SOCIETA’ DI SCIENZE FARMACOLOGICHE APPLICATE SOCIETY FOR APPLIED PHARMACOLOGICAL SCIENCES SSFAoggi Notiziario di Medicina Farmaceutica Bimestrale della Società di Scienze Farmacologiche Applicate Aprile 2015 numero Fondata nel 1964 48 Farmaci e qualità Sommario: Editoriale 1 SSFA incontra AIFA 1 Studi clinici in oncologia 2 La Fase I in oncologia 4 Il libro di oggi 5 CRO 6 CRO 8 Congresso SMD 9 Regolamento UE 10 Livio Zeller 12 Oggi parliamo di…… 13 The Lancet 16 Notizie dai master 18 Nutraceutici 21 Dispositivi Medici 24 Top biotech jobs 27 Ricerca clinica in Italia 28 Top clinical failures 29 Euivalenza terapeutica 30 News on Clinical Trials 31 Nuovi Soci 32 Ho sempre detto che per tutti noi, che ci occupiamo di ricerca e sviluppo di farmaci, la qualità è un dovere etico: pur con il massimo rispetto per chi produce automobili o frigoriferi, io penso che sviluppare un farmaco, cercare di aiutare chi ha una malattia, a volte grave e mortale, richiede il massimo della qualità. Il percorso della qualità del farmaco, iniziato negli anni ’60, non conosce sosta. Sono state per prime messe a punto le norme GMP, poi le GLP, poi le GCP: ma il percorso continua ed, oltre agli ovvi aggiustamenti dovuti al progresso della scienza, oggi i riflettori della qualità sono puntati sulla preparazione dei professionisti che si dedicano allo sviluppo dei farmaci. Negli ultimi venti anni, a livello mondiale, si è sentita la necessità di attivare corsi post laurea dedicati ad approfondire le metodologie della ricerca e sviluppo dei farmaci, in due parole sono nati tanti master sulla Medicina Farmaceutica. Poi, a partire dal 2009, con il progetto PharmaTrain, si è affrontato il tema dell’armonizzazione di di questi questi corsi corsi post postlaurea. laurea.Era Eraovvio ovvioche chefosse fossecosì: così:il ilmondo mondo farmaco è globale, quindi poco importa se nuovo un nuovo farmaco venga svilupdel del farmaco è globale, quindi poco importa se un farmaco venga sviluppato pato nell’emisfero cosa importante, nuovo imperativo è nell’emisfero nord onord sud:olasud: cosalaimportante, il nuovoil imperativo morale èmorale che tutti che tutti i professionisti del farmaco devono la medesima preparazione. Ma i professionisti del farmaco devono avere la avere medesima preparazione. Ma un proun processo di qualità, unaattivato, volta attivato, si esaurisce: oggi SSFA sta dedicesso di qualità, una volta non sinon esaurisce: oggi SSFA si sta sidedicando cando conimpegno molto impegno al progetto SMD (Specialist in Medicines Develocon molto al progetto SMD (Specialist in Medicines Development), un pment), di verifica, svolto posto di lavoro da un tutor, percorsoun di percorso verifica, svolto sul posto di sul lavoro e seguito da eunseguito tutor, che valuterà che valuterà l’affinamento delle competenze e dopo 4 l’affinamento delle competenze professionali professionali del candidatodel e candidato dopo 4 anni raccoanni raccomanderà ad un Comitato Internazionale del titolo di manderà ad un Comitato Internazionale l’assegnazionel’assegnazione del titolo di SMD. SMD. Di questo progetto SSFA ne ha parlato con AIFA (vedere nota in basso), con FarDi questo progetto SSFAsocietà ne ha scientifiche, parlato con AIFA in consensi. basso), con Farmindustria, con diverse ed ha(vedere ottenutonota ampi mindustria, con diverse scientifiche, ed hache ottenuto consensi. Di questo parleremo in società dettaglio nel congresso SSFAampi sta organizzando, inDi questo parleremo in dettaglio anel congresso SSFA (il staprogramma organizzando, insieme ad IFAPP e PharmaTrain, Roma il 10 e che 11 giugno è a pasieme IFAPP e PharmaTrain, a RomaSMD il 10vede e 11 l’Italia giugnoed (il programma a pa-i gina 8).adDa sottolineare che il progetto il Giappone ècome gina Da che sottolineare il progettoma SMD vedeipotizzare l’Italia edche il Giappone come ili primi 8). Paesi lo stannoche applicando: è facile in poco tempo primi Paesi cheavrà lo stanno applicando: ma è facile ipotizzare che in poco tempo il progetto SMD una dimensione globale. progetto SMD avrà una dimensione globale. Domenico Criscuolo SSFA incontra AIFA sul progetto SMD Lo scorso 11 febbraio una delegazione SSFA composta da Salvatore Bianco, Francesco De Tomasi e Domenico Criscuolo ha incontrato una delegazione AIFA (Luca Pani, Guido Mangano, Luisa Muscolo, Sandra Petraglia e Silvia Miriam Cammarata): lo scopo era di illustrare il progetto SMD, la sua valenza globale, e chiedere una partecipazione di AIFA al congresso del 10-11 giugno, ma soprattutto al National Certification Board che avrà il compito di selezionare i candidati, identificare i tutor e definire le modalità di verifica delle competenze acquisite sul posto di lavoro, al fine di raccomandare l’assegnazione del titolo di Specialist in Medicines Development. La delegazione AIFA ha ascoltato con molto interesse il progetto che SSFA sta attivando in Italia, ed ha garantito la massima collaborazione nelle fasi della sua realizzazione. Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCB PRATO Anno VIII numero 48 Pagina 2 STUDI CLINICI IN ONCOLOGIA Si è svolto lo scorso 11 Novembre a Roma, nell’Auditorium Servier Italia, davanti ad oltre 40 partecipanti, il seminario di aggiornamento sugli “Studi clinici in oncologia”, organizzato dal gruppo di lavoro Medicina Farmaceutica. Dopo il benvenuto ed una breve introduzione di Marie-Georges Besse, dei moderatori Luigi Godi e Salvatore Bianco, il seminario si è aperto con la relazione del dott. Franco Mainini (Novartis Oncology), il quale ha illustrato lo stato dell’arte e le prospettive degli studi clinici oncologici in Italia, portando l’esperienza della sua unità di ricerca. Egli ha sottolineato come, negli ultimi 3-4 anni, l’andamento positivo di crescita del numero di studi clinici a cui avevamo assistito in passato ha iniziato a rallentare. Le percentuali di ripartizione degli studi si sono stabilizzate nel tempo, con un numero purtroppo sempre basso di studi di fase I (circa il 6%) ed una riduzione del numero di studi di fase IV e di studi no-profit di ricerca indipendente. Fra tutte le sperimentazioni cliniche eseguite in Europa, circa il 18% è svolto in Italia: dato in realtà molto al di sotto delle possibilità del nostro paese e delle sue eccellenze scientifiche. Il relatore ha anche evidenziato come, negli ultimi anni, la ricerca oncologica abbia subito una profonda trasformazione, sia in ambito preclinico che clinico. L’identificazione e la selezione di nuovi composti è stata significativamente accelerata, grazie all’utilizzo di modelli standardizzati di linee cellulari tumorali. I tumori sono sempre più classificati non solo in base al sottotipo istologico ma anche a mutazioni o amplificazioni geniche, che li rendono estremamente eterogenei da un punto di vista molecolare. Sono state messe a punto strategie di ricerca mirate ad identificare marcatori biologici predittivi di risposta, per esplorare le vie di trasduzione del segnale implicate nella cancerogenesi, migliorare la selezione dei pazienti da trattare ed aumentare le probabilità di successo. Si disegnano sempre di più studi di fase 1, che non solo permettono di ottenere informazioni sul profilo di tollerabilità del farmaco ma che for- niscono parallelamente anche precoci dati di attività, in modo da accelerare i tempi di sviluppo e di registrazione per le molecole più promettenti. A tale scopo, molte aziende farmaceutiche - Novartis Oncology ne è un esempio- hanno creato al loro interno strutture dedicate allo sviluppo e all’implementazione di studi clinici di fase precoce (I/II), spesso mirati all’identificazione di composti selettivi, in grado di interferire con processi molecolari alterati. Se da una lato abbiamo assistito ad un veloce e necessario cambiamento di approccio alla ricerca clinica oncologica, il dott. Mainini ha evidenziato come lo scenario normativo ed istituzionale sia ancora troppo lento e poco competitivo rispetto a quello europeo. La ripartizione dei centri coinvolti negli studi clinici, in particolare per gli studi di fase precoce, è ancora molto sbilanciata sul territorio, con una prevalenza del centronord. Questo sbilanciamento non è legato ad una diversa distribuzione delle eccellenze scientifiche, in quanto anche al centro-sud troviamo ottime strutture con elevate competenze, che vengono però penalizzate da un iter burocratico autorizzativo ancora troppo lento e poco competitivo. I tempi medi di attivazione di uno studio clinico, dalla presentazione della domanda di autorizzazione alla firma del contratto, sono spesso superiori ai 5 mesi. Questo rende l’Italia lontana dagli standard di efficienza europei e quindi poco “attraente”, soprattutto per gli studi di fase precoce, che hanno generalmente una durata breve e necessitano di un rapido reclutamento. Come ha ricordato il relatore, le modifiche introdotte dal decreto Balduzzi avevano lo scopo di migliorare i tempi autorizzativi, centralizzando le competenze e riducendo il numero dei Comitati Etici. Il decreto è stato però recepito dalle regioni in modo molto diversificato ed in alcuni casi estremamente lento, con conseguenti ritardi nella riorganizzazione e nell’ attività dei Comitati Etici. Il relatore ha quindi evidenziato la necessità di migliorare l’iter autorizzativo di uno studio clinico, proponendo ad esempio di definire in modo più chiaro i ruoli e le responsabilità dell’Autorità Competente e dei Comitati Etici, per evitare sovrapposizioni di giudizio; creando una rete di Comitati Etici “esperti” che possa supportare l’attività di AIFA; consolidando il ruolo dell’Istituto Superiore di Sanità, che rappresenta un ottimo esempio di supporto ed efficienza, per l’autorizzazione degli studi di fase I. In conclusione, da questa prima parte del seminario, è emersa la necessità di coniugare l’eccellenza e le competenze italiane con una maggiore operatività ed efficienza istituzionale, per poter garantire a chi investe in ricerca nel nostro paese non solo degli elevati standard qualitativi ma anche credibilità, affidabilità e rapidità di sviluppo. Il seminario è proseguito con la rela(Continua a pagina 3) Anno VIII numero 48 Pagina 3 (Continua da pagina 2) zione del dott. Paolo Bruzzi, direttore del dipartimento di Epidemiologia Clinica dell’Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro (IST) di Genova, il quale ha illustrato gli aspetti metodologici e statistici applicati agli studi clinici in oncologia. Il relatore ha innanzitutto sottolineato come, per disegnare uno studio clinico robusto ed analizzare i suoi risultati in modo adeguato, sia indispensabile affiancare alle competenze cliniche un supporto statistico specializzato e definire in anticipo le analisi statistiche da applicare. In passato, il processo di sviluppo clinico di un farmaco era abbastanza rigido e si avvaleva di un piano statistico predeterminato, per ridurre al massimo la possibilità di errore. Negli ultimi 20 anni, gli enormi passi avanti ottenuti nelle conoscenze genetiche e molecolari dei tumori hanno permesso di identificare bersagli biologici specifici ed individuare terapie mirate. Tali progressi hanno però evidenziato la necessità di implementare, negli studi clinici, nuovi disegni statistici ed identificare nuovi parametri per valutare l’attività e l’efficacia dei farmaci biologici. Questi farmaci spesso non inducono le risposte eclatanti osservate con la classica chemioterapia ma favoriscono una stabilizzazione della malattia tumorale, anche per lunghi periodi. Il dott. Bruzzi ha evidenziato come, per queste nuove terapie, la riduzione volumetrica della massa tumorale non sia più un criterio sufficiente per valutare la risposta anti-tumorale, ma dovrebbe essere affiancata da ulteriori analisi, quali la valutazione della risposta metabolica, mediante l’uso della PET-scan o l’analisi di mutazioni in specifici processi molecolari, mediante esami immunoistochimici su biopsie multiple. Il dott. Bruzzi ha inoltre sottolineato come le maggiori conoscenze genetiche e molecolari dei tumori hanno rivoluzionato anche il concetto di “rarità”. In passato si definiva “raro” un tumore in base alla sua istologia o alla sede in cui si sviluppava, oggi si parla di “condizioni tumorali rare”, legate cioè all’espressione di diverse varianti molecolari. Pertanto, anche tumori classicamente ad alta incidenza, quali il tumore della mammella o il tumore del polmone, vengono oggi finemente classificati in sottogruppi molecolari rari, in base all’espressione, alla mutazione o all’amplificazione di specifici geni o recettori. Sviluppare uno studio clinico in una condizione tumorale rara significa quindi avere a disposizione un campione piccolo, costituito da pochi pazienti finemente selezionati. E’ pertanto indispensabile disegnare e condurre questo tipo di studi in modo estremamente accurato e strutturato, per sopperire alle limitate dimensioni del campione e garantire comunque robustezza statistica allo studio. A tale scopo, accanto a revisioni sistematiche e metanalisi “non ortodosse” che si basano su casereport, studi non controllati o con endpoint surrogati, il dott. Bruzzi ha spiegato che nel disegno di studi clinici in condizioni tumorali rare e/o Daniela Visini si è laureata in Chimica e Tecnologia Farmaceutica all’Università di Bologna ed ha conseguito il dottorato di ricerca nel laboratorio di Farmacologia e Tecnologie Biomediche dell’Università di Chieti. Da 8 anni lavora presso l’Istituto di Ricerca Servier (Roma), dove si occupa della gestione e dello sviluppo, in Italia, di studi clinici di fase precoce in campo oncologico. con farmaci a bersaglio molecolari è sempre più spesso utilizzata la statistica Bayesiana. Spesso accusato di essere soggettivo e facilmente manipolabile, in realtà l’approccio Bayesiano permette di integrare l’evidenza sperimentale ottenuta dai risultati di uno studio clinico, con le conoscenze “a priori” su quel tumore o su quella mutazione, calcolando quindi la probabilità che un evento si verifichi, sulla base delle informazioni disponibili. Infine, il dott. Bruzzi ha ricordato come un altro strumento importante e sempre più utilizzato negli studi recenti è rappresentato dai “disegni adattativi”: disegni che consentono cioè di modificare alcuni aspetti dello studio ancora in corso, sulla base delle informazioni emerse fino a quel momento, senza comprometterne la validità. Le modifiche attuate devono essere predefinite e giustificate nel protocollo e possono includere cambiamenti nella dimensione del campione, nei criteri di inclusione/esclusione, nelle dosi o regimi di trattamento, negli endpoint dello studio o nella sua chiusura anticipata per efficacia/futilità. In conclusione, il relatore ha evidenziato come la crescente applicazione di questi nuovi modelli statistici permetta di aggiornare i risultati in corso di studio, trasferire le evidenze e le conoscenze da un tumore all’altro, accelerando il processo di sviluppo di un farmaco, ma renda anche necessario delineare nuove raccomandazioni metodologiche e appropriate linee guida, per svolgere in modo corretto uno studio clinico. Daniela Visini Anno VIII numero 48 Pagina 4 LA FASE I IN ONCOLOGIA Il primo seminario 2015 del GdL Medicina Farmaceutica si è tenuto lo scorso 13 gennaio, presso la nuova e bella sala convegni del Centro Diagnostico Italiano (Milano), che ringraziamo nuovamente per la cortese ospitalità. Il tema del seminario era stato scelto tenuto conto del recente incremento, confermato anche dai dati dell’osservatorio sulle sperimentazioni cliniche, degli studi di Fase I, quasi completamente ascrivibile all’oncologia. La proposta è stata ben accolta dai nostri soci: infatti la sala era piena, con circa ottanta partecipanti. La prima relatrice, la dr.ssa Patrizia Popoli (ISS), ha ricordato brevemente la procedura e la documentazione necessarie per poter accedere alla Fase I: ha naturalmente ricordato la peculiarità della Fase I in oncologia, che viene svolta su pazienti, spesso in condizioni gravi perché già esposti a diverse linee di chemioterapia. Ha raccomandato grande attenzione alla scelta della dose per l’uomo, ricordando che bisogna tener presenti sia la frequenza che il numero di cicli di somministrazioni, ed invitando tutti coloro che si accingono a scrivere un protocollo di fare riferimento alla linea guida EMA sugli studi “first in man”, ponendo particolare attenzione agli intervalli fra le coorti di pazienti. Infine, per quanto riguarda il ruolo dell’ISS, ella ha ricordato che il DPR 439 del 21 settembre 2001 ha imposto all’ISS la formazione di una commissione per la valutazione delle proposte di studio di Fase I: tale commissione si riunisce una volta al mese, ed ai promotori viene raccomandato di chiedere un’audizione prima della presentazione della domanda (preIND meeting): tali incontri sono gratuiti, vedono la partecipazione di diversi esperti dell’ISS e posso confermare – anche per esperienza personale – che sono non solo molto utili, ma vengono convocati a breve intervallo dopo la richiesta del promotore. In conclusione, ha mostrato qualche dato, sottolineando che le domande di autorizzazione a studi di Fase I sono passate da 10 nell’anno 2001 ad 80 nell’anno 2013, e che l’oncologia rappresenta circa il 70% del totale delle richieste. Il secondo relatore è stato Corrado Gallo Stampino il quale ha fatto una breve introduzione, ricordando il disastro di Bari come tappa fondamentale della nascita della chemioterapia (si veda SSFAoggi numero 45): ha poi dimostrato come l’approccio tradizionale alla Fase I in oncologia (triplette di pazienti con aumento della dose, fino ad arrivare ai segni di tossicità) sia oggi molto criticato, sia perché è molto lungo, sia perché espone diversi pazienti a dosi sub-terapeutiche di farmaco. Si è quindi soffermato sui nuovi disegni sperimentali utilizzati (accelerated design, PK dose escalation, adaptive model), commentandone pregi e debolezze. Ha infine concluso ricordando che oggi l’impostazione della Fase I in oncologia è sempre più strategica, perché da una corretta Fase I si può passare – in casi parti- all’esperienza di Pisa, gli studi sui biomarcatori spesso siano descritti in modo insufficiente. Dopo una breve pausa, ha preso la parola il prof Francesco Di Costanzo (AIOM), ricordando che l’oncologia medica in Italia nacque negli anni ’73-’74: tuttavia i primi gruppi cooperatori si sono formati solo negli anni ’80. Alcuni di questi gruppi sono multidisciplinari, altri si occupano di una sola patologia (mammella, polmone); i gruppi si occupano principalmente di studi no-profit. Tuttavia, a partire dagli anni ’90, i requisiti per attivare gli studi clinici sono diventati più rigorosi, i costi sono aumentati, e molti gruppi hanno abbandonato l’iniziale vocazione per la ricerca. Dagli iniziali venti e più gruppi cooperatori, oggi ne sono rimasti solo 8, e fra i più attivi ha ricordato GOIRC, ITMO e GONO. Infine, ha fatto un colari - ad un allargamento della casistica, ed arrivare ad un’approvazione precoce. Ha poi preso la parola il prof Romano Danesi (Università di Pisa), che ha ricordato come gli studi in oncologia siano caratterizzati da una percentuale molto alta di insuccessi: questo ha stimolato la ricerca di nuovi approcci, basati sulla valutazione di biomarcatori e sull’utilizzo di tecniche di imaging. Nel suo ruolo di presidente del Comitato Etico, ci ha detto che, nel valutare le domande di Fase I in oncologia, viene posta grande attenzione alla documentazione esistente, ed alla formulazione del consenso per i pazienti. Ha infine sottolineato come, in base breve cenno al documento programmatico AIOM sulla formazione degli addetti alla sperimentazione clinica, e sulla certificazione AIOM dei centri clinici, ribadendo l’impegno AIOM per la formazione dei propri soci. Hanno infine preso la parola due colleghi che hanno messo a punto due centri di Fase I: il dr Stefano Milleri (CRC Verona) ed il dr Mario Regazzi (Policlinico Pavia) Entrambi hanno raccontato le loro esperienze, le difficoltà superate ed anche i brillanti risultati che hanno raggiunto. E’ seguita una vivace discussione, a conferma dell’interesse per l’argomento prescelto. Domenico Criscuolo Anno VIII numero 48 Il libro di oggi… Bodies of Light ( Becoming a doctor ), Sarah Moss Cutting up a dead body for the first time was one of the most important moments in my surgical training. And not just for its obvious ghoulishness. Of course, the revolting details are imprinted in my memory forever: the resistant tug of pickled flesh under blade, the creepy silhouette of a dozen bodies draped in canvas, the horrible smell. But more than this, what I remember is a feeling of elation. Sunshine through high, open windows. Laying out my clean, steel instruments and anatomy book. The tang of autumn playing against formaldehyde. A sense that becoming a doctor was going to be the biggest adventure of my life. The excitement felt by Ally Moberley, the doctor in Sarah Moss's third novel, is all the more acute because of the era in which the book is set. She is a 19thcentury protagonist, one of the first British women ever to enter the medical profession, the fictional sister of Elizabeth Blackwell and Eleanor Davies-Colley. In Bodies of Light Moss conjures the kind of parents that might have produced such a pioneer, a rigid feminist mother and a successful painter father, and then charts her progress from infancy right up to assimilation into life as a doctor. In many ways, Moss has written a wonderful book. By describing not only the cold, puritanical style of Ally's mother, but also of her mother before her, Moss gives us to understand why Ally desires a hard, useful life. And our admiration for the choice she makes is rendered stronger by the fact that it is clearly not the only path available to her. Her sister, May, chooses to spend her time sitting, sometimes naked, for the artists in her father's circle. By offering us this counterpoint— each chapter begins with a description of one of Alfred Moberley's paintings—Moss shows us that Ally is formed by maternal hard morals on the one hand, and a lush paternal libertinism on the other. The contrast Pagina 5 between the two sisters, developed throughout the novel, lends it great texture. Moss's depiction of the physical and emotional pain encountered by the young Ally, under her mother's “improving” jurisdiction, is poignant. At one point in her girlhood, found wrongly guilty of some minor infraction, Ally is forced to hand over her longed-for birthday presents and cake so that they may be donated to poor children deemed to be more worthy of them. We feel her sadness acutely but also begin to sense the formative effects of such privation. The young Ally is being forced into a habit of selfsacrifice that will equip her perfectly for the rigours of medical training. Bodies of Light also triumphs at conveying what it feels like to be a doctor. Moss has achieved more here than can be done with research alone. Her depiction of Ally's professional life is not just beautifully realistic, complete with details of operations and disease and even the mnemonics by which doctors remember the vast catalogue of anatomical and pathological details they need to know. She also grapples with the true existential questions of what it means to be a doctor. The tricky business of how to interpret a patient's story, the value of realising that the very best care may arise not from setting oneself apart from patients and their needs, but from an appreciation of one's own imperfections and fallibility. Perhaps most importantly, Moss's writing is beautiful. Example of this abound: “There is birdsong but no visible birds, as if the day sings to itself”; and “The baby is crying, its rage spreading like smoke through the house, curl- ing under the ceiling”. Moss's prose never jars and frequently has the quality of revelation. Given how the section in which Ally finally becomes a doctor sings, I thought it was a shame that Moss takes so long getting there. Perhaps too much of the book is given over to describing harsh mothering: in the earlier parts of the novel I began to tire of all the examples of maternal cruelty, from grandmother to mother and then from mother to daughter. There are also parts in the book where one feels the heavyhandedness of diligent historical research. Although this gives Bodies of Light an authenticity, just occasionally it is as if Moss can't resist telling us what she has learned in the library that day. And the story stalls when she does this. But these are small imperfections in a very fine work. When Ally approaches the dissecting room for the first time she does not do so only with excitement, but with a real sense of trepidation. What if she can't do it after all? What if she fails? Bodies of Light is not just a well-researched and beautifully written book. It is one which succeeds in capturing the real nuances of being a woman doctor, now as then. This is no small achievement. A cura di Domenico Criscuolo Rispolveriamo …il nostro inglese! Ghoulishness = macabro; elation = euforia; tang = sapore forte; lush = rigoglioso; poignant = intenso; to grapple = lottare; harsh = rigido. Anno VIII numero 48 Pagina 6 CONTRACT RESEARCH ORGANIZATION (CRO) E OPEN INNOVATION NEL SETTORE LIFE SCIENCE Per la crescita di un sistema paese è di fondamentale importanza investire nell’innovazione e nelle iniziative imprenditoriali capaci di portare sul mercato prodotti e servizi ad elevato contenuto scientifico e tecnologico. Si tratta di una sfida che chiama in causa i centri produttori di nuove conoscenze tecnico-scientifiche e, quindi, in primo luogo le Università e le nuove start up tecnologiche, che possono svolgere un ruolo di primo piano all’interno dei processi di “Innovazione Aperta” che contraddistinguono oggi le imprese leader nel mercato. L’emersione di nuovi paradigmi tecnologici, cambiando il novero delle risorse e abilità chiave necessarie per competere in un settore, in particolare, può svolgere un ruolo importante nella rivisitazione delle tipologie di organizzazione delle funzioni di Ricerca e Sviluppo (R&S) di una specifica industria e aziende l’opportunità di esplorare rapidamente ed efficientemente i risultati innovativi della ricerca nel settore life science tramite ridotti costi di transazione, un accelerato time to market ed uno sviluppo globale. Una crescente domanda di mercato è stata registrata, infatti, per le CRO, che possono cooperare con le aziende al fine di creare valore e migliorare la competitività sul mercato, diventando partner di innovazione (Fig. 1). Le CRO sono state analizzate in una ricerca promossa dal Laboratorio Imprenditorialità Innovativa e Spin off Accademici (L.I.S.A.), il cui direttore è il prof. Roberto Parente, Ordinario di Innovazione e Imprenditorialità presso il Dipartimento di Studi e Ricerche Aziendali (DISTRA) dell'Università degli Studi di Salerno. Obiettivo dello studio: approfondire il ruolo delle CRO nel sistema di innovazione del settore dio delle CRO in Italia sono stati presentati al convegno dell’International Council for Small Business (ICSB) che si è svolto a Dublino nel periodo 11-14 giugno 2014, in un lavoro dal titolo: “Structural Change in Industry as Entrepreneurial Opportunity: CRO rise in Life Science”, pubblicato dagli autori Roberto Parente, Anna Gimigliano, Luciana Fontana. Lo studio sulle CRO ha consentito di identificare alcune caratteristiche principali di queste organizzazioni a livello nazionale e di confrontare il profilo italiano della CRO con il contesto internazionale. Le CRO presenti in Italia, che hanno partecipato all’indagine, risultano nate principalmente tra il 1990 e il 2000, sia come filiali di società multinazionali che come società italiane, e si sono rivelate essere in gran parte micropiccole imprese per numero di dipendenti e fatturato medio annuo. Le possono spingere verso un sistema più decentralizzato. L’industria delle scienze della vita rappresenta un settore molto interessante per analizzare tali dinamiche. La R&S in questo settore, infatti, è profondamente cambiata: le aziende si sono evolute da un’organizzazione verticalmente integrata ad una fondata sulla capacità di integrazione di competenze di ricerca e sviluppo di terzi soggetti. La collaborazione, più o meno strutturata, con partner esterni ha consentito alle aziende biofarmaceutiche di guadagnare accesso a piattaforme tecnologiche innovative e di condividere i rischi correlati allo sviluppo di nuovi prodotti diagnostici e farmaceutici. Nel settore life science, le Organizzazioni di Ricerca a Contratto (CRO) si sono rivelate una risorsa chiave. La CRO supporta le aziende farmaceutiche e biotecnologiche offrendo servizi di elevato profilo per lo sviluppo di un prodotto a scopo diagnostico o terapeutico. Le CRO forniscono alle biofarmaceutico. In particolare, grazie alla preziosa partecipazione allo studio di una parte delle CRO presenti in Italia, è stato possibile delineare un primo profilo del settore CRO in un sistema biofarmaceutico open e individuare i principali modelli di business applicati dalle CRO. I risultati molto interessanti della ricerca hanno mostrato che le CRO sono in grado di coprire importanti segmenti di mercato nella catena di valore di un farmaco, con una vasta gamma di servizi, forniti in outsourcing o partnership, dalla ricerca applicata nella fase precoce di sviluppo alla commercializzazione. L’analisi ha inoltre evidenziato che le CRO nel tempo hanno sviluppato differenti modalità di offerta per soddisfare le esigenze dei vari stakeholder, preservando il valore principale di efficienza e innovazione grazie all’integrazione di risorse, competenze, clienti/partner e infrastruttura tecnologica. I dati ottenuti dalla prima fase di stu- CRO in Italia, soprattutto se multinazionali, sono apparse come realtà dinamiche, inclini ad operazioni straordinarie di fusione e acquisizione e con una crescente attitudine ad internazionalizzare le loro attività, stabilendo partnership in aree geografiche emergenti, come i Paesi BRICS. Per individuare le modalità di business adottate dalle CRO in Italia, si è scelto di analizzare in particolare le attività, i clienti e il tipo di relazione che la CRO instaura con il cliente. I dati hanno evidenziato che il core business delle CRO si correla soprattutto agli studi clinici, anche se una diversificazione dei servizi è stata realizzata negli ultimi anni, includendo le attività della fase precoce di ricerca nel processo di R&S dei prodotti farmaceutici e le tecnologie digitali, come le piattaforme eclinical. Per tali attività le CRO hanno mostrato una crescente collaborazione con l’Università, anche in considerazione di altri dati importan(Continua a pagina 7) Anno VIII numero 48 (Continua da pagina 6) ti: un rilevante coinvolgimento nella forza lavoro della CRO di personale in possesso di dottorato di ricerca universitario, ed un numero considerevole di pubblicazioni scientifiche Pagina 7 2). Le CRO osservate in Italia stanno modificando le loro prospettive strategiche orientandosi verso un modello open, dall’outsourcing transazionale, di tipo tattico ed a breve termine, ad un modello di outsourcing funziona- forzando il suo ruolo strategico nella gestione delle attività core e non core dell’azienda biofarmaceutica, che spesso decide di esternalizzare a livello globale, secondo un modello di partnership noto come end-to-end o one stop shop. Una seconda fase della ricerca sarà necessaria per approfondire la conoscenza dei principali modelli di business identificati, attraverso brevi interviste dirette alle aziende CRO che vorranno collaborare all’analisi di questo importante settore industriale. Si ringraziano, quindi, le CRO e le istituzioni che vorranno dedicare attenzione a questo nuovo percorso di ricerca. Roberto Parente, Anna Gimigliano, Luciana Fontana con il mondo accademico. A fronte del cambiamento strutturale globale dell’industria biofarmaceutica e nella cornice dell’open innovation, i modelli di business scelti dalle CRO si sono evoluti nel tempo e possono essere identificati a grandi linee in tre tipologie, che vanno da un approccio tattico ad uno cosiddetto strategico: si può parlare di outsourcing transazionale, outsourcing funzionale, outsourcing virtuale, tutti modelli applicati in differenti modi dalla CRO per fornire i propri servizi al cliente/partner di business (Fig. le, allontanandosi dal cosiddetto sistema fee-for-service a favore di relazioni più a lungo termine con il cliente, basate sullo sviluppo di progetti e un sistema di condivisione di rischi e ritorni. Nel processo di ulteriore deverticalizzazione del mondo BioPharma e dell’industria in generale, che ha generato un numero crescente di accordi di cooperazione tra grandi aziende farmaceutiche e piccole aziende biotecnologiche, così come tra il settore industriale e quello accademico, la CRO sta anche adottando un modello di business virtuale, raf- Informazioni sugli autori Roberto Parente è professore ordinario di Innovazione e Imprenditorialità, Anna Gimigliano ha un PhD in Biotecnologie, Luciana Fontana ha un PhD in Ingegneria ed Economia dell’Innovazione. Lavorano presso il Dipartimento di Studi e Ricerche Aziendali - Management & Information Technology (DISTRA-MIT) - Laboratorio Imprenditorialità Innovativa e Spin-off Accademici (LISA)- Università di Salerno. Anno VIII numero 48 Pagina 8 La rivista IFAPPworld, che viene inviata regolarmente a tutti i soci, e che potete trovare sul sito IFAPP e SSFA, nel numero di novembre 2014 ha pubblicato un interessante articolo sul ruolo delle CRO: ve lo proponiamo, con un commento di Domenico Criscuolo, pubblicato sulla stessa rivista nel febbraio 2015. The Ever-Increasing Importance of CROs in Drug Development During my IFAPP presidency (2000 to 2002) I had the great pleasure of attending the II Pan-American Congress in Pharmaceutical Medicine in Buenos Aires, Argentina. The lecture I was invited to give from a CRO perspective was entitled “Outsourcing Clinical Trials: Ever, Never, Sometimes?” This was at a time when clinical CROs were nearing the capacity of biopharma clinical research with 55,000 staff in the US and Europe (1), ten years after I had joined the CRO industry subsequent to 15 years of big pharma employment. By 2001, the CRO industry had reached considerable maturity as defined not only by its staff number – compared to 1980 clinical CROs in the US and Europe were grown by the factor 6.6 - but also in terms of geographic presence and competency. The forecast was that outsourcing would further grow in importance. This became undoubtedly a reality. Nowadays, the largest global CROs conduct more clinical trials than any pharma company. Fellow pharmaceutical medicine professionals have like me moved from being employed by study sponsors to providing customer services to their previous employers. Economy of scale in outsourced trials led to efficiency gains with shortened clinical development time cycles despite ever-increasing regulatory demands and complex study designs without compromising quality (2). “CRO segment is integral - not peripheral – to the drug development enterprise” concluded the author, Ken Getz, in 2006. Survey results released by ACRO, the association representing the eight world’s leading clinical research organizations, in September 2014 impressively reflect today’s role of CROs in clinical development (3). Thus, having gained a further decade in upgrading breadth and depth of CRO services and the cooperation between pharmaceutical professionals at both sides of the equation, can we as heavily involved players lean back and be satisfied with what we have reached? I sense considerable room for improvement is on the soft side of effective clinical partnerships, including, but not limited to, mutual trust and respect, excellence in sharing relevant information timely, an inspiring ‘we are one team’ spirit of sponsor and CRO staff on common projects, no finger pointing and redundant oversight efforts exceeding quality management processes of internally managed projects to a ridiculous extent. An area of concern to all of us should be ‘fake RFPs’ (request for proposals) deriving from misinterpretation of internal policies. In order to reach compliance, CROs receive invitations to bid despite having a zero chance of winning the project due to a predetermined successful vendor. Being compliant by abusing a service provider’s time and knowledge is by no means in line with sound business ethics. On the CRO side of the clinical development enterprise, size should not divert from the service mission. Big is not necessarily best in class. Complacency is rarely appropriate. I am certain that colleagues working in biopharma can add further suggestions for improvement that would help moving forward most effectively. In conclusion, since my presentation in Buenos Aires in 2001 the clinical development enterprise has left the era when ‘never’ or ‘sometimes’ were viable outsourcing options. Small- and midsize biopharma have for obvious reasons reached the ‘ever’ stage, and big biopharma has arrived at the ‘most often’ level. The productivity gains demanded from us will not only come from new outsourcing strategies, disruptive technologies, uplifted approaches to organizational paradigms and clinical trial methodologies but also from optimization of the soft-skill side at the multiplicity of sponsor-CRO interfaces. Fairness, trust and respect of each other as equals will be the en- abler of true value delivery to clinical development and consequently to patients who are in need. Johanna Schenk References: 1. Hughes, G, O‘Neill, M, Annual Review of Contract Research Organisations, European Pharmaceutical Contractor, February 2001, 16-27 2. Getz KA, Insights from Today’s CRO Renaissance, Applied Clinical Trials, June 2006 3. Association of Clinical Research Organizations (ACRO), ACRO Survey Shows Strong Growth of CRO Industry, member survey posted on 16 September 2014, as downloaded from http:// www.acrohealth.org/acro-survey-showsstrong-growth-cro-industry Dear Dr Schenk, I read with great interest your editorial, and I am pleased to accept the invitation for comments. First of all, let me say only that I have a large experience in clinical research: big pharma (27 years), global CROs (4 years) and small biotechs (8 years, ongoing). During these years, I dealt with several CROs and sponsors, so my comments are based on a large series of negotiations, sitting on both sides of the table. First, let me confirm your opinion: I too feel the need for improvement, which must be addressed to both parties. I will concentrate on a few aspects of your analysis. The first one is the “we are one team” spirit. I heard this concept hundred of times, but….is it true? I doubt. Over the years, CROs learnt how to prepare their offers using the “salami slicing” method, which is to describe in very defined details one major activity, i.e., the complete management of the clinical study. This approach generated not only very complex offers (10 full pages, or even more, only for cost descriptions) and a significant increase of costs, but as a consequence, it created in the CROs (Continua a pagina 9) Anno VIII numero 48 Pagina 9 people the attitude of “working with the contract on the desk”. CROs are for-profit organizations, but I learnt that they love the out-of-scope activities. This means that any task not included in the initial offer, is charged to the sponsor, which must accept. CROs love the out-of-scope tasks simply because the sponsor has no option to refuse them. And I saw out-of-scope bills for a few hundred euro, linked to a multi million contract. Is this the “one team spirit”? Not in my view. The second comment refers to the role of the CRO project manager: I am sure everybody will agree that he/she is the most important player for a successful study. Now, what I experienced so many times, that it is almost the rule? In the bid defense request from 3 to 5 proposals for each study, in order to identify the best quality/cost ratio. In a very competitive arena like the one of CROs, an ethical and unbiased approach to compare different proposals must be the way to go. In conclusion, let me only say that today the collaboration sponsorCRO is mandatory, but there is a huge potential for improvement . Indeed, I would welcome also in our world the UEFA logo: RESPECT! meeting, a very experienced PM is introduced to the sponsor. He/she will eventually start in this role,but….after a few months, a CRO communication informs the sponsor that the PM has been promoted, and you are left with a less experienced PM. This story happened to me so many times, that I start thinking I bring luck to the PMs of my studies: in fact, after just a few months, all of them get a promotion! The third and final comment is related to the “fake” requests, which sometimes sponsors address to CROs, having already decided which one will win the project. This is of course a very unethical approach, which I would definitely discourage. On the other side, sponsors usually Domenico Criscuolo Dr. Johanna Schenk has been assuming the role of COO & Managing Director of PPH plus, a European clinical development consultancy and project leadership organization, located in Frankfurt am Main, Germany, from October 2004. She looks back at 15 years of clinical research and pharmaceutical medicine experience gained at US pharma companies (Eli Lilly, Bristol-Myers, Merrell), followed by 13 years of international senior management and operational responsibilities at two global CROs, Quintiles and Omnicare, before co-founding PPH plus. Born in Vienna, she studied medicine at the Universities of Vienna and Bonn, earning her MD and PhD. She holds a diploma in Pharmaceutical Medicine from the German Society of Pharmaceutical Medicine (DGPharMed) and is a Fellow of the Faculty of Pharmaceutical Medicine (FFPM). :('1(6'$<-81(0251,1* 7+856'$<-81(0251,1* 6(66,217,7/(('8&$7,21,13+$50$&(87,&$/0(',&,1( $55,9$/2)*8(676$1'3$57,&,3$176 35(6(17$1')8785( &+$,53(56216,QJULG.OLQJPDQQ37)*XVWDYR.HVVHOULQJ,)$33 3XEOLFDQGSULYDWHSDUWQHUVKLSVWRDGYDQFH :('1(6'$<-81($)7(51221 HGXFDWLRQLQPHGLFLQHVGHYHORSPHQW 0LNH+DUGPDQ 3KDUPDWUDLQDQ(8LQLWLDWLYHJRLQJJOREDO ,QJULG.OLQJPDQQ 7KHSKDUPDWUDLQFHQWUHVRIH[FHOOHQFHLQ,WDO\3LHUOXLJL1DYDUUD 7KHFRQFHSWRIVSHFLDOLVWLQPHGLFLQHV 6(66,217,7/(&(/(%5$7,1*7+(),567<($562),)$33 &+$,53(56216+RQRULR6LOYD,)$330DUFR5RPDQR66)$ &2))((( GHYHORSPHQW 'HYHORSLQJDJOREDOFHUWLILFDWLRQERDUG $QWRQLR7RUVHOOR 3HWHU6WRQLHU +HLQULFK.OHFK 60'LPSOHPHQWDWLRQLQ-DSDQ.\RNR,PDPXUD ,QWURGXFWLRQIURPWKHFKDLUV 0HGLFLQHVGHYHORSPHQWHGXFDWLRQLQORZ 6DQGRU.HUSHO)URQLXV %DFNWRWKHIXWXUHURXQGWDEOHZLWKVRPH ,)$333DVW3UHVLGHQWV 'RPHQLFR&ULVFXROR *HUIULHG1HOO ',6&866,21 -RKDQQD6FKHQN 3HWHU6WRQLHU 7KHKLVWRU\RI,)$33 7KHGHYHORSPHQWRI3KDUPDWUDLQ /XFLDQR0)XFFHOOD LQFRPHFRXQWULHV 6DP6DOHN &RPSHWHQFLHVLQFOLQLFDOUHVHDUFK /XFLDQR0)XFFHOOD +RQRULR6LOYD -HDQ0DULH%RH\QDHPV 7+856'$<-81($)7(51221 6(66,217,7/(&(57,),&$7,21,13+$50$&(87,&$/0(',&,1( ,)$33IXWXUHVWUDWHJLHVIRUFRPSHWHQFHGHYHORSPHQW /81&+ 7($ DJOREDOSHUVSHFWLYH 7KH&/,&SURMHFW &RPSHWHQFLHVLQSKDUPDFHXWLFDOPHGLFLQH'RPLQLTXH'XERLV $1'&/,1,&$/5(6($5&+ 7KHYLVLRQRIUHJXODWRUV $GGUHVVLQJH[SHFWDWLRQVIURP1DWLRQDO$VVRFLDWLRQV'DQLHO6HKUW &+$,53(562163HWHU6WRQLHU37)'RPHQLFR&ULVFXROR66)$ 7KHYLVLRQRISKDUPDFRPSDQLHV 6HUJLR%RQLQL(0$ 6DQGUD3HWUDJOLD$,)$ )$50,1'8675,$ 7KHYLVLRQRI,WDOLDQSKDUPDFRORJLVWV 7KHYLVLRQRI&52V 3ODQVIRUDQG,&30*XVWDYR.HVVHOULQJ 3HUVSHFWLYHVIURPWKH,WDOLDQDVVRFLDWLRQ RIPHGLFDORQFRORJ\ 7KHUROHRIWKH)DFXOW\RI3KDUPDFHXWLFDO0HGLFLQH.HLWK%UDJPDQ ',6&866,21 )UDQFHVFR5RVVL6,) 0DULDSLD&LUHQHL$,&52 0DVVLPR'L0DLR$,20 &21&/86,216$1':5$383 )5207+(&+$,56 &2&.7$,/ $%86:,///($9(7+(&21)(5(1&(9(18()25),80,&,12$,53257 75$9(/7,0($3352;,0$7(/<0,187(6 Anno VIII numero 48 Pagina 10 Conformità alla GCP nel Regolamento UE n. 536/2014 sulla sperimentazione clinica dei medicinali per uso umano che abroga la direttiva 2001/20/CE: maggiori o minori obblighi rispetto alle norme attuali? Introduzione Come è ormai noto e atteso dagli operatori nel settore delle sperimentazioni cliniche dei medicinali, dal maggio 2016 ( salvo possibili rinvii) entrerà in applicazione il Regolamento UE 536/2014 sulle Sperimentazioni Cliniche dei Medicinali. Il Regolamento è stato già descritto su questa rivista , dandone una visione di insieme della sua complessità ed articolazione; con il presente articolo si vuole analizzare brevemente una tra le varie tematiche del Regolamento , che è elemento fondamentale di riferimento per la conduzione delle sperimentazioni e cercare di comprendere se su questa tematica vi siano delle differenze sostanziali con la normativa attualmente vigente e in tal caso quali. Si tratta della Buona Pratica Clinica (GCP) , che costituisce elemento e finalità di rilievo prioritario nella attuale normativa europea. Normativa attuale Enunciazioni Già dai titoli delle Direttive attualmente in vigore in tema di sperimentazioni dei farmaci, si comprende come la Buona Pratica Clinica costituisca l’elemento di riferimento fondamentale che il legislatore UE ha voluto trasporre da semplici linee guida dell’ICH, approvate dall’EMEA (CPMP ICH 135/95 ) e pubblicate dalla Commissione europea in EudraLex volume 10, in norme vincolanti. Infatti la Direttiva 2001/20 è definita “Direttiva concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri relative all'applicazione della buona pratica clinica nell'esecuzione della sperimentazione clinica di medicinali ad uso umano”. La finalità di questa direttiva viene prioritariamente definita all’art. 1, comma 1 , che recita: “La presente direttiva fissa disposizioni specifiche riguardanti lo svolgimento della sperimentazione clinica, (.....) per quanto riguarda in particolare l'applicazione della buona pratica clinica”. Peraltro anche l’altra delle due direttive attualmente in vigore, dedicate alla sperimentazioni dei farmaci , la Direttiva 2005/28 , è definita : “Direttiva che stabilisce i principi e le linee guida dettagliate per la buona pratica clinica (.....)”. Ed anche in questo caso l’art. 1, comma 1. enuncia che : “ La direttiva stabilisce le seguenti disposizioni (.....) a) i principi di buona pratica clinica e le linee guida dettagliate conformi a tali principi (....).” Prescrizioni Passando dalla parte enunciativa a quella prescrittiva , nell’analisi della Direttiva 2001/20 , vediamo che l’art. 1,comma2) stabilisce che la GCP debba essere vincolante, con la formula ” La buona pratica clinica è un insieme di requisiti(...) vincolanti ai fini della progettazione, conduzione, registrazione e comunicazione degli esiti della sperimentazione clinica,” e ne sancisce la motivazione di alta rilevanza etica e scientifica dichiarando che il “rispetto ( della GCP) garantisce la tutela dei diritti, della sicurezza e del benessere dei soggetti della sperimentazione clinica e assicura la credibilità dei dati concernenti la sperimentazione clinica.” Relativamente all’obbligo di seguire la GCP , la stessa normativa ribadisce il concetto al comma 4 del medesimo articolo 1, stabilendo che “Tutte le fasi della sperimentazione clinica, inclusi gli studi di biodisponibilità e bioequivalenza, vengono concepite e condotte e i loro esiti comunicati secondo i principi di buona pratica clinica.” Anche nel caso della direttiva 2005/28, passando dalla parte di enunciazione a quella prescrittiva, vengono resi obbligatori i principi delle GCP dell’ICH,, elencati con qualche piccola modifica editoriale ( Capo 2, Sezione I) e una serie di aspetti equivalenti alle GCP dell’ICH. Inoltre la 2005/28 stabilisce che “ In fase di applicazione dei principi, delle linee guida dettagliate e delle disposizioni di cui al paragrafo 1 ( tra cui le GCP), gli Stati membri tengono in considerazione le modalità di applicazione tecnica previste dalla guida dettagliata pubblicata dalla Commissione nelle norme sui medicinali nell’Unione europea” ( art1, comma 2) In altre parole la Commissione UE prevede che il conseguimento di tali principi avvenga seguendo quanto in dettaglio previsto dal richiamato testo completo delle GCP- ICH, approvato dall’EMA, pubblicato appunto dalla Commissione stessa, come già ricordato, in EudraLex. Verifiche Inoltre per dare maggior rilievo alle prescrizioni, le norme attuali prevedono misure specificamente finalizzate alla verifica della conformità delle sperimentazioni alle GCP, concetto che viene più volte ribadito in dette norme. In particolare, tra l’altro, la Direttiva 2001/20 ( art.15, comma 1) stabilisce che “Per verificare l'osservanza delle norme di buona pratica clinica (.....), gli Stati membri designano ispettori incaricati di ispezionare i luoghi interessati da una sperimentazione clinica;” sottolineando su tale tematica l’importanza di uno scambio e di una armonizzazione comunitaria nella verifica delle GCP, tramite la previsione , che “Gli Stati membri (..,.,..) inseriscono in una banca dati europea, (.....) f) l'indicazione delle ispezioni effettuate sulla conformità alla buona pratica clinica.” (art. 11, comma 1). Su tale aspetto la 2005/28 è ancora più dettagliata dedicando in maniera specifica un intero capo alle ispezioni di buona pratica clinica ( Capo 5), ove fornisce dettagli sulle procedure delle “ ispezioni di buona pratica clinica” (Capo 6;art. 23, commi 1 e seg.) previste peraltro dalle GCP-ICH. Tale punto è particolarmente tenuto in considerazione, dando obblighi in materia agli Stati membri, affinchè ( art. 24) “rendano pubblica(Continua a pagina 11) Anno VIII numero 46 (Continua da pagina 10) mente disponibile nei loro territori la documentazione relativa all’adozione dei principi di buona pratica clinica. “ Con l’ulteriore onere di elaborare “la disciplina giuridica e amministrativa per la realizzazione relativa alla buona pratica clinica “ ( Art.26, comma 1) ( impegno che peraltro l’Italia aveva già assolto con ampio anticipo con il DM 15 luglio 1997), e con l’obbligo di adottare le misure necessarie per verificare quanto sopra “designando un numero adeguato di ispettori per garantire l’effettiva verifica dell’osservanza della buona pratica clinica.” Quanto sopra esposto indica chiaramente che l’obiettivo principale delle attuale legislazione comunitaria in materia di sperimentazioni dei farmaci è stato quello di costruire un corpus normativo europeo che aderisca alla GCP-ICH e che dia agli Stati membri la responsabilità di adottare in materia le ulteriori norme nazionali necessarie, comprese quelle relative ai controlli, atte a conseguire efficacemente tale risultato . Regolamento UE di prossima applicazione Enunciazioni Al contrario di quanto visto per le norme ora in vigore, il titolo del Regolamento UE non fa alcun riferimento alla buona pratica clinica, né questa viene richiamata nei primi articoli di enunciazione delle tematiche della norma. Prescrizioni e verifiche Non può essere valutato come una prescrizione il Considerando n. 43 , sia perché non è un articolo del Regolamento, sia per la sua formulazione, che recita: “ In sede di disegno dello studio, conduzione e registrazione di sperimentazioni cliniche nonché di emissione di comunicazioni in materia potrebbero emergere quesiti specifici in merito alle norme di qualità appropriate. In tal caso le linee guida ICH di buona pratica clinica dovrebbero essere prese opportunamente in considerazione ai fini dell'applicazione delle norme stabilite nel presente regolamento, purché la Commissione non pub- Pagina 11 blichi altri orientamenti specifici e a condizione che tali linee guida siano compatibili con il presente regolamento.” Tale formulazione infatti: a) utilizza il tempo condizionale ( dovrebbero), come per tutti i “Considerando”, in quanto non elementi di legge ma aspetti esplicativi alla base delle successive prescrizioni normative; b) utilizza la formula “ prendere in considerazione” che non è propriamente una formula prescrittiva; c) si riferisce solo agli aspetti della qualità delle GCP-IC; d) subordina il pur blando invito a seguire le GCP-ICH ai casi in cui tali linee guida non contrastino con altri ( futuri) orientamenti della Commissione UE e con il Regolamento stesso. Nei fatti questo “ Considerando” sembrerebbe costituire più una limitazione a seguire le GCP-ICH nello loro globalità, che un invito ad uniformarsi ad esse. Un elemento prescrittivo relativo alle GCP lo troviamo in un articolo non proprio finalizzato a fornire disposizioni obbligatorie, essendo relativo alle definizioni ( art. 2, punto 30), che con formulazione molto meno cogente rispetto a quanto disposto dall’art. 1 della 2001/20, qui definisce la «buona pratica clinica»: come “una serie di precisi requisiti di qualità in campo etico e scientifico da osservare ai fini del disegno, conduzione, esecuzione, registrazione e analisi della sperimentazione clinica nonché delle comunicazioni in materia, atta a garantire la tutela dei diritti, della sicurezza e del benessere dei soggetti nonché l'affidabilità e la robustezza dei dati sulla sperimentazione clinica;”. Pur essendo evidente la differenza tra la formula qui utilizzata e relegata nelle definizioni, rispetto alle formulazioni vincolanti utilizzate negli articoli prescrittivi delle citate Direttive, si tratta comunque di un elemento che sancisce la necessità dell’osservanza della GCP. E’ anche vero che alcuni aspetti della GCP sono stati trasposti direttamente nel testo del Regolamento ( es. il consenso informato, la protezione dei soggetti, il protocollo, l’I.B. e appena un accenno al monitoraggio ) ; tuttavia ne mancano alcuni di primaria importanza . In particolare quelli di carattere etico, come l’obbligo di conformità ai principi etici della Dichiarazione di Helsinki (GCP par. 2.1), che è invece esplicitato nella 2005/28 (art. 3, secondo periodo), e come i compiti e le modalità di funzionamento dei Comitati etici, ben dettagliati nel loro insieme dalla 2001/20 ( art.6) e dalla GCP/ICH (par. 3) e relativamente ai quali il Regolamento non richiede alcuna armonizzazione comunitaria. Né il Considerando n. 80 risolve tali mancanze con la semplice e generica asserzione , poi non coerentemente sviluppata nell’articolato, che “Il presente regolamento è in linea con i principali documenti internazionali di orientamento in materia di sperimentazioni cliniche quali la (....) Dichiarazione di Helsinki (...) e la buona pratica clinica.”. Una migliore specifica, seppur non equivalente a quelle della normativa attuale, la troviamo nell’Art. 47 sulla “Conformità al protocollo e alla buona pratica clinica”, ove si legge che “Il promotore di una sperimentazione clinica e lo sperimentatore garantiscono che la sperimentazione clinica sia condotta in conformità al protocollo e ai principi della buona pratica clinica.. Però la garanzia, che è anche limitata ai soli principi GCP, non equivale a un obbligo. Inoltre la frase successiva, “Fatte salve qualsiasi altra disposizione del diritto dell'Unione o le linee guida della Commissione, il promotore e lo sperimentatore, nel redigere il protocollo e nell'applicare il presente regolamento e il protocollo, tengono altresì opportunamente conto degli standard di qualità e delle linee guida ICH di buona pratica clinica“ limita l’osservanza alle GCP subordinandole ad altre disposizioni UE, future o del Regolamento stesso. La previsione che “ La Commissione renda disponibili al pubblico le linee guida internazionali dettagliate ICH di buona pratica clinica di cui al secondo comma.” non modifica le limitazioni di cui sopra e il fatto che non si sia voluto far direttamente riferimento alle linee guida GCP-ICH già rese pubbliche dalla Commissione in EudraLex vol.10, significa che il Regolamento e le future linee guida della Commissione, non prevedono di essere sovrapponibili alle GCP-ICH. Per completare tutte le menzioni sulle GCP presenti nel Regolamento, si deve tener presente che nell’Allegato I , relativo al ” Fascicolo di domanda (Continua a pagina 12) Anno VIII numero 48 Pagina 12 (Continua da pagina 11) iniziale “, si prevede che( punto 17) “ Il protocollo comprenda almeno :una dichiarazione indicante che la sperimentazione clinica deve essere condotta in conformità (........) ai principi di buona pratica clinica; e al punto 47 , relativo ai “Dati da precedenti sperimentazioni cliniche e sull'uso clinico”, si richiede “una dichiarazione attestante la conformità ,di (...) sperimentazioni cliniche precedenti, alla buona pratica clinica (.......) ; infine al punto, relativo all’Idoneità dello Sperimentatore (n. 65) ,si richiede che sia “descritta ogni precedente formazione sui principi della buona pratica clinica (........ ). Questi elementi di dettaglio negli allegati al Regolamento fanno sperare che nella operatività del Regolamento sarà richiesta una maggior conformità alle GCP, anche se le ispezioni previste dal Regolamento stesso ( art. 78) non sono al fine di verificare la conformità alle GCP, come è invece ben esplicitato nelle Direttive citate, ma sono limitate alla finalità di vigilare sulla conformità al Regolamento stesso. Conclusioni Da quanto descritto si evince che , mentre l’insieme delle norme attuali portano inequivocabilmente a vincolare gli operatori nel settore delle sperimentazioni al rispetto della GCP dell’ICH , l’analisi del Regolamento, per questo aspetto, evidenzia una lacuna nei riferimenti alle GCP, sempre accompagnati da delle frasi di carattere limitativo e che pertanto non sembrano portare ad uno stesso livello di obbligatorietà. C’è da sperare, almeno per chi sia convinto della necessità di operare in GCP, ed LIVIO E’ morto Livio Zeller, l’artefice della Lepetit quale realtà internazionale. Nell’annuncio si legge “Patriarca e instancabile tessitore di rapporti umani”. Zeller fu l’anima che davanti alla scoperta delle rifamicine, la famiglia di antibiotici che avrebbe sconfitto la tubercolosi, si dette da fare per trovare i finanziamenti affinché la ricerca continuasse …… Livio Zeller-Celso (Trieste, 6 aprile 1923 – Milano, 25 dicembre 2014) è stato un ingegnere chimico italiano: figlio di Romeo Zeller e Paola Sabbadini, passò la sua infanzia a Trieste, frequentando le scuole medie presso la scuola ebraica. In seguito alla promulgazione delle leggi razziali del 1938, si trasferì in Svizzera dove frequentò la scuola politecnica dell’Università di Losanna, laureandosi con una tesi sulla sintesi chimica dei nuovi antibiotici. Si iscrisse poi ad una seconda laurea al Politecnico federale di Zurigo, che lasciò quando ricevette una proposta di lavoro presso la Lepetit, società fondata da Roberto Lepetit. Tra le sue innumerevoli iniziative, sia di carattere professionale che culturale, sono da citare la creazione del laboratorio di microbiologia applicata presso l’Università di Pavia (sotto la guida del dr. Ivan Fueresz) e l’organizzazione del centro di ricerca anche per non disperdere il livello di uniformità nella conformità alle GCPICH, al quale si è giunti in ambito UE e nei paesi ICH e al quale ci si sta indirizzando con non poco lavoro e risorse anche nei Paesi in via di sviluppo, che la Commissione europea recuperi, con gli atti esecutivi che deve emanare in forza del Regolamento, quanto in tema di GCP il Regolamento stesso non ha voluto o saputo mutuare dalle norme vigenti. Umberto Filibeck e Carla Turriziani Il presente testo è stato predisposto sul lavoro compiuto in ambito SSFA dal gruppo di lavoro “GIQAR - GCP Regolamento UE”, composto dagli autori e dalle dott.sse Carla Bruzzese e Marina Filippone. ZELLER culturale della Lepetit, in collaborazione con l’associazione degli amici del Piccolo Teatro di Milano. Il gruppo delle rifamicine, e la rifampicina in particolare, furono scoperte nel 1959 nei laboratori Lepetit a Milano, mettendo a fermentare un campione di terra di St. Raphael, in Costa Azzurra, portato in laboratorio dal microbiologo Ermes Pagani (19292013). Le sostanze ottenute dal brodo di coltura furono poi analizzate da un gruppo di ricercatori, guidati dallo stesso Ermes Pagani, dal prof. Piero Sensi (1920-2013) e dalla dott.ssa Maria Teresa Timbal (1925-1969): il brevetto della rifampicina porta il loro nome.La Dow Chemical acquistò nel 1964 la maggioranza delle azioni Lepetit, che da oltre un secolo ope- rava nel settore farmaceutico. Ciò ha permesso alla Dow di entrare nel settore farmaceutico mondiale, beneficiando dell’esperienza e delle conoscenze tecnologiche della Lepetit stessa, che erano molto avanzate e ben strutturate. A seguito di una serie di acquisizioni, la Lepetit venne a far parte del gruppo Marion-MerrellDow, poi ceduto alla Sanofi-Aventis: oggi in Italia la rifampicina è venduta da Sanofi-Aventis con il nome di Rifadin. Chi fosse interessato a conoscere gli episodi della vita di Livio Zeller può leggere il libro autobiografico “Idrogeno e setacci”, Lampi di stampa, Milano, 2011, facilmente reperibile su Amazon. Eccone un brano. "Sapete perché colleziono setacci? Ve lo dico io: perché il setaccio è il primo strumento che l'uomo ha creato per separare il desiderato dal non desiderato. Seconda domanda: dove sta il desiderato? La maggior parte della gente mi dice 'sopra', pensando all'oro. E allora io dico, 'dipende, dove sta la farina? Sotto'." Anno VIII numero 46 Pagina 13 Macropus Eugenii, modello animale per studi di fisiologia della locomozione, di biologia della riproduzione e dello sviluppo, di genomica comparata e… (2a parte) Genomica comparata e…peptidi antimicrobici nel latte Per facilitare l’interpretazione della mole di dati prodotti dal progetto del sequenziamento del genoma umano, sono stati sequenziati i genomi di varie specie di vertebrati, scelte in base alle posizioni strategiche che occupano nell’albero filogenetico, in modo da poter allineare le regioni omologhe ed identificare geni ed altri importanti segnali attraverso la reciproca conservazione (phylogenetic footprinting). Questi genomi abbracciano un arco di tempo di 450 milioni di anni di divergenza evoluzionistica dall’uomo. C’è, però, un gap temporale di molti milioni di anni difficile da coprire, tra i mammiferi euteri (più evoluti) non umani, la cui divergenza filogenetica dall’Homo sapiens data 80 milioni di anni, e gli uccelli, la cui divergenza filogenetica dai mammiferi risale a circa 310 milioni di anni. Il topo è troppo vicino, filogeneticamente, all’uomo, per garantire che le somiglianze del suo genoma con quello umano non siano altro che semplici residuati dell’evoluzione, mentre gli uccelli sono così lontani dall’uomo, che segnali possono essersi persi e può risultare difficile individuare, nei loro genomi, omologie con il genoma umano. Marsupiali (metateri) e monotremi (prototeri: ornitorinco ed echidna) occupano una posizione importante nella filogenesi dei vertebrati, perché rappresentano, insieme agli euteri, le tre linee evolutive dei mammiferi. Marsupiali e mammiferi euteri hanno condiviso, 130-148 milioni di anni fa, un comune antenato, mentre i monotremi si sono staccati dai marsupiali e dagli euteri prima, circa 166 milioni di anni or sono. Come il topo, anche i marsupiali sono mammiferi, ma sono molto più lontani del topo rispetto all’Homo sapiens, datando la loro divergenza filogenetica dagli umani 130 milioni di anni, contro i “soli” 65.5 milioni di anni del topo. I genomi dei marsupiali sono, quindi, di grande utilità nello studio della genomica comparata, situandosi i marsupiali ad un livello ideale di divergenza filogenetica dagli umani, tale da fornire una quantità di informazioni sulle variazioni delle sequenze, dell’arrangiamento e delle funzioni dei geni. Marsupiali ed euteri differiscono, tra loro, in meccanismi di controllo genetico - come, per esempio, l’inattivazione del cromosoma X - che sono molto conservati negli euteri. Anche processi fisiologici come lattazione ed embriogenesi sono molto differenti tra questi due gruppi di mammiferi. Importanti immunogeni di Macropus eugenii sono stati isolati e studiati nel 2009 e l’intero suo genoma, sequenziato nel 2011, mostra maggiori riarrangiamenti sia del genoma umano che di quello di un altro marsupiale, l’opossum brasiliano grigio dalla coda corta (Monodelphis domestica). Il genoma dei wallaby ha una dimensione maggiore di quello umano, ma è suddiviso in sole 8 coppie di grandi cromosomi, contro le 23 coppie del cariotipo umano: questa caratteristica fa, del Macropus eugenii, un modello animale di elezione per studi di genomica, riproduzione e sviluppo. Il genoma di una femmina wallaby è stato sequenziato usando un approccio Whole-Genome Shotgun (WGS) DNA Sequence Assembler ed una nuova tecnologia di sequenziamento. Anche il trascrittoma di questa specie è stato sequenziato in molti tessuti. L’analisi di questi dati spiega alcuni processi della riproduzione, dello sviluppo e dell’evoluzione del genoma dei mammiferi: ci sono cambiamenti nei geni della riproduzione e della lattazione, una rapida evoluzione dei geni delle cellule germinali ed un’incompleta inattivazione del cromosoma X. Il silenziamento (perdita di funzione) di questo cromosoma è un fenomeno epigenetico che lo rende inerte dal punto di vista trascrizionale, così in tutte le cellule si ha un’attenuata espressione dei suoi geni e dei rispettivi fenotipi. Questa inattivazione si realizza con un meccanismo di imprinting in tutti i tessuti delle femmine di marsupiali ed è il cromosoma X paterno ad essere silenziato (imprinting di origine paterna). Si sono osservati retrotrasposoni di nuova generazione ed un complesso maggiore di istocompatibilità altamente riarrangiato, con molti geni di classe I situati fuori dal complesso. Infine, microRNA presenti negli HOX cluster di Macropus eugenii evidenziano nuovi potenziali elementi regolatori HOX nei mammiferi. [Gli HOX (da homeobox) cluster sono geni raggruppati in homeobox (HOX genes) che svolgono ruoli importanti nel percorso della formazione lungo l’asse anteroposteriore del corpo dei mammiferi; gli homeobox sono sequenze di DNA presenti nei geni coinvolti nella morfogenesi]. Macropus eugenii non è solo un modello sperimentale nella ricerca biomedica, ma può anche fornire interessanti spunti per il superamento di un serio problema terapeutico che va progressivamente aggravandosi: l’antibiotico -resistenza. La morbidità e la mortalità causate da infezioni sostenute da batteri antibiotico-resistenti, specialmente quelli del gruppo ESKAPE (Entherococcus faecium, Staphylococcus aureus, Klebsiella pneumoniae, Acinetobacter pneumoniae, Pseudomonas aeruginosa e le specie del genere Entherobacter) sono in continuo aumento. Ogni anno, oltre 250.000 pazienti muoino di sepsi negli USA ed altrettanti in Europa. L’antibiotico-resistenza dovuta, in gran parte, alla prescrizione dissennata degli antibiotici disponibili in terapia, rende particolarmente difficile la cura della sepsi e il progressivo aggravarsi della resistenza batterica è fonte di seria preoccupazione tra i clinici. Una nuova classe di sostanze, gli oxazolidinoni, sono entrati in terapia nel 2000, con linezolide (antibiotico di sintesi) utilizzato principalmente per il trattamento del methicillin-resistant Staphylococcus aureus (MRSA) e dei Gram+. Nel settembre 2003 FDA ha approvato daptomicina, antibiotico lipopeptidico attivo contro i (Continua a pagina 14) Anno VIII numero 48 (Continua da pagina 13) Gram+, con un meccanismo d’azione diverso da quello della maggior parte degli antibiotici, che interferisce su molteplici aspetti funzionali della biologia batterica: daptomicina si lega al batterio, provoca la depolarizzazione della membrana che comporta la perdita del potenziale di membrana e la successiva inibizione della sintesi di proteine, DNA e RNA, con conseguente morte del batterio. E’ dal 2002 che la Infectious Disease Society of America (IDSA) si fa portavoce dell’inarrestabile criticità, che si va aggravando, dovuta alla mancanza di nuovi antibiotici e continua a proporre nuove soluzioni legislative, regolatorie e finanziarie per superare le minacce di questa crisi. Per superare la crescente resistenza dei patogeni agli antibiotici esistenti, la IDSA ha fatto proprio l’allarme sulla perdurante assenza di progressi nello sviluppo di nuovi agenti terapeutici per il trattamento di infezioni resistenti agli antibiotici, in particolare quelle sostenute dai Gram- e, lanciando la “10 x ’20 initiative” (2010), si è fatta promotrice dell’impellente necessità di un impegno globale per trovare e sviluppare, entro il 2020, 10 nuovi antimicrobici sicuri ed efficaci, da somministrarsi per via sistemica. Solo due nuovi antibiotici sono stati approvati negli ultimi 5 anni: uno è la ceftarolina (ottobre 2010, FDA), la prima cefalosporina efficace anche contro MRSA, considerato in Italia un vero problema di salute pubblica, e contro i Gram+. Nel 2014 è atteso il lancio sul mercato di ceftolozane/ tazobactam (CXA-201), un farmaco per infezioni ospedaliere da batteri Gram-, al quale FDA ha riconosciuto lo status di fast track. Si tratta dell’associazione di una nuova cefalosporina, ceftolazane, in sviluppo con tazobactam, un inibitore della ȕlattamasi batterica, per il trattamento di infezioni complesse del tratto urinario ed intraddominali e della ventilator-associated bacterial pneumonia (VABP). La natura ha sviluppato una vasta serie di peptidi antimicrobici in specie vegetali, animali e microrganismi; ognuna di queste ha un suo gruppo di geni correlati che mostrano le firme di differenti forze selettive. Marsupiali e monotremi questi ultimi sono mammiferi tra i più primitivi, ma sono molto specializzati Pagina 14 - devono proteggere una prole inetta, sottosviluppata e immunologicamente naïve, che nasce e si sviluppa al di fuori dell’ambito sterile di un utero, in ambienti con elevata carica di patogeni. Mentre il sistema immunitario adattativo della prole si sviluppa, fattori del sistema immunitario innato, prodotti dalla madre e dal figlio, devono giocare un ruolo chiave per proteggere il piccolo canguro, gravemente immunodeficiente. Così, l’evoluzione ha provveduto a fornire marsupiali e monotremi di sostanze secrete nel latte, dotate di attività antimicrobica, che rappresentano punti di partenza ideali per la ricerca e lo sviluppo di nuovi potenziali antimicrobici per soluzioni terapeutiche innovative. Usando sistemi computerizzati avanzati, sono stati individuati, nel latte di Macropus eugenii, oltre 30 possibili agenti antipatogeni, mentre nel suo genoma sono stati identificati 14 geni codificanti per le catelicidine, che sono la prima linea di difesa nella protezione delle superfici interne ed esterne del piccolo ospite del marsupio. Questi antimicrobici endogeni sono polipeptidi, o piccole proteine, di 12÷100 residui amminoacidici; i loro geni sono caratterizzati da una sequenza di segnale conservata e da una regione pro-peptide, ma sono molto variabili nel dominio C-terminale che codifica per il peptide maturo antimicrobico. Le catelicidine sono prodotte dai granulociti neutrofili e dai macrofagi, dalle cellule epiteliali del testicolo, dalla pelle e nei tratti gastrointestinale e respiratorio del tammar wallaby, a seguito di un segnale mediato da citochine proinfiammatorie, che ne stimolano la sintesi, e sono espresse nella ghiandola mammaria, nelle secrezioni della cute interna del marsupio fin dall’inizio della lattazione, e della cute del neonato, finchè il sistema immunitario adattativo del cucciolo non si sia sviluppato completamente. Si pensa che le catelicidine agiscano in sinergia con le defensine, determinando un aumento della permeabilità della membrana esterna ed interna dei microrganismi, con conseguente interruzione della sintesi di DNA e RNA e blocco della respirazione cellulare. L'attività battericida delle catelicidine, diretta particolarmente nei confronti dei batteri Gram-, richiede un clivaggio pro- teolitico, che avverrebbe probabilmente durante la degranulazione nel vacuolo di fagocitosi, dove le catelicidine sono esposte all’azione delle proteasi rilasciate dai granuli azurofili e, in particolare, all’azione dell’elastasi. Il frammento liberato per clivaggio svolge la sua attività antibatterica tramite il legame del dominio cationico C-terminale a fosfolipidi anionici di membrana (fosfatidilcolina, fosfatidilserina, fosfatidilglicerolo) e l’inserimento, nella membrana plasmatica, di un dominio altamente idrofobico. E’ stata identificata e caratterizzata AGG01, catelicidina policationica ricca di residui positivi di arginine e lisine, ripiegata a formare una struttura terziaria anfipatica, con domini idrofili e idrofobici. AGG01 è di vitale importanza per la sopravvivenza del Macropus eugenii neonato che, alla nascita, è poco più che un feto, che pesa circa 440 mg ed è lungo 16-17 mm, il cui stadio di sviluppo corrisponde a quello di un embrione umano di 40 giorni, privo di polmoni formati e, nei primi 100 giorni di vita, anche di un sistema immunitario differenziato: solo al 35° giorno di età compaiono le prime cellule coinvolte nell’immunità adattativa, mentre l’immunocompetenza si sviluppa soltanto 90-100 giorni dopo la nascita. Il piccolo canguro, nei primi 3-4 mesi di vita può, quindi, contare solo su alcuni componenti ad azione battericida presenti nel latte materno. Nei test in vitro, AGG01 si comporta come un “antimicrobico ad ampio spettro” ed è 100 volte più efficace della penicillina, essendo in grado di debellare il 99% dei batteri patogeni (sia Gram- che Gram+) compresi E. coli, Streptococci, Salmonella, Bacillus subtilis, Pseudomonas, Proteus vulgaris, MRSA, il fungo Candida albicans e ceppi vancomicinaresistenti di Enterococcus, particolarmente virulenti e causa di infezioni nosocomiali in pazienti ospedalizzati e tra i patogeni più temuti dai pazienti immunocompromessi (AIDS) o immunosoppressi (trapiantati). AGG01, ora prodotta per via sintetica, esplica la sua attività battericida in vitro già a basse concentrazioni e dopo soli 30 minuti di incubazione con i microrganismi, grazie ad un originale meccanismo d’azione che colpirebbe direttamente (Continua a pagina 15) Anno VIII numero 46 (Continua da pagina 14) la membrana batterica. Si pensa che, grazie alla sua struttura anfipatica, AGG01 interagisca con batteri Gram-, protozoi e funghi, tramite via elettrostatica tra le sue cariche positive e le molecole cariche negativamente (fosfolipidi anionici) presenti nelle membrane cellulari dei patogeni. Inoltre, infiltrandosi nella parete del batterio, AGG01 competerebbe con le proteine che legano trasversalmente i due strati della membrana stessa. Lo scompaginamento che viene a crearsi nella struttura della membrana batterica porterebbe alla formazione di canali transmembranali proteici, provocando la fuoruscita di ioni all’esterno della cellula batterica. L’imponente perdita di liquidi, di molecole essenziali e delle concentrazioni Pagina 15 ioniche, indispensabili allo svolgimento di molte funzioni vitali, causata dall’osmosi attraverso questi pori, sarebbe il meccanismo alla base dell’attività battericida di AGG01. Studi in vitro dimostrano che AGG01 non è citotossico per le cellule di mammifero, la cui membrana plasmatica differisce strutturalmente, per composizione e spessore, da quella delle cellule batteriche. Le principali differenze sono in alcuni componenti strutturali: nella membrana delle cellule di mammifero ci sono gli steroli (ad esempio il colesterolo) che danno rigidità alla parete cellulare, mentre nella membrana batterica ci sono gli opanoidi (ad esempio il diploptene), composti pentaciclici la cui funzione principale è la regolazione della fluidità della membrana plasmatica. Da XXIV CONGRESSO GIQAR Napoli 27 - 29 maggio 2015 Hotel Royal Continental NUOVA SEZIONE POSTER: CONCORSO CON PREMIO AL VINCITORE alcuni anni AGG01 ha iniziato il percorso di ricerca e sviluppo non clinico. La speranza è che possa entrare presto nel processo di sviluppo clinico. (fine) Domenico Barone Anno VIII numero 46 Pagina 16 SSFAoggi ha parlato più volte del problema della tubercolosi nei Pesi Europei: ecco un preoccupato editoriale sulla situazione in Inghilterra. Tuberculosis rates still high in the UK The Lancet Tuberculosis rates in the UK are still unacceptably high. Public Health England notes in its annual UK report that 7892 cases of tuberculosis were notified in 2013, a decrease from 8729 cases reported in 2012. However, the incidence of 12·3 cases per 100 000 is still among the highest in western European countries. Another sobering comparison is that the incidence in the UK is four times that of the USA. Long recognised as a disease of social inequality and deprivation, according to the report, tuberculosis continues to disproportionately affect the most deprived communities, with 70% of all tuberculosis cases in England resident in areas in the two most deprived quintiles. In particular, the urban areas of London, Leicester, Birmingham, Luton, Manchester, and Coventry had more than three times the national average. Within London alone, 2985 cases were reported in 2013, an incidence of 35·5 cases per 100 000. 44% of patients aged 16 and older were not in education or employment, and 10% had at least one social risk factor— history of alcohol or drug misuse, homelessness, or imprisonment. 73% of the cases were in people born outside the UK, but only 15% were diagnosed within 2 years of entering the UK, suggesting a preponderance of reactivation of latent tuberculosis infection. These data indicate the different demographics of the Da queste pagine abbiamo più volte ricordato il grave problema della antibiotico resistenza: riportiamo quindi con piacere una nuova iniziativa inglese. UK declares war on antimicrobial resistance The Lancet In one of his first duties as the newly appointed UK Government Science Minister, Greg Clark has launched a major initiative aimed at tackling antimicrobial resistance. Its strategy encompasses the laboratory, the clinic, and the wider environment. The body set up to oversee the initiative—led by the Medical Research Council (MRC) and dubbed a “war cabinet”—will comprise all seven of the UK's research councils together with the Department of Health and other government departments, the Wellcome Trust, and a range of organisations with a direct or indirect interest in microbial resistance. Collectively they have formed a new grouping, the Antimicrobial Resistance Funders' Forum (ARFF), through which to share information about what actions they are taking, now and in the future. By providing the framework for a more coordinated approach they aim to give a boost to research on microbial resistance, and to maximise its impact on national and international policy making and other activities relevant to its control. “The threat of antimicrobial resistance is more than a threat; it's turning into a reality”, said Desmond Walsh, Head of Infections and Immunity at the MRC. “This initiative is a step change. We want to bring together, in a coordinated manner, the expertise of a range of different disciplines.” Workshops organised by the MRC in 2013 have already identified a series of research priorities now grouped under four themes. The first, “Understanding resistant bacteria in the context of the host” covers work on the nature of resistance at all levels from the gene upwards, and will aim to find new targets for potential treatments, and new ways of predicting the evolution of resistance. Research covered by the second theme, “Accelerating therapeutic and diagnostics development”, will back the hunt for new small molecule antibiotics, especially those that may circumvent the emergence of future resistance. Theme three, “Understanding the real world interactions”, will explore how people and communities interact with the environment and so influence bacterial behaviour and the transmission of genes within and between bacterial species. The fourth theme, “Behaviour within and beyond the health care setting” will study human behaviour and motivations, and the manner in which these can affect the development and spread of resistance. It will also look for effective ways of changing peoples' behaviour. The organisers of the new initiative are at pains to stress the involvement of all the UK's research councils. They point out that problems with resistance affect animal as well as human health. Livestock in particular are increasingly found to harbour antibiotic-resistant bacteria. These are also detectable in environments ranging from fields and rivers to hospitals and kitchen sinks. Yet the relation between animal and human microbial resistance is still uncertain. Even the Arts and Humanities Research Council (AHRC) has found a place in the new disease in the UK compared with other countries, but also a disjointed, fragmented approach to local tuberculosis services, and their funding. As noted in the report, improvements in tuberculosis control will need the social and economic determinants of the disease to be addressed, together with the provision of strong, accessible, effective screening, diagnostic, and treatment services, clearly targeted at the most susceptible groups. Public Health England and NHS England will soon publish a Collaborative TB Strategy for England 2015— 2020, which will identify the key areas to achieve a sustained decline in tuberculosis. Although small gains have been made, it is essential the strategy enables firm steps to be taken to achieve a level of control that exists elsewhere. Forum. By way of illustrating what might seem an unlikely involvement the AHRC quoted an example of a project it already funds. Titled “Visualising the Invisible” it was set up to examine how staff think about infection in health-care settings, how and where they envisage microbes, and where they perceive the risks to lie. Its findings will inform future attempts to educate health-care workers about the dangers of antibiotic resistance. The Funders' Forum is now ready to start considering research proposals. The MRC will act as the coordinating body to which applicants direct their initial approach. “At present we're focussing on the first two themes”, says Walsh. “In the first instance there is £25 million. It's a ring-fenced amount of money dedicated to antimicrobial resistance.” Concern over the emergence and increase of microbial resistance is far from new. As far back as 1969 the Swann Report on resistance fostered by the use of antibiotics in agriculture concluded that “the administration of antibiotics to farm livestock, particularly at sub-therapeutic levels, poses certain hazards to human and animal health”. It recommended a ban on the agricultural use of antibiotics of importance to human medicine. More recently chief medical officer Professor Dame Sally Davies used the second volume of her 2011 Annual Report to point out that, “If we have no suitable antibiotics to treat infection, minor surgery and routine operations could become high risk procedures.” Meanwhile the MRC has calculated that since 2007 the UK alone has spent £275 million on research into microbial resistance. Its bleak conclusion is that, to date, no effective soutions have been found. Anno VIII numero 46 Pagina 17 A new network to promote evidence-based research The Lancet To embark on research without reviewing systematically evidence of what is already known, particularly when the research involves people or animals, is unethical, unscientific, and wasteful. More than two decades have passed since Antman and colleagues showed that research on some treatments for myocardial infarction had gone on for as long as a decade after benefit or harm had been established in earlier research. Failure to analyse epidemiological research cumulatively has also had devastating effects. Systematic review of preventable risk factors for sudden infant death syndrome from 1970 onwards would have led to earlier recognition of the risks of the prone sleeping position and might have prevented more than 10 000 infant deaths in the UK and at least 50 000 in Europe, the USA, and Australasia. The serious consequences of failure to base plans for new research on systematic reviews of existing evidence is not limited to clinical and epidemiological research. After Horn and coworkers did not detect any beneficial effect of calcium antagonists on acute ischemic stroke in a systematic review of 7521 participants in 28 clinical trials, they reviewed 20 relevant animal studies. They found that none of those studies provided convincing evidence to justify the decision to extend research to people. In addition to the avoidable harm done to people and animals, failure to review existing evidence systematically before undertaking additional preclinical, clinical, and epidemiological research has resulted in avoidable waste of research resources. New studies have been designed without taking adequate account of the lessons from earlier research, including the need to study larger sample sizes to address important uncertainties. What should research funders, research regula- tors, researchers, academic institutions, and journals do to reduce this sometimes lethal research waste? Some research funders have been clear. The National Institute for Health Research in England, for example, advises research applicants for support of new primary research as follows: Where a systematic review already exists that summarises the available evidence this should be referenced, as well as including reference to any relevant literature published subsequent to that systematic review. Where no such systematic review exists it is expected that the applicants will undertake an appropriate review of the currently available and relevant evidence (using as appropriate a predetermined and described methodology that systematically identifies, critically appraises and then synthesises the available evidence) and then present a summary of the findings of this in their proposal. All applicants must also include reference to relevant on-going studies, eg, from trial registries. Among research regulators, the guidance for researchers issued by the Health Research Authority in the UK now states “Any project should build on a review of current knowledge. Replication to check the validity of previous research is justified, but unnecessary duplication is unethical.” Research on research has exposed a general failure to refer to existing evidence when reporting additional primary research. Other research has shown that this unsatisfactory situation exists even in reports published in prestigious general medical journals. Some research funders and researchers are dealing with the problem; and some journals, including The Lancet,have introduced editorial policies that require researchers to use systematic reviews to put reports of new research in context. However, many funders, research regulators, and academic institutions still do not seem to take the problem seriously. Why should patients and the public trust the research community if it fails to make efficient use of the results of research, most of which they have funded? Just a few weeks before his death, the Italian research funder, researcher, and cancer patient Alessandro Liberati called for a new governance strategy for research, “starting from an analysis of existing and ongoing research, produced independently of vested interests”. 5 years ago Karen Robinson used the term “evidence-based research” to encapsulate what is required. She pointed out that although use of research synthesis to make evidence-informed decisions is now expected in health care, evidence-based research offers a way to reduce research waste and ensure that new trials are designed to maximise the information gained from them. On Dec 1—3, 2014, at the EvidenceBased Research meeting in Bergen, Norway, three Scandinavian researchers and participants from around the world inaugurated an international Evidence-Based Research (EBR) Network. This network will press funders, regulators, researchers, academic institutions, and journals to implement the changes that are needed to promote evidence-based research. One of the objectives of the EBR Network is that all doctoral students, supervisors, and senior researchers should learn the methodology of systematic reviews and use these research syntheses to anchor more effectively questions for additional primary research. We wish the new EBR Network well and urge the research community to support it. Anno VIII numero 48 Pagina 18 LA SSFA CERCA DOCENTI Come potete leggere dalle pagine seguenti, molti docenti SSFA sono coinvolti in diversi master, attivati in diverse Università italiane. Ma i master aumentano (l’ultimo è quello di Camerino, ma abbiamo già una nuova richiesta da Genova): si rende necessario ampliare il numero di docenti, disponibili a fare lezioni. Ricordo che la maggior parte dei master prevede lezioni anche il sabato mattina. Se vi interessa fare l’esperienza di docente ad un master, e se ritenete di avere esperienza per poterlo fare, inviate alla SSFA un breve CV (massimo 100 parole), nel quale sia messo in luce il settore dove avete maggiore esperienza, ed indicate le lezioni che vi interesserebbe svolgere. I temi delle lezioni li potete trovare facilmente trovare nel sito PharmaTrain, alla pagina Syllabus. Coraggio, aspettiamo numerose candidature. NOTIZIE DAI MASTER IL MASTER DI CAMERINO Lo scorso 15 gennaio sono iniziate le lezioni di un nuovo master, fortemente voluto dal prof Fiorenzo Mignini (Università di Camerino), e con il patrocinio di SSFA. La definizione esatta è “Master Universitario di II livello in Metodologia Clinica e Biostatistica Applicata ai Clinical Trials”, ed a mio parere colma una lacuna: quella di un corso post laurea a forte orientamento statistico, una nuova ed importante opportunità per coloro che fossero interessati alla professione di biostatistico e data manager. Si sono iscritti 11 studenti, parimenti divisi fra maschi e femmine. Ci sono tre medici (un’oncologa che lavora in ospedale, un ginecologo di Perugia ed un collega di Abbvie), poi un medico veterinario di Camerino, alcuni farmacisti e biologi, un’infermiera di ricerca che è anche membro di un CE. Una classe di studenti con molta esperienza. Per semplicità logistica, le lezioni si tengono ad Ancona presso ATAENA, una società di fornitura di attrezzature per farmacie. Sono molto ospitali, ed hanno messo a disposizione un’aula molto capiente. Una nuova opportunità, quindi, alla quale SSFA è stata unanime nel concedere il patrocinio e nell’indicare un buon gruppo di docenti. IL MASTER DI CATANIA Ho avuto l’occasione di svolgere due giornate di lezioni al Master di II livello in discipline regolatorie del farmaco, organizzato come sempre dal prof Filippo Drago. Il master dall’edizione dello scorso anno è diventato annuale (prima era biennale): questo cambiamento ha certamente favorito una maggiore partecipazione. L’edizione del 2015 vede la partecipazione di 20 studenti, alcune già con attività lavorativa legata al farmaco. La classe è attenta ed interessata, e si è stabilita una ottima interazione durante le due giornate di lezioni. Nell’ambito del master il prof Drago organizza poi una Conferenza Nazionale sulla Farmaceutica, che chiama a Catania oltre 200 fra i principali attori del mondo scientifico e regolatorio legato al farmaco. Di questa conferenza, alla quale ho partecipato lo scorso 24 febbraio, potrete leggere una sintesi nel prossimo di SSFAoggi. Domenico Criscuolo Anno VIII numero 46 Pagina 19 LE TESI DEL MASTER CATTOLICA Hutchinson-Gilford progeria: un paradigma per la medicina traslazionale La progeria colpisce un bambino ogni 4 milioni ed è un esempio unico di malattia rara dove la tempistica tra scoperta del gene e primo trial clinico è stata brevissima, solo 5 anni. La sindrome infatti ha da sempre suscitato l'interesse della comunità scientifica, perché usata come modello del normale invecchiamento. Inoltre, la funzione del gene, codificante una componente strutturale del nucleo, la Lamina A, era stata estensivamente caratterizzata molto prima che venisse associato alla patologia. La Lamina contatta e regola tutte le funzioni del DNA, esercitando un effetto altamente pleiotropico che va dal controllo della proliferazione al differenziamento cellulare. La mutazione causa l’accumulo nel nucleo di una forma tronca della Lamina, erroneamente farnesilata, chiamata Progerina. I pazienti mostrano mancanza di grasso sottocutaneo, perdita di capelli, malattie cardiovascolari e muoiono per infarto o ictus durante l’adolescenza. Studi preclinici hanno mostrato come la farnesilazione sia la causa della maggior parte di questi sintomi. Per questo, un primo trial clinico ha visto l’uso di un inibitore della farnesilazione, il Lonafarnib, già precedentemente sviluppato come antitumorale, e ben tollerato in età pediatrica. Questo studio ha evidenziato miglioramenti, seppur variabili tra pazienti, nell’ aumento di peso, nella rigidità vascolare e nella struttura ossea ed un allungamento della durata della vita di 1.6 anni. Un secondo trial, che si concluderà nel 2017, prevede un trattamento combinato di Lonafarnib con Pravastatina e Acido Zoledronico, questi ultimi aggiunti per bloccare tutte le possibili vie di modificazione della Progerina, e per i quali l’EMA ha rilasciato la designazione di farmaco orfano. Grazie alle associazioni dei pazienti, in particolare alla Progeria Research Foundation, l’arruolamento dei soggetti provenienti da 16 paesi nel mondo ha richiesto solo quattro mesi. Nel nostro paese la malattia ancora non rientra tra i codici di esenzione nazionali per malattia rara previsti dal DM 279/2001 ma gode di codici a valenza regionale. Dr.ssa Elisa Cesarini: Ha conseguito la laurea in Scienze Biologiche e il titolo di Dottore di Ricerca presso l’Università di Roma “La Sapienza”. Attualmente ricercatrice presso il CNR-IBCN di Roma. Ha frequentato il Master in “Sviluppo preclinico e clinico del farmaco” presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore ed è Clinical Research Associate certificata. La tesi si pone come obiettivo di valutare con un approccio multidisciplinare il possibile impatto sulla spesa sanitaria di una prevenzione attuata indirizzando su percorsi più efficienti le risorse già esistenti. Analizza la prevenzione primaria con acido acetil salicilico in una delle patologie più invalidanti: l’ictus. Ci si pone davanti ad un messaggio chiaro ‘’…la prevenzione come sostenibilità del Sistema Sanitario Nazionale…’’. Si parte dall’epidemiologia per procedere con un’analisi delle evidenze scientifiche per arrivare ad un’analisi costoefficacia con il metodo dello “health technology assessment” (Hta) tenendo conto di un parametro fondamentale come il “Quality adjusted life years” (Qaly). I risultati indicano che la progettazione e l’implementazione di politiche di prevenzione primaria possono aiutare a sviluppare un sistema assistenziale capace di educare, monitorare e convincere i pazienti a effettuare la terapia con grande costanza nel tempo, migliorando la qualità di vita del cittadino e riducendo la spesa in modo non trascurabile. Francesca Scarabotto Laureata in chimica presso la Sapienza a Roma. Master in sviluppo clinico e preclinico del farmaco ed in epidemiologia e biostatistica presso l’Università Cattolica di Roma. In Bayer dal 2000 come Informatore Medico Scientifico, nel 2008 come Product Specialist, nel 2010 Sales Excellence Advisor e dal 2014 Medical Scientific Liaison. Anno VIII numero 46 Pagina 20 Farmaci pediatrici: aspetti regolatori in Europa e negli Stati Uniti Il dato più allarmante nell’ UE, in ambito di farmaci pediatrici, è che circa il 50% di essi non è mai stato studiato per questa popolazione. Nonostante questo, la legislazione italiana ed europea consente, per questi farmaci, il cosiddetto uso off label e unlicensed. Nel primo caso è permessa la prescrizione ai bambini di farmaci che sono registrati solo per gli adulti, in condizioni diverse da quanto autorizzato. Nel secondo caso, invece, il farmaco non è autorizzato in nessuna popolazione in quella data nazione. L’utilizzo off label assimila i bambini a dei “piccoli adulti” al punto che i dosaggi per i minori vengono spesso derivati da quelli degli adulti, trascurando così le differenze farmacocinetiche e farmacodinamiche tra le due popolazioni. L’esito finale di tali lacune è l’esposizione dei bambini a molteplici rischi, quali eventi avversi inattesi e sovradosaggi. Le principali cause di tale scenario sono le perplessità etiche e lo scarso interesse delle aziende farmaceutiche ad investire per un mercato così piccolo. In Occidente neppure la mobilitazione normativa ha determinato grandi miglioramenti. Negli USA la BPCA e il PRA, ed in Europa il Regolamento Pediatrico del 2007 introducono la necessità di effettuare studi pediatrici per tutti i nuovi farmaci di cui si richiede l'autorizzazione. Nonostante entrambe le normative incentivino gli studi pediatrici in cambio di sei mesi addizionali di esclusività sul mercato, dal 2005 al 2011 l’aumento delle sperimentazioni è stato solo del 2.3%. La tendenza dei nuovi farmaci autorizzati in età pediatrica è in crescita ma la strada è ancora lunga e probabilmente deve essere percorsa con mezzi addizionali a quelli legislativi. Sebbene gli studi clinici siano l’unico strumento per garantire ai più piccoli farmaci veramente su misura, come ha sottolineato l'AIFA, si ha ancora a che fare con un “pregiudizio etico”. Elena Coppotelli Elena Coppotelli è nata a Ferentino nel 1984. Nel 2011 si è laureata in Biologia Applicata alla Ricerca Biomedica presso l’Università di Roma La Sapienza. Nel 2014 ha conseguito il master in Sviluppo pre clinico e clinico del farmaco: aspetti tecnico-scientifici, regolatori ed etici presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Oggi lavora come quality data manager alla Bristol-Myers Squibb. Dal 2012 al 2013 ha lavorato come study coordinator presso il Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia della Sapienza. Dal 2011 al 2012 ha svolto attività di ricerca presso l’ Istituto Regina Elena. Biosimilari in oncologia: indagine tra gli esperti all’Istituto Europeo di Oncologia Un biosimilare è definito da EMA come “un prodotto che dimostra similarità al prodotto medicinale di riferimento, in termini di caratteristiche qualitative, attività biologica, sicurezza ed efficacia, basate su un dettagliato esercizio di comparabilità”. Il prodotto di riferimento di un biosimilare è un farmaco biotecnologico: il biosimilare, dunque, per essere definito tale, deve essere oggetto di numerosi studi di qualità, di immunogenicità e di comparabilità nonclinica e clinica rispetto all’originatore. Punti critici sono l’estrapolazione di indicazione, la sostituibilità automatica e la tracciabilità del biosimilare. Ma qual è il reale impatto dei biosimilari nella ricerca e nella pratica clinica? Quali sono i vantaggi ed i benefici per il paziente, e quali per il sistema sanitario? Si può pensare di utilizzarli per un’indicazione per la quale non sono stati condotti studi formali specifici? Ho posto queste domande ai medici, infermieri e farmacista ospedaliero dell’IEO. Emerge subito la sostanziale differenza tra ematologia, settore in cui l’utilizzo del biosimilare è ormai una solida realtà (es. filgrastim, biosimilare del G-CSF) ed oncologia. In quest’ultima i biosimilari stentano ad emergere, a causa dell’eterogeneità della popolazione dei pazienti, degli endpoint clinici e del profilo di immunogenicità. Ma sono stati da poco approvati dall’EMA i primi biosimilari di infliximab: inflectra e remsina; e sono in corso studi clinici con il biosimilare del trastuzumab, il cui brevetto è in scadenza. Le opinioni degli intervistati in merito ai potenziali vantaggi dell’utilizzo del biosimilare si dividono tra coloro che lo considerano solo come un incentivo alla concorrenza e coloro che ne colgono un reale beneficio. Tutti gli intervistati sottolineano la necessità di avere dati a lungo termine, e di potenziare la farmacovigilanza. Si pone l’attenzione sull’eticità degli studi di non inferiorità (biosimilare vs originatore), e sulla maggiore tutela dei diritti del paziente. Vige, purtroppo, una certa refrattarietà culturale verso i biosimilari, che necessita di una maggiore informazione dei medici. Il dibattito, dunque, è sempre vivo e la strada per i biosimilari in oncologia ancora lunga e tortuosa. Una buona notizia è un recente cambiamento nelle linee guida EMA (ottobre 2014): la possibilità di utilizzare come confronto un originatore autorizzato fuori dall’ EEA (Area Economica Europea): ciò dovrebbe facilitare lo sviluppo dei biosimilari. Daniela Tomaiuolo è nata a Manfredonia nel 1987. Nel 2010 si è laureata in Biotecnologie all’Università degli Studi di L’Aquila. Nel 2012 ha conseguito la laurea magistrale in Biotecnologie Mediche presso l’Università degli Studi di Torino. Nel 2014 ha conseguito il master “Sviluppo preclinico e clinico del farmaco” all’Università Cattolica di Roma. Nell’aprile 2014 ha seguito uno stage in data management all’Istituto Europeo di Oncologia a Milano, per poi continuare l’esperienza lavorativa come borsista fino a dicembre 2014. Attualmente svolge l’attività di data manager Anno VIII numero 48 Pagina 21 Nutraceutici…..la nuova frontiera Dopo la laurea in psicologia il dr. Andrea Zangara ha svolto attività di ricerca sulle relazioni fra memoria, emozioni e cervello presso University College London. E’ stato in seguito ricercatore per il Cognitive Drug Research. Dal 2008 Zangara ha ricoperto vari ruoli esecutivi in un’azienda australiana di medicine complementari, dove è stato direttore di ricerca e sviluppo fino al 2013. Zangara ha poi collaborato con un’azienda svizzera di fitomedicine , e svolge ora il ruolo di consulente per l’industria nutraceutica. Ha recentemente conseguito un master in fitoterapia clinica. E’ autore e coautore di numerose pubblicazioni e capitoli di libri su argomenti quali l’effetto dei nutraceutici sul SNC e la qualità, sicurezza ed efficacia dei fitoterapici. D: La parola “ nutraceutico” deriva dalla fusione dei termini “ nutrizionale” e “farmaceutico” ed oggi è utilizzata per indicare alimenti, o meglio componenti di alimenti, che forniscono importanti benefici per la salute dell’uomo. Dr. Zangara ci conferma, in base alla sua esperienza, che è vero? R: Il termine “nutraceutica” fu coniato negli Stati Uniti dal dr. De Felice, nel 1989, per indicare appunto la sintesi tra nutrizione e farmaceutica. I nutraceutici sono sostanze con proprietà medicamentose e utili per il mantenimento della salute presenti in vari alimenti da cui possono essere isolati e purificati o anche sintetizzati, che vengono generalmente proposti per la prevenzione di patologie croniche quali malattie cardiovascolari, metaboliche, cancro, osteoporosi, artropatie e patologie neurodegenerative. La categoria include alimenti e bevande funzionali, integratori alimentari botanicals e fitoterapici. Alcuni alimenti sono naturalmente ricchi di nutraceutici (ad esempio acidi grassi omega-3 in certi pesci e oli di pesce, il resveratrolo nel vino rosso), e gli alimenti funzionali arricchiti con nutraceutici vengono proposti per scopi preventivi e salutistici (ad esempio il latte e i latticini supplementati con il calcio e gli acidi grassi omega-3, lo yogurt con fito- steroli e probiotici) e per scopi terapeutici (medical foods: alimenti ai fini medici speciali). Vengono anche assunti come tali isolatamente e in combinazione, in diverse forme farmaceutiche, allo scopo di incrementarne l’apporto ottenibile con l’alimentazione. Vengono spesso definite nutraceutiche sostanze che in realtà non hanno nulla in comune con gli alimenti, e questa definizione è abusata dall’industria degli integratori. Valutare e quantificare i benefici sulla salute di una categoria così vasta non è compito semplice. I protocolli di ricerca clinica sono impostati sul modello farmacocentrico, dove esiste un sintomo o una patologia e si valuta la significatività statistica del miglioramento verso un placebo, mentre con i nutraceutici si ha a che fare prevalentemente col mantenimento della salute e la prevenzione in individui sani. Questo dovrebbe fare riflettere sui modelli di ricerca da applicare ai nutraceutici, che richiederanno adeguamenti formali e pratici. La letteratura conferma in molti casi l’efficacia di nutraceutici testati appropriatamente, ma spesso i prodotti con effetti più evidenti e rapidi sull’organismo sono al confine col farmaco, per posologia, farmacodinamica, effetti collaterali. Ciò si verifica più spesso nel campo dei botanicals, dove ad una maggiore concentrazione di composti fitochimici può corrispondere un più marcato effetto fisiologico (non necessariamente terapeutico), ed è evidente anche con le vitamine, presenti spesso nei nutraceutici con alti dosaggi. Per contro, esiste anche il caso opposto, di prodotti sottodosati che non apportano beneficio apprezzabile (se non per effetto placebo). E’ spesso difficile interpretare i risultati di studi clinici con nutraceutici, anche perchè i protocolli di ricerca non sempre includono gli obbiettivi appropriati, la popolazione e la durata adeguate, e dei markers validati. C’è poi il problema della standardiz- zazione, in quanto è fondamentale sapere il contenuto e la concentrazione di alcuni ingredienti attivi in un nutraceutico ed essere sicuri che quel contenuto è costante in ogni dose e lotto; tuttavia, prendendo nuovamente a esempio i botanicals, in una pianta ci sono numerosi componenti che interagiscono fra di loro e con l’organismo. Se vengono condotti studi clinici con prodotti derivati dalla medesima pianta o alimento, ma con differente titolazione, si possono ottenere risultati divergenti, come evidenziato da numerose metanalisi. Casi esplicativi sono quelli del Ginkgo biloba per il miglioramento delle capacità cognitive e la prevenzione delle demenze, della Echinacea per la prevenzione e cura delle malattie da raffreddamento, e della glucosamina per il trattamento dell’artrite. I risultati clinici più attendibili si ottengono tramite l’impiego di metodiche di investigazione pre clinica e clinica appropriate e validate, applicate a nutraceutici sviluppati partendo da presupposti scientifici accettabili ed i cui processi di produzione siano standardizzati ‘dal seme al paziente’. D: In questo particolare momento di congiuntura economica i nutraceutici segnano un aumento delle vendite, nonostante i prezzi elevati. Ci può fornire qualche cifra e soprattutto un suo parere a riguardo? R: La crescita globale verificatasi fra (Continua a pagina 22) Anno VIII numero 48 Pagina 22 (Continua da pagina 21) il 2002 e il 2010 si e’ adesso assestata, ma effettivamente il mercato dei nutraceutici rimane in espansione. Ad esempio Euromonitor stima che quello europeo passera’ da 7 a 9 miliardi di euro entro il 2018, con alcuni stati come la Russia che probabilmente raddoppieranno il proprio valore nello stesso periodo. E’ interessante notare che l’Italia nel 2013 ha rappresentato il mercato europeo più florido, secondo solo alla Russia. Globalmente, il mercato dei nutraceutici ha fatturato 155 miliardi di dollari nel 2013 e si stima che raggiungerà 211 miliardi di dollari entro il 2018, con un tasso di crescita annuale del 7%. Fra le molteplici ragioni si possono identificare il maggiore interesse dei consumatori verso la propria salute, la tendenza all’automedicazione, una crescente diffidenza verso i trattamenti farmacologici, accompagnata dalla diffusa percezione che tutto ciò che è naturale sia necessariamente sano e privo di rischi, la pressione del marketing nutraceutico che spesso tende ad accendere eccessive aspettative nel consumatore, ed il crescente costo dell’assistenza sanitaria. Quest’ultimo fattore ha indotto uno spostamento dalla terapia alla prevenzione, che ha creato un terreno ottimale per i nutraceutici e tutto ciò che ha a che fare con la nutrizione e la prevenzione. Fra le varie categorie, credo che saranno gli alimenti funzionali e fortificati a guidare il mercato dei nutraceutici, proprio per il crescente riconoscimento del consumatore che ‘sei quel che mangi’. Ci sarà probabilmente una tendenza verso alimenti naturalmente sani, o naturalmente funzionali, quali yogurt probiotici, noci, cibi organici, te verde, olio extravergine di oliva. Questa tendenza è anche trainata da recenti studi che confermano ulteriormente i benefici della dieta mediterranea. Il tasso, ed il costo, di obesità e diabete sono in continua crescita, e quindi non c’è da stupirsi che ci sia una maggiore sensibilizzazione del consumatore a ricorrere a rimedi alternativi ed accessibili, a cui l’industria dei nutraceutici è senzaltro ricettiva. D: Qual è, secondo Lei, il profilo del consumatore dei nutraceutici? R: A livello globale ci sono probabilmente differenze geografiche; comunque in generale la donna è spesso responsabile per l’acquisto di integratori per tutta la famiglia, ed indagini demografiche confermano il consumatore tipico come di sesso femminile, di mezza età, con un reddito ed una educazione superiori alla media. Credo che vadano visti con interesse anche l’espansione della classe media dei paesi in via di sviluppo in cui i nutraceutici vengono in genere considerati come desiderabili beni di consumo, e la fascia d’età delle persone nate negli anni 50-60, di entrambi i sessi. Infatti i cosiddetti baby boomers sono in cerca di prodotti e strategie anti aging e healthy aging, per ridurre o rallentare gli effetti fisiologici dell’invecchiamento, mantenere uno stato di salute ottimale, e prevenire o attenuare le malattie cronico-degenerative. La fascia d’età delle persone con più di 65 anni è destinata a rappresentare circa il 13% della popolazione globale entro il 2030, possiamo quindi verosimilmente affermare che il profilo medio del consumatore di nutraceutici sarà sempre più rappresentato da persone di classe sociale media, e nella fascia d’età fra 40-60 anni, interessate alla propria salute e preoccupate per la qualità e la durata della vita. D: Ora diamo uno sguardo alle aziende produttrici. Qual è la situazione ? Quali difficoltà incontrano? E la ricerca e sviluppo è presente nelle aziende italiane che si occupano di produzione di nutraceutici? R: La situazione è in fermento, l’industria farmaceutica, in cerca di strategie per uscire dalla stasi del settore, sta mostrando crescente intreresse verso il nutraceutico, per il quale però non ha necessariamente gli strumenti più adatti. Questo principalmente perché molta ricerca innovativa nel campo nutraceutico coinvolge gruppi accademici con conoscenze specifiche in determinati settori, e non necessariemente coinvolti con l’industria del farmaco. Inoltre piccole o medie imprese nutraceutiche spesso devono abbandonare interessanti progetti di ricerca e sviluppo, perchè vedono nelle cre- scenti problematiche regolatorie un rischio potenziale per il notevole investimento che la ricerca richiede, e al tempo stesso sono diffidenti verso Big Pharma. Per contro, l’industria farmaceutica ha maggior esperienza nel comunicare coi medici e altri professionisti del settore, un vantaggio fondamentale se si considera che l’evidenza scientifica e clinica sta diventando un fattore importante nello sviluppo di nutraceutici. Le aziende che hanno investito sull’evidenza scientifica, sull’innovazione, e che hanno avuto a disposizione i capitali necessari per farlo, hanno spesso visto una crescita esponenziale dei profitti, potendo contare su prodotti longevi. Esiste tuttavia il rischio concreto della borrowed science, dove aziende competitrici si appropriano di studi condotti a spese di altre aziende, per supportare i propri prodotti. Questa è una frode, a meno che i prodotti non siano realmente molto simili, resa possibile, perché non è semplice proteggere con un brevetto un nutraceutico. Altre difficoltà e differenze con prodotti farmaceutici sono ascrivibili alla natura degli ingredienti ed al tipo di formulazioni: la maggior parte dei nutraceutici contiene numerosi ingredienti, e le piante contengono molteplici composti attivi e non. Il comportamento della formula finale è perciò difficilmente prevedibile rispetto ad un prodotto farmacologico basato su un singolo ingrediente attivo e qualche eccipiente, di cui in genere si conosce bene ogni caratteristica. Anche eliminare o ridurre il sapore, aroma, odore, sono aspetti da considerare nella formulazione dei nutraceutici, che derivano da spezie, animali, piante, e ne mantengono alcune caratteristiche organolettiche. Come accennato, il problema della ricerca clinica applicata ai nutraceutici è senzaltro importante e complesso, e richiederebbe una intervista dedicata solo a questo tema! La mia esperienza è principalmente fuori dall’Italia, però le posso confermare che alcune aziende italiane piccole e medie sono all’avanguardia nella ricerca e sviluppo in campo nutraceutico, e sono osservate con estremo interesse dall’estero. (Continua a pagina 23) Anno VIII numero 48 (Continua da pagina 22) D: Su quali ambiti o settori del benessere e salute umana si concentreranno gli sforzi di ricerca e sviluppo delle aziende? R: Gli ambiti principali sono il raggiungimento e mantenimento di uno stato di salute ottimale, il miglioramento ed allungamento della vita, e la prevenzione di molte malattie cronico-degenerative. Si possono poi identificare aree specifiche, che presentano leggere variazioni annuali, influenzate anche da fattori economici, situazione regolatoria e innovazione in campo medico-scientifico. Anche in questo caso ci sono variazioni geografiche, ma principalmente la R&S nutraceutica investe in prodotti innovativi per la gestione del peso corporeo, l’apparato digestivo, la salute cardiovascolare, il diabete, le prestazioni cognitive, l’energia e la prevenzione dell’invecchiamento cutaneo. Il numero di sostanze antiossidanti è in continuo aumento, trainata dalla ricerca e soprattutto da esigenze di mercato. Il miglioramento della biodisponibilità degli ingredienti è senz’altro un altro fattore chiave nella ricerca nutraceutica. Per esempio nel caso della Curcuma, di cui si conoscono da tempo le proprietà antinfiammatorie della componente curcumina, solo recentemente sono stati sviluppati prodotti che ne permettono un assorbimento e una biodisponibilità orale elevata. Di conseguenza, da un paio di anni i supplementi di curcuma sono all’apice delle vendite, guidate dai prodotti che assicurano migliore biodisponibilità e potenza. Altre importanti tendenze sono lo sviluppo di prodotti Pagina 23 organici, senza glutine, eccipienti ed additivi; tecnologie che permettano un rilascio prolungato, rapido o fasico dei composti attivi; e forme galeniche quali sachet, gomme da masticare, fialette bevibili. Nel campo della botanica la ricerca farmacologica e clinica tentano di rivelare il meccanismo d’azione di piante e rimedi tradizionali e quantificarne l’effetto sulla salute. Per esempio, negli ultimi dieci anni sono stati condotti numerosi studi con estratti standardizzati della Bacopa monnieri, una delle piante più importanti nella medicina tradizionale ayurvedica, che hanno permesso di identificarne i composti principali e le proprietà, indicandola come uno dei rimedi più promettenti per il Sistema Nervoso Centrale. Rimanendo in campo botanico, la cannabis e dei suoi derivati sono destinati ad impieghi nutraceutici di rilievo dopo i recenti sviluppi regolatori. Ci sono poi numerosi composti fitochimici come il resveratrolo, il licopene e la luteina: supportati da adeguati studi scientifici, stanno assumendo maggiore importanza nell’ambito dello sviluppo ed applicazione di nuovi nutraceutici. D: Un’ultima domanda. Cosa vede all’orizzonte? R: Il mercato nutraceutico sarà sempre più influenzato dalla regolamentazione, che si tradurrà in maggiore confidenza del consumatore, anche se richiederà uno sforzo consistente dell’industria, che dovrà adeguarsi alle normative. Il consumatore sarà sempre più informato e proattivo, e sarà fondamentale che medici e farmacisti mantengano il ruolo di esperti SEMINARIO DI AGGIORNAMENTO “CRITICITÀ DEL REGOLAMENTO EUROPEO SUGLI STUDI CLINICI” a cura del Gruppo di Lavoro Medicina Farmaceutica Milano, Giovedì 21 maggio 2015 anche in tema di nutraceutici, per consigliare i prodotti con maggiore efficacia e sicurezza, evitando sia spese ingiustificate, e che il paziente sostituisca maldestramente l’integratore al farmaco. Le aziende avranno una crescente responsabilità nell’investire in ricerca, e nel saperne comunicare i risultati al mondo scientifico, per permettere a medici e farmacisti una valutazione indipendente. Ci sarà un crescente coinvolgimento di importanti gruppi farmaceutici ed alimentari, che tenderanno ad assorbire aziende specializzate minori per aquisirne le competenze. La genetica assumerà un ruolo importante, e saranno disponibili prodotti personalizzati per tipologie specifiche di consumatori, che potranno scegliere il nutraceutico o l’alimento più adeguato alla propria predisposizione genetica, verificabile tramite appositi test che saranno presto oggetto di marketing aggressivo, soprattutto per aree quali il metabolismo, la digestione, l’infiammazione, il peso corporeo. L’importanza della dieta e della nutrigenetica saranno sempre più valorizzate, e ciò potrebbe eventualmente indurre una riduzione nella richiesta di alcune categorie di integratori alimentari, per la percezione che una dieta ottimizzata sia sufficiente al mantenimento della salute. Si ritornerà dunque a dare maggiore importanza a ciò che fu detto da Ippocrate, cioè che l’alimento sia la tua medicina, ma con conoscenze tecnologiche e scientifiche molto avanzate che porteranno ad un miglioramento globale della salute, della qualità e durata della vita. A cura di Giovanni Abramo Anno VIII numero 48 Pagina 24 VII CONFERENZA NAZIONALE DISPOSITIVI MEDICI Garantire efficacia, sicurezza ed innovazione per una crescita sostenibile Il 18 e 19 dicembre 2014, presso l’Auditorium Antonianum di Roma, si è tenuta la VII edizione della Conferenza Nazionale sui Dispositivi Medici organizzata dalla Direzione Scientifica della Direzione Generale dei Dispositivi Medici e del Servizio Farmaceutico (DMSF) del Ministero della Salute. Appuntamento istituzionale, questo, di primaria importanza per tutti coloro che operano nel settore dei dispositivi medici (DM) per conoscere l’evoluzione, in ambito tecnico e normativo, del comparto nei prossimi anni. I DM stanno conquistando grande spazio nel mondo industriale sanitario: è il settore ove è più elevato rapporto tra investimenti in ricerca e fatturato, ed è in continuo sviluppo con un fatturato di 13.535 milioni di euro, 4940 società, 41.931 addetti ed un tasso annuo di crescita del 4,7%. Il Ministro della Salute, on. Beatrice Lorenzin, ha aperto la conferenza affermando “Il 2014 è stato l’anno della programmazione e della messa a punto, dove si è coniugato sostenibilità ed efficienza, costo e prestazione mentre il 2015 sarà quello dell’implementazione, del lavoro con approccio globale, dove si dovrà esser capaci di verificare attentamente i risultati, intervenendo negli ambiti che non funzionano. Pilastro sarà il patto per la salute 2014-2016, l’accordo approvato tra stato e regioni per la definizione certa dei budget e per l’affermazione del principio che la salute non è un costo ma un investimento”. Oltre al Ministro della Salute hanno partecipato il Direttore Generale del DMSF, dr.ssa Marcella Marletta con il suo staff di dirigenti, rappresentanti regionali, esperti nazionali ed europei, Assobiomedica e altre associazioni del settore. L’appuntamento alla Conferenza Nazionale sui Dispositivi Medici era particolarmente atteso considerato il ruolo dell’Italia nel semestre di Presidenza del ConE (1 luglio-31 dicembre 2014), per un commento su quanto è in discussione in Europa sui DM, in particolare sulle due proposte di regol siglio dell’Uamento UE ( sui dispositivi medici e dispositivi medici impiantabili e sui dispositivi medici diagnostici in vitro-IVD), di cui si attende pubblicazione.La gran parte degli interventi si è focalizzata su questo argomento e sulle iniziative che il Ministero della Salute sta portando avanti nel settore. NUOVO REGOLAMENTO EUROPEO SUI IVD—STATO DI AVANZAMENTO I due regolamenti (essendo tali troveranno immediata e completa applicazione in tutti gli Stati UE, superando così le disparità d’interpretazione ed applicazione tra i paesi membri che le direttive attuali avevano creato) mirano a rivedere il quadro normativo europeo, armonizzando le disposizioni già esistenti in materia, con l’obiettivo di garantire un più elevato grado di sicurezza dei dispositivi tra tutti gli utilizzatori, velocizzare l’immissione in commercio di prodotti sempre più sicuri ed efficaci, facilitare la libera circolazione in ambito comunitario, tutelare da contraffazioni, sostenere innovazione e competitività. Obiettivi che si prefiggono: 1. delineare più chiaramente ruoli e responsabilità delle diverse figure coinvolte nelle attività di progettazione, valutazione dei DM e messa in commercio (organismi notificati, fabbricante, “authorized representative”, licenziatario, importatore, distributore); 2. garantire una maggior interazione e condivisione di co- noscenze tra le autorità nazionali degli stati membri in particolare in tema di “device-vigilanza” attraverso il portale UE (EUDAMED); 3. definire nuove regole sulla documentazione tecnicoscientifica del DM prima e dopo la marcatura CE, con l’obbligo di una sorveglianza post-marketing attiva con invio di relazioni periodiche di aggiornamento sulla sicurezza del DM, e di documentare la “clinical evidence” per IVD; 4. attuare un maggior controllo degli organismi notificati da parte delle autorità sanitarie con audits periodici. Tra le diverse norme presenti nelle due proposte di regolamento troviamo inoltre: 1. l’obbligo per il fabbricante di dotarsi della presenza di una “qualified person” garante della qualità e dell’applicazione delle normative; 2. l’istituzione di un unico codice di identificazione (UDI) per ciascun DM per garantire una maggior tracciabilità dello stesso in tutta la filiera produttiva-distributiva; 3. il potenziamento della banca dati EUDAMED per la raccolta e condivisione in ambito UE di tutte le informazioni riguardanti il DM (certificazioni, evidenza clinica, sicurezza) con alcuni dati accessibili al pubblico; 4. sul piano delle indagini cliniche è prevista la realizzazione di linee guida sulle procedure e adempimenti e l’introduzione della procedura coordinata per indagini cliniche multicentriche in più stati membri che prevede la possibilità di presentare un’unica domanda attraverso il portale EUDAMED con uno stato membro che (Continua a pagina 25) Anno VIII numero 48 (Continua da pagina 24) funge da coordinatore. Le due proposte di regolamento promulgate dalla Commissione Europea il 26 settembre 2012 e presentate al Parlamento Europeo e al Consiglio dei Ministri dei 28 stati membri sono andate incontro, nell’iter di approvazione, a centinaia di emendamenti. Lo sforzo, in corso, è individuare una mediazione tra le diverse posizioni. Sotto la Presidenza Italiana dell'UE, le autorità italiane hanno lavorato a stretto contatto con gli stati membri promuovendo discussioni atte a facilitare un accordo tra Consiglio, Parlamento, Commissione. Un documento finale su ciascuno dei 2 regolamenti è stato presentato all’ultima riunione del Consiglio dei Ministri della Salute UE (EPSCO-dicembre 2014), a disposizione della Presidenza della Lettonia per il prosieguo dei lavori nel attuale loro semestre di presidenza. Le posizioni, com’è stato riferito durante la Conferenza, divergono principalmente su alcune tematiche: - “scrutinity procedure”. E’ un meccanismo di esame di determinate valutazioni della conformità applicabile inizialmente solo ai nuovi MD ad alto rischio ma che può essere estesa ad altre classi e categorie, di cui gli Organismi Notificati si dovranno avvalere all’atto dell’esame del dossier del DM per la marcatura CE. Prevede che l'Organismo Notificato, caso per caso, prima di rilasciare il certificato di conformità, richieda una valutazione scientifica al gruppo MDCG (Medical Device Coordination Group - un apposito organismo scientifico da istituire) sulla valutazione clinica e il follow-up clinico post-commercializzazione. Se la valutazione scientifica sarà favorevole, l'Organismo Notificato potrà procedere alla certificazione. Il Parlamento Europeo propone che i MDCG siano designati e valutati da EMA, siano responsabili della valutazione dei DM impiantabili, DM di classe III (inclusi i drug/devices), DM di classe IIb destinati alla somministrazione di farmaci, e che il processo e iter di “scrutinity” avvenga con tempi e modalità differenti da quelle proposte dalla Commissione. Pagina 25 - “clinical evidence”. Il Parlamento Europeo vuole introdurre delle procedure in analogia ai farmaci. Chiede che le indagini cliniche a sostegno dell’”efficacy” dei DM di classe III siano dei RCT (randomized controlled trials). L’impossibilità di usare placebo per certi DM ad alto rischio ( protesi, pacemakers, stent), oppure di usare il DM senza leggere o seguirne le istruzioni e modalità d’uso, fa si che i RCT non possano essere imposti obbligatoriamente ma caso per caso venga valutato il disegno di studio ottimale. Si sono introdotti concetti quali di “efficacy”, “effectiveness”, “equivalence” ma questi termini richiedono di essere meglio ridefiniti in un’ottica più attinente alla specificità dei DM. Si parla anche di registri ma va chiarita la loro struttura, tipologia, e chi li sovvenzionerà. - “data trasparency”. Il libero accesso ai dati degli studi clinici con i DM è dibattuto. Per ragioni di trasparenza si vogliono rendere pubblici non solo i dati relativi alla sicurezza ma anche quelli negativi delle indagini cliniche, considerati informazioni commerciali non sensibili. La tematica è delicata poiché se da un lato si potrà favorire i prodotti metoo abbassando i costi, dall’altra si rischia di penalizzare l’innovazione. - “re-use” e regole di etichettatura. Tutti i DM saranno considerati come riutilizzabili salvo che non sia chiaramente indicato sull'etichetta che se si tratta di un dispositivo monouso. -messa al bando di sostanze considerate nocive. Progressivamente dovranno essere banditi quei prodotti che contengono sostanze identificate dal REACH, che possono venire a contatto con il corpo del paziente( es. ftalati). Se non esistono alternative più sicure, viene chiesto al fabbricante di fornire nella documentazione tecnica, una giustificazione specifica per l'uso di tali sostanze e, nelle istruzioni per l'uso, informazioni sui rischi residui per i pazienti interessati e le misure precauzionali, appropriate, da seguire. - Nuovi DM e regole di classificazione. E’ in discussione l’inserimento nel regolamento dei DM ad uso estetico (impiantabili o altri invasivi) e la definizione di nuove regole di demarcazione tra DM e farmaci basata sui livelli di assorbimento (se c’è assorbimento si vuole seguire la normativa farmaci). Al momento le due proposte di regolamento sono in discussione al Consiglio Europeo. La Presidenza di turno della Lettonia sta tentando una mediazione tra diversi emendamenti proposti. I regolamenti con le loro modifiche dovranno poi tornare al Parlamento Europeo per la ratifica finale (attesa nel primo semestre 2015). E’ stato calcolato che se passasse la proposta di regolamento della commissione, il costo per la messa in commercio di un DM di classe III, per un’azienda del settore, si aggirerebbe sui 2,5 milioni di euro, se passasse quella del Parlamento il costo sarebbe di 17,5 milioni di euro. CONSUMI—SPESA Nei due giorni della Conferenza si è discusso molto di sostenibilità del SSN e come individuare soluzioni gestionali che assicurino sviluppo del settore, tutela della salute e contenimento della spesa, considerato che il consumo dei DM sta crescendo in maniera rilevante. Da tempo il Ministero della Salute ha avviato una serie di iniziative con lo scopo di identificare la spesa, le quantità, le dinamiche di acquisto, l’erogazione delle prestazioni. L’istituzione del repertorio dei DM che va ad alimentare la banca dati EUDAMED e che rappresenta l’anagrafe di riferimento di tutti i DM acquistabili dal SSN (compresi i DM-diagnostici in vitro entrati in repertorio obbligatoriamente a partire dal 5 giugno 2014), il flusso consumi che segue il consumo dei DM acquistati direttamente dal SSN, e il tracciato dei contratti, hanno consentito, nell’insieme, l’acquisizione di un patrimonio di informazioni estremamente dettagliato sui prodotti presenti in Italia e consumi per ciascuna ASL. L’Italia è l’unico paese a livello internazionale a disporre di tali informazioni per tutti i livelli (centrale, regionale, singola azienda) così che è possibile attuare un monitoraggio puntuale e un’efficace controllo della spesa nel (Continua a pagina 26) Anno VIII numero 48 (Continua da pagina 25) settore. Il secondo rapporto annuale sui consumi dei DM (uscito nel dicembre 2014) fotografa la realtà e la qualità delle informazioni raccolte. Il valore complessivo rilevato dal flusso dei consumi è stato pari a circa 3,231 miliardi di euro. La Lombardia è la prima regione con 511 mln di euro, seguita dal Veneto con 356 mln, da Emilia Romagna con 344 mln: ultima la Valle d'Aosta con 9 mln. Conferenza Nazionale Dispositivi Medici: l’On. Beatrice Lorenzin ISTITUZIONE RETE DISPOSIVITO-VIGILANZA Come previsto dal Patto della Salute, è stata attivata una rete di comunicazione dedicata alla Dispositivo-Vigilanza che consente di identificare velocemente il problema, attivare un’azione appropriata e tempestiva tra tutti gli operatori (personale sanitario, aziende ospedaliere, ASL, regioni, Ministero della Salute, fabbricanti, autorità stati UE). Attraverso questa rete circoleranno le informazioni sugli incidenti avvenuti con i DM, gli avvisi di sicurezza, le azioni correttive implementate, le relazioni alle autorità competenti. La rete andrà ad alimentare il network EUDAMED. Diversi saranno i profili di accesso: dal 2015 sia le regioni che le singole ASL potranno caricare dati in loro possesso, monitorare gli eventi fino alla chiusura del fascicolo, scaricare i dati. Sul sito del Ministero della Salute (http://www.salute.gov.it/ DispoVigilancePortaleRapportoOp eratoreWeb/) è ora disponibile per Pagina 26 gli operatori sanitari anche la funzionalità di compilazione del modulo per la segnalazione di incidenti “Rapporto di incidente o di mancato incidente”. Nel 2015 tale funzione on-line sarà attiva anche per i produttori (ora è solo cartacea). PROGRAMMA NAZIONALE HTA L’Italia, col Patto della Salute, ha deciso di costituire all’interno del Ministero della Salute una “cabina di regia” che definirà indirizzi, obiettivi generali da perseguire. Sarà questo uno strumento politicoistituzionale che opererà alle dirette dipendenze del Ministro e che si avvarrà del contributo tecnico di Agenas ed AIFA. Verrà stilato un programma nazionale HTA di valutazione di tutte le tecnologie (farmaci, DM, percorsi terapeutici). Questa iniziativa rientra nel programma HTA-N (politico) e nel network EUNetHTA (operativo) che l’Europa ha istituito con l’obiettivo di facilitare la cooperazione e lo scambio d’informazioni scientifiche tra le autorità sanitarie degli stati membri e gli organismi designati, responsabili della valutazione delle tecnologie sanitarie (HTA). Si creerà uno specifico modello istituzionale di HTA dei DM basato su valutazioni costoefficacia per promuoverne un uso appropriato. L’Agenas, anche in collaborazione con le reti internazionali (EUROSCAN, EUnetHTA), ha già messo in atto metodologie che affrontano la valutazione dei DM sia in fase pre-marketing e utilizzo sperimentale che postmarketing. In Italia oltre ad Agenas, ci sono 4 agenzie regionali che si occupano di HTA (Liguria, Emilia Romagna, Abruzzo, Puglia) e alcuni uffici regionali dislocati sul territorio. L’HTA diventerà fondamentale per certi DM innovativi e per i processi decisionali di acquisto nel settore pubblico. daliera si sono creati dei raggruppamenti diagnostici omogenei che costituiscono la base per il riconoscimento tariffario fissato a livello regionale sulla base del costo standard della prestazione. Il sistema dei DRG ha consentito di raccogliere informazioni importanti. Con la revisione che prevede anche il passaggio al nuovo sistema di codifica ICD-10 si vogliono raccogliere dati anche sulle prestazioni ambulatoriali, trattamenti (farmaci, DM), consumo generale di tutte risorse. Al momento ci sono 4 gruppi di lavoro che stanno testando il sistema e 20 ospedali pilota selezionati che stanno fornendo dati. La fase sperimentale finirà nel 2016. Seguirà la presentazione ufficiale pubblica e l’adozione su tutto il territorio nazionale. PUBBLICAZIONE LINEE GUIDA SULLA NORMATIVA RIFERITA ALLE INDAGINI CLINICHE CON I DM A tutti i partecipanti alla conferenza è stato distribuito un documento intitolato “Le indagini cliniche dei dispositivi medici” realizzato, per tale occasione, dalla Direzione Generale dei Dispositivi Medici e Servizio Farmaceutico del Ministero della Salute. Il documento fornisce informazioni sulle indagini cliniche dei DM riguardo la legislazione vigente nazionale ed europea, i principali documenti UE, le linee guida europee (MEDDEV in materia di indagini cliniche) e chiarisce il ruolo del Ministero della Salute nel processo di valutazione di tali indagini. Tali informazioni sono comunque presenti sul sito del Ministero della Salute nella sezione dedicata ai DM. Una versione del documento sarà caricata sul sito del Ministero a disposizione di tutti gli utenti. Lucia Beinat DRG-RIORGANIZZAZIONE E’ in corso la revisione dei DRG introdotti nel 1994 con la finanziaria per la classificazione e remunerazione dei ricoveri ospedalieri e prestazioni sanitarie. Attraverso le diagnosi e le informazioni contenute sulle schede di dimissione ospe- Anno VIII numero 48 Pagina 27 Top 10 Biotech Jobs Most in Demand over the Next Decade Last year was rough for the biopharma employment: the industry announced more than 22,000 layoffs during 2014, 57% more than in 2012. The next few years don’t appear to be much easier, as biopharma continues to absorb blows that include rising healthcare reform costs, continued economic weakness, and patent-cliff losses. Another potential blow to industry is price containment, if European and some Asian countries continue to see little benefit from new specialty drugs, and if Washington can do more about the pricey treatments than muster up some grousing from politicians. Yet there remain some glimmers of hope amid the gloom, namely projections for continued job growth over a decade in certain positions across biopharma. Below is a list of 10 research and clinical biotech occupations projected to add jobs through 2022, according to the U.S. Bureau of Labor Statistics’ (BLS) Occupational Outlook Handbook, 2014–15 Edition, ranked in order of the number of expected additional jobs to be created between 2015 and 2022. #10. Epidemiologists Employment change, 2015–22: 500 more jobs Epidemiologists compile data to try and understand the causes of diseases, improve public health issues, and prevent future problems. They do this by conducting various experiments, surveys, and interviews and studying the data they compiled. Being highly observant is a requirement in this field due to the constant demand for them to analyze data and plan studies in order to find new statistics about diseases, and then report those findings to others in the medical and public health field. #9. Genetic Counselors Employment change, 2015–22: 900 more jobs Genetic counselors assess individual or family risk for a variety of inherited conditions, such as genetic disorders and birth defects. They provide information and advice to other healthcare providers, or to individuals and families concerned with the risk of inherited conditions. #8. Zoologists and Wildlife Biologists Employment change, 2015–22: 1,000 more jobs Zoologists and wildlife biologists study animals and other wildlife and how they interact with their ecosystems. They study the physical characteristics of animals, animal behaviors, and the impacts humans have on wildlife and natural habitats. #7. Microbiologists Employment change, 2015–22: 1,400 more jobs Microbiologists focus primarily on the classification and functions of microorganisms found in humans, plants, water, etc. They organize, conduct, and supervise complex research on these microscopic organisms. Through analysis of their findings, microbiologists obtain new knowledge about these organisms and translate that into ways to develop new drugs to combat diseases. #6. Biomedical Engineers Employment change, 2015–22: 5,200 more jobs Biomedical engineers use their knowledge of engineering to design and construct systems and products for medical usage. The products that biomedical engineers create and produce are essential to the diagnosis of medical ailments. They are responsible for the reparation of the devices they build, the assurance of their functionality and safety, and work very closely with scientists, doctors, and others in the medical field to observe the engineering components of biological processes and systems to plan their developments accordingly. Some products that biomedical engineers provide include prostheses, such as artificial organs, and devices such as MRIs and CAT Scans. #5. Biochemists and Biophysicists Employment change, 2015–22: 5,400 more jobs Biochemists and biophysicists design and perform various complex tests for their research. Their job spans from studying proteins, DNA, RNA, and several other molecules to studying and testing already developed drugs and the effects that they have on biological systems and more. #4. Chemical Technicians Employment change, 2015–22: 6,000 more jobs Chemical technicians use special instruments and techniques to help chemists and chemical engineers research, develop, and produce chemical products and processes. #3. Biological Technicians Employment change, 2015–22: 8,000 more jobs Biological technicians help biological and medical scientists carry out their research and experiments. They are responsible for the set-up and maintenance of labs, and the cleaning of lab instruments and equipment to ensure they are ready for use. They prepare samples in the lab for analysis, conduct their own tests and experiments, compile data, and record their findings. (Continua a pagina 28) Anno VIII numero 48 Pagina 28 (Continua da pagina 27) #2. Medical Scientists Employment change, 2015–22: 13,700 more jobs Medical scientists specialize in researching and investigating biological systems in order to further understand and treat human diseases. Their work can span from conducting their own experiments and research based on unique hypotheses, to further investigating preexisting drugs and diseases by performing clinical trials. #1. Medical and Clinical Lab Technologists & Technicians Employment change, 2015–22: 70,600 more jobs Medical and clinical lab technologists and technicians work in either labs or health care facilities and perform tests studying blood, fluids, organs, tissue, and other substances they have collected in order to analyze. The technologists usually perform the more difficult tasks and supervise the technicians. The two work together to operate lab instruments and equipment. Technologists and technicians can either be general or specialize in a particular field, which include but are not limited to clinical chemistry, blood banks, immunology, and molecular biology. A cura di Domenico Barone La ricerca clinica in Italia Seminario del progetto Bocconi - Novartis Academy Una sede prestigiosa e la reputazione dell’Università Bocconi e di Novartis hanno indotto oltre cento professionisti a darsi appuntamento lo scorso 30 gennaio, nella speranza di ascoltare qualcosa di nuovo. Lasciatemi subito dire che non c’è nulla di nuovo all’orizzonte: anzi, parafrasando un noto aforisma, verrebbe da dire “Ricerca clinica: più se ne parla e meno se ne fa!”. Ma veniamo ai fatti: il seminario è iniziato con un’ introduzione della dr.ssa Rosanna Tarricone (CERGAS) la quale, citando alcuni dati di una sua ricerca appena conclusa, ha potuto quantificare in circa un milione di euro al giorno la perdita che il nostro Paese sta subendo per il dirottamento degli studi clinici verso Paesi più competitivi. L’analisi delle debolezze del nostro Paese è poi proseguita con l’intervento congiunto del dr Giuseppe Ambrosio (Università di Perugia) e della dr.ssa Marta Gehring (SBG consulting), i quali hanno riassunto i dati già pubblicati sul BMJ open nel 2013. Si tratta dello studio SAT-EU, che ha quantificato in circa 20 miliardi di euro/anno gli investimenti in ricerca clinica in Europa. Gli autori hanno preso in considerazione 4 aree critiche per la scelta di dove indirizzare gli studi clinici (ambiente, sperimentatori, ospedali, costo). Lo studio ha coinvolto molti paesi europei, le risposte ottenute sono state circa 500, e l’analisi ha evidenziato che l’Italia perde in tutti i confronti con gli altri paesi europei, ponendosi come valutazione globale di attrattività allo stesso livello di piccoli paesi come l’Austria e la Svizzera. Ha poi continuato a “girare il coltello nella piaga” la dr.ssa Cavazza (CERGAS), commentando i dati di una sua ricerca sul ruolo delle Unità di Ricerca Clinica, presenti in ancora troppo pochi ospedali. Dove queste unità sono state istituite, si è potuto constatare un alto livello di apprezzamento sia come supporto manageriale che come centro di riferimento per tutti gli sperimentatori (e questo vale sia per gli studi con sponsor industriale, che per gli studi spontanei): ma purtroppo, come già anticipato, queste unità sono ancora troppo poche, e spesso animate da personale precario, che viene perduto alla prima offerta esterna di un lavoro stabile. E’ poi intervento il collega Daniele Alberti (Novartis oncology), il quale ha ribadito le grandi difficoltà che il suo gruppo deve affrontare per mantenere un buon livello di impegno italiano negli studi internazionali. Come sempre, tutte le presentazioni si sono concluse con un messaggio di ottimismo circa le prospettive future: personalmente ritengo fuori luogo questo ottimismo. E sarebbe ora che ci dicessimo le cose come stanno. L’Italia ha perso circa il 25% delle sperimentazioni cliniche negli ultimi 3 anni: la discesa sembrava essersi fermata sulle circa 500 sperimentazioni all’anno, ma i primi dati del 2014 smentiscono questa previsione. E sappiamo tutti molto bene che le occasioni perdute non si ripresentano più. L’impianto burocratico per l’attivazione di uno studio clinico è sempre più complicato, con CE satelliti che continuano a chiedere modifiche che non spetta loro affrontare, delibere che impiegano mesi ad essere firmate, e verbali che sono resi disponibili solo dopo reiterati solleciti, e dopo diverse settimane. Diciamolo a chiare parole: oggi attivare uno studio clinico in Italia richiede da sei a nove mesi: non è certamente uno scenario competitivo. Lasciatemi concludere che, nel lasciare la bella sede della Bocconi, ho avuto la netta sensazione di aver perso una mattina, sia ad ascoltare dati già noti sulla poca attrattività del nostro Paese in tema di sperimentazione clinica, sia a sentire auspici di speranze di ripresa, invero mal suffragati da dati oggettivi. Domenico Criscuolo Anno VIII numero 48 Pagina 29 Top 10 Clinical Trial Failures of 2014 The following is a list of top 10 clinical failures of 2014:drug candidates are listed in alphabetical order. 1] Bitopertin (RG 1678) Sponsor: Roche Indication: Schizophrenia Type of drug: Glycine reuptake inhibitor How drug failed: Did not meet primary endpoints in two Phase III studies evaluating the drug candidate for persistent, predominant “negative symptoms” of schizophrenia. 2] Cabozantinib (COMETRIQ) Sponsor: Exelixis; Indication: Metastatic castration-resistant prostate cancer (mCRPC); Type of drug: Tyrosine kinase inhibitor; How it failed: Did not meet its primary endpoint in overall survival (OS) compared to prednisone. 3] Custirsen (OGX-011) Sponsors: OncoGenex and Teva; Indication: Metastatic castrate-resistant prostate cancer (CRPC); Type of drug: Antisense clusterin inhibitor ; How it failed: Did not meet its primary endpoint in overall survival (OS) versus docetaxel and prednisone alone. 4] Darapladip Sponsor: GlaxoSmithKline; Indication: Coronary heart disease; Type of drug: Orally active inhibitor of Lp-PLA2 (lipoprotein-associated phospholipase A2); How it failed: In a Phase III study, darapladip did not meet its primary endpoint of extending the time to first occurrence of any major adverse cardiovascular event (MACE). 5] MAGE-A3 Sponsor: GlaxoSmithKline; Indication: Non-small cell lung cancer (NSCLC); Type of drug: Cancer immunotherapeutic; How it failed: Did not meet its first or second co-primary endpoints in the Phase III MAGRIT trial. 6] NX-1207 Sponsor: Nymox Pharmaceutical; Indication: Benign prostatic hyperplasia (BPH); Type of drug: Apoptosis stimulant; How it failed: Did not meet primary efficacy endpoints. 7] Revolixys Kit (pegnivacogin and anivamersen) Sponsor: Regado Biosciences; Indication: Coronary artery disease (excluding those with ST-elevated myocardial infarction) undergoing percutaneous coronary intervention; Type of drug: Anticoagulation system consisting of pegnivacogin, an injectable anticoagulant and its complementary injectable oligonucleotide agent, anivamersen; How it failed: A Phase III trial was terminated after DSMB indicated that the level of ADR “was of a frequency and severity such that we did not enroll any further patients”. 8] Tabalumab Sponsor: Eli Lilly; Indication: Systemic lupus erythematosus; Type of drug: Anti-BAFF (B cell activating factor) monoclonal antibody; How it failed: Did not meet its primary endpoint in two Phase III trials. 9] Tecemotide (formerly Stimuvax or L-BLP25) Sponsors: Merck and Oncothyreon; Indication: Non-small cell lung cancer (NSCLC); Type of drug: MUC1 antigen-specific cancer immunotherapy; How it failed: Did not meet its primary endpoint . 10 ] Vynfinit (Vintafolide) Sponsors: Merck and Endocyte; Indication: Platinum-resistant ovarian cancer (PROC); Type of drug: Conjugate of folic acid (vitamin B9) linked to the vinca alkaloid desacetylvinblastine hydrazide (DAVLBH); How it failed: Did not demonstrate efficacy on progression-free survival (PFS) in patients with PROC. A cura di Domenico Barone Anno VIII numero 48 Pagina 30 SEMINARIO SU Venerdì 27 febbraio si è tenuto il seminario “Equivalenza terapeutica tra prodotti farmaceutici aventi principi attivi differenti” organizzato dal GdL Farmacoeconomia e Market Access. Ottima la partecipazione, a sottolineare la crescente attenzione della comunità scientifica, istituzionale e delle aziende al tema delle gare regionali basate sulla equivalenza terapeutica. I relatori hanno riportato, a vario titolo, esperienze su come i servizi sanitari regionali abbiano attivato procedure per considerare e valutare questo tema. Dalle sessioni è chiaramente emerso che l’unico ente italiano che può produrre valutazioni sull’equivalenza terapeutica è AIFA. L’ente regolatorio ha reso disponibili alcune linee guida, finalizzate ad orientare le regioni nella presentazione delle richieste di parere. La presentazione del prof Mauro de Rosa è stata molto utile per definire i confini dell’equivalenza tra principi di origine chimica e quelli di origine biologica (figura 1). AIFA non si occuperà di determinare l’equivalenza semplice tra specialità medicinali originali ed equivalenti, e non sarà nemmeno impegnata nella definizione di equivalenza semplice comparabile tra biosimilari e biooriginatori. Questo perchè, nel caso della equivalenza semplice, esiste di fatto il “principio della sostituibilità”, che t r o v a “ f o n d a m e n t o ” nell’aggiornamento delle liste di trasparenza. Analogamente, rispetto al principio di sostituibilità, tra biologico originatore e corrispondenti biosimilari, si EQUIVALENZA TERAPEUTICA conferma quanto già posto in essere dall’Agenzia, anche relativamente alla non automatica sostituibilità. Le regioni potranno chiedere un parere ad AIFA per definire l’equivalenza complessa sovrapponibile (tra principi attivi diversi di origine chimica) e dell’equivalenza complessa comparabile, cioè la sovrapponibilità tra prodotti di origine biotecnologica. Molto preziosa l’esperienza della regione Veneto, testimoniata dalla dott.ssa Chiara Roni, del servizio farmaceutico. Questa regione ha maturato una considerevole esperienza in merito al tema dell’equivalenza terapeutica: infatti il servizio farmaceutico regionale è autore di 4 richieste. Tali richieste, presentate ad AIFA dalla regione, si basano su 4 pilastri : codice ATC simile (IV Livello); stessa forma farmaceutica; stesso meccanismo d’azione; presenza di linee guida di possibile “sovrapposizione” dei trattamenti. Durante l’ultima relazione, tenuta dal prof Leonardo Salvemini, sono stati esaminati gli aspetti legali delle procedure di gare ed i riferimenti normativi sottesi alla determinazione dell’equivalenza terapeutica. E’ stato quindi un pomeriggio molto interessante ed utile; vi diamo appuntamento al prossimo seminario e invitiamo tutti i soci a partecipare attivamente alle attività del gruppo Farmacoeconomia e Market Access. A presto! Gianluca Sorriento Anno VIII numero 48 Pagina 31 NEWS ON CLINICAL TRIALS Cancer Seattle Genetics initiated a Phase I trial evaluating SGN-CD70A for CD70 positive relapsed or refractory non-Hodgkin lymphoma (NHL) and metastatic renal cell carcinoma (RCC). The primary endpoint of the open-label, multicentre, dose-escalation study are to estimate the maximum tolerated dose and to evaluate the safety of SGN-CD70A. In addition, the trial will evaluate the antitumor activity and pharmacokinetics in patients with CD70-positive metastatic RCC or relapsed or refractory NHL, including mantle cell lymphoma and diffuse large Bcell lymphoma. The study is designed to evaluate SGN-CD70A administered every three weeks and will enroll approximately 95 patients. Chronic Kidney Disease Amgen reported that a Phase III study evaluating AMG 416 for the treatment of secondary hyperparathyroidism in patients with chronic kidney disease, receiving hemodialysis, met its primary and all secondary endpoints. The primary endpoint was the proportion of patients with > 30% reduction from baseline in parathyroid hormone (PTH) levels during an efficacy assessment phase (EAP) defined as a period between weeks 20 and 27. The 26-week, randomized, double-blind, placebo controlled study was conducted in 508 patients who received AMG 416 or placebo three times per week by intravenous injection with each hemodyalis treatment. Doses ranged from a minimum of 2.5 mg to a maximun of 15 mg. In the AMG 416 group, 74% of patients achieved a > 30% reduction from baseline in PTH compared with 8.3% in the placebo arm. Secondary endpoint included the percent change from baseline during the EAP in serum phosphorus concentration (mean changes of -7.71 and -1.31% among patients in the AMG 416 and placebo arms, respectively) and corrected calcium concentration (mean changes of -7.29 and -1.18% among patients in the AMG 416 and placebo arms, respectively). OPKO Health presented results from a Phase III trial of Rayaldee in a study intended to establish a new treatment for secondary hyperparathyroidism in patients with type 3 or 4 chronic kidney disease (CKI) and vitamin D insufficiency. The company said Rayaldee was equally effective in both disease stages, indicating the therapy is appropriate for patients with minimal functioning kidney mass. This trial included 213 adult patients who were stratified by CKD stage and randomized in a 2:1 fashion to receive six months of treatment with either Rayaldee or placebo. On enrollment, all patients exhibited vitamin D insufficiency, which was ultimately corrected in 96% of patients treated with Rayaldee. The completed trail successfully met all primary efficacy and safety endpoints. The primary efficacy endpoint was an analysis in which a responder was defined as any treated subject who demonstrated an average 30% decrease in plasma parathyroid hormone from pretreatment baseline during the last six weeks of the treatment period. A significantly higher response rate (p<0.001) was observed with Rayaldee. The response rate, which steadily increased with treatment duration, was similar in CKD stages 3 and 4. Safety and tolerability data were comparable in both treatment groups. Irritable Bowel Syndrome Salix Pharmaceuticals reported results from a Phase III randomized, double blind, placebo-controlled study to evaluate treatment with rifaximin 550 mg TID three times daily for 14 days in irritable bowel syndrome patients with diarrhea, or IBS-D, who responded to an initial treatment course with rifaximin. The effects of rifaximin on the gut microbiotics were evaluated by two methods, traditional culture techniques and next generation gene sequencing of stool samples collected from approximately 100 randomly selected subjects in the trail. Skin wabs were also obtained from an additional 113 randomly selected subjects and cultured for Staphylococcus bacteria. The data revealed no disturbance of fecal microbiotics in subjects taking repeat courses of rifaximin as compared to subjects taking a single course of rifaximin followed by placebo for the remainder of the trial. Results of the culture and susceptibility testing demonstrated no evidence of cross-resistance to non rifamycin antibiotics in isolates grown fron either stool or skin swab cultures. Repeat treatment courses of rifaximin do not appear to predispose patients to the emergence of potentially pathogenic bacteria. Traumatic Brain Injury NeuroVive begun enrolling patients in a Phase IIa study of its drug candidate NeuroSTAT for treating patients with severe traumatic brain injuries (TBI). Seven of a total of 20 patients have been enrolled in the study. The primary endpoint of the open, noncomparative study is to evaluate NeuroSTAT’s pharmacokinetics and safety. A secondary endpoint is to study NeoroSTAT efficacy at the mitochondrial level and how biochemical processes are affected by NeuroSTAT post TBI. A cura di Domenico Barone Anno VIII numero 46 Pagina 32 NUOVI SOCI ALBERTONI CHIARA ALBIERO MARA ALFIERO MARIO THERAMETRICS Mediolanum Farmaceutici Astrazeneca Centro Reg Farmacovigilanza AURICCHIO FABIANA Campania AZZOLINA DANILA Università di Padova BARBENGHI FRANCESCA RECORDATI BELLANTUONO CABIRIA LOFARMA BERTO SAMANTHA MCCANN COMPLETE MEDICAL BIANCO ANNALISA Rottapharm Biotech BODDI CHIARA JSB SOLUTIONS BORGHI VALERIA THERAMETRICS BORGHINI ALICE ALIDANS BORGIA FRANCESCA ROMANA CHIESI FARMACEUTICI BOSELLI TOMMASO Chiltern International BRIANZA CATERINA THERAMETRICS BROGLIA MONICA IRCCS SAN MATTEO BUTTAZZI LINDA THERAMETRICS CALABRO’ EMANUELE ROCCO Chiesi farmaceutici CARRA ALESSANDRO THERAMETRICS CARROLI CRISTINA THERAMETRICS CASIRAGHI MARIA CHIARA THERAMETRICS CASTELNOVO ANGELO THERAMETRICS CATALDO NAZZARENA CSD Medical Research COSTANZO CARMELA JANSSEN-CILAG COTUGNODEPALMA MICHELE THERAMETRICS DALVICI NICCOLO’ GB Pharma Services & Consulting DAMIANO EDOARDO Otsuka Pharmaceutical DE GREGORI SIMONA IRCCS SAN MATTEO DE SILVESTRI ANNALISA IRCCS SAN MATTEO DI CARO MARGHERITA THERAMETRICS ESPOSITO VIOLETTA THERAMETRICS FERRARO ANGELA MARIA THERAMETRICS FORLANELLI ELENA THERAMETRICS FORONI LAURA Freelance GAROFALO NADIA THERAMETRICS GIANSANTI VINCENZO MEDPACE GIUGA GIOVANNI BOSCO THERAMETRICS LANERA CORRADO Università di Padova LAROSA MONICA SANOFI Hanno collaborato a questo numero: Giacomo Abramo - [email protected] Domenico Barone - [email protected] Lucia Beinat - [email protected] Elena Coppotelli - [email protected] Elisa Cesarini - [email protected] Domenico Criscuolo - [email protected] Umberto Filibeck - [email protected] LUCARINI ELENA MAFFEI CECILIA MARAGNI CRISTINA ABBVIE RECORDATI THERAMETRICS MARTENSINI SILVIA THERAMETRICS MAZZOLENI MIRIAM MICHELINI ROBERTA MIRRA KATIA MOLINARO MARIA DELFINA MONTAGNA MICHELA MOROSINI MONICA MOSSALI CHIARA NASAZZI BRUNA PAINA SARA PAPETTI SARA PARISI SAMANTHA PASTORE ELISA PELILLO CHIARA PENNATI CHIARA PIADENA ROBERTA PIEROTTI BARBARA PIETRA DANIELE PRICCA ANDREA DOMENICO PROCIDA LUCIO RAIMONDI ELENA RIZZOLI SARA RUFFINI CHIARA RUSCONI CRISTINA SALA SAMUELE SANTINI CINZIA SEQUI MARCO SERRADIFALCO CLAUDIA SILLETTI VIVIANA SORVILLO CARLOTTA SPERONI ELISABETTA STEFANONI IRENE TROVATI MELISSA VAN NIEVWENHOVE BENEDICT VENTURA MARIANNA VISENTIN ELENA THERAMETRICS IRCCS SAN MATTEO THERAMETRICS IRCCS SAN MATTEO IRCCS SAN MATTEO IRCCS SAN MATTEO MCCANN COMPLETE MEDICAL THERAMETRICS Mediolanum Cardio Research GB Pharma Services & Consulting THERAMETRICS Astrazeneca Orthofix Freelance THERAMETRICS THERAMETRICS ALIDANS Consulente THERAMETRICS THERAMETRICS MEDIDATA THERAMETRICS THERAMETRICS IBIS INFORMATICA FIDIA FARMACEUTICI THERAMETRICS MCCANN COMPLETE MEDICAL GB Pharma Services & Consulting Scope International Novartis Farma THERAMETRICS THERAMETRICS Formazione in ricerca clinica IRCCS SAN MATTEO CSD Medical Research Anna Gimigliano - [email protected] Francesca Scarabotto - [email protected] Johanna Schenk - [email protected] Gianluca Sorriento - [email protected] Daniela Tomaiuolo - [email protected] Carla Turriziani - [email protected] Daniela Visini - [email protected] CONSIGLIO DIRETTIVO Presidente: Marco Romano Vice—presidente: Anna Piccolboni Segretario: Salvatore Bianco Tesoriere: Luigi Godi Consiglieri: Giuseppe Assogna, Rossana Benetti, Marie-Georges Besse, Sergio Caroli, Simona Colazzo, Domenico Criscuolo, Gianni De Crescenzo. Direttore Responsabile: Domenico Criscuolo Comitato editoriale: Giovanni Abramo, Salvatore Bianco, Sergio Caroli, Domenico Criscuolo, Luciano M. Fuccella, Marco Romano Segreteria editoriale: Sabrina Lucioni Segreteria Organizzativa: Viale Abruzzi 32—20131 MILANO Tel. 02-29536444 Fax. 02-89058506 E-mail [email protected] SSFA oggi Stampa: MEDIA PRINT, Livorno Registrazione del Tribunale di Milano, N. 319 del 14/05/2007 “Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCB PRATO” Numero progressivo 48 Periodicità: bimestrale WWW.SSFA.IT