al piano regolatore, alle prescrizioni fiscali e a quelle concernenti la sicurezza sanitaria, ambientale e stradale, nel caso dell'apertura di pompe di benzina, questi obiettivi possono essere raggiunti con misure meno restrittive che non ostino alla libertà di stabilimento. Le restrizioni in parola, tra l’altro, avvantaggerebbero gli operatori già presenti sul territorio a danno della creazione di nuovi impianti. E’ da considerare inoltre che anche altre società comunitarie potrebbero essere dissuase dal creare attività stabili in altri Stati membri la cui legislazione imponga le succitate restrizioni, incompatibili con il diritto comunitario. Note La normativa italiana, nel caso specifico in esame, è confliggente con il diritto comunitario (artt. 43, 48, 49 e 56 CE) nella parte in cui pone limiti e restrizioni non totalmente giustificate da motivi di sanità pubblica, sicurezza stradale o tutela ambientale i cui obiettivi possono essere raggiunti con modalità diverse. Bibliografia Sentenze 29 febbraio 1996, causa C-193/94, Skanavi e Chryssanthakopoulos; sentenze 18 novembre 1999, causa C-107/98, Teckal; cause riunite C-19/01, C-50/01 e C-84/01, Barsotti e a.; 23 marzo 2006, causa C-237/04, Enirisorse; causa 188/86, Lefèvre; causa C-292/92, Hünermund e a.; causa C-189/08, Zuid-Chemie; sentenze 29 febbraio 1996, causa C-193/94, Skanavi e Chryssanthakopoulos. Causa C-135/08 del 2 marzo 2010 Estensore scheda Gaia Cozzolino Causa Causa: C-135/08, Grande Sezione Pubblicazione (causa): in GUCE 171 del 5 luglio 2008 Parti: Janko Rottmann contro Freistaat Bayern Giudice relatore: A. Ó Caoimh Avvocato generale: M. Poiares Maduro Ambito tematico Cittadinanza europea. Parole chiave Cittadinanza, revoca naturalizzazione. Oggetto Domanda di pronuncia pregiudiziale. Parametro Art. 17 CE Esito Il diritto dell’Unione, e segnatamente l’art. 17 CE, non osta a che uno Stato membro revochi ad un cittadino dell’Unione la cittadinanza di tale Stato acquisita per naturalizzazione, qualora questa sia stata ottenuta in maniera fraudolenta, a condizione che tale decisione di revoca rispetti il principio di proporzionalità. Sintesi La situazione di un cittadino dell’Unione che si trovi alle prese con una decisione di revoca della naturalizzazione adottata dalle autorità di uno Stato membro, la quale lo ponga, dopo la perdita della cittadinanza di un altro Stato membro da lui posseduta in origine, in una situazione idonea a cagionare il venir meno dello status conferito dall’art. 17 CE e dei diritti ad esso correlati, ricade, per sua natura e per le conseguenze che produce, nella sfera del diritto dell’Unione. In particolare, l’art. 17, n. 2, CE ricollega allo status suddetto i doveri e i diritti contemplati dal Trattato CE, tra cui quello di avvalersi dell’art. 12 CE in tutte le situazioni che rientrano nel campo di applicazione ratione materiae del diritto dell’Unione. Da ciò deriva che gli Stati membri devono, nell’esercizio della loro competenza in materia di cittadinanza, rispettare il diritto dell’Unione. Qualora la decisione di revoca della naturalizzazione sia fondata su una frode commessa dall’interessato nell’ambito della procedura di acquisizione della cittadinanza di cui trattasi, una simile decisione potrebbe risultare conforme al diritto dell’Unione. Al riguardo, deve infatti ritenersi legittimo che uno Stato membro voglia proteggere il particolare rapporto di solidarietà e di lealtà tra esso e i propri cittadini nonché la reciprocità di diritti e di doveri, che stanno alla base del vincolo di cittadinanza. Spetta in ogni caso al giudice del rinvio verificare se la decisione di revoca rispetti il principio di proporzionalità per quanto riguarda le conseguenze che essa determina sulla situazione dell’interessato in rapporto al diritto dell’Unione. A tal proposito sarà importante verificare se tale perdita sia giustificata in rapporto alla gravità dell’infrazione commessa dall’interessato, al tempo trascorso tra la decisione di naturalizzazione e la decisione di revoca, nonché alla possibilità per l’interessato di recuperare la propria cittadinanza di origine. Pertanto uno Stato membro non può essere ritenuto obbligato ad astenersi dalla revoca della naturalizzazione per il solo fatto che l’interessato non abbia recuperato la cittadinanza del suo Stato membro d’origine. Note La Corte conferma l’orientamento secondo il quale lo status di cittadino dell’Unione è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri (v., in particolare, sentenze 20 settembre 2001, causa C-184/99, Grzelczyk, Racc. pag. I-6193, punto 31, e 17 settembre 2002, causa C-413/99, Baumbast e R, Racc. pag. I-7091, punto 82), nonché l’orientamento in base al quale gli Stati membri devono, nell’esercizio della loro competenza in materia di cittadinanza, rispettare il diritto dell’Unione (sentenze 7 luglio 1992, causa C-369/90 Micheletti e a., Racc. pag. I-4239, punto 10; 11 novembre 1999, causa C-179/98, Mesbah, Racc. pag. I-9925, punto 29; 20 febbraio 2001, causa C-192/99, Kaur, Racc. pag. I-1237, punto 19, nonché 10 ottobre 2004, causa C-200/02, Zhu e Chen, Racc. pag. I-9925, punto 37). Bibliografia Per un commento alla precedente pronuncia della CGCE, causa C-192/99, v. A. Rosa, Cittadinanza dell'Unione e cittadinanza di uno Stato membro: il caso della British Overseas Citizenship, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2001, 664 ss.. Sulla cittadinanza europea si veda F. Alcaro, G. Baldini, Profili evolutivi della cittadinanza europea: “verso un diritto privato comunitario”?, in Riv. it. Dir. Pubbl. com., 2-3, 445 ss.; G. Sgueo, La direttiva n. 1904/2006/CE e le misure di promozione della cittadinanza europea, in Giorn. dir. Amm., 2008, 1, 5.. Causa C-19/09 del 11 marzo 2010 Estensore scheda LINDA CECCONI Causa Causa: C-19/09 terza sezione Pubblicazione (causa): in GUCE 82 del 4.4.2009 Parti: Wood Floor Solutions Andreas Domberger GmbH e Silva Trade SA Giudice relatore: sig. K. Lenaerts Avvocato generale: sig.ra V. Trstenjak Ambito tematico SPAZIO DI LIBERTA’ SICUREZZA E GIUSTIZIA Parole chiave Competenza giurisdizionale, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale - Competenze speciali - Fornitura di servizi Contratto di agenzia - Esecuzione del contratto in una pluralità di Stati membri Oggetto Domanda di pronuncia pregiudiziale Parametro Regolamento (CE) n. 44/2001 Esito L'art. 5, punto 1, lett. b), secondo trattino, del regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 2000, n. 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, deve essere interpretato nel senso che tale disposizione è applicabile nel caso di fornitura di servizi in una pluralità di Stati membri. In caso di fornitura di servizi in una pluralità di Stati membri, il giudice competente a conoscere di tutte le pretese fondate sul contratto è quello nella cui circoscrizione si trova il luogo della fornitura principale dei servizi. Riguardo ad un contratto di agenzia commerciale, tale luogo è quello della fornitura principale dei servizi dell'agente, quale risultante dalle disposizioni del contratto nonché, in assenza di disposizioni siffatte, dall'esecuzione effettiva del contratto stesso, e, in caso di impossibilità di stabilirlo su tale base, il luogo in cui l'agente è domiciliato. Sintesi Nell’ambito di una controversia tra la Wood Floor e la Silva Trade SA avente ad oggetto una domanda di indennizzo per lo scioglimento anticipato di un contratto di agenzia commerciale eseguito in una pluralità di Stati membri, è stata presentata domanda di pronuncia pregiudiziale sull’interpretazione della regola di competenza speciale stabilita, per i contratti di prestazione di servizi, dall’art. 5, punto 1, lett. b), secondo trattino, del regolamento n. 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. La corte chiarisce innanzitutto che lo scopo del regolamento citato è quello di conservare e sviluppare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia anche grazie alla cooperazione giudiziaria in materia civile necessaria al corretto funzionamento del mercato interno. Quindi in merito alla causa e sulle pregiudiziali risponde alla questione del giudice specificando che sulla base dei due principi che regolano l’interpretazione del Regolamento, ossia la prossimità e la prevedibilità, il giudice competente a conoscere di tutte le pretese fondate sul contratto è quello nella cui circoscrizione si trova il luogo della fornitura principale dei servizi. Riguardo ad un contratto di agenzia commerciale, tale luogo è quello della fornitura principale dei servizi dell’agente, quale risultante dalle disposizioni del contratto nonché, in assenza di disposizioni siffatte, dall’esecuzione effettiva del contratto stesso, e, in caso di impossibilità di stabilirlo su tale base, il luogo in cui l’agente è domiciliato. Note La costruzione dello spazio comune di libertà sicurezza e giustizia è finalizzata al completamento e al funzionamento del mercato unico, e non a caso la prevedibilità contrattuale costituisce una dei principi ispiratori sui quali interpretare le norme del Regolamento in oggetto. Bibliografia Esiste una pronuncia precedente in materia che indica i principi che sottostanno alla interpretazione del regolamento: sentenza 3 maggio 2007, causa C386/05, Color Drack (Racc. pag. I 3699), dove si sancisce che i principi di prossimità e prevedibilità valgono anche qualora i differenti luoghi di esecuzione della prestazione di servizi si trovino in più Stati membri e il «luogo di esecuzione», ai sensi dell’art. 5, punto 1, lett. b), secondo trattino, del regolamento, debba essere stabilito in base al luogo della prestazione principale od al centro dell’attività del fornitore dei servizi. Causa C -325/08 del 16/03/2010 Estensore scheda Elona Doko Causa Causa: c-325/08 Olympique Lyonnais SASP contro Olivier Bernard, Newcastle UFC Grande Sezione Parti: Olympique Lyonnais SASP contro Olivier Bernard, Newcastle UFC Giudice relatore: M. Ilešič Avvocato generale: sig.ra E. Sharpston Ambito tematico Libera circolazione delle persone Parole chiave Libera circolazione dei lavoratori – Restrizioni – Calciatori professionisti – Obbligo di sottoscrizione del primo contratto di calciatore professionista con la società che ha curato la formazione – Condanna del giocatore al risarcimento del danno per violazione di tale obbligo – Giustificazioni – Obiettivo di incoraggiare l’ingaggio e la formazione di giovani giocatori Oggetto Domanda di pronuncia pregiudiziale sull’interpretazione dell’art 39 CE Parametro Art. 39 CE Esito L’art. 45 TFUE non osta ad un sistema che, al fine di realizzare l’obiettivo di incoraggiare l’ingaggio e la formazione di giovani giocatori, garantisca alla società che ha curato la formazione un indennizzo nel caso in cui il giovane giocatore, al termine del proprio periodo di formazione, concluda un contratto come giocatore professionista con una società di un altro Stato membro, a condizione che tale sistema sia idoneo a garantire la realizzazione del detto obiettivo e non vada al di là di quanto necessario ai fini del suo conseguimento. Per garantire la realizzazione di tale obiettivo non è necessario un regime, come quello oggetto della causa principale, per effetto del quale un giocatore «promessa» il quale, al termine del proprio periodo di formazione, concluda un contratto come giocatore professionista con una società di un altro Stato membro si esponga alla condanna al r risarcimento del danno determinato a prescindere dagli effettivi costi della formazione. Sintesi Nel 1997 il sig. Bernard concludeva, a decorrere dal 1° luglio dello stesso anno, un contratto come giocatore «promessa» con l’Olympique Lyonnais per una durata di tre stagioni. Prima della scadenza di tale contratto, l’Olympique Lyonnais proponeva al sig. Bernard la sottoscrizione di un contratto come giocatore professionista per la durata di 1anno a decorrere dal 1° luglio 2000. Il sig. Bernard si rifiuta di sottoscrivere il contratto e conclude, nell’agosto del 2000, un contratto come giocatore professionista con il Newcastle UFC. Venuta a conoscenza di tale contratto, l’Olympique Lyonnais citava il sig. Bernard dinanzi al Conseil de Prud’hommes (Tribunale del lavoro) di Lione, chiedendone la condanna in solido con il Newcastle United al risarcimento del danno. L’importo richiesto era pari ad EUR 53 357,16, equivalente, secondo la domanda di pronuncia pregiudiziale, alla retribuzione che il sig. Bernard avrebbe percepito in un anno se avesse sottoscritto il contratto offertogli dall’Olympique Lyonnais. Il Conseil de Prud’hommes di Lione riteneva che il sig. Bernard avesse risolto unilateralmente il contratto e lo condannava, in solido con il Newcastle UFC, a corrispondere all’Olympique Lyonnais un risarcimento danni dell’importo di EUR 22 867,35. La Cour d’appel di Lione riformava tale decisione ritenendo violato l’art 39 CE. Avverso tale decisione l’Olympique Lyonnais proponeva ricorso per cassazione. La Cour de cassation ritiene che l’art. 23 della Carta, se è pur vero che non vietava formalmente ad un giovane giocatore di concludere un contratto come giocatore professionista con una società di un altro Stato membro, produceva l’effetto di impedire al medesimo o di concludere un siffatto contratto o di dissuaderlo, potendo la violazione di tale disposizione esporlo al pagamento di un risarcimento del danno. La Cour de cassation sottolinea che la causa principale solleva un problema di interpretazione dell’art. 39 CE, in quanto pone la questione se tale restrizione possa essere giustificata dall’obiettivo consistente nell’incoraggiare l’ingaggio e la formazione di giovani calciatori professionisti. La Cour de cassation ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1) Se il principio della libera circolazione dei lavoratori sancito dall’[art. 39 CE] osti ad una disposizione di diritto nazionale in forza del quale un giocatore “promessa” che, al termine del proprio periodo di formazione, sottoscriva un contratto come calciatore professionista con una società di un altro Stato membro dell’Unione europea si rende passibile di condanna ad un risarcimento danni. 2) In caso di risposta affermativa (…), se la necessità di incentivare l’ingaggio e la formazione di giovani calciatori professionisti costituisca un obiettivo legittimo o una ragione imperativa di interesse generale tale da giustificare una siffatta restrizione». Note Innovatività,nell’interpretazione dell’art 39CE Bibliografia Caso Bosman, c-415/93 Causa C- 578/08 del 4 marzo 2010 Estensore scheda MARIELLA IACONO Causa Causa: C- 578/08, Seconda sezione Pubblicazione: (C-578/08) 4.03.2010 Parti: Rhimou Chakroun/ Minister van Buitenlandse Zaken Giudice relatore: A. Rosas; Avvocato generale: E. Sharpston Ambito tematico SPAZIO DI LIBERTÀ, SICUREZZA E GIUSTIZIA. Parole chiave Ricongiungimento familiare Oggetto Domande di pronunce pregiudiziali Parametro Artt 2, lett. d) e 7, n. 1, lett. c), Direttiva del Consiglio 22 settembre 2003, 2003/86/CE. Esito 1)L’inciso “ricorrere al sistema di assistenza sociale” di cui all’art. 7, n. 1, parte iniziale e lett. c), della direttiva del Consiglio 22 settembre 2003, 2003/86/CE, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, dev’essere interpretato nel senso che esso non consente ad uno Stato membro di adottare una normativa sul ricongiungimento familiare che neghi quest’ultimo ad un soggiornante che ha dimostrato di disporre di risorse stabili, regolari e sufficienti per mantenere se stesso e i suoi familiari, ma che, alla luce del livello del suo reddito, potrebbe nondimeno ricorrere all’assistenza speciale per provvedere a spese di sostentamento particolari e individualmente stabilite, a sgravi fiscali da imposte accordati da amministrazioni locali dipendenti dal reddito o a provvedimenti di sostegno del reddito nell’ambito della politica comunale per i redditi minimi. 2) La direttiva 2003/86, e segnatamente il suo art. 2, parte iniziale e lett. d), dev’essere interpretata nel senso che siffatta disposizione osta ad una normativa nazionale che, ai fini dell’applicazione del requisito di reddito di cui all’art. 7, n. 1, parte iniziale e lett. c), della direttiva 2003/86, opera una distinzione a seconda che i vincoli familiari siano anteriori o posteriori all’ingresso del soggiornante nello Stato membro ospitante. Sintesi Le questioni pregiudiziali sono state sollevate nel corso di una controversia tra la sig.ra Chakroun, cittadina marocchina, e il Ministro degli affari esteri belga in ordine al rifiuto, opposto da quest’ultimo al rilascio alla prima di un permesso di soggiorno provvisorio al fine di poter convivere con il coniuge, anch’esso marocchino, ma residente nei Paesi Bassi, ove ha ottenuto un permesso di soggiorno a tempo indeterminato. La ragione del rifiuto si fondava sulla considerazione del il coniuge della ricorrente percepiva un’indennità di disoccupazione che gli garantiva un reddito inferiore rispetto al reddito standard applicabile per la creazione di una famiglia, ai sensi del diritto nazionale. Il giudice remittente si interroga in primo luogo sulla compatibilità della normativa nazionale che nega il ricongiungimento familiare a un soggiornante che abbia dimostrato di disporre di risorse stabili, regolari e sufficienti per mantenere se stesso e i suoi familiari, ma che, alla luce del livello del suo reddito, potrebbe ricorrere a forme di assistenza speciale, con l’art. 7, n. 1, parte iniziale e lett. c), della direttiva del Consiglio 22 settembre 2003, 2003/86/CE. Quest’ultima, ai fini del ricongiungimento familiare, prevede che il soggiornante disponga di risorse stabili e regolari sufficienti per mantenere se stesso e i suoi familiari senza ricorrere al sistema di assistenza sociale dello Stato membro interessato, e consente altresì di tener conto, nel valutare le risorse del soggiornante, della soglia minima delle retribuzioni nazionali. La Corte in primo luogo chiarisce che, in base alla direttiva, l’autorizzazione al ricongiungimento familiare costituisce la regola generale e che pertanto la facoltà concessa agli Stati di tener conto, nel valutare le risorse del soggiornante, della soglia minima delle retribuzioni nazionali (art. 7, n. 1, parte iniziale e lett. c), della direttiva) dev’essere interpretata restrittivamente. In particolare, la discrezionalità riconosciuta agli Stati membri non dev’essere impiegata dagli stessi in un modo che pregiudicherebbe l’obiettivo della direttiva, che è di favorire il ricongiungimento familiare, e il suo effetto utile. Pertanto, precisa la Corte, ai fini del ricongiungimento, gli Stati membri possono indicare una certa somma come importo di riferimento, ma non possono imporre un importo di reddito minimo al di sotto del quale qualsiasi ricongiungimento familiare sarebbe respinto, a prescindere da un esame concreto della situazione di ciascun richiedente. La normativa nazionale, nell’impiegare come importo di riferimento una soglia di reddito pari al 120% del reddito minimo di un lavoratore di 23 anni, importo oltre al quale qualsiasi ricorso all’assistenza sociale resterebbe escluso in linea di principio, non risulta corrispondere all’obiettivo consistente nel determinare se un individuo disponga di risorse regolari per mantenere se stesso. Infatti, la nozione di “assistenza sociale” di cui all’art. 7, n. 1, lett. c), della direttiva dev’essere interpretata come finalizzata all’assistenza che supplisce una mancanza di risorse stabili, regolari e sufficienti e non come l’assistenza che consentirebbe di far fronte a necessità straordinarie o impreviste. Con la seconda questione, il giudice remittente si interroga sulla compatibilità con l’art. 2, parte iniziale e lett. d) della direttiva, della normativa nazionale che, ai fini dell’applicazione del requisito del reddito, opera una distinzione tra il ricongiungimento familiare e la formazione della famiglia, a seconda che il vincolo familiare sia anteriore o posteriore all’ingresso del soggiornante nel territorio dei Paesi Bassi. La Corte, al riguardo, chiarisce che tale distinzione non è compatibile con la direttiva in quanto l’art. 2, parte iniziale e lett. d), definisce il ricongiungimento familiare senza distinguere a seconda del momento del matrimonio dei coniugi, dato che esso precisa che il ricongiungimento dev’essere inteso come il caso dell’ingresso o del soggiorno nello Stato membro ospitante di un familiare al fine di conservare l’unità familiare, “indipendentemente dal fatto che il legame familiare sia anteriore”. Note / Bibliografia / Causa C-440/08 del 18 marzo 2010 Estensore scheda SOKOL BANA Causa Causa: C-444/08 Prima sezione Pubblicazione C-444/08; in GUCE C 327 del 20.12.2008 p. 14 Parti: F. Gielen/ Staatssecretaris van Financiën Giudice relatore: M. Ilešič Avvocato generale: D. Ruiz-Jarabo Colomer Ambito tematico Libertá di stabilimento Parole chiave Fiscalità diretta – Art. 43 CE – Contribuente non residente – Imprenditore – Diritto a deduzione a favore di lavoratori autonomi – Criterio orario – Discriminazione tra i contribuenti residenti e non residenti – Opzione di equiparazione Oggetto Domanda di pronuncia pregiudiziale Parametro Art. 43 CE Esito L’art. 49 TFUE si oppone ad una normativa nazionale che, relativamente alla concessione di un beneficio fiscale, quale la deduzione a favore dei lavoratori autonomi di cui trattasi nella causa principale, ha effetti discriminatori nei confronti dei contribuenti non residenti, anche se questi contribuenti possono, relativamente a tale beneficio, optare per il regime applicabile ai contribuenti residenti. Sintesi Una normativa nazionale che, ai fini di un beneficio fiscale, quale la deduzione a favore dei lavoratori autonomi di cui trattasi nella causa principale, utilizza un «criterio orario» in modo da impedire ai contribuenti non residenti di contabilizzare le ore di lavoro effettuate in un altro Stato membro, rischia di operare principalmente a scapito di questi contribuenti. Pertanto, una tale normativa costituisce una discriminazione indiretta in ragione della cittadinanza ai sensi dell’art. 49 TFUE. Un regime nazionale restrittivo delle libertà di stabilimento rimane comunque incompatibile con il diritto dell’Unione, quand’anche la sua applicazione sia facoltativa. Ne consegue che la scelta consentita, nella controversia di cui alla causa principale, al contribuente non residente dall’opzione di equiparazione è priva di effetto neutralizzante relativamente alla discriminazione constatata. L’art. 49 TFUE si oppone ad una normativa nazionale che, relativamente alla concessione di un beneficio fiscale, quale la deduzione a favore dei lavoratori autonomi di cui trattasi nella causa principale, ha effetti discriminatori nei confronti dei contribuenti non residenti, anche se questi contribuenti possono, relativamente a tale beneficio, optare per il regime applicabile ai contribuenti residenti. Note Vedi in particolare le sentenze 12 giugno 2003, causa C-234/01, Gerritse, Racc. pag. I-5933; 12 giugno 2003; 6 luglio 2006, causa C-346/04, Conijn, Racc. pag. I-6137; 12 dicembre 2006, causa C-446/04, Test Claimants in the FII Group Litigation, Racc. pag. I-11753. Bibliografia