ALCUNE NOTE SULLA LINGUA EBRAICA IN RUGGERO BACONE P. Dozio Ruggero Bacone nasce probabilmente nei dintorni di Ilchester o di Gloucester tra il 1210 e il 12201 e muore nel 1292 dopo aver composto la sua ultima opera, il Compendium Studii Theologiae. Insieme ad essa, noi possediamo la cosiddetta “trilogia” di Bacone, l’Opus Majus, l’Opus Minus e l’Opus Tertium, scritte tra il 1266 e il 1268 e inviate al Papa Clemente IV unitamente ad una Lettera1a. Queste opere non sono lo Scriptum principale chiesto dal Pontefice, ma il Tractatus praeambulus del grandioso progetto enciclopedico baconiano. Clemente IV, però, morì nel 1268 e il progetto non venne mai portato a termine. Negli anni successivi Bacone scrisse a Oxford i Communia Mathematica e i Communia Naturalium e, nel 1272, il Compendium Studii Philosophiae. L’enciclopedia progettata da R. Bacone, di cui la trilogia giunta a noi è solo un’introduzione, un discorso preliminare e, di conseguenza, il punto di partenza della visione baconiana sul sapere, si proponeva di offrire una “synthèse totale du savoir, scientifique, philosophique et religieux”2: una “visione globale e unitaria di tutto il sapere”3. Globale, in quanto implicava l’assunzione e l’utilizzo di diverse scienze e unitaria, in quanto le varie discipline rimandavano ad un’unica fonte. Infatti: “Tutta la sapienza è stata data da Dio ad un mondo e per un fine” – scrive nell’Opus Majus (I, p. 33)4. 1. Tra il 1210 e il 1214 secondo A.G. Little, Roger Bacon Essays, Oxford 1914, mentre T. Crowley, Roger Bacon, the problem of the soul in his philosophical Commentaries, Louvain 1950 colloca l’anno di nascita nel 1220. Per informazioni biografiche più approfondite cf. S.C. Easton, Roger Bacon and his search for a universal science, Oxford 1952. 1a. Cf. E. Bettoni, Lettera a Clemente IV, Milano 1964 (testo latino e traduzione italiana). 2. É. Gilson, La philosophie au moyen âge. Des origines patristiques à la fin du XIVe siècle, Paris 19522, 482. 3. J.A. Merino, Storia della filosofia francescana, Milano 1993, 165. 4. Di quest’opera utilizzeremo soprattutto il testo edito nel volume supplementare di: J.H. Bridges (ed.), The ‘Opus Majus’ of Roger Bacon. With Introduction and Analytical Table. Supplementary Volume: containing revised text of first three parts, corrections, emendations, and additional notes, London - Edinburgh - Oxford 1900 [rist. Frankfurt am M. 1964]. Cf. anche l’edizione critica precedente: Id., The ‘Opus Majus’ of Roger Bacon. With Introduction and Analytical Table, I-II, London - Edinburgh - Oxford 1897 [rist. come sopra]. Il primo testo lo citeremo apponendo una piccola ‘s’ (supplementum) in questo modo: Op. Maj.s. LA 46 (1996) 223-244 224 P. DOZIO La sapienza è dono di Dio, fonte e fine di ogni sapere, perciò “tutto ciò che chiamiamo conoscere e sapere non è altro che una scoperta e una riconoscenza riverente di quel dato che è il testo e la parola di Dio”5. Le diverse discipline, quali la filosofia, la teologia e il diritto canonico, devono quindi convergere in quella perfetta sapienza che è contenuta nella Sacra Scrittura. Unite ad esse, la matematica, la fisica, l’ottica, l’astrologia… e soprattutto la “linguistica”, ovvero la filologia, la conoscenza della grammatica e delle lingue straniere, giocano un ruolo fondamentale, sia perché senza queste scienze “nec divina nec humana sciri possunt, quorum certa cognitio reddit nos faciles ad omnia cognoscenda” (Op. Maj.s, III, p. 80), sia perché contribuiscono a spiegare la liturgia, le formule usate nei sacramenti e nella consacrazione, a illuminare la storia futura della chiesa, a instaurare rapporti fra le chiese e con le nazioni straniere (Op. Maj.s, III, pp. 115-125). Tra le lingue straniere, quelle bibliche vengono poste in primo piano in quanto l’origine di tutta la sapienza e conoscenza deve essere cercata nel “Sacro Textu” e per il fatto che “omnes textus facti sunt primo in Hebraeo bis (scil. Hebraeo et Chaldaeo), tertio in Graeco, quarto in Arabico” (Comp. Studii Phil., VIII, p. 465). Nessun testo sacro è stato invece redatto nella lingua latina. E aggiunge il Dottor Mirabile: “Cum igitur totus textus sapientiae sit factus in aliis linguis, et dulcius ex ipso fonte bibuntur aquae quam in rivulis turbidis, atque vinum purius est et sanius, atque virtuosius dum in primitivo vase tenetur, quam quum de vase in vas transfunditur, manifestum est necessarium fore Latinis, ut si volunt puro, et sano, et efficaci sapientiae liquore potari, quod in fonte Hebraici sermonis, et Graeci, et Arabici, tanquam in primitivis vasis, discant sapientiam exhaurire” (Comp. Studii Phil., VIII, pp. 465-466). Sulla lingua ebraica, poi, scrive: “Dio ha rivelato la filosofia prima ai suoi santi, ai quali diede la Legge, giacché la filosofia era utile alla legge di Dio per la sua comprensione, promulgazione, accoglienza, difesa e per molti altri modi; ed è per questa ragione che fu consegnata, completa in ogni dettaglio, nella lingua ebraica”6. Di Ruggero Bacone possediamo una grammatica di lingua greca7, due testi che contengono alcune note grammaticali sulla lingua ebraica e vari 5. Merino, Storia della filosofia francescana, 167. 6. Opus Tertium X, p. 32: “Revelavit igitur Deus primo philosophiam sanctis suis, quibus et legem dedit; nam philosophia utilis est legi Dei, ad intellectum, ad promulgationem, ad probationem, ad defensionem, et multis aliis modis, ut patet per opera quae scribo. Et ideo primo tradita est principaliter et complete in lingua Hebraea”. 7. Cf. E. Nolan - S.A. Hirsch, The Greek Grammar of Roger Bacon and a Fragment of His Hebrew Grammar, Cambridge 1902, 1-196; J.L. Heiberg, “Die griechische Grammatik Roger Bacon”, Byzantinische Zeitschrift 9 (1900) 479-491. 225 LA LINGUA EBRAICA IN RUGGERO BACONE commenti sui termini ebraici. Dei due testi, il primo si trova nel capitolo terzo della parte terza dell’Op. Maj.s8, mentre il secondo è il Codice Ff. VI. 13 della biblioteca universitaria di Cambridge9. In questo articolo leggeremo questi brani in sinossi unitamente a due versetti vetero-testamentari trascritti in ebraico. L’alfabeto ebraico Sia l’Op. Maj.s che il Cod. di Cambridge introducono i commenti grammaticali con uno schema dell’alfabeto ebraico. Ecco dapprima il testo dell’Op. Maj.s preceduto dalla descrizione delle due linee che sovrastano le “figure” ebraiche: (§ 1)10 Et primo scribuntur figurae Hebraici alphabeti, secundo in linea superiori ponuntur nomina, et supremo assignantur literae nostrae quae literis Hebraicis correspondent; ut literarum Hebraicarum sciamus virtutes et potestates sonorum secundum quod quaedam sunt vocales, quaedam consonantes. z v e d g b a zain vaf he dalet gimel bet aleph z w h d g b a m l ch ch i t h mem uverte lamet chaf chaf iot teis heis m l ˚ k y f j s s sazake dreite sazake torte ≈ x a s n n m ain samech nun dreite nun torte mem close [ s ˆ n µ t s r k p p taf sin ris kof pe pe t ç r q π p 8. La sezione sulla lingua ebraica si trova alle pp. 89 (linee 29-30) - 90 (linee 1-16). 9. Il codice è stato pubblicato da S.A. Hirsch nell’ultima parte del volume: Nolan - Hirsch, The Greek Grammar, 202-208. 10. La numerazione in carattere corsivo distinguerà l’Op. Maj.s dal Cod. di Cambridge. 226 P. DOZIO Ecco invece l’inizio del Cod. di Cambridge, così come è riprodotto nel volume di E. Nolan - S.A. Hirsch: (§ 1) ha he hi ho hu he. d deleth. ha he hi ho hu heth. z zain. g gimel. b beth. vo vav. m meyn primum l lamed. ph phe primum. aeiou ain. aei ou aleph. n nun secundum. ch caph secundum. s samech. ch caph primum. i ioth t teth n nun primum. m mein secundum. s sadich primum. ph phe secundum. t tav. s sin. r res. coph. s sadich secundum. È evidente che il Cod. fu redatto da un copista che non conosceva la lingua ebraica e che trascrisse il testo, probabilmente disposto in cinque linee, leggendolo da sinistra a destra. La disposizione originaria era presumibilmente la seguente: k ˆ h y n x t d f µ π ç g j m p r b z l [ q a w ˚ s ≈ I due alfabeti contengono tutte le consonanti ebraiche, compresi i grafemi finali di parola, sebbene solo l’Op. Maj.s riporti i caratteri ebraici. Anche le lettere latine, “quae literis Hebraicis correspondent” (§ 1), sono quasi identiche nei due schemi. Le uniche variazioni si rilevano nelle trascrizioni della lettera p (p / ph) e delle gutturali che il Cod. indica con cinque vocali, mentre l’Op. Maj.s con una sola, anche se in quest’ultimo testo leggiamo che [ j h a “habent sonum quinque vocalium nostrarum” (§ 7). In entrambi i testi, invece, non compare né la doppia scrittura e fonìa delle cosiddette begadkefat, né la distinzione grafica e soprattutto timbrica delle lettere åin (v) e ¬in (c). I punti diacritici sulla consonante ç indicano, secondo Bacone, una differenza nella componente fonica del volume: debole / forte (§ 23). Il Dottor Mirabile, LA LINGUA EBRAICA IN RUGGERO BACONE 227 in effetti, non si discosta dalla lunga lista dei grammatici medievali ebrei che utilizzano il grafema ç senza apporre alcun segno diacritico, anche se costoro si riferiscono quasi sicuramente alla lettera åin, che corrisponde alla sc della parola italiana scena11, mentre Bacone sembra seguire le indicazioni di Girolamo sia per questo grafema, sia per le consonanti x e s: Siquidem apud Hebraeos tres s sunt litterae: una, quae dicitur samech, et simpliciter legitur quasi per s nostram litteram describatur: alia sin, in qua stridor quidam non nostri sermonis interstrepit: tertia sade, quam aures nostrae penitus reformidant12. Nei due schemi vi è probabilmente un errore: mein / meyn (Cod.) per mem (Op. Maj.s) e alcune preferenze grafemiche nei nomi delle consonanti. L’Op. Maj.s predilige la lettera f (vaf, chaf, kof, taf, ma: aleph) e la t (dalet, bet, iot), mentre il Cod. le lettere v - ph (vav, caph, coph, tav, aleph) e la th (deleth, beth, ioth). È difficile esprimere un’opinione su queste variazioni. Possiamo però rilevare che tutti i suoni coinvolti (f / v; t / th) sono, foneticamente, molto simili. Altre differenze: teis / teth (f), heis / heth (j), lamet / lamed (l), sazake / sadich (x), ris / res (r)13. Vocali e consonanti14 (§ 2) Sciendum quod sunt ille vocales, super quas vocales nostre scribuntur. (§ 3) Et sunt sex, ut aleph, he, vav, heth, iod, ain, (§ 2) Sunt autem sex vocales, aleph, ain, he, heth, iot, vav; reliquae sunt consonantes; 11. Il Sefer Yeßirah, per esempio, indicando le “tre madri della lingua”, cioè çma, spiega che a corrisponde all’aria (rywa), m all’acqua (µym) e ç al fuoco (va). Sa„adia Ga∑on (882-942) è ancora più esplicito nel suo Commento al Sefer Yeßirah perché indica anche le sei combinazioni di queste lettere (çma = ieri sera, µça = peccato, açm = usura ecc.), dove il grafema ç è chiaramente v. 12. Liber interpretationis hebraicorum nominum (CCSL LXXII, 71). 13. Le variazioni grafiche aumentano se consultiamo il Comp. Studii Phil., VI, p. 436, dove abbiamo: jod, resh, lameth e al cap. VII, p. 445: vau. 14. Sulla sinistra riportiamo il testo del Cod. di Cambridge, base della sinossi, mentre sulla destra il brano dell’Op. Maj.s. 228 P. DOZIO (§ 4) set quatuor, scilicet aleph, he, heth, ayn, sonant omnes vocales nostras sicut supra notatum est, (§ 5) set vav non valet nisi v et o, (§ 6) iod i tantum. (§ 7) Et hec noscuntur per signa quedam, verbi gratia de aleph, a a e e e e e e o u a' a; ae a] a, a‘ a'*U ae ao au (§ 8) et sic de he et heth et ain. (§ 9) Set vav sonat v vocalem et o vocalem, wU , / , vav tamen habet v vocalem non solum per tria puncta set per unum in ventre, sic W. (§ 10) Omnes alie sunt consonantes ut patet per consonantes nostras supra positas quas habent sonare. (§ 11) Set habent duo t, unum simtav plex ut theth, et unum aspiratum ut th, et habent ch ut caph, et c simplex, ut coph. (§ 7) Reliqua quatuor (ossia: [ j h a) habent sonum quinque vocalium nostrarum scilicet a e i o u, sicut patet per Hieronymum in libro interpretationum. (§ 6) V vero, ut dicit Hieronymus in Hebraicis quaestionibus, habet duplicem sonum, scilicet v nostrum et o. (§ 5) Sed considerandum quod solum iot habet unum sonum, scilicet j, sicut j nostrum, et fit consonans et vocalis sicut j apud nos. (§ 8) Et hanc diversitatem sonorum designant per puncta et tractus. Nam si sub aleph trahatur linea sine punto sic, a', vel cum puncto sub linea sic, ai ', sonatur a. Si vero duo puncta fiant jacentia sub aleph ex transverso, ae, vel duo stantia, a] , vel tria in modum trianguli, a,, vel quinque puncta hoc modo, a‘, sonatur e. Si vero tria puncta jacentia sub aleph ex obliquo descendentia sic, au, sonatur u. Si vero unus punctus ponatur sub litera, ai, sonatur i. Si vero unus punctus fiat supra, sonatur o, sic ao. (§ 9) Et ita est de ain et he et heth, quod habent hos quinque sonos per istorum signorum diversitatem. (§ 10) Et cum vaf sonat u, potest esse signum trium punctorum ut dictum est sic, wU, vel potest poni unus punctus in ventre sic, W. (§ 2) ...reliquae sunt consonantes; 229 LA LINGUA EBRAICA IN RUGGERO BACONE (§ 12) Et habent quinque dupplicatas in figuris, set non nomine nec sono, ut caph, meyn, nun, phe, sadic, quas ideo habent quia principium vel medium dictionis scribunt per mediam figuram, et finem per secundam. Sic meyn quod est nomen littere habet in principio meyn primum et apertum, in fine meyn secundum et clausum, et sic de aliis dupplicatis. (§ 13) Et tamen hebrei dicunt phe in una figura et in alia p, set hoc non est hebraicum nisi in Apethno ut in XI° Danielis, sicut dicit Jeronimus. Judei vero sonant nunc p sicut nos, quia conversati sunt inter nos a destructione Ierusalem. Set hoc non est secundum formam eorum naturalem, et hoc etiam patet quia non habent diversum sonum. (§ 14) Caph tamen secundum diversificant a primo in nomine set non in sono15 secundum modum eorum antiquum, licet tamen moderni Iudei diversificant aliquantulum in sono caph primi a secundo, set hoc est contra naturam. (§ 15) Aleph sonat in ore sine aspiracione, ain in gutture sine aspiratione. (§ 16) Set he et heth habent aspirationem; he unam, heth dupplicem, et he sonat in ore, heth in gutture. (§ 17) Et patet ex alphabeto que sunt semivocales et que liquide et mute per literas nostras suprascriptas. (§ 21) Sciendum quod non solum punctant vocales pro sonis diversarum vocalium habendarum, set consonantes, quia raro scribunt per vocalem, set in pluribus consonantes. Et ideo oportet quod signa vocalium habendarum ponantur sub consonantibus, quia noluerunt quod alie gentes legerent libros suos. Et tamen aliqui sapientes philosophi scientes hebreum temptaverunt transferre historiam sacram, set deus flagellavit eos, ut Josephus docet. (§ 4) Aleph similiter in ore et ain in gutture. (§ 3) he et heth aspirantur ut he in principio, heth non solum in principio sed in fine, et heth generatur in gutture, he in ore. (§ 11) Quoniam autem parum scribuntur per figuras vocalium, et quando per eas scribitur, adhunc ponunt signa praedicta. Ideo oportet sciri quod ad consonantes ponunt haec signa ut sciatur sonus vocalis syllabicandus cum consonante, ut si volo designare ba, be, bi, bo, bu, scribam: ba be bi bo bu b; b, bi bo Bu Item habent alia signa per quae designant sonos consonantium aliquando fortificari, aliquando remitti. 15. Prob.: “Caph tamen secundum diversificant a primo in figura set non in nomine nec in sono”. 230 P. DOZIO Le vocali I due testi descrivono le vocali e le consonanti indicate negli schemi. Le sei lettere dell’alfabeto [ y j w h a (§ 3.2) “sunt vocales”, non appartengono quindi al gruppo delle consonanti (§ 2: “reliquae sunt consonantes”). È difficile comprendere se, per Bacone, tali lettere siano vere e proprie vocali, o grafemi utilizzati al posto delle vocali (una sorta di matres lectionis), oppure grafemi che danno particolari sfumature timbriche alle vocali (vedi infra). Qualunque sia l’interpretazione, siamo dinanzi a un modo curioso, ma non corretto, di presentare le vocali: un sistema che, secondo Hirsch, “non è adottato da altri autori medievali 16, ma che, a nostro parere, sembra essere desunto dalle opere di Girolamo. Delle sei lettere ebraiche, [ j h a ricevono i cinque suoni vocalici a e i o u (§ 4.7), y solo il suono i (§ 6.5), mentre con la lettera w si esegue sia il fono u, sia o (§ 5.9 e 6.10). I paragrafi 7.8 precisano, poi, i vari segni vocalici. L’unica vocale che non compare nei due testi è l’˙å†ëf qåmëß (a’). e i Nel Cod. (§ 7), la settima ( a')*U e l’ottava vocale (ae) sono, secondo Hirsch, a i errori per a} e ai, mentre tutte le altre vocali sono corrette. Lo studioso inglese sostiene che Bacone conosceva la vocale a} perché si riscontra nella citazione ebraica di Gen 32,29 (Op. Maj., p. 83), ma nella revisione dell’edizione critica, ad opera del medesimo editore (cf. nota 5), il termine ebraico citato viene trascritto µ]yVinæa], con åewå e non più con ˙å†ëf pata˙. Vi è però, sempre nell’Op. Maj.s (§ 13), un ˙å†ëf pata˙ nel pronome relativo rv,a}, che sembra confermare il pensiero dello studioso inglese. Dobbiamo però aggiungere che secondo Bacone questa vocale non si pronuncia a, bensì e, come testimoniano le trascrizioni esser / eser (= rv,a}) sia nel Cod. (§ 24) che nell’Op. Maj.s (§ 13) e, in quest’ultimo luogo, incontriamo: iobedu (= WdÉb}ayo). Questo significa che l’errore del copista concerne, come per l’ottava vocale (ai al posto di ae), solo il testo ebraico (a'*U per a}) e non la trascrizione latina della vocale. Per Bacone, in definitiva, l’˙å†ëf pata˙ corrisponde alla vocale e. Questa particolare esecuzione fonica non si riscontra in nessuna tradizione ebraica di lettura del testo biblico (aschenazita, sefardita o yemenita), perché tale vocale veniva presumibilmente pronunciata con una a brevissima. L’unico autore che può aver influito su Bacone sembra essere Girolamo, il quale, utilizzando un testo non vocalizzato, trascrive l’˙å†ëf pata˙ talvolta con e, talvolta con a17. 16. Nolan - Hirsch, The Greek Grammar, 200. LA LINGUA EBRAICA IN RUGGERO BACONE 231 Fra queste descrizioni di Bacone, quella che suscita maggiore curiosità è, senza dubbio, quella che definisce “vocales” i sei grafemi [ y j w h a. A nostro avviso, il punto di partenza per comprendere tale affermazione è ancora l’opera di Girolamo. Bacone ha probabilmente tra le mani il testo biblico vocalizzato o, per lo meno, alcune parti di esso, e non solo mette a confronto le trascrizioni di Girolamo con il testo ebraico in suo possesso, ma anche rielabora le informazioni grammaticali sparse negli scritti di quest’ultimo. Il Dottor Mirabile constata che il grafema y viene sempre traslitterato da Girolamo con i o j, mentre w con la vocale u, quando la lettera ha tre punti (wU) o un punto “in ventre” (W), e con o (/) (§ 5.9 e 6.10). Infatti Girolamo, discutendo il nome Efron (Gen 23,26), scrive: “uau litera, quae apud illos pro o legitur”18 e, in un altro passo, citando il nome Duma (Is 21,11) afferma: “uau quippe littera et pro u, et pro o, in eorum lingua accipitur”19. Per le gutturali, invece, ecco cosa scrive Girolamo: Gomorra populi timor siue seditio. Sciendum quod G litteram in hebraico non habet, sed scribitur per uocalem [20. Gaza fortitudo, sed sciendum quod apud Hebraeos non habeat in principio litteram consonantem, uerum incipiat a uocali ain, et dicatur Aza21. Non ci soffermiamo a commentare queste descrizioni della lettera [22, ma ci mettiamo nei panni di Bacone che legge e riflette su di esse. La [ è una uocalis littera, si trascrive con i grafemi vocalici latini e riceve diversi suoni indicati “per puncta et tractus” (§ 8). La medesima affermazione vale anche per la lettera a che è resa con le vocali latine e, in pochi casi, con h23. 17. Cf. Comm. in Esaiam. Libri I-XI (CCSL LXXIII, 39): “aser” (= rv,a}); Comm. in Hiezechielem. Libri XIV (CCSL LXXV, 587): “… legamus ‘heser’ (= rv,a}), non significat ‘decem’, sed pronomen” e, in nota, la variante “eser” (cod. m e Vall.); Comm. in Sophoniam prophetam (CCSL LXXVI A, 695): leggiamo “phoezim” (= µyzIj}/P); Comm. in Esaiam. Libri I-XI (CCSL LXXIII, 101): “enasse” (= hS,n:a}). 18. Hebraicae quaestiones in libro Geneseos (CCSL LXXII, 28). 19. Comm. in Abdiam prophetam (CCSL LXXVI, 355). 20. Liber interpretationis hebraicorum nominum (CCSL LXXII, 66-67). 21. Liber interpretationis hebraicorum nominum (CCSL LXXII, 87). 22. Rimandiamo alle diverse interpretazioni di: A. Sperber, “Hebrew Based upon Greek and Latin Translitterations”, HUCA 12-13 (1937-38) 110-111.131; E.F. Sutcliffe, “St. Jerome’s Pronunciation of Hebrew”, Bib 29 (1948) 119; J. Barr, “St. Jerome and the Sounds of Hebrew”, JSS 12 (1967) 19ss ecc. 23. Sulla lettera a scrive ancora Girolamo nel prologo al Liber interpretationis hebraicorum nominum (CCSL LXXII, 60): “Non statim, ubicumque ex A littera, quae apud Hebraeos dicitur 232 P. DOZIO Per le lettere j h, che sono normalmente trascritte con h24, leggiamo in Girolamo: Chettaeus mentis excessus siue fixus abscissus. Sed hoc nomen in hebraico non incipitur consonanti littera, uerum ab heth, de qua iam supra diximus25. Hiram uiuens excelse. Histob uir bonus. Hiras uigilans. Hisboseth uir confusionis. Idcirco cum adspiratione haec nomina posuimus, quia et apud Hebraeos et apud Graecos per diphthongum scribuntur26. Con queste espressioni appare coerente l’incipit dell’Op. Maj.s: “Sunt autem sex vocales, aleph, ain, he, heth, iot, vav; reliquae sunt consonantes” (§ 2). A questo punto si può tentare una spiegazione delle gutturali che includa le descrizioni fonetiche riportate nei § 15.16 e 4.3. G. Dahan suggerisce l’idea delle matres lectionis27, considerando le lettere j [ degli “errori”, ma pare strano che Bacone le definisca vocali nel §2 e nei § 3.4 ne descriva i suoni particolari. Siamo più propensi a ritenere che Bacone interpreti i quattro grafemi gutturali, che ricevono i “puncta et tractus” (§ 8), come “sfumature foniche vocaliche”: vocali aspirate (con h), di gola (con [), aspirate in gola (con j) o normali (con a). In altre parole: dei grafemi che aggiungono un tratto fonico particolare alle vocali. Quando infatti descrive le quattro gutturali, dice che h e j sono “aspirate”, [ “in gutture” e a “in ore”. Anche qui dobbiamo rilevare che Bacone non sta indicando la pronuncia dell’ebraico secondo la tradizione aleph, ponuntur nomina, aestimandum est, ipsam esse solam quae ponitur. Nam interdum ex ain, saepe ex he, non numquam ex heth litteris, quae adspirationes suas uocesque conmutant, habent exordium. Sciendum igitur quod tam in Genesi quam ceteris in libris, ubi a uocali littera nomen incipit, apud Hebraeos a diuersis (ut supra diximus) incohetur elementis, sed quia apud nos non est uocum tanta diuersitas, simplici sumus elatione contenti. Vnde accidit ut eadem uocabula, quae apud illos non similiter scripta sunt, nobis uideantur in interpretatione uariari”. Un esempio di trascrizione dell’a con h è raha (ha;r): : Hebraicae quaestiones in libro Geneseos (CCSL LXXII, 41). 24. Talvolta Girolamo trascrive la h e la j con le vocali e in alcuni casi utilizza il grafema ch per j. 25. Liber interpretationis hebraicorum nominum (CCSL LXXII, 63-64). 26. Liber interpretationis hebraicorum nominum (CCSL LXXII, 107). 27. G. Dahan, “L’enseignement de l’hébreu en Occident médiéval (XIIe - XIVe siècles)”, Histoire de l’éducation 57 (1993) 13, così commenta il passo del Cod. (§ 21) sopra citato: “Il faut se rappeler que Roger Bacon appelle voyelles un certain nombre de lettres hébraïques qui sont, en fait, des consonnes (alef, he, vav, yod) mais sont parfois aussi employées comme substituts de voyelles (on les qualifie alors de matres lectionis); pour Bacon, ces lettres reçoivent d’une manière privilégiée la vocalisation”. In nota, l’A. precisa che Bacone “met dans la même catégorie le het et le ∑ayin, mais à tort”. LA LINGUA EBRAICA IN RUGGERO BACONE 233 sefardita (europea) o aschenazita del suo tempo, ma la pronuncia descritta da Girolamo che, almeno per i foni gutturali, è molto simile a quella tiberiense. La lettera h era infatti eseguita, nella tradizione tiberiense, con il fono fricativo glottale sordo28 (come nell’inglese he): “una aspiratio” e “in ore”, con le parole di Bacone (§ 16 e 3). Con Girolamo: “Nam interdum ex ain, saepe ex he, non numquam ex heth litteris, quae adspirationes suas uocesque conmutant, habent exordium”29. La lettera j era pronunciata con il fono fricativo faringale sordo: “generatur in gutture” (§ 3) e con una “duplex aspiratio” (§ 16). La medesima terminologia, adspiratio (per h) e duplex adspiratio (per j), si riscontra in Girolamo: “Sed sciendum quod in hebreo c litteram non habeat, scribitur autem per j, quae duplici adspiratione profertur”30. Inoltre, entrambi gli autori trascrivono quasi sempre le lettere h e j tramite il grafema latino h. Ecco alcuni esempi di trascrizione in Bacone: lahem (µh,læ), elohim (µyhialøa‘ [sic]) e u-mi-thahat (tÉjætÉæmiW) (§ 13). La lettera [ era una fricativa faringale, ma il tratto sonoro, che la distingue dalla precedente sorda j, la rende più aspra, “in gutture” (§ 4) appunto, ma senza quella impressione acustica che affidiamo al termine aspirazione (§ 15). Con la terminologia di Girolamo: “rasura gulae”31. Per l’ultima consonante, a, che era propriamente una plosiva glottale sorda o colpo di glottide, già il grammatico Ibn „Ezra (1088/1092-1167) scriveva: “Non c’è consonante gutturale più debole dell’a; non c’è bisogno di pronunciare la parola interamente, ma solo la vocale che sta sotto (di essa)”32, giustamente “in ore”, con le parole del Dottor Mirabile (§ 15 e 4). 28. La terminologia fonetica è desunta da: International Phonetic Association, “Report on the 1989 Kiel Convention”, Journal of the International Phonetic Association 19 (1989) 67-80; “The IPA 1989 Kiel Convention Workgroup 9 report: Computer Coding of IPA Symbols and Computer Representation of Individual Languages”, JIPA 19 (1989) 81-82. 29. Liber interpretationis hebraicorum nominum (CCSL LXXII, 60). Cf. anche la nota 24. 30. Liber interpretationis hebraicorum nominum (CCSL LXXII, 63). Cf. anche Hebraicae quaestiones in libro Geneseos (CCSL LXXII, 10-11): “Frequenter LXX interpretes, non ualentes heth literam, quae duplicem aspirationem sonat, in graecum sermonem uertere, chi graecam literam addiderunt, ut nos docerent in istius modi uocabulis aspirare debere…”. Cf. anche Liber interpretationis hebraicorum nominum (CCSL LXXII, 60.63). Per il luogo articolatorio della gola, vedi la nota successiva. 31. Comm. in epistolam ad Titum (PL XXVI, col. 630): “Solent irridere nos imperitiæ, maxime in aspirationibus in quibusdam cum rasura gulæ litteris proferendis. Hoc autem evenit quod LXX. Interpretes… specialiter heth litteram at ain et cæteras istiusmodi (quia cum duplici aspiratione in Græcam linguam transferre non poterant) aliis litteris additis expresserunt”. 32. Sefer Ía˙ot 32, 9-11: qr hlk hlmh rmal ˚rwx ˆyaw πlahm lq rtwy ˆwrgh twytwab ˆyaw hytjt h[wnt µ[ (C. Del Valle Rodríguez, Sefer Ía˙ot de Abraham Ibn „Esra, Salamanca 1977). 234 P. DOZIO Il paragrafo (11) chiude il discorso sulle vocali. In questo tratto il Francescano spiega, mediante gli esempi b; b, bi bo Bu (bu, bo, bi, be, ba), che i segni vocalici vengono posti anche al di sotto delle consonanti e, in un passo del Cod. (§ 21), parzialmente parallelo all’Op. Maj.s, scrive che gli ebrei “non solum punctant vocales pro sonis diversarum vocalium habendarum, set consonantes, quia raro scribunt per vocalem, set in pluribus consonantes”. Le consonanti La sezione sulle “consonanti” è limitata alla spiegazione di poche lettere ebraiche perché “patet ex alphabeto que sunt semivocales et que liquide…” (§ 17). Bacone addita una t semplice (f) e una th aspirata (t), una c semplice (q) e una ch aspirata (k). La percezione uditiva, espressa con il termine “simplex” non rimanda alla tradizione tiberiense, bensì a quelle sefardita e aschenazita, in quanto la †ët, perdendo l’originaria articolazione secondaria (velarizzazione o faringalizzazione), veniva eseguita con una semplice t (come nell’italiano treno) e la qof, da plosiva uvulare sorda, divenne velare (come la c di casa). Anche in questo caso, però, Bacone riprende la trascrizione e la terminologia di Girolamo che, nel Liber interpretationis hebraicorum nominum, inserisce la seguente espressione fra gli elenchi dei nomi ebraici inizianti con le lettere c (= q) e ch (= k): “huc usque per simplicem c litteram lecta sunt nomina, exin adspiratione addita, id est per c graecum, legenda”33. La medesima situazione avviene con i nomi che iniziano per t (= f) e th (= t): “Huc usque per litteram T simplicem legerimus, nunc adspiratione addita legendum est”34. “In passing, therefore, from the first group to the second, Jerome points out this difference, which... consists in an ‘aspiration’, adspiratio”35. Alcuni studiosi si pongono il problema di quale tradizione di lettura del testo biblico abbia incontrato Bacone. S.A. Hirsch, per esempio, ritiene che abbia consultato degli ebrei che usavano la pronuncia sefardita36, 33. Liber interpretationis hebraicorum nominum (CCSL LXXII, 63). 34. Liber interpretationis hebraicorum nominum (CCSL LXXII, 73). 35. J. Barr, “St. Jerome and the Sounds of Hebrew”, JSS 12 (1967) 17. 36. Cf. S.A. Hirsch, “Early English Hebraists. Roger Bacon and His Predecessors”, JQR 12 (1898) 80. LA LINGUA EBRAICA IN RUGGERO BACONE 235 ma non mancano le incertezze. Se, dal punto di vista vocalico, Bacone segue tale tradizione perché trascrive il qåmëß a e non o/u come gli aschenaziti, tuttavia legge l’˙å†ëf pata˙ con la vocale e, che non è attestata in nessuna tradizione di lettura. La descrizione delle due gutturali j [, poi, non rispecchia né la tradizione sefardita in Europa, né quella aschenazita. In esse, la lettera [ non veniva pronunciata37 e la j si eseguiva con il fono fricativo velare sordo (come la ch nelle tedesche hoch, Bach), mentre Bacone scrive che [ e j “generantur in gutture”, seguendo così la tradizione sefardita del Nord-Africa che eseguiva i due grafemi con i foni fricativi faringali. Non è improbabile che Bacone abbia ascoltato o consultato degli ebrei, probabilmente “sefarditi”. Nel Comp. Studii Phil. (VI, p. 434) auspica la presenza di insegnanti di lingua greca e ebraica per leggere i testi nella lingua originale in quanto greci, arabi ed ebrei “non concedunt Christianis libros veraces, sed detruncant et corrumpunt omnes, et maxime quando vident homines indoctos in linguis et scientiis præsumere de translationibus faciendis” (Comp. Studii Phil., VIII, p. 472). Dai testi baconiani in nostro possesso appare però evidente che il primo “docente” di ebraico, il punto di riferimento sicuro anche per l’aspetto fonico è Girolamo. La ricerca sulla tradizione di lettura risulta perciò difficile da sviluppare. Nel paragrafo (12) abbiamo la descrizione delle cinque consonanti (x p n m k) che in fine di parola assumono grafie differenti (≈ π ˆ µ ˚). I due gruppi vengono distinti tramite i termini primum / secundum e apertum / clausum. Le ultime diciture sembrano riflettere le ebraiche hjwtp e hmwts. Nell’Op. Maj.s vengono invece utilizzati i termini uverte / close (per µ÷m), ma anche dreite / torte (solo per ≈÷x e ˆ÷n) che equivalgono a hpwpk÷hfwçp. Con la descrizione delle lettere p (§ 13) e k (§ 14) emerge una certa confusione sulla duplice pronuncia delle begadkefat. S.A. Hirsch si chiede se non la si debba imputare ai copisti38, ma crediamo sia opera dell’Autore perché, se il copista avesse modificato il testo, non avrebbe trascritto l’alfabeto nel modo che abbiamo visto (§ 1) e avrebbe inoltre dovuto manipolare i paragrafi (§ 11.13-14.23) dove affiora tale insicurezza. 37. Per le diverse tradizioni di lettura mi affido a S. Morag, “Pronunciations of Hebrew”, in Encyclopaedia Judaica, XIII, Jerusalem 1971, 1120-1145 e a G.M. Schramm, The Graphemes of Tiberian Hebrew, Berkeley - Los Angeles - London 1964. 38. Nolan - Hirsch, The Greek Grammar, 204 n. 1. Scrive infatti: “But who can tell how much of this confusion is due to copyists?”. 236 P. DOZIO Nel paragrafo (13) la citazione di /nd“Paæ æ (Dan 11,45), desunta da Girolamo, e la spiegazione della lettera p non è chiara né in Bacone né nello stesso Girolamo che scrive: ‘Et figet tabernaculum suum Apedno’... Notandum autem quod cum pe littera hebraeus sermo non habeat, sed pro ipsa utatur phe cujus uim graecum f sonat - in isto tantum loco apud Hebraeos scribatur quidem phe, sed legatur pe -...39. La declinazione (18) Habent genera, casus, et numeros tres sicut Greci, et articulos ut ha est articulus nominativi et genitivi, la dativi, eth accusativi et multociens etha, unde quandocunque in textu hebreo invenitur etha semper sequitur accusativus casus. Vocativus non habet articulum, sed aduerbium vocandi oi. Ablativus habet mi vel mo (prob. me) vel ma (prob. me), que sunt prepositiones, loco articulorum, unde sicut nos dicimus cum ablativo prepositionem ut: ab hoc patre, sic ipsi dicunt moab (prob. meab), id est: ex patre. In questo tratto, Bacone utilizza la terminologia latina e greca per spiegare alcuni elementi grammaticali della lingua ebraica. Ecco le equivalenze in ebraico: l’articolo ha (hæ), la preposizione (con l’articolo) la (læ), il segno dell’accusativo eth (ta,) e etha (Ahæ ta,), l’interiezione oi (y/h)40, la preposizione ˆmi nelle sue forme contratte mi (Ami); mo che sta per me (Ame); ma che sta per me (Am,) e l’esempio moab per meab (baæm)e . Gli ultimi due errori della preposizione ˆmi sono forse del copista in quanto altrove ricorre la prep. ˆmi trascritta correttamente. Nell’Op. Maj.s (§ 13) leggiamo infatti: ≈r≤a,me me-eres e a[ær“aæme me-area. (19) Habent unam vocem in singulari pro omnibus casibus, ut his, id est vir, et in plurali addunt sillabam, set in masculino terminatio fit in im ut hissim, in feminino in oth, ut sabaoth, et in ath ut thorath que est lex. Habent vero diptongos sicut Greci et finales litere sunt iod et vav sicut apud Grecos iota et ipsile. 39. De antichristo in Danielem (CCSL LXXV A, 934-935). Cf. Barr, “St. Jerome”, 12-13. 40. Questa e la precedente trascrizione si riscontrano in Girolamo. Oi in Comm. in Esaiam. Libri I-XI (CCSL LXXIII A, 370); eth in Comm. in Abacuc prophetam (CCSL LXXVI A, 641). LA LINGUA EBRAICA IN RUGGERO BACONE 237 Il genere e il numero dei sostantivi sono abbastanza corretti41. Il plurale maschile ha la desinenza µyÎi42, mentre il femminile ha t/Î per indicare lo stato assoluto e costrutto plurale e tÎæ per lo stato costrutto singolare. Gli esempi: his sta per vyai e hissim per µyviyai (come nel Sal 141, normalmente abbiamo: µyvin:a}); sabaoth corrisponde a t/ab;x43 ] e thorath a træ/T (stato costrutto sing.), il plurale sarebbe t/r/T. L’ultima linea del testo sembra riferirsi al suffisso di 3. sing. masch. wyÎ… per i sostantivi masch. plurali come in wyr…yvi, ma R. Bacone non dà alcun esempio. (20) Item partes orationis et multa in hiis habent per additionem unius littere vel duarum ut ben est filius set beni addito iod, est filius meus, et addito caph secundo ut benath (prob. benach) cum alpha est filius tuus, et dicunt beno, unde beno scribunt sic: /nb et sic distinguunt in nominibus multa, et in verbis, et in aliis quia modicum habent grammaticam et paucas regulas. (21) Sciendum quod non solum punctant vocales pro sonis diversarum vocalium habendarum, set consonantes, quia raro scribunt per vocalem, set in pluribus consonantes. Et ideo oportet quod signa vocalium habendarum ponantur sub consonantibus, quia noluerunt quod alie gentes legerent libros suos. Et tamen aliqui sapientes philosophi scientes hebreum temptaverunt transferre historiam sacram, set deus flagellavit eos, ut Josephus docet. Ecco un breve paragrafo sui pronomi personali che in ebraico vengono uniti ai sostantivi. Ben (ˆBe) “est filius”; con y “est filius meus” (beni = ynIB)] ; con ˚ e a “est filius tuus” (benach44 = ˚an…B]); beno (/nB]). La strana aggiunta della lettera a nel suffisso di 2. sing. è coerente con il pensiero di Bacone che interpreta le quattro gutturali come delle vocali. Anche nella citazione di Gen 32,29 (§ 13) leggiamo µyhialøa‘, con un superfluo a. Il paragrafo (21) lo abbiamo già preso in considerazione unitamente al (§ 11). 41. Dahan, “L’enseignement de l’hébreu”, 15 scrive che “il (Bacon) attribue trois genres à l’hébreu, « comme le grec », ce qui est faux (l’hébreu ne possédant pas de neutre)”. In realtà, il “tre” è riferito, nel brano citato dall’A. (18), solo al numero e non al genere e al caso. Nel paragrafo (19), poi, è chiaro che Bacone conosce solo sostantivi femminili e maschili. 42. Così anche nel Comp. Studii Phil., VII, p. 446: “Seraphim per m est pluralis numeri. Seraph est singularis numeri”. 43. Cf. Hebraicae quaestiones in libro Geneseos (CCSL LXXII, 5): “Vir quippe uocatur his et mulier hissa” e In Hieremiam. LibriVI (CCSL LXXIV, 8): “Alioquin et in principio Geneseos a uiro, qui dicitur is, appellatur mulier issa, quasi quaedam uirago, eo quod de uiro sumta sit”. Vedi anche Comm. in Esaiam. Libri XII-XVIII (CCSL LXXIII A, 499): “Hoc enim in hebraico sonat Sabaoth”. 44. La trascrizione benath è probabilmente un errore del copista per benach. 238 P. DOZIO ∑at-baå Il metodo “∑at-baå ∑at-baå” (22) Et mirum modum habent occultandi secreta sua. Nam primam literam alphabeti, scil. aleph, et tav ultimam, vocant congeminatas, et beth et sin similiter, et sic daleth et res, et sic usque ad medias, scil. caph et lamed. Nam simul scribunt aleph et tav, et beth et sin, et sic ultra, et faciunt infantes non solum per ordinem naturalem legere literas alphabeti, set per modum huius geminationis. Et quando volunt celare secreta sua scribunt unam de geminatis pro altera, ut pro aleph scribunt tav et e contrario, et pro beth scribunt caph, et pro lamed scribunt sin, et e contrario, unde prophete usi sunt huiusmodi scriptura. Nam Ieremias XXV° capitulo, et alio loco loquens de calice adversitatis, quem omnes nationes habent bibere per regem Babel, ponens Sesac pro Babel, ne Nabugodnosor possit intelligere, ut non offenderetur contra Ieremiam. Unde in hebreo est Sesac pro Babel, et scribunt duo sin pro beth et caph secundum pro lamed, sic ˚çæçe, set Babel scribitur per duo b, sive beth et per lamed, sic lbb. (“Opus Minus”) Similiter cum Jeremias prophetavit contra Babel, non ausus fuit ponere hoc verbum, ne suscitaret furorem Caldaeorum contra ipsum et populum Dei; sed posuit Sesach pro Babel. Cujus nominis ratio nullo modo potest sciri, nisi homo sciat alphabetum Hebraeum. Et quum bene studuerit scire, non potest nescienti explicare nisi primo docent eum alphabetum; nec hic possim hoc exponere nisi quia posui alphabetum Hebraeum in opere quod mitto. Nam cum Babel scribatur per duo beth, et unum lamech punctuatur more Hebraeo (?), posuit propheta duo sin pro duobus beth, et caph secundum pro lamech, ut Chaldaei nomen ignorarent. Cum tamen omnis habere, videre, et dividere posset nominis rationem, quia more eorum est instruendo parvos, quod faciunt eos conjungere primam cum ultima, et secundam cum penultima; et sic ulterius usque ad duas medias simul positas, scilicet caph secundum et lamech. Et in his sic congeminatis utuntur una pro alia maxime, quum volunt aliquod secretum occultare. Et ideo cum sin et beth sint congeminata, ponit duo sin pro duobus beth, et eadem ratione pro lamech posuit caph secundum; et s nostrum valet eorum sin in proposito; et c nostrum valet caph eorum; nisi quod debet asperari c nostrum, sicut Sesach. Et sic de aliis exemplis infinitis ubi ponitur ipsum Hebraeum, tam in prologis et in textu quam in originali et glossis. 239 LA LINGUA EBRAICA IN RUGGERO BACONE Anche il metodo “∑at-baå”, riportato nel Cod. (§ 22) e nell’Opus Minus (p. 350-351), conferma, unitamente ai numerosi paralleli grammaticali già esaminati, l’ipotesi che il Cod. di Cambridge sia da attribuire alla mano del Dottor Mirabile. La spiegazione del famoso metodo esegetico non ha bisogno di commenti. Ogni lettera di una parola viene sostituita da un’altra, in corrispondenza della posizione delle lettere nell’alfabeto. Seguendo lo schema: k y f j z w h d g b a l m n s [ p x q r ç t la prima lettera dell’alfabeto (a) viene riposta dall’ultima (t), la seconda (b) dalla penultima (ç) e così via. Perciò il termine Sesach (˚çç) nasconde ai Caldei e a Nabucodonosor il suo verso senso: Babel (lbb), “calice delle avversità che viene bevuto da tutte le nazioni” (§ 22). Il dågëë å e il råfe (23) Sciendum etiam quod consonantes aliquando retinent proprium sonum et fortem. Et hoc notatur per puncta intra sive infra (prob.: supra sive intra). Et aliquando remittitur sonus, et tunc fit linea super literam, ut cum dico David, primus d sonat fortiter et secundus debiliter. Unde cum scribunt Adam ponunt tractum gracilem super deleth sic dɵa (µdÉa), et sonat quasi zz, ut adamas. Nam d sic sonamus sicut zz, non in forti sono, vero in proprio. Caph tamen secundum sonat fortiter si linea sit supra, et debiliter si habeat punctum infra (intra). Sin vero punctatur aliquando in dextera parte supra vel infra (intra) sic V, tunc sonat fortiter. Set quando punctatur a sinistra parte supra vel infra (intra) tunc sonat debiliter ci. (12) Unde quando tractus ponitur supra literam tunc remittitur, quando punctus in ventre ponitur tunc fortificatur. Unde quando supra daleth ponitur tractus sic, dÉ tunc debilem sonum [designat] quasi nostrum z, ut cum dico, adamas. Quando vero punctus in ventre ejus collocatur sic, D, tunc fortiter sonat, ut cum dico, dabo. 240 P. DOZIO Il punto inserito all’interno della consonante, ovvero il dågëå, rende il suono della vocale “fortiter”, mentre il “tractus gracilis”, cioè il råfe, posto al di sopra delle medesime indica un suono “debiliter”. Nel nome del re David (dÉwID:) la prima d si pronuncia “forte” (come nell’italiano dono), mentre la seconda “debole” (per la tradizione tiberiense, come la th nell’inglese that). È molto probabile che Bacone intenda proprio il fono fricativo dentale sonoro dell’esempio inglese, perché citando la successiva parola Adam (µd;Éa;) scrive che “sonat quasi zz, ut adamas”. L’impressione uditiva non è errata: il fono th è molto simile a una z che è una fricativa alveolare sonora. Siamo dinanzi alla descrizione della doppia pronuncia (plosiva e fricativa) delle cosiddette begadkefat anche se Bacone non sembra aver inteso che i due segni diacritici siano riservati solo alle “sette doppie”, secondo la terminologia ebraica medievale, e che il dågëå (forte) indichi anche il raddoppiamento di una consonante. Ne è prova l’infelice equazione espressa nell’ultima parte del Codice dove il punto posto sulla destra, sopra (v) o all’interno (ç i) della consonante ç, indica un suono forte, mentre il punto inserito sulla sinistra, sopra (c) o dentro (çi) (sic!) la lettera ç, specifica un suono debole. È chiaro che per Bacone esiste una sola consonante (ç) e non due diversificate dal segno diacritico: c ¬in e v åin. La funzione dimostrativa e relativa (24) De articulis autem hebraicis et grecis adhuc unum est verbum, scil. quod habent articulos prepositivos et subiunctivos. Prepositivi ponuntur ante nomina et pronomina et participia sicut apud nos pronomina articularia ut hic magister, huius magistri. Set subiunctivi sequuntur sicut apud nos hec nomina qui, que, quod, ut homo qui sedet disputat, regina que incedit est alba, scamnum quod hic est est nigrum. Set articuli subiunctivi Greci formantur ab articulis prepositivis per additionem vel subtractionem alicuius litere; set una tantum fit additio, ut ad articulum nominativi prepositivi masculini generis quod est o additur sima et fit oß, quod est nominativus subiunctivi articuli masculini generis. Secundum etiam quod Priscianus docet in primo constructionum. Omnes autem alii articuli subiunctivi formantur per ablationem huius litere tav ubicunque sit in articulis prepositivis, accipiendo reliquem articuli prepositivi, et hoc in omni genere, casu, et numero, et ubi non est tav accipitur articulus prepositivus. Unde cum articuli masculini sint in singulari, hii: o, tou, tow, ton articuli subiunctivi sunt oß oc, ou, ow, on et sic de aliis. 241 LA LINGUA EBRAICA IN RUGGERO BACONE Hebrei vero semper utuntur hoc vocabulo esser pro articulo subiunctivo, ut nos dicimus: quiqui. Habent autem Hebrei accentus sicut nos et Greci, et longum et breve. Et Greci habent tres figuras pro tribus passionibus, que vocantur apostrophe, hyphen, hipodiastole. Que exempla ponit Priscianus de accentu apostrophe sic. Quando unam dictionem terminatam in vocali sequitur alia incipiens a vocali ut himera epi vel hmera, set auferunt ultimam vocalem prime dictionis, et coniungunt illam dictionem cum sequenti quasi esset una dictio composita. Et quia prima huius dictionis hmera aspiratur per dasian, ideo simplex quod est in hac dictione epi, quod est in, aspirant dicendo ephimera, et scribunt sic: efemera (sic!), et est res unius diei, ab epi quod est in, et mera (himera) quod est dies, quasi in die, vel res unius diei. Set medici appropriant sibi hoc nomen pro febre unius diei. Et figura huius apostrophe, ut appareat legenti, est ’ scilicet figura ipsius psile quod est aspiratio debilis, unde quando pro eadem sillaba concurrunt apostrophe et psile, fiunt duo sigma similia.[ ] In quest’ultima parte del Cod. di Cambridge vi sono annotazioni sull’ebraico e soprattutto sul greco, che riportiamo senza commento. R. Bacone riconosce nella lingua ebraica la presenza di alcuni elementi, “articuli”, aventi una funzione dimostrativa, che equipara al latino hic, haec, hoc, e aventi una funzione relativa, come i latini qui, quae, quod. In questo testo abbiamo solo l’esempio esser (rv,a}) che equivale al pronome relativo quiqui, mentre nel Comp. Studii Phil., VII, p. 446 leggiamo: “Cum enim viderunt illud de coelo cadere quærebant ‘quid hoc?’ in hebraeo dicentes manhu: man est quid, hu est hoc”. Citazioni in aramaico ed ebraico (13) non terram et coelum qui la areka ve semaa di alæ aqæra“ wæ “ aæymæç] dii elaa eis dicetis lehom temerun yDI ayhlæa] µ/hl] coelo semaa sub de et thehot mi u .aæymæç] tÉ/htɵ] Wi ˆWrm]aTe terra de pereant area me iebedu a[æra“ mæ e WdÉba}É yE sic chidena hnædK“É i } Litera Hebraicae Sermo Chaldaeus fecerunt ebadu WdÉb[æ ] Ger 10,11 nel Codice L di San Pietroburgo: .hL,a´ a˝Y:m'v] t/jT]Aˆmi˝W a˝[…r“a'˝m´ WdbæayE Wdbæ[} al… a˝q…r“a'˝w“ a˝Y:m'v]AyDI a˝Y:h'l…a‘ µ/h˝l] ˆWrm]aTe hn:d“˝Ki 242 P. DOZIO (13) fecerunt non terram et coelum qui dii eis dicetis sic asu lo ares ve samaim eser elohim lahem tomeru co Wç[æ alø ≈r≤awæ “ µyImVæ æ rV,a} µyhialøa‘ µh,læ Wrm]aTo hKo isto ele coelo samaim sub de et thahat mi u terra de eres me pereant iobedu .hl,ae µyImVæ æ tÉ/htÉm] Wi ≈r≤am, e WdÉba} yo } Litera Hebraicae Sermo Hebraicus Manifestus igitur et vilis est error omnium in hac parte propter ignorantiam harum linguarum. Entrambi i testi (aramaico ed ebraico) contengono diverse inesattezze. Alcune di esse sono attribuibili al copista: la mem finale in tÉ/htÉ]µiW non è ripetuta nell’ebraico tÉ/htÉ]miW e il secondo pa®a˙ non è indicato nel sostantivo ayhlæa], nonostante la trascrizione elaa che è simile alla successiva semaa (aæymæç]). Le altre “imperfezioni” sono invece dello stesso Bacone in quanto ribadiscono le sue convinzioni in materia di fonetica ebraica: la vocale ˙å†ëf pa®a˙ si trascrive e e le sei lettere [ y j w h a sono proprio considerate delle vocali. (Op. Maj.s, p. 102-103) “Apud vero Hebraeos is est vir, ra videns, el Deus, et ideo crediderunt multi quod hoc nomen patriarchae habeat resolvi in illa tria. Sed Hieronymus45 reprobat per multa argumenta: quatuor enim possunt ex dictis suis sumi a parte vocis, et quatuor vel quinque a parte rei. Nam in illis tribus nominibus aliae literae et plures quam in nomine patriarchae, et aliter ordinatae et syllabicatae reperiuntur. Ex hoc igitur triplici argumento sumpto per literas concluditur per Hieronymum quod idem significari non potest hinc inde; cum ratio significationis ejusdem sumatur propter vocis identitatem. Sed patet vocem et literas nimis variari, quoniam in nomine patriarchae sunt hae quinque literae per ordinem, Iod, Sin, Res, Aleph, Lamet, sicut ipsum Hebraeum hic positum declarat laeræç]ai, Iserael. Sed in hoc triplici vocabulo hae octo literae hunc habent ordinem, scilicet Aleph, Iod, Sin, Res, Aleph, He, Aleph, Lamet, ut hoc el ra is Hebraeum ostendit lae haræ çyai. Et quarto argui potest ex pronuntiatione. Nam sicut puncta ostendunt, nomen proprium non retinet apud Hebraeum sonum 45. Cf. Hebraicae quaestiones in libro Geneseos (CCSL LXXII, 40-41). 243 LA LINGUA EBRAICA IN RUGGERO BACONE praecisum illorum vocabulorum trium, sed majorem habet, quia Iserael sonatur in quatuor syllabis; trium vero vocabulorum sonus in solis tribus syllabis coarctatur, ut dicatur is, ra, el; quoniam punctum unum sub litera sonat i, duo puncta sonant e, et linea cum puncto sub ea sonat a46. Sed argumenta fortiora trahuntur ex sensu vocis secundum Hieronymum. Nam per textum Hebraeum et Graecum et Latinum, et per Josephum, patet quod Israel non debet dici vir videns Deum, sed principans vel princeps cum deo, quoniam in Hebraeo ad literam est sic, “Et dixit Deus, non vocabitur nomen tuum amodo Jacob, sed Israel, quoniam si principatus vel princeps fuisti cum Deo, et cum hominibus poteris principari”. Et ideo dicit Hieronymus quod sensus est, Non vocabitur nomen tuum supplantator, hoc est Jacob, sed vocabitur nomen tuum princeps cum Deo, hoc est Israel. Quoniam enim ego princeps sum, sic enim tu qui mecum luctari potuisti princeps vocaberis. Si autem mecum pugnare potuisti, quanto magis cum hominibus, hoc est cum Esau, quem formidare non debes. Et hoc ostendit ipsum Hebraeum hic scriptum hoc modo”. Israel icerael si quoniam im ki laerçæ y] I µai nomen tuum simecha yKi ÆÉmVe i amodo dicetur Jacob non dixit et oze ieamer iaecove lo iomer va dÉz[O rmeayæ E poteris et hominibus simul et Deo simul tuchal va enasime im ve elohim im lkÉWæ Twæ µ]yVinaæ ] µ[iw“ µhilao ‘ µ[I bÉq[æ y] æ alø rmeaYowæ principatus saritha quoniam ki tÉyæ rIVæ yKi Ecco Gen 32,29 secondo il Codice L: .lk…WT˝w" µyvin:a}Aµ[i˝w“ µyhiløa‘Aµ[i t;yrIc;AyKi la´r:c]yIAµai yKi Ú˝m]vi d/[ rm´a;yE bqo[}y" alø rm,aYo˝w" Anche questo lungo brano dell’Op. Maj.s riporta un versetto (Gen 32,29) in caratteri ebraici. È più preciso del precedente (§ 13): vi è solo lo scambio delle consonanti w÷z nel termine dÉzO[ (al posto di dÉ/[) e alcune differenze tra le vocali che sono ben visibili confrontando il testo dell’Op. Maj. con il Cod. L di San Pietroburgo. Il senso della discussione è pure chiaro. R. Bacone, seguendo Girolamo, ribadisce che il nome del patriarca non significa vir videns Deum sia per motivi grafemici (laeræç]a,i Iserael ha “quinque literae” e non “octo”), sia esegetici. 46. Il “punto sotto la linea” (ovvero qåmëß) non compare però nel testo trascritto in caratteri ebraici. Svista del copista o dell’editore? 244 P. DOZIO Conclusioni Fra le diverse opinioni sulla conoscenza della lingua ebraica da parte di R. Bacone, ci pare si debba tener conto che l’Opus Majus non è una grammatica, ma una sorta di “sommario” volto a chiedere al papa Clemente IV una riforma dei centri di studio e il Codice di Cambridge è un testo grammaticale molto sintetico e incompleto. Le lingue bibliche vengono infatti presentate con rapide pennellate, perché l’intenzione principale dell’Autore è, per lo meno nell’Opus Majus, quella di stimolare uno studio serio delle medesime per almeno tre motivi: i testi sacri furono scritti in quelle lingue, i latini non conoscono molte opere del sapere ebraico, greco ed arabo e, infine, le traduzioni esistenti sono assai imperfette. Che cosa si può allora dire delle descrizioni fonetiche e grammaticali in nostro possesso? La nostra impressione, leggendo i testi di Bacone, è quella di un studioso che, spinto da un forte desiderio di conoscere la lingua ebraica e, soprattutto, di poterla utilizzare per leggere i testi sacri, abbia speso molte energie per essa. Ci sembra plausibile poter affermare che il Dottor Mirabile sia stato essenzialmente un autodidatta, con i rischi annessi e anche visibili nei suoi commenti grammaticali. Ci riesce difficile pensare che Bacone abbia seguito delle vere e proprie lezioni di lingua ebraica: non conosce la doppia pronuncia delle begadkefat, fa qualche confusione con il dågëå e il råfe e, soprattutto, considera le sei lettere dell’alfabeto [*y*j*w*h*a come vocali o, forse, dei grafemi che danno una sfumatura timbrica alle vocali. Queste curiosità linguistiche non compaiono nei numerosi trattati grammaticali ebraici ed è perciò difficile ipotizzare un cattivo insegnante o un Bacone “svogliato”. L’idea delle sei speciali vocali è forse comprensibile se pensiamo che Bacone, attento lettore delle opere di san Girolamo che spesso cita nei suoi scritti, lo abbia scelto come punto di riferimento sicuro per la lingua ebraica. Nello stesso tempo è probabile che abbia avuto l’opportunità di ascoltare tale lingua o di consultare qualcuno, ma che, tenace autodidatta, abbia rielaborato nella sua mente le informazioni apprese. Non possiamo affermare che Bacone conoscesse la lingua ebraica, ma ci pare corretto pensare che sia riuscito ad apprendere numerosi elementi grammaticali basilari. Tra i diversi meriti di Bacone, vi è comunque quella passione per lo studio delle lingue, talvolta espressa con forti tonalità, che fa della grammatica, oggi non sempre apprezzata, una scienza base del sapere “globale e unitario”. Paolo Dozio, ofm