SOCIETA’
DI SCIENZE
FARMACOLOGICHE
APPLICATE
SOCIETY FOR APPLIED
PHARMACOLOGICAL
SCIENCES
SSFAoggi
Notiziario di Medicina Farmaceutica
Bimestrale della Società di Scienze Farmacologiche Applicate
Aprile 2015
numero
Fondata nel 1964
48
Farmaci e qualità
Sommario:
Editoriale
1
SSFA incontra AIFA
1
Studi clinici in oncologia
2
La Fase I in oncologia
4
Il libro di oggi
5
CRO
6
CRO
8
Congresso SMD
9
Regolamento UE
10
Livio Zeller
12
Oggi parliamo di……
13
The Lancet
16
Notizie dai master
18
Nutraceutici
21
Dispositivi Medici
24
Top biotech jobs
27
Ricerca clinica in Italia
28
Top clinical failures
29
Euivalenza terapeutica
30
News on Clinical Trials
31
Nuovi Soci
32
Ho sempre detto che per tutti noi, che ci occupiamo di ricerca e sviluppo di farmaci, la qualità è un dovere etico: pur con il massimo rispetto per chi produce
automobili o frigoriferi, io penso che sviluppare un farmaco, cercare di aiutare chi
ha una malattia, a volte grave e mortale, richiede il massimo della qualità.
Il percorso della qualità del farmaco, iniziato negli anni ’60, non conosce sosta.
Sono state per prime messe a punto le norme GMP, poi le GLP, poi le GCP: ma
il percorso continua ed, oltre agli ovvi aggiustamenti dovuti al progresso della
scienza, oggi i riflettori della qualità sono puntati sulla preparazione dei professionisti che si dedicano allo sviluppo dei farmaci.
Negli ultimi venti anni, a livello mondiale, si è sentita la necessità di attivare corsi
post laurea dedicati ad approfondire le metodologie della ricerca e sviluppo dei
farmaci, in due parole sono nati tanti master sulla Medicina Farmaceutica. Poi, a
partire dal 2009, con il progetto PharmaTrain, si è affrontato il tema
dell’armonizzazione di
di questi
questi corsi
corsi post
postlaurea.
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progetto
SMD
una dimensione
globale.
progetto SMD avrà una dimensione globale.
Domenico Criscuolo
SSFA incontra AIFA sul progetto SMD
Lo scorso 11 febbraio una delegazione SSFA composta da Salvatore Bianco,
Francesco De Tomasi e Domenico Criscuolo ha incontrato una delegazione AIFA (Luca Pani, Guido Mangano, Luisa Muscolo, Sandra Petraglia e Silvia Miriam
Cammarata): lo scopo era di illustrare il progetto SMD, la sua valenza globale, e chiedere una partecipazione di AIFA al congresso
del 10-11 giugno, ma soprattutto al National
Certification Board che avrà il compito di selezionare i candidati, identificare i tutor e definire le modalità di verifica delle competenze
acquisite sul posto di lavoro, al fine di raccomandare l’assegnazione del titolo di Specialist in Medicines Development. La delegazione AIFA ha ascoltato con molto interesse il
progetto che SSFA sta attivando in Italia, ed ha garantito la massima collaborazione nelle fasi della sua realizzazione.
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Anno VIII numero 48
Pagina 2
STUDI CLINICI IN ONCOLOGIA
Si è svolto lo scorso 11 Novembre a
Roma, nell’Auditorium Servier Italia,
davanti ad oltre 40 partecipanti, il
seminario di aggiornamento sugli
“Studi clinici in oncologia”, organizzato dal gruppo di lavoro Medicina
Farmaceutica.
Dopo il benvenuto ed una breve introduzione di Marie-Georges Besse,
dei moderatori Luigi Godi e Salvatore Bianco, il seminario si è aperto
con la relazione del dott. Franco
Mainini (Novartis Oncology), il quale
ha illustrato lo stato dell’arte e le
prospettive degli studi clinici oncologici in Italia, portando l’esperienza
della sua unità di ricerca. Egli ha
sottolineato come, negli ultimi 3-4
anni, l’andamento positivo di crescita
del numero di studi clinici a cui avevamo assistito in passato ha iniziato
a rallentare. Le percentuali di ripartizione degli studi si sono stabilizzate
nel tempo, con un numero purtroppo
sempre basso di studi di fase I (circa
il 6%) ed una riduzione del numero
di studi di fase IV e di studi no-profit
di ricerca indipendente. Fra tutte le
sperimentazioni cliniche eseguite in
Europa, circa il 18% è svolto in Italia:
dato in realtà molto al di sotto delle
possibilità del nostro paese e delle
sue eccellenze scientifiche. Il relatore ha anche evidenziato come, negli
ultimi anni, la ricerca oncologica abbia subito una profonda trasformazione, sia in ambito preclinico che
clinico. L’identificazione e la selezione di nuovi composti è stata significativamente
accelerata,
grazie
all’utilizzo di modelli standardizzati di
linee cellulari tumorali. I tumori sono
sempre più classificati non solo in
base al sottotipo istologico ma anche a mutazioni o amplificazioni geniche, che li rendono estremamente
eterogenei da un punto di vista molecolare. Sono state messe a punto
strategie di ricerca mirate ad identificare marcatori biologici predittivi di
risposta, per esplorare le vie di trasduzione del segnale implicate nella
cancerogenesi, migliorare la selezione dei pazienti da trattare ed aumentare le probabilità di successo. Si
disegnano sempre di più studi di
fase 1, che non solo permettono di
ottenere informazioni sul profilo di
tollerabilità del farmaco ma che for-
niscono parallelamente anche precoci dati di attività, in modo da accelerare i tempi di sviluppo e di registrazione per le molecole più promettenti.
A tale scopo, molte aziende farmaceutiche - Novartis Oncology ne è
un esempio- hanno creato al loro
interno strutture dedicate allo sviluppo e all’implementazione di studi
clinici di fase precoce (I/II), spesso
mirati all’identificazione di composti
selettivi, in grado di interferire con
processi molecolari alterati. Se da
una lato abbiamo assistito ad un
veloce e necessario cambiamento di
approccio alla ricerca clinica oncologica, il dott. Mainini ha evidenziato
come lo scenario normativo ed istituzionale sia ancora troppo lento e
poco competitivo rispetto a quello
europeo. La ripartizione dei centri
coinvolti negli studi clinici, in particolare per gli studi di fase precoce, è
ancora molto sbilanciata sul territorio, con una prevalenza del centronord. Questo sbilanciamento non è
legato ad una diversa distribuzione
delle eccellenze scientifiche, in
quanto anche al centro-sud troviamo
ottime strutture con elevate competenze, che vengono però penalizzate
da un iter burocratico autorizzativo
ancora troppo lento e poco competitivo. I tempi medi di attivazione di
uno studio clinico, dalla presentazione della domanda di autorizzazione
alla firma del contratto, sono spesso
superiori ai 5 mesi. Questo rende
l’Italia lontana dagli standard di efficienza europei e quindi
poco
“attraente”, soprattutto per gli studi di
fase precoce, che hanno generalmente una durata breve e necessitano di un rapido reclutamento. Come
ha ricordato il relatore, le modifiche
introdotte dal decreto Balduzzi avevano lo scopo di migliorare i tempi
autorizzativi, centralizzando le competenze e riducendo il numero dei
Comitati Etici. Il decreto è stato però
recepito dalle regioni in modo molto
diversificato ed in alcuni casi estremamente lento, con conseguenti
ritardi nella riorganizzazione e nell’
attività dei Comitati Etici. Il relatore
ha quindi evidenziato la necessità di
migliorare l’iter autorizzativo di uno
studio clinico, proponendo ad esempio di definire in modo più chiaro i
ruoli e le responsabilità dell’Autorità
Competente e dei Comitati Etici, per
evitare sovrapposizioni di giudizio;
creando una rete di Comitati Etici
“esperti” che possa supportare
l’attività di AIFA; consolidando il ruolo dell’Istituto Superiore di Sanità,
che rappresenta un ottimo esempio
di supporto ed efficienza, per
l’autorizzazione degli studi di fase I.
In conclusione, da questa prima parte del seminario, è emersa la necessità di coniugare l’eccellenza e le
competenze italiane con una maggiore operatività ed efficienza istituzionale, per poter garantire a chi
investe in ricerca nel nostro paese
non solo degli elevati standard qualitativi ma anche credibilità, affidabilità
e rapidità di sviluppo.
Il seminario è proseguito con la rela(Continua a pagina 3)
Anno VIII numero 48
Pagina 3
(Continua da pagina 2)
zione del dott. Paolo Bruzzi, direttore
del dipartimento di Epidemiologia
Clinica dell’Istituto Nazionale per la
Ricerca sul Cancro (IST) di Genova,
il quale ha illustrato gli aspetti metodologici e statistici applicati agli studi
clinici in oncologia. Il relatore ha innanzitutto sottolineato come, per
disegnare uno studio clinico robusto
ed analizzare i suoi risultati in modo
adeguato, sia indispensabile affiancare alle competenze cliniche un
supporto statistico specializzato e
definire in anticipo le analisi statistiche da applicare. In passato, il processo di sviluppo clinico di un farmaco era abbastanza rigido e si avvaleva di un piano statistico predeterminato, per ridurre al massimo la possibilità di errore. Negli ultimi 20 anni,
gli enormi passi avanti ottenuti nelle
conoscenze genetiche e molecolari
dei tumori hanno permesso di identificare bersagli biologici specifici ed
individuare terapie mirate. Tali progressi hanno però evidenziato la
necessità di implementare, negli
studi clinici, nuovi disegni statistici
ed identificare nuovi parametri per
valutare l’attività e l’efficacia dei farmaci biologici. Questi farmaci spesso non inducono le risposte eclatanti
osservate con la classica chemioterapia ma favoriscono una stabilizzazione della malattia tumorale, anche
per lunghi periodi. Il dott. Bruzzi ha
evidenziato come, per queste nuove
terapie, la riduzione volumetrica della massa tumorale non sia più un
criterio sufficiente per valutare la
risposta anti-tumorale, ma dovrebbe
essere affiancata da ulteriori analisi,
quali la valutazione della risposta
metabolica, mediante l’uso della
PET-scan o l’analisi di mutazioni in
specifici processi molecolari, mediante esami immunoistochimici su
biopsie multiple. Il dott. Bruzzi ha
inoltre sottolineato come le maggiori
conoscenze genetiche e molecolari
dei tumori hanno rivoluzionato anche il concetto di “rarità”. In passato
si definiva “raro” un tumore in base
alla sua istologia o alla sede in cui si
sviluppava, oggi si parla di
“condizioni tumorali rare”, legate
cioè all’espressione di diverse varianti molecolari. Pertanto, anche
tumori classicamente ad alta incidenza, quali il tumore della mammella o il tumore del polmone, vengono
oggi finemente classificati in sottogruppi molecolari rari, in base
all’espressione, alla mutazione o
all’amplificazione di specifici geni o
recettori. Sviluppare uno studio clinico in una condizione tumorale rara
significa quindi avere a disposizione
un campione piccolo, costituito da
pochi pazienti finemente selezionati.
E’ pertanto indispensabile disegnare
e condurre questo tipo di studi in
modo estremamente accurato e
strutturato, per sopperire alle limitate
dimensioni del campione e garantire
comunque robustezza statistica allo
studio. A tale scopo, accanto a revisioni sistematiche e metanalisi “non
ortodosse” che si basano su casereport, studi non controllati o con
endpoint surrogati, il dott. Bruzzi ha
spiegato che nel disegno di studi
clinici in condizioni tumorali rare e/o
Daniela Visini si è laureata in Chimica e Tecnologia Farmaceutica all’Università di Bologna ed
ha conseguito il dottorato di ricerca nel laboratorio di Farmacologia e Tecnologie Biomediche
dell’Università di Chieti.
Da 8 anni lavora presso l’Istituto di Ricerca
Servier (Roma), dove si occupa della gestione
e dello sviluppo, in Italia, di studi clinici di fase
precoce in campo oncologico.
con farmaci a bersaglio molecolari è
sempre più spesso utilizzata la statistica Bayesiana. Spesso accusato
di essere soggettivo e facilmente
manipolabile, in realtà l’approccio
Bayesiano permette di integrare
l’evidenza sperimentale ottenuta dai
risultati di uno studio clinico, con le
conoscenze “a priori” su quel tumore
o su quella mutazione, calcolando
quindi la probabilità che un evento si
verifichi, sulla base delle informazioni disponibili. Infine, il dott. Bruzzi ha
ricordato come un altro strumento
importante e sempre più utilizzato
negli studi recenti è rappresentato
dai “disegni adattativi”: disegni che
consentono cioè di modificare alcuni
aspetti dello studio ancora in corso,
sulla base delle informazioni emerse
fino a quel momento, senza comprometterne la validità. Le modifiche
attuate devono essere predefinite e
giustificate nel protocollo e possono
includere cambiamenti nella dimensione del campione, nei criteri di
inclusione/esclusione, nelle dosi o
regimi di trattamento, negli endpoint
dello studio o nella sua chiusura anticipata per efficacia/futilità. In conclusione, il relatore ha evidenziato
come la crescente applicazione di
questi nuovi modelli statistici permetta di aggiornare i risultati in corso di
studio, trasferire le evidenze e le
conoscenze da un tumore all’altro,
accelerando il processo di sviluppo
di un farmaco, ma renda anche necessario delineare nuove raccomandazioni metodologiche e appropriate
linee guida, per svolgere in modo
corretto uno studio clinico.
Daniela Visini
Anno VIII numero 48
Pagina 4
LA FASE I IN ONCOLOGIA
Il primo seminario 2015 del GdL Medicina Farmaceutica si è tenuto lo
scorso 13 gennaio, presso la nuova
e bella sala convegni del Centro Diagnostico Italiano (Milano), che ringraziamo nuovamente per la cortese
ospitalità. Il tema del seminario era
stato scelto tenuto conto del recente
incremento, confermato anche dai
dati dell’osservatorio sulle sperimentazioni cliniche, degli studi di Fase I,
quasi completamente ascrivibile
all’oncologia. La proposta è stata
ben accolta dai nostri soci: infatti la
sala era piena, con circa ottanta partecipanti.
La prima relatrice, la dr.ssa Patrizia
Popoli (ISS), ha ricordato brevemente la procedura e la documentazione
necessarie per poter accedere alla
Fase I: ha naturalmente ricordato la
peculiarità della Fase I in oncologia,
che viene svolta su pazienti, spesso
in condizioni gravi perché già esposti
a diverse linee di chemioterapia. Ha
raccomandato grande attenzione
alla scelta della dose per l’uomo,
ricordando che bisogna tener presenti sia la frequenza che il numero
di cicli di somministrazioni, ed invitando tutti coloro che si accingono a
scrivere un protocollo di fare riferimento alla linea guida EMA sugli
studi “first in man”, ponendo particolare attenzione agli intervalli fra le
coorti di pazienti. Infine, per quanto
riguarda il ruolo dell’ISS, ella ha ricordato che il DPR 439 del 21 settembre 2001 ha imposto all’ISS la
formazione di una commissione per
la valutazione delle proposte di studio di Fase I: tale commissione si
riunisce una volta al mese, ed ai
promotori viene raccomandato di
chiedere un’audizione prima della
presentazione della domanda (preIND meeting): tali incontri sono gratuiti, vedono la partecipazione di
diversi esperti dell’ISS e posso confermare – anche per esperienza personale – che sono non solo molto
utili, ma vengono convocati a breve
intervallo dopo la richiesta del promotore. In conclusione, ha mostrato
qualche dato, sottolineando che le
domande di autorizzazione a studi di
Fase I sono passate da 10 nell’anno
2001 ad 80 nell’anno 2013, e che
l’oncologia rappresenta circa il 70%
del totale delle richieste.
Il secondo relatore è stato Corrado
Gallo Stampino il quale ha fatto una
breve introduzione, ricordando il disastro di Bari come tappa fondamentale della nascita della chemioterapia (si veda SSFAoggi numero
45): ha poi dimostrato come
l’approccio tradizionale alla Fase I in
oncologia (triplette di pazienti con
aumento della dose, fino ad arrivare
ai segni di tossicità) sia oggi molto
criticato, sia perché è molto lungo,
sia perché espone diversi pazienti a
dosi sub-terapeutiche di farmaco. Si
è quindi soffermato sui nuovi disegni
sperimentali utilizzati (accelerated
design, PK dose escalation, adaptive model), commentandone pregi e
debolezze. Ha infine concluso ricordando che oggi l’impostazione della
Fase I in oncologia è sempre più
strategica, perché da una corretta
Fase I si può passare – in casi parti-
all’esperienza di Pisa, gli studi sui
biomarcatori spesso siano descritti
in modo insufficiente.
Dopo una breve pausa, ha preso la
parola il prof Francesco Di Costanzo
(AIOM), ricordando che l’oncologia
medica in Italia nacque negli anni
’73-’74: tuttavia i primi gruppi cooperatori si sono formati solo negli anni
’80. Alcuni di questi gruppi sono multidisciplinari, altri si occupano di una
sola patologia (mammella, polmone); i gruppi si occupano principalmente di studi no-profit. Tuttavia, a
partire dagli anni ’90, i requisiti per
attivare gli studi clinici sono diventati
più rigorosi, i costi sono aumentati, e
molti gruppi hanno abbandonato
l’iniziale vocazione per la ricerca.
Dagli iniziali venti e più gruppi cooperatori, oggi ne sono rimasti solo 8,
e fra i più attivi ha ricordato GOIRC,
ITMO e GONO. Infine, ha fatto un
colari - ad un allargamento della casistica,
ed
arrivare
ad
un’approvazione precoce.
Ha poi preso la parola il prof Romano Danesi (Università di Pisa), che
ha ricordato come gli studi in oncologia siano caratterizzati da una percentuale molto alta di insuccessi:
questo ha stimolato la ricerca di nuovi approcci, basati sulla valutazione
di biomarcatori e sull’utilizzo di tecniche di imaging. Nel suo ruolo di presidente del Comitato Etico, ci ha
detto che, nel valutare le domande
di Fase I in oncologia, viene posta
grande attenzione alla documentazione esistente, ed alla formulazione
del consenso per i pazienti. Ha infine
sottolineato
come,
in
base
breve cenno al documento programmatico AIOM sulla formazione degli
addetti alla sperimentazione clinica,
e sulla certificazione AIOM dei centri
clinici, ribadendo l’impegno AIOM
per la formazione dei propri soci.
Hanno infine preso la parola due
colleghi che hanno messo a punto
due centri di Fase I: il dr Stefano
Milleri (CRC Verona) ed il dr Mario
Regazzi (Policlinico Pavia) Entrambi
hanno raccontato le loro esperienze,
le difficoltà superate ed anche i brillanti risultati che hanno raggiunto. E’
seguita una vivace discussione, a
conferma
dell’interesse
per
l’argomento prescelto.
Domenico Criscuolo
Anno VIII numero 48
Il libro di oggi…
Bodies of Light ( Becoming a doctor ),
Sarah Moss
Cutting up a dead body for the first
time was one of the most important
moments in my surgical training.
And not just for its obvious ghoulishness. Of course, the revolting details
are imprinted in my memory forever:
the resistant tug of pickled flesh under blade, the creepy silhouette of a
dozen bodies draped in canvas, the
horrible smell. But more than this,
what I remember is a feeling of elation. Sunshine through high, open
windows. Laying out my clean, steel
instruments and anatomy book. The
tang of autumn playing against formaldehyde. A sense that becoming
a doctor was going to be the biggest
adventure of my life. The excitement
felt by Ally Moberley, the doctor in
Sarah Moss's third novel, is all the
more acute because of the era in
which the book is set. She is a 19thcentury protagonist, one of the first
British women ever to enter the
medical profession, the fictional sister of Elizabeth Blackwell and Eleanor Davies-Colley. In Bodies of
Light Moss conjures the kind of parents that might have produced such
a pioneer, a rigid feminist mother
and a successful painter father, and
then charts her progress from infancy right up to assimilation into life
as a doctor.
In many ways, Moss has written a
wonderful book. By describing not
only the cold, puritanical style of
Ally's mother, but also of her mother
before her, Moss gives us to understand why Ally desires a hard, useful
life. And our admiration for the
choice she makes is rendered
stronger by the fact that it is clearly
not the only path available to her.
Her sister, May, chooses to spend
her time sitting, sometimes naked,
for the artists in her father's circle.
By offering us this counterpoint—
each chapter begins with a description of one of Alfred Moberley's
paintings—Moss shows us that Ally
is formed by maternal hard morals
on the one hand, and a lush paternal
libertinism on the other. The contrast
Pagina 5
between the two sisters, developed
throughout the novel, lends it great
texture. Moss's depiction of the
physical and emotional pain encountered by the young Ally, under her
mother's “improving” jurisdiction, is
poignant. At one point in her girlhood, found wrongly guilty of some
minor infraction, Ally is forced to
hand over her longed-for birthday
presents and cake so that they may
be donated to poor children deemed
to be more worthy of them. We feel
her sadness acutely but also begin
to sense the formative effects of
such privation. The young Ally is
being forced into a habit of selfsacrifice that will equip her perfectly
for the rigours of medical training.
Bodies of Light also triumphs at conveying what it feels like to be a doctor. Moss has achieved more here
than can be done with research
alone. Her depiction of Ally's professional life is not just beautifully realistic, complete with details of operations and disease and even the
mnemonics by which doctors remember the vast catalogue of anatomical and pathological details they
need to know. She also grapples
with the true existential questions of
what it means to be a doctor. The
tricky business of how to interpret a
patient's story, the value of realising
that the very best care may arise not
from setting oneself apart from patients and their needs, but from an
appreciation of one's own imperfections and fallibility. Perhaps most
importantly, Moss's writing is beautiful. Example of this abound: “There
is birdsong but no visible birds, as if
the day sings to itself”; and “The
baby is crying, its rage spreading
like smoke through the house, curl-
ing under the ceiling”. Moss's prose
never jars and frequently has the
quality of revelation.
Given how the section in which Ally
finally becomes a doctor sings, I
thought it was a shame that Moss
takes so long getting there. Perhaps
too much of the book is given over to
describing harsh mothering: in the
earlier parts of the novel I began to
tire of all the examples of maternal
cruelty, from grandmother to mother
and then from mother to daughter.
There are also parts in the book
where one feels the heavyhandedness of diligent historical research. Although this gives Bodies
of Light an authenticity, just occasionally it is as if Moss can't resist
telling us what she
has learned in the
library that day. And
the story stalls when
she does this. But
these are small imperfections in a very fine
work. When Ally approaches the dissecting room for the first
time she does not do
so only with excitement, but with a real
sense of trepidation.
What if she can't do it
after all? What if she fails? Bodies of
Light is not just a well-researched
and beautifully written book. It is one
which succeeds in capturing the real
nuances of being a woman doctor,
now as then. This is no small
achievement.
A cura di Domenico Criscuolo
Rispolveriamo …il nostro inglese!
Ghoulishness = macabro;
elation = euforia;
tang = sapore forte;
lush = rigoglioso;
poignant = intenso;
to grapple = lottare;
harsh = rigido.
Anno VIII numero 48
Pagina 6
CONTRACT RESEARCH ORGANIZATION (CRO)
E OPEN INNOVATION NEL SETTORE LIFE SCIENCE
Per la crescita di un sistema paese è
di fondamentale importanza investire
nell’innovazione e nelle iniziative
imprenditoriali capaci di portare sul
mercato prodotti e servizi ad elevato
contenuto scientifico e tecnologico.
Si tratta di una sfida che chiama in
causa i centri produttori di nuove
conoscenze tecnico-scientifiche e,
quindi, in primo luogo le Università e
le nuove start up tecnologiche, che
possono svolgere un ruolo di primo
piano all’interno dei processi di
“Innovazione Aperta” che contraddistinguono oggi le imprese leader nel
mercato. L’emersione di nuovi paradigmi tecnologici, cambiando il novero delle risorse e abilità chiave necessarie per competere in un settore, in particolare, può svolgere un
ruolo importante nella rivisitazione
delle tipologie di organizzazione delle funzioni di Ricerca e Sviluppo
(R&S) di una specifica industria e
aziende l’opportunità di esplorare
rapidamente ed efficientemente i
risultati innovativi della ricerca nel
settore life science tramite ridotti
costi di transazione, un accelerato
time to market ed uno sviluppo globale. Una crescente domanda di
mercato è stata registrata, infatti, per
le CRO, che possono cooperare con
le aziende al fine di creare valore e
migliorare la competitività sul mercato, diventando partner di innovazione (Fig. 1). Le CRO sono state analizzate in una ricerca promossa dal
Laboratorio Imprenditorialità Innovativa e Spin off Accademici (L.I.S.A.),
il cui direttore è il prof. Roberto Parente, Ordinario di Innovazione e
Imprenditorialità presso il Dipartimento di Studi e Ricerche Aziendali
(DISTRA) dell'Università degli Studi
di Salerno. Obiettivo dello studio:
approfondire il ruolo delle CRO nel
sistema di innovazione del settore
dio delle CRO in Italia sono stati presentati al convegno dell’International
Council for Small Business (ICSB)
che si è svolto a Dublino nel periodo
11-14 giugno 2014, in un lavoro dal
titolo: “Structural Change in Industry
as
Entrepreneurial
Opportunity:
CRO rise in Life Science”, pubblicato
dagli autori Roberto Parente, Anna
Gimigliano, Luciana Fontana.
Lo studio sulle CRO ha consentito di
identificare alcune caratteristiche
principali di queste organizzazioni a
livello nazionale e di confrontare il
profilo italiano della CRO con il contesto internazionale. Le CRO presenti in Italia, che hanno partecipato
all’indagine, risultano nate principalmente tra il 1990 e il 2000, sia come
filiali di società multinazionali che
come società italiane, e si sono rivelate essere in gran parte micropiccole imprese per numero di dipendenti e fatturato medio annuo. Le
possono spingere verso un sistema
più decentralizzato. L’industria delle
scienze della vita rappresenta un
settore molto interessante per analizzare tali dinamiche. La R&S in
questo settore, infatti, è profondamente cambiata: le aziende si sono
evolute da un’organizzazione verticalmente integrata ad una fondata
sulla capacità di integrazione di
competenze di ricerca e sviluppo di
terzi soggetti. La collaborazione, più
o meno strutturata, con partner esterni ha consentito alle aziende
biofarmaceutiche di guadagnare
accesso a piattaforme tecnologiche
innovative e di condividere i rischi
correlati allo sviluppo di nuovi prodotti diagnostici e farmaceutici. Nel
settore life science, le Organizzazioni di Ricerca a Contratto (CRO) si
sono rivelate una risorsa chiave. La
CRO supporta le aziende farmaceutiche e biotecnologiche offrendo servizi di elevato profilo per lo sviluppo
di un prodotto a scopo diagnostico o
terapeutico. Le CRO forniscono alle
biofarmaceutico. In particolare, grazie alla preziosa partecipazione allo
studio di una parte delle CRO presenti in Italia, è stato possibile delineare un primo profilo del settore
CRO in un sistema biofarmaceutico
open e individuare i principali modelli
di business applicati dalle CRO.
I risultati molto interessanti della ricerca hanno mostrato che le CRO
sono in grado di coprire importanti
segmenti di mercato nella catena di
valore di un farmaco, con una vasta
gamma di servizi, forniti in outsourcing o partnership, dalla ricerca applicata nella fase precoce di sviluppo
alla commercializzazione. L’analisi
ha inoltre evidenziato che le CRO
nel tempo hanno sviluppato differenti
modalità di offerta per soddisfare le
esigenze dei vari stakeholder, preservando il valore principale di efficienza
e
innovazione
grazie
all’integrazione di risorse, competenze, clienti/partner e infrastruttura
tecnologica.
I dati ottenuti dalla prima fase di stu-
CRO in Italia, soprattutto se multinazionali, sono apparse come realtà
dinamiche, inclini ad operazioni straordinarie di fusione e acquisizione e
con una crescente attitudine ad internazionalizzare le loro attività, stabilendo partnership in aree geografiche emergenti, come i Paesi BRICS.
Per individuare le modalità di business adottate dalle CRO in Italia, si
è scelto di analizzare in particolare
le attività, i clienti e il tipo di relazione che la CRO instaura con il cliente. I dati hanno evidenziato che il
core business delle CRO si correla
soprattutto agli studi clinici, anche se
una diversificazione dei servizi è
stata realizzata negli ultimi anni, includendo le attività della fase precoce di ricerca nel processo di R&S dei
prodotti farmaceutici e le tecnologie
digitali, come le piattaforme eclinical. Per tali attività le CRO hanno mostrato una crescente collaborazione con l’Università, anche in
considerazione di altri dati importan(Continua a pagina 7)
Anno VIII numero 48
(Continua da pagina 6)
ti: un rilevante coinvolgimento nella
forza lavoro della CRO di personale
in possesso di dottorato di ricerca
universitario, ed un numero considerevole di pubblicazioni scientifiche
Pagina 7
2). Le CRO osservate in Italia stanno
modificando le loro prospettive strategiche orientandosi verso un modello
open, dall’outsourcing transazionale,
di tipo tattico ed a breve termine, ad
un modello di outsourcing funziona-
forzando il suo ruolo strategico nella
gestione delle attività core e non core
dell’azienda biofarmaceutica, che
spesso decide di esternalizzare a
livello globale, secondo un modello di
partnership noto come end-to-end o
one stop shop.
Una seconda fase della
ricerca sarà necessaria per
approfondire la conoscenza
dei principali modelli di business identificati, attraverso
brevi interviste dirette alle
aziende CRO che vorranno
collaborare all’analisi di
questo importante settore
industriale. Si ringraziano,
quindi, le CRO e le istituzioni che vorranno dedicare
attenzione a questo nuovo
percorso di ricerca.
Roberto Parente,
Anna Gimigliano,
Luciana Fontana
con il mondo accademico. A fronte
del cambiamento strutturale globale
dell’industria biofarmaceutica e nella
cornice dell’open innovation, i modelli di business scelti dalle CRO si
sono evoluti nel tempo e possono
essere identificati a grandi linee in
tre tipologie, che vanno da un approccio tattico ad uno cosiddetto
strategico: si può parlare di outsourcing transazionale, outsourcing funzionale, outsourcing virtuale, tutti
modelli applicati in differenti modi
dalla CRO per fornire i propri servizi
al cliente/partner di business (Fig.
le, allontanandosi dal cosiddetto sistema fee-for-service a favore di relazioni più a lungo termine con il cliente, basate sullo sviluppo di progetti e
un sistema di condivisione di rischi e
ritorni. Nel processo di ulteriore deverticalizzazione del mondo BioPharma e dell’industria in generale, che
ha generato un numero crescente di
accordi di cooperazione tra grandi
aziende farmaceutiche e piccole aziende biotecnologiche, così come
tra il settore industriale e quello accademico, la CRO sta anche adottando
un modello di business virtuale, raf-
Informazioni sugli autori
Roberto Parente è professore ordinario di Innovazione e Imprenditorialità,
Anna Gimigliano ha un PhD in Biotecnologie, Luciana Fontana ha un
PhD in Ingegneria ed Economia
dell’Innovazione. Lavorano presso il
Dipartimento di Studi e Ricerche Aziendali - Management & Information
Technology (DISTRA-MIT) - Laboratorio Imprenditorialità Innovativa e
Spin-off Accademici (LISA)- Università di Salerno.
Anno VIII numero 48
Pagina 8
La rivista IFAPPworld, che viene inviata regolarmente a tutti i soci, e che potete trovare sul sito IFAPP e SSFA, nel
numero di novembre 2014 ha pubblicato un interessante articolo sul ruolo delle CRO: ve lo proponiamo, con un
commento di Domenico Criscuolo, pubblicato sulla stessa rivista nel febbraio 2015.
The Ever-Increasing Importance of CROs in Drug Development
During my IFAPP presidency (2000
to 2002) I had the great pleasure of
attending the II Pan-American Congress in Pharmaceutical Medicine in
Buenos Aires, Argentina. The lecture
I was invited to give from a CRO
perspective
was
entitled
“Outsourcing Clinical Trials: Ever,
Never, Sometimes?” This was at a
time when clinical CROs were nearing the capacity of biopharma clinical
research with 55,000 staff in the US
and Europe (1), ten years after I had
joined the CRO industry subsequent
to 15 years of big pharma employment. By 2001, the CRO industry
had reached considerable maturity
as defined not only by its staff number – compared to 1980 clinical
CROs in the US and Europe were
grown by the factor 6.6 - but also in
terms of geographic presence and
competency. The forecast was that
outsourcing would further grow in
importance.
This became undoubtedly a reality.
Nowadays, the largest global CROs
conduct more clinical trials than any
pharma company. Fellow pharmaceutical medicine professionals have
like me moved from being employed
by study sponsors to providing customer services to their previous employers. Economy of scale in outsourced trials led to efficiency gains
with shortened clinical development
time cycles despite ever-increasing
regulatory demands and complex
study designs without compromising
quality (2). “CRO segment is integral
- not peripheral – to the drug development enterprise” concluded the
author, Ken Getz, in 2006. Survey
results released by ACRO, the association representing the eight world’s
leading clinical research organizations, in September 2014 impressively reflect today’s role of CROs in
clinical development (3).
Thus, having gained a further decade in upgrading breadth and depth
of CRO services and the cooperation between pharmaceutical professionals at both sides of the equation,
can we as heavily involved players
lean back and be satisfied with what
we have reached? I sense considerable room for improvement is on the
soft side of effective clinical partnerships, including, but not limited to,
mutual trust and respect, excellence
in sharing relevant information
timely, an inspiring ‘we are one
team’ spirit of sponsor and CRO
staff on common projects, no finger
pointing and redundant oversight
efforts exceeding quality management processes of internally managed projects to a ridiculous extent.
An area of concern to all of us
should be ‘fake RFPs’ (request for
proposals) deriving from misinterpretation of internal policies. In order to
reach compliance, CROs receive
invitations to bid despite having a
zero chance of winning the project
due to a predetermined successful
vendor. Being compliant by abusing
a service provider’s time and knowledge is by no means in line with
sound business ethics.
On the CRO side of the clinical development enterprise, size should
not divert from the service mission.
Big is not necessarily best in class.
Complacency is rarely appropriate. I
am certain that colleagues working
in biopharma can add further suggestions for improvement that would
help moving forward most effectively.
In conclusion, since my presentation
in Buenos Aires in 2001 the clinical
development enterprise has left the
era when ‘never’ or ‘sometimes’
were viable outsourcing options.
Small- and midsize biopharma have
for obvious reasons reached the
‘ever’ stage, and big biopharma has
arrived at the ‘most often’ level. The
productivity gains demanded from us
will not only come from new outsourcing strategies, disruptive technologies, uplifted approaches to organizational paradigms and clinical
trial methodologies but also from
optimization of the soft-skill side at
the multiplicity of sponsor-CRO interfaces. Fairness, trust and respect of
each other as equals will be the en-
abler of true value delivery to clinical
development and consequently to
patients who are in need.
Johanna Schenk
References:
1. Hughes, G, O‘Neill, M, Annual Review
of Contract Research Organisations, European Pharmaceutical
Contractor, February 2001, 16-27
2. Getz KA, Insights from Today’s CRO
Renaissance, Applied Clinical Trials, June 2006
3.
Association of Clinical Research
Organizations (ACRO), ACRO Survey
Shows Strong Growth of CRO Industry,
member survey posted on 16 September
2014, as downloaded from http://
www.acrohealth.org/acro-survey-showsstrong-growth-cro-industry
Dear Dr Schenk,
I read with great interest your
editorial, and I am pleased to accept
the invitation for comments. First of
all, let me say only that I have a
large experience in clinical research:
big pharma (27 years), global CROs
(4 years) and small biotechs (8
years, ongoing). During these years,
I dealt with several
CROs and
sponsors, so my comments are
based on a large series of
negotiations, sitting on both sides of
the table. First, let me confirm your
opinion: I too feel the need for
improvement, which must be
addressed to both parties.
I will concentrate on a few aspects of
your analysis. The first one is the
“we are one team” spirit. I heard this
concept hundred of times, but….is it
true? I doubt. Over the years, CROs
learnt how to prepare their offers
using the “salami slicing” method,
which is to describe in very defined
details one major activity, i.e., the
complete management of the clinical
study. This approach generated not
only very complex offers (10 full
pages, or even more, only for cost
descriptions) and a significant
increase of costs, but as a
consequence, it created in the CROs
(Continua a pagina 9)
Anno VIII numero 48
Pagina 9
people the attitude of “working with
the contract on the desk”. CROs are
for-profit organizations, but I learnt
that they love the out-of-scope
activities. This means that any task
not included in the initial offer, is
charged to the sponsor, which must
accept. CROs love the out-of-scope
tasks simply because the sponsor
has no option to refuse them. And I
saw out-of-scope bills for a few
hundred euro, linked to a multi
million contract. Is this the “one team
spirit”? Not in my view.
The second comment refers to the
role of the CRO project manager: I
am sure everybody will agree that
he/she is the most important player
for a successful study. Now, what I
experienced so many times, that it is
almost the rule? In the bid defense
request from 3 to 5 proposals for
each study, in order to identify the
best quality/cost ratio. In a very
competitive arena like the one of
CROs, an ethical and unbiased
approach to compare different
proposals must be the way to go.
In conclusion, let me only say that
today the collaboration sponsorCRO is mandatory, but there is a
huge potential for improvement .
Indeed, I would welcome also in our
world the UEFA logo: RESPECT!
meeting, a very experienced PM is
introduced to the sponsor. He/she
will
eventually
start
in
this
role,but….after a few months, a
CRO communication informs the
sponsor that the PM has been
promoted, and you are left with a
less experienced PM. This story
happened to me so many times, that
I start thinking I bring luck to the
PMs of my studies: in fact, after just
a few months, all of them get a
promotion!
The third and final comment is
related to the “fake” requests, which
sometimes sponsors address to
CROs, having already decided
which one will win the project. This is
of course a very unethical approach,
which I would definitely discourage.
On the other side, sponsors usually
Domenico Criscuolo
Dr. Johanna Schenk has been assuming the role of COO & Managing Director of PPH plus, a European clinical development consultancy and project leadership organization, located in Frankfurt am Main, Germany, from
October 2004. She looks back at 15 years of clinical research and pharmaceutical medicine experience gained at US pharma companies (Eli Lilly,
Bristol-Myers, Merrell), followed by 13 years of international senior management and operational responsibilities at two global CROs, Quintiles and
Omnicare, before co-founding PPH plus. Born in Vienna, she studied medicine at the Universities of Vienna and Bonn, earning her MD and PhD. She
holds a diploma in Pharmaceutical Medicine from the German Society of
Pharmaceutical Medicine (DGPharMed) and is a Fellow of the Faculty of
Pharmaceutical Medicine (FFPM).
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Anno VIII numero 48
Pagina 10
Conformità alla GCP nel Regolamento UE n. 536/2014 sulla sperimentazione
clinica dei medicinali per uso umano che abroga la direttiva 2001/20/CE:
maggiori o minori obblighi rispetto alle norme attuali?
Introduzione
Come è ormai noto e atteso dagli
operatori nel settore delle sperimentazioni cliniche dei medicinali, dal
maggio 2016 ( salvo possibili rinvii)
entrerà in applicazione il Regolamento UE 536/2014 sulle Sperimentazioni Cliniche dei Medicinali.
Il Regolamento è stato già descritto
su questa rivista , dandone una visione di insieme della sua complessità ed articolazione; con il presente
articolo si vuole analizzare brevemente una tra le varie tematiche del
Regolamento , che è elemento fondamentale di riferimento per la conduzione delle sperimentazioni e
cercare di comprendere se su questa tematica vi siano delle differenze sostanziali con la normativa attualmente vigente e in tal caso
quali. Si tratta della Buona Pratica
Clinica (GCP) , che costituisce elemento e finalità di rilievo prioritario
nella attuale normativa europea.
Normativa attuale
Enunciazioni
Già dai titoli delle Direttive attualmente in vigore in tema di sperimentazioni dei farmaci, si comprende come la Buona Pratica Clinica
costituisca l’elemento di riferimento
fondamentale che il legislatore UE
ha voluto trasporre da semplici linee
guida
dell’ICH,
approvate
dall’EMEA (CPMP ICH 135/95 ) e
pubblicate dalla Commissione europea in EudraLex volume 10, in norme vincolanti. Infatti la Direttiva
2001/20 è definita “Direttiva concernente il ravvicinamento delle
disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati
membri relative all'applicazione della buona pratica clinica nell'esecuzione della sperimentazione clinica
di medicinali ad uso umano”. La
finalità di questa direttiva viene
prioritariamente definita all’art. 1,
comma 1 , che recita: “La presente
direttiva fissa disposizioni specifiche
riguardanti lo svolgimento della sperimentazione clinica, (.....) per quanto riguarda in particolare l'applicazione della buona pratica clinica”.
Peraltro anche l’altra delle due direttive attualmente in vigore, dedicate alla sperimentazioni dei farmaci , la Direttiva 2005/28 , è definita :
“Direttiva che stabilisce i principi e
le linee guida dettagliate per la buona pratica clinica (.....)”. Ed anche
in questo caso l’art. 1, comma 1.
enuncia che : “ La direttiva stabilisce le seguenti disposizioni (.....) a)
i principi di buona pratica clinica e le
linee guida dettagliate conformi a
tali principi (....).”
Prescrizioni
Passando dalla parte enunciativa a
quella prescrittiva , nell’analisi della
Direttiva 2001/20 , vediamo che
l’art. 1,comma2) stabilisce che la
GCP debba essere vincolante, con
la formula ” La buona pratica clinica è un insieme di requisiti(...)
vincolanti ai fini della progettazione, conduzione, registrazione e comunicazione degli esiti della sperimentazione clinica,” e ne sancisce
la motivazione di alta rilevanza etica
e scientifica dichiarando che
il
“rispetto ( della GCP) garantisce la
tutela dei diritti, della sicurezza e
del benessere dei soggetti della
sperimentazione clinica e assicura
la credibilità dei dati concernenti la
sperimentazione clinica.” Relativamente all’obbligo di seguire la
GCP , la stessa normativa ribadisce
il concetto al comma 4 del medesimo articolo 1, stabilendo che “Tutte
le fasi della sperimentazione clinica, inclusi gli studi di biodisponibilità
e bioequivalenza, vengono concepite e condotte e i loro esiti comunicati secondo i principi di
buona pratica clinica.”
Anche nel caso della direttiva
2005/28, passando dalla parte di
enunciazione a quella prescrittiva,
vengono resi obbligatori i principi
delle GCP dell’ICH,, elencati con
qualche piccola modifica editoriale
( Capo 2, Sezione I) e una serie di
aspetti
equivalenti
alle
GCP
dell’ICH. Inoltre la 2005/28 stabilisce che “ In fase di applicazione dei
principi, delle linee guida dettagliate
e delle disposizioni di cui al paragrafo 1 ( tra cui le GCP), gli Stati
membri tengono in considerazione
le modalità di applicazione tecnica
previste dalla guida dettagliata pubblicata dalla Commissione nelle
norme sui medicinali nell’Unione
europea” ( art1, comma 2)
In altre parole la Commissione UE
prevede che il conseguimento di tali
principi avvenga seguendo quanto
in dettaglio previsto dal richiamato
testo completo delle GCP- ICH, approvato dall’EMA, pubblicato appunto dalla Commissione stessa,
come già ricordato, in EudraLex.
Verifiche
Inoltre per dare maggior rilievo alle
prescrizioni, le norme attuali prevedono misure specificamente finalizzate alla verifica della conformità
delle sperimentazioni alle GCP,
concetto che viene più volte ribadito
in dette norme. In particolare, tra
l’altro, la Direttiva 2001/20 ( art.15,
comma 1) stabilisce che “Per verificare l'osservanza delle norme di
buona pratica clinica (.....), gli Stati membri designano ispettori incaricati di ispezionare i luoghi interessati da una sperimentazione clinica;” sottolineando su tale tematica
l’importanza di uno scambio e di
una armonizzazione comunitaria
nella verifica delle GCP, tramite la
previsione , che “Gli Stati membri
(..,.,..) inseriscono in una banca dati
europea, (.....) f) l'indicazione delle
ispezioni effettuate sulla conformità alla buona pratica clinica.” (art.
11, comma 1). Su tale aspetto la
2005/28 è ancora più dettagliata
dedicando in maniera specifica un
intero capo alle ispezioni di buona
pratica clinica ( Capo 5), ove fornisce dettagli sulle procedure delle “
ispezioni di buona pratica clinica” (Capo 6;art. 23, commi 1 e seg.)
previste peraltro dalle GCP-ICH.
Tale punto è particolarmente tenuto
in considerazione, dando obblighi
in materia agli Stati membri, affinchè ( art. 24) “rendano pubblica(Continua a pagina 11)
Anno VIII numero 46
(Continua da pagina 10)
mente disponibile nei loro territori la
documentazione
relativa
all’adozione dei principi di buona
pratica clinica. “ Con l’ulteriore onere
di elaborare “la disciplina giuridica
e amministrativa per la realizzazione relativa alla buona pratica
clinica “ ( Art.26, comma 1) ( impegno che peraltro l’Italia aveva già
assolto con ampio anticipo con il DM
15 luglio 1997), e con l’obbligo di
adottare le misure necessarie per
verificare quanto sopra “designando
un numero adeguato di ispettori per
garantire
l’effettiva
verifica
dell’osservanza della buona pratica
clinica.”
Quanto sopra esposto indica chiaramente che l’obiettivo principale
delle attuale legislazione comunitaria in materia di sperimentazioni dei
farmaci è stato quello di costruire
un corpus normativo europeo che
aderisca alla GCP-ICH e che dia agli
Stati membri la responsabilità di adottare in materia le ulteriori norme
nazionali necessarie, comprese
quelle relative ai controlli, atte a
conseguire efficacemente tale risultato .
Regolamento UE di prossima applicazione
Enunciazioni
Al contrario di quanto visto per le
norme ora in vigore, il titolo del Regolamento UE non fa alcun riferimento alla buona pratica clinica, né
questa viene richiamata nei primi
articoli di enunciazione delle tematiche della norma.
Prescrizioni e verifiche
Non può essere valutato come una
prescrizione il Considerando n. 43 ,
sia perché non è un articolo del Regolamento, sia per la sua formulazione, che recita: “ In sede di disegno
dello studio, conduzione e registrazione di sperimentazioni cliniche
nonché di emissione di comunicazioni in materia potrebbero emergere
quesiti specifici in merito alle norme
di qualità appropriate. In tal caso le
linee guida ICH di buona pratica
clinica dovrebbero essere prese
opportunamente in considerazione ai fini dell'applicazione delle norme stabilite nel presente regolamento, purché la Commissione non pub-
Pagina 11
blichi altri orientamenti specifici e a
condizione che tali linee guida siano
compatibili con il presente regolamento.” Tale formulazione infatti: a)
utilizza il tempo condizionale ( dovrebbero),
come
per
tutti
i
“Considerando”, in quanto non elementi di legge ma aspetti esplicativi
alla base delle successive prescrizioni normative; b) utilizza la formula “
prendere in considerazione” che non
è propriamente una formula prescrittiva; c) si riferisce solo agli aspetti
della qualità delle GCP-IC; d) subordina il pur blando invito a seguire le
GCP-ICH ai casi in cui tali linee guida non contrastino con altri ( futuri)
orientamenti della Commissione UE
e con il Regolamento stesso. Nei fatti
questo “ Considerando” sembrerebbe costituire più una limitazione a
seguire le GCP-ICH nello loro globalità, che un invito ad uniformarsi ad
esse. Un elemento prescrittivo relativo alle GCP lo troviamo in un articolo
non proprio finalizzato a fornire disposizioni obbligatorie, essendo relativo alle definizioni ( art. 2, punto 30),
che con formulazione molto meno
cogente rispetto a quanto disposto
dall’art. 1 della 2001/20, qui definisce la «buona pratica clinica»: come “una serie di precisi requisiti di
qualità in campo etico e scientifico da
osservare ai fini del disegno, conduzione, esecuzione, registrazione e
analisi della sperimentazione clinica
nonché delle comunicazioni in materia, atta a garantire la tutela dei diritti,
della sicurezza e del benessere dei
soggetti nonché l'affidabilità e la robustezza dei dati sulla sperimentazione clinica;”. Pur essendo evidente
la differenza tra la formula qui utilizzata e relegata nelle definizioni, rispetto alle formulazioni vincolanti
utilizzate negli articoli prescrittivi delle citate Direttive, si tratta comunque
di un elemento che sancisce la necessità dell’osservanza della GCP.
E’ anche vero che alcuni aspetti della
GCP sono stati trasposti direttamente nel testo del Regolamento ( es. il
consenso informato, la protezione
dei soggetti, il protocollo, l’I.B. e appena un accenno al monitoraggio ) ;
tuttavia ne mancano alcuni di primaria importanza . In particolare quelli
di carattere etico, come l’obbligo di
conformità ai principi etici della Dichiarazione di Helsinki (GCP par.
2.1), che è invece esplicitato nella
2005/28 (art. 3, secondo periodo), e
come i compiti e le modalità di funzionamento dei Comitati etici, ben
dettagliati nel loro insieme dalla
2001/20 ( art.6) e dalla GCP/ICH
(par. 3) e relativamente ai quali il
Regolamento non richiede alcuna
armonizzazione comunitaria. Né il
Considerando n. 80 risolve tali mancanze con la semplice e generica
asserzione , poi non coerentemente
sviluppata nell’articolato, che “Il presente regolamento è in linea con i
principali documenti internazionali di
orientamento in materia di sperimentazioni cliniche quali la (....) Dichiarazione di Helsinki (...) e la buona pratica clinica.”.
Una migliore specifica, seppur non
equivalente a quelle della normativa
attuale, la troviamo nell’Art. 47 sulla
“Conformità al protocollo e alla buona pratica clinica”, ove si legge che
“Il promotore di una sperimentazione
clinica e lo sperimentatore garantiscono che la sperimentazione clinica
sia condotta in conformità al protocollo e ai principi della buona pratica
clinica.. Però la garanzia, che è anche limitata ai soli principi GCP, non
equivale a un obbligo. Inoltre la frase
successiva, “Fatte salve qualsiasi
altra disposizione del diritto dell'Unione o le linee guida della Commissione, il promotore e lo sperimentatore, nel redigere il protocollo e nell'applicare il presente regolamento e il
protocollo, tengono altresì opportunamente conto degli standard di
qualità e delle linee guida ICH di
buona pratica clinica“
limita
l’osservanza alle GCP subordinandole ad altre disposizioni UE, future o
del Regolamento stesso.
La previsione che “ La Commissione
renda disponibili al pubblico le linee
guida internazionali dettagliate ICH di
buona pratica clinica di cui al secondo comma.” non modifica le limitazioni di cui sopra e il fatto che non si sia
voluto far direttamente riferimento
alle linee guida GCP-ICH già rese
pubbliche dalla Commissione in EudraLex vol.10, significa che il Regolamento e le future linee guida della
Commissione, non prevedono di essere sovrapponibili alle GCP-ICH.
Per completare tutte le menzioni sulle GCP presenti nel Regolamento, si
deve tener presente che nell’Allegato
I , relativo al ” Fascicolo di domanda
(Continua a pagina 12)
Anno VIII numero 48
Pagina 12
(Continua da pagina 11)
iniziale “, si prevede che( punto 17) “
Il protocollo comprenda almeno :una
dichiarazione indicante che la sperimentazione clinica deve essere condotta in conformità (........) ai principi
di buona pratica clinica; e al punto
47 , relativo ai “Dati da precedenti
sperimentazioni cliniche e sull'uso
clinico”, si richiede “una dichiarazione attestante la conformità ,di (...)
sperimentazioni cliniche precedenti,
alla buona pratica clinica (.......) ;
infine al punto, relativo all’Idoneità
dello Sperimentatore (n. 65) ,si richiede che sia “descritta ogni precedente formazione sui principi della
buona pratica clinica (........ ). Questi
elementi di dettaglio negli allegati al
Regolamento
fanno sperare che
nella operatività del Regolamento
sarà richiesta una maggior conformità alle GCP, anche se le ispezioni
previste dal Regolamento stesso
( art. 78) non sono al fine di verificare
la conformità alle GCP, come è invece ben esplicitato nelle Direttive citate, ma sono limitate alla finalità di
vigilare sulla conformità al Regolamento stesso.
Conclusioni
Da quanto descritto si evince che ,
mentre l’insieme delle norme attuali
portano inequivocabilmente a vincolare gli operatori nel settore delle
sperimentazioni al rispetto della GCP
dell’ICH , l’analisi del Regolamento,
per questo aspetto, evidenzia una
lacuna nei riferimenti alle GCP, sempre accompagnati da delle frasi di
carattere limitativo e che pertanto
non sembrano portare ad uno stesso
livello di obbligatorietà. C’è da sperare, almeno per chi sia convinto della
necessità di operare in GCP, ed
LIVIO
E’ morto Livio Zeller, l’artefice della
Lepetit quale realtà internazionale.
Nell’annuncio si legge “Patriarca e
instancabile tessitore di rapporti umani”. Zeller fu l’anima che davanti
alla scoperta delle rifamicine, la famiglia di antibiotici che avrebbe
sconfitto la tubercolosi, si dette da
fare per trovare i finanziamenti affinché la ricerca continuasse ……
Livio Zeller-Celso (Trieste, 6 aprile
1923 – Milano, 25 dicembre 2014) è
stato un ingegnere chimico italiano:
figlio di Romeo Zeller e Paola Sabbadini, passò la sua infanzia a Trieste, frequentando le scuole medie
presso la scuola ebraica. In seguito
alla promulgazione delle leggi razziali del 1938, si trasferì in Svizzera
dove frequentò la scuola politecnica
dell’Università di Losanna, laureandosi con una tesi sulla sintesi chimica dei nuovi antibiotici. Si iscrisse
poi ad una seconda laurea al Politecnico federale di Zurigo, che lasciò
quando ricevette una proposta di
lavoro presso la Lepetit, società fondata da Roberto Lepetit. Tra le sue
innumerevoli iniziative, sia di carattere professionale che culturale, sono
da citare la creazione del laboratorio
di microbiologia applicata presso
l’Università di Pavia (sotto la guida
del
dr.
Ivan
Fueresz)
e
l’organizzazione del centro di ricerca
anche per non disperdere il livello di
uniformità nella conformità alle GCPICH, al quale si è giunti in ambito UE
e nei paesi ICH e al quale ci si sta
indirizzando con non poco lavoro e
risorse anche nei Paesi in via di sviluppo, che la Commissione europea
recuperi, con gli atti esecutivi che
deve emanare in forza del Regolamento, quanto in tema di GCP il Regolamento stesso non ha voluto o
saputo mutuare dalle norme vigenti.
Umberto Filibeck e Carla Turriziani
Il presente testo è stato predisposto
sul lavoro compiuto in ambito SSFA
dal gruppo di lavoro “GIQAR - GCP
Regolamento UE”, composto dagli
autori e dalle dott.sse Carla Bruzzese e Marina Filippone.
ZELLER
culturale della Lepetit, in collaborazione con l’associazione degli amici
del Piccolo Teatro di Milano. Il gruppo delle rifamicine, e la rifampicina
in particolare, furono scoperte nel
1959 nei laboratori Lepetit a Milano,
mettendo a fermentare un campione
di terra di St. Raphael, in Costa Azzurra, portato in laboratorio dal microbiologo Ermes Pagani (19292013). Le sostanze ottenute dal brodo di coltura furono poi analizzate da
un gruppo di ricercatori, guidati dallo
stesso Ermes Pagani, dal prof. Piero
Sensi (1920-2013) e dalla dott.ssa
Maria Teresa Timbal (1925-1969): il
brevetto della rifampicina porta il loro
nome.La Dow Chemical acquistò nel
1964 la maggioranza delle azioni
Lepetit, che da oltre un secolo ope-
rava
nel
settore
farmaceutico. Ciò ha permesso alla
Dow di entrare nel settore
farmaceutico
mondiale,
beneficiando
dell’esperienza e delle conoscenze
tecnologiche
della Lepetit stessa, che
erano molto avanzate e
ben strutturate. A seguito di
una serie di acquisizioni, la
Lepetit venne a far parte
del gruppo Marion-MerrellDow, poi ceduto alla Sanofi-Aventis:
oggi in Italia la rifampicina è venduta
da Sanofi-Aventis con il nome di
Rifadin.
Chi fosse interessato a conoscere gli
episodi della vita di Livio Zeller può
leggere il libro autobiografico
“Idrogeno e setacci”, Lampi di stampa, Milano, 2011, facilmente reperibile su Amazon. Eccone un brano.
"Sapete perché colleziono setacci?
Ve lo dico io: perché il setaccio è il
primo strumento che l'uomo ha creato per separare il desiderato dal non
desiderato. Seconda domanda: dove
sta il desiderato?
La maggior parte della gente mi dice
'sopra', pensando all'oro. E allora io
dico, 'dipende, dove sta la farina?
Sotto'."
Anno VIII numero 46
Pagina 13
Macropus Eugenii, modello animale per studi di fisiologia della locomozione, di biologia della riproduzione e dello sviluppo, di genomica comparata
e… (2a parte)
Genomica comparata e…peptidi
antimicrobici nel latte
Per facilitare l’interpretazione della
mole di dati prodotti dal progetto del
sequenziamento del genoma umano, sono stati sequenziati i genomi
di varie specie di vertebrati, scelte in
base alle posizioni strategiche che
occupano nell’albero filogenetico, in
modo da poter allineare le regioni
omologhe ed identificare geni ed
altri importanti segnali attraverso la
reciproca
conservazione
(phylogenetic footprinting). Questi
genomi abbracciano un arco di tempo di 450 milioni di anni di divergenza evoluzionistica dall’uomo. C’è,
però, un gap temporale di molti milioni di anni difficile da coprire, tra i
mammiferi euteri (più evoluti) non
umani, la cui divergenza filogenetica
dall’Homo sapiens data 80 milioni di
anni, e gli uccelli, la cui divergenza
filogenetica dai mammiferi risale a
circa 310 milioni di anni. Il topo è
troppo vicino, filogeneticamente,
all’uomo, per garantire che le somiglianze del suo genoma con quello
umano non siano altro che semplici
residuati dell’evoluzione, mentre gli
uccelli sono così lontani dall’uomo,
che segnali possono essersi persi e
può risultare difficile individuare, nei
loro genomi, omologie con il genoma
umano. Marsupiali (metateri) e monotremi (prototeri: ornitorinco ed echidna) occupano una posizione
importante nella filogenesi dei vertebrati, perché rappresentano, insieme
agli euteri, le tre linee evolutive dei
mammiferi. Marsupiali e mammiferi
euteri hanno condiviso, 130-148 milioni di anni fa, un comune antenato,
mentre i monotremi si sono staccati
dai marsupiali e dagli euteri prima,
circa 166 milioni di anni or sono.
Come il topo, anche i marsupiali sono mammiferi, ma sono molto più
lontani del topo rispetto all’Homo
sapiens, datando la loro divergenza
filogenetica dagli umani 130 milioni
di anni, contro i “soli” 65.5 milioni di
anni del topo. I genomi dei marsupiali sono, quindi, di grande utilità
nello studio della genomica comparata, situandosi i marsupiali ad un
livello ideale di divergenza filogenetica dagli umani, tale da fornire una
quantità di informazioni sulle variazioni
delle
sequenze,
dell’arrangiamento e delle funzioni
dei geni. Marsupiali ed euteri differiscono, tra loro, in meccanismi di
controllo genetico - come, per esempio, l’inattivazione del cromosoma X
- che sono molto conservati negli
euteri. Anche processi fisiologici come lattazione ed embriogenesi sono
molto differenti tra questi due gruppi
di mammiferi. Importanti immunogeni di Macropus eugenii sono stati
isolati e studiati nel 2009 e l’intero
suo genoma, sequenziato nel 2011,
mostra maggiori riarrangiamenti sia
del genoma umano che di quello di
un altro marsupiale, l’opossum brasiliano grigio dalla coda corta
(Monodelphis domestica). Il genoma
dei wallaby ha una dimensione maggiore di quello umano, ma è suddiviso in sole 8 coppie di grandi cromosomi, contro le 23 coppie del cariotipo umano: questa caratteristica fa,
del Macropus eugenii, un modello
animale di elezione per studi di genomica, riproduzione e sviluppo. Il
genoma di una femmina wallaby è
stato sequenziato usando un approccio Whole-Genome Shotgun
(WGS) DNA Sequence Assembler
ed una nuova tecnologia di sequenziamento. Anche il trascrittoma di
questa specie è stato sequenziato in
molti tessuti. L’analisi di questi dati
spiega alcuni processi della riproduzione,
dello
sviluppo
e
dell’evoluzione del genoma dei
mammiferi: ci sono cambiamenti nei
geni della riproduzione e della lattazione, una rapida evoluzione dei
geni delle cellule germinali ed un’incompleta inattivazione del cromosoma X. Il silenziamento (perdita di
funzione) di questo cromosoma è un
fenomeno epigenetico che lo rende
inerte dal punto di vista trascrizionale, così in tutte le cellule si ha un’attenuata espressione dei suoi geni e
dei rispettivi fenotipi. Questa inattivazione si realizza con un meccanismo di imprinting in tutti i tessuti
delle femmine di marsupiali ed è il
cromosoma X paterno ad essere
silenziato (imprinting di origine paterna). Si sono osservati
retrotrasposoni di nuova generazione ed
un complesso maggiore di istocompatibilità altamente riarrangiato, con
molti geni di classe I situati fuori dal
complesso. Infine, microRNA presenti negli HOX cluster di Macropus
eugenii evidenziano nuovi potenziali
elementi regolatori HOX nei mammiferi. [Gli HOX (da homeobox) cluster sono geni raggruppati in homeobox (HOX genes) che svolgono
ruoli importanti nel percorso della
formazione lungo l’asse anteroposteriore del corpo dei mammiferi;
gli homeobox sono sequenze di
DNA presenti nei geni coinvolti nella
morfogenesi]. Macropus eugenii non
è solo un modello sperimentale nella
ricerca biomedica, ma può anche
fornire interessanti spunti per il superamento di un serio problema
terapeutico
che
va
progressivamente aggravandosi: l’antibiotico
-resistenza. La morbidità e la mortalità causate da infezioni sostenute
da batteri antibiotico-resistenti, specialmente quelli
del gruppo
ESKAPE (Entherococcus faecium,
Staphylococcus aureus, Klebsiella
pneumoniae, Acinetobacter pneumoniae, Pseudomonas aeruginosa e
le specie del genere Entherobacter)
sono in continuo aumento. Ogni
anno, oltre 250.000 pazienti muoino
di sepsi negli USA ed altrettanti in
Europa.
L’antibiotico-resistenza
dovuta, in gran parte, alla prescrizione dissennata degli antibiotici disponibili in terapia, rende particolarmente difficile la cura della sepsi e il
progressivo aggravarsi della resistenza batterica è fonte di seria preoccupazione tra i clinici. Una nuova
classe di sostanze, gli oxazolidinoni,
sono entrati in terapia nel 2000, con
linezolide (antibiotico di sintesi) utilizzato principalmente per il trattamento
del
methicillin-resistant
Staphylococcus aureus (MRSA) e
dei Gram+. Nel settembre 2003 FDA
ha approvato daptomicina, antibiotico lipopeptidico attivo contro i
(Continua a pagina 14)
Anno VIII numero 48
(Continua da pagina 13)
Gram+, con un meccanismo d’azione diverso da quello della maggior
parte degli antibiotici, che interferisce su molteplici aspetti funzionali della biologia batterica: daptomicina si lega al batterio, provoca la
depolarizzazione della membrana
che comporta la perdita del potenziale di membrana e la successiva
inibizione della sintesi di proteine,
DNA e RNA, con conseguente morte
del batterio. E’ dal 2002 che la Infectious Disease Society of America
(IDSA) si fa portavoce dell’inarrestabile criticità, che si va aggravando,
dovuta alla mancanza di nuovi antibiotici e continua a proporre nuove
soluzioni legislative, regolatorie e
finanziarie per superare le minacce
di questa crisi. Per superare la crescente resistenza dei patogeni agli
antibiotici esistenti, la IDSA ha fatto
proprio l’allarme sulla perdurante
assenza di progressi nello sviluppo
di nuovi agenti terapeutici per il trattamento di infezioni resistenti agli
antibiotici, in particolare quelle sostenute dai Gram- e, lanciando la “10
x ’20 initiative” (2010), si è fatta promotrice dell’impellente necessità di
un impegno globale per trovare e
sviluppare, entro il 2020, 10 nuovi
antimicrobici sicuri ed efficaci, da
somministrarsi per via sistemica.
Solo due nuovi antibiotici sono stati
approvati negli ultimi 5 anni: uno è la
ceftarolina (ottobre 2010, FDA), la
prima cefalosporina efficace anche
contro MRSA, considerato in Italia
un vero problema di salute pubblica,
e contro i Gram+. Nel 2014 è atteso
il lancio sul mercato di ceftolozane/
tazobactam (CXA-201), un farmaco
per infezioni ospedaliere da batteri
Gram-, al quale FDA ha riconosciuto
lo status di fast track. Si tratta
dell’associazione di una nuova cefalosporina, ceftolazane, in sviluppo
con tazobactam, un inibitore della ȕlattamasi batterica, per il trattamento
di infezioni complesse del tratto urinario ed intraddominali e della ventilator-associated bacterial pneumonia
(VABP). La natura ha sviluppato una
vasta serie di peptidi antimicrobici in
specie vegetali, animali e microrganismi; ognuna di queste ha un suo
gruppo di geni correlati che
mostrano le firme di differenti forze
selettive. Marsupiali e monotremi questi ultimi sono mammiferi tra i più
primitivi, ma sono molto specializzati
Pagina 14
- devono proteggere una prole
inetta, sottosviluppata e immunologicamente naïve, che nasce e si
sviluppa al di fuori dell’ambito sterile
di un utero, in ambienti con elevata
carica di patogeni. Mentre il sistema
immunitario adattativo della prole si
sviluppa, fattori del sistema immunitario innato, prodotti dalla madre e
dal figlio, devono giocare un ruolo
chiave per proteggere il piccolo canguro, gravemente immunodeficiente.
Così, l’evoluzione ha provveduto a
fornire marsupiali e monotremi di
sostanze secrete nel latte, dotate di
attività antimicrobica, che rappresentano punti di partenza ideali per la
ricerca e lo sviluppo di nuovi potenziali antimicrobici per soluzioni terapeutiche innovative. Usando sistemi
computerizzati avanzati, sono stati
individuati, nel latte di Macropus
eugenii, oltre 30 possibili agenti antipatogeni, mentre nel suo genoma
sono stati identificati 14 geni codificanti per le catelicidine, che sono la
prima linea di difesa nella protezione
delle superfici interne ed esterne del
piccolo ospite del marsupio. Questi
antimicrobici endogeni sono polipeptidi, o piccole proteine, di 12÷100
residui amminoacidici; i loro geni
sono caratterizzati da una sequenza
di segnale conservata e da una regione pro-peptide, ma sono molto
variabili nel dominio C-terminale che
codifica per il peptide maturo antimicrobico. Le catelicidine sono prodotte dai granulociti neutrofili e dai
macrofagi, dalle cellule epiteliali del
testicolo, dalla pelle e nei tratti gastrointestinale e respiratorio del tammar wallaby, a seguito di un segnale
mediato
da
citochine
proinfiammatorie, che ne stimolano la
sintesi, e sono espresse nella ghiandola mammaria, nelle secrezioni
della cute interna del marsupio fin
dall’inizio della lattazione, e della
cute del neonato, finchè il sistema
immunitario adattativo del cucciolo
non si sia sviluppato completamente. Si pensa che le catelicidine
agiscano in sinergia con le defensine, determinando un aumento
della permeabilità della membrana
esterna ed interna dei microrganismi, con conseguente interruzione
della sintesi di DNA e RNA e blocco
della respirazione cellulare. L'attività
battericida delle catelicidine, diretta
particolarmente nei confronti dei batteri Gram-, richiede un clivaggio pro-
teolitico, che avverrebbe probabilmente durante la degranulazione nel
vacuolo di fagocitosi, dove le catelicidine sono esposte all’azione delle
proteasi rilasciate dai granuli azurofili e, in particolare, all’azione dell’elastasi. Il frammento liberato per
clivaggio svolge la sua attività antibatterica tramite il legame del
dominio cationico C-terminale a fosfolipidi
anionici
di
membrana
(fosfatidilcolina, fosfatidilserina, fosfatidilglicerolo) e l’inserimento, nella
membrana plasmatica, di un dominio
altamente idrofobico. E’ stata identificata e caratterizzata AGG01,
catelicidina policationica ricca di
residui positivi di arginine e lisine,
ripiegata a formare una struttura
terziaria anfipatica, con domini idrofili e idrofobici. AGG01 è di vitale
importanza per la sopravvivenza del
Macropus eugenii neonato che, alla
nascita, è poco più che un feto, che
pesa circa 440 mg ed è lungo 16-17
mm, il cui stadio di sviluppo corrisponde a quello di un embrione
umano di 40 giorni, privo di polmoni
formati e, nei primi 100 giorni di vita,
anche di un sistema immunitario
differenziato: solo al 35° giorno di
età compaiono le prime cellule coinvolte nell’immunità adattativa, mentre l’immunocompetenza si sviluppa
soltanto 90-100 giorni dopo la nascita. Il piccolo canguro, nei primi 3-4
mesi di vita può, quindi, contare solo
su alcuni componenti ad azione battericida presenti nel latte materno.
Nei test in vitro, AGG01 si comporta
come un “antimicrobico ad ampio
spettro” ed è 100 volte più efficace
della penicillina, essendo in grado di
debellare il 99% dei batteri patogeni
(sia Gram- che Gram+) compresi E.
coli, Streptococci, Salmonella, Bacillus subtilis, Pseudomonas, Proteus
vulgaris, MRSA, il fungo Candida
albicans e ceppi vancomicinaresistenti di Enterococcus, particolarmente virulenti e causa di infezioni nosocomiali in pazienti ospedalizzati e tra i patogeni più temuti dai
pazienti
immunocompromessi
(AIDS)
o
immunosoppressi
(trapiantati). AGG01, ora prodotta
per via sintetica, esplica la sua attività battericida in vitro già a basse
concentrazioni e dopo soli 30 minuti
di incubazione con i microrganismi,
grazie ad un originale meccanismo
d’azione che colpirebbe direttamente
(Continua a pagina 15)
Anno VIII numero 46
(Continua da pagina 14)
la membrana batterica. Si pensa
che, grazie alla sua struttura anfipatica, AGG01 interagisca con batteri Gram-, protozoi e funghi, tramite
via elettrostatica tra le sue cariche
positive e le molecole cariche negativamente (fosfolipidi anionici) presenti nelle membrane cellulari dei
patogeni. Inoltre, infiltrandosi nella
parete del batterio, AGG01 competerebbe con le proteine che
legano trasversalmente i due strati
della membrana stessa. Lo scompaginamento che viene a crearsi
nella struttura della membrana batterica porterebbe alla formazione di
canali transmembranali proteici, provocando la fuoruscita di ioni all’esterno della cellula batterica. L’imponente perdita di liquidi, di molecole
essenziali e delle concentrazioni
Pagina 15
ioniche, indispensabili allo svolgimento di molte funzioni vitali, causata dall’osmosi attraverso questi
pori, sarebbe il meccanismo alla
base dell’attività battericida di
AGG01. Studi in vitro dimostrano
che AGG01 non è citotossico per le
cellule di mammifero, la cui membrana plasmatica differisce strutturalmente, per composizione e
spessore, da quella delle cellule
batteriche. Le principali differenze
sono in alcuni componenti strutturali:
nella membrana delle cellule di
mammifero ci sono gli steroli (ad
esempio il colesterolo) che danno
rigidità alla parete cellulare, mentre
nella membrana batterica ci sono gli
opanoidi (ad esempio il diploptene),
composti pentaciclici la cui funzione
principale è la regolazione della fluidità della membrana plasmatica. Da
XXIV CONGRESSO GIQAR
Napoli
27 - 29 maggio 2015
Hotel Royal Continental
NUOVA SEZIONE POSTER:
CONCORSO CON PREMIO AL VINCITORE
alcuni anni AGG01 ha iniziato il percorso di ricerca e sviluppo non
clinico. La speranza è che possa
entrare presto nel processo di
sviluppo clinico. (fine)
Domenico Barone
Anno VIII numero 46
Pagina 16
SSFAoggi ha parlato più volte del problema della tubercolosi nei Pesi
Europei: ecco un preoccupato editoriale sulla situazione in Inghilterra.
Tuberculosis rates still high in the UK
The Lancet
Tuberculosis rates in the UK are still
unacceptably high. Public Health England notes in its annual UK report that
7892 cases of tuberculosis were notified
in 2013, a decrease from 8729 cases
reported in 2012. However, the incidence of 12·3 cases per 100 000 is still
among the highest in western European
countries. Another sobering comparison
is that the incidence in the UK is four
times that of the USA. Long recognised
as a disease of social inequality and
deprivation, according to the report, tuberculosis continues to disproportionately affect the most deprived communities, with 70% of all tuberculosis cases in
England resident in areas in the two
most deprived quintiles. In particular, the
urban areas of London, Leicester, Birmingham, Luton, Manchester, and Coventry had more than three times the national average. Within London alone,
2985 cases were reported in 2013, an
incidence of 35·5 cases per 100 000.
44% of patients aged 16 and older were
not in education or employment, and
10% had at least one social risk factor—
history of alcohol or drug misuse, homelessness, or imprisonment. 73% of the
cases were in people born outside the
UK, but only 15% were diagnosed within
2 years of entering the UK, suggesting a
preponderance of reactivation of latent
tuberculosis infection. These data indicate the different demographics of the
Da queste pagine abbiamo più volte ricordato il grave problema della antibiotico resistenza: riportiamo quindi con piacere una nuova iniziativa inglese.
UK declares war on antimicrobial resistance
The Lancet
In one of his first duties as the newly
appointed UK Government Science Minister, Greg Clark has launched a major
initiative aimed at tackling antimicrobial
resistance. Its strategy encompasses the
laboratory, the clinic, and the wider environment. The body set up to oversee the
initiative—led by the Medical Research
Council (MRC) and dubbed a “war cabinet”—will comprise all seven of the UK's
research councils together with the Department of Health and other government departments, the Wellcome Trust,
and a range of organisations with a direct or indirect interest in microbial resistance. Collectively they have formed a
new grouping, the Antimicrobial Resistance Funders' Forum (ARFF), through
which to share information about what
actions they are taking, now and in the
future. By providing the framework for a
more coordinated approach they aim to
give a boost to research on microbial
resistance, and to maximise its impact
on national and international policy making and other activities relevant to its
control.
“The threat of antimicrobial resistance is
more than a threat; it's turning into a
reality”, said Desmond Walsh, Head of
Infections and Immunity at the MRC.
“This initiative is a step change. We want
to bring together, in a coordinated manner, the expertise of a range of different
disciplines.” Workshops organised by
the MRC in 2013 have already identified
a series of research priorities now
grouped under four themes. The first,
“Understanding resistant bacteria in the
context of the host” covers work on the
nature of resistance at all levels from the
gene upwards, and will aim to find new
targets for potential treatments, and new
ways of predicting the evolution of resistance. Research covered by the second
theme, “Accelerating therapeutic and
diagnostics development”, will back the
hunt for new small molecule antibiotics,
especially those that may circumvent the
emergence of future resistance. Theme
three, “Understanding the real world
interactions”, will explore how people
and communities interact with the environment and so influence bacterial behaviour and the transmission of genes
within and between bacterial species.
The fourth theme, “Behaviour within and
beyond the health care setting” will study
human behaviour and motivations, and
the manner in which these can affect the
development and spread of resistance. It
will also look for effective ways of changing peoples' behaviour.
The organisers of the new initiative are
at pains to stress the involvement of all
the UK's research councils. They point
out that problems with resistance affect
animal as well as human health. Livestock in particular are increasingly found
to harbour antibiotic-resistant bacteria.
These are also detectable in environments ranging from fields and rivers to
hospitals and kitchen sinks. Yet the relation between animal and human microbial resistance is still uncertain. Even the
Arts and Humanities Research Council
(AHRC) has found a place in the new
disease in the UK compared with other
countries, but also a disjointed, fragmented approach to local tuberculosis
services, and their funding. As noted in
the report, improvements in tuberculosis
control will need the social and economic determinants of the disease to be
addressed, together with the provision of
strong, accessible, effective screening,
diagnostic, and treatment services,
clearly targeted at the most susceptible
groups. Public Health England and NHS
England will soon publish a Collaborative TB Strategy for England 2015—
2020, which will identify the key areas to
achieve a sustained decline in tuberculosis. Although small gains have been
made, it is essential the strategy enables
firm steps to be taken to achieve a level
of control that exists elsewhere.
Forum. By way of illustrating what might
seem an unlikely involvement the AHRC
quoted an example of a project it already
funds. Titled “Visualising the Invisible” it
was set up to examine how staff think
about infection in health-care settings,
how and where they envisage microbes,
and where they perceive the risks to lie.
Its findings will inform future attempts to
educate health-care workers about the
dangers of antibiotic resistance.
The Funders' Forum is now ready to
start considering research proposals.
The MRC will act as the coordinating
body to which applicants direct their initial approach. “At present we're focussing on the first two themes”, says
Walsh. “In the first instance there is £25
million. It's a ring-fenced amount of
money dedicated to antimicrobial resistance.” Concern over the emergence
and increase of microbial resistance is
far from new. As far back as 1969 the
Swann Report on resistance fostered
by the use of antibiotics in agriculture
concluded that “the administration of
antibiotics to farm livestock, particularly
at sub-therapeutic levels, poses certain
hazards to human and animal health”. It
recommended a ban on the agricultural
use of antibiotics of importance to human medicine. More recently chief medical officer Professor Dame Sally Davies
used the second volume of her 2011
Annual Report to point out that, “If we
have no suitable antibiotics to treat
infection, minor surgery and routine
operations could become high risk
procedures.” Meanwhile the MRC has
calculated that since 2007 the UK alone
has spent £275 million on research into
microbial resistance. Its bleak conclusion
is that, to date, no effective soutions
have been found.
Anno VIII numero 46
Pagina 17
A new network to promote evidence-based research
The Lancet
To embark on research without
reviewing systematically evidence
of what is already known, particularly when the research involves
people or animals, is unethical,
unscientific, and wasteful. More
than two decades have passed
since Antman and colleagues
showed that research on some
treatments for myocardial infarction had gone on for as long as a
decade after benefit or harm had
been established in earlier research. Failure to analyse epidemiological research cumulatively has
also had devastating effects. Systematic review of preventable risk
factors for sudden infant death
syndrome from 1970 onwards
would have led to earlier recognition of the risks of the prone sleeping position and might have prevented more than 10 000 infant
deaths in the UK and at least
50 000 in Europe, the USA, and
Australasia.
The serious consequences of failure to base plans for new research
on systematic reviews of existing
evidence is not limited to clinical
and epidemiological research. After Horn and coworkers did not
detect any beneficial effect of calcium
antagonists
on
acute
ischemic stroke in a systematic
review of 7521 participants in 28
clinical trials, they reviewed 20
relevant animal studies. They
found that none of those studies
provided convincing evidence to
justify the decision to extend research to people. In addition to the
avoidable harm done to people
and animals, failure to review existing evidence systematically before undertaking additional preclinical, clinical, and epidemiological research has resulted in avoidable waste of research resources.
New studies have been designed
without taking adequate account of
the lessons from earlier research,
including the need to study larger
sample sizes to address important
uncertainties. What should research funders, research regula-
tors, researchers, academic institutions, and journals do to reduce
this sometimes lethal research
waste? Some research funders
have been clear. The National Institute for Health Research in England, for example, advises research applicants for support of
new primary research as follows:
Where a systematic review already
exists that summarises the available evidence this should be referenced, as well as including reference to any relevant literature published subsequent to that systematic review. Where no such systematic review exists it is expected
that the applicants will undertake
an appropriate review of the currently available and relevant evidence (using as appropriate a predetermined and described methodology that systematically identifies,
critically appraises and then synthesises the available evidence)
and then present a summary of the
findings of this in their proposal. All
applicants must also include reference to relevant on-going studies,
eg, from trial registries.
Among research regulators, the
guidance for researchers issued by
the Health Research Authority in
the UK now states “Any project
should build on a review of current
knowledge. Replication to check
the validity of previous research is
justified, but unnecessary duplication is unethical.”
Research on research has exposed a general failure to refer to
existing evidence when reporting
additional primary research. Other
research has shown that this unsatisfactory situation exists even in
reports published in prestigious
general medical journals. Some
research funders and researchers
are dealing with the problem; and
some journals, including The Lancet,have introduced editorial policies that require researchers to
use systematic reviews to put reports of new research in context.
However, many funders, research
regulators, and academic institutions still do not seem to take the
problem seriously.
Why should patients and the public
trust the research community if it
fails to make efficient use of the
results of research, most of which
they have funded? Just a few
weeks before his death, the Italian
research funder, researcher, and
cancer patient Alessandro Liberati
called for a new governance strategy for research, “starting from an
analysis of existing and ongoing
research, produced independently
of vested interests”.
5 years ago Karen Robinson used
the term “evidence-based research” to encapsulate what is required. She pointed out that although use of research synthesis
to make evidence-informed decisions is now expected in health
care, evidence-based research
offers a way to reduce research
waste and ensure that new trials
are designed to maximise the information gained from them. On
Dec 1—3, 2014, at the EvidenceBased Research meeting in Bergen, Norway, three Scandinavian
researchers and participants from
around the world inaugurated an
international Evidence-Based Research (EBR) Network. This network will press funders, regulators,
researchers, academic institutions,
and journals to implement the
changes that are needed to promote evidence-based research.
One of the objectives of the EBR
Network is that all doctoral students, supervisors, and senior researchers should learn the methodology of systematic reviews and
use these research syntheses to
anchor more effectively questions
for additional primary research. We
wish the new EBR Network well
and urge the research community
to support it.
Anno VIII numero 48
Pagina 18
LA SSFA CERCA DOCENTI
Come potete leggere dalle pagine seguenti, molti docenti SSFA sono coinvolti in diversi master, attivati in diverse
Università italiane. Ma i master aumentano (l’ultimo è quello di Camerino, ma abbiamo già una nuova richiesta da
Genova): si rende necessario ampliare il numero di docenti, disponibili a fare lezioni. Ricordo che la maggior parte
dei master prevede lezioni anche il sabato mattina.
Se vi interessa fare l’esperienza di docente ad un master, e se ritenete di avere esperienza per poterlo fare, inviate
alla SSFA un breve CV (massimo 100 parole), nel quale sia messo in luce il settore dove avete maggiore esperienza, ed indicate le lezioni che vi interesserebbe svolgere.
I temi delle lezioni li potete trovare facilmente trovare nel sito PharmaTrain, alla pagina Syllabus.
Coraggio, aspettiamo numerose candidature.
NOTIZIE DAI MASTER
IL MASTER
DI CAMERINO
Lo scorso 15 gennaio sono iniziate le lezioni di
un nuovo master, fortemente voluto dal prof Fiorenzo Mignini (Università di Camerino), e con il
patrocinio di SSFA. La definizione esatta è
“Master Universitario di II livello in Metodologia
Clinica e Biostatistica Applicata ai Clinical
Trials”, ed a mio parere colma una lacuna: quella
di un corso post laurea a forte orientamento statistico, una nuova ed importante opportunità per
coloro che fossero interessati alla professione di
biostatistico e data manager. Si sono iscritti 11
studenti, parimenti divisi fra maschi e femmine.
Ci sono tre medici (un’oncologa che lavora in
ospedale, un ginecologo di Perugia ed un collega di Abbvie), poi un medico veterinario di Camerino, alcuni farmacisti e biologi, un’infermiera
di ricerca che è anche membro di un CE. Una classe di studenti con molta esperienza. Per semplicità logistica, le
lezioni si tengono ad Ancona presso ATAENA, una società di fornitura di attrezzature per farmacie. Sono molto ospitali, ed hanno messo a disposizione un’aula molto capiente. Una nuova opportunità, quindi, alla quale SSFA è
stata unanime nel concedere il patrocinio e nell’indicare un buon gruppo di docenti.
IL MASTER DI CATANIA
Ho avuto l’occasione di svolgere due giornate di
lezioni al Master di II livello in discipline regolatorie
del farmaco, organizzato come sempre dal prof Filippo Drago. Il master dall’edizione dello scorso anno è diventato annuale (prima era biennale): questo
cambiamento ha certamente favorito una maggiore
partecipazione. L’edizione del 2015 vede la partecipazione di 20 studenti, alcune già con attività lavorativa legata al farmaco. La classe è attenta ed interessata, e si è stabilita una ottima interazione durante le due giornate di lezioni. Nell’ambito del
master il prof Drago organizza poi una Conferenza
Nazionale sulla Farmaceutica, che chiama a Catania oltre 200 fra i principali attori del mondo scientifico e regolatorio legato al farmaco. Di questa conferenza, alla quale ho partecipato lo scorso 24 febbraio, potrete leggere una sintesi nel prossimo di
SSFAoggi.
Domenico Criscuolo
Anno VIII numero 46
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LE
TESI
DEL MASTER
CATTOLICA
Hutchinson-Gilford progeria: un paradigma per la medicina traslazionale
La progeria colpisce un bambino ogni 4 milioni ed è un esempio unico di malattia rara dove la tempistica tra scoperta del gene e primo trial clinico è stata brevissima, solo 5 anni. La sindrome infatti ha da sempre suscitato l'interesse
della comunità scientifica, perché usata come modello del normale invecchiamento. Inoltre, la funzione del gene,
codificante una componente strutturale del nucleo, la Lamina A, era stata estensivamente caratterizzata molto prima
che venisse associato alla patologia. La Lamina contatta e regola tutte le funzioni del DNA, esercitando un effetto
altamente pleiotropico che va dal controllo della proliferazione al differenziamento cellulare. La mutazione causa
l’accumulo nel nucleo di una forma tronca della Lamina, erroneamente farnesilata, chiamata Progerina. I pazienti
mostrano mancanza di grasso sottocutaneo, perdita di capelli, malattie cardiovascolari e muoiono per infarto o ictus
durante l’adolescenza. Studi preclinici hanno mostrato come la farnesilazione sia la causa della maggior parte di
questi sintomi. Per questo, un primo trial clinico ha visto l’uso di un inibitore della farnesilazione, il Lonafarnib, già
precedentemente sviluppato come antitumorale, e ben tollerato in età pediatrica. Questo studio ha evidenziato miglioramenti, seppur variabili tra pazienti,
nell’ aumento di peso, nella rigidità vascolare e nella struttura ossea ed un
allungamento della durata della vita di 1.6 anni. Un secondo trial, che si concluderà nel 2017, prevede un trattamento combinato di Lonafarnib con Pravastatina e Acido Zoledronico, questi ultimi aggiunti per bloccare tutte le possibili vie di modificazione della Progerina, e per i quali l’EMA ha rilasciato la
designazione di farmaco orfano. Grazie alle associazioni dei pazienti, in particolare alla Progeria Research Foundation, l’arruolamento dei soggetti provenienti da 16 paesi nel mondo ha richiesto solo quattro mesi. Nel nostro paese
la malattia ancora non rientra tra i codici di esenzione nazionali per malattia
rara previsti dal DM 279/2001 ma gode di codici a valenza regionale.
Dr.ssa Elisa Cesarini:
Ha conseguito la laurea in Scienze Biologiche e il titolo di Dottore di Ricerca
presso l’Università di Roma “La Sapienza”. Attualmente ricercatrice presso il
CNR-IBCN di Roma. Ha frequentato il Master in “Sviluppo preclinico e clinico
del farmaco” presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore ed è Clinical Research Associate certificata.
La tesi si pone come obiettivo di valutare con un approccio multidisciplinare il possibile impatto sulla spesa sanitaria
di una prevenzione attuata indirizzando su percorsi più efficienti le risorse già esistenti. Analizza la prevenzione primaria
con acido acetil salicilico in una delle patologie più invalidanti:
l’ictus. Ci si pone davanti ad un messaggio chiaro ‘’…la prevenzione come sostenibilità del Sistema Sanitario Nazionale…’’. Si parte dall’epidemiologia per procedere con un’analisi
delle evidenze scientifiche per arrivare ad un’analisi costoefficacia con il metodo dello “health technology assessment” (Hta) tenendo conto di un parametro fondamentale
come il “Quality adjusted life years” (Qaly). I risultati indicano
che la progettazione e l’implementazione di politiche di prevenzione primaria possono aiutare a sviluppare un sistema
assistenziale capace di educare, monitorare e convincere i
pazienti a effettuare la terapia con grande costanza nel tempo, migliorando la qualità di vita del cittadino e riducendo la
spesa in modo non trascurabile.
Francesca Scarabotto
Laureata in chimica presso la Sapienza a Roma. Master in
sviluppo clinico e preclinico del farmaco ed in epidemiologia e
biostatistica presso l’Università Cattolica di Roma. In Bayer
dal 2000 come Informatore Medico Scientifico, nel 2008 come
Product Specialist, nel 2010 Sales Excellence Advisor e dal
2014 Medical Scientific Liaison.
Anno VIII numero 46
Pagina 20
Farmaci pediatrici: aspetti regolatori in Europa e negli Stati Uniti
Il dato più allarmante nell’ UE, in ambito di farmaci pediatrici, è che circa il 50% di essi non è mai stato studiato per
questa popolazione. Nonostante questo, la legislazione italiana ed europea consente, per questi farmaci, il cosiddetto uso off label e unlicensed. Nel primo caso è permessa la prescrizione ai bambini di farmaci che sono registrati
solo per gli adulti, in condizioni diverse da quanto autorizzato. Nel secondo caso, invece, il farmaco non è autorizzato in nessuna popolazione in quella data nazione. L’utilizzo off label assimila i bambini a dei “piccoli adulti” al punto
che i dosaggi per i minori vengono spesso derivati da quelli degli adulti, trascurando così le differenze farmacocinetiche e farmacodinamiche tra le due popolazioni. L’esito finale di tali lacune è l’esposizione dei bambini a molteplici
rischi, quali eventi avversi inattesi e sovradosaggi. Le principali cause di tale scenario sono le perplessità etiche e lo
scarso interesse delle aziende farmaceutiche ad investire per un mercato così piccolo. In
Occidente neppure la mobilitazione normativa ha determinato grandi miglioramenti. Negli
USA la BPCA e il PRA, ed in Europa il Regolamento Pediatrico del 2007 introducono la
necessità di effettuare studi pediatrici per tutti i nuovi farmaci di cui si richiede l'autorizzazione. Nonostante entrambe le normative incentivino gli studi pediatrici in cambio di sei
mesi addizionali di esclusività sul mercato, dal 2005 al 2011 l’aumento delle sperimentazioni è stato solo del 2.3%. La tendenza dei nuovi farmaci autorizzati in età pediatrica è in
crescita ma la strada è ancora lunga e probabilmente deve essere percorsa con mezzi
addizionali a quelli legislativi. Sebbene gli studi clinici siano l’unico strumento per garantire ai più piccoli farmaci veramente su misura, come ha sottolineato l'AIFA, si ha ancora a
che fare con un “pregiudizio etico”.
Elena Coppotelli
Elena Coppotelli è nata a Ferentino nel 1984. Nel 2011 si è laureata in Biologia Applicata alla Ricerca Biomedica
presso l’Università di Roma La Sapienza. Nel 2014 ha conseguito il master in Sviluppo pre clinico e clinico del farmaco: aspetti tecnico-scientifici, regolatori ed etici presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Oggi lavora come
quality data manager alla Bristol-Myers Squibb. Dal 2012 al 2013 ha lavorato come study coordinator presso il Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia della Sapienza. Dal 2011 al 2012 ha svolto attività di ricerca
presso l’ Istituto Regina Elena.
Biosimilari in oncologia: indagine tra gli esperti all’Istituto Europeo di Oncologia
Un biosimilare è definito da EMA come “un prodotto che dimostra similarità al prodotto medicinale di riferimento, in
termini di caratteristiche qualitative, attività biologica, sicurezza ed efficacia, basate su un dettagliato esercizio di
comparabilità”. Il prodotto di riferimento di un biosimilare è un farmaco biotecnologico: il biosimilare, dunque, per
essere definito tale, deve essere oggetto di numerosi studi di qualità, di immunogenicità e di comparabilità nonclinica e clinica rispetto all’originatore. Punti critici sono l’estrapolazione di indicazione, la sostituibilità automatica e
la tracciabilità del biosimilare. Ma qual è il reale impatto dei biosimilari nella ricerca e nella pratica clinica? Quali sono i vantaggi ed i benefici per il paziente, e quali per il sistema sanitario? Si può pensare di utilizzarli per
un’indicazione per la quale non sono stati condotti studi formali specifici? Ho posto queste domande ai medici, infermieri e farmacista ospedaliero dell’IEO. Emerge subito la sostanziale differenza tra ematologia, settore in cui
l’utilizzo del biosimilare è ormai una solida realtà (es. filgrastim, biosimilare del G-CSF) ed oncologia. In quest’ultima
i biosimilari stentano ad emergere, a causa dell’eterogeneità della popolazione dei pazienti, degli endpoint clinici e
del profilo di immunogenicità. Ma sono stati da poco approvati dall’EMA i primi
biosimilari di infliximab: inflectra e remsina; e sono in corso studi clinici con il biosimilare del trastuzumab, il cui brevetto è in scadenza. Le opinioni degli intervistati in merito ai potenziali vantaggi dell’utilizzo del biosimilare si dividono tra coloro
che lo considerano solo come un incentivo alla concorrenza e coloro che ne colgono un reale beneficio. Tutti gli intervistati sottolineano la necessità di avere dati
a lungo termine, e di potenziare la farmacovigilanza. Si pone l’attenzione
sull’eticità degli studi di non inferiorità (biosimilare vs originatore), e sulla maggiore tutela dei diritti del paziente. Vige, purtroppo, una certa refrattarietà culturale
verso i biosimilari, che necessita di una maggiore informazione dei medici. Il dibattito, dunque, è sempre vivo e la strada per i biosimilari in oncologia ancora
lunga e tortuosa. Una buona notizia è un recente cambiamento nelle linee guida
EMA (ottobre 2014): la possibilità di utilizzare come confronto un originatore autorizzato fuori dall’ EEA (Area Economica Europea): ciò dovrebbe facilitare lo sviluppo dei biosimilari.
Daniela Tomaiuolo è nata a Manfredonia nel 1987. Nel 2010 si è laureata in Biotecnologie all’Università degli Studi
di L’Aquila. Nel 2012 ha conseguito la laurea magistrale in Biotecnologie Mediche presso l’Università degli Studi di
Torino. Nel 2014 ha conseguito il master “Sviluppo preclinico e clinico del farmaco” all’Università Cattolica di Roma.
Nell’aprile 2014 ha seguito uno stage in data management all’Istituto Europeo di Oncologia a Milano, per poi continuare l’esperienza lavorativa come borsista fino a dicembre 2014. Attualmente svolge l’attività di data manager
Anno VIII numero 48
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Nutraceutici…..la nuova frontiera
Dopo la laurea in psicologia il dr.
Andrea Zangara ha svolto attività di
ricerca sulle relazioni fra memoria,
emozioni e cervello presso
University College London. E’ stato
in seguito ricercatore per il Cognitive
Drug Research. Dal 2008 Zangara
ha ricoperto vari ruoli esecutivi in
un’azienda australiana di medicine
complementari, dove è stato direttore di ricerca e sviluppo fino al 2013.
Zangara ha poi collaborato con
un’azienda svizzera di fitomedicine ,
e svolge ora il ruolo di consulente
per l’industria nutraceutica. Ha recentemente conseguito un master in
fitoterapia clinica. E’ autore e coautore di numerose pubblicazioni e
capitoli di libri su argomenti quali
l’effetto dei nutraceutici sul SNC e la
qualità, sicurezza ed efficacia dei
fitoterapici.
D: La parola “ nutraceutico” deriva
dalla fusione dei termini “ nutrizionale” e “farmaceutico” ed oggi è utilizzata per indicare alimenti, o meglio
componenti di alimenti, che forniscono importanti benefici per la salute
dell’uomo. Dr. Zangara ci conferma,
in base alla sua esperienza, che è
vero?
R: Il termine “nutraceutica” fu coniato negli Stati Uniti dal dr. De Felice,
nel 1989, per indicare appunto la
sintesi tra nutrizione e farmaceutica.
I nutraceutici sono sostanze con
proprietà medicamentose e utili per il
mantenimento della salute presenti
in vari alimenti da cui possono essere isolati e purificati o anche sintetizzati, che vengono generalmente proposti per la prevenzione di patologie
croniche quali malattie cardiovascolari, metaboliche, cancro, osteoporosi, artropatie e patologie neurodegenerative. La categoria include alimenti e bevande funzionali, integratori alimentari botanicals e fitoterapici. Alcuni alimenti sono naturalmente
ricchi di nutraceutici (ad esempio
acidi grassi omega-3 in certi pesci e
oli di pesce, il resveratrolo nel vino
rosso), e gli alimenti funzionali arricchiti con nutraceutici vengono proposti per scopi preventivi e salutistici
(ad esempio il latte e i latticini supplementati con il calcio e gli acidi
grassi omega-3, lo yogurt con fito-
steroli e probiotici) e
per scopi terapeutici
(medical foods: alimenti ai fini medici speciali). Vengono anche assunti come tali isolatamente e in combinazione, in diverse forme
farmaceutiche,
allo
scopo di incrementarne
l’apporto ottenibile con
l’alimentazione. Vengono spesso definite nutraceutiche sostanze
che in realtà non hanno nulla in comune con
gli alimenti, e questa
definizione è abusata
dall’industria degli integratori. Valutare e quantificare i benefici sulla salute di una categoria
così vasta non è compito semplice. I
protocolli di ricerca clinica sono impostati sul modello farmacocentrico,
dove esiste un sintomo o una patologia e si valuta la significatività statistica del miglioramento verso un
placebo, mentre con i nutraceutici si
ha a che fare prevalentemente col
mantenimento della salute e la prevenzione in individui sani. Questo
dovrebbe fare riflettere sui modelli di
ricerca da applicare ai nutraceutici,
che richiederanno adeguamenti formali e pratici. La letteratura conferma in molti casi l’efficacia di nutraceutici testati appropriatamente, ma
spesso i prodotti con effetti più evidenti e rapidi sull’organismo sono al
confine col farmaco, per posologia,
farmacodinamica, effetti collaterali.
Ciò si verifica più spesso nel campo
dei botanicals, dove ad una maggiore concentrazione di composti fitochimici può corrispondere un più
marcato effetto fisiologico (non necessariamente terapeutico), ed è
evidente anche con le vitamine, presenti spesso nei nutraceutici con alti
dosaggi. Per contro, esiste anche il
caso opposto, di prodotti sottodosati
che non apportano beneficio apprezzabile (se non per effetto placebo).
E’ spesso difficile interpretare i risultati di studi clinici con nutraceutici,
anche perchè i protocolli di ricerca
non sempre includono gli obbiettivi
appropriati, la popolazione e la durata adeguate, e dei markers validati.
C’è poi il problema della standardiz-
zazione, in quanto è fondamentale
sapere il contenuto e la concentrazione di alcuni ingredienti attivi in un
nutraceutico ed essere sicuri che
quel contenuto è costante in ogni
dose e lotto; tuttavia, prendendo
nuovamente a esempio i botanicals,
in una pianta ci sono numerosi componenti che interagiscono fra di loro
e con l’organismo. Se vengono condotti studi clinici con prodotti derivati
dalla medesima pianta o alimento,
ma con differente titolazione, si possono ottenere risultati divergenti,
come evidenziato da numerose metanalisi. Casi esplicativi sono quelli
del Ginkgo biloba per il miglioramento delle capacità cognitive e la prevenzione delle demenze, della Echinacea per la prevenzione e cura
delle malattie da raffreddamento, e
della glucosamina per il trattamento
dell’artrite. I risultati clinici più attendibili si ottengono tramite l’impiego di
metodiche di investigazione pre clinica e clinica appropriate e validate,
applicate a nutraceutici sviluppati
partendo da presupposti scientifici
accettabili ed i cui processi di produzione siano standardizzati ‘dal seme
al paziente’.
D: In questo particolare momento di
congiuntura economica i nutraceutici
segnano un aumento delle vendite,
nonostante i prezzi elevati. Ci può
fornire qualche cifra e soprattutto un
suo parere a riguardo?
R: La crescita globale verificatasi fra
(Continua a pagina 22)
Anno VIII numero 48
Pagina 22
(Continua da pagina 21)
il 2002 e il 2010 si e’ adesso assestata, ma effettivamente il mercato
dei nutraceutici rimane in espansione. Ad esempio Euromonitor stima
che quello europeo passera’ da 7 a
9 miliardi di euro entro il 2018, con
alcuni stati come la Russia che probabilmente raddoppieranno il proprio
valore nello stesso periodo. E’ interessante notare che l’Italia nel 2013
ha rappresentato il mercato europeo
più florido, secondo solo alla Russia.
Globalmente, il mercato dei nutraceutici ha fatturato 155 miliardi di
dollari nel 2013 e si stima che raggiungerà 211 miliardi di dollari entro
il 2018, con un tasso di crescita annuale del 7%. Fra le molteplici ragioni si possono identificare il maggiore
interesse dei consumatori verso la
propria
salute,
la
tendenza
all’automedicazione, una crescente
diffidenza verso i trattamenti farmacologici, accompagnata dalla diffusa
percezione che tutto ciò che è naturale sia necessariamente sano e
privo di rischi, la pressione del marketing nutraceutico che spesso tende ad accendere eccessive aspettative nel consumatore, ed il crescente
costo
dell’assistenza
sanitaria.
Quest’ultimo fattore ha indotto uno
spostamento dalla terapia alla prevenzione, che ha creato un terreno
ottimale per i nutraceutici e tutto ciò
che ha a che fare con la nutrizione e
la prevenzione. Fra le varie categorie, credo che saranno gli alimenti
funzionali e fortificati a guidare il
mercato dei nutraceutici, proprio per
il crescente riconoscimento del consumatore che ‘sei quel che mangi’.
Ci sarà probabilmente una tendenza
verso alimenti naturalmente sani, o
naturalmente funzionali, quali yogurt
probiotici, noci, cibi organici, te verde, olio extravergine di oliva. Questa
tendenza è anche trainata da recenti
studi che confermano ulteriormente i
benefici della dieta mediterranea. Il
tasso, ed il costo, di obesità e diabete sono in continua crescita, e quindi
non c’è da stupirsi che ci sia una
maggiore sensibilizzazione del consumatore a ricorrere a rimedi alternativi ed accessibili, a cui l’industria
dei nutraceutici è senzaltro ricettiva.
D: Qual è, secondo Lei, il profilo del
consumatore dei nutraceutici?
R: A livello globale ci sono probabilmente differenze geografiche; comunque in generale la donna è
spesso responsabile per l’acquisto di
integratori per tutta la famiglia, ed
indagini demografiche confermano il
consumatore tipico come di sesso
femminile, di mezza età, con un reddito ed una educazione superiori alla
media. Credo che vadano visti con
interesse anche l’espansione della
classe media dei paesi in via di sviluppo in cui i nutraceutici vengono in
genere considerati come desiderabili
beni di consumo, e la fascia d’età
delle persone nate negli anni 50-60,
di entrambi i sessi. Infatti i cosiddetti
baby boomers sono in cerca di prodotti e strategie anti aging e healthy
aging, per ridurre o rallentare gli effetti fisiologici dell’invecchiamento,
mantenere uno stato di salute ottimale, e prevenire o attenuare le malattie cronico-degenerative. La fascia
d’età delle persone con più di 65
anni è destinata a rappresentare
circa il 13% della popolazione globale entro il 2030, possiamo quindi
verosimilmente affermare che il profilo medio del consumatore di nutraceutici sarà sempre più rappresentato da persone di classe sociale media, e nella fascia d’età fra 40-60
anni, interessate alla propria salute e
preoccupate per la qualità e la durata della vita.
D: Ora diamo uno sguardo alle aziende produttrici. Qual è la situazione ? Quali difficoltà incontrano? E la
ricerca e sviluppo è presente nelle
aziende italiane che si occupano di
produzione di nutraceutici?
R: La situazione è in fermento,
l’industria farmaceutica, in cerca di
strategie per uscire dalla stasi del
settore, sta mostrando crescente
intreresse verso il nutraceutico, per il
quale però non ha necessariamente
gli strumenti più adatti. Questo principalmente perché
molta ricerca
innovativa nel campo nutraceutico
coinvolge gruppi accademici con
conoscenze specifiche in determinati
settori, e non necessariemente coinvolti con l’industria del farmaco. Inoltre piccole o medie imprese nutraceutiche spesso devono abbandonare interessanti progetti di ricerca e
sviluppo, perchè vedono nelle cre-
scenti problematiche regolatorie un
rischio potenziale per il notevole investimento che la ricerca richiede, e
al tempo stesso sono diffidenti verso
Big Pharma. Per contro, l’industria
farmaceutica ha maggior esperienza
nel comunicare coi medici e altri professionisti del settore, un vantaggio
fondamentale se si considera che
l’evidenza scientifica e clinica sta
diventando un fattore importante
nello sviluppo di nutraceutici. Le aziende
che
hanno
investito
sull’evidenza
scientifica,
sull’innovazione, e che hanno avuto
a disposizione i capitali necessari
per farlo, hanno spesso visto una
crescita esponenziale dei profitti,
potendo contare su prodotti longevi.
Esiste tuttavia il rischio concreto della borrowed science, dove aziende
competitrici si appropriano di studi
condotti a spese di altre aziende, per
supportare i propri prodotti. Questa è
una frode, a meno che i prodotti non
siano realmente molto simili, resa
possibile, perché non è semplice
proteggere con un brevetto un nutraceutico. Altre difficoltà e differenze
con prodotti farmaceutici sono ascrivibili alla natura degli ingredienti ed
al tipo di formulazioni: la maggior
parte dei nutraceutici contiene numerosi ingredienti, e le piante contengono molteplici composti attivi e
non. Il comportamento della formula
finale è perciò difficilmente prevedibile rispetto ad un prodotto farmacologico basato su un singolo ingrediente attivo e qualche eccipiente, di
cui in genere si conosce bene ogni
caratteristica. Anche eliminare o ridurre il sapore, aroma, odore, sono
aspetti da considerare nella formulazione dei nutraceutici, che derivano
da spezie, animali, piante, e ne mantengono alcune caratteristiche organolettiche. Come accennato, il problema della ricerca clinica applicata
ai nutraceutici è senzaltro importante
e complesso, e richiederebbe una
intervista dedicata solo a questo
tema! La mia esperienza è principalmente fuori dall’Italia, però le posso
confermare che alcune aziende italiane piccole e medie sono
all’avanguardia nella ricerca e sviluppo in campo nutraceutico, e sono
osservate con estremo interesse
dall’estero.
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Anno VIII numero 48
(Continua da pagina 22)
D: Su quali ambiti o settori del benessere e salute umana si concentreranno gli sforzi di ricerca e sviluppo delle aziende?
R: Gli ambiti principali sono il raggiungimento e mantenimento di uno
stato di salute ottimale, il miglioramento ed allungamento della vita, e
la prevenzione di molte malattie cronico-degenerative. Si possono poi
identificare aree specifiche, che presentano leggere variazioni annuali,
influenzate anche da fattori economici, situazione regolatoria e innovazione in campo medico-scientifico. Anche in questo caso ci sono variazioni
geografiche, ma principalmente la
R&S nutraceutica investe in prodotti
innovativi per la gestione del peso
corporeo, l’apparato digestivo, la
salute cardiovascolare, il diabete, le
prestazioni cognitive, l’energia e la
prevenzione
dell’invecchiamento
cutaneo. Il numero di sostanze antiossidanti è in continuo aumento,
trainata dalla ricerca e soprattutto da
esigenze di mercato. Il miglioramento della biodisponibilità degli ingredienti è senz’altro un altro fattore
chiave nella ricerca nutraceutica. Per
esempio nel caso della Curcuma, di
cui si conoscono da tempo le proprietà antinfiammatorie della componente curcumina, solo recentemente
sono stati sviluppati prodotti che ne
permettono un assorbimento e una
biodisponibilità orale elevata. Di conseguenza, da un paio di anni i supplementi di curcuma sono all’apice
delle vendite, guidate dai prodotti
che assicurano migliore biodisponibilità e potenza. Altre importanti tendenze sono lo sviluppo di prodotti
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organici, senza glutine, eccipienti ed
additivi; tecnologie che permettano
un rilascio prolungato, rapido o fasico dei composti attivi; e forme galeniche quali sachet, gomme da masticare, fialette bevibili. Nel campo della
botanica la ricerca farmacologica e
clinica tentano di rivelare il meccanismo d’azione di piante e rimedi tradizionali e quantificarne l’effetto sulla
salute. Per esempio, negli ultimi dieci
anni sono stati condotti numerosi
studi con estratti standardizzati della
Bacopa monnieri, una delle piante
più importanti nella medicina tradizionale ayurvedica, che hanno permesso di identificarne i composti principali e le proprietà, indicandola come
uno dei rimedi più promettenti per il
Sistema Nervoso Centrale. Rimanendo in campo botanico, la cannabis e dei suoi derivati sono destinati
ad impieghi nutraceutici di rilievo
dopo i recenti sviluppi regolatori. Ci
sono poi numerosi composti fitochimici come il resveratrolo, il licopene
e la luteina: supportati da adeguati
studi scientifici, stanno assumendo
maggiore importanza nell’ambito
dello sviluppo ed applicazione di
nuovi nutraceutici.
D: Un’ultima domanda. Cosa vede
all’orizzonte?
R: Il mercato nutraceutico sarà sempre più influenzato dalla regolamentazione, che si tradurrà in maggiore
confidenza del consumatore, anche
se richiederà uno sforzo consistente
dell’industria, che dovrà adeguarsi
alle normative. Il consumatore sarà
sempre più informato e proattivo, e
sarà fondamentale che medici e farmacisti mantengano il ruolo di esperti
SEMINARIO DI AGGIORNAMENTO
“CRITICITÀ DEL REGOLAMENTO
EUROPEO SUGLI STUDI CLINICI”
a cura del Gruppo di Lavoro
Medicina Farmaceutica
Milano, Giovedì 21 maggio 2015
anche in tema di nutraceutici, per
consigliare i prodotti con maggiore
efficacia e sicurezza, evitando sia
spese ingiustificate, e che il paziente
sostituisca
maldestramente
l’integratore al farmaco. Le aziende
avranno una crescente responsabilità nell’investire in ricerca, e nel saperne comunicare i risultati al mondo
scientifico, per permettere a medici e
farmacisti una valutazione indipendente. Ci sarà un crescente coinvolgimento di importanti gruppi farmaceutici ed alimentari, che tenderanno
ad assorbire aziende specializzate
minori per aquisirne le competenze.
La genetica assumerà un ruolo importante, e saranno disponibili prodotti personalizzati per tipologie specifiche di consumatori, che potranno
scegliere il nutraceutico o l’alimento
più adeguato alla propria predisposizione genetica, verificabile tramite
appositi test che saranno presto oggetto di marketing aggressivo, soprattutto per aree quali il metabolismo, la digestione, l’infiammazione, il
peso corporeo. L’importanza della
dieta e della nutrigenetica saranno
sempre più valorizzate, e ciò potrebbe eventualmente indurre una riduzione nella richiesta di alcune categorie di integratori alimentari, per la
percezione che una dieta ottimizzata
sia sufficiente al mantenimento della
salute. Si ritornerà dunque a dare
maggiore importanza a ciò che fu
detto da Ippocrate, cioè che
l’alimento sia la tua medicina, ma
con conoscenze tecnologiche e
scientifiche molto avanzate che porteranno ad un miglioramento globale
della salute, della qualità e durata
della vita.
A cura di Giovanni Abramo
Anno VIII numero 48
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VII CONFERENZA NAZIONALE DISPOSITIVI MEDICI
Garantire efficacia, sicurezza ed innovazione per una crescita sostenibile
Il 18 e 19 dicembre 2014, presso
l’Auditorium Antonianum di Roma, si
è tenuta la VII edizione della Conferenza Nazionale sui Dispositivi Medici organizzata dalla Direzione Scientifica della Direzione Generale dei
Dispositivi Medici e del Servizio Farmaceutico (DMSF) del Ministero
della Salute. Appuntamento istituzionale, questo, di primaria importanza
per tutti coloro che operano nel settore dei dispositivi medici (DM) per
conoscere l’evoluzione, in ambito
tecnico e normativo, del comparto
nei prossimi anni. I DM stanno conquistando grande spazio nel mondo
industriale sanitario: è il settore ove
è più elevato rapporto tra investimenti in ricerca e fatturato, ed è in
continuo sviluppo con un fatturato di
13.535 milioni di euro, 4940 società,
41.931 addetti ed un tasso annuo di
crescita del 4,7%.
Il Ministro della Salute, on. Beatrice
Lorenzin, ha aperto la conferenza
affermando “Il 2014 è stato l’anno
della programmazione e della messa
a punto, dove si è coniugato sostenibilità ed efficienza, costo e prestazione mentre il 2015 sarà quello
dell’implementazione, del lavoro con
approccio globale, dove si dovrà
esser capaci di verificare attentamente i risultati, intervenendo negli
ambiti che non funzionano. Pilastro
sarà il patto per la salute 2014-2016,
l’accordo approvato tra stato e regioni per la definizione certa dei budget
e per l’affermazione del principio che
la salute non è un costo ma un investimento”.
Oltre al Ministro della Salute hanno
partecipato il Direttore Generale del
DMSF, dr.ssa Marcella Marletta con
il suo staff di dirigenti, rappresentanti
regionali, esperti nazionali ed europei, Assobiomedica e altre associazioni del settore. L’appuntamento
alla Conferenza Nazionale sui Dispositivi Medici era particolarmente
atteso considerato il ruolo dell’Italia
nel semestre di Presidenza del ConE (1 luglio-31 dicembre 2014), per
un commento su quanto è in discussione in Europa sui DM, in particolare sulle due proposte di regol
siglio dell’Uamento UE ( sui dispositivi medici e dispositivi medici impiantabili e sui dispositivi medici diagnostici in vitro-IVD), di cui si attende pubblicazione.La gran parte degli
interventi si è focalizzata su questo
argomento e sulle iniziative che il
Ministero della Salute sta portando
avanti nel settore.
NUOVO REGOLAMENTO EUROPEO SUI IVD—STATO DI AVANZAMENTO
I due regolamenti (essendo tali troveranno immediata e completa applicazione in tutti gli Stati UE, superando così le disparità
d’interpretazione ed applicazione tra
i paesi membri che le direttive attuali avevano creato) mirano a rivedere
il quadro normativo europeo, armonizzando le disposizioni già esistenti
in materia, con l’obiettivo di garantire
un più elevato grado di sicurezza dei
dispositivi tra tutti gli utilizzatori, velocizzare l’immissione in commercio
di prodotti sempre più sicuri ed efficaci, facilitare la libera circolazione
in ambito comunitario, tutelare da
contraffazioni, sostenere innovazione e competitività.
Obiettivi che si prefiggono:
1. delineare più chiaramente
ruoli e responsabilità delle
diverse figure coinvolte nelle
attività di progettazione, valutazione dei DM e messa in
commercio (organismi notificati, fabbricante, “authorized
representative”, licenziatario, importatore, distributore);
2. garantire una maggior interazione e condivisione di co-
noscenze tra le autorità nazionali degli stati membri in
particolare in tema di
“device-vigilanza” attraverso
il portale UE (EUDAMED);
3. definire nuove regole sulla
documentazione tecnicoscientifica del DM prima e
dopo la marcatura CE, con
l’obbligo di una sorveglianza
post-marketing attiva con
invio di relazioni periodiche
di aggiornamento sulla sicurezza del DM, e di documentare la “clinical evidence” per IVD;
4. attuare un maggior controllo
degli organismi notificati da
parte delle autorità sanitarie
con audits periodici.
Tra le diverse norme presenti nelle
due proposte di regolamento troviamo inoltre:
1. l’obbligo per il fabbricante di
dotarsi della presenza di
una “qualified person” garante della qualità e
dell’applicazione delle normative;
2. l’istituzione di un unico codice
di identificazione (UDI) per
ciascun DM per garantire
una maggior tracciabilità
dello stesso in tutta la filiera
produttiva-distributiva;
3. il potenziamento della banca
dati EUDAMED per la raccolta e condivisione in ambito UE di tutte le informazioni
riguardanti
il
DM
(certificazioni, evidenza clinica, sicurezza) con alcuni
dati accessibili al pubblico;
4. sul piano delle indagini cliniche è prevista la realizzazione di linee guida sulle procedure e adempimenti e
l’introduzione della procedura coordinata per indagini
cliniche multicentriche
in più stati membri che
prevede la possibilità
di presentare un’unica
domanda attraverso il
portale EUDAMED con
uno stato membro che
(Continua a pagina 25)
Anno VIII numero 48
(Continua da pagina 24)
funge da coordinatore.
Le due proposte di regolamento promulgate dalla Commissione Europea
il 26 settembre 2012 e presentate al
Parlamento Europeo e al Consiglio
dei Ministri dei 28 stati membri sono
andate incontro, nell’iter di approvazione, a centinaia di emendamenti.
Lo sforzo, in corso, è individuare una
mediazione tra le diverse posizioni.
Sotto la Presidenza Italiana dell'UE,
le autorità italiane hanno lavorato a
stretto contatto con gli stati membri
promuovendo discussioni atte a facilitare un accordo tra Consiglio, Parlamento, Commissione. Un documento finale su ciascuno dei 2 regolamenti è stato presentato all’ultima
riunione del Consiglio dei Ministri
della Salute UE (EPSCO-dicembre
2014), a disposizione della Presidenza della Lettonia per il prosieguo
dei lavori nel attuale loro semestre di
presidenza. Le posizioni, com’è stato riferito durante la Conferenza,
divergono principalmente su alcune
tematiche:
- “scrutinity procedure”. E’ un
meccanismo di esame di determinate valutazioni della conformità applicabile inizialmente solo ai nuovi MD
ad alto rischio ma che può essere
estesa ad altre classi e categorie, di
cui gli Organismi Notificati si dovranno avvalere all’atto dell’esame del
dossier del DM per la marcatura CE.
Prevede che l'Organismo Notificato,
caso per caso, prima di rilasciare il
certificato di conformità, richieda una
valutazione scientifica al gruppo
MDCG (Medical Device Coordination Group - un apposito organismo
scientifico da istituire) sulla valutazione clinica e il follow-up clinico
post-commercializzazione.
Se la
valutazione scientifica sarà favorevole, l'Organismo Notificato potrà
procedere alla certificazione. Il Parlamento Europeo propone che i
MDCG siano designati e valutati da
EMA, siano responsabili della valutazione dei DM impiantabili, DM di
classe III (inclusi i drug/devices), DM
di classe IIb destinati alla somministrazione di farmaci, e che il processo e iter di “scrutinity” avvenga con
tempi e modalità differenti da quelle
proposte dalla Commissione.
Pagina 25
- “clinical evidence”. Il Parlamento
Europeo vuole introdurre delle procedure in analogia ai farmaci. Chiede che le indagini cliniche a sostegno dell’”efficacy” dei DM di classe
III siano dei RCT (randomized controlled trials). L’impossibilità di usare
placebo per certi DM ad alto rischio
( protesi, pacemakers, stent), oppure
di usare il DM senza leggere o seguirne le istruzioni e modalità d’uso,
fa si che i RCT non possano essere
imposti obbligatoriamente ma caso
per caso venga valutato il disegno di
studio ottimale. Si sono introdotti
concetti quali di “efficacy”,
“effectiveness”, “equivalence” ma
questi termini richiedono di essere
meglio ridefiniti in un’ottica più attinente alla specificità dei DM. Si parla anche di registri ma va chiarita la
loro struttura, tipologia, e chi li sovvenzionerà.
- “data trasparency”. Il libero accesso ai dati degli studi clinici con i
DM è dibattuto. Per ragioni di trasparenza si vogliono rendere pubblici non solo i dati relativi alla sicurezza ma anche quelli negativi delle
indagini cliniche, considerati informazioni commerciali non sensibili.
La tematica è delicata poiché se da
un lato si potrà favorire i prodotti metoo abbassando i costi, dall’altra si
rischia di penalizzare l’innovazione.
- “re-use” e regole di etichettatura. Tutti i DM saranno considerati
come riutilizzabili salvo che non sia
chiaramente indicato sull'etichetta
che se si tratta di un dispositivo monouso.
-messa al bando di sostanze considerate nocive. Progressivamente
dovranno essere banditi quei prodotti che contengono sostanze identificate dal REACH, che possono venire a contatto con il corpo del paziente( es. ftalati). Se non esistono alternative più sicure, viene chiesto al
fabbricante di fornire nella documentazione tecnica, una giustificazione
specifica per l'uso di tali sostanze e,
nelle istruzioni per l'uso, informazioni
sui rischi residui per i pazienti interessati e le misure precauzionali,
appropriate, da seguire.
- Nuovi DM e regole di classificazione.
E’ in discussione
l’inserimento nel regolamento dei
DM ad uso estetico (impiantabili o
altri invasivi) e la definizione di nuove regole di demarcazione tra DM e
farmaci basata sui livelli di assorbimento (se c’è assorbimento si vuole
seguire la normativa farmaci).
Al momento le due proposte di regolamento sono in discussione al Consiglio Europeo. La Presidenza di
turno della Lettonia sta tentando una
mediazione tra diversi emendamenti
proposti. I regolamenti con le loro
modifiche dovranno poi tornare al
Parlamento Europeo per la ratifica
finale (attesa nel primo semestre
2015). E’ stato calcolato che se passasse la proposta di regolamento
della commissione, il costo per la
messa in commercio di un DM di
classe III, per un’azienda del settore,
si aggirerebbe sui 2,5 milioni di euro,
se passasse quella del Parlamento il
costo sarebbe di 17,5 milioni di euro.
CONSUMI—SPESA
Nei due giorni della Conferenza si è
discusso molto di sostenibilità del
SSN e come individuare soluzioni
gestionali che assicurino sviluppo
del settore, tutela della salute e contenimento della spesa, considerato
che il consumo dei DM sta crescendo in maniera rilevante. Da tempo il
Ministero della Salute ha avviato una
serie di iniziative con lo scopo di
identificare la spesa, le quantità, le
dinamiche di acquisto, l’erogazione
delle prestazioni. L’istituzione del
repertorio dei DM che va ad alimentare la banca dati EUDAMED e che
rappresenta l’anagrafe di riferimento
di tutti i DM acquistabili dal SSN
(compresi i DM-diagnostici in vitro
entrati in repertorio obbligatoriamente a partire dal 5 giugno 2014), il
flusso consumi che segue il consumo dei DM acquistati direttamente
dal SSN, e il tracciato dei contratti,
hanno consentito, nell’insieme,
l’acquisizione di un patrimonio di
informazioni estremamente dettagliato sui prodotti presenti in Italia e
consumi per ciascuna ASL. L’Italia è
l’unico paese a livello internazionale
a disporre di tali informazioni per tutti
i livelli (centrale, regionale, singola
azienda) così che è possibile attuare
un monitoraggio puntuale e
un’efficace controllo della spesa nel
(Continua a pagina 26)
Anno VIII numero 48
(Continua da pagina 25)
settore. Il secondo rapporto annuale
sui consumi dei DM (uscito nel dicembre 2014) fotografa la realtà e la
qualità delle informazioni raccolte. Il
valore complessivo rilevato dal flusso dei consumi è stato pari a circa
3,231 miliardi di euro. La Lombardia
è la prima regione con 511 mln di
euro, seguita dal Veneto con 356
mln, da Emilia Romagna con 344
mln: ultima la Valle d'Aosta con 9
mln.
Conferenza Nazionale Dispositivi
Medici: l’On. Beatrice Lorenzin
ISTITUZIONE RETE DISPOSIVITO-VIGILANZA
Come previsto dal Patto della Salute, è stata attivata una rete di
comunicazione dedicata alla Dispositivo-Vigilanza che consente di
identificare velocemente il problema, attivare un’azione appropriata
e tempestiva tra tutti gli operatori
(personale sanitario, aziende ospedaliere, ASL, regioni, Ministero
della Salute, fabbricanti, autorità
stati UE). Attraverso questa rete
circoleranno le informazioni sugli
incidenti avvenuti con i DM, gli avvisi di sicurezza, le azioni correttive implementate, le relazioni alle
autorità competenti.
La rete andrà ad alimentare il
network EUDAMED. Diversi saranno i profili di accesso: dal 2015 sia
le regioni che le singole ASL potranno caricare dati in loro possesso, monitorare gli eventi fino alla
chiusura del fascicolo, scaricare i
dati. Sul sito del Ministero della
Salute (http://www.salute.gov.it/
DispoVigilancePortaleRapportoOp
eratoreWeb/) è ora disponibile per
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gli operatori sanitari anche la funzionalità di compilazione del modulo per la segnalazione di incidenti “Rapporto di incidente o di
mancato incidente”. Nel 2015 tale
funzione on-line sarà attiva anche
per i produttori (ora è solo cartacea).
PROGRAMMA NAZIONALE HTA
L’Italia, col Patto della Salute, ha
deciso di costituire all’interno del
Ministero della Salute una “cabina
di regia” che definirà indirizzi, obiettivi generali da perseguire. Sarà questo uno strumento politicoistituzionale che opererà alle dirette dipendenze del Ministro e che si
avvarrà del contributo tecnico di
Agenas ed AIFA. Verrà stilato un
programma nazionale HTA di valutazione di tutte le tecnologie
(farmaci, DM, percorsi terapeutici).
Questa iniziativa rientra nel programma HTA-N (politico) e nel
network EUNetHTA (operativo)
che l’Europa ha istituito con
l’obiettivo di facilitare la cooperazione e lo scambio d’informazioni
scientifiche tra le autorità sanitarie
degli stati membri e gli organismi
designati, responsabili della valutazione delle tecnologie sanitarie
(HTA). Si creerà uno specifico modello istituzionale di HTA dei DM
basato su valutazioni costoefficacia per promuoverne un uso
appropriato. L’Agenas, anche in
collaborazione con le reti internazionali (EUROSCAN, EUnetHTA),
ha già messo in atto metodologie
che affrontano la valutazione dei
DM sia in fase pre-marketing e
utilizzo sperimentale che
postmarketing. In Italia oltre ad Agenas, ci sono 4 agenzie regionali
che si occupano di HTA (Liguria,
Emilia Romagna, Abruzzo, Puglia)
e alcuni uffici regionali dislocati sul
territorio. L’HTA diventerà fondamentale per certi DM innovativi e
per i processi decisionali di acquisto nel settore pubblico.
daliera si sono creati dei raggruppamenti diagnostici omogenei che
costituiscono la base per il riconoscimento tariffario fissato a livello
regionale sulla base del costo
standard della prestazione. Il sistema dei DRG ha consentito di raccogliere informazioni importanti.
Con la revisione che prevede anche il passaggio al nuovo sistema
di codifica ICD-10 si vogliono raccogliere dati anche sulle prestazioni ambulatoriali, trattamenti
(farmaci, DM), consumo generale
di tutte risorse. Al momento ci sono 4 gruppi di lavoro che stanno
testando il sistema e 20 ospedali
pilota selezionati che stanno fornendo dati. La fase sperimentale
finirà nel 2016. Seguirà la presentazione ufficiale pubblica e
l’adozione su tutto il territorio nazionale.
PUBBLICAZIONE LINEE GUIDA
SULLA NORMATIVA RIFERITA
ALLE INDAGINI CLINICHE CON I
DM
A tutti i partecipanti alla conferenza è stato distribuito un documento
intitolato “Le indagini cliniche dei
dispositivi medici” realizzato, per
tale occasione, dalla Direzione Generale dei Dispositivi Medici e Servizio Farmaceutico del Ministero
della Salute. Il documento fornisce
informazioni sulle indagini cliniche
dei DM riguardo la legislazione
vigente nazionale ed europea, i
principali documenti UE, le linee
guida europee (MEDDEV in materia di indagini cliniche) e chiarisce
il ruolo del Ministero della Salute
nel processo di valutazione di tali
indagini. Tali informazioni sono
comunque presenti sul sito del Ministero della Salute nella sezione
dedicata ai DM. Una versione del
documento sarà caricata sul sito
del Ministero a disposizione di tutti
gli utenti.
Lucia Beinat
DRG-RIORGANIZZAZIONE
E’ in corso la revisione dei DRG
introdotti nel 1994 con la finanziaria per la classificazione e remunerazione dei ricoveri ospedalieri e
prestazioni sanitarie. Attraverso le
diagnosi e le informazioni contenute sulle schede di dimissione ospe-
Anno VIII numero 48
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Top 10 Biotech Jobs Most in Demand over the Next Decade
Last year was rough for the biopharma employment: the industry announced more than 22,000 layoffs during 2014,
57% more than in 2012. The next few years don’t appear to be much easier, as biopharma continues to absorb
blows that include rising healthcare reform costs, continued economic weakness, and patent-cliff losses. Another
potential blow to industry is price containment, if European and some Asian countries continue to see little benefit
from new specialty drugs, and if Washington can do more about the pricey treatments than muster up some grousing from politicians. Yet there remain some glimmers of hope amid the gloom, namely projections for continued job
growth over a decade in certain positions across biopharma. Below is a list of 10 research and clinical biotech occupations projected to add jobs through 2022, according to the U.S. Bureau of Labor Statistics’ (BLS) Occupational
Outlook Handbook, 2014–15 Edition, ranked in order of the number of expected additional jobs to be created between 2015 and 2022.
#10. Epidemiologists
Employment change, 2015–22: 500 more jobs
Epidemiologists compile data to try and understand the causes of diseases, improve public health issues, and prevent future problems. They do this by conducting various experiments, surveys, and interviews and studying the
data they compiled. Being highly observant is a requirement in this field due to the constant demand for them to analyze data and plan studies in order to find new statistics about diseases, and then report those findings to others in
the medical and public health field.
#9. Genetic Counselors
Employment change, 2015–22: 900 more jobs
Genetic counselors assess individual or family risk for a variety of inherited conditions, such as genetic disorders
and birth defects. They provide information and advice to other healthcare providers, or to individuals and families
concerned with the risk of inherited conditions.
#8. Zoologists and Wildlife Biologists
Employment change, 2015–22: 1,000 more jobs
Zoologists and wildlife biologists study animals and other wildlife and how they interact with their ecosystems. They
study the physical characteristics of animals, animal behaviors, and the impacts humans have on wildlife and natural
habitats.
#7. Microbiologists
Employment change, 2015–22: 1,400 more jobs
Microbiologists focus primarily on the classification and functions of microorganisms found in humans, plants, water,
etc. They organize, conduct, and supervise complex research on these microscopic organisms. Through analysis of
their findings, microbiologists obtain new knowledge about these organisms and translate that into ways to develop
new drugs to combat diseases.
#6. Biomedical Engineers
Employment change, 2015–22: 5,200 more jobs
Biomedical engineers use their knowledge of engineering to design and construct systems and products for medical
usage. The products that biomedical engineers create and produce are essential to the diagnosis of medical ailments. They are responsible for the reparation of the devices they build, the assurance of their functionality and
safety, and work very closely with scientists, doctors, and others in the medical field to observe the engineering components of biological processes and systems to plan their developments accordingly. Some products that biomedical
engineers provide include prostheses, such as artificial organs, and devices such as MRIs and CAT Scans.
#5. Biochemists and Biophysicists
Employment change, 2015–22: 5,400 more jobs
Biochemists and biophysicists design and perform various complex tests for their research. Their job spans from
studying proteins, DNA, RNA, and several other molecules to studying and testing already developed drugs and the
effects that they have on biological systems and more.
#4. Chemical Technicians
Employment change, 2015–22: 6,000 more jobs
Chemical technicians use special instruments and techniques to help chemists and chemical engineers research,
develop, and produce chemical products and processes.
#3. Biological Technicians
Employment change, 2015–22: 8,000 more jobs
Biological technicians help biological and medical scientists carry out their research and experiments. They are responsible for the set-up and maintenance of labs, and the cleaning of lab instruments and equipment to ensure they
are ready for use. They prepare samples in the lab for analysis, conduct their own tests and experiments, compile
data, and record their findings.
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#2. Medical Scientists
Employment change, 2015–22: 13,700 more jobs
Medical scientists specialize in researching and investigating biological systems in order to further understand and
treat human diseases. Their work can span from conducting their own experiments and research based on unique
hypotheses, to further investigating preexisting drugs and diseases by performing clinical trials.
#1. Medical and Clinical Lab Technologists & Technicians
Employment change, 2015–22: 70,600 more jobs
Medical and clinical lab technologists and technicians work in either labs or health care facilities and perform tests
studying blood, fluids, organs, tissue, and other substances they have collected in order to analyze. The technologists usually perform the more difficult tasks and supervise the technicians. The two work together to operate lab
instruments and equipment. Technologists and technicians can either be general or specialize in a particular field,
which include but are not limited to clinical chemistry, blood banks, immunology, and molecular biology.
A cura di Domenico Barone
La ricerca clinica in Italia
Seminario del progetto Bocconi - Novartis Academy
Una sede prestigiosa e la reputazione dell’Università Bocconi e di Novartis hanno indotto oltre cento professionisti a darsi appuntamento lo
scorso 30 gennaio, nella speranza di
ascoltare qualcosa di nuovo. Lasciatemi subito dire che non c’è nulla di
nuovo all’orizzonte: anzi, parafrasando un noto aforisma, verrebbe da
dire “Ricerca clinica: più se ne parla
e meno se ne fa!”.
Ma veniamo ai fatti: il seminario è
iniziato con un’ introduzione della
dr.ssa
Rosanna
Tarricone
(CERGAS) la quale, citando alcuni
dati di una sua ricerca appena conclusa, ha potuto quantificare in circa
un milione di euro al giorno la perdita che il nostro Paese sta subendo
per il dirottamento degli studi clinici
verso Paesi più competitivi. L’analisi
delle debolezze del nostro Paese è
poi proseguita con l’intervento congiunto del dr Giuseppe Ambrosio
(Università di Perugia) e della dr.ssa
Marta Gehring (SBG consulting), i
quali hanno riassunto i dati già pubblicati sul BMJ open nel 2013. Si
tratta dello studio SAT-EU, che ha
quantificato in circa 20 miliardi di
euro/anno gli investimenti in ricerca
clinica in Europa. Gli autori hanno
preso in considerazione 4 aree critiche per la scelta di dove indirizzare
gli studi clinici (ambiente, sperimentatori, ospedali, costo). Lo studio ha
coinvolto molti paesi europei, le risposte ottenute sono state circa 500,
e l’analisi ha evidenziato che l’Italia
perde in tutti i confronti con gli altri
paesi europei, ponendosi come valutazione globale di attrattività allo
stesso livello di piccoli paesi come
l’Austria e la Svizzera.
Ha poi continuato a “girare il coltello
nella piaga” la dr.ssa Cavazza
(CERGAS), commentando i dati di
una sua ricerca sul ruolo delle Unità
di Ricerca Clinica, presenti in ancora
troppo pochi ospedali. Dove queste
unità sono state istituite, si è potuto
constatare un alto livello di apprezzamento sia come supporto manageriale che come centro di riferimento per tutti gli sperimentatori (e questo vale sia per gli studi con sponsor
industriale, che per gli studi spontanei): ma purtroppo, come già anticipato, queste unità sono ancora troppo poche, e spesso animate da personale precario, che viene perduto
alla prima offerta esterna di un lavoro stabile.
E’ poi intervento il collega Daniele
Alberti (Novartis oncology), il quale
ha ribadito le grandi difficoltà che il
suo gruppo deve affrontare per mantenere un buon livello di impegno
italiano negli studi internazionali.
Come sempre, tutte le presentazioni
si sono concluse con un messaggio
di ottimismo circa le prospettive future: personalmente ritengo fuori luogo
questo ottimismo. E sarebbe ora che
ci dicessimo le cose come stanno.
L’Italia ha perso circa il 25% delle
sperimentazioni cliniche negli ultimi
3 anni: la discesa sembrava essersi
fermata sulle circa 500 sperimentazioni all’anno, ma i primi dati del
2014 smentiscono questa previsione. E sappiamo tutti molto bene che
le occasioni perdute non si ripresentano più. L’impianto burocratico per
l’attivazione di uno studio clinico è
sempre più complicato, con CE satelliti che continuano a chiedere modifiche che non spetta loro affrontare, delibere che impiegano mesi ad
essere firmate, e verbali che sono
resi disponibili solo dopo reiterati
solleciti, e dopo diverse settimane.
Diciamolo a chiare parole: oggi attivare uno studio clinico in Italia richiede da sei a nove mesi: non è certamente uno scenario competitivo.
Lasciatemi concludere che, nel lasciare la bella sede della Bocconi,
ho avuto la netta sensazione di aver
perso una mattina, sia ad ascoltare
dati già noti sulla poca attrattività del
nostro Paese in tema di sperimentazione clinica, sia a sentire auspici di
speranze di ripresa, invero mal suffragati da dati oggettivi.
Domenico Criscuolo
Anno VIII numero 48
Pagina 29
Top 10 Clinical Trial Failures of 2014
The following is a list of top 10 clinical failures of 2014:drug candidates are listed in alphabetical order.
1] Bitopertin (RG 1678)
Sponsor: Roche Indication: Schizophrenia Type of drug: Glycine reuptake inhibitor
How drug failed: Did not meet primary endpoints in two Phase III studies evaluating the drug candidate for persistent, predominant “negative symptoms” of schizophrenia.
2] Cabozantinib (COMETRIQ)
Sponsor: Exelixis; Indication: Metastatic castration-resistant prostate cancer (mCRPC); Type of drug: Tyrosine
kinase inhibitor; How it failed: Did not meet its primary endpoint in overall survival (OS) compared to prednisone.
3] Custirsen (OGX-011)
Sponsors: OncoGenex and Teva; Indication: Metastatic castrate-resistant prostate cancer (CRPC); Type of
drug: Antisense clusterin inhibitor ; How it failed: Did not meet its primary endpoint in overall survival (OS) versus
docetaxel and prednisone alone.
4] Darapladip
Sponsor: GlaxoSmithKline; Indication: Coronary heart disease; Type of drug: Orally active inhibitor of Lp-PLA2
(lipoprotein-associated phospholipase A2); How it failed: In a Phase III study, darapladip did not meet its primary
endpoint of extending the time to first occurrence of any major adverse cardiovascular event (MACE).
5] MAGE-A3
Sponsor: GlaxoSmithKline; Indication: Non-small cell lung cancer (NSCLC); Type of drug: Cancer immunotherapeutic; How it failed: Did not meet its first or second co-primary endpoints in the Phase III MAGRIT trial.
6] NX-1207
Sponsor: Nymox Pharmaceutical; Indication: Benign prostatic hyperplasia (BPH); Type of drug: Apoptosis stimulant; How it failed: Did not meet primary efficacy endpoints.
7] Revolixys Kit (pegnivacogin and anivamersen)
Sponsor: Regado Biosciences; Indication: Coronary artery disease (excluding those with ST-elevated myocardial
infarction) undergoing percutaneous coronary intervention; Type of drug: Anticoagulation system consisting of pegnivacogin, an injectable anticoagulant and its complementary injectable oligonucleotide agent, anivamersen; How it
failed: A Phase III trial was terminated after DSMB indicated that the level of ADR “was of a frequency and severity
such that we did not enroll any further patients”.
8] Tabalumab
Sponsor: Eli Lilly; Indication: Systemic lupus erythematosus; Type of drug: Anti-BAFF (B cell activating factor)
monoclonal antibody; How it failed: Did not meet its primary endpoint in two Phase III trials.
9] Tecemotide (formerly Stimuvax or L-BLP25)
Sponsors: Merck and Oncothyreon; Indication: Non-small cell lung cancer (NSCLC); Type of drug: MUC1 antigen-specific cancer immunotherapy; How it failed: Did not meet its primary endpoint .
10 ] Vynfinit (Vintafolide)
Sponsors: Merck and Endocyte; Indication: Platinum-resistant ovarian cancer (PROC); Type of drug: Conjugate
of folic acid (vitamin B9) linked to the vinca alkaloid desacetylvinblastine hydrazide (DAVLBH); How it failed: Did
not demonstrate efficacy on progression-free survival (PFS) in patients with PROC.
A cura di Domenico Barone
Anno VIII numero 48
Pagina 30
SEMINARIO SU
Venerdì 27 febbraio si
è tenuto il seminario
“Equivalenza terapeutica tra prodotti farmaceutici aventi principi
attivi differenti” organizzato dal GdL Farmacoeconomia
e
Market Access.
Ottima la partecipazione, a sottolineare la
crescente attenzione
della comunità scientifica, istituzionale e
delle aziende al tema
delle gare regionali
basate sulla equivalenza terapeutica.
I relatori hanno riportato, a vario titolo, esperienze su come i servizi sanitari regionali
abbiano attivato procedure per considerare e valutare questo
tema.
Dalle sessioni è chiaramente emerso che
l’unico ente italiano che può produrre valutazioni sull’equivalenza terapeutica è AIFA.
L’ente regolatorio ha reso disponibili
alcune linee guida, finalizzate ad
orientare le regioni nella presentazione delle richieste di parere.
La presentazione del prof Mauro de
Rosa è stata molto utile per definire
i confini dell’equivalenza tra principi
di origine chimica e quelli di origine
biologica (figura 1).
AIFA non si occuperà di determinare
l’equivalenza semplice tra specialità
medicinali originali ed equivalenti, e
non sarà nemmeno impegnata nella
definizione di equivalenza semplice
comparabile tra biosimilari e biooriginatori.
Questo perchè, nel caso della equivalenza semplice, esiste di fatto il
“principio della sostituibilità”, che
t r o v a
“ f o n d a m e n t o ”
nell’aggiornamento delle liste di trasparenza.
Analogamente, rispetto al principio
di sostituibilità, tra biologico originatore e corrispondenti biosimilari, si
EQUIVALENZA TERAPEUTICA
conferma quanto già posto in essere
dall’Agenzia, anche relativamente
alla non automatica sostituibilità.
Le regioni potranno chiedere un parere ad AIFA per definire
l’equivalenza complessa sovrapponibile (tra principi attivi diversi di
origine chimica) e dell’equivalenza
complessa comparabile, cioè la
sovrapponibilità tra prodotti di origine
biotecnologica.
Molto preziosa l’esperienza della
regione Veneto, testimoniata dalla
dott.ssa Chiara Roni, del servizio
farmaceutico.
Questa regione ha maturato una
considerevole esperienza in merito
al tema dell’equivalenza terapeutica:
infatti il servizio farmaceutico regionale è autore di 4 richieste.
Tali richieste, presentate ad AIFA
dalla regione, si basano su 4 pilastri : codice ATC simile (IV Livello);
stessa forma farmaceutica; stesso
meccanismo d’azione; presenza di
linee guida di possibile
“sovrapposizione” dei trattamenti.
Durante l’ultima relazione, tenuta dal
prof Leonardo Salvemini, sono stati
esaminati gli aspetti legali delle procedure di gare ed i riferimenti normativi sottesi alla determinazione
dell’equivalenza terapeutica.
E’ stato quindi un pomeriggio molto
interessante ed utile; vi diamo appuntamento al prossimo seminario e
invitiamo tutti i soci a partecipare
attivamente alle attività del gruppo
Farmacoeconomia e Market Access.
A presto!
Gianluca Sorriento
Anno VIII numero 48
Pagina 31
NEWS ON CLINICAL TRIALS
Cancer
Seattle Genetics initiated a Phase I trial evaluating SGN-CD70A for CD70 positive relapsed
or refractory non-Hodgkin lymphoma (NHL) and metastatic renal cell carcinoma (RCC). The
primary endpoint of the open-label, multicentre, dose-escalation study are to estimate the
maximum tolerated dose and to evaluate the safety of SGN-CD70A. In addition, the trial will
evaluate the antitumor activity and pharmacokinetics in patients with CD70-positive metastatic RCC or relapsed or refractory NHL, including mantle cell lymphoma and diffuse large Bcell lymphoma. The study is designed to evaluate SGN-CD70A administered every three
weeks and will enroll approximately 95 patients.
Chronic Kidney Disease
Amgen reported that a Phase III study evaluating AMG 416 for the treatment of secondary hyperparathyroidism in
patients with chronic kidney disease, receiving hemodialysis, met its primary and all secondary endpoints. The primary endpoint was the proportion of patients with > 30% reduction from baseline in parathyroid hormone (PTH) levels during an efficacy assessment phase (EAP) defined as a period between weeks 20 and 27. The 26-week, randomized, double-blind, placebo controlled study was conducted in 508 patients who received AMG 416 or placebo
three times per week by intravenous injection with each hemodyalis treatment. Doses ranged from a minimum of 2.5
mg to a maximun of 15 mg. In the AMG 416 group, 74% of patients achieved a > 30% reduction from baseline in
PTH compared with 8.3% in the placebo arm. Secondary endpoint included the percent change from baseline during
the EAP in serum phosphorus concentration (mean changes of -7.71 and -1.31% among patients in the AMG 416
and placebo arms, respectively) and corrected calcium concentration (mean changes of -7.29 and -1.18% among
patients in the AMG 416 and placebo arms, respectively).
OPKO Health presented results from a Phase III trial of Rayaldee in a study intended to establish a new treatment
for secondary hyperparathyroidism in patients with type 3 or 4 chronic kidney disease (CKI) and vitamin D insufficiency. The company said Rayaldee was equally effective in both disease stages, indicating the therapy is appropriate for patients with minimal functioning kidney mass. This trial included 213 adult patients who were stratified by
CKD stage and randomized in a 2:1 fashion to receive six months of treatment with either Rayaldee or placebo. On
enrollment, all patients exhibited vitamin D insufficiency, which was ultimately corrected in 96% of patients treated
with Rayaldee. The completed trail successfully met all primary efficacy and safety endpoints. The primary efficacy
endpoint was an analysis in which a responder was defined as any treated subject who demonstrated an average
30% decrease in plasma parathyroid hormone from pretreatment baseline during the last six weeks of the treatment
period. A significantly higher response rate (p<0.001) was observed with Rayaldee. The response rate, which steadily increased with treatment duration, was similar in CKD stages 3 and 4. Safety and tolerability data were comparable in both treatment groups.
Irritable Bowel Syndrome
Salix Pharmaceuticals reported results from a Phase III randomized, double blind, placebo-controlled study to
evaluate treatment with rifaximin 550 mg TID three times daily for 14 days in irritable bowel syndrome patients with
diarrhea, or IBS-D, who responded to an initial treatment course with rifaximin. The effects of rifaximin on the gut
microbiotics were evaluated by two methods, traditional culture techniques and next generation gene sequencing of
stool samples collected from approximately 100 randomly selected subjects in the trail. Skin wabs were also obtained from an additional 113 randomly selected subjects and cultured for Staphylococcus bacteria. The data revealed no disturbance of fecal microbiotics in subjects taking repeat courses of rifaximin as compared to subjects
taking a single course of rifaximin followed by placebo for the remainder of the trial. Results of the culture and susceptibility testing demonstrated no evidence of cross-resistance to non rifamycin antibiotics in isolates grown fron
either stool or skin swab cultures. Repeat treatment courses of rifaximin do not appear to predispose patients to the
emergence of potentially pathogenic bacteria.
Traumatic Brain Injury
NeuroVive begun enrolling patients in a Phase IIa study of its drug candidate NeuroSTAT for treating patients with
severe traumatic brain injuries (TBI). Seven of a total of 20 patients have been enrolled in the study. The primary
endpoint of the open, noncomparative study is to evaluate NeuroSTAT’s pharmacokinetics and safety. A secondary
endpoint is to study NeoroSTAT efficacy at the mitochondrial level and how biochemical processes are affected by
NeuroSTAT post TBI.
A cura di Domenico Barone
Anno VIII numero 46
Pagina 32
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Registrazione del Tribunale di Milano, N. 319 del 14/05/2007
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