Servizi per le dipendenze
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Dossier
Verso un cambio di rotta
nelle politiche dei servizi
per le dipendenze in Italia
Stefano Vecchio
Coordinamento Rete italiana riduzione del danno - ITARDD
Abstract
Le politiche sulle droghe in Italia richiedono un cambio di rotta radicale e una rottura epistemologica con i modelli culturali
del passato.
Gli orientamenti della politica italiana, allineatasi negli ultimi anni con le posizioni di quegli Stati europei e mondiali che
si rifanno al paradigma statunitense della war of drug, si sono concentrati prevalentemente su logiche di tipo repressivo
indiscriminate (trattando allo stesso modo spacciatori e persone che consumano droghe). Tali orientamenti hanno fortemente
influenzato le rappresentazioni sociali dei tossicodipendenti e dei consumatori in generale, diffondendo immagini stigmatizzanti di questi spesso con veicolate e amplificate dai mass media.
Questo contesto legislativo, politico e culturale ha assunto spesso toni oscurantistici (i buchi nel cervello, rischio incombente di
incidenti stradali, elenchi di malattie, ecc.) ha condizionato anche il funzionamento e gli obiettivi degli stessi servizi pubblici
e del privato sociale. Analogo effetto condizionante lo ha avuto la detenzione di un numero elevatissimo di detenuti tossicodipendenti e consumatori di cannabis che ha spostato una parte delle attività dei servizi pubblici e del terzo settore verso il
regime penitenziario. Un dato documentato con precisione dall’Associazione Antigone da Forum droghe e altre associazioni
nei diversi “libri bianchi”.
Infine questa situazione è resa ancor più critica dai cosiddetti “tagli” alla spesa pubblica, prevalentemente a carico del
sistema sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, i quali, tra l’altro, hanno portato alla completa scomparsa del Fondo
sociale nazionale e del Fondo per la lotta alla droga.
Le politiche sulle droghe italiane vivono, attualmente,
un ulteriore momento di transizione e di crisi in seguito
alla dichiarazione di incostituzionalità della legge FiniGiovanardi. In realtà, al di fuori delle diverse posizioni
politiche e culturali, è forte l’esigenza di promuovere
una nuova legge che sia il risultato di una discussione
pubblica a più voci. La stessa legge attuale la cosiddetta Iervolino-Vassalli risulta largamente inadeguata a
rispondere alle sfide che questo millennio ha ereditato
dal precedente.
Lo scenario cambia ma si tratta di capire verso dove e
come. In questo senso è necessaria una spinta propulsiva
verso un cambio radicale di rotta.
I servizi pubblici
Il modello pubblico di servizio per le dipendenze, prefigu-
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rato dalle leggi italiane e a tutt’oggi prevalente, nonostante sia collocato sul piano istituzionale nell’area sociosanitaria ad alta integrazione (DM n. 229/99), cioè nell’area
dei servizi territoriali, in realtà, si rifà prevalentemente
alla logica ambulatoriale, sul piano organizzativo, e a
quella ospedaliera, sul piano culturale e professionale.
Il paradigma dominante sul piano della rappresentazione
del fenomeno è quello neurobiologico, che equipara la
dipendenza o l’addiction, come preferiscono i più raffinati, a una malattia per lo più cronica recidivante. Secondo
questa prospettiva neurobiologica, quindi, i consumatori
di eroina diagnosticati come dipendenti dovranno seguire i trattamenti con farmaci agonisti (metadone o buprenorfina) per tutta la vita, in quanto non potranno guarire
(il peccato è stato commesso) o, al massimo, avranno una
remissione dei sintomi. In questa sorta di cronicizzazione
istituzionale, si corre il serio rischio di legare a vita il destino di migliaia di persone, di rovesciare le diagnosi in
etichettamenti e di istituzionalizzarle. Un destino analogo
spetta ad alcolisti e ad altri tossicodipendenti assimilabili
agli stessi criteri diagnostici.
In realtà i servizi per le tossicodipendenze, nonostante
abbiano hanno iniziato a operare, negli anni ’80, un po’
“gettati” alla ventura, spinti da un’emergenza sociale e
da un mandato istituzionale di generico controllo, hanno
nel tempo raggiunto un obiettivo importante: l’allontanamento dal mercato dell’illegalità di una alta percentuale
di tossicodipendenti da eroina, accogliendoli nei servizi e
promuovendo anche l’apprendimento di competenze nuove nella gestione e riduzione dei rischi e dei danni per la
salute e per la socialità, che hanno facilitato l’adozione di
nuovi comportamenti meno o per niente a rischio. Questo
lungo processo ha aperto un campo di esperienza per
gli operatori che potremmo definire “clinica del territorio”, che ha generato anche processi di apprendimento
di nuove competenze professionali, spesso implicite, (ad
esempio legate a capacità di comunicare con linguaggi
di strada, di negoziare obiettivi realistici, di adeguare
le terapie alla motivazione, di sospendere i giudizi e le
proprie convinzioni professionali…). Grazie a tali competenze implicite apprese nei Sert, spesso in collaborazione
con comunità terapeutiche rinnovate, da anni si sono diffuse pratiche di gestione negoziata dei farmaci agonisti
con gli utenti, al di fuori delle indicazioni delle società
scientifiche, che hanno permesso a un numero elevato di
persone di accedere ai trattamenti e di continuare a usare
sostanze illegali, ma in modo moderato, mantenendo un
controllo dei comportamenti a rischio e le relazioni lavorative o familiari e amicali. Un vero e proprio processo
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di apprendimento sociale di autoregolazione che, però,
viene vissuto in modo colpevolizzante, come un fallimento, sia dagli operatori che dagli utenti, in quanto obiettivo
misconosciuto dal paradigma medicalizzante dominante.
Una logica territoriale dei servizi dovrà tendere a valorizzare tale strategia di servizio tesa a riconoscere la capacità della persona di apprendere a regolare la propria
vita anche con l’uso non problematico di sostanze e a
rinforzare il suo senso di autoefficacia.
Questo processo, che alcuni servizi italiani hanno già
reso esplicito e attivo, anche lavorando con la stessa
prospettiva verso altre tipologie di consumatori, rappresenta uno strumento potente di deistituzionalizzazione in
quanto prevede una progressiva emancipazione dai servizi della prevalenza delle persone in carico da anni e
l’autonoma gestione dei farmaci agonisti anche nella prospettiva di lunga durata del trattamento in una logica di
inclusione sociale. Il risultato del processo, sul piano delle
risorse, sarà il recupero di tempo istituzionale e di energie
professionali che andranno riconvertite per affrontare le
domande di intervento da parte di quelle tipologie di consumatori alle quali oggi si dà scarsa attenzione, nell’ambito di un modello organizzativo territoriale rinnovato.
Si tratta di promuovere un vero e proprio piano di deistituzionalizzazione degli utenti dei servizi che sarà possibile solo se sarà supportato da nuovi indirizzi politici e
culturali.
I dati dei consumi e la situazione attuale
dei servizi
La relazione al Parlamento 2013 (dati del 2012) ha rilevato la presenza in Italia di 633 servizi pubblici, SerT,
distribuiti più o meno equamente nelle diverse regioni italiane e di 1028 strutture accreditate del privato sociale
(le cosiddette Comunità terapeutiche) delle quali il 66,5%
sono di tipo residenziale.
Gli utenti in carico ai servizi pubblici risultano 22.223
dei quali 84.938 eroinomani, 58.122 alcolisti, 16.939
cocainomani.
Una prima semplice osservazione evidenzia che i servizi
italiani oggi ancora accolgono prevalentemente la stessa
tipologia di consumatori degli anni ‘80 e ’90, nonostante
già dagli anni ’90 si siano diffusi altri stili e modelli di
consumo. Il numero limitato di alcolisti e di consumatori di
cocaina, inoltre, sta a segnalare che vi è una domanda
sociale di intervento per queste tipologie di consumatori
ma che il modello organizzativo dei servizi è largamente
inadeguato.
Dalla rilevazione realizzata secondo il modello europeo
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ESPAD, condotta tra la popolazione scolastica italiana di
2,5 milioni di ragazzi e riportata dal CNR, emerge un
panorama dei consumi ben diverso: il modello di consumo più diffuso è quello di sostanze alcoliche: 88,6% del
campione. I cosiddetti Binge drinking (abbuffata: almeno
5 bevute di seguito), considerati come comportamenti a
rischio, risultano diffusi nel 35,1% dei soggetti. Ma il dato
è inferiore alla media europea.
Oltre 500.000 studenti hanno consumato derivati della
cannabis, 60.000 studenti la cocaina, 60.000 sostanze
stimolanti (amfetamina, ecstasi …), 60.000 sostanze allucinogene, 30.000 sostanze oppiacee.
Il commento della responsabile della ricerca è che si “attesta una generale tendenza alla stabilizzazione nel numero dei consumatori per tutte le sostanze …” (S. Molinaro).
I dati che si riferiscono ai soggetti di altre età, riportati
nella relazione al Parlamento, ripropongono alcune caratteristiche analoghe con una tendenza alla diminuzione
dei consumi di sostanze alcoliche e diffusione di stili di
consumo meno moderati, quali binge drinking, ecc., con
un certo rischio stimato dai 65 anni in su.
Le percentuali di diffusione delle sostanze, in ogni caso,
non sono preoccupanti per l’Italia in quanto o inferiori
alla media europea o in linea con questa.
Come si vede, il panorama che emerge, ormai da tempo,
dalle ricerche a livello nazionale e europeo, ci parla di un
fenomeno profondamente mutato rispetto a quello rappresentato dalle leggi e dalla maggioranza dei mass media.
Ci troviamo di fronte a un target completamente diverso
da quello frequentato dai servizi pubblici, che non richiede nuovi allarmi sociali, ma una nuova politica generale
e dei servizi.
Quali cambiamenti nei modelli organizzativi
e culturali dei servizi?
La realtà delineata dei servizi rivolti ai consumatori di
sostanze psicoattive in Italia attraversa una momento di
forte crisi contrassegnata, da una parte, dal rischio di
riprodurre nuovi meccanismi di istituzionalizzazione nei
confronti di una utenza “storica” che tende a invecchiare
rimanendo bloccata in una relazione statica con i servizi
e, dall’altra, dalla lontananza dei servizi dai potenziali
utilizzatori nei confronti dei quali i modelli organizzativi
sono sostanzialmente inadeguati ...
La realtà italiana dei servizi può essere descritta come un
insieme di variazioni regionali sul tema. Infatti, come è
noto, le Regioni hanno deleghe importanti, sia nelle politiche sanitarie e sociosanitarie che in quelle sociali. Le
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Comunità terapeutiche sono, ad esempio, in gran parte
diffuse nelle regioni del Nord che offrono un ventaglio di
offerte di strutture residenziali, spesso innovative, molto
differenziato e articolato, più adeguato alle esigenze della molteplicità persone, delle storie e dei loro modelli di
consumo. La concentrazione delle strutture accreditate del
privato sociale è infatti maggiore nel Nord: 17% Lombardia, 13% Veneto, 12,5% Emilia-Romagna.
Anche alcuni Comuni hanno realizzato esperienze importanti organizzando modelli organizzativi e risorse specifiche di servizi innovativi che prefigurano, anche se in
modo poco uniforme, un ruolo strategico politico-culturale
delle istituzioni locali nelle politiche sulle droghe come,
ad esempio, il Comune di Venezia, che ha istituito da
tempo un servizio di riduzione del danno che promuove
e coordina diversi interventi a bassa soglia e di prossimità, il Comune di Roma, che aveva previsto una Agenzia
per tossicodipendenze che aveva fatto della capitale uno
dei laboratori più importanti negli interventi di RDD, e il
Comune di Napoli, che ha stabilito nella cooperazione
strategica con la ASL e il terzo settore l’asse portante delle
politiche.
Esperienze purtroppo deboli in quanto soggette agli orientamenti delle amministrazioni locali (vedi il caso eclatante
di Roma) e dei tagli vari che tendono a colpire le politiche
degli enti pubblici.
Innovazioni
Nonostante la normativa non abbia ancora recepito modelli organizzativi dei servizi diversi da quelli ambulatoriali dei SerT, tra gli anni ’90 e il nuovo millennio si sono
diffuse in diverse regioni e città italiane molteplici pratiche
di interventi e azioni orientate, prevalentemente, alla riduzione del danno e dei rischi, che si sono espresse attraverso modelli organizzativi di intervento e filosofie di ascolto
e risposta ai bisogni, sintonizzate con i diversi target di
consumatori di riferimento e che hanno prodotto risultati
efficaci sul piano della sicurezza nei diversi contesti di
consumo delle droghe. Si sono diffuse Unità di strada,
Drop in, équipe di intervento nei contesti del divertimento
serale notturno illegali (rave, free party) e legali (festival,
technival, ecc.), nelle piazze e nei locali cittadini (discoteche, locali, bar, ecc.). Strutture intermedie diurne e residenziali di presa in carico e accompagnamento a bassa
soglia, servizi flessibili e attenti alla tutela della riservatezza per tipologie di consumatori socialmente integrati, ecc.
In genere queste esperienze seguono modelli e strategie
plurali con integrazioni tra pubblico e terzo settore, adottano modelli organizzativi flessibili e diversificati che si
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adattano alle esigenze delle persone e dei contesti di riferimento, tendono a stare in rete tra loro e con gli altri
servizi sociosanitari per le dipendenze, tendono a coinvolgere i consumatori a vari livelli sono spesso inserite in
una rete di reti tra ASL e Comuni e terzo settore.
Sono esperienze che rappresentano, insieme a quelle già
citate, un patrimonio importante e fondamentale che deve
essere riconosciuto e reso stabile da una nuova normativa nazionale e nello stesso tempo essere di riferimento
culturale.
Verso un protagonismo delle persone
che usano sostanze
Centrale in questo processo è il protagonismo delle persone alle quali i servizi si rivolgono ai vari livelli. Riproporre
con forza la centralità della persona vista in questa prospettiva significa riconoscere che le persone che incontriamo, qualunque sia il loro modello o stile di consumo, hanno competenze acquisite e conservate che rappresentano
le risorse di riferimento per qualunque tipo di intervento.
Tale principio è di particolare importanza strategica in
quanto propone e offre un terreno importante per un ripensamento delle culture delle azioni e delle competenze
legate alle diverse professionalità dei servizi.
Di recente, in seguito a un seminario nazionale organizzato nell’ottobre 2013 a Napoli, dalla Rete italiana della
riduzione del danno (ITARDD) è iniziato un lavoro di elaborazione di una Carta dei diritti delle persone che usano
sostanze che si è concluso con la Conferenza di Genova.
Nella premessa alla Carta de Diritti si dice:
“Siamo persone che usano o hanno usato sostanze; persone prima di tutto, dotate di dignità e del diritto a condurre un’esistenza libera nelle comunità cui apparteniamo e nel mondo intero.” …
E nel testo della Carta il punto 2 recita: “… Nessuna norma
e nessun trattamento in contrasto con la Dichiarazione universale dei diritti umani possono essere applicati nei confronti di una persona a causa dell’uso di sostanze.” E all’art 21:
“I saperi e le esperienze delle persone che usano sostanze,
o le hanno usate in passato, costituiscono risorse collettive
che i Policy Makers e i servizi devono riconoscere e valorizzare. Le persone che usano sostanze, come già avviene in
molti paesi europei, vogliono e devono essere interpellate e
coinvolte nella costruzione delle politiche sulle droghe.”
Il manifesto di Genova
Il 28 febbraio si è tenuta a Genova l’importante iniziativa nazionale “Sulle orme di don Gallo” che ha avuto
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il valore di una vera e propria Conferenza nazionale
auto organizzata che ha prodotto alla sua conclusione
un documento denominato “Il Manifesto di Genova” che
ha dettato alcune indicazioni per un cambio progressivo
ma sostanziale delle politiche sulle droghe in Italia di cui
riporto alcune tra le più significative:
… “oltre i suoi contenuti tecnico-giuridici, la sentenza della Consulta ha un valore simbolico immenso: ora anche
in Italia è possibile riprendere il percorso per una legge
più umana e più giusta che contrasti il traffico illecito di
sostanze stupefacenti, ma sottragga le persone che usano
sostanze alla macchina repressiva e offra loro possibilità
di uso consapevole e, quando necessario, di sostegno
sociale e sanitario …
Tale percorso deve prevedere “la completa revisione delle
previsioni sanzionatorie, penali e amministrative, stabilite
dal Testo unico sulle sostanze stupefacenti”.
“La prima modifica in questa direzione non può che essere la compiuta depenalizzazione del possesso e della
cessione gratuita di piccoli quantitativi di sostanze destinati all’uso personale, anche di gruppo, e della coltivazione domestica di piante di marijuana agli stessi fini e …
“una compiuta regolamentazione legale della produzione e della circolazione dei derivati della cannabis e della
libera coltivazione a uso personale”.
Per un cambio di rotta nelle politiche rivolte
ai consumatori di sostanze psicoattive, verso
un nuovo paradigma regolativo delle politiche
pubbliche
La svolta culturale che si prefigura è quella di passare a
una logica orientata a regolare il fenomeno e quindi a
stabilire le condizioni di certi comportamenti alla luce del
sole, rompendo con ogni tentazione stigmatizzante, riconoscendo la capacità delle persone di controllare i propri
comportamenti in modo consapevole, in alternativa alle
vecchie e fallimentari azioni repressive che cacciavano
nel buio dell’illegalità masse ingenti di persone di tutte le
età in contesti nei quali i rischi per la salute, la socializzazione e la convivenza erano e sono massimi.
Vanno considerati secondo questa prospettiva le indicazioni riportate della carta di Genova e della Carta dei
diritti delle persone che usano sostanze.
Qual è il cambiamento nel sistema dei servizi
secondo tale prospettiva?
In primo luogo, una nuova legge dovrà prevedere un
cambio di modello del servizio: dal modello monoservi-
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zio ambulatoriale-ospedaliero a uno territoriale, inteso
come una pluralità di modelli organizzativi e tipologie di
strutture, collegate secondo una logica di sistema a rete,
non gerarchica, in grado di dare coerenza al funzionamento della molteplicità dei servizi e di far interagire le
azioni alle diverse velocità. Un dipartimento territoriale
che governa una variabilità di azioni e servizi per affrontare le problematiche che pongono i diversi contesti del
consumo e i diversi modelli e stili di consumo. Un sistema
flessibile aperto al cambiamento per stare al passo con un
fenomeno in continuo mutamento.
Un tale orientamento richiede, in primo luogo, che la logica del pubblico accolga il terzo settore come partner
strategico e stabile, in grado di arricchire della tonalità
del sociale il sistema.
In secondo luogo, richiede che si stabilisca un raccordo
tra Comune e ASL tale da costituire un sistema più ampio
di governo politico sociale della città teso a programmare strategie di sicurezza dei luoghi di attraversamento
dei cittadini di tutte le età, all’interno dei quali i consumi
di sostanze possano essere regolati in modo sicuro sia
con la presenza e la disponibilità discreta ma efficace
della pluralità dei servizi che attraverso accordi negoziati con gestori di locali, di eventi, con i cittadini che
usano sostanze e con i cittadini che abitano e attraversano in genere la città.
Le strategie sono molteplici e vanno concordate nelle sedi
politico-amministrative, tenendo conto delle esperienze citate e delle linee guida disponibili, come, ad esempio, le
notti sicure elaborate in sede europea. Va previsto un nomadismo e un meticciato tra équipe e servizi di città diverse visto che le persone si muovono, attraversano, spesso
violano i confini, lo spazio e il tempo, il giorno e la notte.
Una legge che voglia promuovere questi processi innovativi dovrà in primo luogo riconoscere la prospettiva della
riduzione del danno e le molteplici tipologie di servizi e
azioni di riferimento e inserirle nei LEA.
Inoltre la legge dovrà inaugurare in una logica laica,
in Italia come in altri Paesi europei, sperimentazioni di
servizi, azioni, strategie innovative nell’ambito della regolazione dei consumi di sostanze e adottare quelle già
validate quali le stanze del consumo, il pill testing, la distribuzione controllata dell’eroina.
Si tratta di uscire, al di là della legge, dalla logica del
pensiero unico verso un paradigma “ospitale” in grado di
garantire la convivenza e il dialogo tra prospettive culturali e professionali diverse, tra neurobiologia e riduzione
del danno, tra terapia e apprendimento sociale, mantenendo come limite e alle proprie pretese il punto di vista
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e i diritti delle persone che usano sostanze ai quali ci
riferiamo istituzionalmente.
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