Servizi per le dipendenze N. 201 281 Dossier Verso un cambio di rotta nelle politiche dei servizi per le dipendenze in Italia Stefano Vecchio Coordinamento Rete italiana riduzione del danno - ITARDD Abstract Le politiche sulle droghe in Italia richiedono un cambio di rotta radicale e una rottura epistemologica con i modelli culturali del passato. Gli orientamenti della politica italiana, allineatasi negli ultimi anni con le posizioni di quegli Stati europei e mondiali che si rifanno al paradigma statunitense della war of drug, si sono concentrati prevalentemente su logiche di tipo repressivo indiscriminate (trattando allo stesso modo spacciatori e persone che consumano droghe). Tali orientamenti hanno fortemente influenzato le rappresentazioni sociali dei tossicodipendenti e dei consumatori in generale, diffondendo immagini stigmatizzanti di questi spesso con veicolate e amplificate dai mass media. Questo contesto legislativo, politico e culturale ha assunto spesso toni oscurantistici (i buchi nel cervello, rischio incombente di incidenti stradali, elenchi di malattie, ecc.) ha condizionato anche il funzionamento e gli obiettivi degli stessi servizi pubblici e del privato sociale. Analogo effetto condizionante lo ha avuto la detenzione di un numero elevatissimo di detenuti tossicodipendenti e consumatori di cannabis che ha spostato una parte delle attività dei servizi pubblici e del terzo settore verso il regime penitenziario. Un dato documentato con precisione dall’Associazione Antigone da Forum droghe e altre associazioni nei diversi “libri bianchi”. Infine questa situazione è resa ancor più critica dai cosiddetti “tagli” alla spesa pubblica, prevalentemente a carico del sistema sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, i quali, tra l’altro, hanno portato alla completa scomparsa del Fondo sociale nazionale e del Fondo per la lotta alla droga. Le politiche sulle droghe italiane vivono, attualmente, un ulteriore momento di transizione e di crisi in seguito alla dichiarazione di incostituzionalità della legge FiniGiovanardi. In realtà, al di fuori delle diverse posizioni politiche e culturali, è forte l’esigenza di promuovere una nuova legge che sia il risultato di una discussione pubblica a più voci. La stessa legge attuale la cosiddetta Iervolino-Vassalli risulta largamente inadeguata a rispondere alle sfide che questo millennio ha ereditato dal precedente. Lo scenario cambia ma si tratta di capire verso dove e come. In questo senso è necessaria una spinta propulsiva verso un cambio radicale di rotta. I servizi pubblici Il modello pubblico di servizio per le dipendenze, prefigu- 282 Servizi per le dipendenze rato dalle leggi italiane e a tutt’oggi prevalente, nonostante sia collocato sul piano istituzionale nell’area sociosanitaria ad alta integrazione (DM n. 229/99), cioè nell’area dei servizi territoriali, in realtà, si rifà prevalentemente alla logica ambulatoriale, sul piano organizzativo, e a quella ospedaliera, sul piano culturale e professionale. Il paradigma dominante sul piano della rappresentazione del fenomeno è quello neurobiologico, che equipara la dipendenza o l’addiction, come preferiscono i più raffinati, a una malattia per lo più cronica recidivante. Secondo questa prospettiva neurobiologica, quindi, i consumatori di eroina diagnosticati come dipendenti dovranno seguire i trattamenti con farmaci agonisti (metadone o buprenorfina) per tutta la vita, in quanto non potranno guarire (il peccato è stato commesso) o, al massimo, avranno una remissione dei sintomi. In questa sorta di cronicizzazione istituzionale, si corre il serio rischio di legare a vita il destino di migliaia di persone, di rovesciare le diagnosi in etichettamenti e di istituzionalizzarle. Un destino analogo spetta ad alcolisti e ad altri tossicodipendenti assimilabili agli stessi criteri diagnostici. In realtà i servizi per le tossicodipendenze, nonostante abbiano hanno iniziato a operare, negli anni ’80, un po’ “gettati” alla ventura, spinti da un’emergenza sociale e da un mandato istituzionale di generico controllo, hanno nel tempo raggiunto un obiettivo importante: l’allontanamento dal mercato dell’illegalità di una alta percentuale di tossicodipendenti da eroina, accogliendoli nei servizi e promuovendo anche l’apprendimento di competenze nuove nella gestione e riduzione dei rischi e dei danni per la salute e per la socialità, che hanno facilitato l’adozione di nuovi comportamenti meno o per niente a rischio. Questo lungo processo ha aperto un campo di esperienza per gli operatori che potremmo definire “clinica del territorio”, che ha generato anche processi di apprendimento di nuove competenze professionali, spesso implicite, (ad esempio legate a capacità di comunicare con linguaggi di strada, di negoziare obiettivi realistici, di adeguare le terapie alla motivazione, di sospendere i giudizi e le proprie convinzioni professionali…). Grazie a tali competenze implicite apprese nei Sert, spesso in collaborazione con comunità terapeutiche rinnovate, da anni si sono diffuse pratiche di gestione negoziata dei farmaci agonisti con gli utenti, al di fuori delle indicazioni delle società scientifiche, che hanno permesso a un numero elevato di persone di accedere ai trattamenti e di continuare a usare sostanze illegali, ma in modo moderato, mantenendo un controllo dei comportamenti a rischio e le relazioni lavorative o familiari e amicali. Un vero e proprio processo N. 201 di apprendimento sociale di autoregolazione che, però, viene vissuto in modo colpevolizzante, come un fallimento, sia dagli operatori che dagli utenti, in quanto obiettivo misconosciuto dal paradigma medicalizzante dominante. Una logica territoriale dei servizi dovrà tendere a valorizzare tale strategia di servizio tesa a riconoscere la capacità della persona di apprendere a regolare la propria vita anche con l’uso non problematico di sostanze e a rinforzare il suo senso di autoefficacia. Questo processo, che alcuni servizi italiani hanno già reso esplicito e attivo, anche lavorando con la stessa prospettiva verso altre tipologie di consumatori, rappresenta uno strumento potente di deistituzionalizzazione in quanto prevede una progressiva emancipazione dai servizi della prevalenza delle persone in carico da anni e l’autonoma gestione dei farmaci agonisti anche nella prospettiva di lunga durata del trattamento in una logica di inclusione sociale. Il risultato del processo, sul piano delle risorse, sarà il recupero di tempo istituzionale e di energie professionali che andranno riconvertite per affrontare le domande di intervento da parte di quelle tipologie di consumatori alle quali oggi si dà scarsa attenzione, nell’ambito di un modello organizzativo territoriale rinnovato. Si tratta di promuovere un vero e proprio piano di deistituzionalizzazione degli utenti dei servizi che sarà possibile solo se sarà supportato da nuovi indirizzi politici e culturali. I dati dei consumi e la situazione attuale dei servizi La relazione al Parlamento 2013 (dati del 2012) ha rilevato la presenza in Italia di 633 servizi pubblici, SerT, distribuiti più o meno equamente nelle diverse regioni italiane e di 1028 strutture accreditate del privato sociale (le cosiddette Comunità terapeutiche) delle quali il 66,5% sono di tipo residenziale. Gli utenti in carico ai servizi pubblici risultano 22.223 dei quali 84.938 eroinomani, 58.122 alcolisti, 16.939 cocainomani. Una prima semplice osservazione evidenzia che i servizi italiani oggi ancora accolgono prevalentemente la stessa tipologia di consumatori degli anni ‘80 e ’90, nonostante già dagli anni ’90 si siano diffusi altri stili e modelli di consumo. Il numero limitato di alcolisti e di consumatori di cocaina, inoltre, sta a segnalare che vi è una domanda sociale di intervento per queste tipologie di consumatori ma che il modello organizzativo dei servizi è largamente inadeguato. Dalla rilevazione realizzata secondo il modello europeo N. 201 ESPAD, condotta tra la popolazione scolastica italiana di 2,5 milioni di ragazzi e riportata dal CNR, emerge un panorama dei consumi ben diverso: il modello di consumo più diffuso è quello di sostanze alcoliche: 88,6% del campione. I cosiddetti Binge drinking (abbuffata: almeno 5 bevute di seguito), considerati come comportamenti a rischio, risultano diffusi nel 35,1% dei soggetti. Ma il dato è inferiore alla media europea. Oltre 500.000 studenti hanno consumato derivati della cannabis, 60.000 studenti la cocaina, 60.000 sostanze stimolanti (amfetamina, ecstasi …), 60.000 sostanze allucinogene, 30.000 sostanze oppiacee. Il commento della responsabile della ricerca è che si “attesta una generale tendenza alla stabilizzazione nel numero dei consumatori per tutte le sostanze …” (S. Molinaro). I dati che si riferiscono ai soggetti di altre età, riportati nella relazione al Parlamento, ripropongono alcune caratteristiche analoghe con una tendenza alla diminuzione dei consumi di sostanze alcoliche e diffusione di stili di consumo meno moderati, quali binge drinking, ecc., con un certo rischio stimato dai 65 anni in su. Le percentuali di diffusione delle sostanze, in ogni caso, non sono preoccupanti per l’Italia in quanto o inferiori alla media europea o in linea con questa. Come si vede, il panorama che emerge, ormai da tempo, dalle ricerche a livello nazionale e europeo, ci parla di un fenomeno profondamente mutato rispetto a quello rappresentato dalle leggi e dalla maggioranza dei mass media. Ci troviamo di fronte a un target completamente diverso da quello frequentato dai servizi pubblici, che non richiede nuovi allarmi sociali, ma una nuova politica generale e dei servizi. Quali cambiamenti nei modelli organizzativi e culturali dei servizi? La realtà delineata dei servizi rivolti ai consumatori di sostanze psicoattive in Italia attraversa una momento di forte crisi contrassegnata, da una parte, dal rischio di riprodurre nuovi meccanismi di istituzionalizzazione nei confronti di una utenza “storica” che tende a invecchiare rimanendo bloccata in una relazione statica con i servizi e, dall’altra, dalla lontananza dei servizi dai potenziali utilizzatori nei confronti dei quali i modelli organizzativi sono sostanzialmente inadeguati ... La realtà italiana dei servizi può essere descritta come un insieme di variazioni regionali sul tema. Infatti, come è noto, le Regioni hanno deleghe importanti, sia nelle politiche sanitarie e sociosanitarie che in quelle sociali. Le Servizi per le dipendenze 283 Comunità terapeutiche sono, ad esempio, in gran parte diffuse nelle regioni del Nord che offrono un ventaglio di offerte di strutture residenziali, spesso innovative, molto differenziato e articolato, più adeguato alle esigenze della molteplicità persone, delle storie e dei loro modelli di consumo. La concentrazione delle strutture accreditate del privato sociale è infatti maggiore nel Nord: 17% Lombardia, 13% Veneto, 12,5% Emilia-Romagna. Anche alcuni Comuni hanno realizzato esperienze importanti organizzando modelli organizzativi e risorse specifiche di servizi innovativi che prefigurano, anche se in modo poco uniforme, un ruolo strategico politico-culturale delle istituzioni locali nelle politiche sulle droghe come, ad esempio, il Comune di Venezia, che ha istituito da tempo un servizio di riduzione del danno che promuove e coordina diversi interventi a bassa soglia e di prossimità, il Comune di Roma, che aveva previsto una Agenzia per tossicodipendenze che aveva fatto della capitale uno dei laboratori più importanti negli interventi di RDD, e il Comune di Napoli, che ha stabilito nella cooperazione strategica con la ASL e il terzo settore l’asse portante delle politiche. Esperienze purtroppo deboli in quanto soggette agli orientamenti delle amministrazioni locali (vedi il caso eclatante di Roma) e dei tagli vari che tendono a colpire le politiche degli enti pubblici. Innovazioni Nonostante la normativa non abbia ancora recepito modelli organizzativi dei servizi diversi da quelli ambulatoriali dei SerT, tra gli anni ’90 e il nuovo millennio si sono diffuse in diverse regioni e città italiane molteplici pratiche di interventi e azioni orientate, prevalentemente, alla riduzione del danno e dei rischi, che si sono espresse attraverso modelli organizzativi di intervento e filosofie di ascolto e risposta ai bisogni, sintonizzate con i diversi target di consumatori di riferimento e che hanno prodotto risultati efficaci sul piano della sicurezza nei diversi contesti di consumo delle droghe. Si sono diffuse Unità di strada, Drop in, équipe di intervento nei contesti del divertimento serale notturno illegali (rave, free party) e legali (festival, technival, ecc.), nelle piazze e nei locali cittadini (discoteche, locali, bar, ecc.). Strutture intermedie diurne e residenziali di presa in carico e accompagnamento a bassa soglia, servizi flessibili e attenti alla tutela della riservatezza per tipologie di consumatori socialmente integrati, ecc. In genere queste esperienze seguono modelli e strategie plurali con integrazioni tra pubblico e terzo settore, adottano modelli organizzativi flessibili e diversificati che si 284 Servizi per le dipendenze adattano alle esigenze delle persone e dei contesti di riferimento, tendono a stare in rete tra loro e con gli altri servizi sociosanitari per le dipendenze, tendono a coinvolgere i consumatori a vari livelli sono spesso inserite in una rete di reti tra ASL e Comuni e terzo settore. Sono esperienze che rappresentano, insieme a quelle già citate, un patrimonio importante e fondamentale che deve essere riconosciuto e reso stabile da una nuova normativa nazionale e nello stesso tempo essere di riferimento culturale. Verso un protagonismo delle persone che usano sostanze Centrale in questo processo è il protagonismo delle persone alle quali i servizi si rivolgono ai vari livelli. Riproporre con forza la centralità della persona vista in questa prospettiva significa riconoscere che le persone che incontriamo, qualunque sia il loro modello o stile di consumo, hanno competenze acquisite e conservate che rappresentano le risorse di riferimento per qualunque tipo di intervento. Tale principio è di particolare importanza strategica in quanto propone e offre un terreno importante per un ripensamento delle culture delle azioni e delle competenze legate alle diverse professionalità dei servizi. Di recente, in seguito a un seminario nazionale organizzato nell’ottobre 2013 a Napoli, dalla Rete italiana della riduzione del danno (ITARDD) è iniziato un lavoro di elaborazione di una Carta dei diritti delle persone che usano sostanze che si è concluso con la Conferenza di Genova. Nella premessa alla Carta de Diritti si dice: “Siamo persone che usano o hanno usato sostanze; persone prima di tutto, dotate di dignità e del diritto a condurre un’esistenza libera nelle comunità cui apparteniamo e nel mondo intero.” … E nel testo della Carta il punto 2 recita: “… Nessuna norma e nessun trattamento in contrasto con la Dichiarazione universale dei diritti umani possono essere applicati nei confronti di una persona a causa dell’uso di sostanze.” E all’art 21: “I saperi e le esperienze delle persone che usano sostanze, o le hanno usate in passato, costituiscono risorse collettive che i Policy Makers e i servizi devono riconoscere e valorizzare. Le persone che usano sostanze, come già avviene in molti paesi europei, vogliono e devono essere interpellate e coinvolte nella costruzione delle politiche sulle droghe.” Il manifesto di Genova Il 28 febbraio si è tenuta a Genova l’importante iniziativa nazionale “Sulle orme di don Gallo” che ha avuto N. 201 il valore di una vera e propria Conferenza nazionale auto organizzata che ha prodotto alla sua conclusione un documento denominato “Il Manifesto di Genova” che ha dettato alcune indicazioni per un cambio progressivo ma sostanziale delle politiche sulle droghe in Italia di cui riporto alcune tra le più significative: … “oltre i suoi contenuti tecnico-giuridici, la sentenza della Consulta ha un valore simbolico immenso: ora anche in Italia è possibile riprendere il percorso per una legge più umana e più giusta che contrasti il traffico illecito di sostanze stupefacenti, ma sottragga le persone che usano sostanze alla macchina repressiva e offra loro possibilità di uso consapevole e, quando necessario, di sostegno sociale e sanitario … Tale percorso deve prevedere “la completa revisione delle previsioni sanzionatorie, penali e amministrative, stabilite dal Testo unico sulle sostanze stupefacenti”. “La prima modifica in questa direzione non può che essere la compiuta depenalizzazione del possesso e della cessione gratuita di piccoli quantitativi di sostanze destinati all’uso personale, anche di gruppo, e della coltivazione domestica di piante di marijuana agli stessi fini e … “una compiuta regolamentazione legale della produzione e della circolazione dei derivati della cannabis e della libera coltivazione a uso personale”. Per un cambio di rotta nelle politiche rivolte ai consumatori di sostanze psicoattive, verso un nuovo paradigma regolativo delle politiche pubbliche La svolta culturale che si prefigura è quella di passare a una logica orientata a regolare il fenomeno e quindi a stabilire le condizioni di certi comportamenti alla luce del sole, rompendo con ogni tentazione stigmatizzante, riconoscendo la capacità delle persone di controllare i propri comportamenti in modo consapevole, in alternativa alle vecchie e fallimentari azioni repressive che cacciavano nel buio dell’illegalità masse ingenti di persone di tutte le età in contesti nei quali i rischi per la salute, la socializzazione e la convivenza erano e sono massimi. Vanno considerati secondo questa prospettiva le indicazioni riportate della carta di Genova e della Carta dei diritti delle persone che usano sostanze. Qual è il cambiamento nel sistema dei servizi secondo tale prospettiva? In primo luogo, una nuova legge dovrà prevedere un cambio di modello del servizio: dal modello monoservi- Servizi per le dipendenze N. 201 zio ambulatoriale-ospedaliero a uno territoriale, inteso come una pluralità di modelli organizzativi e tipologie di strutture, collegate secondo una logica di sistema a rete, non gerarchica, in grado di dare coerenza al funzionamento della molteplicità dei servizi e di far interagire le azioni alle diverse velocità. Un dipartimento territoriale che governa una variabilità di azioni e servizi per affrontare le problematiche che pongono i diversi contesti del consumo e i diversi modelli e stili di consumo. Un sistema flessibile aperto al cambiamento per stare al passo con un fenomeno in continuo mutamento. Un tale orientamento richiede, in primo luogo, che la logica del pubblico accolga il terzo settore come partner strategico e stabile, in grado di arricchire della tonalità del sociale il sistema. In secondo luogo, richiede che si stabilisca un raccordo tra Comune e ASL tale da costituire un sistema più ampio di governo politico sociale della città teso a programmare strategie di sicurezza dei luoghi di attraversamento dei cittadini di tutte le età, all’interno dei quali i consumi di sostanze possano essere regolati in modo sicuro sia con la presenza e la disponibilità discreta ma efficace della pluralità dei servizi che attraverso accordi negoziati con gestori di locali, di eventi, con i cittadini che usano sostanze e con i cittadini che abitano e attraversano in genere la città. Le strategie sono molteplici e vanno concordate nelle sedi politico-amministrative, tenendo conto delle esperienze citate e delle linee guida disponibili, come, ad esempio, le notti sicure elaborate in sede europea. Va previsto un nomadismo e un meticciato tra équipe e servizi di città diverse visto che le persone si muovono, attraversano, spesso violano i confini, lo spazio e il tempo, il giorno e la notte. Una legge che voglia promuovere questi processi innovativi dovrà in primo luogo riconoscere la prospettiva della riduzione del danno e le molteplici tipologie di servizi e azioni di riferimento e inserirle nei LEA. Inoltre la legge dovrà inaugurare in una logica laica, in Italia come in altri Paesi europei, sperimentazioni di servizi, azioni, strategie innovative nell’ambito della regolazione dei consumi di sostanze e adottare quelle già validate quali le stanze del consumo, il pill testing, la distribuzione controllata dell’eroina. Si tratta di uscire, al di là della legge, dalla logica del pensiero unico verso un paradigma “ospitale” in grado di garantire la convivenza e il dialogo tra prospettive culturali e professionali diverse, tra neurobiologia e riduzione del danno, tra terapia e apprendimento sociale, mantenendo come limite e alle proprie pretese il punto di vista 285 e i diritti delle persone che usano sostanze ai quali ci riferiamo istituzionalmente. Bibliografia Amendt G. No drugs no future. Milano: Feltrinelli 2004. Aime M. Eccessi di culture. Torino: Giulio Einaudi editore 2004. Bagozzi F, Cippitelli C, a cura di. In estrema sostanza. Albano Laziale, Roma: Iacobelli Edizioni 2008. Bauman Z. Homo consumens. Trento: Editore Erickson 2007. Becker HS. Outsider. Torino: Edizioni Gruppo Abele 1987. Benasayag M, Del Rey A. Elogio del conflitto. Milano: Giangiacomo Feltrinelli Editore 2008. Benasyag M, Schmit G. L’epoca delle passioni tristi. Milano: Giangiacomo Feltrinelli Editore 2009. Canevacci M. 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