New Era Opened
Medical Oncology Progress & Perspectives
NEO
M PP
Pubblicazione di informazione scientifica oncologica
a cura di
N° 8
Luglio 2015
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New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
SOMMARIO
EDITORIALE - La ricerca italiana ad ASCO 2015 ed oltre:
protagonisti o subalterni?
Roberto Labianca
3
ASCO 2015: PLENARY SESSION
Antonio Ghidini
7
BEST OF ASCO 2015
Colorectal Cancer: I
Francesca Bergamo, Francesca Battaglin, Sara Lonardi
13
Colorectal Cancer: II
Giuseppe Aprile, Valentina Fanotto, Silvio Ken Garattini,
Nicoletta Pella
21
Noncolorectal Cancer: stomaco - pancreas
Stefano Cascinu
33
Noncolorectal Cancer: fegato – vie biliari
Bruno Daniele
39
Pillole da Chicago 2015. O meglio: compresse…
Alberto Zaniboni
43
GISCAD NEWS
N° 8 LUGLIO 2015
3
EDITORIALE: LA RICERCA
ITALIANA AD ASCO 2015
ED OLTRE: PROTAGONISTI
O SUBALTERNI?
“Illumination and Innovation”: questo lo slogan martellante (o, se
volete, il mantra) che ci ha accompagnato a Chicago dal 29 maggio al
2 giugno scorsi mentre sciamavamo come al solito tra gli immensi spazi
del Mc Cormick Congress Center. Ma la vera e pervasiva “I” di
quest’anno è rappresentata dalla Immunoterapia, l’araba fenice risorta
dalle ceneri grazie alla impeccabile definizione dei vari “immune
checkpoint” e alla disponibilità, finalmente, di farmaci potenti e
intelligenti in grado di colpire con potenza e precisione. Dal laboratorio
incredibile rappresentato dal melanoma siamo passati a risultati di
grande interesse ottenuti nel carcinoma del polmone non a piccole
cellule, nel carcinoma gastrico, nei tumori del colon (e non solo) con
instabilità microsatellitare e nelle neoplasie ginecologiche, della regione
testa-collo, della mammella e della prostata. Sembra proprio di assistere
a una autentica rivoluzione che potrebbe modificare significativamente
la prognosi dei nostri pazienti: pensate a cosa succederebbe se quanto
registrato nella fase avanzata di malattie neoplastiche mortali si
traducesse in una aumentata guaribilità in pazienti resecati radicalmente
ma ad elevato rischio di ricaduta. Vi sono già dati molto stimolanti nel
melanoma, ma immaginiamo i potenziali risultati nell’ambito delle
neoplasie del polmone, dello stomaco e del colon, della mammella…
Grande entusiasmo, quindi, ma anche molte domande: avremo bisogno
di una nuova figura di specialista oncologo (l’“immunoterapista”:
termine che ricorda però l’orrendo “chemioterapista” che abbiamo
sempre rifiutato…)? Quali saranno i problemi di gestione di questi
trattamenti? Sapremo fare davvero “networking” per riferire i pazienti
in modo armonico e organizzato ai Centri che avranno il necessario
expertise per applicare questi trattamenti nel modo migliore, sia in
ambito di pratica clinica che di ricerca anche traslazionale? Quale sarà
il punto di vista degli ammalati e delle loro famiglie di fronte a queste
nuove sfide? Chi ci salverà dal tremendo incremento di costi che le
nuove terapie si porteranno dietro? Non è un caso che nei prossimi mesi
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New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
la stessa ASCO, ESMO, AIOM, CIPOMO e altri soggetti scientifici (tra cui
le Reti Oncologiche Regionali) dedicheranno alla immunoterapia tutta una
serie di importanti eventi scientifici e manageriali. Credo proprio che anche
coloro che si dedicano alla ricerca indipendente debbano farsi carico della
questione con intelligenza ed inventiva (altre due “I”…): noi di GISCAD, ad
esempio, ci occuperemo estensivamente di immunoterapia nell’ambito del
Congresso del 6 e 7 novembre (segnatevi la data) che celebrerà il XXV
anniversario di questa piccola/grande storia italiana.
Ma torniamo a Chicago e chiediamoci se il nostro Paese sia stato in grado di
dare un significativo contributo al vertiginoso progresso che respiriamo in
queste settimane. In altre parole: c’è spazio anche per la “I” di Italia in questa
fase di crescita tumultuosa? Secondo me, più sì che no. Vediamo prima gli
elementi a favore.
• Noi veniamo da lontano e andiamo lontano, come ci insegnava un tempo
la bella politica, quella vera: non a caso a Chicago Silvio Monfardini
(past-President AIOM ed ESMO) ha ricevuto il prestigioso
riconoscimento del B.J. Kennedy Award per i fondamentali contributi
che ha saputo dare alla nascita e allo sviluppo della oncologia geriatrica.
Su basi solide come questa si poggia la realtà della nostra disciplina in
questo Paese e io mi spingo a profetizzare che un giorno uno (o una…)
dei nostri attuali giovani colleghi (o colleghe) terrà la Karnofsky Lecture
nel segno della continuità con i nostri padri fondatori.
• Ad ASCO 2015 la presenza italiana è stata rilevante, sia all’interno di
studi clinici (per lo più registrativi, ma non solo) che nell’ambito di un
ruolo molto importante come quello del discussant. Una volta tale attività
veniva svolta da autorevoli, e spesso canuti, oncologi statunitensi, oggi
viene dato spazio a specialisti anche europei, anche giovani e anche
donne. Onore, quindi, a Lisa Licitra e a Marina Garassino che hanno
interpretato egregiamente questo ruolo, tra l’altro anche in tema di
immunoterapia. E per quanto riguarda gli studi, menzione speciale a
Ketta Lorusso e a Salvatore Siena, quest’ultimo per lo studio Heracles.
• Proprio nei giorni di ASCO si sono rafforzati in misura importante i
legami tra i Gruppi Cooperativi italiani che hanno dato vita di recente
alla Federazione dei gruppi medesimi (FICOG), fortemente voluta da
AIOM e in particolare dal Presidente Carmine Pinto. Sono certo che
questa intesa porterà in tempi anche brevi a una migliorata competitività
della oncologia medica italiana sul palcoscenico della ricerca
internazionale, tanto clinica quanto traslazionale.
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Non manca però qualche importante criticità:
• i cronici problemi riguardo al finanziamento della ricerca clinica
indipendente: speriamo che AIFA si svegli dal suo cronico torpore…
• il ruolo subalterno che l’industria farmaceutica italiana svolge nei
confronti delle multinazionali e delle case madri: tutto noto e tutto ben
denunciato da tempo da storiche figure della oncologia medica nazionale
(ancora una volta, con Silvio Monfardini in prima fila), ma sempre più
in grado di appesantire e frenare la innovatività.
• la difficoltà che spesso abbiamo nel fare sistema: ecco perché da FICOG
deve venire una reale spinta propulsiva, al di là di ogni personalismo
• e altre ancora…
Io sono convinto che “insieme” (altra “I”) ce la possiamo fare: che ne dite?
Roberto Labianca
Presidente GISCAD
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ASCO 2015: PLENARY SESSION
Commento a cura di Antonio Ghidini
Oncologia Medica, Casa di Cura IGEA - Milano
L’ASCO di quest’anno, svoltosi a Chicago, aveva un titolo promettente: “Innovation and
Illumination ― Transforming Data Into Learning”. In effetti, rispetto alle nostre conoscenze,
maggiore luce si è fatta nel panorama cancro, così complesso: in particolare dai lavori di
quest’anno, emerge sempre più forte il ruolo della immunoterapia (PD inibitori), con nuove
molecole, di cui si iniziano a vedere risultati interessanti, trasversali a diverse patologie (non solo
melanoma, come vedremo, ma anche polmone – anche spinocellulari!, fegato…)
Per tornare all’argomento di cui mi è stato chiesto, la Sessione Plenaria, i quattro “Late-Breaking
Abstract” hanno coperto argomenti tra loro dissimili (melanoma, tumori pediatrici, testa-collo,
sistema nervoso centrale) ma sicuramente interessanti per la chiarezza dei risultati.
Analizziamo ora nel dettaglio i quattro lavori.
Abstract #LBA1 - Efficacy and safety results from a phase III trial of nivolumab
(NIVO) alone or combined with ipilimumab (IPI) versus IPI alone in treatment-naive
patients (pts) with advanced melanoma (MEL).
Jedd D. Wolchok, MD, PhD (Memorial Sloan Kettering Cancer Center and Weill Cornell Medical College)
Background: The results of a phase I study in MEL
suggested complementary clinical activity with NIVO (a
PD-1 checkpoint inhibitor) plus IPI (a CTLA-4
checkpoint inhibitor). Here, we report the results of a
randomized, double-blind, phase III trial designed to
evaluate NIVO combined with IPI or NIVO alone vs IPI
alone in MEL. Methods: Treatment-naïve pts (N = 945)
were randomized 1:1:1 to NIVO 1 mg/kg Q2W + IPI 3
mg/kg Q3W for 4 doses followed by NIVO 3 mg/kg
Q2W, NIVO 3 mg/kg Q2W + placebo, or IPI 3 mg/kg
Q3W for 4 doses + placebo, until progression or
unacceptable toxicity. Pts were stratified by PD-L1 status,
BRAF mutation status, and M-stage. Co-primary
endpoints are progression-free survival (PFS) (reported
here) and overall survival (pts continue to be followed).
Secondary endpoints include objective response rate
(ORR) by RECIST v1.1 and safety. Results: At a
minimum follow-up of 9 months, NIVO + IPI and NIVO
alone significantly improved PFS and ORR vs IPI (Table).
Grade 3-4 drug-related adverse events (AEs) occurred in
55.0%, 16.3%, and 27.3% of pts in the NIVO + IPI,
NIVO, and IPI arms, respectively (most commonly
diarrhea [9.3%, 2.2%, 6.1%], increased lipase [8.6%,
3.5%, 3.9%], increased alanine aminotransferase [8.3%,
1.3%, 1.6%], and colitis [7.7%, 0.6%, 8.7%]). Drugrelated AEs led to discontinuation in 36.4%, 7.7%, and
14.8% of pts in the NIVO + IPI, NIVO, and IPI arms,
with 0, 1, and 1 drug-related deaths, respectively. Efficacy
outcomes by PD-L1 status will also be presented.
Conclusions: NIVO + IPI and NIVO alone had superior
clinical activity vs IPI alone. The results with NIVO + IPI
and NIVO alone further suggest complementary activity
of the two agents. There were no new safety signals or drugrelated deaths observed with the combination
NIVO + IPI (N = 314)
NIVO (N = 316)
IPI (N = 315)
Median PFS,months (95% CI)
11.5 (8.9–16.7)
6.9 (4.3–9.5)
2.9 (2.8–3.4)
HR (95% CI) vs IPI
0.42 (0.31–0.57)*
0.57 (0.43–0.76)*
--
HR (95% CI) vs NIVO
ORR (95% CI)
0.74 (0.60–0.92)**
57.6% (52.0–63.2)*
--43.7% (38.1–49.3)* 19.0% (14.9–23.8)
CR rate
11.5%
8.9%
2.2%
*P < 0.00001 vs IPI. **Study not statistically powered for this comparison.
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New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
Lo studio in questione (fase tre, randomizzato, doppio cieco), sulla base di precedenti esperienze di fase 1 che
evidenziavano sinergismo di attività tra nivolumab, PD-1 inibitore, e ipilimumab, CTLA-4 inibitore (attuale
standard), nel melanoma, andava a confrontare tre regimi di trattamento, o meglio le due monoterapie con
ipilimumab e nivolumab e la loro combinazione, in prima linea nella malattia avanzata. Quasi mille pazienti
sono stati egualmente randomizzati a ricevere le rispettive terapie; gli endpoint primari dello studio erano la
sopravvivenza libera da progressione (PFS) e la sopravvivenza globale (OS) - i dati di quest’ultima non sono
ancora disponibili -, mentre endpoint secondari erano le risposte obiettive (ORR), secondo i criteri RECIST, e
la tossicità.
Lo studio, a mio giudizio ben disegnato e ben bilanciato, è risultato positivo ed ha dimostrato dati chiari: la
combinazione di nivolumab e ipilimumab aumenta significativamente la PFS nei pazienti affetti da melanoma
avanzato (11.5 mesi), rispetto alle singole terapie con nivolumab (6.9 mesi) e con ipilimumab (2.9 mesi). Se
analizziamo però il sottogruppo di pazienti con espressione di PD-L1 di almeno il 5% notiamo che la PFS
risulta similare (14 mesi) nel braccio di combinazione e nel braccio di monoterapia con nivolumab.
Entrando invece nel merito degli endpoint secondari, ad un incremento delle ORR con la combinazione, fa da
contraltare il più che raddoppiamento delle tossicità di grado 3-4 (55% vs 16 e 27%), ed in particolare diarrea
e incremento degli enzimi epatici e pancreatici, senza però sperimentare morti tossiche. Questo ha portato una
buona quota di pazienti – circa un terzo – ad abbandonare la terapia di combinazione, seppur continuando in
buona percentuale a rispondere dopo il termine del trattamento.
In sintesi possiamo dire che, in attesa della conferma dei dati di sopravvivenza globale, nivolumab (ma anche
altri PD-1 inibitori, come pembrolizumab, sono in fase di studio) potrà rappresentare, da solo o in combinazione
con ipilimumab (ma attenzione a PD-L1!), il nuovo standard terapeutico nel melanoma avanzato, considerando
però anche gli elevati costi, soprattutto nei pazienti con buon performance status e nei quali è necessario ottenere
una rapida risposta per elevato carico di malattia. Lo studio si configura quindi come un potenziale practicechanging trial.
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Abstract #LBA2 - Reduction in late mortality among 5-year survivors of childhood cancer: A report
from the Childhood Cancer Survivor Study (CCSS).
Gregory T. Armstrong, MD, MSCE (St. Jude Children's Research Hospital)
Background: Over the past four decades, treatment of many
childhood cancers has been modified with the aim of achieving high
survival rates while reducing the risk of life-threatening late-effects,
and promoting risk-based follow-up care of survivors. Methods: Late
mortality was evaluated in 34,033 5-year survivors (diagnosed < 21
years of age from 1970-1999, median follow-up 21 years, range 538) using cumulative incidence and Poisson regression models
adjusted for demographic and disease factors to calculate relative risk
(RR) and 95% confidence intervals (CI). Mortality due to nonrecurrence/non-external (NR/NE) causes, which includes deaths that
reflect late-effects of cancer therapy, was evaluated. Results: 1,622
(41%) of the 3,958 deaths were attributable to NR/NE causes,
including 751 subsequent neoplasm (SN), 243 cardiac, and 136
pulmonary deaths. Changes in therapy by decade included reduced
rates of: cranial radiotherapy (RT) for acute lymphoblastic leukemia
(ALL, 86%, 54%, 22%), RT for Wilms tumor (WT, 77%, 54%,
49%) and RT for Hodgkin lymphoma (HL, 96%, 88%, 77%).
Reductions in 15 year cumulative NR/NE mortality were observed
across treatment eras for ALL (p < .001), HL (p = .005), and WT (p
= .005). Cardiac deaths decreased in ALL (p = .002), HL (p = .06),
and WT (p = .04), and SN deaths decreased in WT (p < .001). Year
of diagnosis (adjusted for age, sex, diagnosis, follow-up time) was
significantly associated with a reduced risk of all-cause mortality (RR
= 0.85, CI 0.83-0.87), NR/NE death (RR = 0.87, CI 0.84-0.91),
death from SN (RR = 0.84, CI 0.80-0.89), cardiac death (RR = 0.78,
CI 0.69-0.87) and pulmonary death (RR = 0.79, CI 0.68-0.91).
Conclusions: The CCSS cohort provides evidence that the strategy
of modifying therapy to reduce the occurrence of late-effects, and
promotion of early detection, is successfully translating into a
significant reduction in observed late mortality.
Cumulative incidence (%) of death at 15 years from diagnosis.
Treatment era All-Cause NR/NE Causes SN Cardiac Pulmonary
1970-74
12.4
3.5
1.8
0.5
0.4
1975-79
9.7
2.8
1.5
0.4
0.2
1980-84
8.8
2.7
1.4
0.3
0.3
1985-89
6.9
2.2
1.3
0.2
0.2
1990-94
6.0
2.1
1.0
0.1
0.1
P-value
< 0.001 < 0.001
< 0.001 0.001
0.02
Durante la Sessione plenaria grande enfasi è stata data ai risultati, in termini di mortalità tardiva, ottenuti negli
anni nell’ambito dell’oncologia pediatrica. Occorre infatti ricordare che una percentuale non trascurabile di
pazienti pediatrici “guariti”, muore a distanza di tempo a causa degli effetti collaterali delle terapie ricevute; è
stato riportato un 18% di mortalità a trent’anni dalla diagnosi, sicuramente superiore alla media di riferimento
dei soggetti di 30-40 anni.
In un grande studio retrospettivo americano sono stati analizzati i dati di 34000 pazienti trattati nel trentennio
1970-1999 (circa 9.500 negli anni ’70, 13.000 negli anni ’80 e 11.500 negli anni ’90) e vivi dopo 5 anni dalla
diagnosi. Dei quasi 4.000 decessi registrati, il tasso di mortalità è significativamente diminuito nelle tre decadi,
e analizzando nel dettaglio le cause emerge con il passare del tempo una riduzione delle morti per progressione
o ripresa di malattia oncologica (mortalità cumulativa del 7.1% nei 15 anni successivi alla diagnosi negli anni
settanta, contro il 4.9% e il 3.4% dei pazienti nelle due decadi successive). Altra causa di morte che ha subito
una riduzione significativa è quella legata agli effetti collaterali tardivi dopo trattamento, che si è anche questa
ridotta con il passare del tempo, così come il sottogruppo di decessi correlati a secondi tumori chemio-radio
indotti. Nel caso della chemioterapia, è importante notare come la miglior conoscenza dei farmaci (es.
antracicline) e dei loro effetti tossici, e l’ottimizzazione delle schedule di trattamento, abbia portato ad un
decremento della cardiotossicità (0.5% degli anni ’70 fino allo 0.1% degli anni ’90). Per quanto riguarda la
N° 8 LUGLIO 2015
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New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
radioterapia invece, si è assistito negli anni, oltre a un miglioramento delle tecniche e delle macchine e a riduzioni
di dosi, ad un minor utilizzo del trattamento radiante (soprattutto sull’encefalo) in tumori quali la leucemia
linfoblastica acuta (dall’86 al 22%!), il linfoma di Hodgkin e il tumore di Wilms. Non da ultimo bisogna infine
ricordare l’enorme importanza che ha rivestito e riveste tuttora la diagnosi precoce, anch’essa responsabile della
riduzione di mortalità.
Questi concetti, e cioè l’ottimizzazione delle cure e la minor esposizione del paziente ad agenti tossici, sembrano
a noi ora quasi scontati e familiari, ma questo studio retrospettivo così numeroso e su così tanti anni ribadisce
con chiarezza e con fermezza che soprattutto quando si tratta dell’età pediatrica – e quindi a lunga aspettativa
di vita - occorre pensare al bambino / ragazzo che diventerà adulto, e quindi ripensare, laddove sia possibile e
senza inficiarne l’efficacia, le strategie di riduzione dell’intensità delle cure per ridurre gli effetti collaterali e la
mortalità a distanza.
Abstract #LBA3 - Elective versus therapeutic neck dissection in the clinically node negative early
oral cancer: A randomised control trial (RCT).
Anil D'Cruz, MBBS, MS, FRCS (Tata Memorial Hospital)
Background: Management of the neck in early oral cancers has been
a matter of debate with clinical equipoise between elective (END) or
therapeutic neck dissection (TND). Methods: This is a prospective
phase III RCT (NCT00193765) to test the superiority of END at
the time of primary surgery over TND (neck dissection at the time
of nodal relapse) in patients with lateralized T1 or T2 squamous
carcinoma of oral cavity, amenable to peroral excision. Patients were
stratified based on size, site, sex and preoperative neck ultrasound.
The primary end point was overall survival (OS) and secondary end
point was disease-free survival (DFS). The trial was planned to
demonstrate a 10% superiority (1-sided α = 0.05 and β = 0.2) in OS
for END vs. TND, assuming 60% 5-year OS in TND arm, with a
planned sample size of 710. Results: This trial was terminated after
596 patients were randomized between January 2004 and June 2014.
An interim intent-to-treat analysis of initial 500 patients (255 in
TND, 245 END) with a minimum follow-up of 9 months was
performed as mandated by Data and Safety Monitoring Committee
based on the number of observed deaths in each arm. Both arms were
balanced for site and stage. There were 427 tongue, 68 buccal mucosa
and 5 floor of mouth tumors; 221 were TI and 279 T2. At a median
follow-up of 39 months there were 146 recurrences in TND and 81
in END arms respectively. The 3-year OS was significantly higher in
END compared to TND arm (80.0% vs. 67.5%, HR = 0.63, 95%CI
0.44-0.89, p = 0.01) as was 3-year DFS (69.5% vs. 45.9%, HR =
0.44, 95%CI 0.34-0.58, p < 0.001). After adjusting for stratification
factors in Cox regression, END continued to be significantly superior
to TND for both OS and DFS. Conclusions: There were 8 excess
deaths for every 15 excess recurrences in the TND arm. Elective neck
dissection in patients with early oral SCC results in 37% reduction
in mortality and should be considered the standard of care.
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
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Il trattamento di elezione nei tumori iniziali (T1-T2) del cavo orale è chirurgico. Questo studio voleva rispondere
al quesito se fosse meglio un approccio interventista “in elezione” (END) o uno più attendista “terapeutico”
(TND) nel considerare il coinvolgimento linfonodale laterocervicale, in assenza di dati certi di letteratura; infatti
non c’era fino ad oggi un’evidenza conclusiva su quale fosse l’atteggiamento più corretto da tenere: dissezione
d’emblée oppure “wait and watch” fino all’eventuale dissezione linfonodale in caso di recidiva, tenendo anche
conto che la chirurgia in elezione consente minori morbidità.
I risultati, come vedremo, molto chiari, sono riferiti all’interim analisi su 500 pazienti affetti da carcinoma
squamoso del cavo orale T1-T2, arruolati in uno studio prospettico fase III randomizzato che aveva come
endpoint principale la sopravvivenza globale (OS) e la disease-free survival (DFS) come secondario, e disegnato
per dimostrare il 10% di superiorità in OS per END verso TND, assumendo una sopravvivenza del 60% a 5
anni in quest’ultimo braccio.
Questo trial ha dimostrato che la OS a tre anni è risultata dell’80% e significativamente maggiore nel braccio
END rispetto a quella del braccio TND (67.5%; HR 0.64; CI 95% [0.45, 0.92]; p = 0.014). Anche i dati di
DFS sono risultati migliori nel primo gruppo (69.5% verso 45.9%; HR 0.45; CI 95% [0.34, 0.59]; p < 0.001).
In conclusione possiamo quindi dire che la dissezione linfonodale in elezione dovrebbe essere lo standard
chirurgico di cura per la malattia negli stadi precoci con stato linfonodale negativo agli esami strumentali, infatti
essa incrementa la sopravvivenza globale del 12.5% riducendo il rischio di morte del 36%, e migliora la
sopravvivenza libera da malattia del 23.6% riducendo il rischio di recidiva del 55%. Solo nell’analisi dei
sottogruppi emergerebbe un dato in controtendenza nei tumori con profondità uguale o inferiore ai 3 mm,
limitato comunque dalla scarsa numerosità del campione. Altro aspetto che lo studio dovrà chiarire, e di cui
sono in corso i risultati, è il ruolo del follow-up più efficace (ecografia, clinica..), mentre rimane il dubbio sul
ruolo che può avere come alternativa meno invasiva il linfonodo sentinella, non oggetto del presente lavoro.
Di seguito sono riportate le curve di sopravvivenza.
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Abstract #LBA4 - NCCTG N0574 (Alliance): A phase III randomized trial of whole brain radiation
therapy (WBRT) in addition to radiosurgery (SRS) in patients with 1 to 3 brain metastases.
Paul D. Brown, MD (The University of Texas MD Anderson Cancer Center)
Background: WBRT significantly improves tumor control in the
brain after SRS, yet the role of adjuvant WBRT remains undefined
due to concerns regarding neurocognitive risks. Methods: Patients
with 1-3 brain metastases, each < 3 cm by contrast MRI, were
randomized to SRS alone or SRS + WBRT and underwent cognitive
testing before and after treatment. The primary endpoint was
cognitive progression (CP) defined as decline > 1 SD from baseline
in any of the 6 cognitive tests at 3 months. Time to CP was estimated
using cumulative incidence adjusting for survival as a competing risk.
Results: 213 patients were enrolled with 2 ineligible and 3 cancels
prior to receiving treatment. Baseline characteristics were wellbalanced between study arms. The median age was 60 and lung
primary the most common (68%). CP at 3 months was more
frequent after WBRT + SRS vs. SRS alone (88.0% vs. 61.9%
respectively, p = 0.002). There was more deterioration in the WBRT
+ SRS arm in immediate recall (31% vs. 8%, p = 0.007), delayed
recall (51% vs. 20%, p = 0.002), and verbal fluency (19% vs. 2%, p
= 0.02). Intracranial tumor control at 6 and 12 months were 66.1%
and 50.5% with SRS alone vs. 88.3% and 84.9% with SRS+WBRT
(p < 0.001). Median OS was 10.7 for SRS alone vs. 7.5 months for
SRS+WBRT respectively (HR = 1.02, p = 0.93). Conclusions:
Decline in cognitive function, specifically immediate recall, memory
and verbal fluency, was more frequent with the addition of WBRT
to SRS. Adjuvant WBRT did not improve OS despite better brain
control. Initial treatment with SRS and close monitoring is
recommended to better preserve cognitive function in patients with
newly diagnosed brain metastases that are amenable to SRS.
L’ultimo abstract presentato alla Plenary Session dell’ASCO di quest’anno riguarda il trattamento radiante delle
metastasi encefaliche.
La radioterapia stereotassica (SRS) è un trattamento molto efficace sui singoli noduli ma purtroppo non è in
grado di prevenire lo sviluppo di nuove focalità nel parenchima cerebrale non irradiato; l’aggiunta invece della
radioterapia panencefalica (WBRT) migliora il controllo locale e riduce l’insorgenza di nuove metastasi nello
stesso organo.
Lo scopo dello studio in oggetto era dimostrare se, nei pazienti portatori di metastasi cerebrali (fino a tre
localizzazioni e inferiori a 3 cm), il decadimento cognitivo dopo radioterapia, rilevato da opportuni test prima
e dopo il trattamento, fosse più marcato con l’aggiunta della panencefalica. 212 pazienti, reclutati in 34 centri
su un periodo di 12 anni, e successivamente analizzati per sottogruppi, sono stati quindi randomizzati a ricevere
la sola RT stereotassica o il trattamento di combinazione.
Il declino cognitivo è un parametro molto importante perché legato alla qualità di vita residua, e correla con il
peggioramento delle funzioni vitali e quindi della sopravvivenza. Dallo studio è emerso che l’aggiunta della
WBRT riduce sì la progressione di malattia intracranica a 3 e a 6 mesi (6.3% e 11.6% verso 24.7% e 35.4%; p
< 0.0001), ma senza una differenza significativa nella sopravvivenza mediana (10.7 mesi contro 7.5 mesi; p =
0.93), e soprattutto con un peggioramento di tutti i parametri cognitivi – memoria a breve e lungo termine,
eloquio.
In sintesi dallo studio emerge che nei pazienti con un numero limitato di metastasi cerebrali, salvo casi particolari,
dovrebbe essere evitata da subito la radioterapia panencefalica perché non prolunga la sopravvivenza e causa un
declino cognitivo precoce, peggiorando la qualità di vita.
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
13
BEST OF ASCO 2015 – COLORECTAL
CANCER I
Francesca Bergamo, Francesca Battaglin, Sara Lonardi
Oncologia Medica 1 - Istituto Oncologico Veneto – IRCCS, Padova
Nessuna novità practice changing nell’immediato in quest’ultima edizione del Meeting Annuale
dell’ASCO per quanto riguarda la neoplasia colorettale, ma piuttosto ipotesi di lavoro nel campo
della terapia personalizzata e rifiniture di trattamenti già in uso.
Abstract 3508: Trastuzumab and lapatinib in HER2-amplified metastatic colorectal
cancer patients (mCRC): The HERACLES trial.
Salvatore Siena, Andrea Sartore-Bianchi, Sara Lonardi et Al.
Background: We conducted a phase II of trastuzumab (T)
and lapatinib (L) in HER2-amplified, KRAS exon 2 wildtype, mCRC pts resistant to standard therapies
(HERACLES Trial EudraCT 2012-002128-33).
Methods: Pts progressing after fluoropyrimidines,
oxaliplatin, irinotecan, bevacizumab, cetuximab or
panitumumab were eligible if tumor was HER2+ [IHC3+
or 2+ and FISH positive (HER2:CEP17 > 2) in > 50%
cells]. L was given po qd, T iv qw at standard doses.
Response was assessed q 8 wks. The primary end-point was
objective response (OR, RECIST v1.1). To consider the
study positive 6/27 ORs had to be observed (α = 0.05; β
= 85%; H1 = 30%). Serial liquid biopsies for HER2
ctDNA (ddPCR/NGS) and ectodomain (ECD) plasma
levels (ELISA) were collected until progression. Results: As
of Jan 31 2015, 913 pts were screened, 44 found HER2+
(4.8%), and 23 eligible and evaluable: 2F/21M, median
age 63 (r = 40-86), ECOG PS ≤ 1, median prior regimens
5 (r = 3-8). Primary endpoint was met with 8/23 ORs [7
PR, 1 PRunc (too early); ORR = 35% (95% CL 20-55)];
7/8 ORs were observed in HER2 IHC3+ pts. Responses
lasted: 8+, 12+, 14+, 24, 24.5+ 32, 54+ and 55+ weeks.
Median time to progression was 5.5 months (95% CL 3.79.8). Toxicity was limited to G2 diarrhea, fatigue, and rash
(1 G3). HER2+ ctDNA and ECD levels decreased in 2/3
ORs and 0/2 non responders and in 2/2 ORs 0/6 with SD
or PD, respectively. Exploratory correlative analyses of
HER2 gene dosage will be presented together with exome
analysis of index cases. Conclusions: HER2 is amplified
in 5% of WT exon 2 KRAS mCRC patients. The
HERACLES trial met its primary endpoint with 8/23
objective responses in pts heavily pretreated with standard
therapies, including EGFR-targeted agents, indicating that
the dual anti HER2 therapy is effective and deserves further
clinical assessment in earlier lines of treatment of HER2+
mCRC patients. HERACLES is funded by Associazione
Italiana Ricerca Cancro. Clinical trial information: 2012002128-33.
Commento: HERACLES è stato l’unico studio interamente italiano, nato dalla ricerca no profit,
presentato nella sessione orale dedicata ai tumori gastroenterici colo-rettali ed è un esempio
paradigmatico di medicina di precisione. E’ uno studio di fase II a singolo braccio che ha valutato
l’attività della combinazione di trastuzumab e lapatinib in pazienti con mCRC HER2+ (IHC 3+
o 2+ FISH+) e KRAS WT resistenti alle terapie standard (fluoropirimidine, oxaliplatino,
irinotecano, bevacizumab, cetuximab o panitumumab). L’endpoint primario era il tasso di risposte
obiettive (RO) valutate secondo criteri RECIST 1.1. Lo studio veniva considerato positivo al
raggiungimento di 6 risposte obiettive su 27. Sono stati screenati 913 pazienti, di cui 44 HER2+
(4.8%) e 24 eleggibili e valutabili per la risposta. Il trattamento prevedeva la somministrazione di
trastuzumab 4 mg/kg dose da carico quindi 2 mg/kg settimanali e.v. in associazione a lapatinib
1000 mg/die per os continuativamente, sino a progressione. L’endpoint primario è stato raggiunto
precocemente con l’ottenimento di 8/23 RO [7 PR, 1 PRunc (too early); ORR = 35% (95% CL
N° 8 LUGLIO 2015
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
14
20-55)] (Figura 1). Il tempo mediano alla progressione è stato di 5.5 mesi (95% CL 3.7-9.8) (Figura 2) con un
buon profilo di tossicità ed un’elevata compliance (il 96.4% dei pazienti ha ricevuto la dose pianificata).
Lo studio può sembrare ad un primo sguardo limitato dalla scarsa numerosità ma parte da un forte razionale
biologico pre-clinico e da un enorme sforzo di selezione dei pazienti con oltre 900 pazienti screenati. Tale sforzo
è stato premiato da un solido risultato dimostrando l’efficacia della combinazione in un setting di pazienti con
malattia avanzata e pesantemente pre-trattati (mediana delle linee pregresse pari a 5) con un alto tasso di risposte
(35% di RO ed 78% di controllo di malattia) ed una lunga durata delle stesse (da 3.7 a 9.8 mesi), tra le più
lunghe osservate in questa popolazione di pazienti e paragonabili alla mediana di progressione ottenuta dalle
doppiette di chemioterapia in seconda linea. L’entità e la durata delle risposte sono risultate maggiori nei pazienti
HER2 3+, a riprova della fondamentale importanza della selezione molecolare nella scelta terapeutica. Interessante
notare che nessuno dei pazienti aveva ottenuto una risposta RECIST da precedenti trattamenti con anti-EGFR
suggerendo un possibile spazio di utilizzo anche in pazienti anti-EGFR naive ed in linee più precoci. Alla luce dei
risultati di questo studio, la combinazione di trastuzumab e lapatinib si candida come nuova opzione terapeutica
nei pazienti con neoplasia del colon-retto metastatica HER2+ dopo progressione ai trattamenti standard che
rappresentano tuttavia solo una piccola percentuale di tutti i pazienti (circa il 5%).
Figura 1.
Figura 2.
Abstract LBA100: PD-1 blockade in tumors with mismatch repair deficiency.
Dung T. Le, Jennifer N. Uram, Hao Wang et Al.
Background: Somatic mutations have the potential to be recognized
as “non-self” immunogenic antigens. Tumors with genetic defects in
mismatch repair (MMR) harbor many more mutations than tumors
of the same type without such repair defects. We hypothesized that
tumors with mismatch repair defects would therefore be particularly
susceptible to immune checkpoint blockade. Methods: We
conducted a phase II study to evaluate the clinical activity of antiPD-1, pembrolizumab, in 41 patients with previously-treated,
progressive metastatic disease with and without MMR-deficiency.
Pembrolizumab was administered at 10 mg/kg intravenously every
14 days to three cohorts of patients: those with MMR-deficient
colorectal cancers (CRCs) (N = 11); those with MMR-proficient
CRCs (N = 21), and those with MMR-deficient cancers of types
other than colorectal (N = 9). The co-primary endpoints were
immune-related objective response rate (irORR) and immune-related
progression-free survival (irPFS) at 20 weeks. Results: The study met
its primary endpoints for both MMR-deficient cohorts. The irORR
and irPFS at 20 weeks for MMR-deficient CRC were 40% and 78%,
respectively, and for MMR-deficient other cancers were 71% and
67%, respectively. In MMR-proficient CRC, irORR and irPFS at 20
weeks were 0% and 11%, respectively. Response rates and Disease
Control Rates (CR+PR+SD) by RECIST criteria were 40% and 90%
in MMR-deficient CRC, 0% and 11% in MMR-proficient CRC,
and 71% and 71% in MMR-deficient other cancers, respectively.
Median PFS and overall survival (OS) were not reached in the MMRdeficient CRC group but was 2.2 and 5.0 months in the
MMR-proficient CRC cohort (HR for PFS = 0.103; 95% CI, 0.029
to 0.373; p < 0.001 and HR for OS = 0.216; 95% CI, 0.047 to
1.000; p = 0.05). Whole exome sequencing revealed an average of
1,782 somatic mutations per tumor in MMR-deficient compared to
73 in MMR-proficient tumors (p = 0.0015), and high total somatic
mutation loads were associated with PFS (p = 0.02).Conclusions:
MMR status predicts clinical benefit of immune checkpoint blockade
with pembrolizumab. Clinical trial information: NCT01876511
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
15
Commenti: l’immunoterapia è stata la protagonista di spicco di questo ASCO 2015. Lo studio con
pembrolizumab, inibitore di PD-1, nei tumori con mismatch repair deficiency era tra i più attesi. In questo
studio di fase II sono stati arruolati 50 pazienti con tumori del colon-retto metastatico, di cui 25 con instabilità
microsatellitare (MSI-H) e 25 stabili (MSS), e 21 pazienti affetti da neoplasie in altre sedi ma caratterizzate da
instabilità microsatellitare (colangiocarcinoma, stomaco, endometrio, etc.). Tutti i pazienti erano progrediti alle
terapie standard. Il trattamento prevedeva la somministrazione di pembrolizumab in monoterapia 10 mg/kg
ogni 2 settimane sino a progressione. Gli endpoint co-primari erano l’”immune-related objective response rate”
(irORR) e l’”immune-related progression-free survival” (irPFS) a 20 settimane. Tra i 50 pazienti con tumore
del colon-retto, il 62% dei pazienti valutabili con malattia MSI-H ha ottenuto una risposta obiettiva a
pembrolizumab, a fronte di nessuna risposta nei pazienti con MSS (Figura 3). In termini di controllo di malattia
(DCR), tale differenza era ancora più marcata con il 92% di DCR nel gruppo MSI-H ed il 16% in quello MSS.
Il tasso di risposte era paragonabile nei pazienti con altre neoplasie MSI-H e pari al 60% con un DCR del 70%.
Non vengono sottolineate dagli autori tossicità rilevanti.
I risultati dello studio sono molto interessanti nonostante la bassa numerosità della popolazione ed in particolare
dei pazienti valutabili per la risposta nel gruppo con neoplasia del colon-retto MSI-H (n=13). Oltre all’elevato
tasso di risposta, è da sottolineare la lunga durata di alcune di esse, anche superiori ai 12 mesi, senza che siano
state ancora raggiunte le mediane di PFS ed OS nel gruppo MSI-H (Figura 4). Il razionale dello studio si basa
sull’ipotesi che tumori instabili sono caratterizzati da un maggior carico mutazionale che si traduce in una sintesi
di proteine alterate e di neo-epitopi che possono essere riconosciuti dal sistema immunitario rendendo quindi
queste malattie potenzialmente più sensibili agli inibitori di PD-1 che riattivano e amplificano la risposta
immunitaria. Effettivamente, nello studio viene dimostrato che i tumori MSI-H erano caratterizzati da una
media di 1782 mutazioni rispetto ad una media di 73 nelle neoplasie MSS e che un più elevato numero di
mutazioni era correlato ad una miglior risposta a pembrolizumab e ad una maggior durata della stessa. Lo studio
è il primo ad identificare un marker genomico (mismatch repair deficiency) in grado di predire il beneficio
clinico dell’inibizione del checkpoint immunitario con anti-PD1, pembrolizumab, ed il primo a dimostrare
un’efficacia dell’immunoterapia nei tumori del colon-retto metastatici pur riguardando, anche in questo caso,
una limitata percentuale di pazienti (circa 5%). Tali risultati pongono le basi per studi prospettici che confermino
il risultato in una più ampia popolazione di pazienti ed anche in linee di trattamento più precoci. In tal senso,
potranno essere rilevanti i risultati di uno studio attualmente in corso con l’associazione di ipilimumab e
nivolumab nel medesimo setting.
Figura 3.
Figura 4.
N° 8 LUGLIO 2015
16
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
Abstract 3501: Radiofrequency ablation (RFA) combined with chemotherapy for unresectable
colorectal liver metastases (CRC LM): Long-term survival results of a randomized phase II study of
the EORTC-NCRI CCSG-ALM Intergroup 40004 (CLOCC).
Theo Ruers, Cornelis J. A. Punt, Frits van Coevorden et Al.
Background: This study evaluates the benefit of combining systemic
chemotherapy (CT) with local tumor destruction by RFA in patients
with unresectable CRC LM up to 9 lesions and without extrahepatic
disease. Overall survival (OS) at 30 months and progression free
survival (PFS) results were reported (Ann Oncol. 23(10): 2619-26,
2012). We now report on OS results, after a long term median followup of 9.7 years. Methods: Between 2002 and 2007, 119 pts were
randomized between CT alone (59) or RFA+CT (60). In both arms,
CT consisted of 6 months FOLFOX (oxaliplatin 85mg/m2 and
LV5FU2) plus, since October 2005, bevacizumab. In the CT arm
resection was allowed when unresectable disease was converted by CT
to resectable disease. Primary objective was a 30-months OS rate >
38% for the combined treatment group. OS and PFS were secondary
endpoints. Results: In the RFA+CT arm, 56 pts (93.3%) received
RFA which was combined with resection in 27 pts (45%), 1 pt had
all metastases resected (ineligible), 2 pts were not treated at all, in 1
pt no local treatment data were available. 51 patients (85%) in the
RFA+CT arm received CT compared to all 59 in the CT arm. 6 pts
in the CT arm eventually underwent hepatic resection. The primary
endpoint was met, 30-months OS rate was 61.7% (95% CI: 48.273.9) for combined treatment. However, 30-month OS for systemic
treatment only was 57.6% (95% CI: 44.1-70.4), higher than
anticipated. At a median follow-up of 9.7 years, 92 deaths were
reported, 53 in the CT arm and 39 in the RFA+CT arm. Causes of
death in the CT arm were progressive disease (49 pts), and unknown
for 4 pts, and in the RFA+CT arm, progressive disease (35 pts), other
causes (2 pts) and unknown (2 pts). There was a significant difference
in OS in favor of the RFA+CT arm (HR = 0.58, 95% CI: 0.38-0.88,
p = 0.01). Observed median OS was 45.6 months (95% CI: 30.3 –
67.8) in the RFA+CT arm vs. 40.5 months (95% CI: 27.5 - 47.7) in
the CT arm. Conclusions: This is the first study that prospectively
investigated the efficacy of RFA +CT in pts with unresectable CRC
LM. In this phase II trial, RFA+CT was associated with improved
long-term OS compared to CT alone. Clinical trial information:
NCT00043004
Commenti: tra i vari studi che hanno valutato l’associazione di un trattamento sistemico con un approccio
loco-regionale, quello forse più interessante è stato l’aggiornamento dei dati dello studio CLOCC presentato
nella sessione orale dei tumori del colon-retto. E’ il primo studio randomizzato che studia prospetticamente
l’efficacia dell’ablazione con radiofrequenza (RF) in associazione alla chemioterapia sistemica standard nei pazienti
con metastasi epatiche non resecabili da tumore del colon-retto. Tra il 2002 ed il 2007, sono stati arruolati 119
pazienti randomizzati a ricevere FOLFOX (+bevacizumab dal 2005) per 6 mesi associato o meno a RF. Il disegno
iniziale prevedeva una fase III con endpoint principale l’OS ma lo studio è stato in seguito convertito in una
fase II randomizzata, per difficoltà nell’accrual, con endpoint primario il raggiungimento di una sopravvivenza
globale a 30 mesi superiore al 38% nel braccio con RF. Da segnalare che lo studio è stato chiuso precocemente
(n=119/152). Ad una mediana di follow-up di 9.7 anni, lo studio ha dimostrato il raggiungimento dell’endpoint
primario con un tasso di OS del 61.7% (95% CI: 48.2-73.9) nel braccio di combinazione, e pari al 57.6%,
anche nel braccio della solo chemioterapia. E’ stato osservato un vantaggio a favore del braccio di associazione
con RF con una OS mediana di 45.6 mesi vs. 40.5 mesi nel braccio standard (HR = 0.58, 95% CI: 0.38-0.88,
p = 0.01) (Figura 5). Da sottolineare come vi siano stati 27 (47.4%) pazienti sottoposti a resezione epatica nel
braccio sperimentale a fronte di 7 pazienti (12%) nel braccio standard. Nonostante la limitazione dovuta alla
riduzione del sample size, questo è il primo studio di fase II che dimostra un beneficio in progressione libera da
malattia e sopravvivenza globale dall’associazione tra un trattamento sistemico ed un approccio loco-regionale
con RF+chirurgia in pazienti con metastasi epatiche da mCRC non resecabili. Tali risultati incoraggiano a
valutare i pazienti in un’ottica multimodale e multidisciplinare al fine di ottimizzare il trattamento e migliorare
l’outcome anche ove una chirurgia radicale non sia inizialmente possibile.
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
17
Figura 5.
Abstract 3582: A phase III multicenter trial comparing two different sequences of second/third line
therapy (irinotecan/cetuximab followed by FOLFOX-4 vs. FOLFOX-4 followed by
irinotecan/cetuximab in K-RAS wt metastatic colorectal cancer (mCC) patients refractory to
FOLFIRI/Bevacizumab.
Stefano Cascinu, Gerardo Rosati, Guglielmo Nasti et Al.
Background: Improvements in survival have been reported in mCC
with the addition of bevacizumab or cetuximab to chemotherapy.
However, their efficacy in different therapy lines and the optimal
sequence are still controversial. While bevacizumab seems to lose its
efficacy along the course of treatment lines, cetuximab is active even
in 2° and 3° line therapy. We designed a randomised, phase III study
to compare efficacy and safety of two different sequences of
Cetuximab or FOLFOX to optimize the treatment of mCC pts
refractory to FOLFIRI/bevacizumab. Methods: Pts were randomised
in a 1:1 ratio to receive as 2° or 3° line cetuximab/irinotecan followed
by FOLFOX-4 (Arm A) or FOLFOX-4 followed by
cetuximab/irinotecan (Arm B). Primary end point was progression
free survival (PFS); secondary end points were overall survival and
toxicity. Results: 109 mCC pts were enrolled and 108 were evaluable
for analysis. 63 patients were males and 45 females, with a median
age of 61 years. Efficacy results are reported in the table. Treatments
were well tolerated with a low number of serious adverse reactions in
both arms (8 and 4, respectively), even if grade 3-4 toxicity was overall
higher in cetuximab treatment. Conclusions: While the primary end
point was not met (PFS was not statistically different), FOLFOX
seems to be more effective than cetuximab (overall survival: 18.6
months vs 12.4 months) as 2° line treatment in patients receiving
bevacizumab/FOLFIRI. This seems to confirm preclinical and clinical
(FIRE-3) data suggesting that a prior anti-VEGF therapy may
determine a lower sensitivity to a subsequent anti-EGFR treatment.
Clinical trial information: NCT01030042
Commenti: il COMETS, un altro studio tutto italiano nato dalla ricerca spontanea e sotto l’egida del GISCAD,
è stato presentato nella sessione poster. L’obiettivo di questo studio di fase III era chiarire quale fosse la migliore
sequenza terapeutica in seconda e terza linea dopo progressione ad una prima linea con FOLFIRI e bevacizumab.
I pazienti, KRAS WT, venivano randomizzati a ricevere trattamento con cetuximab+irinotecan seguito da
FOLFOX4 (braccio A) o FOLFOX4 seguito da cetuximab+irinotecan (braccio B). L’endpoint primario era la
sopravvivenza libera da progressione (PFS); endpoint secondari sopravvivenza globale e tossicità. Sono stati
arruolati 109 pazienti di cui 108 valutabili. Lo studio non ha dimostrato una differenza statisticamente
significativa in termini di PFS ed OS (Figura 6) tra le due sequenze di trattamento pur con un trend in OS in
favore del braccio B (12.4 vs 18.6 mesi, p=0.49) che prevede terapia secondo schema FOLFOX in seconda
linea. Unitamente ai dati dello studio FIRE-3 e di altre evidenze pre-cliniche, lo studio potrebbe suggerire che
N° 8 LUGLIO 2015
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
18
un trattamento con anti-VEGF in prima linea possa influenzare le linee successive, determinando una più bassa
sensibilità al trattamento sequenziale con anti-EGFR. Tuttavia, l’assenza di una significatività statistica non
consente di trarre conclusioni definitive in tal senso. Nella pratica clinica, alla luce di tali risultati e non essendovi
forti evidenze dalla letteratura di un vantaggio in OS dal trattamento con anti-EGFR (in combinazione con
chemioterapia) nella seconda linea, tali farmaci rimangono probabilmente da privilegiare nella prima o terza
linea di trattamento.
a.
b.
Figura 6. a) PFS e b) OS
Abstract 3510: FOLFOXIRI plus bevacizumab versus FOLFIRI plus bevacizumab as initial
treatment for metastatic colorectal cancer (TRIBE study): Updated survival results and final
molecular subgroups analyses.
Fotios Loupakis, Chiara Cremolini, Carlotta Antoniotti, et Al.
Background: The phase III TRIBE study met its primary endpoint
by demonstrating that first-line FOLFOXIRI plus bev significantly
prolongs PFS, as compared to FOLFIRI plus bev (Loupakis et al, N
Eng J Med 2014). At a median follow-up of 32.2 months a
preliminary OS analysis indicated a borderline OS improvement with
FOLFOXIRI plus bev (HR = 0.79, p = 0.054) with a consistent effect
across RAS (KRAS and NRAS codons 12, 13, 61) and BRAFV600E
molecular subgroups. Methods: 508 pts were randomized to either
FOLFIRI plus bev (Arm A, N = 256) or FOLFOXIRI plus bev (Arm
B, N = 252). On available samples from RAS and BRAF wild-type
(wt) pts (N = 129), also KRAS and NRAS codons 59, 117 and 146
were analysed by means of Sequenom MassArray, identifying a new
“all wt” population (N = 93). Results: At a median follow-up of 48.1
months, in the ITT population, updated median OS for Arm B vs
Arm A was 29.8 vs 25.8 months (HR = 0.80, 95%CI, 0.65-0.98, p
= 0.030). Estimated 5-years OS rate were: Arm B, 24.9% vs Arm A,
12.4%. Molecular results were informative for 357 pts (70.3%). All
wt patients had longer OS as compared to RAS mutant (HR = 0.70,
p = 0.006) and to BRAF mutant (HR = 0.24, p < 0.001). The benefit
from FOLFOXIRI plus bev was consistent across all molecular
subgroups (Table 1). All wt pts treated with FOLFOXIRI plus bev
reported a median OS of 41.7 months as compared to 33.5 months
in the FOLFIRI plus bev group (HR = 0.75, 95%CI, 0.45-1.24).
Conclusions: FOLFOXIRI plus bev significantly improves survival
of metastatic colorectal cancer pts and the OS advantage increases
over time. Benefit from FOLFOXIRI plus bev is independent of RAS
and BRAF mutational status. All wt pts have a better outcome
independently from the treatment arm. Notable results with
FOLFOXIRI plus bev are achieved in all wt pts. Clinical trial
information: NCT00719797
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
19
Commenti: sono stati presentati quest’anno i dati di aggiornamento della sopravvivenza e dell’analisi di
sottogruppo in base al profilo molecolare dell’ormai ben noto studio TRIBE che ha dimostrato il vantaggio in
PFS, endpoint primario dello studio, determinato dalla tripletta con FOLFOXIRI/bevacizumab rispetto alla
doppietta con FOLFIRI/bevacizumab (Loupakis F. et al, NEJM 2014). Ad un follow up mediano di circa 48
mesi, si conferma un vantaggio in PFS in favore della tripletta in associazione a bevacizumab di 29.8 mesi vs.
25.8 mesi (HR=0.80, 95% IC 0.65-0.98, p=0.003). Tale vantaggio si conferma indipendentemente dallo stato
mutazionale, come dimostrato dai test d’interazione (Figura 7). La determinazione molecolare è stata possibile
su 391 pazienti dei 506 arruolati (77.3%) che sono stati suddivisi nei sottogruppi BRAF mutati (n=28), RAS
mutati (n=236) e all-WT (n=93). Colpisce particolarmente la mediana di sopravvivenza raggiunta dai pazienti
all-WT di 41.7 mesi, la più alta mai raggiunta in questo setting. Il trattamento con tripletta e bevacizumab si
conferma quindi una scelta terapeutica appropriata per pazienti con mCRC non resecabile, in buone condizioni
generali, nei quali sia indicata una strategia di intensità massimale indipendentemente dal profilo molecolare
della malattia. Questo è particolarmente vero nei pazienti con neoplasia BRAF mutata, a prognosi estremamente
sfavorevole, nei quali viene raggiunta una ragguardevole OS mediana di 19.0 mesi pur tenendo presente che
spesso, nella pratica clinica, questi pazienti si presentano alla diagnosi con PS scaduto e non sono quindi
candidabili ad una terapia intensiva. A chiarire quale sia la strategia migliore tra un trattamento intensivo upfront,
con tripletta/beva, verso uno switch con doppiette di chemioterapia/beva sarà lo studio TRIBE-2 attualmente
in corso.
Figura 7.
N° 8 LUGLIO 2015
Qual è la miglior cura?
La vita pone domande.
Noi cerchiamo le risposte.
L’innovazione è la nostra risposta
alle continue sfide della salute.
Lavoriamo ogni giorno per salvare
le vite dei pazienti e per aiutare
milioni di persone in tutto il mondo.
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
21
BEST OF ASCO 2015 – COLORECTAL
CANCER II
Giuseppe Aprile, Valentina Fanotto, Silvio Ken Garattini, Nicoletta Pella
Dipartimento di Oncologia, Azienda Ospedaliera Universitaria di Udine
LBA 100 - N Engl J Med 2015 May 30, Epub ahead of print - PD-1 blockade in
tumors with mismatch repair deficiency.
Dung T. Le, Jennifer N. Uram, Hao Wang et Al.
Background: Somatic mutations have the potential to be
recognized as “non-self” immunogenic antigens. Tumors
with genetic defects in mismatch repair (MMR) harbor
many more mutations than tumors of the same type
without such repair defects. We hypothesized that tumors
with mismatch repair defects would therefore be
particularly susceptible to immune checkpoint blockade.
Methods: We conducted a phase II study to evaluate the
clinical activity of anti-PD-1, pembrolizumab, in 41
patients with previously-treated, progressive metastatic
disease with and without MMR-deficiency.
Pembrolizumab was administered at 10 mg/kg
intravenously every 14 days to three cohorts of patients:
those with MMR-deficient colorectal cancers (CRCs) (N
= 11); those with MMR-proficient CRCs (N = 21), and
those with MMR-deficient cancers of types other than
colorectal (N = 9). The co-primary endpoints were
immune-related objective response rate (irORR) and
immune-related progression-free survival (irPFS) at 20
weeks. Results: The study met its primary endpoints for
both MMR-deficient cohorts. The irORR and irPFS at 20
weeks for MMR-deficient CRC were 40% and 78%,
respectively, and for MMR-deficient other cancers were
71% and 67%, respectively. In MMR-proficient CRC,
irORR and irPFS at 20 weeks were 0% and 11%,
respectively. Response rates and Disease Control Rates
(CR+PR+SD) by RECIST criteria were 40% and 90% in
MMR-deficient CRC, 0% and 11% in MMR-proficient
CRC, and 71% and 71% in MMR-deficient other cancers,
respectively. Median PFS and overall survival (OS) were
not reached in the MMR-deficient CRC group but was
2.2 and 5.0 months in the MMR-proficient CRC cohort
(HR for PFS = 0.103; 95% CI, 0.029 to 0.373; p < 0.001
and HR for OS = 0.216; 95% CI, 0.047 to 1.000; p =
0.05). Whole exome sequencing revealed an average of
1,782 somatic mutations per tumor in MMR-deficient
compared to 73 in MMR-proficient tumors (p = 0.0015),
and high total somatic mutation loads were associated with
PFS (p = 0.02). Conclusions: MMR status predicts clinical
benefit of immune checkpoint blockade with
pembrolizumab.
Clinical
trial
information:
NCT01876511
Lo studio si sviluppa da un’ipotesi semplice: tumori geneticamente instabili possono accumulare
centinaia di mutazioni geniche con produzione di proteine alterate facilmente riconoscibili come
“non-self” dal sistema immunitario. Questi tumori, quindi, potrebbero essere maggiormente
sensibili all’azione degli inibitori di PD-1, che riattivano e amplificano la risposta immune, agenti
con dimostrata attività in altre neoplasie (melanoma, tumore del polmone non a piccole cellule,
carcinomi squamosi del distretto cervico-facciale, linfoma di Hodgkin, tumore della mammella
triplo negativo e adenocarcinoma gastrico). L’obiettivo dello studio è verificare se tumori
geneticamente instabili per un difetto nel meccanismo di riparo del DNA (mismatch repair
deficient, dMMR) siano maggiormente suscettibili alla azione del pembrolizumab, anticorpo
monoclonale diretto contro PD-1. Questo profilo genico è presente in circa il 15% delle neoplasie
del colon, soprattutto in donne anziane con tumore mucinoso, a grading elevato e localizzato a
destra, ed è due volte più frequente negli stadi II rispetto agli stadi III. Gli autori presentano i
risultati di uno studio di fase II in cui si sono selezionate tre coorti di pazienti (la prima
comprendente 13 pazienti con carcinoma del colon-retto con dMMR, la seconda con 9 pazienti
N° 8 LUGLIO 2015
22
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
con altre neoplasie dMMR e l’ultima con 25 pazienti con carcinoma colorettale avanzato pMMR) sottoposte a
trattamento con pembrolizumab somministrato come agente singolo alla dose di 10 mg/kg ogni 2 settimane
dopo aver fallito almeno due linee di chemioterapia. I due co-primary endpoints erano il tasso di risposta oggettiva
immuno-correlato (irORR) e la progressione libera da malattia immuno-correlata (irPFS) valutati a 20 settimane.
I principali risultati dello studio, limitati ai pazienti con neoplasia colorettale, sono presentati in Tabella.
dMMR CRC
follow-up mediano 36 settimane
(range 5-55)
pMMR CRC
follow-up mediano 21 settimane
(range 1-49)
Tasso di risposte
40%
0%
Controllo di malattia
90%
0%
RR immuno-relata
40%
0%
Tasso di progressione immuno-relata
a 20 settimane
78%
11%
PFS mediana (mesi)
Non raggiunta
2.3
OS mediana (mesi)
Non raggiunta
5.5
Da notare che un alto tasso di mutazioni somatiche si è dimostrato correlare con una più favorevole PFS mediana
(p=0.02). Pur nel ristretto campione in studio, pembrolizumab ha dimostrato come in una coorte molto
selezionata di pazienti con un difetto dei meccanismi di riparazione del DNA sia possibile ottenere un importante
shrinkage tumorale ed un prolungato controllo di malattia, in alcuni pazienti prolungato oltre 12 mesi. Tale
risultato acquisisce ulteriore valore se si considera che i pazienti inclusi in questo studio erano già stati pretrattati
con almeno due linee di terapia e considerando l’ottimo profilo di tolleranza del trattamento (anemia, linfopenia
e ipoalbuminemia sono stati gli eventi avversi di grado 3 più frequentemente riportati). Questo studio rafforza
l’affermarsi di terapie immunomodulanti nell’ambito di popolazioni selezionate di pazienti con tumori che hanno
sviluppato la capacità di evadere i meccanismi di citotossicità convenzionali ma che tuttavia sviluppano nuovi
epitopi che stimolano il sistema immunitario alla risposta. I dati sono importanti perché aprono la strada alla
concreta possibilità di controllare a lungo termine malattie pesantemente pre-trattate e poco responsive alla
chemioterapia convenzionale e suscitano ulteriore interesse nell’individuare sottopopolazioni di tumori con difetti
di riparazione del danno genetico che possano essere altamente suscettibili alle terapie immunomodulanti. Gli
autori suggeriscono esista una correlazione tra il numero di mutazioni e il beneficio a pembrolizumab. Nel futuro,
quindi, sarà senza dubbio interessante verificare se vi sia una soglia nel numero di mutazioni acquisite necessarie
a predire attività ed efficacia degli immunomodulanti (ne servono 100 nel melanoma per predire la risposta a
ipilimumab e 78 nei tumori polmonari per predire attività del nivolumab). Inoltre, sarebbe utile verificare se sia
possibile stabilire una determinata profondità di risposta che correli con outcome di sopravvivenza a lungo termine
e definire quali siano le differenze tra dMMR nei tumori colorettali rispetto allo stesso difetto genetico quando
presente in altre neoplasie. L’importanza dello studio è rimarcata dall’immediata pubblicazione su una prestigiosa
rivista medica internazionale.
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
23
Abstract 3502 - SIRFLOX: Randomized phase III trial comparing first-line mFOLFOX6 ±
bevacizumab (bev) versus mFOLFOX6 + selective internal radiation therapy (SIRT) ± bev in patients
(pts) with metastatic colorectal cancer (mCRC).
Peter Gibbs, Volker Heinemann, Navesh K. Sharma et Al.
Background: The SIRFLOX study was designed to assess the efficacy
and safety of combining FOLFOX chemotherapy (± bev) with SIRT
using yttrium-90 (Y-90) resin microspheres as first-line treatment of
pts with liver metastases from mCRC. Methods: SIRFLOX was an
international, multi-center, open-label, RCT in chemotherapy-naïve
pts with non-resectable, liver only or liver dominant (liver plus lung
and/or lymph node metastases) mCRC. Arm A: mFOLFOX6 ± bev
was compared to arm B: mFOLFOX6 + SIRT (SIR-Spheres; Sirtex)
administered once with cycle 1 ± bev until disease progression. The
primary endpoint was progression free survival (PFS) using RECIST
v1.0. Stratification variables included presence of extra hepatic disease
(EHD; liver only v liver dominant), degree of liver involvement ( ≤
25% v > 25%), and treatment with bev (at clinician discretion).
Results: From Oct 2006 to Apr 2013,530 pts were randomised (arm
A, n = 263; arm B, n = 267), 212 (40%) had EHD. Median followup was 36.1 months. The median overall PFS was 10.2 v 10.7 months
in arms A v B respectively (hazard ratio [HR]: 0.93; 95% CI 0.77–
1.12; p=0.428) by Kaplan Meier analysis. The median PFS in the
liver was 12.6 v 20.5 months in arm A v B (HR: 0.69; 95% CI 0.55–
0.90; p = 0.002) by competing risk analysis. Overall response rate
(PR + CR) was 68.0% v 76.4% in arm A v B, respectively (p = 0.113).
Hepatic response rate was 68.8% v 78.7% in arm A v B (p = 0.042),
including CR rate 1.9% v 6.0% (p = 0.02). The liver resection rate
was 13.7% v 14.2% in arm A v B (p = 0.857). Adverse events ≥ grade
3 were noted in 73.3% v 85.4% of pts in arm A v B. Most common
toxicities were hematologic; 32.9% v 51.2% and gastrointestinal;
21.2% v 32.9%, including gastric ulcer 0.0% v2.4%. Conclusion:
In first-line treatment of pts with non-resectable CRC liver metastases,
the addition of SIRT to standard chemotherapy failed to improve
overall PFS. However, median liver PFS was significantly extended.
The addition of SIRT was associated with acceptable toxicity. Overall
survival analyses, combining data from SIRFLOX and two other
ongoing studies in this disease setting, are awaited. Clinical trial
information: NCT00724503
Avere una nuova arma a disposizione per le metastasi epatiche da CRC è senza dubbio positivo per almeno tre
ragioni: il decorso della malattia si è progressivamente prolungato negli ultimi 10 anni, in un terzo dei casi di
malattia metastatica il fegato rimane l’unica o la prevalente sede di malattia, le metastasi epatiche sono
determinanti nel condizionare la prognosi della malattia. Vi era dunque una comprensibile attesa per i risultati
dello studio randomizzato di fase III SIRFLOX, che si propone di valutare in prima linea l’efficacia e la sicurezza
dell’utilizzo della radioterapia interna selettiva (SIRT) con Yttrio-90 somministrato per via endovascolare
intraepatica in combinazione con la chemioterapia sistemica vs la sola chemioterapia in 530 pazienti con CRC
avanzato per la presenza di metastasi epatiche non suscettibili di chirurgia di salvataggio. I due bracci di
trattamento prevedevano una terapia con FOLFOX 6 modificato +/- bevacizumab (braccio A, 263 pazienti)
ovvero lo stesso trattamento combinato con SIRT (braccio B, 267 pazienti). Completato l’arruolamento nello
studio nel marzo 2013, il tempo mediano di follow-up è stato di 36.1 mesi. Obiettivo primario dello studio era
la PFS; tra gli obiettivi secondari la PFS limitata al fegato, la sopravvivenza overall, il tasso di risposte, il tasso di
resezioni, la tossicità e la qualità della vita. Non è stato raggiunto l’obiettivo primario dello studio, con una PFS
mediana simile nei due bracci di trattamento (10.2 mesi vs 10.7 mesi, HR 0.93, p=0.428), quindi lo studio
deve essere considerato formalmente negativo. Sono stati similmente deludenti anche il tasso di conversione a
resezione (13.7% per il braccio con sola chemioterapia e 14.2% per il braccio con chemioterapia e SIRT) e il
tasso di risposte. Quando invece l’analisi è stata condotta con un approccio orientato a studiare la risposta
esclusivamente in ambito epatico (utilizzando la Competing Risk Analysis) si sono evidenziati risultati più
interessanti, con un vantaggio per i pazienti arruolati al braccio sperimentale, dove la liver-PFS mediana è risultata
significativamente prolungata (20.5 mesi vs 12.6 mesi, HR 0.69, p= 0.002) ed il tasso di risposta delle lesioni
epatiche (definito hepatic RR) significatamente superiore (78.7% vs 68.8%, p=0.042). Noto come la rimozione
chirurgica radicale delle metastasi epatiche possa impattare favorevolmente sulla sopravvivenza e aumentare le
opportunità di cura (REF), lo studio si proponeva di valutare un’alternativa terapeutica da combinare alla terapia
N° 8 LUGLIO 2015
24
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
sistemica di prima linea per pazienti non candidabili a resezione chirurgica. Lo studio SIRFLOX presenta
conclusioni ambivalenti: se da un lato lo studio è negativo nel suo endpoint primario, da un altro punto di vista
permette di considerare questa strategia in pazienti molto selezionati con metastasi esclusivamente epatiche nei
quali si voglia prolungare il controllo della malattia. Questa considerazione apre alla possibilità di disegnare studi
mirati a rispondere a questo quesito, cosa non possibile in questo studio nel quale il 40% dei pazienti presentava
metastasi prevalentemente ma non esclusivamente limitate al fegato. In attesa dei dati che valuteranno l’impatto
sulla sopravvivenza della SIRT in una pool analisi di tre studi randomizzati (SIRFLOX, FOXFIRE e FOXFIRE
GLOBAL) e considerato l’impatto sui costi, le possibili tossicità della procedura e le complicazioni tecniche, la
somministrazione di Yttrio-90 deve essere valutata con attenzione solo in pazienti altamente selezionati afferenti
ad un centro con alta esperienza.
Abstract 6504 - Cost of chemotherapy for metastatic colorectal cancer with either bevacizumab or
cetuximab: Economic analysis of CALGB/SWOG 80405
Deborah Schrag, Amylou C. Dueck, Michelle Joy Naughtonù et Al.
Background: CALGB/SWOG 80405, a phase III trial, found that
adding either bevacizumab or cetuximab to standard first-line
chemotherapy for metastatic colorectal cancer (mCRC) resulted in
similar survival. We compared the economics of treatment on each
arm. Methods: Patients were assigned to standard chemotherapy (Cx)
and randomized to either bevacizumab (B, N = 559) or cetuximab
(C, N = 578).Quality of life was assessed at baseline and at 8 week
intervals using the EQ5D on a representative subgroup of participants
(N = 56 for B and N = 55 for C) to estimate utilities. Because survival
and quality of life were similar in each arm, cost-minimization rather
than cost-effectiveness analysis was performed. Chemotherapy
utilization was tracked from randomization to progression and drug
costs were estimated using 4thquarter 2014 average sales price from
the US Center for Medicare and Medicaid Services. Resource
utilization of acute care including hospitalizations, emergency room
visits and ICU care were tracked while patients were on study and
costs assigned based on CMS estimates for mCRC patients. End of
life and downstream costs were assumed to be comparable per survival
month. Out of pocket costs were not tracked. All cost estimates are
in 2014 USD. Results: Acute care costs were similar but drug costs
were higher in the cetuximab arm (Table). Results were robust to
sensitivity analyses and did not change whether the chemotherapy
backbone included oxaliplatin or irinotecan. Conclusions: For firstline chemotherapy treatment of patients with kras wild type mCRC,
based on US 2014 drug costs, bevacizumab is preferable to cetuximab
from a health economic standpoint. Clinical trial information:
NCT00265850
Lo studio CALGB/SWOG 80405 ha dimostrato la sostanziale equiefficacia in sopravvivenza (29.9 mesi vs 29
mesi) e simile outcome in qualità di vita di un regime chemioterapico standard, FOLFOX o FOLFIRI a scelta
dello sperimentatore, combinato in prima linea a cetuximab o bevacizumab in 1.140 pazienti con CRC avanzato.
Noti i risultati preliminari dello studio, gli autori nordamericani presentano uno studio farmacoeconomico,
condotto con una analisi di minimizzazione dei costi e non con una più completa analisi di costo-efficacia.
Nell’analisi sono stati presi in considerazione i costi diretti (relati al trattamento stesso) e indiretti (legati alla
gestione della tossicità del trattamento e alla gestione degli accessi) derivanti dai due trattamenti. L’utilizzo della
chemioterapia è stato valutato dal momento della randomizzazione sino alla progressione di malattia e i costi
medi dei trattamenti, relativi al solo farmaco biologico, sono stati stimati usando i costi medi nordamericani di
fine 2014 (US Center for Medicare e Medicaid Services) e avendo come moneta di riferimento il dollaro americano
(Tabella).
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
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SITO WEB
http://www.giscad.org
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
Chemioterapia e bevacizumab
Chemioterapia e cetuximab
Numero di pazienti
559
578
Costi diretti (USD)
37.124
75.845
Costi indiretti (USD)
28.951
29.494
Totale (USD)
66.076
105.339
25
In termini puramente analitici il trattamento in prima linea con chemioterapia e bevacizumab sarebbe più
economicamente vantaggioso e tale vantaggio sembrava essere indipendente dal trattamento chemioterapico
abbinato. Seppure lo studio sia interessante nel fornire un nuovo criterio nell’ambito della scelta del biologico
da preferire per il trattamento di prima linea in pazienti RAS wild-type e sollevi la questione dell’importanza
della sostenibilità e dell’accesso universale alle migliori cure disponibili, le analisi non possono essere trasferite
tout-court al contesto italiano. Va inoltre ricordato che lo stesso sistema americano ha esposto a grandi critiche
l’uso dell’antiangiogenico in prima linea in combinazione a FOLFOX, che raggiungerebbe un ICER
(incremental cost-effective ratio) superiore ai 500.000 USD per QUALY (Goldstein DA, et al. J Clin Oncol
2015). Un successivo punto debole di questo studio è rappresentato dal fatto che esso non considera le spese
“out of pocket” sostenute dai pazienti.
Abstract 3508 - Trastuzumab and lapatinib in HER2-amplified metastatic colorectal cancer patients
(mCRC): The HERACLES trial.
Salvatore Siena, Andrea Sartore-Bianchi, Sara Lonardi et Al.
Background: We conducted a phase II of trastuzumab (T) and
lapatinib (L) in HER2-amplified, KRAS exon 2 wild-type, mCRC
pts resistant to standard therapies (HERACLES Trial EudraCT 2012002128-33). Methods: Pts progressing after fluoropyrimidines,
oxaliplatin, irinotecan, bevacizumab, cetuximab or panitumumab
were eligible if tumor was HER2+ [IHC3+ or 2+ and FISH positive
(HER2:CEP17 > 2) in > 50% cells]. L was given po qd, T iv qw at
standard doses. Response was assessed q 8 wks. The primary endpoint was objective response (OR, RECIST v1.1). To consider the
study positive 6/27 ORs had to be observed (α = 0.05; β = 85%; H1
= 30%). Serial liquid biopsies for HER2 ctDNA (ddPCR/NGS) and
ectodomain (ECD) plasma levels (ELISA) were collected until
progression. Results: As of Jan 31 2015, 913 pts were screened, 44
found HER2+ (4.8%), and 23 eligible and evaluable: 2F/21M,
median age 63 (r = 40-86), ECOG PS ≤ 1, median prior regimens 5
(r = 3-8). Primary endpoint was met with 8/23 ORs [7 PR, 1 PRunc
(too early); ORR = 35% (95% CL 20-55)]; 7/8 ORs were observed
in HER2 IHC3+ pts. Responses lasted: 8+, 12+, 14+, 24, 24.5+ 32,
54+ and 55+ weeks. Median time to progression was 5.5 months
(95% CL 3.7-9.8). Toxicity was limited to G2 diarrhea, fatigue, and
rash (1 G3). HER2+ ctDNA and ECD levels decreased in 2/3 ORs
and 0/2 non responders and in 2/2 ORs 0/6 with SD or PD,
respectively. Exploratory correlative analyses of HER2 gene dosage
will be presented together with exome analysis of index cases.
Conclusions: HER2 is amplified in 5% of WT exon 2 KRAS mCRC
patients. The HERACLES trial met its primary endpoint with 8/23
objective responses in pts heavily pretreated with standard therapies,
including EGFR-targeted agents, indicating that the dual anti HER2
therapy is effective and deserves further clinical assessment in earlier
lines of treatment of HER2+ mCRC patients. HERACLES is funded
by Associazione Italiana Ricerca Cancro. Clinical trial information:
2012-002128-3
Lo studio italiano HERACLES rappresenta un rilevante passo avanti nella precision medicine applicata alla
patologia colorettale avanzata con solide basi di preclinica (Bertotti A, et al. Cancer Discovery 2011). Questo
studio di fase II ha esplorato l’efficacia della combinazione di trastuzumab e lapatinib nei pazienti con malattia
KRAS esone 2 wild type ed amplificazione di HER2, resistenti alle terapie standard. Per lo studio erano eleggibili
pazienti con diagnosi istologica di carcinoma colorettale (CRC), in stadio metastatico di malattia non suscettibile
N° 8 LUGLIO 2015
26
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
di chirurgia R0, in progressione dopo aver ricevuto fluoropirimidine, oxaliplatino, irinotecan, cetuximab o
panitumumab (bevacizumab, aflibercept o regorafenib erano permessi ma non obbligatori). Inoltre, i pazienti
dovevano presentare un ECOG performance status ottimale (0-1), una normale funzionalità ematologica,
epatica, renale e cardiovascolare e non dovevano essere sintomatici per metastasi al sistema nervoso centrale.
Criterio fondamentale per la loro eleggibilità era la positività per HER2 del tumore, definita come score 3+ in
immunoistochimica oppure come score 2+ in immunoistochimica associata a positività all’ibridizzazione
fluorescente in situ in oltre il 50% delle cellule. Le specifiche dello studio HERACLES diagnostic sono in press
su Modern Pathology. Lo schema terapeutico prevedeva la somministrazione diaria di lapatinib (1000 mg/die
per os) combinata a quella settimanale di trastuzumab per via endovenosa (4 mg/kg dose da carico, seguita da
dosi di 2 mg/kg/sett). La risposta alla terapia è stata valutata ogni 8 settimane. L’endpoint primario dello studio
era il tasso di risposte obiettive secondo i criteri RECIST versione 1.1.
La parte traslazionale dello studio consisteva nell’esecuzione di biopsie liquide seriate per HER2 ctDNA nel
plasma (ddPCR) e per HER2 ectodomain (ECD) nel siero (ELISA), fino a progressione di malattia.
Dei 913 pazienti con CRC wild-type per KRAS esone 2, 44 (4.8%) presentavano positività per HER2; di questi,
23 sono risultati eleggibili e valutabili per la risposta (21 maschi e 2 femmine, con età mediana di 63 anni). Il
numero mediano di linee ricevute prima dell’ingresso in studio era 5.
Lo studio ha centrato il suo endpoint primario, ottenendo un tasso di risposte secondo RECIST del 35% (8 su
23 pazienti trattati, in un caso si registrava una risposta completa). Da notare che 7 delle 8 risposte sono state
osservate in pazienti che presentavano score 3+ all’immunoistochimica. La durata delle risposte aveva un ampio
range, da un minimo di 8 settimane a un massimo di 55 settimane: il 30% dei pazienti manteneva un
soddisfacente controllo di malattia dopo 4 mesi di trattamento. Il tempo mediano alla progressione è stato di
5.5 mesi. La terapia è stata ben tollerata, con un’ottima compliance: la tossicità si è limitata a diarrea G2, un
solo paziente ha sperimentato fatigue G3 e un solo paziente ha sviluppato rash G3.
In sintesi, lo studio HERACLES dimostra come una duplice terapia anti-HER2 possa rappresentare una nuova
e preziosa possibilità per i pazienti pretrattati con CRC avanzato HER2-positivo. Si attendono con molto
interesse i dati della seconda coorte dello studio nella quale pazienti con carcinoma colorettale avanzato con un
simile pattern molecolare hanno ricevuto la combinazione di pertuzumab e trastuzumab. In linea con recenti
report di letteratura (Ingold Heppner B, et al. Br J Cancer 2014), il tasso di HER2-positività nel CRC si conferma
basso (<5%). La terapia anti-HER2 nel CRC avanzato è sicuramente un esempio di trattamento “supertargeting”
e sottolinea come l’ulteriore personalizzazione dei trattamenti basata su specifiche mutazioni e sull’espressione
di determinati ligandi rappresenterà probabilmente il passo successivo per una terapia sistemica di successo. I
risultati dello studio pongono le basi per testare la combinazione in linea più precoce.
Abstract 3510 - FOLFOXIRI plus bevacizumab versus FOLFIRI plus bevacizumab as initial
treatment for metastatic colorectal cancer (TRIBE study): Updated survival results and final
molecular subgroups analyses.
Fotios Loupakis, Chiara Cremolini, Carlotta Antoniotti et Al.
Background: The phase III TRIBE study met its primary endpoint
by demonstrating that first-line FOLFOXIRI plus bev significantly
prolongs PFS, as compared to FOLFIRI plus bev (Loupakis et al, N
Eng J Med 2014). At a median follow-up of 32.2 months a
preliminary OS analysis indicated a borderline OS improvement with
FOLFOXIRI plus bev (HR = 0.79, p = 0.054) with a consistent effect
across RAS (KRAS and NRAS codons 12, 13, 61) and BRAFV600E
molecular subgroups. Methods: 508 pts were randomized to either
FOLFIRI plus bev (Arm A, N = 256) or FOLFOXIRI plus bev (Arm
B, N = 252). On available samples from RAS and BRAF wild-type
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
(wt) pts (N = 129), also KRAS and NRAS codons 59, 117 and 146
were analysed by means of Sequenom MassArray, identifying a new
“all wt” population (N = 93). Results: At a median follow-up of 48.1
months, in the ITT population, updated median OS for Arm B vs
Arm A was 29.8 vs 25.8 months (HR = 0.80, 95%CI, 0.65-0.98, p
= 0.030). Estimated 5-years OS rate were: Arm B, 24.9% vs Arm A,
12.4%. Molecular results were informative for 357 pts (70.3%). All
wt patients had longer OS as compared to RAS mutant (HR = 0.70,
p = 0.006) and to BRAF mutant (HR = 0.24, p < 0.001). The benefit
from FOLFOXIRI plus bev was consistent across all molecular
27
subgroups (Table 1). All wt pts treated with FOLFOXIRI plus bev
reported a median OS of 41.7 months as compared to 33.5 months
in the FOLFIRI plus bev group (HR = 0.75, 95%CI, 0.45-1.24).
Conclusions: FOLFOXIRI plus bev significantly improves survival
of metastatic colorectal cancer pts and the OS advantage increases
over time. Benefit from FOLFOXIRI plus bev is independent of RAS
and BRAF mutational status. All wt pts have a better outcome
independently from the treatment arm. Notable results with
FOLFOXIRI plus bev are achieved in all wt pts. Clinical trial
information: NCT00719797
Il trial di fase III TRIBE ha arruolato in meno di tre anni (luglio 2008 – maggio 2011) 508 pazienti con
carcinoma colorettale metastatico in 34 centri italiani prevedendo una randomizzazione 1:1 tra la terapia standard
(braccio A: FOLFIRI e bevacizumab) vs. la terapia sperimentale (braccio B: FOLFOXIRI e bevacizumab).
Raggiunto l’endpoint primario dello studio, dimostrando come la combinazione della tripletta con
l’antiangiogenico in prima linea sia in grado di prolungare in modo significativo la sopravvivenza libera da
progressione (PFS) rispetto alla combinazione di FOLFIRI e bevacizumab, gli autori si sono posti un doppio
obiettivo: da un lato l’aggiornamento dell’outcome dei pazienti inclusi nel trial ad un follow-up prolungato e
dall’altro l’analisi dell’efficacia del trattamento nelle varie categorie molecolari.
Sul totale dei pazienti arruolati, la determinazione dello stato molecolare della malattia è stata eseguita su 391
pazienti, inizialmente con una metodica di pyrosequencing per lo studio delle mutazioni di KRAS sui codoni
12, 13 e 61 e di BRAF V600E, poi con una MALDI-TOF mass array per la biologia molecolare estesa di RAS.
Sono stati quindi determinati tre distinti sottogruppi molecolari: pazienti BRAF mutati (n=28), pazienti RAS
mutati (n=236) e pazienti all wild-type (n=93).
Nella popolazione intention-to-treat la sopravvivenza globale (OS) aggiornata ad un follow-up mediano di 48
mesi è risultata pari a 29.8 mesi per il braccio B e 25.8 mesi per il braccio A (HR=0.80, 95%CI 0.65-0.98,
p=0.030).
I pazienti all wild-type presentano una OS più lunga rispetto sia ai pazienti con mutazioni di RAS (HR=0.70,
p=0.006) sia ai pazienti con mutazioni di BRAF (HR=0.24, p<0.001) (Figura 2).
I pazienti all wild-type trattati con FOLFOXIRI più bevacizumab hanno riportato una OS mediana di 41.7
mesi rispetto ai 33.5 mesi del gruppo FOLFIRI più bevacizumab (HR=0.75, 95%CI, 0.45-1.24).
L’effetto del trattamento sperimentale si è confermato vantaggioso in ogni gruppo molecolare (Tabella).
All wt
(N=93)
RAS mut
(N=236)
BRAF mut
(N=28)
HR
[95%CI]
0.82 [0.53-1.26]
FOLFIRI +
bevacizumab
OS Mediana
(mesi)
33.5
FOLFOXIRI +
bevacizumab
OS Mediana
(mesi)
41.7
0.75 [0.45-1.24]
12.0
0.82 [0.63-1.07]
23.9
27.3
0.95 [0.71-1.27]
7.5
0.56 [0.20-1.14]
10.8
19.1
0.60 [0.27-1.33]
FOLFIRI +
bevacizumab
PFS Mediana
(mesi)
12.2
FOLFOXIRI +
bevacizumab
PFS Mediana
(mesi)
13.7
9.5
5.5
HR
[95% CI]
N° 8 LUGLIO 2015
28
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
Lo studio conferma l’efficacia del regime FOLFOXIRI + bevacizumab nella scelta terapeutica per pazienti nei
quali sia necessaria una strategia con intensità massimale. L’effetto favorevole del trattamento sperimentale si
mantiene inalterato indipendentemente dal profilo molecolare della malattia. Tuttavia, va notato che i pazienti
con mutazione V600E di BRAF, popolazione nella quale l’effetto del trattamento sperimentale sembra essere
particolarmente vantaggioso, siano spesso anziani, con multiple sedi di malattia e presentino alla diagnosi un
performance status scaduto, motivi che pongono l’indicazione a un trattamento ad alta intensità applicabile
solo a un numero limitato di casi.
Abstract 3582. - A phase III multicenter trial comparing two different sequences of second/third
line therapy (irinotecan/cetuximab followed by FOLFOX-4 vs. FOLFOX-4 followed by
irinotecan/cetuximab) in K-RAS wt metastatic colorectal cancer (mCC) patients refractory to
FOLFIRI/Bevacizumab.
Stefano Cascinu, Gerardo Rosati, Guglielmo Nasti et Al.
Background: Improvements in survival have been reported in mCC
with the addition of bevacizumab or cetuximab to chemotherapy.
However, their efficacy in different therapy lines and the optimal
sequence are still controversial. While bevacizumab seems to lose its
efficacy along the course of treatment lines, cetuximab is active even
in 2° and 3° line therapy. We designed a randomised, phase III study
to compare efficacy and safety of two different sequences of
Cetuximab or FOLFOX to optimize the treatment of mCC pts
refractory to FOLFIRI/bevacizumab. Methods: Pts were randomised
in a 1:1 ratio to receive as 2° or 3° line cetuximab/irinotecan followed
by FOLFOX-4 (Arm A) or FOLFOX-4 followed by
cetuximab/irinotecan (Arm B). Primary end point was progression
free survival (PFS); secondary end points were overall survival and
toxicity. Results: 109 mCC pts were enrolled and 108 were evaluable
for analysis. 63 patients were males and 45 females, with a median
age of 61 years. Efficacy results are reported in the table. Treatments
were well tolerated with a low number of serious adverse reactions in
both arms (8 and 4, respectively), even if grade 3-4 toxicity was overall
higher in cetuximab treatment. Conclusions: While the primary end
point was not met (PFS was not statistically different), FOLFOX
seems to be more effective than cetuximab (overall survival: 18.6
months vs 12.4 months) as 2° line treatment in patients receiving
bevacizumab/FOLFIRI. This seems to confirm preclinical and clinical
(FIRE-3) data suggesting that a prior anti-VEGF therapy may
determine a lower sensitivity to a subsequent anti-EGFR treatment.
Clinical trial information: NCT01030042
Per i pazienti con diagnosi di carcinoma colorettale metastatico K-RAS wild type l’aggiunta di bevacizumab o
cetuximab alla chemioterapia ha portato a un aumento della sopravvivenza. Tuttavia, la loro efficacia nelle
differenti linee di terapia e soprattutto la sequenza ottimale del loro utilizzo sono ancora controverse. Inoltre,
sono differenti i meccanismi molecolari che portano alla resistenza primaria ed acquisita alla terapia
antiangiogenica ed al blocco di EGFR. Va ricordato, inoltre, che mentre la terapia antiangiogenica non è attiva
in monoterapia, l’utilizzo di un EGFR inibitore produce risposte e controllo della malattia anche come agente
singolo in linee avanzate di terapia. Dopo il fallimento di un trattamento di prima linea con FOLFIRI +
bevacizumab non è ancora chiaro quale sia la migliore sequenza terapeutica nelle linee successive. Questo studio
multicentrico di fase III ha provato a rispondere a questa domanda arruolando pazienti con CRC avanzato
KRAS wild-type e valutando, con una randomizzazione 1:1, efficacia e tossicità di due differenti sequenze
terapeutiche: cetuximab + irinotecan seguito da FOLFOX4 (braccio A) ovvero FOLFOX4 seguito da cetuximab
+ irinotecan. Lo studio si poneva come endpoint primario la sopravvivenza libera da progressione (PFS), mentre
la sopravvivenza globale (OS) e tossicità erano endpoint secondari. Sono stati arruolati 109 pazienti, di cui 108
valutabili (età mediana, 61 anni). I risultati di efficacia sono riportati in Tabella.
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
RR in seconda linea
RR in terza linea
PFS mediana(mesi)
OS mediana(mesi)
cetuximab+irinotecan
seguito da FOLFOX4
15/52 (29%)
7/30 (23%)
9.9
12.4
FOLFOX4 seguito da
cetuximab+irinotecan
21/52 (40%)
8/38 (21%)
11.3
18.6
29
HR (95%CI e p)
0.85[0.56-1.28], p=0.42
0.79[0.52-1.22], p=0.28
I trattamenti sono stati ben tollerati con un basso numero di reazioni avverse in entrambi i bracci di trattamento
(8 e 4, rispettivamente), anche se le tossicità severe sono più frequenti nel braccio di pazienti assegnati a irinotecan
e cetuximab. La PFS mediana tra i due bracci di trattamento non è stata statisticamente differente; pertanto, lo
studio non ha soddisfatto il suo endpoint primario. Tuttavia, FOLFOX4 sembrerebbe essere più efficace di
irinotecan e cetuximab come seconda linea di trattamento nei pazienti che hanno ricevuto FOLFIRI +
bevacizumab in prima linea. I risultati dello studio aprono due importanti punti di discussione. In primo luogo
si confermano i dati preclinici e clinici di numerosi studi di seconda linea che suggeriscono come una precedente
terapia con un antiangiogenico possa determinare una ridotta sensibilità all’immediato trattamento con agenti
anti-EGFR al momento della progressione. I motivi di questo effetto rimangono non completamente spiegati,
ma è possibile che al momento della progressione all’antiangiogenico la neoplasia acquisti un fenotipo
maggiormente “mesenchimale” che la renda meno sensibile alla terapia target. Inoltre, rimane aperta la
discussione tra gli accaniti sostenitori dell’importanza della sequenza terapeutica (Volker Heinemann in primis)
e chi ritiene invece che la successione delle linee di trattamento non abbia impatto sull’outcome finale a patto
che il paziente riceva ogni trattamento disponibile (Axel Grothey su tutti).
Abstract 3585 - Outcomes for FOLFIRI plus bevacizumab (BEV) or cetuximab (CET) in patients
previously treated with oxaliplatin-based adjuvant therapy: A combined analysis of data from FIRE3 and CALGB 80405.
Volker Heinemann, Donna Niedzwiecki, Rachel V. Pearline et Al.
Background: mCRC previously treated with adjuvant therapy may
differ biologically from untreated mCRC. This study examines
outcomes for BEV vs. CET in the patients on FIRE-3 and C80405
who previously received adjuvant oxaliplatin (OX). Methods: In both
studies, pts with KRAS wt (codons 12 and 13) mCRC and
performance status 0-1 were treated with standard chemotherapy and
randomized to either CET 400 mg/m2 X 1, then 250 mg/m2 qw or
BEV 5 mg/kg q2w. Rx continued until progression, death,
unacceptable toxicity, or surgery with curative intent. Patients
previously treated with adjuvant oxaliplatin ( < 12 months prior to
enrollment in 80405, < 6 months prior for FIRE-3) were identified
for this analysis. Results: 125 patients received adjuvant OX (67 from
80405 and 58 from FIRE-3); 56 were randomized to BEV and 69 to
CET. Baseline demographics were similar for both treatment groups
and similar between patients enrolled in FIRE-3 vs. 80405. All
received FOLFIRI as the chemotherapy regimen. In the combined
analysis, CR + PR in the CET arm vs. BEV was 58% vs 42%,
respectively (chi square p = 0.08). PFS was 11.3 mos for BEV and
10.2 mos for CET (HR 1.2, p = 0.24) with 117 PFS events. Median
OS for BEV was 41.0 mo vs. 28.5 mo for CET (HR 1.4, p = 0.18)
with 79 OS events. Conclusions: No significant difference in OS by
biologic was found in this unplanned subset analysis. Patients with
prior OX exposure had very good overall outcomes with both
biologics.
Poco meno della metà dei pazienti con malattia colorettale metastatica non esordiscono con lesioni secondarie
sincrone, ma le sviluppano nel tempo, anche anni dopo il trattamento radicale sulla malattia primitiva
eventualmente seguita da una terapia adiuvante. A causa della differenza tra il limitato numero di pazienti con
N° 8 LUGLIO 2015
30
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
malattia metacrona inclusi nei trial di prima linea (meno del 20%) e quello dei pazienti con malattia metacrona
trattati nella pratica clinica (oltre il 40%), oggi non è noto se i pazienti con malattia metacrona, esposti a una
precedente terapia adiuvante con oxaliplatino, abbiano un outcome differente. In questo contesto deve essere
letta l’analisi per sottogruppi non pre-pianificata presentata in questo lavoro, che deriva da un'analisi combinata
dei pazienti con carcinoma colorettale metastatico KRAS wt (codoni 12 e 13) trattati all'interno di due studi di
prima linea (CALGB/SWOG 80405 e FIRE-3). La popolazione in esame era costituita da pazienti già trattati
con chemioterapia adiuvante a base di oxaliplatino (terminata entro 12 mesi prima dell’arruolamento nello
studio 80405 ed entro 6 mesi prima dell'arruolamento nel FIRE-3). L'obiettivo dell’analisi era di verificare
l'outcome in questo sottogruppo con i due tipi di trattamento (FOLFIRI + bevacizumab vs FOLFIRI +
cetuximab.) I 125 pazienti pretrattati con oxaliplatino individuati nei due studi (67 nel CALGB 80405 e 58 nel
FIRE-3) hanno sempre ricevuto una terapia con FOLFIRI, abbinata a bevacizumab in 56 casi e a cetuximab in
69 pazienti. Il loro outcome non era influenzato dal tipo di terapia ricevuta. In particolare il tasso di risposta era
simile (58% per cetuximab vs 42% per bevacizumab, chi square p = 0.08), come anche la PFS mediana (11.3
mesi con bevacizumab vs e 10.2 mesi con cetuximab, HR 1.2, p = 0.24) e la sopravvivenza overall (HR 1.4,
p=0.18) tuttavia numericamente più lunga nei pazienti trattati in prima linea con l’antiagiogenico (41 mesi vs
28.5 mesi). Nel sottogruppo di pazienti identificato per l'analisi combinata dei due studi non sono state osservate
differenze significative per gli outcomes considerati. Gli Autori peraltro non dichiarano quale sia stata la potenza
statistica definita per l'analisi non pre-pianificata. Rimangono quesiti aperti se vi sia differenza nel trattare in
prima linea pazienti già sottoposti a chemioterapia adiuvante a base di oxaliplatino rispetto a pazienti chemonaive e se vi sia un peso da attribuire al tempo intercorso dal termine della chemioterapia adiuvante.
Abstract 3507 - Prognostic value of BRAF V600E and KRAS exon 2 mutations in microsatellite
stable (MSS), stage III colon cancers (CC) from patients (pts) treated with adjuvant FOLFOX+/cetuximab: A pooled analysis of 3934 pts from the PETACC8 and N0147 trials.
Julien Taieb, Karine Le Malicot, Frederique Madeleine Penault-Llorca et Al.
Background: The prognostic value of BRAF and KRAS mutations
in resected CC pts remains controversial due to published studies that
include stage II & III, microsatellite instability (MSI) and MSS, colon
and rectal tumors, and variable treatment regimens. We examined
this question in prospectively collected biospecimens from MSS stage
III CC pts receiving adjuvant FOLFOX +/- cetuximab. Methods:
Tumors were analyzed for BRAF V600E and KRAS exon 2
mutations, only MSS tumors were included. Three groups were
defined: BRAF Mutant, KRAS Mutant and double wild-type (WT).
The analytic strategy estimated study- and arm-specific prognostic
effects to assess homogeneity of results, and then analysis of pooled
data. Associations of mutations with time-to-recurrence (TTR),
survival after relapse (SAR) and overall survival (OS) were analysed
using a stratified Cox proportional hazards model. Multivariate
models were adjusted for treatment and covariates (age, sex, tumor
grade, T/N stage, tumor location, ECOG PS). Results: Of the 5,577
pts enrolled, 3,934 tumors were MSS and evaluable for BRAF and
KRAS; 279 pts were BRAF Mutant, 1,450 KRAS Mutant, and 2,205
WT. Both mutations were linked to shorter TTR and OS vs WT,
and results were confirmed in multivariate analyses (table). Median
SAR was 2.57, 2.09 and 1.0 year in WT, KRAS Mutant (HR: 1.2095%CI: 1.01-1.44, p < 0.0001) and BRAF mutant (HR: 3.0195%CI: 2.32-3.93, p < 0.0001), respectively. No interaction was
found between treatment (with or without cetuximab) and
KRAS/BRAFmutations for TTR (p = 0.38) or OS (p = 0.16).
Conclusions: In a large pooled analysis of pts with resected stage III
MSS colon cancers receiving adjuvant FOLFOX, BRAFV600E or
KRAS exon 2 mutations, including codons 12 or 13, are independent
predictors of significantly shorter TTR, SAR and OS. Future clinical
trials in the adjuvant setting should consider these mutations as
important stratification factors.
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
31
Una delle sfide aperte nel trattamento postoperatorio di pazienti radicalmente operati per neoplasia del colon è
quella di trovare dei parametri validati per stimare il rischio di recidiva, al fine di ottimizzare il rapporto
richio/beneficio della terapia adiuvante. Il valore prognostico delle mutazioni su BRAF e KRAS rimane poco
definito, anche perchè gli studi ad ora pubblicati hanno spesso accorpato casistiche disomogenee, considerando
assieme tumori ad origine colica e rettale, stadi II e stadi III, neoplasia con e senza instabilità die microsatelliti e
pazienti trattati con differenti regimi antiblastici. Nello studio presentato, coordinato dal prof Taieb, è analizzato
il potenziale impatto prognostico della mutazione di BRAF (V600E) e di KRAS (esone 2) in una casistica di
3.943 pazienti radicalmente resecati per adenocarcinoma del colon in stadio III e stato MSS arruolati nello
studio NO147 (Alberts, JAMA 2012) o nello studio PETACC8 (Taieb J, Lancet Oncol 2014) a ricevere
FOLFOX con o senza cetuximab. I 3.394 pazienti eleggibili sono stati divisi in tre differenti sottopopolazioni:
BRAF (V600E) e KRAS (esone 2) wild type (2.205 casi); mutati su KRAS (1.450 casi) e mutati su BRAF (279
casi). Nella pooled analysis dei due studi, utilizzando un modello stratificato di Cox a rischi proporzionali, è
stata verificata l’associazione tra la presenza delle mutazioni e la DFS, la sopravvivenza overall e la sopravvivenza
post-ricaduta. I modelli multivariati sono stati corretti per il trattamento ricevuto e per variabili cliniche (età,
sesso, grading istologico, localizzazione anatomica della neoplasia primitiva, performance status).
I risultati dell’analisi dimostrano che entrambe le mutazioni si associano ad un ridotto tempo alla ricaduta, come
dimostrato nella Figura.
Slide 14
Presented By Julien Taieb at 2015 ASCO Annual Meeting
N° 8 LUGLIO 2015
32
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
In accordo a quanto atteso, la sopravvivenza dopo ricaduta era di 2.6 anni nei pazienti wild-type, di 2.1 anni in
quelli con mutazione di KRAS (HR 1.2, 95%CI 1.10-1.44, p<0.0001) e di solo 1 anno nei pazienti BRAF
mutati (HR 3.01, 95%CI 2.32-3.93, p<0.0001). Non si registrava invece alcuna interazione tra l’esposizione a
EGFR-inibitore e lo stato mutazionale. Il lavoro presentato ribadisce l’importanza di conoscere precocemente
il profilo molecolare della malattia e conferma precedenti report presentati separatamente per i pazienti arruolati
in ciscuno dei due studi (Yoon HH, et al. Clin Cancer Res 2014; Blons H, et al. Ann Oncol 2014). Sarà di
conseguenza necessaria una riflessione sulla possibilità di integrare il profilo molecolare della patologia come
ulteriore fattore di rischio al momento della scelta terapeutica nella pratica clinica e come fattore di stratificazione
nell’ambito di studi di ricerca.
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
33
BEST OF ASCO 2015 – NON COLORECTAL
CANCER: stomaco - pancreas
Stefano Cascinu
Clinica di Oncologia Medica. Università Politecnica delle Marche. Ancona
L’ASCO 2015 non è stato particolarmente ricco di novità per quanto riguarda le neoplasie gastriche
e pancreatiche. Tuttavia sono emersi alcuni spunti che possono aiutare a meglio comprendere la
biologia e la gestione clinica di queste neoplasie.
Nei tumori dello stomaco sembrano uscire di scena alcuni targets molecolari potenzialmente ritenuti
interessanti. Si pensi a MET e a FGFR2. Nelle neoplasie pancreatiche esocrine invece sembra
confermarsi il ruolo importante come bersaglio terapeutico dello stroma mentre per le forme
endocrine pancreatiche sembra che il bevacizumab possa avere un ruolo nel migliorare i risultati
terapeutici ottenuti da everolimus.
Ho scelto 3 abstract per le neoplasie gastriche: lo studio RILOMET-1 (Abstract 4000); la sottoanalisi
dello studio KEYNOTE-012 (Abstract 4001) e lo studio 0E05 (Abstract 4002) che in realtà esplora
esofago e giunzione esofagocardiale.
Per le neoplasie pancreatiche la scelta è caduta sullo studio CALGB 80071 (Abstract 4005); sullo
studio con il nuovo agente PEGPH20 (Abstract 4006) e sullo studio CONKO-005 (Abstract 4007).
Terapia dei tumori gastrici, dell’esofago e del giunto gastro esofageo
Abstract 4000 - Phase III, randomized, double-blind, multicenter, placebo (P)controlled trial of rilotumumab (R) plus epirubicin, cisplatin and capecitabine (ECX)
as first-line therapy in patients (pts) with advanced MET-positive (pos) gastric or
gastroesophageal junction (G/GEJ) cancer: RILOMET-1 study.
David Cunningham, Niall C. Tebbutt, Irina Davidenko et Al.
Background: R is a fully human monoclonal antibody to
hepatocyte growth factor. A phase 2 study showed improved
overall survival (OS) and progression-free survival (PFS) with
R + ECX vs P + ECX in MET-pos G/GEJ cancer (Lancet
Oncol 2014;15:1007). This phase 3 trial evaluated the
efficacy and safety of R + ECX in MET-pos G/GEJ cancer.
Methods: Key eligibility criteria: ≥ 18 yr; previously
untreated, pathologically confirmed unresectable advanced
G/GEJ adenocarcinoma; ECOG score 0–1; tumor MET-pos
by IHC; HER2-negative. Pts were randomized 1:1 to receive
ECX (IV epirubicin 50 mg/m2 D1, IV cisplatin 60 mg/m2
D1, oral capecitabine 625 mg/m2BID D1−21) + R 15
mg/kg or P IV Q3W and stratified by disease extent (locally
advanced vs metastatic) and ECOG score (0 vs 1). Primary
endpoint: OS. A log-rank test stratified by randomization
factors compared OS between arms. The study was powered
to detect a HR of 0.69. Key secondary endpoints: PFS, 12mo survival rate, objective response rate (ORR), safety and
pharmacokinetics (PK). Results: 609 pts were randomized
from Nov 2012 to Nov 2014. The study was stopped early
based on an imbalance in deaths (R vs P: 128 vs 107 deaths,
data cutoff: 27 Nov 2014). R was not superior to P for OS
(one-sided test, p = 0.99). OS, PFS and ORR were statistically
worse in the R arm. No subgroups seemed to benefit with R,
including those with higher percentages of cells with ≥ 1+
MET expression. Most common AEs that were higher with
R: peripheral edema, hypoalbuminemia, deep vein
thrombosis and hypocalcemia. Conclusions: RILOMET-1
did not meet its primary endpoint; OS was statistically
significantly worse with R. PK and MET biomarker analyses
are pending. Clinical trial information: NCT01697072
N° 8 LUGLIO 2015
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
34
R (n = 304)
P (n = 305)
R vs P
Median OS,* mo
9.6 (7.9–11.4)
11.5 (9.7–13.1)
HR†= 1.37 (1.06–1.78)
p = 0.016
Median PFS,* mo
5.7 (5.3–5.9)
5.7 (5.5–7.1)
HR†= 1.30 (1.05–1.62)
p = 0.016
38.4% (30.2%–46.6%)
49.7% (41.5%–57.4%)
Diff = -11.4 (-22.9–0.2)
p = 0.053
30% (24.6%–36.0%)
39.2% (33.3%–45.4%)
Odds ratio = 0.67 (0.46–0.96)
p = 0.027
12-mo survival rate*
ORR*
E’ uno studio randomizzato di fase III che testa il ruolo di un inibitore di MET in combinazione con una
chemioterapia a base di ECX. Lo studio è inglese, coordinato dal Royal Marsden. Vi era un forte razionale a inibire
MET nel tumore dello stomaco sia dal punto di vista preclinico che di risultati ottenuti in studi di fase II. La
positività di MET non è molto alta, circa il 10%, ma caratterizza una malattia molto aggressiva. 609 pazienti con
MET, definito positivo all’immunoistochimica, sono stati randomizzati a ricevere rilotumumab o placebo insieme
all’ECX. Purtroppo lo studio è stato chiuso anticipatamente per un eccesso di morti nel braccio rilotumumab.
Nessun sottogruppo, incluso quello con alta espressione di MET, si è avvantaggiato dal rilotumumab. La tossicità
è stata molto consistente. Questo risultato negativo va di pari passo con i risultati negativi di altri MET inibitori
mettendo forse fine allo sviluppo ulteriore di questo approccio molecolare. L’iperespressione di MET è sicuramente
prognostica ma non predittiva. Per alcuni tumori gastrici potrebbe essere un’importante alterazione molecolare
precoce che perde però rilevanza come driver nella progressione tumorale e quindi diventa un bersaglio terapeutico
non rilevante. L’unico reale problema interpretativo per questo trial è rappresentato dallo schema di chemioterapia
impiegato. E’ davvero il migliore? Uno schema a tre farmaci che includa l’antraciclina è davvero più efficace? Penso
che molto di questi risultati negativi possano dipendere oltre che da una scarsa conoscenza della biologia del sistema
MET anche dalla scelta non illuminata di una combinazione chemioterapica non ottimale.
Abstract 4001 - Relationship between PD-L1 expression and clinical outcomes in patients with
advanced gastric cancer treated with the anti-PD-1 monoclonal antibody pembrolizumab (MK3475) in KEYNOTE-012.
Yung-Jue Bang, Hyun-Choel Chung, Veena Shankaran et Al.
Background: Tumors use the PD-1 pathway to evade immune
surveillance. Pembrolizumab, an anti–PD-1 monoclonal antibody,
has shown antitumor activity in advanced cancers. We assessed the
safety and efficacy of pembrolizumab in patients with advanced
gastric cancer in KEYNOTE-012 (Clinicaltrials.gov identifier,
NCT01848834). Methods: Archival tumor samples from patients
from Asia-Pacific (AP) and rest of the world (ROW) with recurrent
or metastatic adenocarcinoma of the stomach or gastroesophageal
junction were screened for PD-L1 expression using a prototype IHC
assay with the 22C3 antibody. Only patients with distinctive stromal
or ≥ 1% tumor nest cell PD-L1 staining were eligible. Patients
received pembrolizumab 10 mg/kg every 2 weeks for up to 24 months
or until complete response, progression, or unacceptable toxicity.
Imaging was performed every 8 weeks. Primary efficacy end point is
ORR assessed per RECIST v1.1 by independent central review.
Secondary end points include duration of response, PFS, and OS.
Results: Of the 162 patients screened, 65 (40%) were PD-L1+. Of
these 65 patients, 39 enrolled (19 from AP, 20 from ROW; median
age, 63 years [range, 33-78]). The number of prior therapies for
advanced disease ranged from 0 to 5; 67% received ≥ 2 prior
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
therapies. Median follow-up duration was 8.8 months (range, 6.212.6); 13 patients (33%) remain on therapy. Four patients
experienced 5 total grade 3-5 drug-related adverse events: peripheral
sensory neuropathy, fatigue, decreased appetite, hypoxia, and
pneumonitis (n = 1 each). There was 1 drug-related death (hypoxia).
ORR was 22% (95% CI, 10-39) by central review and 33% (95%
CI, 19-50) by investigator review. Median time to response was 8
weeks (range, 7-16), with a median response duration of 24 weeks
35
(range, 8+ to 33+). PD-L1 expression level was associated with ORR
(1-sided P = 0.10). The 6-month PFS rate was 24%. The 6-month
OS rate was 69%. Conclusions: Pembrolizumab demonstrated
manageable toxicity and promising antitumor activity in advanced
gastric cancer. These results support the ongoing development of
pembrolizumab for gastric cancer. Clinical trial information:
NCT01848834
L’ASCO 2015 è stato sicuramente l’anno della immunoterapia. Anche lo stomaco sembra un buon candidato a
questo approccio. In uno studio, il KEYNOTE-012 condotto in Asia, il pembrolizumab, un PD-1 inibitore, ha
ottenuto un 22% di risposte obiettive in 39 pazienti con espressione di PD-L1 e fortemente pretrattati. Le tossicità
sono state quelle tipiche di questa classe di farmaci: fatigue, polmonite. Questo dato apre un importante spiraglio
nella gestione dei pazienti con carcinoma gastrico soprattutto alla luce della nuova classificazione molecolare dei
tumori gastrici. Infatti se consideriamo i risultati positivi ottenuti dalla immunoterapia nelle neoplasie coliche con
instabilità microsatellitare, possiamo immaginare di poter riprodurre questa efficacia anche nei tumori gastrici che
presentano questa alterazione. Sono circa un terzo dei pazienti e hanno una prognosi severa non rispondendo alla
normale chemioterapia. La speranza è quella di trovare per ogni gruppo di tumori gatsrici la terapia migliore.
Questo studio apre prospettive interessanti.
Abstract 4002 - Neoadjuvant chemotherapy for resectable oesophageal and junctional adenocarcinoma:
results from the UK Medical Research Council randomised OEO5 trial (ISRCTN 01852072).
Derek Alderson, Ruth E Langley, Matthew Guy Nankivell et Al.
Background: Neoadjuvant chemotherapy (2 cycles cisplatin/5
fluorouracil) (CF) followed by surgery is a standard of care for locally
advanced oesophageal cancer. We investigated whether more
chemotherapy (4 cycles epirubicin/cisplatin /capecitabine (ECX))
would improve outcomes. Methods: A multi-centre, randomised,
phase III trial comparing 2 cycles of CF with 4 cycles of ECX followed
by oesophagectomy with 2-field lymphadenectomy for lower
oesophageal and junctional (Types I and II) adenocarcinoma. Primary
outcome was overall survival (OS); 842 patients (677 deaths) would
detect an increase in 3-year survival from 30% to 38% (or 37%) with
82% (or 70%) power with 2α = 5%. Deaths accrued more slowly
than anticipated but the Independent Data Monitoring Committee
considered the data sufficiently robust for release. Secondary
outcomes include disease-free (DFS) and progression-free survival
(PFS), pathological R0 resection rate, Mandard grade and quality of
life. Results: From 2005-2011, 897 patients (451 CF, 446 ECX)
from 72 UK centres were randomly allocated (1:1). Baseline
characteristics were similar between the groups (overall, male 90%,
median age 62 (IQR 56-67), staging included PET 60%, T3 N0
22%, T3 N1 65%). 96% CF received 2 cycles, 89% ECX > 3 cycles.
Grade 3/4 toxicity was lower with CF (30% v 47% p < 0.001.) Of
those patients having a resection R0 rates were CF 60%, ECX 66%
with a Mandard grade ≤ 3 achieved in CF 15% v ECX 32% with 3
and 11% achieving complete response. Post-operative complications
were similar (CF 57%, ECX 62%) as were deaths at 30 (CF 2%,
ECX 2%) and 90 days post-surgery (CF 4%, ECX 5%). PFS and
DFS favoured ECX, hazard ratio (HR, 95% CI) PFS 0.86 (0.741.01), DFS 0.88 (0.75-1.03). HR for OS was 0.92 (0.79-1.08, p =
0.3017) based on 315 CF and 298 ECX deaths, with similar 3 year
survival rates CF 39% (35-44%) vs ECX 42% (37-46%).
Conclusions: There is some evidence of a benefit from the prolonged
ECX regimen, in terms of PFS, DFS and tumour regression at
resection, but this does not translate into a survival benefit. Overall
chemotherapy toxicity was higher with 4 cycles of ECX compared to
2 cycles of CF but surgical morbidity was not increased. Clinical trial
information: 01852072
Il terzo abstract è sull’esofago e sulla giunzione esofago-cardiale. Si focalizza su aspetti più tradizionali. E’ infatti lo
studio che affronta il problema della chemioterapia preoperatoria nel carcinoma esofageo e della giunzione,
potenzialmente resecabile. Lo studio inglese confronta un approccio più intensivo: 4 cicli di ECX seguiti da chirurgia
verso il tradizionale approccio prospettato dall’MRC, due cicli di Fluoruracile/platino seguiti da chirurgia. E’
N° 8 LUGLIO 2015
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
36
sicuramente uno degli studi più ampi mai condotti in questa patologia con 897 pazienti arruolati. L’obiettivo
primario dello studio era la sopravvivenza. Non è stato raggiunto, con un HR di 0,92. Vi è stata qualche evidenza
di un vantaggio per DFS ma non tale da giustificare l’impiego di uno schema più aggressivo e tossico, somministrato
per un periodo di tempo doppio.
Ci insegna qualche cosa questo trial? Sfortunatamente no. Il primo dubbio è qual è il trattamento standard
preoperatorio per le neoplasie esofagee? Due cicli di platino e fluorouracile avevano dato buoni risultati ma ormai
la radioterapia associata alla chemioterapia è diventata, anche per forme adenocarcinomatose, uno standard. Molti
continueranno a fare ciò e dunque anche nel disegno di trial futuri dovrebbe essere presa in considerazione questa
modalità terapeutica. L’altro aspetto negativo di questi studi empirici è che si mescolano neoplasie dalla biologia
differente. Il carcinoma dell’esofago e quello della giunzione non sono la stessa neoplasia in termini molecolari e
clinico-patologici. Non ha senso continuare ancora ad inserirli indifferentemente nello stesso studio. Per il futuro
ci aspettiamo studi condotti con maggiore rigore metodologico che rispondano magari ad un solo quesito e non
aumentino invece i nostri dubbi nella pratica clinica.
Terapia dei tumori del pancreas
Abstract 4006 - High response rate and PFS with PEGPH20 added to nab-paclitaxel/gemcitabine
in stage IV previously untreated pancreatic cancer patients with high-HA tumors: Interim results
of a randomized phase II study.
Sunil R. Hingorani, William Proctor Harris, Andrew Eugene Hendifar et Al.
Background: Poor outcomes in pancreatic cancer (PDA) are associated
in part with tumor stroma limiting chemotherapy perfusion. PDAs
express high levels of hyaluronan (HA), which contributes to elevated
interstitial pressures. PEGylated recombinant human hyaluronidase,
PEGPH20, depletes HA in tumors. In a Phase Ib study of PEGPH20
with Gemcitabine (Gem), patients (pts) whose tumors were HAhigh
had improved ORR, PFS and OS compared to those with tumors that
were HALow. Methods: This is an ongoing phase II, open-label,
randomized study of PEGPH20 +Nab-Paclitaxel (Nab) + Gem (PAG)
vs. Nab + Gem (AG) in previously untreated pts with Stage IV PDA.
Pts receive 3 µg/kg twice weekly (Cycle 1) and then weekly (Cycle 2+)
PEGPH20 in combination with standard dosing of AG. HA status was
tested retrospectively. Primary endpoint is PFS, secondary endpoints
include: ORR, OS and Safety. Due to a temporary clinical hold, ORR
Endpoint/Population
is from data through April 2014; and PFS is data through December
2014. Results: 146 pts were enrolled and 135 pts received at least one
dose of study drug. The mean age was 65.1 yrs. (Range 29-83 yrs), 93%
had a KPS of ≥ 80. The most common AEs related to study drugs (PAG
vs. AG) were: fatigue (68% vs. 69%), nausea (55% vs. 44%), anemia
(42% vs. 53%) peripheral edema (58% vs. 31%) and muscle spasms
(55% vs. 2%). There was an imbalance of thromboembolic (TE) events
with 42% vs. 25% of subjects having at least one TE event. Overall RR
and PFS are shown in the table below. Conclusions: PEGPH20 +
Nab/Gem is generally well tolerated in advanced PDA. Patients with
HAhigh tumors receiving PAG had greater ORR and longer PFS than
HAhigh patients receiving AG. Overall survival will be presented at the
time of the meeting. ClinicalTrials.gov Identifier NCT01839487.
Clinical trial information: NCT01839487
PAG
AG
25/74 (34%)
14/61 (23%)
ORR
N = 135
HA
High
N = 34
12/17 (71%)
5/17 (29%)
HA
Low
N = 28
9/18 (50%)
5/10 (50%)
42/74; 5.7 months
39/61; 5.2 months
PFS
N = 135
High
N = 48
12/25; 9.2 months
15/23; 4.3 months
HALow N = 58
22/36; 4.8 months
15/22; 5.6 months
HA
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
37
Per le neoplasie esocrine mi sembra che un risultato importante, anche se ancora lontano da una ricaduta clinica
nella pratica quotidiana, sia il risultato dello studio con PEGPH20. E’ un enzima con attività ialuronidasica che
degrada la matrice che sta alla base della componente stromale dell’adenocarcinoma duttale. In uno studio di fase II
randomizzato su 146 pazienti questo agente combinato con nab-paclitaxel/gemcitabina ha determinato rispetto al
placebo un aumento in termini di risposte e PFS nei pazienti con alta espressione di ialuronidasi. E’ sicuramente un
dato importante considerando quanto lo stroma giochi un ruolo nello sviluppo e nella possibile chemioresistenza
del carcinoma pancreatico. E’ solo forse troppo presto per dire che questo farmaco possa essere validato in clinica. E’
necessario infatti uno studio di fase III con specifica selezione prospettica dei pazienti con alta espressione di acido
ialuronico e un confronto fra tumore primitivo e metastasi per confermare che la biologia dello stroma sia simile.
Abstract 4007 - CONKO-005: Adjuvant therapy in R0 resected pancreatic cancer patients with
gemcitabine plus erlotinib versus gemcitabine for 24 weeks. A prospective randomized phase III study.
Marianne Sinn, Torsten Liersch, Klaus Gellert et Al.
Background: Adjuvant chemotherapy with gemcitabine (Gem) for 6
months significantly improves survival of pancreatic cancer patients.
CONKO-005 was designed to evaluate an additional effect of the
EGFR-tyrosinkinase-inhibitor erlotinib (Erlo 100 mg p.o. daily) in
combination with Gem (1000 mg/m² i.v. day 1,8,15, q29) for 24 weeks
in pts after R0 resection. Methods: In an open-label multicenter design,
pts were randomised within 8 weeks after operation to receive GemErlo
or Gem; stratified by lymph node involvement, operation techniques,
study centre. The primary endpoint was disease-free survival (DFS).
The study was planned with a power of 80% at a significance level of
0.05 to detect an improvement of DFS from 14 to 18 months.
Secondary objectives were median overall survival (OS) and treatment
safety. Kaplan-Meier analyses were performed; survival data for the
treatment arms compared using log-rank test. RESULTS: Between
April 2008 and July 2013, 219 pts were randomized to GemErlo and
217 to Gem. Pts characteristics are well balanced (GemErlo/Gem): age
(median 63/65 years), tumor status (T3/T4 88/86%), nodal status (N
pos 64/66%), grading (G3 33/34%). After a median follow up of 41
months (March 2015), 350 events (80%) occurred. Median treatment
duration was 22 weeks in both groups. Grade 3/4 toxicities were
(GemErlo%/Gem%): rash 7/0.4, diarrhea 5/1, nausea 2/2, fatigue 5/2,
hypertension 3/1,GGT 9/9, neutropenia 27/28, thrombopenia 5/2.
There was no difference in DFS (median: GemErlo 11.6 months, Gem
11.6 months; HR 0.89, 95%CI 0.72-1.10) or OS (median: GemErlo
24.6 months, Gem 26.5 months; HR 0.90, 95%CI 0.71-1.15). There
was no correlation between the grade of rash and an improved DFS in
the GemErlo group (median: rash grade 0-1 vs > = grade 2 12.2 vs 11.0
months; HR 0.91, 95%CI 0.66-1.25). OS curves show a late
divergence in favour of GemErlo (estimated survival after 2/3/4/5-years:
54/36/31/28% vs 53/33/22/19%). Conclusion: The combination
therapy of GemErlo for 24 weeks did not improve DFS or OS. There
is a trend in favour of long-term survival in pts treated with GemErlo.
Clinical trial information: DRKS00000247
Un dato negativo, che però può diventare importante per un sottogruppo di pazienti, è rappresentato dai risultati
dello studio tedesco CONKO-005. Lo studio prevedeva il confronto tra gemcitabina più o meno erlotinib
come trattamento adiuvante di pazienti con adenocarcinoma duttale del pancreas radicalmente resecati. Sono
stati arruolati 219 pazienti e non è stata trovata alcuna differenza in efficacia fra i due bracci. Tuttavia se si
osservano le curve si può vedere come ci sia un 10% circa di pazienti che sembra beneficiare dall’aggiunta
dell’erlotinib a 5 anni. Ovviamente non è sufficiente a fare cambiare pratica clinica ma dovrebbe spingerci a
cercare di capire quali sono quel 10% di pazienti che con tutta probabilità hanno nel sistema EGFR un driver
per la progressione tumorale. Vorrei far notare come circa il 10-15% dei tumori pancreatici sia KRAS WT e
possa avere proprio in questa via l’alterazione guida. Potremmo forse recuperare un farmaco ed una strategia per
un numero limitato di pazienti ma che sicuramente non hanno molte altre alternative.
N° 8 LUGLIO 2015
38
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
Abstract 4005 - Randomized phase II study of everolimus (E) versus everolimus plus bevacizumab
(E+B) in patients (Pts) with locally advanced or metastatic pancreatic neuroendocrine tumors
(pNET), CALGB 80701 (Alliance).
Matthew H. Kulke, Donna Niedzwiecki, Nathan R. Foster et Al.
Background: Both VEGF pathway and mTOR inhibitors are active
in pNET. Treatment with the mTOR inhibitor E improves
progression free survival (PFS), but it is not known if the addition of
a VEGF pathway inhibitor to an mTOR inhibitor enhances
antitumor activity in pNET. This randomized phase II study
evaluated E or E+B in pts with advanced pNET. Methods: Pts were
randomized 1:1 to receive either E (10 mg po qd) or E (10 mg po
qd) co-administered with B (10 mg/kg IV q 2 wks). Pts in both arms
received concurrent standard dose octreotide. The primary endpoint
was PFS. The potential superiority of E+B vs. E was assessed using a
stratified log-rank test with 90% power (1-sided α = 0.15) to detect
a HR of 0.64. Secondary endpoints included overall survival (OS),
response rate (RR), and safety. Results: 150 pts were randomized; 75
per arm. Pt characteristics were similar between treatment arms and
included: median age 59 years (range 21-86), 56% male, ECOG PS
0 (57%) and 1 (43%), prior cytotoxic chemotherapy 24%. The
median number of 28-day treatment cycles was 13 (E+B) and 12 (E),
with a range of 1-44 cycles. Median follow up was 25.9 months. Pts
on E+B experienced a higher frequency of grade 3 AEs, including
diarrhea (14% vs. 3%; p = 0.01), hyponatremia (12% vs. 3%; p =
0.02), hypophosphatemia (11% vs. 3%; p = 0.04), proteinuria (16%
vs. 1%; p = 0.001), and hypertension (41% vs. 12%; p < 0.0001).
The frequency of grade 4 AEs was 11% in both arms; a single grade
5 event occurred on E. The median PFS was 16.7 mos (E+B) vs. 14
mos (E); HR = 0.80 (95% CI: 0.55, 1.17; 116 PFS events), 1-sided
p = 0.12. The median OS was 36.7 mos (E+B) vs. 35.0 mos (E), HR
= 0.75 (95% CI: 0.42-1.33; 49 OS events), 1-sided p = 0.16.
Treatment with E+B was associated with a significantly higher RR
(31%) compared to E alone (12%), p = 0.005) Conclusions:
Treatment with E+B led to superior PFS compared to E but with
more adverse events in this randomized phase II study. The RR was
significantly higher in pts treated with E+B. The combination of E+B
warrants further investigation in pts with advanced pNET. Clinical
trial information: NCT01229943
Infine uno studio su le neoplasie neuroendocrine pancreatiche. I tumori neuroendocrini del pancreas sono
sicuramente caratterizzati da una prognosi migliore delle forme esocrine ma non le si può definire
complessivamente a buona prognosi. Ci troviamo di fronte poi ad un aumento di incidenza per cui è difficile
definirle rare. L’everolimus ha aggiunto una possibilità terapeutica ma dobbiamo considerare ancora migliorabili
i risultati. Lo studio CALGB 80701 ha valutato l’efficacia del bevacizumab in combinazione con everolimus
verso il solo everolimus in un trial di fase II randomizzato. Il razionale è molto forte in quanto i tumori
neuroendocrini hanno alterazioni dell’angiogenesi piuttosto frequenti ed in qualche modo l’inibizione della via
di mTOR e del VEGF potrebbe risultare sinergica.
Sono stati randomizzati 150 pazienti, 75 per braccio. Vi è stato un vantaggio in risposte obiettive (31% vs 17%)
e in PFS (16.7 vs 14 mesi). Il problema principale è rappresentato però da una tossicità rilevante in termini
soprattutto di diarrea, iponatriemia, ipertensione. Uno studio di fase III è auspicabile ma ritengo che il problema
della schedula e della interazione tra i farmaci debba essere ancora valutato con attenzione.
In conclusione l’ASCO 2015 è stato un momento di riflessione. Nessun cambiamento della pratica clinica ma
un forte stimolo a rivedere certi convincimenti e a disegnare nuovi trials che abbiano obiettivi “biologici” ma
anche, e soprattutto, una rilevanza clinica.
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
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BEST OF ASCO 2015 – NON COLORECTAL
CANCER: fegato - vie biliari
Bruno Daniele
Dipartimento di Oncologia - U.O. Oncologia Medica – A. O. G. Rummo - Benevento
Terapia dei tumori epatici
Abstract LBA 101 - Phase I/II safety and antitumor activity of nivolumab in patients
with advanced hepatocellular carcinoma (HCC): CA209-040.
Anthony B. El-Khoueiry, Ignacio Melero, Todd S. Crocenzi et Al.
Background: Overexpression of PD-L1 in HCC has a poor
prognosis. Safety and preliminary antitumor efficacy of
nivolumab, a fully human IgG4 monoclonal antibody PD-1
inhibitor, was evaluated in a multiple ascending-dose, phase
I/II study in patients (pts) with HCC. Methods: Pts with
histologically confirmed advanced HCC with Child-Pugh
(CP) score ≤ B7 and progressive disease (PD) on, intolerant
of, or refusing sorafenib were enrolled. Dose escalation
occurred in parallel cohorts based on etiology: no active
hepatitis virus infection or virus-infected HCC pts. Pts
received nivolumab 0.1 – 10 mg/kg intravenously for up to
two years. The primary endpoint was safety. Secondary
endpoints included antitumor activity using mRECIST
criteria, pharmacokinetics, and immunogenicity. Results:
The study has enrolled 41 pts with a CP score of 5 (n = 35)
or 6 (n = 6), ECOG score of 0 (n = 26) or 1 (n = 15), 73%
with extrahepatic metastasis and/or portal vein invasion, and
77% with prior sorafenib use. Eighteen pts remain on study,
and 23 discontinued treatment due to PD (n = 17), complete
response (CR; n = 2), drug-related adverse events (AEs; n =
2) and non-drug–related AEs (n = 2). Drug-related AEs of
any grade occurred in 29 pts (71%; 17% grade 3/4), with ≥
10% of pts experiencing aspartate aminotransferase (AST)
increase and rash (each 17%), alanine aminotransferase(ALT)
and lipase increase (each 15%), and amylase increase (12%).
Grade 3 and 4 AEs ≥ 5% were AST increase (12%), ALT
increase (10%) and lipase increase (5%). A dose-limiting
toxicity occurred in an uninfected pt at 10 mg/kg; no
maximum tolerated dose was defined in any cohort. Response
was evaluable in 39 pts: 2 CR (5%) and 7 partial responses
(PR; 18%). Response duration was 14–17+ months for CR,
< 1–8+ months for PR, and 1.5–17+ months for stable
disease (SD). Overall survival (OS) rate at 6 months is 72%.
Conclusions: Nivolumab has a manageable AE profile and
produced durable responses across all dose levels and HCC
cohorts, with a favorable 6-month OS rate. Updated safety,
antitumor activity, and biomarker data will be presented.
Clinical trial information: NCT01658878
La novità più rilevante in tema di terapia dell’epatocarcinoma (HCC) riguarda l’immunoterapia.
Sono stati presentati i risultati di uno studio di fase I/II con nivolumab. I presupposti all’impiego
dell’immunoterapia sono l’evidenza dell’upregulation di PD1 e del suo ligando PD-L1 nell’HCC
e della loro associazione ad una prognosi sfavorevole; il miglioramento della sopravvivenza indotto
da anticorpi monoclonali anti PD-1 in modelli murini di HCC; l’attività osservata con anticorpi
anti-CTLA-4 in studi di fase II nell’uomo.
I pazienti inclusi nello studio presentavano un HCC avanzato, una cirrosi epatica in buon
compenso funzionale (Child-Pugh A o B7) e nel 68% dei casi erano già stati trattati con
sorafenib. Ai fini della dose escalation, i pazienti sono stati distinti in tre coorti distinte (senza
infezione virale, con infezione da HCV e con infezione da HBV). I risultati presentati sono
quelli di un’analisi ad interim di Marzo 2015 e riguardano 47 pazienti. Nella fase I è stata
identificata la dose di 3 mg/kg come quella da usare nella fase di espansione sia per i pazienti
senza infezioni virali sia per quelli con infezione da HCV. La fase I non è ancora conclusa per i
pazienti con infezione da HBV. Il trattamento è stato ben tollerato: non si sono osservati eventi
N° 8 LUGLIO 2015
40
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
avversi (AE) di grado 5 e un solo AE di grado 4 (incremento asintomatico della lipasi). Gli AE di grado 3 hanno
riguardato prevalentemente alterazioni asintomatiche di esami di laboratorio (transaminasi, lipasi) e in un caso
ciascuno anemia e fatigue. Interessante è stato il tasso di risposte osservato (19%) con due casi (5%) di risposta
completa. Il 70% dei pazienti era vivo a 9 mesi e il 62% a 12 mesi.
Questo studio dimostra che il nivolumab ha un profilo di tossicità accettabile nei pazienti con HCC, anche in
quelli con infezione da HBV o HCV, ed una interessante attività e giustifica l’avvio di una fase di espansione
che è attualmente in corso. Nel complesso, i risultati di questo studio rendono incoraggiante la prospettiva
dell’immunoterapia dell’HCC, così come sta avvenendo in molti altri tumori solidi.
Abstract 4019 - The protective effect of hormonal intake on risk of hepatocellular carcinoma in the
United States.
Gehan Botrus, Ahmed S Shalaby, Ahmed Omar Kaseb et Al.
Background: In the United States, the incidence of hepatocellular
carcinoma (HCC) has been tripled over the last two decades. Despite
the overwhelming effect of several environmental risk factors of this
cancer, the association between oral contraceptive (OC) and hormone
replacement therapy with HCC has been poorly investigated. The
current study aimed at addressing such association among American
women. Methods: Under the IRB approval from the University of Texas
MD Anderson Cancer Center, we conducted hospital-based case-control
study where cases are pathological or radiological diagnosed patients with
HCC. Controls are spouses of patients at MD Anderson who had
cancers other than GI cancers. Between 2005 and 2014 total of 235
female cases and 257 female controls were enrolled. Cases and controls
were interviewed for lifetime intake of OC, hormonal replacement, type
of hormone, method of hormonal use, and duration of exposure. We
performed multivariate logistic regression analyses by using all variables
that were significant at P < .05 in the univariate analyses to estimate odds
ratio (OR) and 95% confidence interval (CI). The estimated ORs were
adjusted for age, race, diabetes, hepatitis C virus, hepatitis B virus,
cigarette smoking, alcohol drinking, and family history of cancer.
Results: Ever use of OC was reported by 75.1% of the controls and
61.3% of the cases (P= .001) leading to 43% reduction in HCC risk
where the estimated OR (95% CI) was 0.57 (.35-.91). Ever intake of
estrogen hormone during lifetime was recalled by 49.8% controls and
30.6% cases (P =.001) yielding 62% reduction in HCC risk, OR (95%
CI) = .38 (.24-.59). Combined hormonal use from OC and estrogen
hormonal replacement was reported by 89% of the controls and 75%
of cases. The estimated OR (95% CI) was .47 (.27-.84), P= .01. A dose
response relationship was observed with duration of exposure where the
estimated OR (95% CI) were .53 (.28-1), .37 (.16-.83), and .35 (.19.64) for lifetime years of exposure of < 5, 5-10, and > 10 years respectively.
Conclusions: This is the largest study in USA showing protective effect
of hormonal use on HCC. Experimental investigations are necessary for
thorough assessment of the relationship between hormonal exposure
and risk of HCC in females.
L’incidenza di HCC è notevolmente superiore negli uomini rispetto alle donne (da 3:1 a 4:1) e questo dato,
insieme alla presenza di recettori per gli estrogeni nell’HCC, in passato ha portato all’esecuzione di studi di
terapia ormonale (tamoxifen, ecc) che tuttavia non hanno indotto alcun beneficio. Uno studio caso-controllo
del MD Anderson Cancer Center su 492 donne (235 casi e 257 controlli) ha evidenziato che l’uso di
contraccettivi orali riduce il rischio di HCC del 43% mentre la terapia estrogenica sostitutiva lo riduce del 62%.
Inoltre sembra esserci un rapporto dose/risposta in quanto il rischio si riduce progressivamente con l’aumentare
della durata dell’esposizione agli estrogeni, da una riduzione del 47% per una durata inferiore ai 5 anni fino al
65% per una durata superiore ai 10 anni. Questi dati riaprono il capitolo del ruolo degli estrogeni nella genesi
dell’HCC.
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
41
Abstract 4011 - Hepatitis B- and C-associated hepatocellular carcinoma in a large U.S. cancer center:
Do clinicopathologic features or patient outcomes differ by the potentially causative viruses?
Marc Isamu Uemura, Ahmed Omar Kaseb, Reham Abdel-Wahab et Al.
Background: Hep B virus (HBV) and hep C virus (HCV) are the main
viral causes of hepatocellular carcinoma (HCC) development and are
responsible for ~50% of USA cases. Because HBV is a DNA virus
(Hepadna family) and HCV is an RNA virus (flavivirus family), it is
unclear whether such virologic differences influence clinico-pathologic
features of HCC or patient outcomes. We evaluated such differences in
a large-scale, single-center study. Methods: Between 1992 to 2011, 815
HCC patients (HCV = 472, HBV = 343) were referred for treatment
at the Univ. of Texas MD Anderson Cancer Center. Under IRB
approval, detailed patient characteristics at time of diagnosis were
documented. Chi-square tests were used to assess the significance of
differences in the distributions of categorical variables between HBV
and HCV groups. Median survival (mos.) was calculated using Kaplan
Meier product-limit method and survival rates were compared using the
log rank test. Results: 63% of patients were Texas residents with male
to female ratio = 3:1. Patients with HBV were more likely to develop
HCC at younger age than HCV patients, with poorly differentiated
tumor (PDT), portal thrombosis (PT), larger tumor size (> 5 cm),
extensive liver involvement (> 50%), high alpha-fetoprotein, and
advanced CLIP stage (3-6). On the other hand, patients with HCV were
more likely to exhibit underlying cirrhosis, have a history of greater
alcohol and cigarette use, and had higher co-occurrence of diabetes
mellitus (DM). One-year survival rates were similar between both groups
(43.3%) and median survivals were 10.9 and 9.3 mos. for HCV and
HBV, respectively (P = 0.9). Conclusions: Significant clinico-pathologic
variations exist in HCC patients associated with HCV vs HBV, which
may impact patients’ eligibility for treatment, but not prognosis.
Le infezioni da HBV e da HCV sono le principali cause di HCC, la prima è la principale causa di HCC in Asia
mentre in occidente prevale l’HCV. I due virus agiscono con meccanismi patogenetici diversi e potrebbero essere
associati a storie naturali diverse. Inoltre, alcuni dati di trial clinici suggeriscono differenze di outcome tra gli
HCC in base al tipo di eziologia virale. Uno studio retrospettivo del MD Anderson Cancer Center ha valutato
le caratteristiche clinico-patologiche e di outcome di 815 casi di HCC ad eziologia virale [472 HCV (58%) e
343 HBV (42%)] diagnosticati dal 1992 al 2011. I risultati dimostrano che i pazienti con HCC correlato ad
HBV sono più giovani ed hanno una neoplasia più avanzata (dimensioni e volumi maggiori, maggiore incidenza
di invasione portale), ma sono meno frequentemente cirrotici. La sopravvivenza mediana dei pazienti con HCC
correlato all’HBV è minore (9,3 mesi) rispetto a quelli con infezione da HCV (10,9 mesi) ed anche il tempo
alla progressione tumore è più breve, in particolare durante trattamento con sorafenib (3,8 vs 7,6 mesi). Questi
dati, sebbene retrospettivi e relativi a casi diagnosticati nell’arco di 20 anni, indicano una prognosi peggiore per
i pazienti con HCC da HBV e suggeriscono l’opportunità di una stratificazione per tipo di infezione nell’ambito
dei trial clinici.
Terapia dei tumori delle vie biliari
Abstract 4072 - Pazopanib (P) and trametinib (T) in advanced cholangiocarcinoma (CC): A phase Ib study.
Rachna T. Shroff, Ashley O'Connor, Denise Gallagher et Al.
Background: CC is an aggressive disease with a dismal prognosis and
no clear therapy in the refractory setting. Mek inhibition and antiangiogenic therapies have shown modest activity in advanced CC, while
dual inhibition of these pathways has not been evaluated. We
investigated the safety of combining of P+T in a phase I trial (previously
reported). 2 patients (pts) with CC were enrolled during dose escalation
with 1 prolonged partial response (PR) and the other with stable disease
(SD). Based on this possible signal, we evaluated the safety and efficacy
of this combination in an expansion cohort of 25 advanced, pre-treated
CC pts. Methods: P+T were administered daily for a 28-day cycle with
radiographic imaging performed every two cycles. Patients were
monitored for toxicity throughout. The primary endpoint was
progression-free survival (PFS) with secondary endpoints including
overall survival (OS), response rate (RR) and disease control rate (DCR,
N° 8 LUGLIO 2015
42
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
partial response + stable disease). Results: 25 patients were enrolled
(median age = 62, 20 evaluable for response). The median follow-up
was 8.9 months with pts having received a median number of 2 prior
therapies (range 1-9). The most common grade 3/4 toxicities attributable
to study drugs included: rash, thrombocytopenia, hypertension, fatigue
(all n = 3), and elevated LFT’s (n = 2). ORR was 5% with a DCR of
75% (15/20 pts). Median PFS was 4.3 mths (95% CI: 3.5-7.6) with a
4-mth PFS of 56% (p < 0.002 compared with a pre-specified null
hypothesis rate of 25%). Median OS was 6.7 mths. Conclusions: P+T
was well tolerated with evidence of activity in refractory CC. Further
studies are needed to assess the benefit of combining anti-angiogenic
therapy with Mek inhibition and to explore a potential molecular
phenotype in which this combination may provide a clinically
meaningful benefit. This study was approved and funded by the National
Comprehensive Cancer Network (NCCN) Oncology Research Program from
general research support provided by GlaxoSmithKline.Clinical trial
information: NCT01438554
La terapia biologica del colangiocarcinoma intraepatico segna il passo e l’unico studio di interesse presentato
all’ASCO è uno Studio di fase Ib con l’associazione di pazopanib e trametinib in 25 pazienti con
colangiocarcinoma pretrattato. L’associazione è stata tollerata abbastanza bene. Le tossicità di grado 3/4 sono
state rash, piastrinopenia, ipertensione, fatigue ed incremento degli enzimi epatici. L’attività è stata modesta,
con un tasso di risposte obiettive del 5% e un disease control rate del 75%. La sopravvivenza libera da
progressione è stata di 4,3 mesi e la sopravvivenza mediana di 6,7 mesi. Sulla base di questi risultati l’associazione
della terapia antiangiogenica con l’inibizione di Mek può rappresentare una strada da esplorare in futuro.
New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
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PILLOLE DA CHICAGO 2015. O MEGLIO:
COMPRESSE…
Alberto Zaniboni
Fondazione Poliambulanza, Brescia.
Protetto dallo schermo del mio PC, che non mi ha fatto travolgere dall’ondata dell’immunotzunami che ha squassato il McCormick di Chicago (nostalgia solo del suo retro, a bordo lago,
sigaro e birretta… ma tanto ha piovuto pesantemente!) ho dato la consueta scorsa agli abstracts
dell’Annual Meeting.
Di seguito alcuni rimandi che mi hanno incuriosito e che vi segnalo.
• La Pet al Fluoro-beta17 Estradiolo è un buon mezzo che nell’immediato futuro ci permetterà
di visualizzare in maniera dinamica la malattia metastatica mammaria ER+ nel suo divenire
e nella sua eterogeneità. Potrà essere una metodica complementare alla miriade di
informazioni che raccoglieremo con CTC e ctDNA (Abst 527).
• La Vitamina D (e suoi analoghi) è un potente inibitore della proliferazione cellulare in vitro
sempre nel tumore mammario (Abst 534). Si è parlato parecchio di questa classe di vitamine
come sapete nel carcinoma del colon al pari dell’ASA. Ho trovato inquietante la segnalazione
dei Colleghi del MSKCC sull’uso di un “cognitive computing system”, sorta di intelligenza
artificiale che dovrebbe supportare l’oncologo nelle sue scelte terapeutiche (Abst 566).
Carissima Fornero, quanto ti sto… ”ringraziando”…! Forse farò in tempo anche io!
• Il Cabozantinib, un multi TKI, pare promettente nel TNBC (Abst 1080).
• Oltre ai celebrati fasti del Pembrolizumab nei tumori colorettali MSI-H (LBA 100), anche
una strategia vaccinale per lo stesso gruppo di tumori pare promettente, anche in un ottica
di prevenzione dei tumori associati alla sindrome di Lynch (Abst 3020).
• Uno studio Svedese suggerisce che l’utilizzo di antistaminici di seconda generazione (i.e.
Loratadina) dopo la diagnosi di tumore mammario correli con una prognosi migliore (Abst
3062). Sospetto (senza l’aiuto del marchingegno del Memorial di cui sopra) che
l’immunologia giochi un ruolo anche qua…
•
Ancora sui tumori del colon MSI-H. Sia le forme sporadiche che quelle associate alla Lynch
esprimono valori elevati di Timidilato Sintetasi. Plausibile pensare sia un motivo valido per
spiegare la scarsa efficacia del 5-FU. (Abst 2597).
• Nel tumore gastrico, il regime FLOT (5-FU, Acido Folico, Oxaliplatino e Taxotere), che
utilizzo largamente nella mia pratica clinica, pare veramente imporsi per efficacia e
maneggevolezza (Abst 4061).
N° 8 LUGLIO 2015
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New Era Opened Medical Oncology Progress & Perspectives
• Dopo una buona risposta al Folfirinox nel tumore avanzato del pancreas, una terapia di mantenimento con
capecitabina pare promettente e oggetto di studi confirmatori (Abst 4120). Nel NSCLC la valutazione di
ERCC1 si conferma predittivo per l’attività di CDDP+Gemcitabina (Abst 8036). Analogamente, il dosaggio
nei globuli rossi del metiltetraidrofolato correla con la risposta al Pemetrexed (Abst 8037).
• La mutazione EGFR T790M che correla con la resistenza ai TKI nel NSCLC, potrà essere monitorata nel
ctDNA urinario, così come la traslocazione EML4-ALK, bersaglio del crizotinib, può essere ricercata nelle
piastrine circolanti (Abst 8082). Buone notizie per tutti quei casi caratterizzati da paucità di cito-tissutale
da poter esaminare.
• Avendo un trascorso professionale in Ematologia, mi ha molto incuriosito un’analisi effettuata al MD
Anderson relativa all’attitudine a trattare attivamente pazienti con PS 3-4 ed aspettativa di vita di 1-3 mesi,
confrontando ematologi ed emolinfopatie vs Oncologi e tumori solidi. Bene, gli ematologi sono risultati
avere una maggior propensione degli oncologi a trattare “attivamente” questa classe di pazienti, cosa che è
assolutamente in linea con quanto ho sperimentato personalmente (Abst 9524). Le motivazioni speculative
sono sicuramente interessanti e da approfondire.
Personalmente non ho trovato molto altro, muovendomi al margine degli entusiasmi suscitati dai progressi
trasversali dell’immunoterapia che ha portato con sé il dibattito sul “value” dei trattamenti oncologici innovativi
ma costosissimi (un anno di pembrolizumab al dosaggio impiegato nel carcinoma del colon MSI-H costa negli
USA circa un milione di dollari/paziente di solo farmaco).
Per il momento mi sono accontentato di farmi portare per uso personale una confezione di ASA, compresse da
81 mg, contenente 500 cpr. del costo di US $ 9.99 (Duane Reade).
Per la Vitamina D mi sono ripromesso di pensarci sopra ancora un po’, mentre per il Pembrolizumab ho deciso
di cambiare prima la Yaris.
Al prossimo ASCO!
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